Eso Peluzzi e il suo tempo

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Eso Peluzzi e il suo tempo


Eso Peluzzi e il suo tempo

Castello di Monastero - Monastero Bormida (At) Chiesa di Santa Caterina - Montechiaro d’Acqui (Al)

28 giugno - 27 ottobre 2013 Con il contributo di:

Monastero Bormida

Montechiaro d’Acqui

Roccaverano

Con il patrocinio di:

Provincia di Savona

Comune di Albisola Marina

Provincia di Asti

Organizzazione mostra:

Restauri: Associazione Lino Berzoini Centro per lo studio e la promozione dell’Arte

Associazione culturale Museo del Monastero Progetto grafico mostra: Carla Bracco, Ilaria Cagno

Progetto e allestimento a cura di: Lorenzo Zunino, Luigi Gallareto, Ilaria Cagno, Carla Bracco

Comitato Scientifico: Carla Bracco, Lorenzo Zunino

Apparati didattici: Carla Bracco, Lorenzo Zunino

Ringraziamenti:

Chilosi Cecilia, Collu Rosalina, Bartoletti Massimo, Olcese Caterina Giusto Renato, Lovati Enrica, Bezzato Luciana, Parone Adriano, Benzi Maria Pia, Ivaldi Livio, Barbero Franco, Pennacino Michele, Signori Alessandro, Becce Carlo, Ferrero Giuseppe, Olcuine Mauro, Casabona Luigi, Gambaretto Ettore, Pellegrino Giancarlo, Scaglia Miranda, Forno Franca, Tacchella Rino, Rossi Carla, Torcello Maria Pia, Calcagno Pietro Giorgio, Caldanzano Dolores, Checcucci Barbara, Borasio Giuseppe, Simonassi Fabio, Fittipaldi Claudio, Nani Giampiero, Cerisola Alba, Galleria d’arte Argento e Blu, Fabiano Franco, Sarzana Giuseppe, Bruzzo Monica, Nole Dion, Sgarminato Viviana, Paolo Peretto, Roberto De Luigi, Merlo Pier Paolo, Cagno Gianfranco, Cresta Luigi, Marone Franco, Spiota Ambrogio, Visconti Luca, Garbarino Davide, Zunino Giuseppe, Blengio Davide, Ciriotti Marco, Motzo Christian

Provincia di Savona, Comune di Montechiaro d’Acqui, Giudici Vittorio, Canobbio Fulvio, Coretti Alessandro, Russo Maria,

A mano libera di Viviana Sgarminato - Acqui Terme (Al)

Supporti espositivi: La bottega del mobile di Pier Paolo Merlo - Terzo (Al) Noi di Cartesio - Bistagno (Al)

Partner assicurativo:

Realizzazione materiali pubblicitari: Litografia Li.Ze.A. - Acqui Terme (Al) Pubblicitalia s.r.l. - Savona

Catalogo a cura di: Carla Bracco, Lorenzo Zunino

Stampa catalogo: Litografia Li.Ze.A. - Acqui Terme (AL)

Coordinamento editoriale: LIZEA ARTE EDIZIONI

Progetto grafico: Lorenzo Zunino, Carla Bracco, Ilaria Cagno


Eso Peluzzi

e il suo tempo


La Provincia di Savona, da sempre, segue con grande interesse le iniziative culturali volte alla conoscenza di artisti che hanno avuto con il nostro territorio un rapporto particolare. La mostra “Eso Peluzzi e il suo tempo” risponde all’esigenza, sentita da Amministratori, operatori del settore, studiosi e artisti, di restituire lustro a quelle opere realizzate in uno dei periodi più fervidi e innovativi del ‘900, abbracciando Liguria e Piemonte. Riscoprire e valorizzare significa richiamare e far rivivere quell’importante momento della nostra storia, un omaggio a Peluzzi mettendo in evidenza anche i Maestri che hanno condiviso il suo tempo, un vero e proprio privilegio da condividere con tutti i suoi estimatori. L’esposizione raccoglie e vanta alcuni dei più rappresentativi dipinti del pittore, un meraviglioso e suggestivo viaggio attraverso la lunga e prolifica carriera artistica, un evento che trasforma questa mostra in un appuntamento per gli amanti della pittura e dell’arte, con opere che spaziano dai paesaggi alle scene dei vecchi del Santuario di Savona. Una magnifica sintesi della sua vita, dei suoi viaggi e delle sue emozioni impresse su tela con personalissime pennellate di colore. Sulle pareti delle sale di Palazzo Nervi vi sono alcune di queste inconfondibili tracce, memorie prestigiose di un uomo che ha dedicato all’arte l’intera esistenza e che siamo lieti impreziosiscano questa meravigliosa antologica. Il Presidente della Provincia di Savona Angelo Vaccarezza

Là dove la provincia di Asti s’incunea nelle alture che quasi guardano il mare non lontano, con il vento quotidiano che accarezza le verdi colline della Langa Astigiana, si estendono paesaggi suggestivi, che certo ispirarono l’animo sensibile del Maestro Eso Peluzzi, figlio del suo tempo e della sua terra, composta di lembi di Piemonte e di Liguria che si fondono l’uno nell’altra. Guardare le sue tele e sentirsi proiettati nella luce tersa di quei luoghi è un tutt’uno. Famigliari e perduti a un tempo, gli scorci evocati da Peluzzi inondano di malinconia piacevole, suscitando il silente desiderio di andarci e di rimanervi per un poco. Spira dalle tele del Maestro un mondo al quale ognuno vorrebbe appartenere, dove si mescolano natura, cultura, quotidianità, dolcezza, che comprende in un solo abbraccio le nevi di Bardonecchia e il piccolo peschereccio sul lido di Varigotti, gli anziani dell’Ospizio del Santuario e le case di Lu Monferrato. La Provincia di Asti celebra il Maestro Eso Peluzzi con il suo patrocinio, ringraziandolo idealmente per la sua arte e la sua capacità di estrarre bellezza dalla sua terra e dalle sue genti. Il Commissario straordinario della Provincia di Asti Alberto Ardia

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Nel congratularsi con l’Associazione Lino Berzoini per il proficuo lavoro svolto in questi anni in merito allo studio e alla valorizzazione dell’arte figurativa ligure-piemontese del Novecento, la Provincia di Alessandria saluta la prossima mostra dedicata a Eso Peluzzi, ribadendo il compiacimento culturale già espresso con il patrocinio dell’ente. Se non sono mancate nel tempo, nell’ambito del nostro territorio, le azioni mirate alla messa a fuoco dell’importante asse Liguria-Piemonte nello sviluppo delle arti figurative, di cui il secolo scorso tanto ha da raccontare, sicuramente prova ulteriore e altamente meritoria è quella che fa capo alla suddetta associazione la quale, anche nell’ultima proposta oggetto di questo evento espositivo, conferma la scelta dotta e suggestiva di far ritrovare agli appassionati e al grande pubblico, i maestri che per nascita ed attività, appartennero all’area geografica compresa tra Savona e Torino. Soprattutto nel paesaggio, ma non meno nella rappresentazione della figura umana, Peluzzi - così come i celebrati Berzoini, Pacetti, De Salvo, Agostani e Gambetta - si fece cantore dell’essenza inconfondibile di quelle e queste terre, restituendola ad una pittura d’eccellenza che venne riconosciuta dall’arte ufficiale e che, a maggior ragione oggi, merita di continuare a risplendere. I rallegramenti di questa Amministrazione vanno alla Presidente dell’Associazione Lino Berzoini, Carla Bracco e a tutti coloro che hanno lavorato per la realizzazione della mostra nelle sue varie fasi, rallegramenti particolarmente sentiti in un momento così difficile nello scenario culturale di questi tempi. Le opere stesse di Eso Peluzzi, la loro collocazione nelle sedi prescelte per l’allestimento - il Castello di Monastero Bormida, la Chiesa di S. Caterina di Montechiaro d’Acqui, la Chiesa parrocchiale di Santa Maria Annunziata di Roccaverano, la cura dell’evento: tutto prova la grande poesia e bellezza di un territorio espressivo dell’arte e della sua forza.

Il Presidente della Provincia di Alessandria Paolo Filippi

“Borghi ameni tra Erro e Bormida, rifugi segreti, appuntamenti d’amore con l’arte”, ha scritto il poeta Angelo Barile, avvertendo, ancora prima che Cesare Pavese acquisisse le nostre terre alla sua poesia, che la pittura ligure-savonese le aveva associate alla ricca policromia del paesaggio artistico italiano. Questa mostra di Peluzzi rappresenta oggi un ideale punto di arrivo e di ritorno di una lunga storia, che affonda le sue radici nei tempi più antichi, se è vero che già un nobile trovatore provenzale del ‘200, Rambaldo di Vaqueiras, amò cantare la bellezza delle nostre donne ed il fascino della nostra terra, le ombre e le luci delle sue colline. E accanto al paesaggio sono gli umori della gente che hanno ispirato Peluzzi per tanti fruttuosi anni della sua attività pittorica, ponendolo in buona compagnia con artisti raffinati, come Augusto Monti, l’autore de “I Sanssossi”, che di Pavese fu maestro o come Marcello Venturi che di questa società contadina fa lo sfondo per l’affresco dei due romanzi “Il padrone dell’Agricola” e “Sconfitti sul campo”. Per non parlare, poi, degli scatti di Ando Gilardi di Ponzone - una delle icone della storia della fotografia europea - o degli spunti più felici di Franco Piccinelli in “Suonerà una scelta orchestra”, o di Jean Servato che dalle vicende di queste terre trasse la materia per una coinvolgente storia di emigrazione e di ritorno, “Il maso desnudo”. L’invito per tutti è dunque quello di rinnovare questi appuntamenti d’amore con l’arte nei nostri borghi ameni tra Erro e Bormida, rifugi segreti per Caffassi, Morando, Martini, Pacetti, De Salvo, Berzoini e specialmente per Peluzzi, maestro di poesia del cuore, di segno e colore…

Il Sindaco di Montechiaro d’Acqui Giampiero Nani

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6Il Castello di Monastero Bormida


Un bene culturale diventa veramente tale non solo quando viene mantenuto e conservato per quanto di storico e di artistico esso rappresenta rispetto al territorio, ma anche e forse soprattutto quando la sua valorizzazione si traduce in un rinnovato senso di appartenenza da parte di chi in quel territorio vive, lavora, studia, viaggia e che si rapporta a tale bene con quel sentimento misto di cura e di orgoglio che lo fa sentire cosa propria. Questo è, in sintesi, quanto è successo a Monastero Bormida con il progetto di restauro del castello medioevale, già abbazia benedettina di Santa Giulia e oggi di proprietà comunale. La complessa e variegata serie di lavori che ha portato, nel decennio 2003 - 2013, alla completa ristrutturazione e valorizzazione dell’antico maniero ha fatto sì che questo imponente edificio diventasse non solo la classica immagine “da cartolina”, ma un centro culturale vivace e ricco di iniziative di vario genere e di alto livello. Così, a poco a poco, sia i turisti e gli appassionati d’arte, sia la gente del paese e della Valle Bormida, hanno iniziato a sentire il castello e gli eventi che ad esso fanno riferimento come “cosa propria”, cioè come parte integrante del tessuto culturale e sociale del territorio. E questo riscoperto legame tra il paese e il suo monumento-simbolo è un risultato molto positivo, che fa bene sperare per le iniziative future. Un suggestivo “contenitore”, infatti, non esprime al meglio le proprie potenzialità se non accoglie in sé contenuti altrettanto importanti e coinvolgenti. Ecco allora prendere corpo varie iniziative di diverso genere, che negli anni si sono identificate con il castello di Monastero Bormida: dal festival “Dietro l’angolo - Masca in Langa” alla rassegna “Musica e teatro nel borgo”, dall’inserimento nel circuito “Castelli Aperti” alle giornate di studio dedicate allo scrittore Augusto Monti, che in paese ebbe i natali. Mancava, finora, un evento a lungo termine, ripetibile negli anni, di assoluta qualità e legato al territorio, capace di focalizzare l’attenzione su Monastero Bormida a livello interregionale. La scelta di organizzare, nei suggestivi locali dei saloni sottotetto e nella torre maggiore la mostra “Eso Peluzzi e il suo tempo” è la risposta ideale a tale esigenza. Innanzi tutto per l’assoluto valore del Maestro Peluzzi e degli oltre venti artisti che accanto alle sue opere sono rappresentati così da fornire un quadro sinteticamente esaustivo del contesto culturale in cui egli ha vissuto e lavorato; e poi per l’indubbio legame territoriale che Peluzzi rappresenta in quest’area a margine tra Langhe, Appennino e Riviera, dove i calanchi di Montechiaro, le terrazze di Roccaverano, le colline di Monchiero e i paesaggi savonesi costituiscono un ideale itinerario che non è solo geografico ma anche personale, emotivo e artistico. Chi visiterà la mostra avrà così l’occasione di ammirare un completo excursus del percorso artistico di Peluzzi, esemplificato con scelte accurate e non banali di opere del Maestro - alcune delle quali assolutamente lontane finora dalla ribalta di esposizioni e pubblicazioni - e anche di abbinare una giornata di rilassante percorso turistico-culturale nelle Valli Bormida, approfittando magari di una sosta panoramica e golosa sulla splendida piazza di Roccaverano (nella cui parrocchiale bramantesca è conservata una “Deposizione” di Peluzzi), per poi concludere il viaggio nel suggestivo borgo medioevale di Montechiaro Alto - dove il Maestro visse per anni e che immortalò in decine di tele - per ritrovare nella chiesetta di Santa Caterina una sezione della mostra dedicata specificamente ai paesaggi e alle ambientazioni montechiaresi. Tutto ciò è il risultato non di un progetto “calato dall’alto” e imposto al territorio, ma dello sviluppo di una idea di valorizzazione nata dalla proficua collaborazione tra associazioni di volontariato, amministrazioni locali, esperti del settore. É un’idea che ha coinvolto le persone prima che gli enti e le istituzioni, e che ha fatto leva sul volontariato, necessariamente integrato e coordinato da momenti di professionalità e dal necessario contributo di Comuni e Fondazioni bancarie, tra cui spicca l’intervento della Fondazione C.R.T. nell’ambito del bando “Esponente 2012”. La speranza dell’Amministrazione Comunale è che questa mostra possa essere non un evento “una tantum”, ma l’inizio di un progetto duraturo, tale da caratterizzare la realtà culturale locale nei prossimi anni. L’Amministrazione Comunale di Monastero Bormida 7


