a Bruno Boni, un sindaco amato dalla sua cittĂ
Luciano Salodini ringrazia Paolo Bendinelli con la figlia Aurora per i preziosi suggerimenti
Art supervisor e direzione editoriale Luciano Salodini Progetto grafico e impaginazione Liliana Baronio Areacom agenzia di pubblicità e marketing Fotografie di pag. 132-137-138-139-140-141-143-144-1 46-147-148-155 Franco Lucini dell’Associazione Bruno Boni Edizioni Grafo Brescia Stampa Staged © Copyright Luciano Salodini Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione del materiale senza autorizzazione è vietata in qualsiasi forma Finito di stampare nel dicembre 2014 Alcune immagini qui pubblicate sono state prese da Internet e pertanto valutate di pubblico dominio in quanto non è stato possibile rintracciarne gli autori. Questi ultimi possono eventualmente contattare l’azienda all’indirizzo indicato. www.areacom.eu
Franco Robecchi
Dai giardini zoologici ai nuovi parchi naturalistici. L’esempio Brescia.
Luciano Salodini per Grafo
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Lo zoo. Dai giardini zoologici ai nuovi parchi naturalistici. L’esempio Brescia.
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Primo Capitolo
Dalle antiche mĂŠnagerie ai giardini zoologici ottocenteschi
Secondo Capitolo
Il caso dello zoo di Brescia: la struttura del primo Novecento
Terzo Capitolo
Il Giardino zoologico di Brescia del secondo dopoguerra
Quarto Capitolo
Dallo zoo a rischio di estinzione al bioparco culla ecologica
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Il Paradiso terrestre, dipinto di Roelandt Savery, del 1626.
Primo Capitolo
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Dalle antiche ménagerie ai giardini zoologici ottocenteschi
Una storia dei giardini zoologici implica, innanzitutto, una messa a fuoco del significato che gli animali hanno per l’uomo. Si tratta di un tema di grande vastità e complessità, soprattutto nel clima culturale odierno, in cui sta virando il concetto del rapporto fra uomo e animali, nella tendenza alla valorizzazione ecologistica della realtà naturale. L’importanza plurimillenaria degli animali per l’uomo rimane tuttavia radicata in un dato essenziale, che lega l’essenza degli esseri umani alla loro inevitabile necessità di nutrirsi di esseri viventi. È noto che l’organismo umano, come quello di tutti gli animali, è eterotrofo, incapace, cioè, di sussistere in assenza di organismi viventi di cui nutrirsi. Sarebbe stato impossibile per noi essere mai nati, come specie e come individui, nutrendoci di terra e acqua, anidride carbonica e luce. Noi quindi mangiamo solo altri esseri viventi, che sono i vegetali, o altri animali, i quali, anch’essi, vivono solo grazie all’esistenza dei vegetali, che, va ricordato, sono organismi costituiti da cellule e sono quindi viventi. Solo i ve-
getali possono esistere utilizzando sostanze inorganiche e tutti gli animali vivono mangiando vegetali o altri animali, che si alimentano di vegetali. Se il rapporto dell’uomo con i vegetali è sempre stato psicologicamente molto rilassato, diverso è stato il rapporto con gli animali, i quali hanno molto spesso una loro vitalità attiva e antagonistica rispetto alla volontà di appropriazione e distruzione che implica il desiderio di utilizzare l’organismo vivente come cibo. Il conflitto, vitale, si svolge fra tutti gli esseri viventi non vegetali (ma talora anche tra vegetali), poiché una caratteristica animale è l’istinto, o la volontà cosciente, di mantenere intatta la propria vita e di opporsi, quindi, con ogni mezzo, a chi intenda spegnerla. La “mors tua vita mea” costituisce il filo conduttore basilare della vita sulla Terra, poiché non esiste alcun animale che possa prescindere dalla necessità di uccidere altri esseri viventi, per garantire la propria sopravvivenza. Ma il rapporto dell’uomo con gli animali non si è fermato a questo fenomeno, che fu, ed
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L’Eden affollato di animali in un dipinto del primo Seicento, di Roelandt Savery. A destra, il trionfo della creatività divina, applicata ai pesci, in un mosaico della basilica di S. Marco in Venezia.
