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Cenacolo degli Artisti Savona, Dicembre 2014
ISBN: 9788896630433
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il enacolo degli rtisti
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Albisola, la piccola Atene, da Fontana a Luzzati
Il Cenacolo degli Artisti A cura di Carla Bracco e Lorenzo Zunino
Da un’idea suggerita dal film “Il Cenacolo degli Artisti” di Pino Cirone e Maria Scarfì, riproposto nel DVD allegato
Il Cenacolo Degli Artisti
Albisola, la piccola Atene, da Fontana a Luzzati
Savona, Fortezza del Priamar - Palazzo del Commissario 20 dicembre 2014 - 15 febbraio 2015 Con il contributo di:
Comune DI SAVONA
Sindaco: Federico Berruti Assessore alla Cultura: Elisa di Padova
Dirigente del Settore Politiche Culturali, Turistiche, del Commercio: Marta Sperati Responsabile del Servizio Cultura e Turismo: Monica Giusto
Presidente della Fondazione A. De Mari: Roberto Romani
Sindaco: Gianluca Nasuti Comune DI albissola marina
Sindaco: Franco Orsi Comune DI albisola SUPERIORE
Con il patrocinio di: Presidente: Elio Ferraris
Partner organizzativo: Associazione Museo del Monastero Monastero Bormida (AT)
Partner assicurativo:
Generali Assicurazioni. Agenzia Principale di Acqui Terme (AL)
Il Cenacolo degli Artisti
Albisola, la piccola Atene, da Fontana a Luzzati
20 dicembre 2014 - 15 febbraio 2015 Savona, Fortezza del Priamar - Palazzo del Commissario
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INDICE
Saluti delle autorità ........................................................................................................................................ pg.
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Roberto Romani, Presidente Fondazione “A. De Mari” Cassa di Risparmio di Savona Federico Berruti, Sindaco Comune di Savona Nicoletta Negro, Assessore alla Cultura del Comune di Albissola Marina Giovanna Rolandi, Assessore alla Cultura del Comune di Albisola Superiore
Il Cenacolo degli Artisti Albisola la piccola Atene, da Fontana a Luzzati Le Ceramiche San Giorgio di Giovanni Poggi ed Eliseo Salino ....................................................... pg.
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Lorenzo Zunino
Atmosfere albisolesi ......................................................................................................................................... pg. 15 Maria Scarfi’ Cirone
Il Magico Tempo Di Albisola . ....................................................................................................................... pg. 23 Luciano Caprile
Milena Milani, mia zia....................................................................................................................................... pg. 25 Renata Guga-Zunino Milani Cattaneo
Carlo Cardazzo e dintorni ............................................................................................................................ pg. 29 Renata Guga-Zunino Milani Cattaneo
Artisti e Opere ................................................................................................................................................... pg. 35 Bibliografia .......................................................................................................................................................... pg. 147 Colophon .............................................................................................................................................................. pg. 154 5
Da diverso tempo l’Associazione Lino Berzoini ha promosso mostre e iniziative finalizzate alla riscoperta di quegli autori che nel recente passato hanno illustrato con le loro opere il nostro territorio. Con quella odierna ha voluto affrontare un tema di particolare impegno, rendendo omaggio a quel cenacolo di pittori e scultori di fama internazionale che, trovandosi al lavoro nelle fabbriche di Albisola nel secondo dopoguerra, sono stati attori di uno straordinario momento artistico. Proprio a partire dalla metà degli anni Cinquanta infatti, grazie al convergere di felici contingenze, la cittadina ligure si avviava a divenire la capitale mondiale della ceramica. Mettere in luce i momenti salenti di quella vicenda significa ricostruire un ambiente culturale di altissimo livello e ripercorrere un tratto della nostra stessa storia. Per questo la Fondazione “A. De Mari” - Cassa di Risparmio di Savona manifesta il proprio apprezzamento per l’impegno ancora una volta profuso dalla Associazione Lino Berzoini nel contribuire a documentare le vicende culturali del savonese Roberto Romani Presidente Fondazione “A. De Mari” Cassa di Risparmio di Savona
Quando si pensa all’arte contemporanea si è, spesso, proiettati nell’analisi degli artisti attivi e delle mostre che si susseguono. In realtà l’arte contemporanea è fatta anche di pittori e scultori storicizzati, che hanno lasciato un segno anche se, tecnicamente, appartengono ormai al passato. Da anni l’associazione intitolata a Lino Berzoini organizza mostre di valore che invitano alla riflessione sull’arte locale, anche nei suoi risvolti nazionali.La nuova rassegna è una retrospettiva collettiva. Ne avevamo bisogno soprattutto per capire che gli artisti non sono degli isolati ma comunicano sempre, talvolta con modalità non ordinarie, tra di loro. Un nuovo tassello alla riscoperta della nostra storia artistica, dunque, che spero i Savonesi sapranno ancora una volta apprezzare. Federico Berruti Sindaco Comune di Savona
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L’idea che la Fondazione Berzoini realizza in quest’esposizione è il racconto, attraverso il famoso “Cenacolo degli Artisti”, di un’epoca storica incredibile che Albissola visse nel secondo dopo guerra. Un racconto nel racconto quindi, molti dipinti e ceramiche di un momento culturalmente felice, ma non solo. Attraverso la ceramica e la passione per il bello nascono così amicizie, collaborazioni creative ed occasioni per condividere semplicemente la vita. L’eredità che quegli anni ci lascia non è quindi solo l’onore di poter ammirare opere realizzate nelle nostre manifatture all’interno dei più importanti musei del mondo, ma lo spirito vero e divertito di fare e di essere comunità. Il mio auspicio è che quella semplice esigenza di comunità si rinnovi in noi, affinché faccia rivivere oltre all’arte, anche la voglia sana di stare insieme per una società migliore e solidale. Nicoletta Negro Assessore alla Cultura del Comune di Albissola Marina
Come Assessore alla Cultura di Albisola Superiore sono particolarmente lieta di sostenere la proposta dell’Associazione Lino Berzoini, con la quale peraltro da tempo collaboriamo proficuamente. Ne condivido la finalità di far conoscere, attraverso una mostra, il conseguente catalogo, nonché le visite guidate anche al Civico Museo Manlio Trucco, il patrimonio artistico e culturale legato alla ceramica del territorio Albisolese che ha accolto i più importanti artisti del ‘900, diventando così una piccola novella Atene. La mostra ricorda gli artisti che ad Albisola scoprirono la ceramica attraverso la quale diedero nuovo vigore alla propria originale potenza creativa. Mi auguro che il progetto se da un lato serve a far conoscere e ricordare ciò che di grande è avvenuto ad Albisola nel secolo scorso, dall’altro offra uno stimolo ai giovani artisti affinché ricreino ad Albisola un nuovo “cenacolo” artistico e culturale. Giovanna Rolandi Assessore alla Cultura del Comune di Albisola Superiore
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Agenore Fabbri al lavoro. 8
Il Cenacolo degli Artisti
Albisola la piccola Atene, da Fontana a Luzzati di Lorenzo Zunino Immergersi nell’ Albisola del 1970 e’ una sensazione forte soprattutto per me che da albisolese all’epoca ancora bambino, ha goduto del clima incantato di quegli anni senza rendersene affatto conto. Quegli incontri quotidiani tra i vicoli del paese erano normalità. Ricordo bene Wifredo Lam e i suoi figli con cui mi capitava anche di giocare insieme e di prestare loro per qualche minuto la mia fantastica turbo bicicletta. La figura di Asger Jorn la individuo in cammino tra Pozzo Garitta ed il bar Testa serafico con il suo sigaro in bocca anche se la sua immagine si mischia con Ansgar Elde più piccolo e barbuto e con i sandali ai piedi estate ed inverno. Non parliamo poi di Eliseo Salino, quasi figura tipica di Albisola tanto era inconfondibile la sua sagoma, i suoi baffi generosi ed il suo faccione sempre sorridente. Suo figlio Francesco poi me lo sarei ritrovato compagno di classe alle superiori. Ricordo anche in quegli anni la vita esplosiva che ruotava intorno al bar Testa. La saletta sempre pronta ad ospitare piccole mostre dedicate proprio a quegli artisti che nelle tiepide serate estive chiacchieravano tra loro seduti ai tavolini. Mario Rossello, Tullio d’Albisola e Milena Milani li avevo individuati nella fisionomia in quanto albisolesi e visi ormai familiari. Lucio Fontana non lo ritrovo nella mia memoria ma sono ben presenti le sue opere che abitualmente chiamavamo in casa “le palle”. Sulla passeggiata degli artisti quelle opere in bronzo nei primi anni della mia vita hanno costituito un giocoso richiamo ed un appuntamento rituale nelle mie passeggiate serali con la famiglia. Il ricordo più caro e limpido va poi a Virio che dal suo studio di viale Faraggiana componeva le sue tele ed i suoi acquerelli. Mia mamma era fortemente corteggiata in qualità di probabile cliente ma la sua gentile insistenza non aveva mai comunque fatto breccia nel suo portafoglio. Purtroppo! Successivamente molti di quei personaggi descritti proprio nel quadro di Virio da Savona, oggi situato nella agenzia della Cassa di Risparmio di Savona di Albissola Marina me li sarei ritrovati sui libri di storia dell’arte ed infine nel fantastico filmato di Maria Scarfi’ e del suo compianto marito Pino Cirone, da cui è scaturita l’idea primigenia della mostra. Il filmato rinnova la memoria di un’Albisola al limite del mito in cui la grandezza degli artisti e delle loro opere si miscela emotivamente con le mie sensazioni più private, celate nel mio cervello da bambino curioso e iperattivo ed ora nell’occasione esplose proprio come un “concetto spaziale” in cui lo spazio e il tempo si aggregano nella forma. Quella del ricordo! Formidabile in particolare e’ l’episodio che vede protagonista Milena Milani in una bellissima e ventosa giornata estiva. Sul molo dei “Sant’Antonio” come e’ chiamato abitualmente ancora oggi, la signora dell’arte albisolese si lascia riprendere nella sua bellezza classica da ninfa greca con i cappelli ed il vestito colorato mossi impetuosamente dal vento caldo. Dietro la spiaggia ed il bagnasciuga, il formicaio dei bagnanti appena usciti dal boom degli anni Sessanta, felici e storditi da una stagione irreperibile. Io sarei in grado di descrivere ogni granello di quella spiaggia dorata agli esordi degli anni Settanta in cui la quiete sonnolente del pomeriggio era improvvisamente interrotta dal profumo itinerante e pervasivo delle graffe calde che con cinquanta lire potevi azzannare. Non mi soffermo sugli artisti protagonisti del quadro di Virio, sul filmato prezioso documento sugli stessi e quindi sulla mostra che ha il compito di rappresentare le loro opere intorno a quegli anni fantastici. Vorrei invece considerare brevemente quegli artisti che nel quadro non sono stati inseriti e per cui probabilmente Virio pensava di realizzare un “Cenacolo” parte seconda. La stessa Milena Milani nella presentazione dell’opera ad Albisola nel 1970 scrive: “ ....... ma il quadro non è finito, continuerà negli anni, con altri artisti che Virio dovrà effigiare, con i nuovi che arrivano, perché Albisola non muore, la sua gente semplice e forte ci è vicina, fa parte di noi, si lasciano le città caotiche e disordinate e ci si ritrova in questi bianchi studi a scrivere, a dipingere, a fare ceramica, si sta insieme la sera nella nostra piazzetta, mentre l’aria è fine, il vento fresco tonifica il corpo e anima, di notte si dorme come bambini, l’indomani porta nuove idee, nuove decisioni. ......” 9
In effetti molti sono gli artisti che hanno vissuto quegli anni che dal primo dopoguerra arrivano al fatidico 1970 per passare dal 1954, vero e proprio “anno fantastico” per l’arte albisolese e non solo. Albisola arriva nel 1970 da alcuni decenni di attività artistica incredibili a cominciare dagli inizi del Novecento con la rinascita della ceramica albisolese e la fioritura delle botteghe artigiane in cui si sono succeduti schiere di tornianti, decoratori ed artisti provenienti anche da altri ambiti che hanno trovato nella ospitalità cordiale e serena delle fornaci lo stimolo e la vitalità creativa per realizzare piccoli e grandi capolavori. Non è questa la sede per ricordare tutti gli artisti che si sono succeduti nella piccola Atene, ma vorrei citare solo alcuni di essi che per età e vicinanza culturale ed artistica avrebbero potuto fare parte del Cenacolo di Virio. Probabilmente molti di loro non sono presenti nella fotografia pittorica del “Cenacolo” perché già scomparsi o comunque anziani, oppure perché più semplicemente schivi ed appartati rispetto alla movida serale e godereccia. Giovanni Battista de Salvo per esempio, grande ceramista direttore de La Casa dell’arte oltre che pittore geniale scomparso già nel 1964. Lino Berzoini artista di lungo corso che dopo l’esperienza esaltante alla Lenci ed alla Ars Pulchra di Torino accetta l’invito di Tullio d’Albisola a scendere sulle rive del Mar Ligure, il suo modus creativo collide con quello di un certo Lucio Fontana che lo vuole con sè nella fantastica mostra genovese del 1939 alla Galleria Genova, sorretto da un giudizio entusiastico di Emilio Zanzi. Berzoini muore proprio all’esordio del 1971. Altro grande protagonista assoluto della ceramica e dell’arte del Novecento è Ivos Pacetti anch’esso scomparso nel 1971. Innovatore e precursore contribuisce a creare modelli innovativi sia nella forma che nel decoro. La Fiamma nel 1933 e quindi la sua fabbrica all’insegna della modernità La Tavola della Pupa nel 1949 confermano l’abilità oltre che come artista anche come imprenditore. Maria Ferrero Gussago rarissima donna in un mondo di uomini, sa affrontare le varie fasi pittoriche nel corso del Novecento e trova prima a Savona e poi ad Albisola il suo ambiente ideale. Dalla pittura a carattere figurativo si evolve quindi nel Secondo Futurismo per approdare successivamente ad un’arte a carattere spazialista con la ricerca della tridimensionalità (le famose reti), per dedicarsi alla ricerca concettuale esprimendo la sua predilezione per i segni ed i numeri. Guglielmo Bozzano raffinato e colto illustratore di ceramiche, dipinti ed acquerelli dalla vicina Varazze frequenta le fornaci albisolesi abitualmente. La sua personale capacità decorativa ha finalmente ricevuto giusta considerazione nella recente mostra monografica presso l’Accademia Ligustica di Genova. Pittore importante anche se lontano dalle frequentazioni albisolesi del tempo, artisticamente padre di molti artisti più giovani, Eso Peluzzi nel 1970 perdura con la pittura di tradizione anche se maturerà da li a poco, la visione dei violini passo decisivo in direzione di una scomposizione informale. Umberto Ghersi cantore della tradizione figulina albisolese, concilia la tradizione con una visione plastica moderna. Uomo di laboratorio come si definiva lui stesso, deve ancora conseguire il suo riconoscimento tra i grandi maestri albisolesi. Gigi Caldanzano esempio di grande artista che trova nella ceramica e nei colori che il fuoco sa esprimere una particolare predilezione. Colto ed ironico la sua produzione si agita tra il caricaturale e l’espressionismo cromatico. Antonio Sabatelli e’ quello tra gli artisti albisolesi di nascita e di vita che merita un approfondimento esaustivo e rilevatore per il grande pubblico. Distaccato rispetto agli “stranieri”, colto e maledetto, aggiorna la pittura e la ceramica all’insegna dell’informale con esiti personali e di altissima qualità compositiva. Franco Garelli medico piemontese viene attratto dall’arte ed in particolare dalla lavorazione ceramica con cui al terzo fuoco riesce a risolvere alcuni effetti riflessati. Curioso e geniale si avvicina anche ad altre tecniche artistiche tra cui la fusione in bronzo e la lavorazione informale del ferro. Bartolomeo Tortarolo detto “il bianco” e’ uno dei motori dell’arte albisolese, ed artista anch’esso. Dalla sua fornace in Pozzo Garitta passano i più grandi artisti che qui hanno modo di lavorare e di creare indisturbati. Le sue ceramiche sono cariche di forza espressiva che dalla tradizione del bianco e blu, sfocia in una visione raffinata e moderna influenzata in particolare da animali marini. 10
Umberto Piombino, tra i più giovani ceramisti, giunge ad Albisola dalla natia Genova agli esordi degli anni Settanta. Inserito nell’ambiente di Pozzo Garitta di Bartolomeo Tortarolo trova in Emanuele Luzzati un entusiasta amico. La sua ceramica sintesi personalissima e riconoscibile, mostra una tecnica e una invenzione creativa sempre in bilico tra la tradizione del passato e le suggestione del presente. Mario Gambetta, il maestro dei maestri dal suo studio a Marina, approfondisce come nessuno le varie tecniche. Geniale e raffinato pittore eccelle anche nella grafica e quindi nell’incisione. Contribuisce in modo decisivo ad innovare la ceramica con lo studio di nuovi modelli ed impasti cromatici. Personaggio colto e riflessivo risulta avulso dalla varie brigate di artisti, festaioli ed istintivi che si succedono ad Albisola nelle varie stagioni. Albisola e’ anche una grande calamita per gli artisti stranieri che scendono dal nord attratti dalla presenza di Jorn. Per tutti citerei Ansgar Elde che proprio nella piccola cittadina ha trovato una nuova patria e fonte di ispirazione infinita. Discorso a parte merita Sergio Dangelo che con Albisola ha un legame profondo che perdura ancora oggi. Fondatore con Baj della Pittura Nucleare nel 1951, nel 1954 organizza con Jorn e Tullio gli Incontri Internazionali della Ceramica ad Albisola. Sergio Dangelo si esprime con un linguaggio colto e raffinato vicino al sentire surrealista, ultimo tra i grandissimi artisti ancora attivo. Ercole Bianchi, personaggio interessante sia come pittore che come ceramista, vive una stagione particolarmente suggestiva con la realizzazione dei celebri muri che a partire dalla figurazione tradizionale arrivano ad una sintesi informale di grande suggestione. Ego Bianchi fratello di Ercole, morto prematuramente di tubercolosi rappresenta una delle personalità di maggiore spicco umano ed artistico che abbiano attraversato il Novecento. Nella Fornace Mazzotti di Albisola realizza delle ceramiche di ispirazione cubista che si discostano dalla tradizione rivelando l’estro del genio assoluto ancora tutto da scoprire. Mi piace infine considerare due artisti a cui la vita ha destinato due destini dissimili ma sorretti da una comune febbre per l’arte che li ha resi comunque grandissimi. Arturo Martini che nel 1927 per primo ha creduto nella ceramica artistica albisolese realizzando diverse terrecotte e maioliche come statue di piccole dimensioni, di fatto aprendo una strada alla schiera degli artisti successivi. Grandissimo come scultore dalla vicina Vado sua patria di adozione, mostra al mondo cosa può essere l’arte del Novecento. Altrettanto grande ma molto sfortunato e’ invece Salvatore Fancello che ad Albisola riesce a mostrare la purezza e l’altissimo livello della sua arte prima di morire in guerra nella campagna d’Albania. Vicino a Fontana dalla Fabbrica Mazzotti sforna ceramiche magnifiche estremamente personali e moderne. Se il destino non gli avesse sottratto il soffio della vita sarebbe con tutta probabilità diventato uno dei maggiori artisti del dopoguerra. Osservando la Albisola di oggi molto di quel 1970 e’ ancora distinguibile. Il lungo periodo di decadenza morale, economico ed anche artistico in cui siamo ancora immersi ci lascia sbigottiti davanti alle effettive possibilità che il futuro ci riserva. Le grandi e piccole fornaci che ancora oggi vivono nella piccola e vecchia Atene, gli Albisolesi che negli occhi hanno ancora lo sbuffo di fumo della pipa di Asger, la risata contaminante di Eliseo o lo sguardo ammaliatore della Milena e la inconsapevole arte delle nuove schiere che cercano con insistenza la loro strada, possono ridare al domani una nuova certezza. La nostalgia del futuro!