8Peluzzi dipinge nel suo studio


ESO PELUZZI Eso Peluzzi è un nome caro, forse il più caro, per chi a diverso titolo si occupa di arte nell’ideale triangolo geografico compreso tra le città di Savona, Genova e Torino. L’ammirazione per l’arte del Maestro è da decenni di carattere nazionale e non solo, ma proprio nel triangolo ligure-piemontese ha il suo cuore pulsante che batte oggi, a quasi trenta anni dalla scomparsa, più che mai. Questa mostra vuole essere un omaggio ad Eso Peluzzi che scaturisce da una profonda ammirazione sia per l’opera artistica, fatta di tecnica forma e colore, e sia per la carica sentimentale che da essa emerge. Nella consapevolezza, spirituale e concreta allo stesso tempo, che in effetti Eso Peluzzi ci parla ed è ancora tra noi mediante le sue opere che compiono il miracolo, destinato solo ai grandi artisti, di renderlo immortale. Nella sede centrale del nascente spazio museale situato nella prestigiosa collocazione del Castello di Monastero Bormida, si è voluto rappresentare, con circa cinquanta opere, il percorso creativo del Maestro, cercando di privilegiare le opere inedite e maggiormente rappresentative di ogni fase produttiva. Pur conservando un occhio di riguardo per i meravigliosi paesaggi delle terre di mezzo tra Piemonte e Liguria che si chiamano Monferrato e Langhe, appaiono in evidenza le opere materiche ed ispirate degli anni Venti e quelle mature e consapevoli degli anni a seguire, i temi sociali in cui la sofferenza umana appare protagonista e la leggera spensieratezza di un paesaggio di primavera. Accanto alle vedute del Santuario di Savona, si collocano i meravigliosi scorci di Varigotti, gli struggenti paesaggi invernali e le scene di una campagna verdeggiante e persino le immagini di una Parigi di metà secolo. Nella piccola chiesa di Santa Caterina a Montechiaro Alto hanno conosciuto la giusta valorizzazione i paesaggi dedicati proprio al caro borgo piemontese ed agli immediati dintorni. Gli scorci del paese, per grande parte rimasti immutati nel corso del ‘900, giocano a riflettersi nelle scene incorniciate, invitando gli osservatori a soffermarsi su di un mondo meraviglioso che sembra scomparso ma che riappare agli animi privilegiati, maggiormente sensibili. La suggestione del paesaggio e la spiritualità evocativa del luogo rendono la presenza di Eso, che qui a lungo e a più riprese ha soggiornato, quasi evidente. Nel circuito espositivo a cavallo tra le province di Asti ed Alessandria è stata inserita la chiesa di Santa Maria Annunziata a Roccaverano, splendido scrigno realizzato su progetto del Bramante che custudisce la celebre “Deposizione” di Peluzzi. La visita oltre a consentire la scoperta privilegiata della tela vuole proporre l’occasione per la riscoperta di uno dei più caratteristici borghi italiani. Al fine di rappresentare il tempo di Eso Peluzzi ed alcuni degli artisti che hanno legato la loro esperienza artistica e di vita con il Maestro cairese, sempre nel Castello di Monastero sono esposti, con due opere ognuno, venti amici: Arturo Martini, Gigi Chessa, Alberto Caffassi, Pietro Morando, Carlo Carrà, Lino Berzoini, Giovanni Battista De Salvo, Ivos Pacetti, Virio da Savona, Giuseppe Gambaretto, Raffaele Collina, Gigi Caldanzano, Carlo Bossi, Mario Gambetta, Emanuele Martinengo, Libero Verzetti, Emanuele Rambaldi, Antonio Agostani, Domenico Valinotti e l’amatissino “Leonin”, Carlo Leone Gallo. In qualche caso si è voluto rappresentare sia un’opera pittorica che una ceramica. Ognuno di essi è legato a Peluzzi, oltre che da una evidente condivisione generica della pratica pittorica, anche da episodi di vita. In particolare i più giovani hanno visto in Eso un esempio da seguire sia dal punto di vista artistico, la pittura di paesaggio nelle varie personali declinazioni, sia dal punto di vista umano, ideale personificazione di colui che di arte sa vivere e sa trarre sostentamento economico oltre che spirituale. In novantun’anni anni di vita il Maestro ha prodotto una notevole serie di opere, sperimentando ed appropriandosi delle diverse tecniche pittoriche quali il pastello, l’acquarello o le incisioni all’acquaforte oltre che la pittura ad olio, per rivolgersi anche con forte dedizione alla pittura murale nelle committenze pubbliche per chiese e comuni. I soggetti sono quelli della pittura di tradizione, il paesaggio, la figura umana, la natura morta, resi con grande equilibrio 9


tonale che privilegia in ogni opera accordi di colori armonici, con la funzione, come le note in musica o le parole in poesia, di trasportare lo spettatore oltre all’evidente, alla rappresentazione, per innalzarlo al livello superiore dello spirito. Oggi le opere presenti nelle case, testimoniano come Eso Peluzzi sia stato nel corso di tutto il Novecento. Un artista estremamente amato con una clientela trasversale costituita sia dall’ alta borghesia, che vedeva in Peluzzi un artista colto, raffinato, sia dalla gente comune a cui il Maestro sapeva parlare in modo privilegiato. Ante 1894 Il nonno paterno, Giovanni Peluzzi, si stabilisce a Cairo Montenotte provenendo da Brescia, in fuga dopo i combattimenti delle Dieci Giornate, storico epilogo della disastrosa prima Guerra d’Indipendenza. Nel piccolo paese del Regno Sabaudo, tra Liguria e Piemonte, esercita la professione di scultore ebanista e decoratore ligneo in oro. Il figlio Giuseppe segue inizialmente le orme paterne specializzandosi successivamente come liutaio. Uomo di grande cultura, appassionato di storia, arte, letteratura antica e filosofia, si unisce in matrimonio con Placida Rodino la quale per arrotondare il magro bilancio famigliare si inventa il lavoro di fotografa. Suoi soggetti consueti sono gli sposi, i contadini al servizio della nobiltà locale ed i giovani arruolati nell’esercito in sosta o in congedo nel paese natio. Giuseppe attribuisce a ciascuno dei nove figli un nome mitologico a cui accompagna, per disposizione del prete, un nome di santo cristiano. 1894 - 1919 Il 6 gennaio 1894 nasce Eso cui viene dato il secondo nome di Luigi, in quanto il prete si rifiuta di impartire il sacramento del battesimo a nomi ritenuti pagani. In considerazione del giorno di festa, l’Epifania, l’ufficio anagrafe registra la nascita come avvenuta il giorno seguente. L’ambiente famigliare e la bottega artigiana del padre nei primi anni di vita contribuiscono a creare in Eso la particolare predisposizione per l’attività artistica ed in particolare per il disegno. Le sensazioni dei primi anni rimarranno per sempre scolpite nell’animo del bambino e ne influenzeranno in tardissima età addirittura la produzione artistica. Nel 1900 inizia a frequentare le scuole elementari. Risale a questo periodo il contatto con il pittore Carlo Leone Gallo “Leonin”, più vecchio di venti anni, che gli spalanca le porte di un nuovo mondo, fatto di camminate in mezzo alla campagna alla ricerca dello scorcio adatto per essere dipinto, di colori sparsi sulla tavolozza, di profondo amore per la natura. “Leonin”, a prescindere dagli inquadramenti accademici, di cui era comunque dotato, è un ottimo Maestro. É l’esempio che conta. Il pittore è solo con la propria dotazione davanti ad uno spettacolo unico e meraviglioso. La solitudine ed il gesto virtuoso mediato dalla propria carica emotiva lo avvicinano a concetti universali, al senso della vita, all’amore per il creato e quindi a Dio. La lezione fondamentale che Eso apprende dall’amico, oltre all’amore ed al rispetto per le manifestazioni della natura ed ai rudimenti della tecnica pittorica, è proprio la predisposizione d’animo con cui l’artista si sofferma a dipingere, pregna di profonda e serena spiritualità, quasi religiosa. In rispetto ed in omaggio al Maestro d’infanzia, Peluzzi evita di rappresentare nelle sue opere gli scorci del paese natio, i quali hanno costituito, per Gallo, la più importante fonte di sostentamento nella sua semplice vita. Carlo Leone Gallo rappresenta una pittura di transizione tra i due secoli. Allievo giovanissimo a Savona di Lazzaro de Maestri si affina successivamente all’Accademia Albertina. Lontano dai grandi centri artistici rimedia con la passione ed una sensibilità rara. Il paesaggio della Val Bormida, la figura umana e gli ingenui ed ispirati ex-voto gli permettono di vivere di arte. La vera grande passione del giovane Eso, è rivolta però alla musica ed in particolare al suono dei violini che nella bottega del padre vengono costruiti e suonati dai musicisti acquirenti per constatarne le caratteristiche armoniche. Avviato agli studi di violino al Conservatorio di Parma la domanda d’iscrizione giunge in ritardo ed il sogno si interrompe. Nel 1906 Eso viene iscritto alle scuole tecniche di Savona per passare l’anno successivo a quelle di Torino. 10


Nel 1910 tutta la famiglia si trasferisce nella capitale sabauda e l’anno successivo si iscrive all’ Accademia Albertina di Torino sotto la guida di Giacomo Grosso che vede in Eso l’allievo prediletto, di Cesare Ferro e di Paolo Gaidano. Si inserisce nell’ambiente artistico del tempo e frequenta in amicizia Alberto Caffassi e Gigi Chessa. Alberto Caffassi, coetaneo di Peluzzi, condivide con l’amico lo studio all’Accademia Albertina e la dedizione per la pittura di tradizione. Tratta in particolare, oltre al paesaggio, la figura e grandi composizioni di carattere religioso. Ha lasciato opere di grande livello con scorci rappresentativi della campagna piemontese e della vicina Liguria. Gigi Chessa è da considerarsi artista poliedrico e geniale. Ceramista alla Lenci, intercetta istanze proprie della scultura ed in pittura approda ad esiti anti accademici aderendo al gruppo dei “Sei di Torino”. Scompare prematuramente interrompendo un percorso da grandissimo. La pittura d’esordio risente degli studi accademici e dell’influenza verista del Maestro Giacomo Grosso per passare ai soggetti romantici alla Millet. Uno dei primi pezzi viene acquistato dallo stesso Grosso. Nel 1913 Peluzzi vince la medaglia d’oro dell’Accademia Albertina, per un’opera intitolata “Il pastore”, un ragazzo a torso nudo che suona il flauto. Il quadro in perfetto stato di conservazione è apparso nel catalogo di una casa d’aste torinese nel 2007, con il titolo “Pastorello” olio su tela cm 100x73, e rappresenta un giovane seduto a torso nudo con una pelle conciata sulle gambe ed un cappello che nasconde quasi del tutto il viso in ombra. Il giovane è colto in un attimo di pausa, in piena concentrazione, prima dell’esecuzione. La pelle indossata sulle gambe, riprende in luce il colore omogeneo del fondo a cui anche la testa con il cappello sembra appartenere in una tonalità appena più scura, dello stesso colore dello strumento musicale. Il torso nudo del giovane per la parte di destra è pienamente illuminato rilevando le pieghe della pelle e le ossa prominenti, testimoni di una vita di stenti. Il corpo glabro del giovane è accostato in un sottile simbolismo decadente alla pelle conciata dell’animale, accumunate da un medesimo misero destino. Sia per l’impianto scenico che per la perfezione del tratto tonale sembra difficile che Peluzzi, non ancora ventenne, possa aver realizzato un’opera di tale importanza. É plausibile che all’opera abbia partecipato in modo non solo teorico anche Giacomo Grosso, pur lasciando al discepolo la grande parte dell’esecuzione. Nel 1913, in conseguenza della medaglia d’oro, ottiene una borsa di viaggio con cui si reca a Perugia, Assisi, Siena e Firenze. L’anno dopo vince una seconda borsa di viaggio e visita Venezia. Il 1915 è un anno intenso e cruciale per Eso Peluzzi che si diploma all’Accademia Albertina ed il 24 aprile si sposa con Delfina Pugno a Lu Monferrato. Con la moglie abita a Torino in via Cavour, ma con lo scoppio della guerra, il 24 maggio, viene chiamato alle armi nella 54^ Batteria del I reggimento di Artiglieria di Montagna. Nello stesso anno nasce la sua unica figlia, Elsa. Nel 1917 muore la madre e nel 1919, uscito invalido dal conflitto, ritorna a Cairo Montenotte. 1919 - 1930 Dal 15 giugno 1919 si trasferisce con la famiglia nel borgo del Santuario di Savona in una casa prospiciente la piazza del Santuario. I soggetti preferiti sono gli anziani dell’Ospizio ed i paesaggi circostanti, colti nei passaggi stagionali e fissati sulle tele con grande sensibilità. Per cogliere alcuni riferimenti importanti per il giovane artista si deve considerare che nel 1919 viene meno la figura di Alessandro Morbelli, che tanto influenza il nostro artista soprattutto con le scene del Pio Albergo Trivulzio. Nel 1920 a Milano viene organizzata una mostra su Pelizza da Volpedo, alessandrino come Morbelli, morto nel 1908, e in quell’anno scompare anche un altro grande, Gaetano Previati. Certa contaminazione deriva dalla scuola torinese di fine Ottocento - inizio Novecento, con straordinari maestri quali Lorenzo Delleani (1840-1908), Enrico Reycend (1855-1928), Andrea Tavernier (1856-1932), che Peluzzi ha sicuramente osservato durante gli anni dell’Accademia, nelle diverse esposizioni torinesi e non. 11