è, di immensa portata. Si pensi solo all’universo della contesa derivante dalla necessità di cercare, costringere, catturare, abbattere gli animali necessari al nutrimento. La storia della caccia include passi importanti nel campo dell’intelligenza, della tecnica, della strategia e dell’organizzazione sociale. Sugli animali si sono innestati anche filoni importantissimi dell’evoluzione produttiva dell’uomo, frutto dell’utilizzo di materiali derivanti dagli organismi viventi, sia insiti in essi, come le ossa, le pelli, le piume, le pellicce, i peli, i denti o certe ghiandole, sia dell’uso
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di materiali prodotti dagli animali, come il corallo o la seta. Quanta storia della tecnica è nell’uso della pelle e del pelo animale, per abiti, capanne, imbarcazioni, tamburi, archi di violino, armature, scarpe, guanti, cappelli, libri, cinghie per macchinari e sedili per automobili o divani. E quanta storia è nell’uso di visceri o secrezioni animali per alimenti (si pensi al latte, al miele, alle uova, da quelle di gallina a quelle di storione), per manufatti (si pensi alla cera) o per monili (è il caso delle perle, delle conchiglie dei cammei o del corallo) o per la produzione di farmaci, profumi, cosmetici, derivati alimentari, come i latticini o i salumi. Quanta storia dell’arte è invece rappresentata da opere ottenute incidendo ossa, corna, zanne d’avorio, corallo o madreperla e quanta storia della tecnica (arcolai, telai, torcitoi, gualchiere, ecc.) è nata nell’alveo della lavorazione di tessuti di lana o seta. Il rapporto fra la civiltà e gli animali non si è fermato tuttavia a questi già vasti mondi. L’addomesticamento dell’animale è stato fondamentale. L’animale allevato perché se ne utilizzassero le carni o i prodotti, fu anche impiegato per il lavoro. Si pensi solo all’immenso ruolo svolto dal cavallo nella storia militare o dei trasporti, nella storia dello sport o dell’arte e si pensi anche all’uso dei bovini per il lavoro agricolo, o all’uso del cane per la sicurezza, la pastorizia e la caccia.
Infine, all’animale, per la sua caratteristica di essere dotato, in varia misura, di una dimensione psichica, è stata riconosciuta una qualità antropomorfica. L’animale è quindi divenuto oggetto di affezione e soggetto di interlocuzione psicologica, giungendo ad assumere addirittura una dimensione trascendente e divina, frequente nelle religioni antiche, come quella egizia, più moderne, come quella totemica, ma anche attuali, come nella religione hindu. La stessa religione ebraica, e quindi cristiana, pur disprezzando e condannando ogni divinizzazione di entità animali (si pensi all’ira di Mosè per il culto del vitello d’oro da parte del suo popolo stanco e infedele), pur non avendo mai indicato alcuna inclusione del mondo animale nella sfera morale, lo ha però aggregato al mondo dei viventi al grande quadro di supporto e sfondo essenziale della suprema entità umana. Nel libro della Genesi, dopo la descrizione della creazione della luce, dell’universo e della terra, si legge: E Dio disse: “La terra produca germogli, erbe che producano seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. Nel quinto giorno Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo”. Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque,
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Qui sopra, Noè conduce le coppie di animali verso la sua arca. Dipinto di Jan Snellinck.
Nella pagina a fronte, il conflitto vitale fra uomini e animali nella fase primordiale.
Nelle due pagine precedenti, la giungla cruenta di Henri Rousseau.
secondo la loro specie”. E ancora, in un crescendo di ricchezza che andava costruendo il grande scenario teso all’apparizione del vero protagonista, l’uomo, Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie”. Infine, su tutto il mondo predisposto, Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. In simmetria, rispetto alla vasta creazione dell’infinita varietà della vita, però
incomparabilmente dimessa rispetto alla qualità umana, quando Dio, disgustato dalla perversione umana, meditò di annullare la sua creazione, questo fu il pensiero, come la Bibbia scrive: Il Signore disse: “Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti”. Il testo riconosce una sorta di affinità tra l’uomo e gli altri viventi, che sono accomunati nella considerazione divina, sia nella fase della creazione, sia nell’altra fase, transitoria, grazie alla figura di Noè, della distruzione. Il fantastico e monumentale episodio
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Una fastosa rassegna di volatili in un dipinto secentesco di Roelandt Savery.
Nella pagina a fronte, la caccia primordiale, nel rapporto naturale fra uomo e animali. Sotto, gli animali tra arte e culto nel territorio che sarebbe divenuto spagnolo, 15.000 anni fa.