Le Ceramiche San Giorgio di Giovanni Poggi ed Eliseo Salino Impossibile parlare e scrivere di arte, di ceramica e di Albisola, senza parlare e scrivere della Ceramiche San Giorgio, vero e proprio riferimento storico culturale dalla fine degli anni Cinquanta, ed anche prima, considerando le attività pregresse come ceramisti ed artisti di Giovanni Poggi e di Eliseo Salino. Gran parte dell’arte rappresentata dagli esponenti del Cenacolo degli artisti di Virio da Savona, ha visto nella fabbrica affacciata 11
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1. Lucio Fontana e Mario Rossello. 2. Salvatore Quadimodo ed Esa d’Albisola. 3. Esa d’Albisola e Tullio d’Albisola. 4. Mario Rossello e Giovanni Poggi nel laboratorio “Ceramiche San Giorgio”. 12
sull’Aurelia la sua genesi, la sua propulsione creativa. Gli artisti erano ospiti benvoluti e graditi anche come semplici amici, donne e uomini, e come tali prima che come artisti dell’argilla, rimasti nei cuori dei Poggi, Giovanni e Piero, e della straordinaria Silvana Priametto. Lucio Fontana nel suo percorso albisolese approda già nel 1935 e nel 1958 si incontra con la San Giorgio ormai famoso per essere il fondatore dello Spazialismo, “dei tagli e dei buchi”. La sua presenza è indelebile sulle pareti della fabbrica con alcuni bozzetti di vasi realizzati a matita ed ancora oggi visibili. Asger Jorn giunge ad Albisola nel fortunato (per l’arte) anno 1954. Nel 1959 deve realizzare per il Ministero della Cultura della Danimarca un pannello di grandi dimensioni dal titolo Il grande rilievo, ed a quel tempo sicuramente la più grande ceramica del mondo. La Ceramiche San Giorgio è l’unica fornace che può realizzare una simile impresa che vede all’opera tutti i suoi collaboratori ed anche Ansgar Elde affascinato dalla gestualità tipica del sentire del movimento CoBrA. Ancora la “Fabbrica dei Sogni”, come definì Jorn stesso la fornace San Giorgio, nel 1970 si occupa della realizzazione del pannello in terracotta smaltata e graffita Il grande mondo in cui Giovanni Poggi, Silvana Priametto e d Eliseo Salino contribuiscono fattivamente alla realizzazione ed alla decorazione pittorica. Wifredo Lam conosce Giovanni Poggi già nel 1955 a Santa Margherita Ligure presso la Fabbrica Cas di Pinelli. Giunto ad Albisola grazie all’amiciza con Jorn, Lam si avvicina alla Ceramiche San Giorgio realizzando grande parte della sua produzione ceramica e ritrovando in Giovanni un riferimento sicuro in cui la competenza e la amicizia viaggiavano in parallelo. Le opere scaturite da quel sodalizio intrise di Surrealismo e sincretismo religioso afro-cubano, sono tra i capolavori di sempre, dell’arte mondiale. Agenore Fabbri approda ad Albisola grazie al conterraneo Ivos Pacetti nel 1935 ed a partire dal 1958 produce la sua ceramica dalla San Giorgio, che aveva da poco aperto i battenti. L’artista toscano si lega a Giovanni Poggi in una amicizia che dura diversi decenni e con lui trova il miglior stimolo per la sua produzione a carattere Espressionista in cui la figura umana e quella animale raccontano, legati da un medesimo ineludibile destino, una sofferenza infinita. Aligi Sassu entra alla Ceramiche San Giorgio appena aperta e vi realizza la sua produzione prediletta fatta di scene con cavalli e con i tori impegnati nelle bellissime ed infuocate corride. Anche Emanuele Luzzati trova nella San Giorgio un centro creativo in cui le immagini di re, regine, cavalieri e paladini sono accompagnati da divertenti frasi in rima e descrizioni emblematiche. Mario Rossello ed i suoi alberi allusivi alla condizione umana, non possono esitare davanti alla produzione ceramica ed ancora una volta l’artista albisolese, esplora nelle Ceramiche San Giorgio una collaborazione completa a cui affidare la sua creatività. Carlo Manzoni, scrittore satirico e raffinato alla San Giorgio realizza una produzione in linea con il suo personaggio, il Signor Veneranda protagonista dei sui scritti e trasposto anche in ceramica. Carlo Cardazzo e Milena Milani compagni di vita e d’arte si ritrovano anche dall’altra parte della barricata. La mostra evidenzia infatti una straodinaria Milena, pittrice e ceramista oltre che famosa e consolidata scrittice ma anche un inaspettato Carlo Cardazzo, che si impegna nella realizzazione di piatti in ceramica e di insolite opere d’arte vicine al gusto della Pop Art. L’altra anima delle Ceramiche San Giorgio è stata, ed è ancora oggi grazie alle sue opere che sempre parleranno di lui, Eliseo Salino, pregevole figura di artista ma anche e soprattutto di uomo che ha saputo animare le varie combricole negli anni mitici di Albisola. Amico di tutti è sempre stato pronto ad aiutare i giovani artisti scesi nella Piccola Atene alla ricerca di una propria impervia strada da seguire. Giovanni Poggi ed Eliseo Salino sono in qualche modo i rappresentanti in carne ed ossa dello spirito evocato da Virio da Savona nel suo quadro Il Cenacolo degli artisti, in cui l’arte fatta di argilla, colori, pennelli, acqua e fuoco, lasciava anche il posto ai sentimenti profondi, all’amicizia tra gli uomini ed alla semplice ed inesauribile gioia di vivere. 13
Renata Guga-Zunino, Milena Milani e Lucio Fontana ad Albisola 14
ATMOSFERE ALBISOLESI di Maria Scarfi’ Cirone Ricordo quegli anni con infinita dolcezza. Profumava di sole e di mare l’aria di Albisola in quelle giornate estive agli inizi degli anni ‘50, quando tutto era un fervore di iniziative, di incontri, di entusiasmi. In quest’angolo di Liguria, Pino e io, giovanissimi sposi, avevamo deciso di porre le radici della nostra famiglia. Un qualcosa di particolare rendeva magica quell’atmosfera ed era la bellezza del paesaggio a cui si aggiungeva il fascino delle antiche fornaci dove tanti artisti geniali si impegnavano per imprimere un linguaggio nuovo alla loro creatività. Poeti, pittori, scultori, ceramisti. Iniziammo insieme un nuovo percorso di amicizia e di vita. Nel corso degli anni molti di loro sarebbero diventati celebri, ma allora gustavamo il piacere di conoscerci, di frequentarci, di approfondire quei sentimenti che ci accomunavano e rendevano piene di entusiasmi le nostre giornate. A quei tempi la ferrovia, posta sopra un terrapieno, costeggiava il mare proprio fra il termine della sabbia e la Via Aurelia e si fermava alla stazione di Albisola Capo prima di scomparire dietro le case di Marina. Da quel treno scesero tanti artisti attirati dalla fama delle antiche fornaci. “Arbisoa tera de pignatte”. Così un tempo era denominato questo angolo di Liguria perché già dal 1700, nelle numerose botteghe sparse sul territorio, si producevano le “scodelle nere”, prima di passare alla fabbricazione delle pentole di coccio destinate ad essere imbarcate sui leudi a vela latina per l’avviato commercio che si estendeva in tutto il bacino del Mediterraneo. “ Albisola terra di vasai”. Cantò con i suoi versi Angelo Barile, l’illustre poeta albisolese circa due secoli dopo, in commosso riferimento al suo paese. E fu proprio Angelo Barile, una delle prime persone che conoscemmo lì, vicino al suo palazzotto ad archi di fronte al mare, dove con il fratello Giulio dirigeva una rinomata fabbrica di ceramiche. Poiché Albisola ha il dono di moltiplicarsi in Marina, Capo e Superiore, la vita degli artisti fluiva da un borgo all’altro e noi ci avvicinammo subito a loro, accolti con tanta amicizia. Entrammo nel mondo dell’Arte con un mezzo nuovo, la cinepresa, capace di fermare sulla pellicola espressioni fino ad allora consentite solo ai grandi maestri del cinema. In tutti trovammo una piena condivisione, perché si resero consapevoli delle potenzialità e dei risultati che si potevano ottenere attraverso il piccolo cinema. Per uno dei nostri primi film ci avvalemmo degli splendori di Villa Gavotti e del suo giardino all’italiana ornato da quattro fontane e contornato da un fitto boschetto di lecci, di cipressi, di maestosi cedri del Libano. Fra la maestosità del verde appariva la scultura di Ercole in lotta con il leone Nemeo. Il suo titolo Mondo incantato riuscì ad esprimere così bene la validità del soggetto trattato che, sottoposto all’esame di varie giurie, ottenne premi nazionali di grande rilievo e articoli sui quotidiani. In effetti usammo uno scenario di vera magnificenza perché la settecentesca Villa Gavotti della Rovere era stata costruita sulla Ca’ Grande dove forse nacque, ma dove certamente trascorse la propria infanzia Giulio II, il potente Pontefice albisolese che appena asceso al soglio di Pietro si proclamò “Dominus et maistro del mondo” come lasciò scritto Marin Sanudo il Giovane e fu in seguito il Papa di Michelangelo e Raffaello. Molte fornaci tenevano i fuochi accesi nel borgo di Capo, tra queste una, in Corso Colombo, la Grosso Ceramiche, divenne punto di incontro quasi quotidiano fra noi e gli artisti che la frequentavano da Lele Luzzati a Lino Berzoini, da Umberto Piombino a Mario Rossello. Lavorava anche un giovanissimo artista, Bruno Tedesi, e fu lui il filo conduttore di un altro film Creta e colori nell’arte albisolese che realizzammo nella bottega di Lino Grosso per esaltare l’opera dei tornianti e degli artisti. Di grandissimo valore per la storia dell’Arte era La Fenice di Manlio Trucco che, dopo una iniziale esperienza dai Barile, aprì la fabbrica e lavorò per anni la ceramica con il sommo genio dell’Arte Arturo Martini e con il grande Francesco Messina. 15
Su invito dei fratelli Barile,Trucco era giunto da Parigi dove aveva dipinto le sete più pregiate per il famoso atelier di Paul Poiret e si era dedicato al Liberty, esaltandone con il suo disegno la finezza floreale e ornamentale. Ceduta la fornace si ritirò con la moglie Cornelia nella Villa disegnata dall’architetto Mario Labò e qui, in uno spaziosissimo studio illuminato da grandi vetrate rivolte sul giardino, la pittura divenne la sua passione quotidiana. Traeva ispirazione dalle lontane esperienze vissute da ragazzo sul Rio delle Amazzoni al seguito del padre esportatore di caucciù, per creare opere d’arte di singolare bellezza dipingendo l’intrico di misteriose foreste abitate da indios dai volti selvaggi, da uccelli di paradiso, da coloratissimi pappagalli, e da scimmie abbarbicate alle liane. Fummo legati a Manlio Trucco e a Cornelia da una profonda amicizia molto simile a un vero legame di famiglia. Di quel periodo rimane il film Questo è il mio mondo, dove è impressa la voce del caro e grande maestro. Sempre ad Albisola Capo, sulla spiaggia e negli slarghi adiacenti, i pescatori ponevano le loro barche e le reti ad asciugare. Soprattutto nella piazzetta del Talian, dove il geniale Mario Anselmo disponeva al sole le sue pregevoli ceramiche ancora da cuocere, si percepiva un’aria intrisa di operosità, attraversata dai toni asciutti del dialetto ligure parlato dagli uomini di mare che sotto un’esile palma ripavano sciabiche e tremagli. Tanti piccoli negozi, il macellaio, la pescivendola, il calzolaio, la lattaia, il forno del pane e della focaccia, le botteghe dei vasai caratterizzavano Via Colombo attraverso la quale si giungeva alla famosa “Trattoria Pescetto” punto di riferimento per i buongustai e non solo. Il proprietario, Pippetto, era conosciuto per l’ottima gestione del suo locale, per la bontà della sua cucina e per la generosità che mostrava nei confronti di quel gruppetto di giovani affamati che, per mestiere, aveva scelto di entrare nelle fornaci dei ceramisti per impiastricciarsi le mani di creta e modellare le proprie fantasie. Alcuni di quei ragazzi si chiamavano Agenore, Aligi, Ivos, Wifredo, Asger, nomi decisamente insoliti e portatori di genialità. Per dimostrare la propria riconoscenza, il giovane Agenore Fabbri, un toscanaccio con la testa piena di sogni d’arte, andava a pesca con gli uomini del paese per riversare nella cucina di Pippetto le acciughe ancora guizzanti, una vera ondata d’argento, ricevuta quale compenso dopo la notte trascorsa in mare. In seguito Aligi Sassu dipinse su masonite un’imponente opera che si estendeva per una lunghezza di 35 metri, raffigurante l’atmosfera sfavillante dell’epoca, con una ricchezza di personaggi, tutti riconoscibili, appartenenti al mondo albisolese. Questo eccezionale pannello, posto sulle pareti interne del ristorante Pescetto, è ancora ricordato da tutti coloro che frequentarono quel locale come una pagina di cronaca reale, narrata in tutti i particolari, quale testimonianza di una Albisola aperta a tutti i valori dell’arte e della vita. Le opere di Agenore Fabbri riassumevano l’urlo, il dolore della gente straziata dagli orrori delle guerre che avevano attraversato il 1900. Impastava la sua creta con rabbia, pareva che la impregnasse con le lacrime invisibili della sua anima. L’umile terra dei vasai prendeva forme drammatiche sotto le mani dell’artista e diventava materia di denuncia e di accusa nei confronti degli oppressori. A sua volta Aligi Sassu raccontava nei suoi dipinti le lotte civili avvenute durante la guerra di Spagna, come monito per le generazioni future. Anche lui aveva subìto di persona l’onta del potere. In seguito la sua pittura si concentrò su possenti cavalli e su scene mitologiche, ma sono anche celebri i suoi ciclisti, le processioni, le donne affacciate su scenari aperti al sole e ad un mare che si sposa con il cielo. Agenore e Aligi furono per noi amici cari e indimenticabili. Avvenne che una serie di incontri ci portò a conoscere gli artisti già residenti e quelli provenienti dai più lontani paesi. Appena giunti ad Albisola, ci sentimmo subito attratti dalla singolare costruzione futurista posta vicino al fiume Sansobbia e fu motivo di vera emozione avvicinare Tullio Mazzotti di cui già conoscevamo la fama come Tullio d’Albisola, per il nome impostogli da Filippo Tommaso Marinetti negli anni del Secondo Futurismo in Liguria. In quella villa ideata e costruita dall’architetto Nicolaj Diulgheroff per inserire in un unico contesto abitazione, negozio e 16
laboratorio aleggiava ancora l’entusiasmo di un gruppo di personaggi quali Farfa, Fillia, Acquaviva, Balla, Munari che, uniti in un’unica fede, attorno a Marinetti e a Tullio, avevano deciso di cambiare il mondo con un taglio netto nei confronti del passato. Una mattina conobbi, nella fabbrica dei Mazzotti, una ragazza della mia stessa età, Esa, la nipote prediletta di Tullio. Nacque una immediata simpatia fra noi e questa ci accompagnò sempre nel corso degli anni. Molte volte accolsi le sue confidenze. Già lavorava, dai Mazzotti, Virio da Savona. La figura di Virio merita un’attenzione particolare perché l’uomo e l’artista si fusero sempre in una perfetta armonia. Classe, signorilità, intelligenza si evidenziavano alla prima stretta di mano e le sue opere pittoriche conquistavano con immediatezza per l’incisività del disegno, per la potenza dei colori. A quei tempi Albisola odorava di alghe e di salino e il sole rincorreva le barche in secca lungo il litorale. Furono tanti gli uomini di mare fissati sulle tele da Virio e quei corpi abbronzati emanavano la potenza dell’uomo contro le forze della natura. Anima e fulcro della vita culturale fu la scrittrice e ceramista Milena Milani, donna di vivissima intelligenza e dalle innumerevoli sfaccettature, incurante degli scandali procurati dai suoi libri, amica di tutti i personaggi più illustri dell’epoca. Legata a Carlo Cardazzo, famosissimo gallerista italiano, fu lei a imprimere un segno particolare alla grande comunità artistica albisolese. Ci incontrammo in quegli anni lontani e subito si instaurò tra noi una forte amicizia che rimase intatta nel tempo, senza subire mai alterazioni. Mi tornano alla mente i versi del poeta e patriota Arnaldo Fusinato che, nel suo poema Le due fiammelle amorose descriveva così Albisola: Sulle rive di Ponente, Là tra Genova e Savona, Ove il suol festosamente Di colline s’incorona, Stà un’allegra terricciuola E la chiamano Albisola. Qui gli aranci e gli oliveti Sotto un ciel che non ha verno, Qui i suoi colli sempre lieti Tra il profumo e ‘l verde eterno: E’ una terra che par nata Dal capriccio d’una fata E’ piacevole ritrovare quel “capriccio di fata” trasformato in una “piccola Atene” secondo la definizione di Milena Milani per la quantità di eccelsi artisti che si ritrovarono insieme, uniti in una mirabile vicenda, tanto da sembrare un prodigio. Incuranti dell’errore grafico di trascrizione commesso da un funzionario della Consulta Araldica del Regno d’Italia nel 1915 che appesantì Albisola Marina con una “s” in più,Tullio Mazzotti, Marinetti, Fillia, Acquaviva, Milena Milani, Quasimodo e tutti gli altri grandi artisti e letterati continuarono a scrivere Albisola Marina con una sola “s”, trovando inutile e non elegante la formula ufficiale. Nel 1954, attratti dalla fama che questa piccola capitale della ceramica aveva assunto nel mondo, giunsero ad Albisola il surrealista cubano Wifredo Lam e Asger Jorn, il danese del gruppo Cobra. Poco dopo, da altre parti del mondo, allargarono il cerchio degli artisti Carlos Carlè, Laura Vegas, Ansgar Elde. In brevissimo tempo le fornaci degli antichi vasai si trovarono ad ospitare numerosi creatori di espressioni nate da ferventi inventive. Se eleganti erano i palazzi sul lungomare, illeggiadriti da alberi di arance amare dai frutti d’oro, paese da presepio e paese di presepi era Albissola Marina al suo interno. Dal torrente Sansobbia al Ristorante “Ai pesci vivi” si snodava fra botteghe di artigiani e trattorie casalinghe dove, a poco prezzo, si potevano gustare cibi dell’antica tradizione ligure. Case sparse addobbavano la collina sovrastante mentre Villa Faraggiana, appariva, in basso, nella sua elegante costruzione. 17
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1. Wifredo Lam con Pino Cironee i figli 2. Milena Milani e Maria Scarfì sul molo dei Sant’Antonio 3. Asger Jorn, Maria Scarfì e Pino Cirone nella casa di Jorn ai Bruciati 4. Mauro Reggiani con Pino Cirone 18