Peluzzi riceve la cittadinanza onoraria della cittĂ di Savona 12


Nella primavera del 1920 è presente alla LXXIX Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino con uno “Studio di testa” e nell’ottobre dello stesso anno partecipa alla XXII Esposizione degli Amici dell’Arte di Torino con alcuni studi di paesaggi. L’opera “Case al sole” è acquistata dalla Casa Reale. Contemporaneamente avviene l’incontro con Arturo Martini, che da Vado Ligure si reca a Santuario per conoscere il giovane collega. Nonostante la guerra è un artista già conosciuto che alle spalle ha una esposizione alla prestigiosa Ca’ Pesaro e soggiorni a Monaco e a Parigi. Nella capitale francese ha esposto al Salon d’Automne. La conoscenza di Arturo Martini è da considerarsi fondamentale nella vita sia artistica che famigliare di Peluzzi. Arturo Martini è da considerarsi come il maggiore scultore del secolo. La sua personalità complessa ed il suo estro inarrivabile lo elevano ad esiti mai scontati compiendo un percorso che dalla figurazione classica arriva ai concetti di “Valori plastici” fino a giungere al limite dell’astrazione. Egli rappresenta, infatti, il prototipo dell’artista di successo e testimonia come di arte si possa vivere e persino diventare famoso e ricco. Il concetto non è da sottovalutare visti i tempi. La professione di pittore o scultore erano infatti considerate, soprattutto in città di provincia lontane dai salotti che contano, professioni da fame o al massimo adatte per “bohemiennes” senza responsabilità famigliari. Nello stesso anno Martini avrebbe esordito a Milano con una personale presentata da Carlo Carrà e poi l’anno successivo avrebbe aderito a “Valori plastici” trasferendosi a Roma. L’amicizia tra i due venne meno solo con la morte dello scultore nel 1947. A testimoniare il legame tra Peluzzi e Martini in quei anni Venti e la reciproca considerazione artistica ed umana, è sufficiente citare un episodio illuminante tratto dal libretto “Arturo Martini. Figliol Prodigo” a cura di Claudia Gian Ferrari. Si tratta del capolavoro dello scultore oggi conservato presso l’Ospizio Ottolenghi di Acqui che Peluzzi vede nello studio-cantina di Martini a Vado Ligure: “É all’amico e pittore Eso Peluzzi che si fa risalire l’idea e la proposta della fusione in bronzo.” Così racconta Peluzzi a Carlo De Benedetti nel 1929: - ricordo, quando lo vidi per la prima volta, che il gruppo in gesso era al centro della stanza ed arrivava fin quasi al soffitto. Prima di farmi entrare Martini mi aveva avvertito: vedrai una grande statua che ti metterà alla prova. La guardavo da ogni lato, mi avvicinavo e mi allontanavo, facevo scorrere la mano sulle figure e mi parevan vive; Martini attendeva che io parlassi e mi fissava coi suoi occhi luccicanti, ma io dall’emozione non seppi pronunciare parola. Una cosa sola riuscii a dire alla fine: è un capolavoro. Dal sorriso di Martini capii che aveva creduto nella mia sincerità. Aggiunsi subito: bisogno fonderlo in bronzo”. Lo stesso Peluzzi contattò un industriale di Como, Antonio Balbis, per convincerlo a finanziare la fusione. E così avvenne l’incontro sempre nel cupo studio-cantina di Vado. Nel 1921 Peluzzi allestisce alla LXXX Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino cinque opere con un lusinghiero successo da parte della critica. Nello stesso anno è presente con quindici lavori all’Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Savona. Nel 1922 partecipa con diciassette opere alla LXXXI Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. Nello stesso anno vince la medaglia d’oro alla Esposizione Generale Interregionale di Savona a cui partecipa con tre opere e interviene all’Esposizione Artistica Piemontese-Sarda ad Alessandria, organizzata da Alberto Caffassi, Pietro Morando e Giuseppe Manzone. Pietro Morando si distingue per un suo stile semplice ed incisivo derivante dalla capacità di gestire in primo luogo il disegno. In pittura distribuisce il colore intensamente con partiture dello spazio decise, in assenza di sfumature. Emerge un senso poetico originale ed una carica di forte suggestione figurativa, in cui protagonisti sono la povera gente o gli scorci incantati del Monferrato. 13


Peluzzi osserva la piazza a Santuario (Sv) 14


Nel 1923 espone alla LXIX Esposizione della Società di Belle Arti di Genova, alla Quadriennale di Torino e alla XXV Esposizione della Società degli Amici dell’Arte sempre a Torino. Ancora nell’ottobre del 1923 allestisce a Como presso l’Istituto Carducci 45 opere tra dipinti, bozzetti e disegni. Nel 1924 espone alla Società di Belle Arti di Genova ed alla Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino e nel novembre dello stesso anno presso la Galleria Bottega di Poesia di Milano viene organizzata la prima personale di Eso Peluzzi, con novantatré opere. Carlo Carrà sul numero de “L’Ambrosiano” dell’8 novembre 1924 recensisce il giovane Peluzzi, probabilmente su raccomandazione di Arturo Martini, come un artista originale non allineato su facili posizioni. In effetti le sue opere del periodo sono frutto di puro istinto, che pur allacciandosi ad una sorta di realismo accademico di fine Ottocento testimoniano una ricerca della giusta via con sperimentazioni continue che vanno dalla forte introspezione psicologica nei ritratti, alla ricerca nella stesura del colore e della resa luminosa, senza soffermarsi troppo sulla compiutezza formale. Carlo Carrà, nativo di Quargnento, ha il coraggio di dedicarsi completamente all’arte abbandonando ben presto il paese natio. La tragedia della guerra lo porta alla fortuita coincidenza nel 1917, a Ferrara, di incontrare Giorgio De Chirico e Filippo De Pisis. Dalla definizione dello stile metafisico ben presto si affranca in un percorso originale che lo rende uno degli artisti più rappresentativi del Novecento italiano e non solo. Nel 1925 interviene all’ Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino ed a quella del Gruppo Artisti Combattenti presso la Galleria Pesaro di Milano. In quell’anno compie due viaggi importanti. Il primo lo porta per tutta l’estate ad Assisi dove esegue diversi dipinti rappresentanti in interno ed esterno delle chiese. Le opere vengono successivamente, in autunno, esposte alla IX Mostra d’Autunno di Como. Il secondo viaggio lo porta in Olanda dove ha modo di studiare i grandi del passato. Nel dicembre del 1925 espone presso l’annuale mostra della Società degli Amici dell’Arte a Torino. Nel 1926 Eso Peluzzi partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia con due opere “Contadina delle Langhe” e “Paesaggio delle Langhe”. Sempre nel 1926 alla LXXXIV edizione della Promotrice di Torino il dipinto “Inverno a Montechiaro” viene definito da Emilio Zanzi come un’opera di alto valore poetico. Nel 1927 partecipa per la prima volta all’Esposizione della Società Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma, quindi è a Torino alla Quadriennale ed all’esposizione della Società degli Amici dell’Arte. Ancora nel 1927 lo troviamo all’Esposizione della Società di Belle Arti di Genova ed alla IV Esposizione d’Arte Moderna di Biella. Nello stesso anno opera a fresco nella chiesa parrocchiale di Ellera d’Albisola realizzando quattro tondi con i busti degli “Evangelisti” e l’ovale con la rappresentazione del “Martirio di San Bartolomeo”. Nel 1928 è ospite all’ Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino e quindi alla XVI Edizione della Biennale di Venezia con il quadro “Poveri dell’Ospizio del Santuario”. Sempre nel 1928 lavora nella Basilica del Santuario di Nostra Signora della Misericordia di Savona in cui affresca il coro degli Angeli dell’abside. Alla conclusione del lavoro compie il primo viaggio a Parigi. A dicembre partecipa alla Mostra d’Arte del Presepio di Savona. Nel 1929 espone alla II Mostra del Novecento Italiano organizzata da Margherita Sarfatti presso il Palazzo della Permanente a Milano. Peluzzi partecipa con due disegni dedicati al “Canto dell’Evangelo”. In marzo lo troviamo alla Prima Mostra del Sindacato Laziale Fascista degli Artisti Italiani a Roma, e a giugno aderisce ad una mostra collettiva itinerante che parte da San Paolo del Brasile e tocca diverse città del Sud America. Sempre nel 1929 espone otto opere alla Prima Mostra d’Arte del Sindacato Fascista delle Belle Arti di Genova. Nel 1930 partecipa alla XVII Edizione della Biennale di Venezia con le due opere “Nudo” e “Santuario di Savona” che viene acquistata dalla Galleria d’Arte Moderna di Torino. 15


1931 - 1945 Dal 24 gennaio al 1 febbraio 1931 presso la Sala d’Arte Guglielmi di Torino viene organizzata una personale di Peluzzi con trentadue oli e dieci disegni. Su “Il giornale dell’arte” il futurista Fillia recensisce con grande entusiasmo la mostra del nostro Maestro definendolo come sereno spiritualista. Il giudizio pur lusinghiero di Fillia mostra un interesse che sfocia nello stesso anno con il manifesto della “Spiritualità Futurista” redatto con Marinetti. Veramente curioso è il contatto tra il movimento “futurista” che sente tutti i suoi venti anni e fatica a rinnovarsi ed Eso Peluzzi che, schivo e appartato nel suo isolamento, sembra lontano ed interessato ad altre esperienze. Marinetti, Fillia e Farfa cercano di coinvolgerlo e proprio la spiritualità così evidente e quasi commovente nei lavori di Peluzzi diventa il motivo per stare insieme, tanto da essere oggetto di un manifesto futurista. Merito di questo contatto lieve ma consapevole è da attribuirsi, oltre che alla presenza di Fillia e Farfa alle mostre di Peluzzi e nella vicina Albisola, anche probabilmente alla mostra “Marinetti e i suoi trentatre” organizzata nel 1929 alla Galleria Pesaro di Milano. In essa vengono ospitate le ceramiche futuriste di Tullio d’Albissola, che ben conosce Peluzzi e la sua cerchia di amici quali Arturo Martini, Nanni Servettaz e che ad Albisola, come da secolare tradizione, apre le porte della sua bottega agli artisti che intendono sperimentare “l’arte sottile”. A Roma nello stesso anno apre i battenti la Prima Quadriennale d’Arte Nazionale organizzata da Cipriano Efisio Oppo nelle sale del Palazzo delle Esposizioni. Eso Peluzzi presenta “Giorno di sagra”, “Figli di pescatori” e “Mattino”. Quest’ultima opera viene acquistata dal Ministero dell’Educazione Nazionale per la Galleria d’Arte Moderna di Roma. Nell’occasione Roland McKinney direttore del Museo di Belle Arti di Baltimora sceglie 75 opere da esporre in diverse città americane: Peluzzi entra tra i prescelti proprio con “Giorno di sagra”. Sempre nel 1931 troviamo il nostro artista all’opera sulla Torre del Brandale di Savona, realizzando a fresco un’opera andata perduta raffigurante “L’apparizione della Madonna della Misericordia al Beato Botta”. Nello stesso anno si impegna nel riordino della Pinacoteca Civica di Savona con gli artisti Orlando Grosso e Mario Gambetta. Nel 1932 alla XVIII edizione della Biennale di Venezia espone sette oli dal titolo “Suonano”, “Ultime luci”, “Montechiaro d’Acqui”, “Pesaggio ligure”, “Inverno a Santuario di Savona”, che è acquisito dal Ministero della Educazione Nazionale per la Galleria d’Arte Moderna di Roma, “Nevicata in Liguria” e “Santuario di Savona”. La pittura di Eso Peluzzi comandata da quell’estro naturale ed ancestrale che è tipico degli artisti sembra affinata dagli anni di studio ed applicazione, ma non troppo. Almeno non appare evidente. Il paesaggio del basso Piemonte, la valle del Santuario, le marine di Varigotti, gli scorci indovinati ad Assisi, Como, Venezia o Parigi, sembrano rispondere ad un’ esigenza profonda ed intima che si nutre di equilibrio tonale e sentimento, i quali vibrano con il suo spirito interiore e con i suoi stati d’animo, mutevoli come sono mutevoli le stagioni. Nello struggente autunno, nel rigido inverno, nella delicata primavera, nella gioiosa estate Peluzzi accorda i suoi strumenti. Il suono che ne scaturisce non è mai esagerato, mai esasperato, ma tenue e sommesso sempre in bilico tra una malinconica evocazione ed una repressa felicità. Un dialogo sempre cercato la cui formula è frutto di alchimie impoderabili, lunghi silenzi e slanci improvvisi. Nelle varie prove, dal paesaggio ai ritratti, dalle scene con figure alle nature morte, per finire alla pittura di religione, Peluzzi non si smentisce. Il minimo comun denominatore è la sapiente formulazione cromatica ed una sorta di improvvisa e misteriosa meraviglia al cospetto della scena. La sua preparazione tecnica si piega all’arguta intelligenza, all’enorme carica sentimentale che si avvicina ad una rispettosa e timida religiosità e solo raramente si impregna di sottile ironia. Nel disegno il tratto è abile e sicuro, ma la ricerca espressiva è tipica di un pittore di scena che disegna e non viceversa. La capacità di realizzare il chiaroscuro lo rende anche un ricercato incisore. Alcune evocazioni del Santuario o scorci di paese, sono tra le pagine più sentite dell’intera produzione. La tensione ed il tormento per una continua ricerca artistica e la solitudine dell’uomo davanti alla tela bianca sono rappre16