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seri viventi, ritenuti essenziali all’esistenza umana. D’altra parte, prima della creazione della donna, Dio ritenne di confortare la solitudine dell’uomo offrendogli la compagnia degli animali, che però non risultò sufficiente. E il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati”. L’animale è stato visto come rappresentante dell’immensa varietà delle sfumature quali-
del diluvio universale e dell’arca di Noè rende evidente il senso giudaico-cristiano del valore dell’ambiente terreno, come teatro dell’esistenza umana. Al giusto Noè Dio disse di salvare il seme di tutta la vita sulla terra: “Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo la loro specie, del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, due d’ognuno verranno con te, per essere conservati in vita”. Anche in questo caso la visione di Dio accomuna l’uomo agli altri es-
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La vita animale creata da Dio prima dell’uomo, in una tavola del tedesco Master Bertan, del 1383. A destra, un Eden zoologico con, sullo sfondo, una minuta scena della creazione della donna. Dipinto secentesco di Paul de Vos. Sotto, animali esotici e fantastici nel giardino primordiale di una miniatura cinquecentesca.
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tative della vita e, come tale, fu quindi assunto quale specchio e partner della superiore entità umana. La simbologia si è quindi associata alla similitudine, creando un universo di rimandi coltivati ed esaltati dalla religione, dalla mitologia, dalla letteratura e dalle arti figurative. In una visione religiosa l’animale è stato considerato come espressione di una potenza caleidoscopica dell’espressione miracolosa della vita, riflesso della potenza creatrice di Dio. Nel comportamento animale l’uomo ha quindi spesso cercato parentele, modelli, ammonimenti. È un filone che ha avuto grande diffusione anche nell’epoca moderna e contemporanea, come si vede nel mondo delle favole e dei cartoni animati, dove l’umanizzazione degli animali è voluta normalmente, per mediare l’impatto dell’identificazione e rendere quindi più facile la narrazione e lo spettacolo. La supremazia intellettuale e spirituale dell’uomo non ha dissolto il senso di legame che egli sente con il mondo degli animali. Sono infinite le forme di esseri ibridi, fra uomo e animale, creati dalla fantasia mitologica e simbolica e altrettante ne ha aggiunte, nel senso di trapasso insensibile, la scienza moderna attraverso il darwinismo. Emblematica l’illustrazione ricorrente nei libri scolastici, della serie di individui che partono, a sinistra, con la scimmia e portano, verso destra, a un essere sempre più eretto, per giungere all’ho-
mo sapiens odierno. D’altra parte, i musei di storia naturale sono nati includendo, accanto ai minerali, alle piante e al camoscio, anche la preistoria, quasi che la fase più antica dell’uomo, sconfinante nell’ominide, fosse da ritenersi come appartenente al mondo degli animali e dei vegetali, piuttosto che ad una specificità straordinaria e lampante qual è quella umana. L’animale, proprio per la sua somiglianza/diversità rispetto all’uomo, è parso spesso racchiudere in sé sfaccettature tali da costituire uno spiraglio di spiegazione della stessa realtà umana, quasi potesse essere uno specchio di rimando alla verità sulla sua essenza, come si trattasse del fantasma di riflessi lontani dell’uomo o di quell’essenza misteriosa della vita che tutto innerva, magari più vicina alla sorgente del tutto. Quante realtà, anche scientifiche, sulla conoscenza della vita generale, ma anche umana, sono provenute dallo studio dell’organismo animale. Animali mitologici ed esseri strani, dal fondamentale serpente tentatore dell’Eden, origine di ogni male, ai demoni, dalle sirene alle arpie, dai centauri alle sfingi, hanno interpretato l’universo di ciò che l’uomo ritiene parte della sua realtà, soprattutto intellettuale, e tuttavia discosto, connesso a verità riposte e occulte, tali da rappresentare risorse e speranze di rivelazioni esistenziali. Anche la cattura, la caccia e la soppressione
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degli animali hanno assunto quindi, da sempre, una sottesa valenza paramorale e certamente emotiva, che hanno caricato, soprattutto l’uccisione, di sonanti echi psicologici. Ancora la Bibbia rende esplicita all’uomo l’autorizzazione divina a nutrirsi di carne solo con il nuovo patto conseguente al diluvio, quasi come concessione alla durezza della condizione umana maceratasi nell’inferno conseguente al peccato originale: Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo come già le verdi
Noè convoglia la folla degli animali nell’arca, in un ricco mosaico della basilica veneziana di S. Marco. Nella foto piccola, Dio crea gli animali nelle acque, nel cielo e, infine, sulla Terra, al seguito dell’uomo, che tutti guida, in una miniatura duecentesca.