Si chiamava, alle origini, Palazzo dell’Olmo e fu edificato nel 1717 dal nobile Eugenio Durazzo e dal nipote Gerolamo. In seguito appartenne a Maria Maddalena Durazzo che la portò in dote insieme a 705 mila lire il 25 febbraio 1734, quando andò sposa al cugino paterno Marcello, Doge della Repubblica di Genova. I cancelli si aprono anche adesso davanti ad un viale rettilineo leggermente in ascesa, ornato lateralmente di piante e alberi a basso fusto con una scelta di qualità e colori tali da creare un’immediata, armoniosa prospettiva. Intanto la sua famiglia dei Durazzo, arricchitasi negli anni di quattro figli, trascorreva felici periodi di vacanza ad Albisola Marina, fra i saloni pregevolmente affrescati, le statue, le fontane e i giardini. Villa dell’Olmo, giunse infine al nipote Marcello che la vendette o dovette cederla per problemi di gioco, nel 1821, al Marchese Giuseppe Gerolamo Faraggiana. Dopo altri passaggi ereditari la Villa passò ad Alessandro, l’ultimo Marchese di quella casata e questi, rimasto senza eredi la donò al Comune di Novara, con l’impegno di adibirla ad eventi culturali. Da allora, in stretta collaborazione con il Comune di Albissola Marina, la splendida dimora è continua sede di esposizioni, incontri d’arte, concerti, congressi, seminari di studi, proiezioni. In quella suggestiva atmosfera ebbero luogo numerose manifestazioni culturali di alto prestigio tra cui la cerimonia per l’assegnazione della “Rosa d’oro”, ideata e creata da Esa Mazzotti. Per una molteplicità di eventi hanno percorso quei viali i premi Nobel Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale, il grande scrittore dei mari Vittorio G. Rossi, il critico letterarioTitta Rosa, il poeta Giorgio Caproni, la giovane pittrice Renata Minuto che un giorno avrebbe avuto il privilegio di collocare, unica donna, una propria opera nei Giardini Vaticani, insieme ai moltissimi personaggi illustri dell’epoca. A Marina i luoghi d’incontro per eccellenza erano il Bar Testa e Pozzo Garitta. Il Bar Testa divenne un luogo costante d’incontri serali, soprattutto in estate, era normale ritrovarsi seduti a quei tavolini per commentare gli episodi del giorno. Ricordo ancora i commenti su Roberto Crippa che si divertiva a volare con il suo aereo compiendo evoluzioni acrobatiche a bassa quota sulla spiaggia fra lo sgomento dei bagnanti e i gridolini delle signore e la volta in cui Milena Milani, esibendosi nello sci nautico perse in mare la parte inferiore del bikini. Si rideva e si scherzava con Eliseo Salino e Carletto Manzoni dalle esilaranti battutte umoristiche, si ascoltavano le geniali follie di Franco Assetto appena arrivato da Beverly Hills o un canto danese di Jorn, mentre il critico d’arte Mario De Micheli faceva sfoggio di cultura. Mitico, il Bar Testa. Era tale la vivacità di quelle serate che a volte Alfredo riusciva a mettere sui tavolini solo tre caffè e una bibita, tanto gli altri, si dimenticavano di ordinare. Crippa si riteneva di una bellezza irresistibile ed era in continua competizione con Gianni Dova e Mario Rossello, mentre attiravano l’attenzione di tutti Lam e la moglie Lou. Furono anni fantastici, con un continuo passaggio di artisti che stavano superando i momenti più difficili per avviarsi verso una meritata celebrità internazionale. Dotato di un fascino misterioso con le sue scalette di ardesia, i rampicanti che le colorano di smeraldo, i garofani dai colori accesi, i vasetti del basilico posti sui davanzali delle piccole finestre è Pozzo Garitta. Ed è bene accennare alla storia del “Possu de la Gheita”, diventato il luogo sacro per le Arti. La leggenda narra di Margherita, la bellissima fanciulla che gli adoratori non potevano raggiungere, tanto era protetta dai vasai che lavoravano nelle fornaci poste sotto la sua dimora. Si dice che potesse specchiarsi solo nel pozzo del cortile e che, dalla contrazione dialettale del suo nome quell’angolo pittoresco abbia preso quella denominazione. L’incanto si è conservato intatto nel corso degli anni ed ha assunto una funzione sempre più precisa, prima con i tornianti e i loro semplici manufatti, in seguito accogliendo i più grandi artisti dell’epoca contemporanea. Oggi emoziona e commuove la porta dipinta di verde brillante che portava nello studio di Lucio Fontana. Indimenticabili sono le mostre che si succedevano a Pozzo Garitta negli anni favolosi che videro passare sull’acciottolato diventato sempre più levigato e lucido, gli artisti la cui fama ha superato tutti i confini. Il vento, a volte, portava all’interno il profumo del mare e dei kraffen bollenti che venivano fritti sulla vicina spiaggia. 19
In altre sere privilegiate gli artisti si riunivano per consumare cene indimenticabili preparate dai pescatori proprio per loro, sopra una tavola approntata con assi di legno posti sopra fragili cavalletti. Un cuoco sardo preparava alla perfezione giganteschi piatti di cozze al verde e di fragrante fritto di mare con i totanetti teneri e le triglioline soavi fra conversazioni animate, bicchieri di “nostralino” giunto da Ellera, discussioni accese e risate a piena gola. I gatti attraversavano tranquilli il selciato. Una volta attirò l’attenzione una micia gravida, solenne, indifferente nei confronti di chi la tentava porgendole un “pignoletto” da assaggiare. Durante una di queste cene Virio ebbe l’ispirazione di fermare sulla tela quelle ore magiche, intrise di arte, di amicizia, di gioia, di vita. FU IL CENACOLO Quest’opera è uno spettacolo grandioso. Offre emozioni, richiami artistici e umani, esprime sentimenti profondi. Fissa i momenti di un’epoca unica in un dipinto di inestimabile valore. Attorno a quella tavola, Virio, pose una parte di tutti i grandi artisti che gravitavano su Albisola. Raffigurò il poeta e pittore Adriano Grande, Carletto Manzoni scrittore e umorista, l’indimenticabile poeta ligure Camillo Sbarbaro e il poeta e sindaco albisolese Enrico Bonino per proseguire con lo scultore e ceramista Eliseo Salino, con il poeta della “Bella brezza” Angelo Barile e il critico d’arte Mario De Micheli, tanto legato alla comunità artistica di Albisola. L’ottavo personaggio è Emanuele Luzzati, scenografo e disegnatore, creatore di personaggi da favola seguito dal pittore futurista Nino Strada, dall’eclettico Franco Assetto pittore e scultore anche dell’acqua, dalla scultrice e orafa Esa d’Albisola, dal grande pittore e scultore cubano Wifredo Lam con la moglie, la svedese Lou Laurin, anche lei pittrice, sovrastati dal pittore Mario Rossello e dal maestro dell’informale Mauro Reggiani. La carrellata degli artisti prosegue con la figura di Giuseppe Capogrossi, avvocato e pittore dal segno particolare, vicino a lui c’è il patriarca degli artisti Tullio d’Albisola con accanto Enzo Fabiani poeta e giornalista. Gli è a fianco il Premio Nobel Salvatore Quasimodo. Sono vicini la coppia Carlo Cardazzo e Milena Milani, lui gallerista famoso e lei notissima scrittrice e pittrice, segue Asger Jorn l’illustre artista danese, Emilio Scanavino dal segno stilizzato, Aligi Sassu il pittore sardo dal tratto vigoroso, Lucio Fontana il sommo artefice dello spazialismo, Roberto Crippa il geniale pittore delle spirali, Garibaldo Marussi scrittore poeta e critico d’arte. Conclude il grande dipinto Agenore Fabbri il pittore, scultore e ceramista dalla intensa drammaticità. Sostammo, Pino ed io, la sera del vernissage davanti al Cenacolo degli artisti affascinati da quella imponente opera. E, fulminea, balenò l’idea di realizzare un film, andando dentro a ciascuno di quegli illustri personaggi, riprendendoli oltre la tela che riproduceva la loro immagine, nella realtà stessa del loro essere. D’altra parte erano quasi tutti nostri amici. Trovammo ogni Artista entusiasta della nostra idea, disponibile, sicuro che si sarebbe trattato di un lavoro unico nella storia dell’Arte e del cinema d’Autore. Li filmammo uno ad uno. Doveva essere un documentario. Nacque con questa formula ed è indescrivibile a dirsi quanto apprezzò, ognuno di loro, l’essere ripreso in un contesto così ampio. Ci fu qualche episodio molto particolare, come la tragica fine di Roberto Crippa che proprio il giorno dell’incidente mortale, avvenuto il 19 marzo 1972, ci voleva all’aeroporto di Bresso per riprenderlo con il suo aereo. Se un evento familiare non ci avesse trattenuti a casa, molto probabilmente Roberto non avrebbe concluso tanto drammaticamente la sua esistenza oppure noi, abbastanza spericolati di fronte alla novità e alla gioia di effettuare riprese insolite, saremmo periti con lui. Riprendemmo però in quella triste sera, la voce di Tito Stagno, celebre giornalista dell’epoca, che annunciava in TV il tristissimo evento. Manca, nel “Cenacolo”, il caro poeta Angelo Barile già scomparso. 20
La moglie e la sorella non ci permisero di includerlo nel nostro lavoro. La proiezione del nostro film ebbe successo ovunque e moltissimi premi ci gratificarono anche a Festival Internazionali, come quello di Salerno. Molto spesso il quadro di Virio e il nostro film sul Cenacolo ottennero onori contemporanei, come avvenne alla Galleria “Il Vertice” di Milano, il 18 aprile 1974, alla presenza di alte personalità della Cultura e dell’Arte. Era raggiante, con noi, Milena Milani. Mostre, rassegne del cinema, premi, articoli, festival internazionali, entusiasmi ovunque, per molti anni. Il nostro film era stato realizzato su pellicola Kodak, montato con pazienza infinita da Pino che controllava fotogramma dopo fotogramma per procedere, da solo, alla sonorizzazione. Cose certosine, da precursori. Ma i tempi erano cambiati. Mezzi tecnici sempre più all’avanguardia avevano superato la vecchia pellicola. Cercammo ovunque persone in grado di salvare un materiale che ritenevamo prezioso, ma nessuno si occupò, in maniera concreta, di assicurarsi una pagina di storia e di arte assolutamente unica. Nel modo pìù inatteso, davanti ad un tavolino in un Caffè di Acqui Terme, un pomeriggio incontrai il gallerista Lorenzo Zunino e, quasi sicura, come al solito, di intrattenere a parole un occasionale conoscente pronto a cancellare il mio racconto dopo la stretta di mano conclusiva, gli narrai il lavoro fatto da Pino e da me e l’accoramento che provavo, ora che il mio Pino non c’era più, nel vedere il deterioramento di tutto quel lavoro. Lorenzo si mostrò interessato, mi nominò la nipote di un eccellente pittore che era stato anche un nostro carissimo amico, Lino Berzoini. Ne avrebbero parlato. E avvenne il miracolo. In brevissimo spazio di tempo Carla Bracco e Lorenzo Zunino raccolsero tutto il materiale filmico del Cenacolo che ormai era al limite e usarono ogni mezzo tecnico per salvarlo. Lavorarono con serietà e competenza ottenendo risultati impensabili. Adesso il pubblico non assiste più ad un documentario, bensì vede un documento unico e irripetibile. Ci sono tutti i Grandi che non solo amarono e onorarono la nostra Albisola ma continueranno ad illuminare con il loro nome prestigioso, il mondo internazionale della Cultura e dell’Arte.
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Casa Jorn, da dinistra: Francesco Salino, Berto Gambetta, Eliseo Salino, Asger Jorn e Giovanni Poggi 22
IL MAGICO TEMPO DI ALBISOLA di Luciano Caprile “Il cenacolo degli artisti di Albisola”, il grande olio del 1970 di Virio da Savona, raduna in un ideale convivio (ovvero in una delle celebri e affollate “feste del pesce” che si tenevano in estate nella piazzetta di Pozzo Garitta) tutti quei nomi (pittori, scultori, ceramisti, galleristi, poeti e scrittori) che hanno vissuto e documentato la splendida e irripetibile stagione, ovvero gli anni Cinquanta e Sessanta, di questa località del Ponente Ligure. Un vento nuovo sembra investire gli ambienti e la gente: finita la guerra occorre ripartire con idee originali e con gesti che le interpretino in maniera opportuna. Lucio Fontana è da poco tornato dall’Argentina col suo Manifiesto blanco e intende stupire il mondo trasformando l’intendimento barocco delle ceramiche nel taglio o nella trafittura delle superfici; Agenore Fabbri riprende il suo posto di battaglia ferendo a suo modo la figura per non dimenticare tragedie appena vissute e per prevenire la lettura di altre seminate dall’atomica; invece Emilio Scanavino trova dentro di sé gli strazi di un informale fatto di “sindoni” e di “ostensioni”. Nel 1954 viene quindi Asger Jorn a portare il vento del nord vestito di inquietudini munchiane e di incubi favolistici da tradurre sulla tela e sulla terracotta per gridare al mondo il personale concetto di rivolta. Lo accompagna idealmente, e per notorietà, il Wifredo Lam inseguito da un congenito tribalismo. E poi compaiono Aligi Sassu, Lele Luzzati, Mario Rossello… Ad accogliere questi e altri protagonisti c’è Tullio Mazzotti che aveva assaporato i medesimi brividi creativi negli anni Venti col Secondo Futurismo e ora si ritrova a gestire un ritorno di gioventù corroborato da ulteriori, prestigiosi apporti che si affacciano tra i commensali: spunta qui un Giuseppe Capogrossi pensoso forse per via di quelle “forchette” che hanno rivoluzionato la sua pittura e non hanno ancora convinto i critici; invece Mauro Reggiani guarda diritto negli pupille chi lo guarda a sua volta ben conscio dell’esattezza dichiarativa delle personali geometrie; al pari di Roberto Crippa che rivolge gli occhi altrove e forse corre col pensiero a qualche evoluzione acrobatica da riferire sulla tela e da compiere nel cielo a bordo dell’aeroplano. Quindi compaiono in un simile convegno di sguardi Salvatore Quasimodo e Camillo Sbarbaro, Adriano Grande e Angelo Barile e poi Enzo Fabiani e Milena Milani, Mario De Micheli e Carlo Manzoni: poeti e scrittori di casa nostra e di importazione che hanno saputo cantare i gesti e i pensieri rivolti a una terra a cui gli artisti hanno fornito forma e vita, sigillando un periodo toccato dalla grazia. In quegli anni e in quelle circostanze non contavano le scuole di pensiero o le tendenze artistiche: contava solo il risultato della creatività. Ricordava in proposito Emilio Scanavino: “C’era una immensa gioia di vivere mentre la salsedine ti entrava dentro con la fame e la speranza. Crippa andava in motoscafo a pesca di pescecani e Fontana coitava con la terra esprimendosi in modo superbo con mezzi poverissimi. Ma correva nell’aria una magia…”.
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Milena Milani e Carlo Cardazzo 24
Milena Milani, mia zia di Renata Guga-Zunino Milani Cattaneo Milena Milani, mia zia, nacque a Savona il 24 dicembre 1917 alle cinque di mattina e a Savona morì, quasi 96 anni dopo, il 9 luglio 2013 alle ore tredici. Un po’ come i salmoni che nascono, evadono, telecomandati risalgono i fiumi, depongono le uova, nuotano controcorrente per, calamitati, ritornare faticosamente al luogo d’origine. E morirvi. Nello spazio temporale che intercorre tra queste due date Milena viaggiò sempre, forsennatamente: Roma, Parigi, Venezia, Milano, Albisola, New York, Londra, Stoccolma, Madrid, la Costa Azzurra, la Svizzera, l’India, la Russia, il Brasile, il Giappone. Curiosa di tutto, talvolta vorace. Molte persone s’innamorarono di lei: questo lo posso constatare quando riordino quello che mi ha lasciato. In questo suo primo vagabondare, negli anni ’40, conobbe a Venezia Carlo Cardazzo, mitico mercante d’arte moderna. Si piacquero, si scelsero, si straziarono, si amarono, e insieme fuggirono e vissero e insieme fondarono a Milano la galleria del Naviglio. Quello spazio divenne il cuore pulsante della pittura e della scultura nel mondo. Il grande sogno durò troppo poco perché Carlo Cardazzo, sposato, con due figli cui voleva molto bene, morirà, poco più che cinquantenne, all’Ospedale di Pavia il 16 novembre 1963, per un’incurabile forma di leucemia fulminante. L’attività della galleria del Naviglio proseguì sotto la guida del fratello di lui, Renato. Il mondo continuò a girare, i figli crebbero, Milena proseguì il suo vagabondare fisico e sentimentale. Continuò con successo a scrivere, a dipingere, ma Cardazzo (che noi chiamavamo familiarmente Tomaso con una emme sola, ma talvolta con due, oppure Th mentre lei era Kid oppure la Capa) rimase il perno ibernato ma trainante della sua vita. Credo di essere stata la figlia che lei e Cardazzo non hanno mai avuto. I fatti me lo hanno dimostrato. Io ho una vita molto piena, della quale sono soddisfatta: è bella, intrigante, creativa, passionale, avvincente come un romanzo. Mia zia spesso mi manca. Come quando si ha sete e si desidererebbe bere un bicchiere d’acqua gigante tutto d’un fiato. Oppure come quando la morte ti impone un abbandono forzato, tu ti ribelli ma impotente soccombi. Abbiamo fatto liti epiche, a volte forse per il solo gusto di litigare, come faceva in altri anni zia Corinna, la sorella di mio nonno. Io però sapevo che, nel caso, lei c’era. Amavo molto ascoltare lo spregiudicato racconto della sua vita. Stavamo ore al telefono. Lei sapeva di poter contare su di me, anche per lei era importante, malgrado tutto, che io esistessi. Quando ero bambina mia zia mi portava di nascosto in bicicletta dentro un delizioso cestino di vimini. Mi aveva regalato una trombetta bianca che io dovevo suonare per chiedere strada, oppure, a scelta, potevo abbaiare perché, secondo lei, eravamo due cani sciolti con, per amico, un fantomatico lupo di nome Negroni. Di questo lei parlò in un racconto pubblicato e intitolato Mia nipote Renata. Molti, alla morte di Cardazzo e nel corso degli anni, la chiesero in moglie: uomini di potere, attori, artisti, industriali, personaggi pubblici. Ma per mia zia era passato quel tempo. Non aveva più bisogno di legalizzare un legame. Anzi, non ebbe più legami d’amore. Solo amori scelti a casaccio. Senza ieri, né domani, solo tanti piccoli oggi. Milena Milani, mia zia, era un’artista. Di prim’ordine. Grande scrittrice, grande poetessa, grande pittrice. Grande fantasia affabulatrice. Aveva, prima nel mondo, inventato l’uso della parola nella pittura che così assurgeva a mille inquietanti, 25
diversi, ma paralleli significati. Vinceva premi letterari importanti. Riceveva onorificenze dal Presidente della Repubblica Italiana, e a Milano l’Ambrogino d’oro, ambitissimo. Mia zia Milena era sempre di corsa, una zingara in fuga perenne. Penso da se stessa. Torniamo a noi e al suo legame con Carlo Cardazzo. Per un po’ quell’amore visse e crebbe nascosto. Ma a Venezia divenne il segreto di Pulcinella e i due amanti furono messi di fronte a un aut-aut: o vi lasciate e tutto tornerà come prima, o ve ne andate da Venezia. E se per caso non intendeste lasciarvi, mai più dormirete insieme nella Serenissima. Come due appestati. Medio Evo, anzi Alto Medio Evo, si direbbe oggi ridendo. Ma i tempi erano diversi, allora non c’era da scherzare. L’adulterio era persino un reato. Perseguibile penalmente. E fu così che Cardazzo fece le sue scelte: lasciò la casa, la cara moglie Gina e gli amati figli, la Galleria del Cavallino che aveva fondato anni prima per andarsene, nudo e crudo sarei tentata di dire, altrove. Ma con la “cosa” più importante: Milena. Finché Cardazzo visse, se andavano a Venezia, lui d’abitudine scendeva in albergo, quasi sempre al Bonvecchiati. Milena aveva una casa (ha sempre avuto la passione del mattone) ove non lo ospitò mai. Fedeli alla parola data, lui non vi mise mai piede. Giunti a Milano affittarono una mansarda-studio in via Guercino 8 con non poche difficoltà perché nessuno affittava a una coppia diciamo irregolare. Poi trovarono in via Manzoni 45, nella proprietà dei Borromeo, uno spazio interessante e li diedero vita alla Galleria del Naviglio che sarebbe diventata storica, anzi un mito, di più: un faro. Mia zia però era sempre tormentata da oscuri sensi di colpa, si sentiva l’adultera per antonomasia, al punto di non aver mai, dico mai, ammesso ai suoi genitori l’esistenza di quell’amore di cui tutti sapevano ma di cui nessuno osava parlare. Zia Milena in pubblico lo chiamava Cardazzo oppure Commendatore. Erano una coppia molto potente e autorevole: tutti li temevano, sapevano e nessuno osò mai far domande. Vissero uniti ma separati fedeli al motto “nec tecum nec sine te vivere possum”. Si amarono molto ma lui le rinfacciava che per lei aveva abbandonato moglie e figli, lei che per amor suo viveva nel peccato ed erano perciò due adulteri. Allora si odiavano. Lei scappava, senza bagaglio (tanto ogni sua casa era provvista di tutto!) comperava un quaderno e scriveva delle angherie che subiva, lo odiava. La odiava anche lui, per essersi innamorato di lei. In realtà condivisero, nel bene e nel male, un magico periodo dorato che ha riscontro solo in una Parigi Anni Venti e nell’Età del Jazz di Francis Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda Sayre. La mia mitica zia è stata amica dei più grandi artisti del mondo, da Picasso a Cy Twombly a Calder a Kline a Dubuffet a Mirò che le dedicò una planche nell’opera originale Quelques fleurs edita da XX Siècle: uno splendore e un omaggio di grande valore che lei mi regalò, anni fa quando io disperata, piangevo con lei al telefono perché era morto il mio cane. Mi disse : “Corri subito da me perché voglio consolarti e regalarti un fiore adatto a te, perché tu sei anche un po’ la mia bambina, non sei solo la figlia di tua mamma che non sa la fortuna che ha!” Lei era a Milano, a casa in Via della Spiga, in una casa che fu di mia nonna, piene zeppa di libri e giornali e quadri e sculture. Quando vidi la bellezza di quel fiore di Mirò le dissi “Zia esageri”. “Basta mai” mi rispose usando una frase che io le dicevo da piccola. E poi divenne tenera, cosa che le accadeva assai raramente e con voce sommessa ma chiara mi disse “Sai, Renata, in fondo io non ho che te”. Io le risposi, spavalda e felice “Ma zia, cosa dici? E poi chi ha me ha il mondo!” Lei stette una manciata di secondi in silenzio, poi mi guardò dritto negli occhi e sillabò “Esatto.” Non lo dimenticherò mai. P.S. Non bisogna dimenticare che mia zia Milena Milani, oltre al suo vagabondare forzato “oggi qui domani là” ha anche vissuto. Per fortuna. A Milano, A Roma, a Cortina d’Ampezzo, a Venezia, a Parigi, a New York, a Albisola mare, a Savona, ma in contemporanea! Trovando anche il tempo di vincere, tra gli altri, il premio Rosa di Brera con il volume di racconti 26