sentati al meglio da Domenico Astengo nelle bellissime pagine dell’opuscolo “Lettere da Pareto” in cui sia Eso Peluzzi che l’amico Gibba De Salvo danno testimonianza di sé e dei tempi che stanno vivendo: 12 febbraio 1932 - Lettera di Peluzzi ad Angelo Barile da Prunetto “Carissimo Barile, sono a Prunetto da parecchi giorni, bloccato dalla neve da mercoledi. Sono un Re (senza corona) e dal mio castello godo quello che tu non puoi immaginare. Sono però privo di ogni benessere, anche di quelle piccole cose che sono tanto necessarie per chi vive a 750 metri, solo come un povero cane. Sono in bolletta completa e vivo di latte al mattino e minestra la sera. Mandami se puoi 300 lire che mi fanno tanto comodo. Te le restituirò al mio ritorno. Lavoro molto nonostante il freddo. Ho fatto delle nevicate che vedrai. Ricordami agli amici cari, Gambetta, De Salvo, Farfa ecc…” 21 marzo 1936 - Cartolina di De Salvo ad Angelo Barile da Roccaverano “Sono con Cian, (il pittore Rodocanachi), fa molto caldo, il cielo è pieno di stelle. La fede non manca.” 12 agosto 1941 - Lettera di De Salvo a Lucia Rodocanachi da Pareto “Qui vivo da Padreterno. Polli, conigli, piccioni, tagliatelle e pane bianco tutti i giorni. Le garantisco cara signora che quasi quasi, pensando ai giorni tristi in cui siamo, a volte mi vergogno. Però darei volentieri, e questa è la verità, il mio fornitissimo pollaio, conigliera e piccionaia, per il suo orticciolo. Lei sa quanto a me piaccia la verdura anche solamente lessa con un poco di sale (di olio è meglio non parlarne!). Questo sarebbe il Paradiso per il buon Fabbri! L’altro giorno ebbi la visita di Peluzzi. Venne alla sera alle 8 e partì il mattino seguente alle 5 e mezzo. Scopo della visita? Devo saperlo ancora adesso, almeno, la verità. Lui mi disse che sentiva il bisogno di vedermi, salutarmi e stare qualche ora con me. Sarà! Ad ogni buon conto i miei quadri non glieli ho fatti vedere con la scusa che era ormai buio. Ciò lo sorpese un poco qundi mi fa pensare che lo scopo della visita possa essere proprio quello dei quadri. Li vedrà, belli o brutti a Venezia.” Nel novembre partecipa con venti, tra oli e disegni alla mostra “6 Artisti Moderni” organizzata presso la Galleria Rotta a Genova, con Peluzzi espongono Arturo Martini, Nanni Servettaz, Oscar Saccorotti, Libero Verzetti ed Emanuele Rambaldi. Libero Verzetti si evidenzia come tra gli artisti più sensibili alle mutazioni temporali appropriandosi in senso misurato di influenze di volta in volta post cubiste, futuriste, espressioniste, fino ad accenti relativamente informali, ma mai tralasciando il dialogo tra forma e concezione in un percorso che si intitola: pittura del Novecento. Emanuele Rambaldi amico di una vita di Gambetta, nonostante abbia attraversato diversi fasi pittoriche per approdare ad una felice sintesi dal sapore impressionista, condivide con Peluzzi la visione della scena improntata ad un naturalismo poetico e lirico. Sa esprimere il suo personale sentire soprattutto con le meravigliose vedute liguri e della vicina Costa Azzurra. Sul finire dell’anno è in mostra con trentun dipinti presso il Salone degli Anziani della Società Campanassa di Savona. Nel 1933 l’Ente della Biennale di Venezia organizza con alcune opere esposte l’anno precedente una mostra itinerante che tocca alcune città delle Germania. Inoltre alcuni quadri di Peluzzi sono esposti alla Mostra d’Arte Italiana a Vienna. Sempre nello stesso anno prende parte alla Mostra Regionale d’Arte Toscana del Sindacato Fascista Toscano delle Belle Arti e “Piazza del Santuario Savona” viene acquistata per la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Nel 1934 partecipa con otto opere alla XIX Biennale di Venezia e due di esse saranno inviate alla Mostra d’Arte Italia di Varsavia. Nel corso dell’anno affresca nella sede della Cassa di Risparmio di Savona due scene con “Il seminatore” e “La minestra dei poveri” entrambi staccati dalla sede originaria. A Varigotti esegue una grande tela dal titolo “Mattino di pesca” oggi conservata nella Sala Consigliare del Comune di 17


Peluzzi insieme ad Antonio Agostani 18


Finale Ligure. Sul versante piemontese la carica sentimentale ed il modo di praticare la pittura, oltre che l’amore ricambiato per lo stesso paesaggio, lega Peluzzi ad altri artisti quali Deabate, Manzone, Terzolo, Quaglino, Calvi di Bergolo e soprattutto Domenico Valinotti con cui arriva alla condivisione in amicizia, anche di celebri scorci come a Varigotti o a Montechiaro d’Acqui.

Cartone per l’affresco Il console Marco Emilio Scauro fa costruire la via Emilia

Domenico Valinotti come Peluzzi sceglie le Langhe ed i paesaggi ispiratori della campagna piemontese, tanto da stabilirsi definitivamente a Canelli. Fedele alla sostanza pittorica della tradizione, vive la pittura come una scelta di vita ed una via privilegiata per fuggire ai tormenti ed alle inquitudini della città. Nel 1935 partecipa alla II Quadriennale d’Arte di Roma esponendo la tela dell’anno precedente “Mattino di pesca” con “Ritratto di mio zio notaio” e “Il nano delle langhe” che gli vale un premio di £ 5000. Nello stesso anno l’opera “La devota” viene esposta a Parigi al Jeu de Paume. Nel 1936 espone alla XX edizione della Biennale di Venezia cinque dipinti ed altre 21 opere nella personale presso il Palazzo delle Poste di Savona, recensita in catalogo da Nanni Servetaz (novembre ‘36). Nel 1932 e fino al 1938 con Mario Gambetta attende alla progettazione ed esecuzione del ciclo di affreschi presso la Sala Consigliare del Comune di Savona con la storia della città. Sempre per il palazzo del Comune di Savona, Nanni Servettaz produce due statue in serpentino, andate perdute, rappresentanti il Re ed il Duce, e cinque busti in marmo di savonesi illustri e Renata Cuneo cinque statue in bronzo alte circa un metro rappresentanti le virtù fasciste. Mario Gambetta in assoluto è la figura di maggiore spessore culturale ed artistico nel panorama savonese di inizio Novecento. Come nessuno approfondisce e padroneggia le varie tecniche, dal disegno alla ceramica, dalla pittura all’incisione. La sua produzione si distingue per raffinatezza compositiva e compiutezza esecutiva, a cui si somma la visione dell’uomo di intelletto.

Affreschi della sala Consigliare del Comune di Savona su progetto e cartone di Mario Gambetta

Le decorazioni del Palazzo Comunale savonese sono oggi ancora uno splendido esempio di capacità artistica messo a a disposizione della comunità. Il ciclo trae motivazione storica 19


dall’orgoglio della Città di Savona di essere stata costituita, il 6 dicembre 1926, capoluogo di provincia. Massimi rappresentanti della realtà artistica savonese, Mario Gambetta ed Eso Peluzzi potevano vantare una certa esperienza e notorietà. Gambetta metteva a disposizione oltre che l’essere artista anche la preparazione culturale per la creazione delle scene di carattere storico e per la realizzazione dei progetti e quindi dei cartoni a spolvero preparatori. Peluzzi era più avvezzo alla pratica sul campo avendo già realizzato a fresco diversi lavori. In realtà Gambetta non amava troppo esporsi con lavori che non prevedessero la permanenza nella tranquillità ispiratrice dello studio. Il capitolato che individuava le scene pittoriche da realizzare mutò rispetto alla prima stesura e specificava: “tutto il lavoro pittorico dovrà essere a buon fresco, senza ritocchi, su buon intonaco, eseguito con buon colori, preferibilmente con terre da buon fresco, in modo da dare la massima garanzia di durata e da corrispondere in tutto al concetto ed al carattere di una grande decorazione murale.” La suddivisione dei compiti tra Gambetta e Peluzzi viene lasciata a loro discrezione, come l’eventuale collaborazione di altri aiutanti. In ultima analisi sono attribuibili a Mario Gambetta la concezione, i cartoni, l’esecuzione su muro dell’episodio della “Fondazione dell’Impero” e la raffigurazione allegorica della “Forza”. Di Eso Peluzzi l’esecuzione del fregio con le varie scene e la grande allegoria. Nel 1935 si inserisce nel progetto con un ruolo subalterno anche Raffele Collina. Al pittore di Vado vengono affidati gli affreschi con le “Vedute di Savona” sempre sulla base dei cartoni di Gambetta. Nonostante il capitolato del contratto vietasse l’apposizione della firma dell’esecutore, Collina disattese il divieto firmandosi nel riquadro raffigurante “Il porto di Savona”. Gambetta e Peluzzi invece non apposero nessuna firma. Nel 1972 Eso Peluzzi, quasi ottantenne con l’aiuto del nipote Claudio Bonichi ritorna sulla parte finale degli affreschi dedicati al periodo fascista ed andati in parte distrutti durante l’ultimo conflitto. I nuovi episodi rappresentano scene di oppressione e di distruzione derivanti dalla guerra. La drammaticità è palpabile segno di una partecipazione sofferente da parte del Maestro e di un’esigenza sottintesa di riscatto morale e materiale. Le scene sono impregnate di un forte accento realista in cui la descrizione efficace prevale sul lirismo stilizzato. La tecnica è sempre quella del buon fresco. Nel 1937 esibisce alla VII Esposizione Internazionale Interprovinciale di Genova, con l’assegnazione del Premio del Duce. Nello stesso anno, presso la Galleria d’Arte Genova, allestisce quaranta opere in una personale di grande rilievo con il catalogo presentato da Attilio Podestà. In questi anni dirige la scuola di pittura presso la Scuola d’Arte Bartolomeo Guidobono situata nel Palazzo Pozzobonello che ospita anche lo studio di Peluzzi. Nel periodo precedente al conflitto mondiale imminente si ritirano a Pareto Giovanni Battista De Salvo, Lino Berzoini ed Ivos Pacetti che in contatto epistolare con Rodocanachi, Fabbri, Barile, ritrovano quel rapporto con la natura che permette loro di riscoprire la pittura all’aria aperta ed una sorta di “ritorno all’ordine” personale e morale.Questa ritrovata coesione e solidarietà sfocia nel dopoguerra nella formazione del gruppo “La Goletta” che promuoverà mostre collettive e due numeri dell’omonima rivista. Alla “Goletta” oltre i tre artisti di Pareto aderiscono Mario Gambetta, Renata Cuneo, Raffaele Collina ed Antonio Agostani. Giovanni Battista De Salvo condivide con Eso la ricerca infinita per la pittura di paesaggio e per la composizione equilibrata e personale. Importante ceramista a capo della Casa dell’Arte si autoconsidera soprattutto pittore. Fondatore e direttore de “La Goletta” è una personalità artistica ed umana di prestigio e figura centrale nel gruppo degli artisti savonesi. Lino Berzoini arrivato ad Albisola su invito di Tullio d’Albisola elegge il piccolo borgo come sua dimora definitiva. Prestigioso autore alla Lenci di Torino fin dagli esordi, riesce a trovare ad Albisola, grazie alla frequentazione con Lucio Fontana e altri numerosi ed importanti artisti, il clima giusto per indovinare un suo percorso originale ed espressivo sia come ceramista che come pittore. Ivos Pacetti attirato dalle opportunità di lavoro che le fornaci albisolesi offrivano a partire dal 1920 evidenzia in pieno la 20


sua grande capacità tecnica e la sua inesauribile vena compositiva. Geniale ed originale in ceramica, in pittura realizza una produzione rara in cui il sentire è quello dei grandi del passato a partire dai fiamminghi. Per questo motivo privilegia l’utilizzo della tempera, che gli consente la definizione dei particolari. Raffaele Collina, faentino approdato a Vado, scopre durante la prigionia in India l’amore per la luce e per le tonalità decise. Perfettamente inquadrato nella pittura del secolo arriva a livelli artistici di assoluto valore in cui lo studio della composizione si abbina ad un equilibrio cromatico mai scontato. Nella pittura di paesaggio si esprime al meglio lasciandosi coinvolgere nella stesura degli spazi da un sentire metafisico mediato da un gusto moderno. Antonio Agostani si distingue dalla schiera degli altri artisti della sua epoca per una rara sensibilità interiore che in qualche modo lo tormenta ma che gli dona la capacità di intendere la scena come nessuno. Approdato alla pittura di paesaggio, la trascura per dedicarsi al mondo degli emarginati e dei perdenti, gestiti con un fare espressionista che dialoga con tonalità smorzate ed equilibrate. Eso Peluzzi, chiamato dal 1931 a riordinare in qualità di esperto la Pinacoteca Civica di Savona posta nel Palazzo Pozzobonello, stabilisce nello stesso stabile il suo studio savonese in cui saltuariamente insegna anche pittura. Al piano superiore opera l’imbalsamatore Vittorio Sapetti, a cui Peluzzi dedica nel 1939 una grande tela particolarmente riuscita, visibile nella Pinacoteca Civica di Savona, in cui l’artigiano è ripreso al banco di lavoro immobile e emaciato come i suoi lavori. Sullo sfondo del dipinto appare misteriosamente la riproduzione di un’antica tela con la città di Savona. Nel suo quotidiano lavoro in studio il Maestro era continuamente disturbato da persone che cercavano il laboratorio dell’imbalsamatore. Questo lo indusse ad appendere fuori dalla porta dello studio un cartello con la scritta “Per gli uccelli al piano superiore”. Questo episodio testimonia una parte del carattere del Maestro, ricco di sottile umorismo che solo talvolta riusciva a trasmettere nelle sue opere. Nel 1938 partecipa alla XXI Biennale di Venezia con undici opere di cui cinque vendute. Nel corso delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore Giuseppe Cesare Abba, a Cairo Montenotte viene allestita una mostra alla quale partecipano Carlo Leone Gallo, Domingo Motta ed Eso Peluzzi con trentotto opere. Alla prima edizione del Premio Bagutta di Spotorno fa parte della giuria e porta tre tele fuori concorso. Nello stesso anno ottiene il prestigioso conferimento del titolo di Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Genova. Nel 1939 è presente alla III Quadriennale di Roma con cinque pezzi e l’opera “Paesaggio delle Langhe” è acquistato dal Governatore di Roma. Il 30 aprile si apre l’Esposizione Universale di New York. Peluzzi viene rappresentato con l’opera “Inverno al Santuario” che nel 1932 era stato acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Sempre nel 1939 si organizza a Bergamo la prima edizione del Premio Bergamo, con tema il paesaggio. La prestigiosa giuria è costituita da Giulio Carlo Argan, Roberto Longhi, Felice Casorati, Achille Funi, Alessandro Tavolini e Attilio Selva. In dicembre partecipa al Premio Sanremo per la pittura di ritratto dove proprio il già citato “Vittorio Sapetti, imbalsamatore” ottiene il terzo premio ex-aequo. Nel 1940 la collettiva presso la Galleria Permanente d’Arte di Bergamo mostra opere di Peluzzi, di Casorati, Soffici, de Pisis, Martini, Carrà, Menzio e Carena. Alla XXII edizione della Biennale di Venezia presenta il quadro “Il pittore Brilla”. Richiamato sotto le armi con il grado di capitano d’artiglieria, l’anno successivo è congedato per problemi cardiaci. Dopo la collettiva del ‘41 nella Galleria Rotta di Genova a fianco di Rambaldi, Saccorotti e Solari, l’anno dopo partecipa alla IV edizione del Premio Bergamo con l’opera “Paesaggio invernale”. Alla XXIII edizione della Biennale di Venezia è presente con “Figure nell’orto”. 21