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Uomini primitivi, australopitechi, applicano la loro intelligenza di supremazia e di antagonismo. Sotto, l’intelligenza umana tenta anche la convivenza con una natura aliena. La visione edulcorata del regno della concordia all’interno del creato in un dipinto di Edward Hicks, pittore americano della prima metà dell’Ottocento. Nella pagina a fronte, tre splendide tavole scientifiche e naturalistiche ottocentesche.
macellaio nobile, come è ritratto negli ieratici cortei del suovetaurilia romano: il sacrificio di un maiale (su, per suino), una pecora (ove, per ovino) e di un (taur) toro. Non casualmente l’avvicinarsi alla drammatica operazione che toglie la vita, sia pure ad un essere secondario, merita tutta una serie di procedure e cautele che solo il sacerdote conosce, come avviene nelle meticolose regole della macellazione ebraica o musulmana. L’uccisione dell’animale è altresì ritenuta sacra anche in altre situazioni, come quel-
erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue”. Il sacrificio di animali agli dei non fu molto discosto dal più antico e talora coevo sacrificio umano. L’animale era quasi ritenuto un succedaneo della vittima umana, come è reso esplicito nell’episodio biblico del quasi attuato sacrificio di Isacco da parte del pio padre Abramo. L’angelo che ferma in extremis la mano armata dello straziato ma ubbidiente Abramo addita, come vittima sacrificale alternativa al preziosissimo figlio, un capro le cui corna si sono incastrate nel groviglio di un rovo. Il sacerdote che uccide la bestia sull’ara è un
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la citata ancora dalla Bibbia, quando narra, nella Genesi, l’episodio dell’accordo fra Dio ed Abramo: “Prendimi [disse Dio] una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo. Andò [Abramo] a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra [...]. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abramo”. Gli animali squartati suggellavano il patto ultraterreno, versando sul terreno della materialità il prezzo del sacrificio, unico degno dell’altezza di un simile accordo. L’antica e autorevole personalità del guerriero e del capo ha spesso riferito all’animale la prova della propria forza, della propria abilità, della propria audacia. I re assiri sono spesso raffigurati mentre cacciano leoni. L’uomo-dio babilonese Gilgamesh è raffigurato, in una nota scultura, mentre trattiene, per sottometterlo, un riluttante e aggressivo, piccolo leone. Il dominio sull’animale pericoloso è stato quindi visto come emblema della forza individuale, così come l’identificazione con quell’animale è stata usata per simboleggiare vanto e ostentazione di potenza. L’animale principe, per tale tipo di espressioni, è sempre stato, nell’area mediterranea ed europea, il leone. Anche
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Il rapporto rituale fra uomo e animali in tre immagini dell’antichità . In alto, un suovetaurilia romano, il sacrificio religioso contemporaneo di un maiale, un montone e un toro. A destra, il babilonese Gilgamesh, mitico personaggio forse del 4000 a. C., costringe un piccolo leone sottomesso e, sotto, la ieratica uccisione di un leone in epoca assira. Nella pagina a fronte, un orangutan in un disegno ottocentesco. Gli animali piÚ vicini alla specie umana hanno creato interrogativi sul senso dell’uomo e della natura.
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anche la vicenda del toro, in ambito strettamente mediterraneo, a partire dalla civiltà minoica, del XX secolo avanti Cristo. Si tratta di tre animali che rappresentano, in forma visceralmente lampante, il senso della potenza e della nobiltà. Quando lo stadio evolutivo della civiltà ha allontanato i centri della vita sociale e culturale dagli habitat dei grandi animali rappresentativi, il deserto o la savana, si è sviluppata, in ambito romano, la tendenza a creare situazioni di esibizione di animali selvatici rari e originari di terre lontane, importati. La curiosità creata da
Sopra, una dettagliata esposizione enciclopedica dei crudelissimi combattimenti che si svolgevano nelle arene dell’antica Roma. Si vedono anche i condannati esposti, nudi e legati, alla ferocia delle belve. A destra, i guardiani delle belve nell’antica Roma, in un’incisione ottocentesca. Nella pagina a fronte, due immagini di cattura e trasporto per l’importazione di animali da esibire negli anfiteatri dell’antica civiltà romana, tratte dagli splendidi mosaici della domus di Piazza Armerina.