L’estate (edizioni del Cavallino, Venezia) nel 1947; il Premio Mondadori con il romanzo Storia di Anna Drei nel 1948; per pubblicare La ragazza di nome Giulio con Longanesi nel 1964 (dal quale libro verrà tratto un film che rappresenterà l’Italia al XX Festival cinematografico di Berlino nel 1970). Nel 1972, sempre tra gli altri, pubblica con Longanesi il romanzo forse più emotivamente toccante di tutta la sua vasta produzione Io donna e gli altri che vince il premio Verga 1974 di narrativa, mentre nel 1990, per Ladisa Editore, esce a Bari il saggio di Rossella Lovascio dal titolo Milena Milani Una donna Una scrittrice che analizza con grande intelligenza il romanzo di cui sopra. Rossella Lovascio diverrà una sua Amica cara e si sentiranno sempre ogni domenica pomeriggio, sino al fatidico 9 luglio 2013. Pubblicherà ancora altri libri tra cui Soltanto amore (1976); Oggetto sessuale (1977); La rossa di Via Tadino (1979); Umori e amori (1982); L’angelo nero e altri racconti (1984). E come dimenticare le opere poetiche? Tra le tante mi piace ricordare Ignoti furono i cieli (1944); La ragazza di fronte (1953); La mattina è diventata sera (1970); Mi sono innamorata a Mosca (1980). E poi, tra le molte onorificenze nel 1982 il Comune di Milano le attribuisce la Medaglia d’oro di Benemerenza Civica (Ambrogino) per le sue attività nel campo della letteratura, della poesia e dell’arte; nel 1988 l’allora Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga la nomina Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito; nel 1993 le viene assegnato il “Campanile di Cortina”, ambito riconoscimento del Comune di Cortina d’Ampezzo; nel 2003 viene inaugurata a Palazzo Gavotti , Savona, la Fondazione Museo d’ Arte Contemporanea Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo. Silvio Riolfo Marengo, attuale presidente della suddetta Fondazione, le dedica trenta pagine della rivista Resine (Omaggio a Milena Milani e Carlo Cardazzo, n. 96 aprile - giugno 2003) e la copertina sul numero n. 123 del 2010, rivista della quale è direttore responsabile. Silvio Riolfo Marengo vanta un’antica conoscenza con mia zia: già da adolescente scriveva poesie e si interessava di critica d’arte. Amico personale della scrittrice Gina Lagorio e di Ernesto Treccani, ha curato spesso le sue mostre e i suoi cataloghi ed era da lui molto stimato come, fra gli altri, da mia madre Ada Zunino per la cui galleria d’arte ha spesso scritto. Ricordo che Resine è una prestigiosa rivista culturale italiana tra le più longeve: esce da 43 anni consecutivi! Milena Milani è stata uno dei membri del celebre Movimento Spaziale con Lucio Fontana, firmataria dal primo all’ultimo Manifesto. Ha partecipato a numerosissime mostre collettive dal 1943: mi piace ricordare Scrittori al cavalletto Galleria Vigna Nuova, Firenze 1950; Scrittori e poeti che dipingono Galleria Bompiani Milano 1950; Mostra Spaziale Salone degli Specchi, Cà Giustinian Venezia 1953. La sua prima mostra personale è nel maggio 1965 alla galleria d’arte L’Argentario di Trento. Poi, tra le altre, ricordo nel giugno 1972 Milena Milani - Quadri e ceramiche scritte Galleria d’ arte Cavour, Milano, con quartine di Emilio Isgrò; Milano dicembre-gennaio 1987; Milena Milani Dolce Albisola - Ceramiche scritte, galleria d’arte Ada Zunino (è stata ospitata nella galleria di sua sorella Ada, mia madre); ottobre 2004 Milena Milani dipinge parole Studio F22 Modern Art Gallery Palazzolo sull’Oglio. Solo per citarne alcune. Per sua espressa volontà Milena Milani, o per meglio dire le sue ceneri, si trovano nel cimitero nuovo di Albisola mare , posizionate tra quelle di suo padre e sua madre, i miei nonni. Tale loculo, più grande del normale, posto molto in alto, impedisce di avvicinarsi e di portarle fiori. “Voglio come sempre continuare a guardare il mondo dall’alto” mi aveva detto. Come un grande rapace. Nel suo nido solitario. A tre posti. Tutti già occupati. “Non c’è spazio per nessun’altro” aveva aggiunto per paura di essere fraintesa. “Se mai dovessi spostarmi, prenderai tutti e tre” aveva concluso. Null’altro a nessuno, quindi. Come nel suo testamento. 27
Milena Milanu, anni ‘50. 28
Carlo Cardazzo e dintorni di Renata Guga-Zunino Milani Cattaneo Sono molto onorata di scrivere per Carlo Cardazzo. Lo ammiravo, lo stimavo e gli volevo un gran bene. Non mi sgridava mai. Uscire con lui era un piacere; d’estate ad Albisola quando con mia zia Milena, la sua compagna, andavamo a sederci al Bar Testa in piazzetta, tutti lo riverivano ed io potevo anche mangiare dieci gelati di fila che per lui andava bene. “Ci vuole libertà” mi diceva, “anche e soprattutto libertà di sbagliare ma soprattutto tutto tutto ci vuole libertà di decidere”. Mi faceva vedere dei quadri di Chagal dove i suonatori di violino volteggiavano in cielo con vicino una animale che pareva un asino, azzurro però, e mi diceva “non ti meravigliare di niente, leggi, dipingi, sii felice, fa più che puoi tutto quel che ti pare purchè non sia lesivo per gli altri e per te stessa”. La sera, a casa, cercavo sul vocabolario tutte quelle parole difficili che lui usava, tipo lesivo, a volte non capivo bene e pensavo che fosse un po’ matto perchè era troppo diverso dagli altri. Cardazzo, che io chiamavo Tomaso era semplicemente un uomo speciale che se non ci fosse stato avrebbero dovuto inventarlo. Quando lui morì , io egoista pensai: “e adesso come farò? Chi mai mi porterà tutti quei giochi, quei libri, quei cappelli, quei quadri, i colori, i dobloni di cioccolata?” Cercai di diventare più buona ed archiviai la sua morte come una specie di castigo inviatomi per imparare a stare in piedi con le mie gambe. Non riuscii a diventare più buona, anche se a onor del vero io cattiva non credo di essere stata mai. Però a parte Nanni ed Enrico (che erano rispettivamente il cane ed il gatto di mio nonno), la sua fu la prima morte che mi toccò da vicino. La cosa non mi piacque e pensai “peccato che Tomaso sia morto, altrimenti avrei poturo chiedere a lui come si fa a non morire ed a non fare morire chi ci è caro”. Io ero certa che lui lo sapesse. Lo credevo onnipotente. Mi erano rimaste delle domande da fargli e mi arrabbiavo con me stessa per non avere pensato di fargliele prima, quando lui era vivo e sano. Pensai che la morte fa schifo e che l’unica salvezza possibile sarebbe stata quella di non morire mai. Pensai che uno, per non morire, non deve volerlo. Pensai che sarebbe bastato dire “neanche morta voglio morire, neanche morta” per salvarmi. E mi rammaricai che lui, così intelligente generoso e buono non ci fosse arrivato da solo. Pochi giorni dopo assassinarono Kennedy, a Dallas, ed io pensai che forse le mie teorie non fossero tanto esatte. Sgomenta conclusi come Rossella o’Hara di Via col vento (che avevo già letto a sei anni regalatomi da mia mamma) che fosse inutile avvelenarsi l’esistenza col pensiero della morte, che ci avrei pensato domani, che dopotutto domani sarebbe stato sempre un altro giorno. Mi tanquillizzai. E alla morte non pensai più. Carlo Cardazzo fu il mercante d’arte mito del Novecento in Italia e nel mondo. Come Re Mida ogni artista al quale si fosse interessato sarebbe diventato un Maestro. Per tutto quello che lo riguarda consiglio di leggere il volume Carlo Cardazzo, una nuova visione dell’arte edito da Electa a cura di Luca Massimo Barbero. Io preferisco invece raccontare di lui, di mia zia Milena Milani e dintorni. Carlo Cardazzo, (che in famiglia chiamavamo Tomaso con una emme sola ma a volte anche con due, oppure Thomas mentre mia zia Milena Milani era detta Kid oppurte la Capa), conobbe appunto mia zia Milena Milani a causa di un quadro. Fu un inizio scontato. Il quadro l’aveva dipinto Milena. L’aveva inviato ad un premio. Che vinse. Arrivò prima. La Galleria del Cavallino, di Carlo Cardazzo se ne era occupata. Milena andò a Venezia a ritirare il dovuto. C’era la guerra. Si piacquero. La vera freccia Cupido la scagliò qualche tempo dopo. E fu amore. Milena era libera, forse non proprio libera nel vero senso della parola perché a Roma, dove viveva, aveva un nutritissimo parco di spasimanti di ogni genere. Anche disdicevoli. Ma non era sposata. Milena non si sposò mai. Lui si, invece, e per giunta con una bella signora che gli aveva dato due figli, Paolo e Gabriella. Lui voleva molto bene alla sua famiglia ma i proverbi sono la saggezza dei popoli ed è inutile che io vi chieda cosa trascini di più un uomo, tra un tiro di buoi o una bella donna. Milena era meglio che bella. La sua era una bellezza di testa, era sensuale, torbida e prepotente. A volte malvagia. Un cocktail vincente se paragonato ad un meraviglioso quieto signorile focolare domestico. Le collere di mia zia erano epiche, repentine, distruttive. Io, seppur piccola, ero l’unica a litigare con lei senza averne paura. Forse perché un po’ le assomiglio più verosilmilmente perché sono sempre stata la figlia che avrebbe voluto. La loro convivenza non mi scandalizzava, anzi la trovavo divertente (come mio nonno Tullio ho sempre odiato il matrimonio pur essendomi di tanto in tanto sposata) e per me Cardazzo non era il celebre mercante ma un meraviglioso compagno di giochi. Infatti 29
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1. Nina Kandinsky, Milena Milani e Giuseppe Capogrossi a Venezia 2. Lucio Fontana, Carlo Cardazzo alla Galleria del Naviglio 3. Asger Jorn e Carlo Cardazzo al Bar Testa di Albisola Marina 4. Milena Milani e Filippo De Pisis alla Galleria del Naviglio 30
quando a Natale (tutti gli anni) mia zia Milena andava per una decina di giorni dai genitori a Savona a recitare la parte della “vergine stagionata”, che proprio non le si addiceva, ai miei increduli nonni (che ben sapevano la realtà ma fingevano per il quieto vivere, di essere all’oscuro di tutto), Carlo Cardazzo veniva regolarmente a casa nostra (all’epoca abitavamo ad Albisola (ci saremmo trasferiti a Milano nel 1960) per cui mia zia Milena lo credeva a piangere tutto solo in albergo a Savona mentre lei si crogiolava coi genitori sino all’Epifania e dormiva nella sua antica camera dove ogni anno tutto l’attendeva coagulato, immutato, perfettamente pulito. Carlo Cardazzo invece, armato di regali, ci raggiungeva garrulo e si divertiva con noi in famiglia. Come ET aveva bisogno di casa. Mia madre faceva l’arrosto all’inglese, la torta, io giocavo agli indiani (ero un capo pellerossa e mi chiamavo Toro Ardente e cavalcavo tutto il tempo un enorme cavallo a dondolo). Mio padre navigava sulle petroliere ed era spesso assente. Nel frattempo era nata mia sorella Fulvia ma per mia zia Milena e per Tomaso io sono sempre stata un’altra cosa, molto più di una nipote, tanto che, un mese prima di morire, zia Milena iniziò con un celebre avvocato di Savona, Giuseppe Sanguineti, le prtiche per adottarmi. Io ero un po’ riluttante, non volevo fare un torto a mia madre, che invece ne era felice. Milena, abilissima, mi disse che era nel mio stile avere due mamme invece di una, avendo io molto spesso due legami contemporaneamente, due cani contemporaneamente, la casa su due piani, eccettera, eccetera. Per convencermi mi regalò un suo grande quadro, molto bello, con la significativa parole “double”. Milena morì prima di riuscire ad adottarmi e mia mamma mi ha regalato il suo cognome e così io oggi, di legge, mi chiamo anche Milani e poiché il mio secondo nome è Milena è un po’ come se mia zia non fosse mai morta. Tornando a Cardazzo ci fu un Natale che mi portò in regalo una bellissima roulette, io avevo sette-otto anni ma imparai subito e riuscii a vincere diecimila lire. Che colpo! Io spesso gli regalavo il tabacco per la pipa. La marca la ricordo ancora: Prince Albert. Era un po’ dolciastro e per gioco nel negozio ove andavo a comperarlo mi chiedevano sempre se fosse per me e le rispondevo: “certo, certo, sono un capo indiano e il tabacco serve per il calumet della pace!” Poi gli anni improvvisamente volarono, lui era sempre uno zio giocoso e complice, mi stimolava a dipingere, diceva che ero brava. Convinse mia mamma ad affittare per me uno studio. Io avevo tredici anni. Da me venivano a vedere il mio lavoro, come se fossi stata un’adulta, i critici d’arte più importanti come Marco Valsecchi, Luigi Carluccio e perfino Dino Buzzati e Leonardo Borgese, temutissima terribile penna che io chiamavo zio Leonardo. Cardazzo godeva dei miei primi successi. La galleria del Naviglio ove aveva cominciato a collaborare mia mamma nel 1960, era in continua espansione. Io vi andavo quasi tutti i giorni, e sempre alle inaugurazioni. Conoscevo tutti e mi accorgevo con meraviglia che quell’uomo che io chiamavo Tomaso e a cui davo del tu incuteva ad artisti affermati un mero terrore. Un si o un no da parte sua avrebbero cambiato la storia dell’arte. Anche mia zia era molto temuta ed i suoi giudizi taglienti a volte facevano piangere degli omoni giganteschi e famosi. Si presentavano tutti i più grandi, Tomaso sornione non mi presentava e nessuno capiva bene chi fossi e perché fossi lì. La domenica pomeriggio potevo, con mia mamma, andare a casa loro. C’era la gatta Trigrina, che Tomaso un po’ odiava per chè gli soffiava con i baffi in avanti. Anche lei non lo poteva vedere. La loro casa era faraonica. All’ingresso c’era un enorme Magritte con una tromba infuocata, il Modigliani lo teneva mia zia in camera. Dormivano separati. Lui aveva una stanza più piccola, con un letto da veliero ottocentesco e una raccolta di Magritte indimenticabili: la torre di Pisa sostenuta da un cucchiaino da caffè, un paio di scarpe coi lacci ma in realtà erano due piedi ... e poi Picasso, Man Ray, Arp, De Chirico, Savinio, Leger, Mirò a tonnellate, Pollok, Kline, ma anche quelli che erano allora considerati i giovani: cioè Fontana, Capogrossi, Scanavino, Crippa, Remo Bianco, Baj, Nando e Bonalumi, Burri, Alviani, Scheggi, Manzoni, solo per fare alcuni nomi. E poi le sculture, i tappeti. I mobili erano rari, come invisibili, cancellati dai grandi Delvaux, dai grandi Poliakoff, dai grandi Mathieu, dai grandi Leger. C’erano Calder dappertutto. A scuola un giorno ci fu un componimento in classe: “Come ha passato la domenica”. Io raccontai di mia zia e di Tomaso e della incredibile casa che avevano. Presi 4, con la motivazione che il tema era bello ma io bugiarda. Per riabilitarsi Milena e Tomaso, mi scrissero sul diario che era tutto vero, che io meritavo dieci e quei quadri li avevo visti davvero. La professoressa fu irremovibile e sostenne che fosse tutto inventato e che fossero bugiardi anche loro. Così io portai come prova i cataloghi e le foto e allora lei storse il naso tutta schifata ed ancora incredula; io capii che purtroppo esistono gli imbecilli. Ma riuscii a farmi annullare quel brutto voto. Era una questione di principio. Tomaso e Milena mi regalavano piccole opere d’arte perché, ad esempio avevo fatto la torta, oppure per un buon voto in inglese, a volte senza motivo. Anche gli artisti, vedendo il loro atteggiamento, erano generosi con me, forse anche per compiacerli. Io gongolavo e pensavo che 31
Carlo Cardazzo e Renata Guga-Zunino ad Albisola 32
quella non fosse vita, ma tutto un sogno, Zia Milena mi faceva leggere Lautréaumont, Baudelaire, anche Georges Bataille. E i suoi libri audaci. Tomaso mi propinava Joyce e quando io gli spiegavo che preferivo Gente di Dublino a Ulisse era veramente tronfio. Cardazzo era molto affezionato ai suoi figli Paolo e Gabriella che erano più grandi di me, anzi dalle foto mi sembravano “vecchi”. in verità io ne ero un po’ gelosa. Mi raccontava dei regali che faceva loro. Si trattava di regali più tradizionali tipo una gonna o un golfino oppure dei dolci. Io avrei voluto mangiarmeli tutti in un solo boccone, anzi una volta lo sognai perfino. Poi mi vergognai perché, analizzando bene i fatti, io Tomaso lo vedevo spesso mentre a loro sicuramente mancava. Lo dice anche un motto: “chi non c’è manca”. Quanto è vero. Loro due lo chiamavano babbo, la qualcosa mi sembrava antica. Non li ho mai conosciuti. Peccato. Quando Tomaso morì quel dannato mattino a Pavia io non ebbi l’immediata percezione di quanto fosse grande. Lo capii, quando pochi giorni dopo la sua morte andai con la mamma a trovare mia zia. Lei ancora abitava in quella che aveva sempre considerato la loro casa e stava faticosamente rendendosi conto che non era così. L’enorme grandezza di Tomaso la capii da una piccola agenda, la sua personale. Con i numeri telefonici privati dei più grandi pittori, scultori e poeti del mondo. Perfino la segreteria di Papa Paolo VI. Mia madre continuò a collaborare al Naviglio con suo fratello Renato Cardazzo, per aprire successivamente (nel 1975) la sua galleria d’arte personale. Dedicata prevalentemente alla scultura. Con grande plauso di critica e pubblico. Io ho avuto il privilegio di conoscere i grandi Maestri e di beneficiare del loro affetto, stima e amicizia. Come dimenticare Gentilini, Capogrossi, e Fontana (e l’enorme privilegio di cui godevo, in pubblico, spesso al Bar Testa di Albisola, sotto gli occhi di Teresita, la sua deliziosa intelligente moglie e quelli del suo cane turchino, lui mi prendeva in braccio ed io avevo il permesso - oggi direi il grande onore - di pettinargli i baffi con lo spazzolino delle bambole! E che dire di Crippa, Tancredi, Remo Bianco (che mi regalò la prima cassetta da pittore) e di quel genio di Gualtieri di San Lazzaro, della sua bella e brava moglie la scultrice polacca Maria Papa Rostkowska il cui figlio Nicolas era mio amico di penna; ci scrivevamo in francese, lui vive sempre a Parigi ma quando è a Milano viene ancora a trovarci! Tutti gli altri piano piano se ne sono andati; un esercito geniale che vive nel ricordo. E poi mia zia Milena che all’epoca fu la potentissima zarina del gruppo, scomparsa serena dopo avermi lasciato le sue cose dimostrandomi grande fiducia ed affetto. Quando entro nel suo privato, ed apro le sue case ed i suoi diari, e quelli di Cardazzo, e ritrovo la loro corrispondenza e le loro opere d’arte affastellate nel corso degli anni, tutte cose ormai mie, oppure i cappelli di carta, anzi i fez che indossarono nell’ormai mitica festa dei Turchi di Albisola mare, è come se una musica antica tornasse a suonare. Mi rivedo piccola con loro alla Fenice a Venezia o ai bagni Sant’Antonio di Albisola dove il fotografo girava sempre con il cane lupo, e agli Sport, con mia zia che faceva sci nautico e Tomaso controllava dalla terrazza. Poi mi sento oscillare, mi sembra di essere su di una altalena, e poi ancora penso che la vita sia bella malgrado i dolori e gli addii. E poiché spesso volere è potere, a saper andare più veloci della luce, e solo il pensiero vi riesce, quelle creature meravigliose come Carlo Cardazzo e Milena Milani, meravigliose malgrado i loro umani difetti, e mio padre o mio nonno o mia nonna e persino il loro cane Nanni e i miei cani adorati e Cicci Palloni (il celebre gatto di mia zia morto a 20 anni) e Isabella Rizzoli, bellissima, luminosissima adolescente, drammaticamente scomparsa, (figlia di Ljuba Rizzoli, grande amica di mia zia Milena e ora, per “diritti ereditari” anche mia), e ancora Capogrossi e Fontana e Crippa, Scanavino e Mirò e Gentilini, Poliakoff, quanti sono presenti e ne arrivano altri a gruppi; il mio amico Osvaldo Patani grande poeta e Renato Cardazzo (fratello di Carlo che scompare nel 2002) e Quasimodo, Ungaretti, e Cardarelli e Moravia e Piero Chiara e Buzzati e Treccani e Verdet, e Fabbri, Sassu e Campigli, e Nando e Bettina e Franz Kline, Calder, Marino Marini e di nuovo Jorn che era bello (il mio avvocato Sanguineti gli ha recentemente fatto da controfigura in un documentario importante), e Clemente che era chic come un dandy e passava le ore a far nodi agli spaghi coi quali trafiggeva le tele, e poi Bonalumi che vestiva serio come Boccioni e Carrà con sua moglie Ines che quando andavano al Naviglio bevevano sempre un rabarbaro (che a me devo ammettere pareva proprio schifoso), e i due Seitun, la cui moglie si chiamava Otty e mia zia mi aveva raccontato che un tempo era stata Miss Italia e che il suo vero nome era Ottilia e il cui bel figlio (poi medico, oggi forse in pensione) filava con Olga (era la figlia di Capogrossi ed aveva bellissimi lunghi capelli che sua madre Costanza pettinava per ore) e Sirio Musso bravo pittore surrealista che era sposato ma amava contemporaneamente anche la mia professoressa di francese Iolande Ponsi di Marsiglia. In fondo il mondo dell’arte regala ai suoi membri una enorme chance; li rende immprtali perché in questo momento sono vivi e presenti. Perciò grandangolo click, foto di gruppo, ciao a tutti. Un abbraccio. 33