Peluzzi insieme a Renzo Aiolfi 22


Il 24 ottobre 1942 il bombardamento nemico su Savona danneggia gravemente Palazzo Pozzobonello e lo studio del Maestro, che perde 150 opere. Nel 1943 si trasferisce a Como: nello studio, affittato con l’aiuto di amici, dipinge alcune tele imponenti a carattere sacro, incentrate sul tema della Passione di Cristo. Nello stesso anno presso il Palazzo del Broletto, a Como, inaugura una personale con quarantotto opere, recensita in catalogo da Emilio Zanzi, e partecipa alla IV Quadriennale di Roma con “Sulle rive della Bormida”. Nel 1944 la Galleria Como organizza una sua personale con trentacinque opere; nella Parrocchiale di Capiago realizza gli affreschi “Abramo ed Isacco” e “Caino e Abele”. La personale del ‘45 alla Galleria Varese di Varese è accompagnata dal catalogo curato da Alfonso Gatto; è quindi trasferita alla Galleria Italiana d’Arte di Milano. 1946 - 1960 Nel 1946 viene pubblicata la prima monografia dedicata all’artista. Autore è Ugo Nebbia per i tipi della casa editrice milanese Il Balcone. Nel 1947 il 22 di marzo, muore a Milano l’amico carissimo Arturo Martini. Nel 1948 si trasferisce a Monchiero in provincia di Cuneo dove ritrova la serenità e nuovi stimoli artistici immerso nel paesaggio amato delle Langhe; partecipa alla V Quadriennale di Roma e alla XXIV Biennale di Venezia, e tiene a Savona, presso il Casino di Lettura, una personale di trentadue opere. Nel 1949 è presente al primo raduno dei pittori a Bardonecchia, gruppo con cui in seguito esporrà in diverse occasioni in tutta Italia. La stessa cittadina montana diverrà uno dei suoi soggetti preferiti. Nello stesso anno espone con lo scultore Nanni Servettaz alla Galleria della Bottega dell’Arte di Novara. Nel 1950 sono allestiti trentacinque lavori di cui quattro disegni presso l’Ordine degli Amici de La Valigia a Venezia. Viene edito a Como dalle Edizioni Noseda il volume “La pittura di Eso Peluzzi” dell’architetto Alberto Sartoris, accompagnato da tavole a colori. Nel 1951 è presente con trenta oli e dieci disegni presso la celeberrima Galleria Sant’Andrea di Savona, che sotto la guida di Pennone tanto ha fatto per l’arte nella città ligure. Nel 1952 troviamo il nostro artista alla Galleria Fogliato di Torino con cinquantasette opere. Nel 1954 espone a Taranto nei saloni dell’Amministrazione Provinciale centododici opere con la presentazione in catalogo di Emilio Zanzi. Per la celebrazione del sessantesimo anno Savona gli dedica una personale presso il Palazzo Civico: le cento opere esposte sono recensite in catalogo da Emilio Zanzi. Nel 1957 è presente a Torino alla Galleria Fogliato, l’anno successivo alla Galleria Rotta di Genova ed è chiamato, dopo quasi vent’anni, a partecipare alla giuria del Premio Nazionale di Pittura Bagutta a Spotorno. Nel 1959 espone alla Galleria della Gazzetta del Popolo a Torino e partecipa ad Asti alla seconda edizione del Premio Vittorio Alfieri con tema il ritratto. Peluzzi presenta il dipinto “Ritratto di mia zia” che vince il premio per la pittura ex-aequo con Corrado Cagli. 1960 -1985 Nel 1961 realizza due opere per la Cervino Spa, l’olio “Controluce a Cervinia” ed il disegno “Inverno”. Nel 1963 a Monchiero acquista l’Oratorio dei Disciplinanti e lo sistema per farne la sua abitazione. Nel maggio dello stesso anno è nominato Accademico di San Luca. Dal 23 giugno al 4 luglio del 1963 si svolge presso la Galleria Pescetto di Albisola Capo, diretta da Franco Tiglio, una mostra antologica con opere dal 1914 al 1963. Nel 1965 termina l’affresco della Cappella Noceti al Santuario di Savona e l’anno successivo in occasione del conferimento 23


della cittadinanza onoraria il Comune di Montechiaro d’Acqui organizza una mostra personale con opere ispirate al paese piemontese dal 1922 al 1966. Nello stesso periodo esce il volume di poesie “La colombera” di Silvio Riolfo Marengo illustrato da Eso Peluzzi, Raffaele Collina, Mario Gambetta ed altri artisti. Sono i tempi in cui alle antiche frequentazioni come Virio da Savona ed Emanuele Martinengo, si aggiungono anche i pittori dell’ultima generazione come Carlo Bossi, Giuseppe Gambaretto e Gigi Caldanzano. Tutti hanno in comune la passione e la predilezione per la pittura figurativa e di paesaggio e la considerazione di Peluzzi come un chiaro punto di riferimento artistico. Virio da Savona (Vittorio Agamennone) nonostante già nato all’esordio del Novecento, si inserisce giovanissimo nel contesto artistico ligure. Pittore raffinato e tecnicamente sapiente, trova nell’acquerello la sua strada preferita, divenendone un Maestro riconosciuto di valore assoluto. Negli anni prima della Seconda Guerra si distingue anche come originale ceramista al servizio della bottega dei Mazzotti. Gigi Caldanzano fino all’ultimo con la moglie Lisetta, ha frequentato in amicizia la casa dell’amico a Monchiero. Nonostante la sua pittura sia maggiormente imperniata sulla trasfigurazione della figura umana in chiave umoristica, proprio la consapevole auto-ironia lega i due artisti. Testimonianza è la lettera di ringraziamento che Peluzzi invia all’amico in occasione del compleanno del 1976, in cui si definisce “Befano”, giocando sulla propria data di nascita. Emanuele Martinengo è considerato il paesaggista per eccellenza di Savona, pur privilegiando una pittura post-impressionista scevra da contenuti reconditi. Come Peluzzi alterna le scene prettamente liguri, le marine, il porto di Savona, gli scorci dei paesini costieri con quelle dedicate alla campagna piemontese del cuneese e dell’entroterra ligure. Carlo Bossi, più giovane di venti anni rispetto a Peluzzi, può considerarsi l’ultimo puro paesaggista della schiera dei pittori “savonesi” nati ancora prima dell’epoca fascista. La sua pittura privilegia il paesaggio realizzato con stile personale e sintetico, tratto dalla visione diretta e commossa della scena. Giuseppe Gambaretto, ceramista ispirato e pittore eccelso, in qualche modo impersonifica l’artista moderno. La preminenza per la creazione ceramica ha reso la sua pittura di paesaggio poco nota al grande pubblico. Istintiva e fatta di tocchi sapienti, è una delle produzioni migliori dell’arte albisolese del ‘900. Nel 1967 su esempio del comune di Montechiaro d’Acqui anche il comune di Monchiero conferisce al Maestro la cittadinanza onoraria ed organizza una mostra con opere aventi per soggetto il paese della Langhe eseguite dal 1950 al 1967. Con la presentazione di Mario de Micheli si tiene a Milano una personale presso la Galleria Gian Ferrari. Nello stesso anno dona al Museo di Treviso il gesso originale di Arturo Martini raffigurante “La carità”, come sentito omaggio al vecchio amico scomparso. Nel 1969 Eso Peluzzi dona dieci dipinti ad olio, dieci disegni e due pastelli alle Opere Sociali di Nostra Signora della Misericordia di Savona, con cui si inaugura in ottobre una mostra permanente dell’artista al Santuario di Savona. Il 1° luglio del 1970 sposa, in seconde nozze, Maria Antonietta Tartaglino Oneglia. Nel 1971 il comune di Savona gli conferisce la cittadinanza onoraria e per l’occasione viene presentato il volume di Mario de Micheli “Peluzzi al Santuario” edito dalla Sabatelli di Savona. Nel 1972 restaura ed integra con scene relative al periodo 1915 - 1945 gli affreschi della Sala Consigliare del Municipio di Savona, con l’aiuto del nipote e pittore Claudio Bonichi. Nel 1973 gli affreschi vengono inaugurati con la presentazione in catalogo di Franco Tiglio. 24


Nel 1975 inizia una fase artistica nuova in cui i ricordi d’infanzia e l’esperienza di una vita si sommano, dando vita alla serie dei violini, che rappresentano l’ultima fase pittorica. Gli strumenti musicali visti scomposti e poi finiti, nel laboratorio paterno, sono oggetto d’indagine originale. Essi non vengono dipinti alla maniera della natura morta, ma formano linee geometriche, segni sospesi in cui il pieno lascia spazio al vuoto ed in cui la forma ed il colore creano un insieme raffinato e piacevole che prefigura un cammino lieve e sensibile verso l’astrazione quasi come a congiungere il XIX secolo al XXI secolo, il secolo dell’accademia a quello dell’ignoto futuro. Nel 1975 espone presso la Galleria La Parisina di Torino una personale presentata in catalogo di Giovanni Arpino. Nel 1977 dona alla città di Cairo Montenotte sei opere, il comune gli dedica una mostra antologica e pubblica il testo di Giovanni Arpino “Incanti e realtà di Eso Peluzzi”. Nel 1977 presso la Sala Fenoglio di Alba sono allestiti gli studi, i disegni, i cartoni per gli affreschi della Sala Consigliare del Municipio di Savona, con la presentazione in catalogo di Mario de Micheli. Nel 1979 a Monchiero, nella chiesa sconsacrata attigua all’abitazione di Peluzzi, viene organizzata una mostra permanente. Nello stesso anno è realizzata una personale a Palazzo Chiablese di Torino con testi in catalogo di Giovanni Arpino, Mario de Micheli e Luigi Carluccio. Nel 1981 dona tre opere sacre dipinte a Como nel 1949: “La Pietà” e “La Crocifissione” alla chiesa parrocchiale di Monchiero, e “La deposizione” alla chiesa parrocchiale di Roccaverano. Nel 1982 in occasione della Terza Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco, organizzata presso il Palazzo Comunale di Cremona, in una sala è allestita la mostra “Eso Peluzzi. Frammenti di violini”. Il 17 maggio del 1985 muore a Monchiero all’età di 91 anni. Le opere di Eso Peluzzi in tutto il suo percorso di vita hanno un minimo comune denominatore, una chiave di lettura che rimane inalterata nel corso del tempo, nonostante la maturazione tecnica, le mode e le tendenze artistiche. Il Maestro in ogni lavoro esprime uno stato d’animo che risente delle esperienze della vita e con cui dialoga per necessità interiore. La sensibilità dell’uomo ricerca una corrispondenza tra la propria anima ed il soggetto pittorico che diviene oggetto d’indagine artistica e spirituale allo stesso tempo. Ecco la preferenza per le scene equilibrate, per i toni smorzati, per le stagioni in cui i colori sono accordi che fanno vibrare i sensi ed esprimono, di volta in volta, gioia, malinconia, tristezza, affetto, amore e soprattutto nostalgia per un tempo perduto, che, come per i vecchi del Santuario, non tornerà più. Lorenzo Zunino

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Opere in Castello Monastero Bormida


Santuario di Savona, 1920 olio su tavola, cm 21,5x30,5 28


Mattino di gelo, 1920 olio su cartone, cm 21,5x18 29


Vecchio marinaio, 1921 olio su tela, cm 37x27 30


Orfanelle. Ospizio del Santuario, 1923 olio su tavola, cm 31,5x32 31


Viozene. Case sotto la neve, 1923 olio su cartone, cm 50x55 32


Figura, 1922 matita su carta, cm 26x20

Santuario, 1930 matita su carta, cm 25x35

Figura di donna, 1921 sanguigna su carta, cm 23,5x14,5

Vecchio al Santuario, 1922 sanguigna su cartoncino, cm 31x21 33


Vecchio con barba tecnica mista su carta, cm 70x46 Collezioni della Provincia di Savona 34


La minestra dei poveri, 1925 olio su tela, cm 200x150 35


Crociferi al Santuario, 1927 olio su cartone, cm 60x47 36


NativitĂ , 1928 carboncino su carta applicata, cm 43x49,5 37


Processione al Santuario, 1928 olio su tavola, cm 50x32,5 38


Valle del Santuario in primavera, 1930 olio su tela, cm 38x48 39


Marina a Varigotti, 1930 olio su tavola, cm 47,5x57 40


Ospizio dei poveri a Santuario, 1932 olio su tavola, cm 38x48 41


Paesaggio al Santuario, 1930 olio su tela, cm 47x57 42


Varigotti, 1932 olio su tela, cm 60,5x70,5 43


Case a Lu Monferrato, 1932 olio su tela, cm 60x70 44


Violaciocche olio su tavola ottagonale, cm 48x48 45


Incredulità di San Tommaso (bozzetto per il quadro) - olio su tavola, cm 40x54

L’incredulità di San Tommaso olio su tela, cm 100x143 46


Marina ligure. Il Malpasso, 1934 olio su tela, cm 50x64 47


L’addio al paese natio, 1936 olio su tela, cm 180x120 48


Inverno a Niella Tanaro, 1938 - 40 c. olio su tavola, cm 50x70

Niella Tanaro, 1938 bistrot su carta, cm 22,2x27 49


Sartoria di paese, 1932 olio su cartone, cm 23x32 50


Il piccolo Bepi olio su tela, cm 140x100 Collezioni della Provincia di Savona 51


Parco a MondovĂŹ olio su tela, cm 72x61 52


Albisola olio su tela, cm 46,5x55 53


Deposizione, 1947 olio su tela, cm 120x190 c. Pala d’altare situata nella Chiesa di Santa Maria Annunziata a Roccaverano (At) 54