l’aquila ha avuto un suo valore simbolico di questo tipo, anche se di gran lunga inferiore a quello del leone. Non fu meno importante
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simili animali fu abbinata ad un profondo humus psicologico, che continuava a percepire nell’animale selvaggio un soggetto intriso di ataviche valenze inerenti alla lotta simbolica contro le forze ostili della natura e della vita. L’origine dei giochi gladiatori e dei combattimenti fra animali nell’anfiteatro oscilla, infatti, fra ipotesi religioso-funerarie e interpretazioni politico-militari, che mettevano in gioco il ruolo del capo guerriero e la condanna dei nemici vinti. Munera e venationes indicarono i duelli fra gladiatori e le lotte fra animali o fra uomini e animali. Le venationes furono anche, all’inizio, e cioè a metà del terzo secolo avanti Cristo, solo sfilate di animali esotici, ma presto divennero cerimonie di uccisione di prigionieri, condannati, come si ebbe, per la prima vol-
ta, nel 167 a.C., alla damnatio ad bestias, ad essere cioè uccisi da belve in un pubblico evento. Nel 186 a.C. si ha notizia di una prima messa in scena di combattimenti tra felini, spettacolo che prese sempre più piede, per frequenza e dimensione. A metà del primo secolo si aprì una sempre maggiore importazione di animali esotici: ippopotami e coccodrilli, seguiti, nel 55 a.C., da scimmie, rinoceronti, elefanti, leoni, pantere. Nel 46 a.C. Cesare mise in campo, per uno spettacolo cruento, 400 animali, mentre Augusto lo superò, nell’11, con un massacro di ben 600 belve. Nel 2 a.C. lo stesso Augusto fece scendere nel Circo Massimo 260 leoni. Tito, per inaugurare il Colosseo, fece uccidere in una sola giornata, 5.000 animali. Traiano, nel 107, festeggiò il suo rientro trionfale dalla Dacia con 123 giorni di tripudi, nei quali furono impiegati 10.000 gladiatori e 11.000
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bestie. Aureliano, nel 274, per celebrare il dominio ai confini dell’impero, verso oriente e occidente, esibì al popolo, cui in seguito li donò, 20 elefanti, 200 animali palestinesi, tigri, giraffe, cervi, mentre Probo, nel 281, mostrò, in una grande scenografia teatrale, migliaia di struzzi, cinghiali, antilopi, zebre, bufali, che, anch’egli, offrì alla libera
caccia e appropriazione del popolo eccitato. Uccisioni di animali in pubblico, per feste, cerimonie e giochi, si ebbero anche nel Medioevo, talora con modalità che mettevano a rischio anche la vita del mattatore, come fu, infine, nell’unico spettacolo del genere rimasto sino ad oggi, la metafora della vita, la danza tragica e cruenta della corrida.
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Lo sfondo, quindi, accanto al clima di semplice curiosità per l’animale sconosciuto, reso tangibile grazie all’espansione territoriale dello stato romano, restava nella viscerale fissazione esistenziale sul tema basilare della morte. Il sangue doveva essere versato e visto, mentre la vita possente, muscolare e divampante, precipitava bruscamente o scivolava, con strazio prolungato, nel baratro ineluttabile e irreversibile della sua estinzione. Lo spettacolo educativo del duel-
lo cruento ammoniva circa i veri parametri del vivere umano, che si gioca sugli altissimi tavoli della nascita, del caso e della morte, della speranza o della disperazione, che urlano una sola domanda. Gli eroi dell’arena rappresentavano ognuno degli spettatori e l’eroe massimo, il capo guerriero e cacciatore, poteva ancora mostrare la sua effimera virtù nella quale ognuno poteva tentare di identificarsi, offrendo un attimo di fiducia nella vita, nel momento in cui sconfiggeva la brutalità della vita. Ancora in Roma, alcuni imperatori, e uno per tutti il Commodo rievocato nel celebre film Il gladiatore, scendevano nell’arena. Soprattutto attraverso la Sicilia (i mosaici di Piazza Armerina lo illustrano) avveniva l’importazione dall’Africa, o dal Medio Oriente, di animali esotici. Non casualmente l’Africa, nelle descrizioni romane dei territori a sud della fascia mediterranea conosciuta, era definita con la caratteristica della terribile natura selvaggia, legata anche alla cattura e all’importazione di animali da spettacolo: “Hic sunt leones”. Le bestie affluivano, attraverso il porto di Ostia, ai vivaria imperiali, sorta di serragli Gli animali rari si confondevano con gli animali fantastici, come quelli raffigurati in una miniatura quattrocentesca, in alto, o come l’animale mostruoso disegnato da Ulisse Aldrovandi alla fine del Cinquecento: un cane “ciclocefalo”. Nella pagina a fronte, le forme intermedie fra l’animalità e l’umanità, nella visione trecentesca del demonio. Andrea di Buonaiuto, nel Cappellone degli Spagnoli, in Santa Maria Novella a Firenze.
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A sinistra, le tentazioni di S. Antonio, rappresentate da una folla di mostri animali in un quadro del tedesco Matthias Grünewald. A destra, l’animale di un altro mondo per eccellenza: il diavolo. Sopra, un celebre quadro di Michael Pacher. Sotto, le sembianze animali nel viso dell’umanità maligna, secondo l’arte fiorentina del Quattrocento.