Artisti e Opere
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Mauro Reggiani (Nonantola MO 1897 - Milano 1980) Giunto a Milano nel 1924 pittore colto e cusioso si avvicina alla Galleria Il Milione che in pieno Brera era un crugiolo di artisti. La galleria proponeva opere dell’Avanguardia Europea, del Surrealismo e della pittura colta e raffinata del Novecento, distanziandosi dagli altri centri espositivi milanesi. Vi si trovavano opere di Kandinsky, di Klee, di Mondrian, di Seligmann, di Arp. Reggiani conosce e frequenta a Milano, Carlo Carrà, Achille Funi e Pietro Marussig e dal 1926 fino al 1930 vive a Parigi, tappa fondamentale della sua vita dove conosce Vassily Kandinsky, Alberto Magnelli, Jean Arp e Max Ernst. Nel 1934 è tra i partecipanti della prima mostra dell’Astraitismo Italiano organizzata proprio nelle sale della Galleria Il Milione ed è quindi tra i firmatari del Manifesto dell’Astrattismo, in aperto contrasto con la pittura di tradizione. Per Mauro Reggiano occorre spogliarsi dal vero per giungere ad una concezione della pittura vicina al senso della linea architettonica. Rinunciare alla visione del vero significa esprimersi mediante campiture colorate e geometriche. Dalla tradizione pittorica di inizio Novecento con la costruzione solida della massa di Sironi, Funi nel senso all’essenzialità cezanniana. La capacità pittorica si incontra con la fantasia geometrica che conduce ad una sorta di sublimazione tra il razionale ed il metafisico, alla ricerca continua di una visione essenziale dell’architettura a vantaggio di una purezza cromatica fonte e riserva di gioia e di energia vitale. Ass. Lino Berzoini
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Senza titolo, 1967 Tempera su carta intelata, cm 43,5x30 38
Astratto, 1964 Acquerello su carta, cm 22,5x32,5
Rosso, 1960 Tempera su carta, cm 48x33 39
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Lucio Fontana (Rosario ARGENTINA 1899 - Comabbio VA 1968) Nato in Argentina da genitori italiani si avvicina all’arte nel 1921 nell’officina di scultura del padre Luigi e dell’amico Giovanni Scarabelli. In Italia si appassiona al lavoro di Adolfo Wildt e tra il 1929 el il 1930 si appropria della terracotta arrivando dalla manipolazione del gesso più vicino tradizione della scultura. Nel 1936 esordisce con la creazione di ceramiche ad Albisola e nel 1937 si traferisce a Sèvres per poi ritornare ad Albisola l’anno seguente. Attento alle nature morte ceramiche, nel 1938 si avvicina alla figura in cui la plastica compositiva raggiunge esiti fontaniani assoluti. Nel 1939 dall’1 al 12 febbraio Lucio Fontana è presente con Lino Berzoini nella mostra intitolata ai due autori, presso la Galleria Genova di Genova. Indicativi sono i titoli delle 25 opere esposte da Fontana che rappresentano una pletora di animali marini e non, tra cui spiccano anche le due fotografie nella presentazione di Emilio Zanzi, con la Medusa e il Gallo. Le creazioni risalenti quindi all’anno precedente, sono matericamente manipolate dal Maestro donando alla figura, pur riconoscibile nella sua essenza, una straordinaria informalità, lasciando poi agli effetti riflessati del terzo fuoco il compito di giocare con la luce reale, concetto premonitore delle future evoluzioni spaziali della materia. Fermato dal conflitto bellico in Argentina, nel 1946 elabora il Manifiesto Blanco, che precede il Il Manifesto Spaziale Italiano del 1947 con Lucio Fontana appena ritornato in Italia. Il gesto, lo spazio, il tempo e il segno si appropriano di una dimensione nuova ed univoca, recuperate anche dalla tecnica moderna: radio, televisione, neon, luce di Wood … In particolare le sue idee sono un flusso inarrestabile in cui l’utopia diventava sperimento e poi realizzazione concreta. Nel 1949 organizza la prima creazione di Ambiente spaziale con forme spaziali e luce nera ambientata presso la Galleria Il Naviglio di Milano e dalla quale arriva successivamente ad infrangere la tela con buchi e tagli mistificando la realtà bidimensionale ed approdando di fatto, ad una fusione tra pittura e scultura. In Pozzo Garitta ad Albissola Marina si trova il suo atelier in cui ha lavorato negli anni Cinquanta e Sessanta. Oltre che presso la Ceramiche Mazzotti, Lucio Fontana ha lavorato anche in via Isola presso la Fornace APA Assalini Poggi Albisola e presso le Ceramcihe San Giorgio appena nate. Nel 1982 la moglie Teresita Rasini ha dato vita alla Fondazione Lucio Fontana, con la donazione di circa seicento opere e l’intento di mantenere vivo nel mondo il nome del marito, uno dei più grandi artisti di sempre. Ass. Lino Berzoini
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Cristo (M.G.A. Albisola), 1949 Ceramica decorata al terzo fuoco, cm 27x20 42
Anna Maria, 1949 c Ceramica lustrata al terzo fuoco, cm 25x24
Ritratto, 1957 Biro nera su carta, cm 34,4x24,5 43
Concetto Spaziale Piatto terracotta ingobbiata e graffita, d. cm 20 44
Concetto Spaziale, 1958 Terracotta ingobbiata e graffita, d. cm 49,5
Concetto spaziale (Attese), Idropittura su tela, cm 33x24
Concetto spaziale, 1966-67 Disegno a matita e buchi su papier buvant, cm 58x48 45
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TULLIO MAZZOTTI (TULLIO D’ALBISOLA) Albisola 1899-1971 Tullio Mazzotti si forma nella bottega del padre Giuseppe (detto Bausin), maestro vasaio, fondatore nel 1903 della Fornace di Pozzo Garitta, centro di attività e sperimentazione in campo tecnico, formale e decorativo. Affiancato dal fratello maggiore Torido, addetto alla produzione, si indirizza molto presto alla sperimentazione e, nel 1925, partecipa all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes a Parigi e alla II Biennale di Arti Decorative di Monza. L’incontro, nel ’27, con Marinetti segna l’inizio di una stretta collaborazione all’insegna della svolta futurista. Introducendo il nuovo spirito nell’ arte figulina trasforma Albisola, dalla fine degli anni ’20 all’inizio dei ’40, in centro produttivo della ceramica futurista. Tullio, con lo pseudonimo di Tullio d’Albisola coniato da Marinetti stesso, si pone quindi all’avanguardia in anni in cui la manifattura ceramica albisolese è ancora legata a stilemi artigianali. La sua ricerca personale, tra il ’27 e il ’28, matura attraverso la formulazione delle “Creazioni antimitative” allestite nella sua sala alla mostra Trentatré Futuristi della Galleria Pesaro (Milano 1929). Nella bottega paterna la sperimentazione di Tullio si rivolge, dapprima, ai decori sgargianti e alla resa funzionale degli oggetti, con forme “sbilenche, insensate ed eccentriche”, decorati con motivi geometrici a colori “urlanti” e ricoperti di cristallina traslucida (Mostra futurista alla Galleria Codebò di Torino). Agli inizi degli anni ’30 innova la decorazione su terracotta maiolicata mat con effetto a buccia d’arancia (Mostra Futurista, Pittura, Scultura, Aeropittura, Arti Decorative, Architettura a Firenze e Mostra di Aeropittura a Genova, Mostra Futurista di Aeropittura e di Scenografia alla Galleria Pesaro di Milano tutte nel ’31, Mostra Enrico Prampolini et les Aeropeintres Futuristes Italiens alla Galerie de la Renaissance di Parigi nel’32, Les Aeropeintres Futuristes Italiens all’Hotel Negresco di Nizza nel ’34). Nella seconda metà del decennio, grazie al successo della ceramica applicata all’architettura e all’arredamento, realizza, anche insieme a Nino Strada, grandi pannelli murali in piastrelle (I Mostra Nazionale di Plastica Murale a Genova nel ’34, VI Triennale milanese del ’36, Exposition Internationale Salone d’Onore del Padiglione Italia a Parigi nel ’37, progetto della “Strada d’oro” per l’E42 a Roma). Nel ’59, cessata l’attività della ditta Mazzotti Giuseppe, i fratelli Mazzotti proseguono separatamente la produzione di ceramiche; Tullio e la sorella Vittoria fondano la ditta Vittoria Mazzotti, attualmente Ceramiche Mazzotti, sita nella casa futurista ideata da Nicolaj Diulgheroff (1930-’32). Tra la fine degli anni ‘20 e l’inizio dei ‘30 sperimenta anche in campo fotografico e come scultore futurista in ceramica realizza opere, dapprima rigide poi dotate di ritmi avvolgenti, indirizzate all’ analisi psicologica umana velata di sottile ironia (Mostra Futurista Architetto Sant´Elia e 22 Pittori Futuristi alla Galleria Pesaro di Milano, 1930). Compone numerose liriche, pubblicando libri di poesie, spesso illustrati da Strada, o piccole antologie di ceramiche con l’introduzione in versi (tra questi L’Incidente del 1935, AAA 500.000 Urgonmi, Poema d’Amore del ‘36, Le Streghe, del ’50 e L’Asino di Carlinetto, del ’65. Racconto del ’43 è illustrato da Fontana). In campo progettuale-editoriale crea le celebri Litolatte, libri di latta realizzati dalla Nosenzo, con testi propri e di Marinetti e illustrazioni di Munari (L’Anguria lirica del ’33). Da esperto ceramista scrive saggi di storia e critica sulla tradizione ceramica ligure (La ceramica futurista, 1939, Ceramiche Omaggio a N.S. di Misericordia, 1940, Profili ceramici italiani, 1957, La ceramica popolare ligure, 1964). Tullio ha sempre svolto il ruolo fondamentale di catalizzatore ad Albisola di artisti e movimenti culturali: nel periodo futurista ha attirato Marinetti, Depero, Fillia, Prampolini, Farfa, Gaudenzi, Diulgheroff che trovarono nella sua bottega un centro di lavoro e ricerca culturale. L’epistolario, curato da Danilo Presotto su iniziativa della nipote Esa, (Quaderni, 1981-1987) dimostra l’intensità e la natura dei rapporti. Nel secondo dopoguerra come organizzatore culturale e promotore dell’attività creativa in ceramica ha reso la Manifattura Mazzotti un fondamentale punto di riferimento. Nella stagione dell’Informale, dai primi contatti con il rientrato Fontana nel ’47 ha portato nella cittadina maestri come Jorn, Appel, Fabbri, Baj, Corneille, Capogrossi, Manzoni contribuendo a fare di Albisola uno dei centri culturali più creativi d’Europa come testimoniato dall’ Incontro Internazionale di Ceramica del ’54. Ass. Lino Berzoini 47
Piatto con pavone (MGA Albisola) Ceramica decorata, d. cm 33 48
San Francesco (MGA Albisola), 1928c Ceramica decorata, h. cm 25x13x8
Vaso con manici (MGA Albisola), 1926c Ceramica decorata, h. cm 28,7x27,5 49
Tazzine futuriste (MGA Albisola) Ceramica decorata, d. cm 6x15,5
Angeli protettori (MGA Albisola), 1930-31 Ceramica decorata, cm 19,5x30,5x5,5 50
Figura Presepiale (MGA Albisola), 1930 (Tullio e Dino Gambetti) Ceramica decorata, h. cm 15x12
Calamaio (MGA Albisola), 1933-34 Ceramica decorata, h. cm 9,8x7,8
Vaso portacendele (MGA Albisola) Ceramica decorata, h. cm 16x20,5 51
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Giuseppe Capogrossi (Roma 1900 - 1972) Di origini nobili si laurea in giurisprudenza. Studia pittura tra il 1923 ed il 1924 con Felice Carena e quindi sireca a Parigi capitale europea della cultura. Compie un percorso articolato che lo conduce con relativo successo ad alcune esposizioni sia itlaiane che all’estero. La sua pittura di radice figurativa rientra nella tradizione della Scuola romana. Nel 1947 esprime un linguaggio nuovo di carattere Astratto ed approda alla Galleria Il Cortile di Roma con una mostra dedicata. Nel 1949 il suo percorso si completa con la elaborazione di un segno grafico a forchetta che ambienta nello spazio monocromo della tela dal titolo invariato di Superificie e numerate progressivamente. Nel 1950 alla XXV Biennale di Venezia espone le prime tre Superfici (A1, A2, A3. Nel 1951 fonda con Burri, Colla e Ballocco il gruppo Origine e nel 1953 aderisce al Movimento Spaziale di Lucio Fontana. Il passaggio di Capogrossi dalla pittura figurativa cara alla Scuola Romana, a quella a carattere Astratto non passa indolore, ed a Roma monta improvvisamente un caso Capogrossi. Successivamente le considerazioni positive degli altri artisti e dei critici come Tapié, Seuphor e Argan placano gradualmente le critiche fino alla definitiva approvazione da parte della critica che considera ormai Capogrossi come uno dei grandi innovatori della nuova pittura europea. Fin dagli anni Cinquanta Capogrossi frequenta assiduamente Albisola riportanto in ceramiche le sue ormai celebri forchette. Realizza per la MGA di Tullio d’Albisola il pavimento a formelle nel Padiglione E.N.A.P.I. alla XI Triennale di Milano del 1957 ed una serie di piatti eseguiti per la Galleria Il Naviglio di Milano di Carlo Cardazzo tra il 1957 ed il 1958 sempre nella fornace di Tullio d’Albisola. Le prime mostre del dopoguerra (1947) alla Galleria il Cortile di Roma corrispondono ad un rinnovamento del linguaggio, che approda alla Pittura Astratta. Esponente della Scuola romana, quindi, Capogrossi fu una figura di notevole rilievo nel panorama dell’informale italiano insieme con Lucio Fontana e Alberto Burri. Partecipò al Premio Bergamo nel 1939, 1940 e 1942 e più volte alla mostra Documenta di Kassel e alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1950 partecipa alla fondazione del Gruppo Origine, insieme a Mario Ballocco, Alberto Burri ed Ettore Colla. Nel 1960 espone, inoltre, alla II Biennale Internazionale di Tokyo. Ass. Lino Berzoini
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Per Ada, 1963 Piatto ceramica decorata, cm 37x26 Collezione Privata Milano 54
Senza titolo, 1961 Piatto ceramica decorata, d. cm 24,5 Collezione Privata Milano
Senza Titolo, 1968 Piatto ceramica decorata, d. cm 24,5 Collezione Privata Milano
Senza titolo, 1957 Piatto ceramica decorata, d. cm 24,5 55
Superfice (Manifattura Eroli) Arazzo, cm 74x220
Superficie XXX (bozzetto Passeggiata degli Artisti), 1962-63 Carboncino su carta a moduli esagonali, cm 40x99,5 Collezione del Comune di Albissola Marina 56
Superficie 81, 1954 Olio su tela, cm 50x60
Senza titolo, 1963 Tecnica mista e collage, cm 28x21 57
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VIRIO DA SAVONA (Vittorio Agamennone) (Verona 1901 - Savona 1995) La sua attività pittorica inizia nel 1921 con una mostra collettiva (Savona, Teatro Wanda) insieme a Gambetta, Peluzzi, Martinengo e Cavalleri. Nel 1924 affianca l’opera di ceramista presso la fornace di Giuseppe Mazzotti e nel 1925 fonda con Filippo Noberasco e Italo Scovazzi la rivista Liguria. Parallelamente si dedica alla ritrattistica, frequentando gli studi torinesi di Canonica, Valinotti, De Abate e Quaglino. Abile acquerellista, nel 1929 si trasferisce in Francia (Nizza, Cannes) e successivamente a Parigi ove espone insieme a De Pisis e De Chirico nella Galleria “Jeune Europe”. Dopo aver eseguito ritratti di noti scrittori e di intellettuali parigini, si impegna come illustratore presso le Colitions de France e le Dimanche illustré. Rientrato in Italia nel 1933 inizia la sua lunga attività a Savona con la prima personale. L’anno dopo, con Craffonara, De Luca e Barabino, fonda il gruppo degli Acquerellisti Liguri che vengono celebrati nel ’36 a Palazzo Rosso a Genova nella I Mostra degli Acquerellisti Liguri. Divenuto nel ’38 professore emerito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, partecipa nel decennio successivo alla Mostra Nazionale di Pittura a Roma (1942) e a Novara ad una personale presso la Galleria Broletto (1947). In questo periodo muta la propria tecnica pittorica utilizzando la tempera grassa. Stabilitosi ad Albisola nel 1957 partecipa alle maggiori manifestazioni nazionali e diviene parte attiva del gruppo di artisti che rende Albisola un centro artistico internazionale: Jorn, Lam, Fontana, Crippa, Capogrossi, Sassu, Reggiani, Fabbri, Milani, Tullio d’Albisola. Nella sua pittura tipicamente “novecentista” si avvertono lo spirito innovativo e l’attaccamento alla tradizione, realtà e poesia si fondono nelle sue figure e nei suoi paesaggi. Ass. Lino Berzoini
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Il Cenacolo degli artisti di Albisola, 1970 Olio su tela, cm 120x450 Collezioni della Cassa di Risparmio di Savona 61
Il leopardo (MGA Albisola), 1930c Ceramica decorata, cm 18,5x30,5x18,5 62
Madonna della Misericordia (MGA Albisola), 1930c. Ceramica decorata, h. cm 31x14
Giocatori di carte, 1980 Olio su tela, cm 100x90
Raccoglitrici di olive, 1983 Olio su tela, cm 98x98
Albissola Marina - Piazza Sant’Antonio, 1960 Acquerello su carta applicata, cm 60x80
Il buon ritorno, 1961 Acquerello su carta, cm 50x28
Il pescatore, 1959 Acquerello su carta, cm 70x40 63
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WIFREDO LAM
(Sagua la Grande CUBA 1902 - Parigi 1982)
Nasce a Cuba ottavo figlio di un ricco ed anziano commerciante cinese e di una madre di origine afro-ispaniche. La natura lussureggiante dell’isola natia e la predisposizione per il sincretismo religioso tipico dei cubani lo conduce ad una particolare sensibilità artistica, che riversa negli studi all’Accademia di Belle Arti San Alejandro dell’Avana. Dal 1923 grazie ad una borsa di studio concessa dalla sua città natale, si trasferisce in Spagna dove vive per 14 anni ed ha modo a Madrid di studiare l’arte europea elaborando la concezione di una arte universale che unisce l’antico ai movimenti contemporanei ed alle Avenguardie. Nel 1929 si sposa con Eva Piriz da cui ha un figlio e successivamente li perde entrambi a causa della tubercolosi. Il dolore immenso si riversa in numerosi quadri aventi come soggetto la madre ed il bambino. Attento alle tematiche sociali e politiche entra in contatto con le forze repubblicane anti franchiste e svolge una intensa attività militante. Nel 1938 incontra Helena Holzer che nel 1944 diventerà sua moglie e parte per Parigi. Amico di Pablo Picasso frequenta Joan Mirò, Franand Leger, Henry Matisse, Paul Eluard, Georges Braques. Nel 1939 presso la Galleria Pierre tiene la sua prima mostra personale. Dal 1941 fugge da Parigi e dal Nazismo con altri intellettuali raggruppati attorno alla figura di Andrè Breton, alla volta della Martinica, dove viene internato per circa 40 giorni prima di giungere finalmente a Cuba dopo circa venti anni di assenza. Inizia un periodo molto importante di viaggi tra Haiti, New York e l’Europa elaborando un percorso creativo che sintetizza le sue varie esperienze precedenti in un linguaggio personale in cui si fonde il primitivismo dei graffiti e gli influssi cubisti e surrealisti. Dopo il divorzio da Helena nel 1952 Lam si stabilisce a Parigi. Nel 1955 conosce l’artista svedese Lou Laurin che nel 1960 diventa sua moglie. Dal 1954 frequenta assiduamente Albissola Marina che diventa un centro di sperimentazione artistica di fama mondiale. Dal 1964 si divide tra Parigi ed Albissola Marina legandosi a diversi artisti e scrittori ed organizzando mostre di rilievo internazionale. Ass. Lino Berzoini
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Composizione, 1972 Olio su tela, cm 35x45 66
Totem, 1968 Olio su tela, cm 50x70
Senza titolo (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1977 Piatto terracotta smaltata, d. cm 41 67
Totem (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1962 Piatto ceramica decorata e graffita, d.cm 38 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola
Piatto donna e uccello (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1977 Piatto terracotta smaltata e graffita, d. cm 51 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola 68
Figure (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1962 Piatto ceramica decorata, d.cm 38 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola
Senza Titolo (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1975 Ciotola terracotta smaltata e applicazioni, d. cm 23x9 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola
Senza titolo (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1971 Ceramica decorata, cm 33x20
Costellazione del Sud (Bozzetto Passeggiata degli artisti), 1962-63 Tempera su carta a moduli esagonali, cm 40,5x100,5 Collezione Comune di Albissola Marina 69