Ottobre al Santuario di Savona olio su tela, cm 50x65,5 Collezioni della Provincia di Savona 55


Case a Varigotti olio su tela, cm 70,5x60,5 Collezioni della Provincia di Savona 56


Place du Theatre Paris, 1951 olio su tela, cm 40x50 57


Case a Borgovecchio, 1951 olio su tavola, cm 34x38 58


Paesaggio con case olio su tela, cm 52x70 59


Interno, 1960 olio su cartoncino, cm 40x31 60


Paesaggio al Santuario, 1960 olio su cartoncino, cm 30x47 61


Pont S. Michel e Notre Dame, 1966 olio su tavola, cm 29x39 62


Interno (Santuario), 1970 olio su cartone, cm 65x47 63


Brilla, 1968 acquaforte su carta cm 25x17 (7/10)

Case sulla spiaggia a Varigotti, 1974 acquaforte acquerellata, cm 15x19,8 (numerata 9/15) 64


Pernici con frutta, 1970 olio su tavola, cm 45x60 65


La fucilazione, 1972 cartone preparatorio affreschi per il Comune di Savona tecnica mista su carta, cm 100x70 66


Elementi di liuteria, 1978 olio su cartone, cm 34x42 67


Composizioni, 1979 acquaforte acquerellata su carta cm 20x20 (prova)

Composizione, 1978 acquaforte su carta, cm 24,5x35 (12/25) 68


Frammenti di liuteria antica, 1978 olio su cartone, cm 34x42 69


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Opere nella chiesa di Santa Caterina Montechiaro d’Acqui

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La chiesetta di San Sebastiano a Denice, 1920 olio su tavola, cm 37,5x44,5 72


Il cimitero a Montechiaro, anni ‘20 carboncino su carta, cm 62x48,5 73


Paese di Montechiaro, 1926 pastello su carta, cm 75,5x57,5 74


Montechiaro, 1926 matita su carta, cm 21,2x19 75


Paesaggio di Montechiaro, 1929 olio su tela, cm 35x53 76


Paesaggio, 1930 c. olio su tela, cm 59,8x80,9 77


Montechiaro d’Acqui, Chiesa di San Giorgo, 1930 carboncino su carta, cm 31x43 78


Canto nelle Langhe, 1932 olio su tela, cm 106x68,5 XVIII Biennale di Venezia 1932 79


Paesaggio a Turpino, 1937 olio su tela, cm 60x91 80


Montechiaro olio su tela applicata, cm 63,5x50 81


Montechiaro olio su tavola, cm 37x45 82


La scalinata a Montechiaro Alto carboncino su carta, cm 37x49,5 83


Paesaggio a Montechiaro olio su tela, cm 39x55,5 84


Montechiaro d’Acqui, 1956 olio su cartone, cm 50x60 Collezioni del Comune di Montechiaro 85


Case a Montechiaro d’Acqui, 1960 olio su cartone, cm 14x17,5 86


Montechiaro d’Acqui, 1960 olio su tavola, cm 35x48 87


Montechiaro d’Acqui, 1960 tecnica mista su carta, cm 33x43 88


Montechiaro olio su cartoncino, cm 50x71,5 89


Montechiaro dal castello, 1967 olio su tavola, cm 54x40 90


Montechiaro d’Acqui, 1960 bistrot su carta, cm 35x21,5

Scorcio di Denice, 1970 acquaforte, cm 8x12 (4/20) 91


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Il tempo di Peluzzi

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Carlo Leone Gallo

La cucitrice olio su tela, cm 109x75 Collezioni della Provincia di Savona 94

Ex-Voto Grazia Ricevuta da Calabri Eliseo in Bragno, 1948, olio su tela, cm 29x39


Carlo CarrĂ

Capanni sulla riva, 1943 olio su cartone telato, cm 50x60 95


Mario Gambetta

Il sipario, 1933 olio su tela, cm 107x117 Mostra Interregionale Sindacale - Firenze, Palazzo San Gallo, 1933 96


Testa femminile, 1932 terracotta smaltata cm 35 97


Emanuele Martinengo

Vaso di rose, 1939 olio su cartoncino, cm 40x33 98


Sulla strada di Montezemolo, 1939 olio su cartoncino pressato, cm 45x50 99


Arturo Martini

La deposizione, 1927 altorilievo in terracotta, cm 40x31,3 Formella della Via Crucis - La Fenice Albisola Superiore (SV) 100


Cristo insultato, 1927 altorilievo in terracotta, cm 39,5x31 Formella della Via Crucis - La Fenice Albisola Superiore (SV) 101


Pietro Morando

La strada bianca olio su tela, cm 50x60 102


Il taglialegna carboncino su carta, cm 90x60 103


Domenico Valinotti

Montechiaro, 1937 olio su tela, cm 47,5x79 104


Rimorchiatori nel porto di Savona, 1951 olio su cartone, cm 69,5x48,5 105


Lino Berzoini

Fiori olio su tavola, cm 60x37,5 106


Frate violinista, 1933 ceramica decorata, cm 6,5x17,5 h. 32 Lenci Torino 12-2-33 XI 107


Alberto Caffassi

Neve a Montechiaro, 1924 olio su compensato, cm 36x33 108


La strada della fornace, anni ’20 olio su tela, cm 50x60 109


Antonio Agostani

Paesaggio, 1930 c. olio su tela, cm 55,2x70,7 110


La vecchia con la borsetta olio su tela, cm 100x50 111


Gigi Chessa

Nuda che si pettina, 1929 c. ceramica decorata, h. cm 21x29 Lenci Torino 112


Studio per nudo, 1922 carboncino su carta, cm 48x32,5 113


Raffaele Collina

Paesaggio invernale olio su tavola, cm 50x60 114


La serenata olio su tavola, cm 180x70 115


Ivos Pacetti

Paesaggio a Pareto, 1947 olio su tavola, cm 31x26 116


La mascherina, 1933 c. ceramica decorata, h. cm 28x14,5 117


Virio

da

Savona

Albissola Marina. Piazza Sant’Antonio, 1960 acquerello su carta applicata, cm 60x80 118


Leopardo ceramica decorata, cm 18,5x30,5x18,8 MGA Albisola 119


Giovanni Battista De Salvo

Pareto, 1947 olio su tela, cm 60x70 120


A

B

L’onda pannelli in ceramica decorata, cm 45x200

A

B

L’onda particolari pannelli A e B 121


Emanuele Rambaldi

Natura morta con lume, 1939 olio su tavola, cm 70x60 122


Pini in Provenza olio su tela, cm 75x90 123


Libero Verzetti

Mattino alla Doria, 1934 olio su tela, cm 60x70 Quadriennale di Roma 1935 124


Figura, 1948 c. olio su cartoncino applicato su tela, cm 70x50 125


Giuseppe Gambaretto

Paesaggio ligure, 1975 olio su tela, cm 50x60 126


Figura virile, 1965c. ceramica patinata, h. cm 37x30 127


Carlo Bossi

Paesaggioa Pareto olio su cartone telato applicato, cm 27,5x37,5 128


Paesaggio ligure olio su tavola, cm 37,5x60 129


Luigi Caldanzano

Il racconto, 1968 olio su tela, cm 60x40 130

L’amico Eso, 1983 olio su tavola, cm 22x22


Vaso con diavoli ceramica decorata, h. cm 28,5x25 Soesco Albisola 131



CARLO LEONE GALLO (Cairo Montenotte, SV 1875 - 1960) Sotto la guida di Lazzaro De Maestri “Leonin” entra nell’Accademia Albertina di Torino avendo come maestri Giacomo Grosso e Pier Celestino Gilardi. Sulla scia dell’insegnamento accademico dipinge una serie di opere esposte con successo in mostre e rassegne a Torino, Genova, Firenze. Pur subendo l’isolamento della provincia elabora un proprio stile, scevro da accademismi, in diretto rapporto con il paesaggio natio, tra Liguria e Piemonte, ed i suoi abitanti. Vanno ricordate le sue partecipazioni alle principali mostre nazionali: Quadriennale di Torino del 1898 e Biennale di Milano a Brera nel 1905. Esegue molti ritratti su commissione per le famiglie italiane residenti in Sud America e ancor oggi si annoverano sue opere in collezioni pubbliche di Dresda, negli Stati Uniti, in Australia ed in Francia. Nella sua ritrattistica tuttavia dominano soprattutto le “persone del popolo”, i veri protagonisti della sua esistenza a Cairo: giocatori di carte, contadini, operai, pensionati, anziani pervasi da un’aura di mestizia e di rassegnazione, di solitudine intensa. Nel 1975 il comune di Cairo Montenotte ha realizzato un’importante mostra celebrativa.

CARLO CARRA’ (Quargnento, AL 1881 - Milano, 1966) Figlio di artigiani, apprende molto presto i rudimenti del disegno. Dopo un lavoro come decoratore murale a Valenza, si reca nel 1900 a Parigi dove conosce ed apprezza la pittura impressionista e, successivamente, a Londra dove ammira il Realismo di Turner e Constable. Nel 1906, allievo di Cesare Tallone all’Accademia di Brera, entra in contatto con Boccioni e Bonzagni e matura una breve esperienza divisionista in cui manifesta la propria ribellione al clima provinciale della pittura italiana a lui contemporanea. Già nel 1909, però, compie una svolta aderendo al movimento Futurista e collaborando con la rivista Lacerba. Carrà concepisce i suoi quadri (I Martiri di Belfiore e il Funerale dell’anarchico Galli) come immagini dinamiche, in cui manifesta il gusto e la potenza di colorista puro, e tenta di formulare una teoria dei segni che esprimano le atmosfere sonore ed olfattive della città moderna. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si stacca dal Futurismo per cercare un contatto più strutturato con la realtà. Dopo l’esperienza dolorosa del conflitto, nel 1917 a Ferrara conosce De Chirico e De Pisis con cui definisce i principi della Metafisica. Dopo alcune opere in stile dechirichiano, Carrà trova la propria originalità sviluppando una pittura che non è un ritorno ironico al mito antico, come per De Chirico, ma piuttosto uno sviluppo formale della pittura primitiva italiana cui viene condotto dai lunghi studi su Giotto al quale dedica numerose monografie. Dal 1919 al ’21 collabora con la rivista Valori Plastici di Roma. Questa forma di semplice evocazione plastica della realtà, trapassa, come logica conseguenza, nella successiva pittura degli anni ’20, in cui l’artista cerca di “essere soltanto se stesso”. Nasce una serie di vedute in cui esprime un’evidente coerenza formale cui mai viene meno, e la contemplazione del paesaggio si risolve nella “costruzione” del quadro, sia montano che marino. Questa pittura piana, dai larghi toni raccolti, vicina al realismo dei primitivi, ha fatto di Carrà uno dei maggiori artisti del Novecento, uno dei cardini su cui ha avuto modo di svilupparsi buona parte dell’arte italiana nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali.

MARIO GAMBETTA (Albissola Marina, SV 1886 - 1968) Trascorre l’infanzia e la prima giovinezza a Roma e si laurea in giurisprudenza a Torino. Giovanissimo coltiva la pittura per naturale predisposizione come autodidatta: gli esordi si indirizzano, con paesaggi e ritratti, verso un naturalismo dal dettaglio curato, sostenuto dalla perizia nel disegno. Nel 1906 ritorna stabilmente ad Albissola Marina conducendo una vita di appassionato studioso e accanito sperimentatore, carattere schivo ma coltivatore di sincere amicizie con gli artisti e gli intellettuali del Novecento. Negli anni ’20, oltre alle sperimentazioni in campo ceramico, emerge più chiaramente il bisogno di tradurre poeticamente le percezioni attraverso l’uso di un colore nitido e raffinato unito ad una salda composizione dei volumi. Prende parte alla vita artistica e frequenta Grosso, Grande, Sbarbaro e Martini. Riservando poco spazio alle mostre personali durante tutta la sua lunga carriera artistica partecipa, invece, ad importanti collettive: nel 1925 è presente all’Expo di Parigi e alla II Biennale di Monza. Tra il 1927 e il 1933 riserva brevi ammiccamenti alle atmosfere metafisiche tuttavia non si lega ad alcuna corrente artistica, rispettando il bisogno di liricità e l’apertura alla fantasia, spesso traendo spunto dal mondo del circo e del teatro. 133


Predilige il disegno estemporaneo a china, in cui la vena estrosa accompagna il naturale e il grottesco, con frequenti allusioni anche a temi colti. Contemporaneamente continua la sua presenza nelle principali mostre nazionali ed estere: Biennali di Venezia (1930-1942) - nel 1940 con un personale di chine e disegni - Quadriennali di Roma (1931-1956), Expo Universale di Bruxelles (1935), Mostra Internazionale di New York (1936). Dal 1935 si dedica con notevole successo all’acquaforte, in cui il gusto narrativo è sostenuto da una grande duttilità tecnica. Negli anni ’30-‘40 esegue alcune importanti opere pubbliche a Savona: decora con monotipi ceramici il Palazzo della Poste di Savona (1933), è impegnato nell’affresco del salone comunale, con il collega Peluzzi, attende al riordino della Pinacoteca Civica, realizza i bozzetti per le vetrate del Duomo (1939 e 1945). Eletto, nel ’38, Accademico di Merito all’Accademia Ligustica di Belle Arti, nel dopoguerra accentua l’uso del colore e partecipa alle rassegne del Premio Bagutta-Spotorno.