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Un ghepardo al guinzaglio in un giardino cintato. Disegno trecentesco del milanese Giovannino de’ Grassi. Sotto, ghepardi domestici medievali, che dovevano essere ben noti, anche nei particolari, al disegnatore lombardo Giovannino de’ Grassi.
dove gli animali erano trattenuti per ogni uso a venire, ma anche per essere osservati. Proprio questi vivaria possono essere ritenuti i progenitori più espliciti dei giardini zoologici, condividendo tale genitura con altre realtà. Fra queste vanno annoverati i giardini persiani, chiamati “paradisi”, che intendevano riprodurre la totalità della piacevolezza o della terribilità naturale concentrando una vegetazione lussureggiante e una grande
varietà di animali rari e attraenti. Anche in Cina, nel XIV secolo a.C., imperatori collezionavano animali e si ricorda il caso dell’imperatore Wen Wang che, nel IX secolo a.C., allestì un parco di 375 ettari, microcosmo della creazione divina, che era utilizzato per la caccia e la pesca. La complessa visione culturale del Medioevo sviluppò un’ampia concezione dell’animale “esotico” in senso lato, prevalentemente creato dall’immaginazione artistica. Una varietà di “mostri” si infittì nella pittura che raffigurava i demoni e gli inferni, così come nella scultura architettonica delle cattedrali, draghi, serpi, grifoni, chimere e una fauna teratologica sconfinata assillarono incubi e illuminazioni dei cristiani inquieti. Il bestiario raggiunse l’acme del visionario con Jeronimus Bosch, maestro della creazione di esseri viventi dalle sconfinate fogge mostruose. Il trapasso fra le specie animali e l’uomo, con una serie di esemplari ibridi, con sembianze in parte umane e in parte animali, fu teo-
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Animali selvaggi introdotti nella vita domestica della nobiltà antica. Un falconiere medievale e particolari di un affresco del quattrocentesco Benozzo Gozzoli, con leopardi tenuti al guinzaglio.
Sotto, un elegante disegno naturalistico tratto dalla secentesca raccolta zoologica di Alberto Seba.
rizzato e raffigurato ben prima del darwinismo. Il mondo antico, sino al Rinascimento, è colmo di esseri di fantasia, parte uomo e parte animale, così come di bestie mostruose, bizzarre e improbabili. Il vero animale raro, e quindi tale da destare curiosità, non era molto presente nella cultura del basso Medioevo, anche se si ricorda il caso di Federico II, noto studioso di falconeria, che, nel XIII secolo, possedeva una moltitudine di animali esotici, dai cammelli agli elefanti, dai grandi felini agli orsi e alle gazzelle, che utilizzava per la sua caccia o le parate. A partire dal XIV secolo, non furono rari i signori che amavano possedere animali esotici, che costituivano occasione per cacce di atmosfera favolistica, nonché attrattiva nel fasto di corte. Il lombardo Giovannino de’ Grassi, nella seconda metà del Trecento, disegnò elegantissimi giaguari legati a ricchi collari, entro giardini signorili. Il raffinatissimo affresco di Be-
nozzo Gozzoli nella cappella dei Medici raffigura, nel 1459, il corteo dei Re Magi ricco di animali esotici da palazzo, come leopardi al guinzaglio o dromedari. Se non erano in giardini cintati, gli animali erano rinchiusi in spazi con gabbie che si chiamarono serragli, esportati dall’Italia in Europa con il nome di serrallo, o casa de fieras in Spagna o maison des lions in Francia. Se Venezia,
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La goffa raffigurazione di animali esotici poco noti in Europa, come l’elefante. Benché la conoscenza di questo animale risalisse all’epoca romana, la raffigurazione, in disegni stilati dal XIII secolo, quando l’elefante era anche definito ilcofante, al XV secolo è molto distorta e irrealistica. Sotto, la raffigurazione di animali come l’elefante o il rinoceronte divenne molto più realistica quando alcuni esemplari itineranti furono portati nelle città europee. Un elefante di Rembrandt van Rijn e un rinoceronte di Albrecht Dürer.