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NINO STRADA (Milano 1904 - 1968) Dopo aver appreso l’arte della scultura dal padre, compie gli studi artistici alla Regia Accademia di Brera. Allievo dell’ex-futurista Leonardo Dudreville, esponente del gruppo milanese Nuove Tendenze, nel Primo dopoguerra inizia la carriera di ceramista nella bottega “M.G.A.” di Giuseppe Mazzotti. In quegli anni affianca il giovane Tullio e realizza alcune opere, note solo in riproduzioni, in cui manifesta un linguaggio spontaneo, che pur mediato dal gusto secessionista e decò, perviene ad un espressionismo di tipo simbolico. All’esposizione Biennale di Monza del ’27 tra le opere MGA di Tullio e Torido si segnala la modernità ed il realismo grafico di Nino Strada. Tra i primi a far parte del gruppo ligure dei ceramisti futuristi partecipa a tutte le Biennali e Triennali d’Arte di Milano e ottiene una medaglia d’oro alla IV Triennale del 1930. Tuttavia ben presto Strada abbandona le istanze futuriste, pur partecipando alle rassegne del movimento e continuando formalmente a farne parte. Infatti già nella Prima mostra alla Galleria Pesaro del ’29 inizia a manifestare perplessità nei confronti delle tematiche futuriste e si avvicina piuttosto allo spirito novecentista. Tuttavia un certo eclettismo, una certa sintesi di stilemi antitetici (Novecento, stilizzazione casoratiana e stile decò) sembra animare la sua produzione (Lettere a Tullio, Quaderni 1981, n.3, pp. 114-115). Fondamentalmente si ravvisa una separazione pragmatica tra arte pura, in cui aderisce alla lezione Novecentista, ed arti applicate più vicine allo spirito futurista. Se agli inizi degli anni ’30 la collaborazione con Umberto Zimelli lo porta a sperimentare impasti greificati e applicazioni di smalti a spessore in un esercizio raccolto e meditato, nella ceramica d’arredamento a tema animalistico mostra ancora la propria adesione al Futurismo: cerbiatti, cavallini blu, cervi, elefanti compaiono alla mostra Les Aeropeintures Futuristes (Nizza Hotel Negresco, 1934). Oltre alla “ceramica futurista” nella Fornace Mazzotti tuttavia, nella seconda metà del decennio, produce anche oggetti più commerciali, soprattutto piccoli animali, impreziositi da rivestimento mat e craquelès. Pur collaborando negli anni Trenta con la manifattura Rometti di Umbertide e la Società Ceramica Richard-Ginori, la presenza costante ad Albisola si manifesta anche alla C.A.S. di Bartolomeo Rossi e a La Fiamma di Ivos Pacetti. Strada e Tullio Mazzotti si cimentano anche nel settore della ceramica per l’architettura, ambito in forte espansione grazie anche all’imporsi della “Villa al Mare”, (divulgata dalla rivista Domus), realizzando grandi pannelli murali in cui il gusto futurista si sposa con suggestioni dello stile Novecento. Per il Padiglione dell’Architettura alla VI Triennale di Milano (1936), in un grande pannello in mattonelle refrattarie smaltate Le Forze Fasciste, essi delineano un’ allegoria dal carattere Novecentista, con una sensibilità materica, un procedere per piani multipli, incisioni e frastagliature che l’avvicinano allo “ Stile Fontana”. Per il Salone d’Onore del Padiglione Italia all’ Esposizione Internazionale di Parigi del ’37, Strada e Tullio, in collaborazione con l’architetto Giuseppe Pagano, realizzano il pannello delle Ventidue Corporazioni. Nel 1937 viene nominato direttore artistico del C.I.M.A di Deruta, con cui collabora fino alla fine degli anni ‘40 realizzando anche numerosi modelli per la Manifattura Salamandra. L’anno dopo assume l’incarico di direttore artistico dell’ I.L.S.A. di Albisola Capo dove incrementa la produzione di oggetti di suggestione arcaica ed adegua le sagome stilizzate della propria animalistica a un vasellame a bocca larga e smalti colanti. Tra gli anni ’40 e’60 ottiene prestigiosi premi: medaglia d’oro alla X Triennale d’Arte di Milano, Concorso Internazionale della Ceramica di Faenza (1942), Mostra della Ceramica di Vicenza (1954), Mostra della Ceramica di Lodi (1956) Alla Galleria S. Andrea nel ’54 è allestita l’esposizione di sculture e ceramiche di Strada, Salino, Anselmo, Annaviva, Bevilacqua, Bertagnin, Sassu, ispirate al tema di Tullio Le Streghe. Dagli anni ‘60 collabora con la manifattura albisolese San Giorgio. Nel 1963 insegna all’Istituto Professionale per la Ceramica di Milano ed è impegnato nella realizzazione della Passeggiata degli Artisti (1963) di Albissola Marina. Ass. Lino Berzoini 71
La giraffina (MGA Albisola), 1935c Ceramica decorata, cm 20x12 72
Galletto (MGA Albisola), 1933 ca Ceramica decorata, h.cm 27,5
Il cavallino (La Casa dell’Arte Albisola), 1935c Ceramica decorata, cm 16x27 73
L’elefantino (ILSA Albisola), 1933c Ceramica decorata, d. cm 15x12
Natura morta Olio su tela, cm 53x63 Collezioni Cassa di Risparmio di Savona 74
La pera e le vespe, 1947 Tecnica mista su carta, cm 31,5x24
Ritratto di Berzoini Carboncino su carta, cm 19x13,5
I sarti Olio su tavola, cm 100x70 75
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Carlo Cardazzo (Venezia 1908-Pavia 1963) Carlo Cardazzo, mitico mercante d’arte del Novecento nel mondo, nasce a Venezia il 16 ottobre 1908 in una facoltosa famiglia di imprenditori edili.Nel 1933 sposa Luigia De Conti detta Gina. Dal matrimonio nasceranno due figli: Paolo e Gabriella. Nel 1943 conosce a Venezia la giovane affascinante scrittrice Milena Milani e se ne innamora ricambiato. Nel 1945 lascia la famiglia e vanno a vivere insieme a Milano. Oltre la famiglia lascia a Venezia le Edizioni del Cavallino la prestigiosa collana Letteratura Italiana e la galleria adel Cavallino (aperta nel 1942). Nel gennaio 1946 fonda con la compagna Milena Milani la galleria del Naviglio in via Manzoni 45 a Milano destinata a diventare uno spazio espositivo di importanza mondiale. Nel 1949 Fontana vi presenta il famoso Ambiente Spaziale a Luce Nera. Cardazzo inizia a viaggiare con Milena per organizzare mostre d’arte italiana nel mondo (Russia, le due Americhe, Svezia, Spagna, Inghilterra, Francia, Giappone, Germania) e lancia sui mercati internazionali Capogrossi, Gentilini, Scanavino. Legandoli in esclusiva con precisi contratti legali.Inizia ad esporre gli stranieri (Mirò, Schwitters, Dubuffet, Jorn, Picasso, Kandinsky, Braque, Matisse, Mathieu, Franz Kline, Cy Twombly, Tanguy, Brauner, Matta). Per amor di Milena Milani trascorre le vacanze estive ad Albisola mare (paese dei vasai) Capogrossi, Fontana e Crippa si mettono a far ceramica: Cardazzo si incuriosisce. Collabora con la celebre collezionista Peggy Guggenheim e organizza la prima mostra di Pollock in Europa. Le Edizioni del Cavallino iniziano a stampare su foulards di seta le opere di artisti famosi quali Capogrossi, Gentilini, Fontana, Brauner, Campigli, Scanavino, Remo Bianco, Sonia Delaunay, Giacomo Balla. Nel 1955 a Roma fonda con Vittorio del Gaizo la galleria Selecta, ove organizza tra le altre le mostre di Hundertwasser, Canogar, Alan Davie, Anthony Caro.Nell’aprile 1956 al Naviglio espone, con grande successo, Alexander Calder.Nel 1959 mi piace ricordare la mostra di Jasper Johns al Naviglio e Mathieu al Cavallino. Nel 1961 (per le Edizioni del Cavallino) pubblica due album musicali, uno di Jorn e Dubuffet e l’altro di Dubuffet. Le mostre citate dal 1946 al 1963 sono solo la punta dell’iceberg di una lunghissima serie di esposizioni di quelli che saranno i grandi maestri del XX Secolo. Carlo Cardazzo non fu mai un artista nè cercò di esserlo. I quadri e i piatti qui esposti, anche se precursori di quello che sarebbe avvenuto nel mondo dell’arte e già pubblicati nel libricino “Carlo Cardazzo amico di Albisola” edito da Vanni Scheiwiller nel 1964 sono solo il divertissement artistico di un uomo geniale che, come canta una celebre aria lirica, “visse d’arte Visse d’amore”. La mostra inaugurale della stagione 1946-47 alla galleria del Naviglio avvenne il 3 novembre 1946 con opere di Bruno Saetti. Il 16 novembre 1963 data della sua morte prematura e improvvisa avvenuta all’Ospedale Policlinico di Pavia, alla galleria del Naviglio di Milano si inaugurava la mostra di Giorgio Azzaroni, bravissimo pittore che colto da un pianto irrefrenabile disse a Ada Zunino (mia madre, sorella di Milena Milani e preziosa collaboratrice di Carlo Cardazzo) tra le lacrime “mio Dio sono rovinato”. Certo è che con la morte di Carlo Cardazzo, malgrado la grande bravura e il coraggio del fratello Renato di confrontarsi con un mito, finì un’epoca. Per sempre. Renato Cardazzo continua comunque egregiamente l’opera del fratello Carlo sino alla morte (marzo 2002). Attualmente in via Manzoni 45, in quella gloriosa sede c’è tutt’altro! La vita va così. Per ogni ulteriore informazione biografica si rimanda al lettore alle pagine 29-31 del presente testo.
Renata Guga-Zunino Milani Cattaneo 77
Galleria del Naviglio, 1963 Ciotola ceramica decorata, d.cm 21 Collezione Privata Milano 78
Senza Titolo, 1959 Piatto ceramica decorata, d.cm 31 Collezione Privata Milano
Milano Naviglio, 1963 Ciotola ceramica decorata, d.cm 21,5 Collezione Privata Milano
Per Ada Zunino, 1963 Piatto ceramica decorata, d.cm 20,5 Collezione Privata Milano 79
Senza Titolo, 1958 Ciotola ceramica decorata, d. cm 34 Collezione Privata Milano 80
Palle colorate, 1957 Piatto ceramica decorata, d. cm 39,5 Collezione Privata Milano
Il lungo viaggio verso la luna, 1962 Tecnica mista su tela cm 48x67 Collezione Privata Milano
Monete Tecnica mista su tela, cm 50x60 Collezione Privata Milano 81
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Franco Assetto (Torino 1911 - 1991) Artista estroso e curioso di sperimentare l’utilizzo della varie materie artistiche nella forma e nel colore applicati al gesto ed al pensiero creativo. Di estrazione Surrealista è considerato un precursore della Pop Art Italiana ed in particolare del movimento nato a partire dalla metà degli anni Sessanta e denominato Baroque Ensembliste con Ossario e Arai. Nel 1953 presso la Galleria Bussola di Torino espone una delle sue prime mostre dal titolo “La mostra del pane” poi nuovamente esposta nel 1961 in occasione di Torino Esposizioni. In quella occasione Assetto si propone alla critica come artista Pop. Si avvicina al Gruppo Gutai sorto ad Osaka nel 1954, che ha come proponimento di sondare la spiritualità della materia e di superare l’azzeramento morale ed intellettuale del secondo conflitto mondiale, rivoluzionamdo l’arte contemporanea giapponese alla ricerca di un linguaggio creativo e libero, vicino all’analoga esperienza europea. Attento alle avanguardie ed alle espressioni più moderne dell’arte, arriva ad Albisola negli anni Sessanta e frequenta il clima artistico locale in cui operano Fontana, Crippa, Capogrossi, Baj, Jorn e altri grandi artisti. L’espressione della forma in pittura ed in scultura intrinsiche nel movimento Baroque Ensembliste lo portano ad inventare i Disegni in rilievo e le Sculture d’acqua, che lo evidenziano presso il pubblico statunitense. Nel 1969 le opere di Assetto ricercano il movimento mediante l’utilizzo dell’acqua colorata con tempere che scorre in tubi acrilici arrotolati a formare delle sculture. La tridimensionalità della scultura fonde forma, colore e movimento. Agli esordi degli anni Settanta si trasferisce negli StatiUniti a Los Angeles dove organizza un laboratorio sperimentale per grandi opere a carattere ambientale. Ritorna il concetto delle sculture d’acqua che si evolve in fontane di ceramica come quella allestita per la U.C.L.A. e per la Rick Me Bride. Per la Saint Basil’s Church realizza le quattordici stazioni della Via Crucis. Per circa venti anni si lega in matrimonio con Betty Freeman, grande artefice della musica West Coast ed il musicista Lou Harrison compone in loro onore la ballata Serenade for Betty Freeman and Franco Assetto. Affascinato dal bellissimo borgo di Frontino nelle Marche lascia una serie di opere rappresentative del proprio percorso artistico ad un museo sorto in suo nome ed oggi visitabile. Ass. Lino Berzoini
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Undici quadretti, 1976 Legno e ceramica, cm 51x50 84
Senza titolo, 1976 Ceramica decorata, h. cm 31,5x15
Senza titolo, 1987 Ceramica decorata h. cm 18 x8,5 85
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Agenore Fabbri (Pistoia 1911 - Savona 1998) Dalla frequentazione dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze in cui si forma arriva ad Albisola chiamato dal corregionale Ivos Pacetti. Proprio ne La Fiamma celebre fornace di proprietà di Pacetti, nel 1935 trova un ingaggio come operaio modellista. La lavorazione della terra si presta alla sua visione dell’arte a carattere espressionista accentuata dalla riflessatura della cottura al terzo fuoco. Ad Albisola ha modo di incontrare i grandi artisti che frequentano le botteghe ceramiche ed in particolare si lega in una amicizia che durerà per tutta la vita con Lucio Fontana. Esordisce nel 1941 con una personale a Milano e dopo il servizio militare prestato in Jugoslavia dal 1946 si stabilisce a Milano seppure nei mesi estivi trasferisce il suo studio ad Albisola, ormai diventata località di fama internazionale. Nel 1947 presso le Ceramiche Mazzotti realizza La donna del popolo, titolo suggerito spontaneamente da Pablo Picasso, ed altri capolavori come Uomo colpito e La madre, in cui mostra a tutti, colleghi compresi, la sua concezione scultorea della lavorazione ceramica che lo avvicina in un accostamento azzardato unicamente ad Arturo Martini. Si appropria successivamente della lavorazione del bronzo e del ferro in cui il dramma della guerra si rivela con la drammaticità della figura, sempre in bilico tra morte e riscatto fisico e quindi morale, fino a sfociare anche in pittura nella rappresentazione Informale che convive con la profonda radice espressionista. Protagonista di mostre ed eventi a carattere nazionale ed internazionale negli anni Ottanta rielabora le sue creazioni a carattere espressionista aperte però ad esiti commossi e partecipati fino ad evolversi in una rivisitazione del gesto astratto con il recupero di materiale di recupero come lattine, ferro, legno, stoffe in una necessità creativa interiore mai doma. Muore a Savona il 7 novembre 1998. Ass. Lino Berzoini
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Il dialogo Bronzo, cm 143x42x39 Collezioni della Cassa di Risparmio di Savona 88
Cavallo morente (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1963 Piatto ceramica decorata e inserto, d.cm 52 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola
Forma (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1962 Piatto ovale ceramica decorata, cm 42x31 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola
Incontro, 1949 Ceramica a gran fuoco, cm 26x19x11
Donna a cavallo (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1973 Terracotta ingobbiata e ossidi cm 53x46x18 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola 89
Il Gallo (MGA Albisola) Ceramica decorata cm 21x35x22
Albisola vola, 1998 Tecnica mista su cartoncino, cm 48x68 Collezione Comune di Albissola Marina
Senza titolo Carboncino su carta, cm 50x73 90
Informale, 1960 Olio su tela appl. cm 35x25
Forma (bozzetto Passeggiata degli Artisti), 1962-63 carboncino e matite colorate su carta, cm 40,5x100,5 Collezione Comune di Albissola Marina 91
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ALIGI SASSU (Milano 1912 - Pollença - Baleari 2000) Il padre di Aligi, Antonio Sassu, fondatore nel 1894 del Partito Socialista Italiano a Sassari e amministratore de L’avanguardia socialista di Labriola, amante dell’arte e delle letture a carattere politico e artistico, si rivela subito fondamentale per la crescita culturale del figlio che attinge a questo fondo familiare e ha modo di conoscere precocemente i maggiori esponenti della corrente futurista. All’inizio del 1921 la famiglia si ritrasferisce da Milano a Thiesi (SS): Aligi frequenta la scuola elementare e conosce per la prima volta i cavalli, liberi nella aspra campagna sarda, che diventeranno poi un suo tema ricorrente, come i colori accesi della natura sarda permeeranno la sua pittura. Col rientro a Milano, tre anni dopo, Aligi frequenta Bruno Munari: insieme nel ’27 si presentano a Marinetti che intuendo subito il suo valore lo invita a partecipare con alcune opere alla collettiva futurista nella Galleria Pesaro e l’anno seguente alla Biennale di Venezia. In quel periodo può apprezzare le opere di Boccioni, Carlo Carrà, Gaetano Previati, Tullio Mazzotti e trarne ispirazione per i suoi dipinti. Negli anni ‘27-‘29 dipinge numerosi quadri di piccole dimensioni, aventi spesso come soggetto lo sport, le industrie e le macchine; nascono così i Ciclisti, I minatori, L’operaio, Pugilatori e gli Uomini rossi. Questi ultimi appartengono già alla fase successiva, in cui Sassu si allontana dal Futurismo per concentrarsi nello studio dei maestri del passato e cercare un proprio stile che coniughi la rappresentazione della realtà, resa con espressionismo lirico, con una componente simbolica e un costante riferimento ad un classicismo eroico e mitico. Dopo la prima importante mostra nel ’30 a Milano, nel ‘34 soggiorna per tre mesi a Parigi dove studia a fondo la pittura francese della seconda metà ‘800; vi ritornerà a più riprese: ne nascono cavalli classicheggianti ma anche scorci di caffè o salotti chiusi (Maison Tellier). Durante il soggiorno parigino alcuni contatti rafforzano la sua avversione al regime fascista che sarebbe poi sfociata nell’adesione a “Corrente”. Nel 1935 forma il Gruppo Rosso, organizzazione clandestina: a seguito dello scoppio della Guerra civile in Spagna, come antifranchista e simpatizzante dei partigiani spagnoli dipinge la Fucilazione nelle Asturie. Accusato di complotto, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli a Roma, riprende la pittura e il disegno con soggetti mitologici e ritratti dei carcerati. Graziato nel luglio del ‘38, rimane per alcuni anni un sorvegliato speciale; nel ’39 arriva in Liguria (Cogoleto) : ne rimangono riflessi nei paesaggi dei Piani d’Invrea e nei Porti di Savona. Ad Albisola, richiamato da Tullio, presso la Fornace Mazzotti, esplica compiutamente la sua produzione ceramica, all’insegna del vivace cromatismo e con un repertorio analogo a quello sperimentato in pittura: ricompaiono i celebri cavalli, docili ma anche rampanti o imbizzarriti, coloratissimi, alati o marini, le donne provocanti o malinconiche dei Caffè e della Maison Tellier. Il tema mitologico si fonde col quotidiano, il mondo marino col terrestre in cui i personaggi come dei o eroi classici si integrano in un tutt’uno con la natura rigogliosa, di boschi o marine, di pace o tempesta (Aligi Sassu, l’opera ceramica, 2000). Dopo una permanenza a Varese ritorna nel ‘50 in Sardegna ove dipinge le Tonnare; e ispirandosi a Diego Rivera e José Clemente Orozco, si dedica ai murales come La miniera, affresco di vaste dimensioni nella foresteria delle miniere di Monteponi a Iglesias. Nel ’54 a Vallauris entra in contatto con Picasso e nello stesso anno espone alla Biennale di Venezia: I martiri di Piazzale Loreto sono acquistati da Giulio Carlo Argan per la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. Ad Albissola Capo, su commissione del proprietario della Trattoria Pescetto, dipinge il ciclo delle Cronache di Albisola, pannelli in masonite che ben rappresentano la vita artistica della cittadina che vede spesso riuniti nel locale ceramisti, poeti, scrittori, critici. Quattordici anni più tardi, alla chiusura dell’esercizio, l’opera viene smembrata: oggi ne restano solo pochi pannelli recentemente esposti nella monografica sull’artista allestita a Savona (Aligi Sassu, cronache dalla Liguria, 2012). Nel 1957 l’incontro decisivo a Albisola con la soprano colombiana Helenita Olivares, che diverrà sua seconda moglie. All’inizio degli anni ’60, come vicesindaco di Albissola Marina, sovraintende alla realizzazione della Passeggiata degli Artisti, inaugurata nel ’63, cui partecipa con il pannello I cavalli del Sole, ospitato nel posto d’onore nella piazza del Popolo antistante il municipio, proprio davanti a quel Bar Testa frequentato dai protagonisti della “piccola Atene”. Nello stesso anno col soggiorno alle Isole Baleari inizia il “periodo spagnolo” espresso in numerose Tauromachie, personaggi mitologici, sperimentazioni sugli acrilici e colori sempre più accesi. Tra il ’65 e il ’99 partecipa a svariate mostre in Italia e all’estero (Galleria Civica di Monza, personale a Bucarest, Rotterdam, Toronto e Maiorca, Ferrara, al Palazzo dei Diamanti a Ferrara, Castel Sant’Angelo a Roma, Palazzo Reale a Milano, Siviglia, Madrid, Toronto, Montreal, Ottawa, Palma di Maiorca, XI Quadriennale di Roma, Triennale di Milano dell’86) e a numerosi progetti espositivi internazionali (Arte Italiana nel mondo a San Paolo del Brasile e a Bruxelles, nella nuova sede del Parlamento europeo, nel 1993 completa il grandioso murale in ceramica I Miti del Mediterraneo). Dopo la donazione a Lugano di 356 operenasce nel 2000 la Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares a Maiorca ma dopo pochi mesi il maestro si spegne a Pollença il giorno del suo 88° compleanno. Ass. Lino Berzoini 93