EMANUELE MARTINENGO (Savona, 1889 - 1962) Pur laureato in legge, si dedica molto presto in maniera esclusiva alla pittura. Frequenta l’Accademia Albertina di Torino e l’ambiente artistico e letterario correlato stringendo rapporti d’amicizia con Felice Carena, Felice Casorati e Guido Gozzano. Autore soprattutto di paesaggi, marine e scene portuali, dipinge tra Liguria e Piemonte, soprattutto nella provincia di Cuneo dove sono note le sue opere. Espone in numerose Promotrici di Belle Arti di Genova (dal 1915 al 1941), alle Sindacali Genovesi (1931-41), alle Biennali veneziane e Quadriennali romane (dal 1940 al 1950). Diverse le sue mostre personali tra le quali a Savona presso la Redazione Provinciale della Stampa (1941) e la Galleria S. Andrea (1954-56). Nei dipinti il paesaggio è interpretato con poesia e sommessa partecipazione, in cui si avverte ancora la lezione del realismo di tradizione ottocentesca. La natura è raffigurata dal vero, en plein air in modo assai spontaneo e sintetico, con colori vibranti e decisi ed un uso sapiente delle luci. L’alta lezione morale e una naturale riservatezza, uniti ad una certa autonomia di linguaggio, ricco di sentimento, determinano la sua originalità nel panorama ligure del primo Novecento.

ARTURO MARTINI (Treviso, 1889 - Milano, 1947) Scultore e ceramista di particolare rilievo nell’ambito delle arti plastiche del Novecento, capace di esprimersi con altrettanto vigore nel legno, nella pietra, nella creta e nel bronzo, ha esercitato una notevole influenza nel settore artistico ligure nel periodo tra le due guerre. Nel 1921 si stabilisce per un decennio a Vado Ligure dove esegue importanti sculture per committenti pubblici, tra cui l’altorilievo Pegaso al Palazzo delle Poste di Savona, e privati. Dagli anni ’30 fino allo scoppio della II Guerra Mondiale, divenuto lo scultore ufficiale del regime, gli vengono commissionate grandi opere celebrative e monumentali per palazzi di Giustizia, chiese ed università, come il grande bronzo all’Università La Sapienza di Roma. In campo ceramico lavora alle Fornaci La Fenice di Albisola e Ilca di Genova-Nervi; le sue opere nel decennio ’20-30 sono fortemente improntata alla “dimensione scultorea” ma risentono anche dei benefici influssi di Manlio Trucco e Tullio d’Albisola (Tullio Mazzotti). Come ceramista partecipa alla Mostra presso la Galleria Pesaro di Milano (1927), alle Mostre di Arti decorative di Monza (1927, 1930). Passato alla Fornace genovese DIANA (Decorazione Industrie Artistiche Nuovi Arredi) di M. Labò espone proprie ceramiche a Nizza. In campo scultoreo si distingue la sua partecipazione alla Promotrice genovese del ’28, alle prime tre Sindacali savonesi (1929-1931) oltre a numerose mostre nazionali ed estere. Con l’iniziale adesione alla rivista Valori plastici, supera il naturalismo ottocentesco riscoprendo e facendo rivivere la solenne umanità della scultura antica, passa quindi ad una ricerca di maggior arcaismo, visto come sintesi di purezza formale e classicità, per aderire infine ad un linguaggio più espressionista ed essenziale che mostra una maggior propensione per la terracotta e la pietra.

DOMENICO VALINOTTI (Torino, 1889 - Canelli, AT 1962) Fin da giovane segue la sua aspirazione più profonda di diventare pittore, abbandonando un posto sicuro nelle Ferrovie. La mancata frequentazione dell’Accademica si traduce presto in un vantaggio, libero dalla costrizione della tradizione. Con il Maestro Agostino Bosia la lezione si compie in senso moderno. Attento alle evoluzioni delle correnti ed al linguaggio dei grandi compie un percorso faticoso 134


ma sentito, che lo porta nelle campagne di Canelli ad una pittura matura con accenti “fauve” e forte attenzione al contenuto di carattere lirico-sentimentale.

PIETRO MORANDO (Alessandria, 1889 -1980) Nato nel quartiere Orti di Alessandria, trascorre tutta la vita nella città natale pur svolgendo lunghi viaggi in Francia e Oltreoceano. Studia saltuariamente all’Accademia Albertina di Torino e una borsa di studio nel 1913 gli permette di iscriversi ai corsi di pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. A Torino frequenta lo studio di Angelo Morbelli con cui condivide, temporaneamente, la passione per il Divisionismo. Il suo amore per il disegno lo porterà a produrre numerosissimi lavori, anche utilizzando i miseri mezzi di fortuna che il primo conflitto mondiale gli permette. Realizza così tragici disegni di guerra - quasi un reportage-che saranno poi pubblicati nel volume I Giganti, con la presentazione dello scultore Leonardo Bistolfi di Casale Monferrato. Nel dopoguerra si orienta verso una pittura stilizzata, dai caratteri primitivi e puristi, che risente dell’influenza di Sironi e soprattutto di Carlo Carrà, di cui per decenni frequenta lo studio milanese. Si distingue per un suo stile semplice e incisivo, dal colore intenso e dai tratti decisi, con cui dà forza e vita, ma anche poesia, ai suoi soggetti, quasi sempre gente modesta, facchini e contadini, oltre agli scorci della sua città e della campagna monferrina. Espone alla Promotrice di Torino dal 1920, nel ’22 alla Fiorentina Primaverile, alle Sindacali Torinesi, per cinque edizioni alla Quadriennale di Roma e alla Triennale di Milano. É presente in sette edizioni della Biennale di Venezia, ai Premi Bergamo e Marzotto e, nel decennio ’60-’70, a numerose rassegne piemontesi.

LINO BERZOINI (Ficarolo, RO 1893 - Albisola Superiore, SV 1971) Nella terra natia veneta si avvia precocemente alla pittura, ritratti e paesaggi che risentono ancora della lezione della pittura en plein air tardo-ottocentesca. Dopo la prima guerra mondiale frequentata l’Accademia Albertina a Torino, sotto la guida di Onetti, Ferro e Casorati. Dalla metà degli anni ’20 è assunto come ceramista alla Lenci, dove si distingue per i soggetti religiosi, dotati di lieve ironia e abile semplificazione di forma, e dal 1935 all’Ars Pulchra, con cui produce statuine di nudini e di maternità soffuse di poesia. Giunge ad Albisola nel 1937 impiegato nella fornace di Tullio Mazzotti: nelle ceramiche marcate MGA progressivamente si allontana dallo stile levigato Lenci per assumere un linguaggio più mosso e frastagliato in cui risente della frequentazione, sul finire degli anni ’30, di Lucio Fontana con cui espone in un’importante mostra a Genova nel 1939. Alternando sempre l’attività di ceramista, presso i principali ateliers albisolesi, con l’opera di pittore, in cui mostra l’adesione al chiarismo lombardo e la predilezione per paesaggi venati di malinconia dai toni pastello, partecipa a importanti rassegne: Biennale di Venezia, Quadriennale di Roma, Internazionale di Parigi, oltre a numerose mostre a Savona, Genova, Torino, Milano e Venezia. Il suo nome compare nella I^ edizione del “Manifesto Futurista della ceramica” del ‘38. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e il soggiorno a Pareto, dove condivide con Pacetti e De Salvo un rinnovato legame con la natura, rientra ad Albisola. Dopo la partecipazione al gruppo La Goletta, viene nominato Accademico di merito della Accademia Ligustica nel 1954. Sensibile all’uso del colore, attua numerose sperimentazioni, le sue Venezie o i suoi paesaggi delle Langhe passano dalle tinte fluide e chiariste degli anni ‘30 e ’40 all’impiego di colori più accesi e pastosi nel ventennio successivo. Negli anni ’60 introduce l’utilizzo della foglia d’oro per sfondi preziosi di ritratti, maternità e nature morte. La ceramica parallelamente conosce una progressiva stilizzazione delle forme ed un utilizzo di colori accesi e lustri metallici.

ALBERTO CAFFASSI (Alessandria, 1894 - 1973) Inizia a dipingere intorno al 1908 dopo una visita allo studio di Pellizza da Volpedo. I suoi primi quadri, tutti dispersi o distrutti, risentono dell’ influenza del Divisionismo. Diplomatosi nel ’19 all’Accademia Albertina di Torino, trasferisce nelle sue opere, dalle tinte vivaci e luminose, la campagna alessandrina. Un brusco cambio di stile lo porta, dopo il 1930, a prediligere l’uso dei grigi e delle tinte spente con cui dipinge paesaggi malinconici, 135


rannuvolati, di Pontedecimo e Castelvecchio di Rocca Barbena. Nel 1944 il suo studio ad Alessandria è colpito da un bombardamento e vengono distrutti molti suoi quadri, che in seguito cerca di riprodurre dipingendo a memoria, servendosi dei disegni e degli studi preparatori. Nel secondo dopoguerrra ritorna alla tradizione accademica con un progressivo inaridirsi dell’ispirazione.

ANTONIO AGOSTANI (Savona, 1898 - 1977) Autodidatta, dedica la sua esistenza alla pittura, cui si avvicina da ragazzino, con una vocazione istintiva. Dopo la dura esperienza della Prima Guerra Mondiale, che lo stimola ad un’avversione verso la vita militare e il governo dominante, ritorna a Savona, per dedicarsi alla pittura. La frequentazione dell’ambiente artistico savonese e, soprattutto, l’amicizia con Arturo Martini, favoriscono la sua vocazione e la presenza ad importanti rassegne nazionali e internazionali nonostante il carattere schivo e poco propenso ad apparire e a promuoversi: Mostra del Sindacato fascista della Liguria a Genova (’31), Premio Bagutta - Spotorno (’38 e ’39), III Quadriennale d’arte nazionale di Roma” (‘39), “Premio Bergamo (’39). Ottiene favore di critica e l’onore di vedere alcuni suoi dipinti acquistati dal Governatorato e dalla Regia Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Dopo aver militato tra le fila partigiane, nel ’46 è costretto a scontare un periodo in carcere, che segnerà per sempre la sua esistenza, la sua visione della vita e il suo mondo pittorico. Tra il ‘46 e il ‘47 partecipa con alcuni amici artisti - Cuneo, De Salvo, Gambetta, Berzoini, Collina e Pacetti - al Gruppo “La Goletta”. Progressivamente la condivisione dell’umana sofferenza e il tormento che sempre lo accompagna contraddistinguono uno stile sempre più personale: i quadri si popolano di personaggi sofferenti - vecchi, emarginati, malati, poveri - ritratti come degli spettri in atteggiamento pensoso o disperato, immobili su uno sfondo cupo, quasi monocromo. L’umorismo, misto al cinismo, popola alcune tavole dove il tratto è deciso, i toni freddi, il soggetto centrale, il paesaggio triste e spoglio. Nell’ultimo ventennio è presente in numerose mostre personali e collettive tra Savona, Albisola e Milano (personale alla “Galleria Spotorno” nel ’60).

LUIGI (GIGI) CHESSA (Torino 1898 - 1935) Dopo un primo periodo di formazione presso lo studio del padre, litografo e pittore, nel 1914 inizia a frequentare l’Accademia Albertina da cui si distacca tre anni più tardi per dedicarsi completamente alla pittura: con alcuni dipinti tardo impressionisti esordisce alla Promotrice delle Belle Arti di Torino. Negli anni ’20 entra in contatto con Felice Carena, suo futuro cognato, e Felice Casorati, che lo introduce al vivace ambiente artistico cittadino. Sullo scorcio del decennio, sotto l’influenza dei maestri Oppi e Spadini, si dedica alla pittura di paesaggio con cui partecipa alla Quadriennale di Torino. Nel 1922 la mostra dedicata a Cezanne alla Biennale di Venezia determina una profonda svolta della sua pittura in chiave volumetrica e luministica. Contemporaneamente inizia a collaborare con la Manifattura Lenci, per la quale progetta mobili, complementi di arredo, cappelli e bambole in raffinato gusto déco, che nel decennio successivo tenderà a farsi più semplificato e schematizzato. Dopo aver ottenuto con la Lenci il diploma d’onore nel 1923 alla Prima Mostra Internazionale delle Arti Decorative, partecipa alla Quadriennale di Torino e alla XIV Mostra di Ca’ Pesaro a Venezia. Presente nel ’25 a Parigi all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative sempre per il marchio Lenci, continua a dedicarsi alla pittura di paesaggi, nature morte, nudi. Contemporaneamente inizia a lavorare per il teatro come scenografo e costumista. Come architetto e decoratore si occupa della ristrutturazione del Teatro di Torino, come scenografo cura gli allestimenti di alcune opere come L’Italiana in Algeri. Dopo la collaborazione nel ‘26 con il Metropolitan Museum inizia la sua attività di professore di Scenografia presso la Scuola Superiore di Architettura di Torino. Tra le molteplici realizzazioni come architetto e arredatore va ricordata la sua attività nell’Esposizione di Torino (1928) e nella Quinta Triennale di Milano (1933). Nel ’29 partecipa con Menzio, Paulucci, Galante, Boswell e Levi al Gruppo dei Sei, fondato da Lionello Venturi. Per la Lenci inizia la produzione di ceramiche artistiche e nello stesso anno espone piccole ceramiche alla Galleria Pesaro di Milano. Nel 1931 la sua prima personale di pittura viene recensita da Lionello Venturi che riconosce in lui lo spirito di Cezanne, di Soffici, della tradizione ottocentesca dei Macchiaioli e dei Romantici lombardi. 136


RAFFAELE COLLINA (Faenza, RA 1899 - Campoligure, GE 1968) Compiuti gli studi a Bologna, si trasferisce nel 1916 a Vado Ligure che diventerà da quel momento la sua terra d’elezione. Dopo l’esperienza della Prima Guerra Mondiale, frequenta a Genova l’Accademia Ligustica, di cui viene nominato “Accademico di merito” nel 1949. Aderisce presto all’arte figurativa del Novecento ma i contatti con Arturo Martini lo inducono alla ricerca di uno stile personale, anche se inizialmente influenzato dalla pittura del torinese Felice Carena. Partecipa a prestigiose esposizioni nazionali - numerose edizioni della “Società Promotrice”di Genova, della Biennale di Venezia, della Quadriennale di Roma e a mostre collettive liguri. La sua pittura appartiene per scelta alla più classica linea figurativa del Novecento, rivelando una spiccata predilezione per gli interni con figure. Nella riproduzione del corpo umano rivela una grande capacità nel disegno, attento alla definizione plastica dei volumi, spesso immobili in una atmosfera sospesa. I suoi paesaggi sono sovente contraddistinti da un’accentuata propensione tonale unita a un lirismo incantato e una forte emotività. In India presso Bohpal, ove rimane per quasi cinque anni in seguito alla prigionia da parte inglese, dipinge paesaggi dal gusto esotico, compiendo una svolta nel suo stile ora luminoso, ricco di movimento e colori vivaci. Collina opera anche come decoratore murale e grafico e si esprime nella ceramica, partecipando alla “Mostra delle Ceramiche in omaggio di Nostra Signora della Misericordia” a Savona nel 1966.