con i suoi traffici orientali, già raffigurava i mercanti turchi con i dromedari nei bassorilievi della sua città, in Italia la passione per il possesso di animali esotici era comunque diffusa. In Firenze, al leone araldico corrispondeva la presenza di vari leoni, rinchiusi in un serraglio posto nella via che ancora si chiama “ dei Leoni”. Lorenzo de’ Medici possedeva svariati tori, orsi, cinghiali, leopardi, leoni ed elefanti e non erano da meno i signori di Parma, Ferrara e di Calabria, che tenevano in gabbie svariati felini. Persino il papa, all’inizio del Cinquecento, aveva
un suo corredo di animali feroci, così come diversi cardinali, che, nelle loro ville di campagna, possedevano strani animali, evocativi di terre lontane. L’Europa dei nobili si appropriò di animali esotici quando la scoperta del nuovo mondo e le teste di ponte delle colonie consentirono l’aprirsi di corridoi diretti verso terre vergini e tropicali. I monarchi di Spagna e Portogallo gareggiarono nell’ostentare animali che testimoniavano il successo delle loro conquiste di territori d’oltremare. Ma anche in area tedesca la moda si diffuse e, a maggior
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ragione, in Inghilterra, dove fu messa a punto un’organizzata raccolta di animali esotici, soprattutto di leoni, in vani della Torre di Londra. Gli animali esotici divennero anche doni diplomatici che monarchie detentrici di possedimenti oltre gli oceani si vantavano di poter offrire a stati amici. La circolazione di molti animali, prima solo intravisti in disegni approssimativi, sempre peggio replicati, consentì anche le loro prime raffigurazioni realistiche. Basta confrontare il rinoceronte di Albrecht Dürer, del 1515, che pure non fu visto direttamente dal grande artista tedesco, con miniature di animali esotici tre-
quattrocenteschi. Non erano solo gli animali esotici ad incuriosire l’intelligenza rinascimentale. L’interesse collezionistico per oggetti naturali rari ebbe nel Cinquecento una fase importante, con l’apparire delle sale private nelle quali alcuni nobili raccoglievano i naturalia, talora accanto a prodotti curiosi dell’uomo, gli artificialia. Questi prototipi dei musei, che sono rimasti noti con il nome tedesco di wunderkammer (sala dei prodigi), ma anche “cabinet of natural curiosities” o “exibition room”, raccoglievano esemplari rari e talora eccezionali o mostruosi. Spesso si trattava di
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Particolare di una cinquecentesca raccolta di oggetti esotici, di natura ed etnografici, e di raffigurazioni pittoriche. In una di esse si scorge la scena di cannibali che smembrano un cadavere e ne infilzano porzioni su uno spiedo, disponendole sopra il fuoco. Animali e uomini selvaggi erano accomunati nella visione della natura senza il soffio della civiltà. Sotto, una tipica sala delle meraviglie, traboccante di esemplari naturalistici, nella prima metà del Seicento. In basso, scene di una delle tante battaglie cruente praticate nei secoli, in area mediterranea, fra uomini e tori. Nella pagina a fronte, un “cabinet of curiosities” secentesco, appartenente ad un commerciante di ferro olandese.
animali, imbalsamati o nella versione scheletrica. La curiosità naturalistica rientrava nella cultura razionalista rinascimentale e si protrasse, anche nel campo zoologico, sino al Settecento, quando trapassò nel clima illuministico. L’Italia vanta la figura del bolo-
gnese Ulisse Aldrovandi, l’intellettuale che, nel Cinquecento, fissò un punto di partenza degli studi naturalistici, aprendo anche uno dei primi musei di scienze naturali, riferito soprattutto alla botanica. Nei suoi ricchissimi libri, splendidamente illustrati, l’Aldro-
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Il coccodrillo difende dalla serpe le sue uova, nel disegno secentesco di Maria Sibylla Merian. Nella pagina a fronte, uno dei motivi di attrazione degli animali esotici: il raffinato repertorio estetico delle forme e dei colori, nell’esemplificazione di carapaci di tartarughe. Tavola settecentesca.
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In alto, giochi cruenti, con il coinvolgimento di animali, nella Venezia del Settecento: la gatta uccisa a testate. Sotto, animali alpini e un “leonpardo” esotico in un disegno di Giovannino de’ Grassi. A destra, leone dipinto nel Cinquecento da Albrecht Dürer.