Il cavaliere in verde, 1955 Olio su tela, cm 40x50 Collezioni Cassa di Risparmio di Savona 94
Paesaggio marino Olio su tavola, cm 368x280
Il cavallo rosso (MGA Albisola), 1958 Vaso ceramica decorata, h. cm 35x13,2
Donna in blu (Susanna al bagno), 1938 Pastello su carta cm 46x32,5 95
Corrida (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1962 Piastra smaltata e decorazioni, cm 44x25 ProprietĂ Ceramiche San Giorgio Albisola
Corrida (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1962 Terracotta ingobbiata e graffita, cm 41x25 ProprietĂ Ceramiche San Giorgio Albisola 96
I cavalli del sole (bozzetto Passeggiata degli Artisti), 1962-63 Matita colorata su carta a moduli esagonali, cm 210x61 Collezione Comune di Albissola Marina
Il cavallino Piatto in ceramica decorata, d. cm 24 97
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ASGER JORN (Vejrum, Danimarca 1914 - Aarhus, Danimarca 1973) Nel 1936 è a Parigi dove segue i corsi dell’Académie Contemporaine di Fernand Léger, frequentando anche Le Corbusier per cui realizza le decorazioni nel corso dell’Esposizione Mondiale del 1937. Tornato in Danimarca, fonda la rivista Helhestein, che diventa un punto di riferimento per gli artisti danesi. Durante l’occupazione tedesca realizza tele che risentono dell’influenza di Ensor, Kandinsky, Klee e Mirò. Nel dopoguerra compie numerosi viaggi in Lapponia, a Parigi e a Djerba. Nel 1948 tiene la prima personale parigina alla Galleria Breteau. Insieme a Appel, Constant, Corneille, Dotremont e Noiret fonda il gruppo CoBrA (da COpenaghen, BRuxelles e Amsterdam) che si scioglierà nel 1951. Proprio in quell’anno Jorn deve affrontare gravi problemi economici e di salute. Da Parigi torna in patria, a Silkeborg, per curare una forma di tubercolosi che lo costringerà in ospedale per ben diciassette mesi. Nel 1953 frequenta i laboratori di ceramica di Silkeborg, Funder e Soring acquisendo una capacità operativa raffinata che, dopo sei mesi di convalescenza trascorsi a Villars Chésières, in Svizzera, può mettere a frutto ad Albisola, in cui si trasferisce nel 1954 su interessamento di Baj, e dove già lavoravano Fontana, Sassu, Scanavino, Fabbri, Dangelo. Con Dangelo organizza gli Incontri Internazionali della Ceramica e invita ad Albisola gli amici Corneille, Matta e Lam. Quindi fonda il Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste. Con gli amici di Albisola e di Alba (ovvero con Gallizio e Simondo) diventa il riferimento per una serie di iniziative che nel 1957 lo porteranno a costituire il Movimento Internazionale Situazionista. Gli anni successivi vedono un fiorire di mostre personali a Milano, Parigi, Monaco, Bruxelles, Amburgo, Düsseldorf, Londra. Ad Albisola si dedica ampiamente alla manipolazione delle terre e presso la Fabbrica San Giorgio realizza nel 1959 un grande pannello in ceramica che verrà collocato su una parete dello Staatgymnasium di Aarhus, in Danimarca. Nel 1971, sempre alla San Giorgio, concepisce un secondo pannello murale in ceramica per la città di Randers. Nella manifattura di Giovanni Poggi l’artista danese realizzerà anche ventitré sculture in terracotta poi fuse nel bronzo e molte ceramiche come estrema testimonianza della straordinaria qualità del suo gesto e del suo duraturo sodalizio con la San Giorgio. Nel 2014 - in occasione del centenario della nascita di Jorn - molte sono state le iniziative a lui dedicate tra le quali un originale evento ideato e organizzato da Simona Poggi che trae origine da una definizione che l’artista diede alle Ceramiche San Giorgio da lui definite La fabbrica dei sogni. Ceramiche San Giorgio
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Senza titolo (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1972 Piatto ceramica decorata, d. cm 51,5 ProprietĂ Ceramiche San Giorgio Albisola 100
Senza titolo (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1971 Piatto ceramica decorata, d. cm 52 ProprietĂ Ceramiche San Giorgio Albisola
Senza titolo, 1971 Piatto ceramica decorata, d. cm 29
Ritratto di Cardazzo, 1963 Sasso e materiali spiaggiati, cm 15x16,5x10,5 Collezione Privata Milano
Nudino di Ada, 1960c Ceramica decorata cm 7x13x6 Collezione Privata Milano 101
Presenze, 1957 t.m. su carta, cm 16x13
Senza titolo, 1955 China su carta intelata, cm 20,5x27 102
La strega (Jorn e Fabbri) Cartapesta decorata, h. cm 61
Portrait Olio su tela, cm 54x38
Senza titolo, 1967 Tecnica mista su cartoncino, cm 40x30 103
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Milena Milani (Savona 1917 - 2013) Milena Milani è nata a Savona nel 1917. Ha frequentato l’Università a Roma cambiando spesso Facoltà (Architettura, Filosofia, Lettere) senza laurearsi.Ha abitato contemporeanamente a Savona, Albisola mare, Milano, Venezia, Roma, Cortina d’Ampezzo e Parigi. Personalità poliedrica, ha lavorato divertendosi e si è divertita lavorando. Regina incontrastata del caffè letteraio Aragno di Roma, nel dopoguerra, (fu amica di Cardarelli, Ungaretti e Quasimodo), ha scritto sino alla fine dei suoi giorni con successo.Oltre alla parola stampata è stata affascinata da quella scritta in bella calligrafia, come una brava fanciulla, su tele e ceramiche che hanno per lei unicamente funzione di supporto, mentre la magia risiede in quelle sillabe-parole- proposizioni avulse dal loro concetto abituale. Prima nel mondo ha fatto dell’alfabeto variamente assemblato un’opera d’arte misteriosa e spesso erotica dove tutto esce dai canoni tradizionali, esponendo i suoi lavori in mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Dal 1945 compagna del mitico mercante d’arte moderna veneziano Carlo Cardazzo conte di Budoia (conosciuto nel 1943), fonda con lui nel gennaio 1946 a Milano la galleria del Naviglio, destinata a diventare di risonanza mondiale. Gli sarà vicino sino alla sua fine prematura avvenuta all’Ospedale Policlinico di Pavia il 16 novembre 1963. Milena Milani ha scritto alcuni libri di poesie e numerosi romanzi tutti di grande successo di critica e di pubblico e stampati da prestigiose case editrici tra cui Il Cavallino di Venezia, Mondadori, Longanesi, Rusconi, vincendo premi ed ambite onoreficenze. Continua ad occuparsi di arte e di artisti. Frequenta, fra le altre, dalla sua fondazione (1975) la galleria d’arte di Ada Zunino (sua sorella e quindi mia madre), nella cui sede storica di Milano espone le sue opere scritte (ceramiche e dipinti) ed alla quale ha dedicato altresì poesie e testi (testimonianza reciproca di affetto e stima). La sorella Ada sarà a conoscenza e felice delle sue ultime intenzioni e volontà. Milena Milani si è accomiatata dalla vita con spirito creativo e fecondo: uno dei pezzi inediti ritrovato tra le sue più recenti carte si intitola appunto “dove si va?”. Milena Milani è morta alle ore 13 del 9 luglio 1913, all’Ospedale San Paolo di Savona. Seguita con passione, intelligenza e dedizione tra gli altri dal Prof. Lionello Parodi, dalla Dott.ssa Buscaglia e dal suo medico curante Dott.ssa Rosalba Romano, che mia zia definiva “una bella bionda tutta riccioli che mi ricorda un po’ te quando non ci sei ...”: tutti delusi perchè, come noi, certi che, indomita come era, sarebbe riuscita a compiere i suoi primi cento anni. Per ogni ulteriore informazione biografica si rimanda al lettore alle pagine 25-27 del presente volume. Renata Guga-Zunino Milani Cattaneo
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Nuda, 1970 Tecnica mista su tela, cm 50x65 Collezione Privata Milano 106
A girl called, 1971 Entourage, 1971 (La Ruota Forno Galleria Albissola Marina) (La Ruota Forno Galleria Albissola Marina) Piatto ceramica decorata, d. cm 23,5 Piatto ceramica decorata, d. cm 27,2 Collezione Privata Milano Collezione Privata Milano
For Thomas, 1971 (La Ruota Forno Galleria Albissola Marina) Piatto ceramica decorata, d. cm 24 Collezione Privata Milano
History, 1971 Mon reve, 1971 (La Ruota Forno Galleria Albissola Marina) (La Ruota Forno Galleria Albissola Marina) Piatto ceramica decorata, d. cm 23,2 Piatto ceramica decorata, d. cm 26,4 Collezione Privata Milano Collezione Privata Milano
Un type, 1971 (La Ruota Forno Galleria Albissola Marina) Piatto ceramica decorata, d. cm 27,2 Collezione Privata Milano 107
Le montagne, 1978 (Ceramiche Viglietti Albisola) Ceramica decorata, cm 21x26x24 Collezione Privata Milano
Edizioni del Cavallino, 1953 Ceramica decorata, d. cm 29,3 Collezione Privata Milano 108
Mysterieux, 1977 (Ceramiche Viglietti Albisola) Ceramica decorata, cm 19x12x17 Collezione Privata Milano
Pensare, 1977 (Ceramiche Viglietti Albisola) Ceramica decorata, cm 20x11x17 Collezione Privata Milano
La naissance Jesus, 1977 (Ceramiche Umberto Ghersi Albisola) Piatto ceramica decorata, d. cm 40,6 Collezione Privata Milano
Absurd, 1968 Olio su tela cm 19,5x26,5 Collezione Privata Milano
Violenza, 1968 Olio su tela cm 19,5x26,5 Collezione Privata Milano
Erezione del pane, 1972 Tecnica mista su tela, cm 45x60 Collezione Privata Milano 109
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ELISEO SALINO (Albisola Mare, Savona 1919 - Albisola Mare, Savona 1999) Artista a tutto tondo, Eliseo Salino eredita dal padre, che aveva studiato all’Accademia Albertina di Torino, la passione per l’arte. Agli inizi degli anni Trenta lavora nella fabbrica di Tullio d’Albisola dove si perfeziona e ha la possibilità di incontrare molti artisti. In seguito compie un viaggio in motocicletta (tema che riprenderà nell’opera I due Motociclisti) insieme all’amico Torido Mazzotti, e visita le maggiori manifatture ceramiche del nord Italia. Nel 1936 si iscrive all’Istituto Interuniversitario di Faenza dove vince una borsa di studio che gli permetterà di frequentare più tardi la prestigiosa Accademia di Brera a Milano. Nel 1939 si trasferisce in Toscana qui osserva i paesaggi della Maremma e rimane affascinato dai cavalli che diventeranno uno dei temi prediletti dei suoi lavori. Quadrupedi scalpitanti, imbizzarriti, allo stato brado, rappresentati tutti in movimento, saranno un tratto distintivo del suo linguaggio pittorico. Partecipa a varie mostre ed è premiato alla IV Triennale di Milano e al III Concorso di Faenza nel 1941. Nel 1958, insieme a Giovanni Poggi e a Mario Pastorino, fonda le Ceramiche San Giorgio, una fornace da subito molto attiva, nella quale i maggiori esponenti dell’arte internazionale si cimentano con la materia. Nel 1959 Salino collabora con Jorn alla realizzazione e alla messa in opera del grande pannello di Aahrus in Danimarca. Nel 1977 l’artista crea una scultura in bronzo dedicata allo Spazzacamino, situata nella frazione Fey-Giroldi di Locana, Valle dell’Orco (Torino). Sono sue le fantasiose statue del Presepe permanente, ancora oggi visitabile, presso il Santuario di Gesù Bambino di Praga a Arenzano (Genova). I protagonisti del suo lavoro sono spesso personaggi tratti dalla tradizione popolare (marinai, pescatori, cuochi, cow-boy, peones,e chierichetti), sempre ritratti con vena caricaturale. Tra i soggetti preferiti ci sono anche le streghe che cavalcano le scope e che danzano, osservate da gatti dispettosi, e circondate da una natura complice dei loro riti. Ceramiche San Giorgio
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Cavalieri (Ceramiche San Giorgio - FAC Albisola), 1959 Piatto ceramica decorata al tezo fuoco cm 22x40 ProprietĂ Ceramiche San Giorgio Albisola 112
Personaggi che cantano e suonano n. 2 opere (ICA Albisola) Ceramica decorata, cm 14x8x15
L’alpinista Tiglio ed il rocciatore Salino (MGA Albisola), 1938 Ceramiche decorate, h. cm 42,3x19,5 - h. cm 35x16 113
Il Messicano (Ceramiche San Giorgio Albisola) Ceramica decorata, h.cm 42x20
La strega e i mostri, 1984 (Ceramiche San Giorgio Albisola) Vaso ceramica decorata a sbalzo, d. cm 46x28 ProprietĂ Ceramiche San Giorgio Albisola 114
Il vichingo (Ceramiche San Giorgio Albisola) Ceramica decorata, h. cm 35x20
Il nostromo (Ceramiche SanGiorgio Albisola) Ceramica decorata, cm 29x18x17
Sabba di streghe, 1977 (Ceramiche San Giorgio Albisola) Piatto ceramica decorata, d. cm 50 ProprietĂ Ceramiche San Giorgio Albisola
Sabba di streghe, 1976 Olio su tela, cm 50x40
Le streghe, 1962-63 (bozzetto passeggiata degli Artisti) Pastello su carta a moduli esagonali cm 40,5x100,5 Collezione Comune di Albissola Marina 115
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Roberto Crippa (Monza MI 1921 - Bresso MI 1972) Dal 1944 al 1948 frequenta i corsi all’Accademia di Brera avvicinandosi ad una pittura figurativa di stampo picassiano. La sua forte immaginazione e l’esigenza profonda di cogliere la contemporaneità lo spinge verso il Movimento Spaziale. Lucio Fontana ritornato, dopo la guerra nel marzo del 1947, dall’Argentina è il centro su cui gravitano gli altri aderenti del movimento ed il luogo di incontro è la Galleria del Naviglio a Milano di Carlo Cardazzo. Il Manifiesto Blanco che Fontana aveva formulato l’anno prima è la base per il I Manifesto Spaziale Italiano datato 1947, firmato oltre che da Fontana stesso anche da Giorgio Kaisselian, Beniamino Joppolo e Milena Milani. Crippa entra ufficialmente nel movimento nel 1950 firmando il III Manifesto Spaziale Italiano - Proposta di un regolamento. Sottoscrive inoltre il IV Manifesto Spaziale Italiano del 1951 ed il Manifesto del Movimento Spaziale Italiano per la Televisione del 1952. La vicinanza con la Milena Milani e Carlo Cardazzo spiegano la sua presenza ad Albisola dove esercita anche in ceramica la sua propensione per la pittura gestuale. Con l’amico Gianni Dova sperimenta presso la Fabbrica Mazzotti delle ceramiche con la tecnica del dripping in cui i due artiti su di una scala fanno sgocciolare le tinte su piatti e pannelli di maiolica, procedimento rivoluzionario nei primi anni Cinquanta per Albisola. La necessità di procedere con il gesto in pittura, visto come una liberazione dalle convenzioni accademiche e dalla tradizione, assume le caratteristiche inzialmente della action painting assimilata in una personale a New York tra la fine del 1951 e l’inizio del 1952. Se Fontana procede con i tagli ed i buchi, per evidenziare la realtà di un nuovo spazio plastico di carattere tridimensionale, Crippa si abbandona dalla fine degli anni Quaranta fino alla metà degli anni Cinquanta alla elaborazione cosmica in cui il gesto determina lo spazio e il segno. Nascono i Grovigli, le Spirali e le Elissi. Tra il 1955 ed 1960 sperimenta i Collage e gli Assemlages, per approdare in una evoluzione naturale alla visione Surrealista ed Immaginifica, che anche in ceramica si esprime a pieno con espressioni totemiche, e creazioni intrise di simbolismo fantastico. Appassionato di volo acrobatico riesce a salvarsi nel 1962 ad un primo grave incidente aereo e trova la morte il 19 marzo 1972 nel cielo di Bresso in cui muore anche il suo allievo Piero Crespi. Ass. Lino Berzoini
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Totem a Milena Milani, 1957 Ceramica decorata, d. cm 45,5 Collezione Privata Milano 118
A Milena, 1953 Ceramica decorata, cm 37x25 Collezione Privata Milano
Gatto con occhi azzurri Ceramica decorata, d. cm 28,2 Collezione Privata Milano
Astrazione, 1957 T.m. su cartoncino, cm 54x63
Civetta, 1960c Oio su tela cm 40x49 Collezione Comune di Albissola Marina 119
Spirali, 1954 Olio su tela, cm 60x40 Collezione Privata Milano 120
Composizione, 1962-63 (bozzetto passeggiata degli Artisti) Matita colorata su carta a moduli esagonali cm 40,5x100,5 Collezione Comune di Albissola Marina
Geometrie Olio su tavola, cm 80x80
Millepiedi, 1963 Ceramica smaltata oro, h. cm 55x30
Totem, 1959-60 Ceramica decorata h. cm 28x21 121
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EMANUELE LUZZATI (Genova 1921-2007) Noto soprattutto come scenografo e illustratore, è stato maestro in ogni campo dell’arte applicata. Nato a Genova da una famiglia ebraica, nel 1940 è costretto ad abbandonare la sua città a causa delle leggi razziali; trasferitosi a Losanna si diploma all’Ecole des Beaux Arts. Rientrato in Italia alla fine della guerra, alterna l’attività di pittore, decoratore, illustratore e ceramista; nel 1947 firma la prima scenografia, Lea Lebowitz e successivamente realizza oltre 300 lavori per il teatro di prosa, per il balletto e l’opera lirica per i maggiori teatri italiani e stranieri. Si dedica anche alla realizzazione di film animati, tra i quali La gazza ladra (oscar nomination 1965), L’Italiana ad Algeri, Pulcinella (oscar nomination 1974), Il flauto magico, L’uccello di fuoco. In tutti questi settori riceve svariati premi e riconoscimenti a livello internazionale. Negli anni ’50 inizia a produrre ceramica nell’atelier di Bartolomeo Tortarolo, detto il Bianco. A Pozzo Garitta il Bianco fornisce la collaborazione a numerosi artisti con cui stringe vincoli di sincera amicizia: De Salvo, D’Amico, Fabbri, Fontana, Garelli, Jorn, Rossello, Scanavino, Luzzati e Piombino. La duttilità dell’argilla e la vivacità cromatica degli smalti ben si confanno alla sua verve di estroso narratore, che applica il suo gusto divertito e l’osservazione ironica alla rappresentazione del mondo favoloso come del quotidiano. Al Premio Nazionale della Ceramica tenuto a Villa Gavotti ad Albisola, nel ’54, per il concorso “pannelli ad elementi maiolicati in plastica o pittura” Luzzati partecipa con Calendario della Riviera. Nel 1955 vince il Primo Premio al I Festival International de la céramique di Cannes con il piatto I Cavalieri dell’Apocalisse; riceve altri importanti riconoscimenti nelle mostre realizzate alla galleria milanese Il Naviglio di Cardazzo e alle genovesi Genova, diretta da Cherchi, Isola e Rotta. A partire dagli anni ’50 infatti alcuni maestri, pur con differenti linguaggi, rivolgono particolare interesse all’impiego della ceramica in campo architettonico e dell’arredo. Luzzati per l’architettura realizza grandi pannelli caratterizzati da un vivace cromatismo e un linguaggio tra il fiabesco ed il fantastico, che si rifà alla fantasia popolare: La scoperta dell’America 1950-’60 (Azienda Autonoma di Soggiorno di Albissola Marina), Cristoforo Colombo ebbe in Albisola i natali (Albissola Marina collezioni comunali); Banchetto di Re e Regine in bianco -blu (1960, nella Cassa di Risparmio di Savona), pannello dedicato ai mezzi di trasporto (1958, Agenzia londinese della compagnia di volo israeliana El Al). Dal 1959 al ’63 partecipa alla realizzazione del pannello in pasta vitrea che orna la Passeggiata degli Artisti ad Albissola Marina. Il settore dell’arredamento gli è particolarmente congeniale grazie alla spiccata attitudine a ricostruire illusori universi come scenografo, passando dal decoro di oggetti d’uso ai più svariati elementi di arredo (giochi di scacchi, paralumi, lampadari, camini). Nel 1970 ottiene il riconoscimento albisolese de La rosa d’oro. Nel 1975 fonda a Genova, con Tonino Conte e Aldo Trionfo, il Teatro della Tosse. Dal 1982 , dopo un periodo di pausa, riprende la produzione ceramica principalmente nella Fornace Il Tondo di Celle Ligure; in quell’anno riceve il Premio Biennale di Bratislava e ivi, nel 1991, il premio Klingsor per l’attività di illustratore. Dopo la laurea honoris causa in Architettura all’Università di Genova, realizza l’anno seguente una personale al Centre Pompidou di Parigi e nel 1999 alla Casa Mozart di Salisburgo. Nel 2001 Genova dedica a Luzzati il grande Museo permanente nell’ antica Porta Siberia, realizzata da Galeazzo Alessi e ristrutturata da Renzo Piano; nello stesso anno a Praga sono realizzate due mostre dedicate alla sua scenografia e alle sue illustrazione. In tempi recenti Savona ha allestito nella Pinacoteca Civica un’ esposizione rivolta ai costumi per l’opera lirica (2011). Ass. Lino Berzoini