AGAMENNONE VITTORIO (detto Virio da Savona) (Verona 1901 - Savona 1995) La sua attività pittorica inizia nel 1921 con una mostra collettiva (Savona, Teatro Wanda) insieme a Gambetta, Peluzzi, Martinengo e Cavalleri. Nel 1924 affianca l’opera di ceramista presso la fornace di Giuseppe Mazzotti e nel 1925 fonda con Filippo Noberasco e Italo Scovazzi la rivista Liguria. Parallelamente si dedica alla ritrattistica, frequentando gli studi torinesi di Canonica, Valinotti, De Abate e Quaglino. Abile acquerellista, nel 1929 si trasferisce in Francia (Nizza, Cannes) e successivamente a Parigi ove espone insieme a De Pisis e De Chirico nella Galleria “Jeune Europe”. Dopo aver eseguito ritratti di noti scrittori e di intellettuali parigini, si impegna come illustratore presso le Colitions de France e le Dimanche illustré. Rientrato in Italia nel 1933 inizia la sua lunga attività a Savona con la prima personale. L’anno dopo, con Craffonara, De Luca e Barabino, fonda il gruppo degli Acquerellisti Liguri che vengono celebrati nel ’36 a Palazzo Rosso a Genova nella I Mostra degli Acquerellisti Liguri. Divenuto nel ’38 professore emerito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, partecipa nel decennio successivo alla Mostra Nazionale di Pittura a Roma (’42) e a Novara ad una personale presso la Galleria Broletto (’47). In questo periodo muta la propria tecnica pittorica utilizzando la tempera grassa. Stabilitosi ad Albisola nel 1957 partecipa alle maggiori manifestazioni nazionali e diviene parte attiva del gruppo di artisti che rende Albisola un centro artistico internazionale: Jorn, Lam, Fontana, Crippa, Capogrossi, Sassu, Reggiani, Fabbri, Milani, Tullio d’Albisola. Nella sua pittura tipicamente “novecentesca” si avvertono lo spirito innovativo e l’attaccamento alla tradizione, realtà e poesia si fondono nelle sue figure e nei suoi paesaggi.

IVOS PACETTI (Figline di Prato, FI 1901 - Albisola Superiore, SV 1970) Artista versatile e sempre desideroso di sperimentare, arriva ad Albisola dopo una sofferta gavetta giovanile. La MAS (Maioliche Artistiche Savonesi) prima e La Casa dell’Arte di Albisola che gli permettono di esercitare al meglio l’arte sottile: negli anni ’20 è protagonista del nuovo gusto post déco della ceramica ed il futurismo lo trova pronto. Sul finire degli anni ‘20 è alla direzione dell’ILSA, dopo il 1932 avvia una fornace di proprietà, La Fiamma, sempre ad Albisola. Tra 1932 e 1933 aderisce al Secondo Futurismo, attestandosi su posizioni originalissime, che lo rendono uno tra gli artisti più apprezzati dalla critica e dai collezionisti: opera parallelamente a Tullio di Albisola ed offre con alcune opere una personale rilettura di Boccioni. Nel 1933 partecipa alla Mostra Nazionale Futurista di Roma e parallelamente si afferma come pittore nella Mostra del Guf di Napoli (’31). La sua indole irrequieta e la favorevole congiuntura di mercato inducono Ivos con il fratello, nel 1949, a impostare una fabbrica di ceramica dai criteri moderni, La Tavola della Pupa, progetto che sfocia nel 1956 nella costruzione di uno stabilimento all’avanguardia nel settore, la Ceramiche Minime Fratelli Pacetti. 137


Poco propenso all’imitazione stilistica e dotato di una fantasia creativa senza pari, si distingue per un’ispirazione dal carattere sincretico in cui il gusto classico e rinascimentale si fonde con l’innovazione. Negli anni ’50 e ’60 nonostante l’occupazione imprenditoriale, la sua vena artistica gli permette di eseguire della ceramica d’arte e di dedicarsi alla sua prima passione, la pittura, attraverso la quale mantiene echi dell’arte italiana del ‘400 e della pittura fiamminga. Da quest’ultima trae una tavolozza dai colori accesi ed una propensione per l’elaborazione del dettaglio.

GIOVANNI BATTISTA DE SALVO (Savona, 1903 -1964) Nato al Santuario di Savona nel 1903 trascorre la giovinezza a Stella S. Giovanni, da cui trae l’amore per la natura e la capacità di stupirsi davanti alle sue piccole e grandi manifestazioni. Il sentimento che vibra nel profondo del suo animo trova felice approdo al cospetto del grande Maestro Eso Peluzzi, che nel 1927 gli fornisce gli strumenti tecnici ed interiori per dipingere. Dal tocco impressionista ricco di sensazioni morbide dai toni smorzati, vive l’opera pittorica come un’elaborazione profondamente personale costituita da silenzio ed attesa. In campo ceramico, spesso presente tra il 1920 e il 1930 alle Biennali di Arti Decorative a Monza, viene chiamato nel 1930 a sostituire Piero Rabbia alla direzione della La Casa dell’Arte. Elabora un tratto essenziale ed efficace in cui le figure, gli animali, le scene composite, assumono una forte caratterizzazione stilistica che lo innalzano ai vertici dell’arte figulina. Contemporaneamente come pittore partecipa a diverse edizioni della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma oltre a numerose mostre personali a Genova a Firenze, Milano e Savona. Il buon ritiro del 1940 a Pareto, il silenzio della campagna, il ritmo delle stagioni, le soffici nevicate, gli permettono di ritornare alle sensazioni mai dimenticate della sua infanzia e di dedicarsi con rinnovato impulso alla pittura. Nonostante abbia partecipato a diverse collettive, non ha mai voluto riconoscere pari dignità alle due anime della sua arte, attribuendo solo alla pittura un grado di primato assoluto.

EMANUELE RAMBALDI (Pieve di Teco, IM 1903 - Savona, 1968) Pur essendo autodidatta, dimostra ben presto la sua vena artistica e la sua originalità che pur tiene conto dei contemporanei movimenti artistici europei. Stabilitosi presto a Chiavari vi inizia la sua attività interessandosi anche alla vita artistica del paese e alla realizzazione della Quadreria di Palazzo Torriglia. Vive prevalentemente nella cittadina ligure, pur con frequenti soggiorni all’estero, soprattutto a Parigi e in Costa Azzurra. All’inizio degli anni ’20, per un breve periodo, aderisce al Secondo Futurismo, con Fillia e Farfa, successivamente partecipa al Movimento Novecento della Sarfatti soffermandosi sul particolare aspetto del “realismo magico”. Si dimostra tentato anche dalla lezione metafisica di De Chirico e Carrà, rimanendo però un pittore originale con le sue tipiche “atmosfere liguri”. Nel 1925 costituisce, con Podestà, Pescini, Falcone e Pierazzi, il Gruppo d’azione d’arte a Chiavari, primo movimento artistico moderno in Liguria. Dal 1935, dopo aver eseguito alcune composizioni cubiste, si dedica soprattutto al paesaggio, vedute liguri e parigine, ed alla natura morta interpretati con naturalismo poetico ed intimista. Dal 1946 al 1962 dirige la Cattedra di nudo all’Accademia Ligustica di Genova. La pittura degli anni ’50, segnata dall’esperienza francese, soprattutto parigina, mostra una maggiore tendenza all’espressionismo, manifestando un colorismo assai pronunciato e quasi materico. Intensa la sua attività espositiva: dal 1928 al 1948 ha partecipato a tutte le Biennali di Venezia nel 1940 con una sala personale, è stato presente alle mostre Nazionali di Roma, Milano, Torino, alle Quadriennali romane, alla Mostra di Arti Decorative di Monza e Milano, oltre a numerose esposizioni all’estero.

LIBERO VERZETTI (Torino, 1906 - Genova, 1989) Trasferitosi a Genova nel 1915, studia all’Accademia Ligustica di Belle Arti, divenendone, poi, Accademico di merito nel 1938. Dopo la prima mostra nel ’25 partecipa l’anno successivo alle Promotrici genovesi e, in seguito, a quasi tutte le rassegne organizzate dal Sindacato. Da subito interessato ai fermenti dell’arte più innovativa, è uno dei fondatori del Gruppo Futurista Sintesi che riunisce Dino 138


Gambetti, Alf Gaudenzi, Luciano Lombardo, Tullio Mazzotti , Giacomo Picollo, Lelio Pierro. Pittore paesaggista, marinista, ritrattista, dipinge anche scorci cittadini. Successivamente, la sua ricerca si avvicina alla pittura di artisti come Sironi e Carrà, come dimostra una stesura materica asciutta e controllata tipica dell’ambiente artistico milanese. Partecipa a numerose mostre nazionali ed internazionali tra cui la Biennale di Venezia del 1931 e la Quadriennale di Roma del 1935. Consegue, inoltre, numerosi premi fra i quali il Premio Italia-Francia (Sestri Levante), il Premio Duchessa di Galliera (Genova), il Premio Michetti, il Premio Città di Alessandria Insegna per molti anni al Liceo Artistico Barabino di Genova. Dal 1942 è presente a numerose edizioni della Biennale di Venezia, e a numerose rassegne espositive a Genova, Torino, Bergamo e all’estero.

GIUSEPPE GAMBARETTO (Monteforte d’Alpone, VR 1909 - Savona, 2001) Poliedrico artista - pittore, scultore, ceramista - dopo gli studi al liceo artistico, frequenta l’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona, condividendo la compagnia di Manzù, Tomea, Fantuzzi. Ancora giovanissimo si fa notare con una mostra di pittura a palazzo Bevilacqua di Verona e nel ‘36, col favore dei consensi, si trasferisce a Milano dando spazio all’allestimento di mostre personali e collettive. Contemporaneamente frequenta l’ambiente artistico culturale di Albisola e partecipa alla sua grande stagione culturale degli anni ‘50 e ‘60. Trasferitosi definitivamente nel 1964 nella cittadina ligure, vi apre una galleria d’arte; qui prosegue, fino a tarda età, la sua feconda e variegata attività, attirando il consenso dei principali critici del Novecento ligure.

CARLO BOSSI (Savona 1916-1997) Personalità schiva ma di estrema poesia e capacità di analisi interiore, espressione dell’arte figurativa ligure del Novecento, dipinge soprattutto paesaggi, nature morte, ritratti e soggetti a carattere religioso cui attribuisce un forte simbolismo. Illustratore, disegnatore ironico e curioso, ha saputo ritrarre con vivacità di tratto e intensità psicologica le figure tipiche della quotidianità savonese ma anche scorci del porto, particolari urbani, paesaggi con eleganza di composizione e equilibrio tonale. Si rammenta la partecipazione alle principali mostre nazionali: Prima Mostra Nazionale di Arte Sacra (Bergamo 1947), Quadriennale di Roma (1948 e 1952); Mostra Nazionale di Torino (1948-1953), III Premio Nazionale Golfo della Spezia (1951), Prima Rassegna della Pittura Ligure (Savona 1964). A queste si affianca la presenza in tutte le principali collettive della provincia di Savona e, dal 1944, alle Mostre Sindacali di Genova. All’estero partecipa a rassegne a Buenos Aires, Cordoba, Mendoza, Montevideo, Rosario.

GIGI CALDANZANO (Genova 1921- Ceriale,SV 2008) Gigi Caldanzano, figlio d’arte - il padre Luigi si distingue per l’illustrazione di opere librarie e soprattutto come disegnatore pubblicitario - frequenta molto presto l’ambiente culturale e figurativo ligure, soprattutto savonese. Protagonista del Secondo Futurismo, forma a Savona il gruppo Sant’Elia con Acquaviva, Farfa e Tullio d’Albisola. Dal 1940 inizia ad allontanarsi dal linguaggio futurista riscoprendo la rappresentazione del quotidiano e della natura e nel 1948 fonda il gruppo Cavallino Rosso con Cabiati, Pollero, Bonilauri ed il critico Tiglio. Artista colto e curioso, nella pittura e nel disegno del secondo Novecento analizza la quotidianità attraverso l’ironia e la partecipazione sentimentale. Il linguaggio pittorico è cromaticamente composito con una pennellata decisa e veloce che lo avvicina ad uno stile caricaturale pregno di virtuosismi espressivi. La sua arte ben si adatta al lavoro in fornace; l’attività di ceramista, iniziata nel 1939 presso la Manifattura Pozzo Garitta di Albissola Marina, prosegue attraverso il Novecento con passione e originalità nell’ambito di un vasto movimento volto alla rinascita della ceramica artistica intorno a Tullio d’Albisola: i suoi lavori evidenziano al meglio il contenuto figurativo e l’accentuazione coloristica. Partecipa a numerose esposizioni, tra cui la Quadriennale di Roma (1948 e 1955) e La Promotrice di Torino (1960) e, per le opere in ceramica, l’Internazionale di Messina (1955) e l’Internazionale di Cannes (1955). Carla Bracco e Lorenzo Zunino 139


ALCUNE TESTIMONIANZE

Lettera inviata da Arturo Martini a Peluzzi 140


Cartolina postale di Pietro Morando a Peluzzi

Lettera inviata da Peluzzi all’amico Caldanzano come ringraziamento per gli auguri ricevuti in occasione del suo 82° compleanno 141


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Edito da: LIZEA ARTE EDIZIONI Finito di stampare nel mese di Giugno 2013 presso la litografia Li.Ze.A. in Acqui Terme (AL)



9 788896 630297

€ 18,00

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