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I tre Re, 1964 Piatto ceramica decorata, d. cm 55 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola © Nugae srl - Museo Luzzati a Porta SIberia, Genova 124
Una donna grassa che sorride quando passa, 1950c (Fornace Pozzo Garitta) Ceramica e lustri cm 43x22x21 Š Nugae srl - Museo Luzzati a Porta SIberia, Genova
Il lungo pasto del Re e delle sue concubine, 1956 Piatto terracotta smaltata d. cm 48 Collezione Comune di Albissola Marina Š Nugae srl - Museo Luzzati a Porta SIberia, Genova 125
Il Turco in Italia, 1988 (Ceramiche Il Tondo Celle Ligure) Tecnica mista e ceramica decorata cm 28,5x48x26 Š Nugae srl - Museo Luzzati a Porta SIberia, Genova 126
Albissola Vola, 1997 (bozzetto per manifestazione) Tecnica mista cm 68,5x48,5 Collezione Comune di Albissola Marina Š Nugae srl - Museo Luzzati a Porta SIberia, Genova
I due ori, 1953 Tecnica mista su cartoncino, cm 100x42,5 Š Nugae srl - Museo Luzzati a Porta SIberia, Genova
Il Re in esilio, 1962-63 (bozzetto Passeggiata degli Artisti) Tempera su carta a moduli esagonali cm 40,5x100,5 Collezione Comune di Albissola Marina Š Nugae srl - Museo Luzzati a Porta SIberia, Genova 127
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Emilio Scanavino (Genova 1922 - Milano 1986) Nasce a Genova e frequenta le scuole nel capoluogo genovese fino all’iscrizione alla Facoltà di Architettura a Milano. Nel 1946 si sposa con Giorgina Graglia. Nel 1947 è presente per la prima volta a Parigi dove frequenta gli artisti della “ville lumiere” ed assimila la visione artistica postcubista che gli permetterà di affrontare la personale nel 1948 alla Galleria Isola di Genova. Nel 1951 è a Londra per qualche tempo in occasione di una personale alla Apollinaire Gallery e quindi stabilisce il suo studio a Milano in una mansarda di Foro Buonaparte. Nel 1952 giunge alla Fornace Mazzotti di Albisola e nella Piccola Atene ha modo di conoscere e di diventare amico di tanti artisti importanti tra cui Lucio Fontana, Asger Jorn, Guillame Corneille, Sebastian Matta, Wifredo Lam, Giuseppe Capogrossi, Enrico Baj, Sergio Dangelo, Roberto Crippa, Gianni Dova, Agenore Fabbri e Aligi Sassu. Dal 1958 è sotto contratto con la Galleria Il Naviglio di Carlo Cardazzo, anch’esso animatore del clima artistico albisolese. Ormai riconosciuto artista di prima grandezza compie un percorso fatto di mostre e presenze nelle grandi manifestazioni nazionali ed internazionali. Nel 1971 subisce una delicata operazione alla testa per una emorragia cerebrale che però lo restituisce all’arte anche se con una visione del lavoro all’insegna di una minore sperimentazione. Muore a Milano il 28 novembre del 1986 Scanavino necessita di produrre la materia sia essa tela o ceramica con un segno riconoscibile nel quale esprimere la sua concezione di arte al di là della figura. Come esplosione di una creatività tra il primitivismo del gesto e la concettualità profonda insita nella forma e nella decorazione. Approdato, dopo un esordio figurativo, alla visione postcubista la genesi personale lo conduce ad una sorta di dissolvenza e di ricerca della essenzialità a cui affidare il suo tormento esistenziale. Il nodo stilizzato affiora da questo tormento segnico nel 1954 e da allora distingue la sua produzione ed intorno agli anni Settanta si afferma delineato e riconoscibile spesso macchiato di rosso a rendere l’immagine ancora più inquietante. Considerare Emilio Scanavino entro un perimetro classificatorio risulta particolarmente difficoltoso anche se la sua arte può essere inserita genericamente nell’ambito dell’Espressionismo Astratto, senza scomodare inopportune vicinanze in quanto Scanavino è simile solo a se stesso. Ass. Lino Berzoini
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Senza titolo, 1960 Vaso in ceramica decorata, cm 27x21 130
Vaso informale Terracotta decorata e graffita, h. cm 32x31
Senza titolo Olio su metallo, d. cm 32x5 Collezione Privata Milano
Donna regina Piastra ceramica decorata, cm 44x34
Senza Titolo, 1955 Ceramica decorata, d. cm 26x25 131
Grovigli, 1959 Olio su tela, cm 60x73 Collezione Privata Milano 132
Florescenza, 1961 Olio su tela, cm 116x89 Collezione Privata Milano
Il bastone bianco su fondo rosso, 1978 Olio su tela cm 50x50 Collezioni Cassa di Risparmio di Savona
Ammonimento 2, 1978 Olio su tela cm 50x50 Collezioni Cassa di Risparmio di Savona
Ammonimento, 1978 Olio su tela, cm 50x50 Collezioni Cassa di Risparmio di Savona
I tre bastoni, 1978 Olio su tela cm 50x50 Collezioni Cassa di Risparmio di Savona 133
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MARIO ROSSELLO (Savona 1927- Milano 2000) Mario Rossello dalla metà degli anni ‘50 alterna, tra Albisola e Milano, l’attività di pittore a quella di ceramista e scultore. Nell’immediato dopoguerra, quando inizia a far ceramica presso la fornace di Bartolomeo Tortarolo, a Pozzo Garitta, entra in contatto col fertile ambiente artistico albisolese, capeggiato da personalità come Tullio d’Albisola, Fabbri, Fontana, Sassu: presto viene integrato nel gruppo abitualmente riunito al Bar Testa. In particolare attira l’attenzione del critico d’arte Franco Dante Tiglio che lo introduce nel gruppo del Cavallino Rosso nato all’inizio del maggio 1945 Dall’incontro di Tiglio coi giovani artisti Caldanzano, Bonilauri e Pollero scaturisce infatti il desiderio, dopo anni di chiusura culturale imposti dal Fascismo, di rinnovare la cultura figurativa savonese, operando un necessario lavoro di approfondimento e sperimentazione sul linguaggio pittorico, imponendo un’analisi approfondita sulle origini e lo sviluppo dell’arte italiana e optando per una scelta di rigore nel lavoro e nel comportamento dei singoli (Gigi Caldanzano, l’ironia della vita, 2013). Rossello entra nel 1950 nel cenacolo che vede la partecipazione saltuaria anche di Cabiati, Giusto, Gianmariani e Tinti. Egli adotta il gusto e lo studio del colore a sostenere le sue prime creazioni, in cui la composizione è ridotta a linee verticali, orizzontali ed oblique che suggeriscono l’idea del movimento. Su tale composizione imposta, alla fine del decennio e agli inizi degli anni ’60, la scomposizione dei piani, secondo modello cubista, applicando contemporaneamente le linee di movimento proprie della cultura futurista (Savona 900, 2008). Ne nascono soprattutto opere a sviluppo verticale, con colori forti ed ordine compositivo (Mario Rossello, natura significante, 2008). Più tardi è influenzato dal boom economico della metà anni ’60 e dal sogno di un progresso tecnico ed industriale: i dipinti sono allora animati da figure umane robotizzate, quasi totemiche, simbolo di un’ evoluzione positiva di cui l’individuo è vero artefice e dominatore.Dal 1973 Rossello adotta l’ “elemento albero” come motivo ricorrente, assurto presto come simbolo di una realtà che viene vista con occhi nuovi, curiosi: l’albero diventa protagonista di composizioni in cui tutto ciò che è superfluo è eliminato. Con colori vividi, violenti e contrastanti, la pianta, ben conficcata con le radici nel cuore della terra e diritta verso il cielo o piegata sotto le folate del vento, è la sintesi della sua esperienza pregressa, la memoria del suo quotidiano e dell’ambiente in cui è cresciuto e di cui vuole segnalare l’abuso o gridare per la sua salvaguardia. E’ questo un periodo di denuncia e di realizzazione di una propria individualità . Tuttavia negli anni ’80 il messaggio diventerà positivo: l’albero diviene simbolo di speranza, di energia pura, di atteggiamento positivo che coinvolge tutte le creature. L’oggetto, spesso monocromatico, icona di un personale linguaggio artistico, è il tramite che permette all’uomo di entrare in contatto con le sue radici primordiali e col soprannaturale. In campo ceramico dagli esordi nella fornace di Bartolomeo Tortarolo continua alla Ce.As, per approdare infine alle Ceramiche San Giorgio. Dal 1951 realizza opere attraversate dalla scomposizione e semplificazione post-cubista. Aderisce quindi alle tematiche dei Nucleari approdando ad un linguaggio informale: segni grafici e punte acuminate prevalgono nei lavori del 195455. L’impostazione geometrica non verrà mai abbandonata del tutto, ma utilizzata negli anni’60 per realizzare uomini-androidi, composti per sfaccettature e spigoli, simbolo di un’umanità moderna svuotata di valori (Chilosi C. Ughetto L. , 1995). La ripetizione del soggetto-albero, realizzato con colori vivi e smalti accesi, simbolo inscritto spesso in una figura geometrica domina i suoi piatti a partire dalla metà degli anni ‘70 (Albisola. Gli artisti & la ceramica, 1990). L’astrazione formale e soggezione naturalistica dotata di carica simbolica si manifestano anche nelle opere in marmo e in ferro, ove mostra una grande abilità tecnica. I suoi alberi in ferro, in cui spigoli vivi si alternano a superfici levigate e rotonde, manifestano un forte impegno esistenziale e l’urgenza espressiva dell’allarme per la natura. L’incontro con Milena Milani e Carlo Cardazzo gli vale diverse mostre alla Galleria Naviglio (Milano), alla Galleria del Cavallino (Venezia) e alla Galleria Hausammann (Cortina d’Ampezzo), oltre alla partecipazione a numerose personali come presso Galleria Rotta a Genova (1982), Grand Palais a Parigi (1985), Museo di Arte Moderna al San Paolo del Brasile (1987), Standt Museum a Dusseldorf (1996), Triennale di Milano (1997) e Castello di Chenonceau (2000). Ass. Lino Berzoini 135
L’albero verde Olio su tela, cm 135x166 Collezioni Cassa di Risparmio di Savona 136
Il salto del cane, 1965 Olio su tela cm 81x73
Senza titolo, 1960c Olio su tela cm 55,5x46,5 137
Il solitario (Ceramiche San Giorgio Albisola), 1990 Piatto ovale cm 57x46 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola 138
L’albero giallo, (Ceramiche San Giorgio Albisola) 1990 Piatto ceramica decorata, d.cm 51 Proprietà Ceramiche San Giorgio Albisola
Due alberi (Ceramiche San Giorgio Albisola) Vaso in terracotta e smalti policromi, d.cm 47x96 Collezione Comune di Albissola Marina
ContinuitĂ , 1962-63 (Bozzetto Passeggiata degli Artisti) Matita colorata su carta a moduli esagonali cm 40,5x100,5 Collezione Comune di Albissola Marina 139
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Esa d’Albisola (Teresa Baldantoni Mazzotti, Albisola Superiore, 1932 - Savona, 2005) Era figlia di Vittoria (1907-1985) e nipote di Giuseppe Mazzotti, detto Bausin (1865-1944), il capostipite della dinastia di ceramisti che fecero la storia e la fortuna dell’arte figulina di Albisola nel secolo scorso. Anche suo padre, Mariano Baldantoni (1903-1973) fu valente ceramista nella bottega di famiglia, dove operavano gli zii Torido (1895-1988) e Tullio (18991971). Quest’ultimo, col nome di “Tullio d’Albisola”, assegnatogli da Tommaso Marinetti, aderiva al Futurismo imprimendo nel 1930 alla manifattura una svolta decisiva, dichiarando di voler produrre ceramiche «che rovescino la tradizione. Forme policentriche, antimitative, meccaniche. Strati colorati futuristi, violenti, abbaglianti, luminosi». Avviata sin da piccola alla lavorazione della ceramica, Esa ereditò dallo zio spiccate doti artistiche e un atteggiamento libero e anticonformista, formatosi nel cuore del vivace fermento culturale favorito dalla presenza dei molti grandi artisti che frequentavano l’ambiente albisolese. Dal 1960 collabora nella manifattura V.M.A. fondata dalla madre Vittoria e dallo zio Tullio a seguito della divisione delle attività dei fratelli Mazzotti. Sarà Esa, coadiuvata dal figlio Giovanni, ad assumerne la responsabilità nel 1984 mutandone il nome in Ceramiche Mazzotti-Esa, poi Ceramiche Mazzotti. Ambito nuovo e personale della sua attività di sensibile sperimentatrice è la creazione di gioielli in ceramica che, sull’esempio dello zio, firma col nome “Esa d’Albisola”. Segue Tullio anche nei viaggi e a Vallauris incontra Picasso, che si fa fotografare indossando gli orecchini fatti da lei. Dal 1963 rinnova ulteriormente il suo percorso creativo eseguendo gioielli (Esa d’Albisola, gioielli, 1969 ) in oro. La “rosa d’oro” da lei realizzata nel 1965 per lo zio, diventa un riconoscimento ufficiale conferito annualmente ad artisti di fama. Fra le numerose mostre, si ricorda quella presso la Galleria del Bar Testa ad ad Albissola Marina, inaugurata il 29 luglio 1967 con la presentazione e alla presenza di Salvatore Quasimodo. Le insegne episcopali di monsignor Lorenzo Vivaldo (1915-1990), anello, croce pettorale e pastorale, furono eseguite da Esa per la consacrazione del vescovo di Massa Marittima, avvenuta nel 1970, e regalati per amicizia al nuovo presule dalla stessa artista col marito Rinaldo Rossello, come ricordano la dedica firmata sul retro della croce pettorale e la firma sul pastorale. I preziosi oggetti, realizzati in oro e tormaline rosate, con elementi in parte fusi con la tecnica della cera persa e in parte eseguiti in lamina battuta, vennero creati su disegno dell’artista da Bernardo (Benna) De Paoli nel Laboratorio Scultori Orafi di via Santa Maria Maggiore a Savona. La perfetta esecuzione dei gioielli è dovuta all’abilità dell’orafo savonese, capace di modellare la materia in perfetta sintonia con le esigenze richiamate dall’artista. La foggia spregiudicatamente innovativa delle insegne di monsignor Vivaldo si esprime in particolare nel pastorale, la cui sommità si discosta dalla tradizionale forma attorcigliata a “riccio”, per adottare una struttura aperta, “spaziale” (siamo a un anno dallo sbarco sulla luna), tracciata dall’incrocio di tre orbite circolari filiformi con una quarta ellittica. All’interno della costruzione aerea, la croce si espande nello spazio, irradiandosi con tratti liquidi aperti a ventaglio, a simboleggiare l’universalità del messaggio di Cristo. L’idea dell’artista nasce in un contesto culturale, quello albisolese, maturato nel seno dell’avanguardia storica e sensibile quindi alle novità delle neo avanguardie minimaliste. Diversi spunti di ispirazione si possono cogliere sia nelle pennellate selvagge di Jorn, sia nelle strutture aeree dei neon di Fontana; ma le suggestioni più puntuali sembrano derivare dalle ultime nuove spirali di Crippa degli anni ‘60, che evocano immagini cosmiche e planetarie. Mostre: Mostra “Insegne di potestà e servizio, Doni di pontefici, cardinali e vescovi alla Madonna di Misericordia”, 18 marzo 2014 (Magda Tassinari, 2014) Magda Tassinari
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Croce pettorale Oro in lamina battuta e tormalina, cm 11,5x7,5 ProprietĂ della Diocesi di Savona-Noli, custodita dalla Azienda Pubblica di Servizio alle Persone - Opere Sociali di N.S. della Misericordia 142
Anello Oro lavorato a fusione e tormalina ProprietĂ della Diocesi di Savona-Noli, custodita dalla Azienda Pubblica di Servizio alle Persone - Opere Sociali di N.S. della Misericordia
Pastorale Oro lavorato a fusione e in lamina battuta, argento e argento dorato e tormalina, cm 205x d.cm 26 ProprietĂ della Diocesi di Savona-Noli, custodita dalla Azienda Pubblica di Servizio alle Persone - Opere Sociali di N.S. della Misericordia 143
Apparati
Franco Assetto 146
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maria pia torcello,
Mario Gambetta, Acqui Terme, 2012
• Capogrossi,lettere per Ada, a cura di a. zunino, Vimodrone, 2012 • Nel segno di Capogrossi, catalogo mostra Savona, a c. di • Eso Peluzzi e il suo tempo, a c. di c. Terme 2013 •
luca bochicchio,
m. milani s.poggi,
bracco l. zunino,
Savona, 2012
catalogo mostra Monastero Bormida, Acqui
Il Lungomare degli Artisti di Albissola Marina 1963-2013, Milano, 2013
• Gigi Caldanzano. L’ironia della vita, a c. di c. bracco l. zunino, catalogo mostra, Acqui Terme, 2013 •
magda tassinari,
Al Santuario le insegne di Vivaldo, in “Il Letimbro”, n. 4 aprile 2014
151
1. Enrico Bonino, Salvatore Quasimodo ed Angelo Barile 2. Angelo Barile e Camillo Sbarbaro 3. Virio da Savona e Pino Cirone 4. Aligi Sassu, Maria ScarfĂŹ e PIno Cirone 152
1
2
3
4
Carlo Cardazzo, Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi, Milena Milani, Serge Poliakoff, moglie e figlio di Serge Poliakoff, Gualtieri di San Lazzaro. 153
Il Cenacolo Degli Artisti
Albisola, la piccola Atene, da Fontana a Luzzati
Savona, Fortezza del Priamar - Palazzo del Commissario 20 dicembre 2014 - 15 febbraio 2015
Organizzazione Mostra:
Realizzazione materiali scientifici:
Associazione Lino Berzoini. Centro per lo studio e la promozione dell’Arte-Savona
Pubblicitalia, Savona, Litografia Li.Ze.A., Acqui Terme
Restauri: Progetto e Allestimento a cura di: Carla Bracco e Lorenzo Zunino da un’idea di Maria Scarfì Cirone
Progetto catalogo: Carla Bracco e Lorenzo Zunino
Barbara Checcucci restauri, Albisola Superiore
Supporti Espositivi: Bussetti & Mazza, s.r.l., Alessandria; Gemmelegno s.r.l., Savona
Crediti Fotografici:
Michela Zerrilli
Archivio Ceramiche San Giorgio, Giovanni e Piero Poggi, Albissola Marina; Archivio Scarfì Cirone, Albisola Superiore; Archivio Giovanni Rossello Albissola Marina; Archivio Julian Tiscione, Savona; Archivio A.S.P. Opere Sociali di N.S. di Misericordia, Savona; Archivio Fondazione A. De Mari; Archivio Galleria Ada Zunino Milano, Archivio Associazione Lino Berzoini, Studio fotografico di Alberto Rizzerio, Genova Per le immagini di Emanuele Luzzati, © Nugae srl - Museo Luzzati a Porta Siberia, Genova
Apparati didattici:
Ringraziamenti:
Carla Bracco, Lorenzo Zunino
Sovrintendenza per i Beni storici artistici e demo-etnoantropologici della Liguria, Regione Liguria, Comune di Monastero Bormida (AT), Comune di Frontino (PS), Diocesi Savona Noli - Vescovo Mons. Vittorio Lupi, A.S.P. Opere Sociali di N.S. di Misericordia - Savona, Santuario di N.S.
Contributo documentario: Filmato realizzato da Maria Scarfì e Pino Cirone
Edizione catalogo: Lizea, Acqui Terme
Impaginazione
Progetto grafico e realizzazione
materiali pubblicitari:
Pubblicitalia, Savona 154
di Misericordia - Rettore Don Domenico Venturetti, Museo Luzzati a Porta Siberia - Genova, Nugae srl - Genova, Cassa di Risparmio di Savona, Ceramiche San Giorgio - Albissola Marina, Carla Barovetti e Giancarlo Massarella, Massimo Bartoletti, Renato Bazzano, Giorgio Bogliolo, Fulvio Canobbio, Laura Casabona, Simona Castelletti, Ceramiche il Tondo di Mannuzza - Celle Ligure, Giovanni Battista Ceruti, Barbara Checcucci, Cecilia Chilosi, Elio Ferraris, Maddalena Gambino, Roberto Giannotti, Carlo Giusto, Monica Giusto, Renata e Pierluigi Minuto , Ferdinando Molteni, Lauretta Orsini Castelnuovo Scrivia, Gianni Nicolini, Caterina Olcese, Paolo Pacini, Cinzia Pantano, Patrizia Peirano, Simona Poggi, Giovanni Poggi, Piero Poggi, Silvana Priametto, Giovanni Quaglino, Giovanna Rolandi, Giovanni Rossello, Paolo Saltarelli, Marta Sperati, Rino Tacchella, Giampiero Tacchinardi, Giulio Tarasco, Magda Tassinari, Mauro Testa, Julian Tiscione, Gianni Vasco, Nicoletta Veppo, Maria Grazia Virio, Maurizio Vivalda, Renata Guga-Zunino Milani Cattaneo e Ada Zunino. Un ringraziamento particolare a Maria Scarfì Cirone
La mostra ha ricevuto Patrocinio della Regione Liguria
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ISBN: 9788896630433 155
Finito di stampare nel mese di Dicembre 2014 presso Lizea S.a.s. Via San Lazzaro, 16 15011 Acqui Terme (AL)
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Cenacolo degli Artisti Savona, Dicembre 2014
ISBN: 9788896630433
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il enacolo degli rtisti
A
Albisola, la piccola Atene, da Fontana a Luzzati