vandi incluse anche la zoologia. Né si può dimenticare, a proposito di abilità illustrativa, la figura del veronese Jacopo Ligozzi, eccelso disegnatore di animali, che, vissuto nella seconda metà del Cinquecento, assai stimato dall’Aldrovandi, produsse una ricca serie di tavole zoologiche che superarono d’un balzo ogni goffaggine dei bestiari medievali, avvicinando quindi il mondo degli animali alla cultura europea, con atteggiamento scientifico. Anche gli animali vivi rientrarono in quel tipo di interessi, mentre persistevano le arcaiche radici del rapporto con le bestie. Rimaneva il concetto dell’animale pericoloso affrontato dal capo-guerriero. Le origini della corrida moderna, che tuttavia ha una storia di continuità rispetto agli antichissimi giochi taurini mediterranei, e cretesi in particolare, vedeva, nel basso Medioevo i nobili affrontare, a cavallo, il
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S. Gerolamo sconvolge i confratelli portando nel convento il leone. A destra, il contatto fra civiltà e mondo selvaggio, tramite S. Gerolamo. Sotto, da destra a sinistra, il leone abbandona la vita selvaggia e si avvicina alla civiltà, tramite S. Gerolamo.
possente e travolgente toro. Contemporaneamente i giochi con tori si svolgevano anche nelle piazze, dal Portogallo alla Provenza, all’Italia, anche settentrionale, Venezia e Brescia comprese. Ancora nel Settecento si citavano in Brescia mastini allevati per i combattimenti con i tori, mentre nella piazza S. Marco di Venezia si svolgeva la grande festa popolare, anche con la partecipazione attiva delle signore, animata da molti tori, trattenuti da funi e assaliti da cani. L’ani-
male pericoloso continuava, quindi, a suscitare grande curiosità e tanto più era mitizzato il fascino dei grandi animali aggressori: i felini. Ancora i leoni facevano “la parte del leone”, apparendo in innumerevoli stemmi nobiliari, civici e anche nazionali, come l’Inghilterra, dove, peraltro, nel XII secolo, il leone riaffermava la propria immagine come emblema dell’attributo di forza e coraggio, reso esplicito dal nome di Richard the Lionheart, Riccardo Cuor di Leone. Il possente animale era anche associato all’immagine della giustizia, capace, si riteneva, di sopraffare, accanto alla donna con spada e
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bilancia, i nemici della verità. Il leone era familiare anche ai Bresciani, sin dal Medioevo. Brescia si fregiava, già dal XIII secolo, del suo stemma comunale, il leone rampante, che sarebbe stato affiancato, dal primo Quattrocento, e sino alla fine del Settecento, dal leone di S. Marco, emblema della dominante Venezia. L’agiografia di S. Girolamo introdusse un’interessante leggenda che ebbe come protagonista il leone. Probabilmente inteso come simbolo della natura ostile e malefica, anche sotto il profilo morale, perché regno della materialità, il leone, anche se spesso usato come simbolo del Cristo stesso, come nei leoni stilofori del Romanico, fu affiancato all’intellettuale Girolamo, a una tipologia umana, cioè, ritenuta la più distante dalla bruta natura. Girolamo, traduttore in latino della Bibbia e teologo in dialogo anche con S. Agostino, fu ritenuto capace di entrare in dialogo con la dimensione della natura sorda e selvaggia attraverso un gesto d’amore tipicamente cristiano: la cura della zampa malata del “re degli animali”. La conciliazione fra natura e cultura attribuita a Girolamo fu letta come emblematica dall’iconografia che lo riguardò, che presenta almeno due immagini rivelatrici. La prima si riferisce al ritratto di Girolamo nel suo intellettuaLa conciliazione fra l’uomo evoluto e gli animali selvaggi in un dipinto di Lucas Cranach raffigurante il cardinale Alberto di Brandeburgo nelle forme di S. Gerolamo.
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Sopra, veduta dell’antica Ménagerie reale di Versailles, la più importante raccolta di animali esotici del mondo moderno. Era un primo modo di riavvicinare civiltà e “selvaggità”, come aveva ipotizzato l’antica leggenda del profeta biblico Daniele, prigioniero dei Babilonesi, risparmiato dai leoni cui fu dato in pasto. Dipinto di Pieter Paul Rubens.
lissimo studio-biblioteca con accanto il leone o, addirittura, in compagnia di una folla di animali selvatici. La natura è civilizzata. L’altra immagine, soprattutto interpretata dal Carpaccio, mostra Girolamo che vuole introdurre l’animale esotico nella civiltà del suo convento, cre-
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ando lo scompiglio dei confratelli terrorizzati dalla belva. Si può parlare di un invito alla creazione del Giardino zoologico, come luogo di una rappacificazione fra l’ostilità del male, insita nella natura post-Eden, e la nobiltà spirituale dell’uomo. In un dipinto quattrocentesco di Sano di Pietro, ancora riferito alla vita di S. Girolamo, si mostra il leone che, dalla selva esterna alla città, dove è selvaggio e aggressore di prede, giunge, mansueto, alla civiltà del convento e della mano umana. L’interesse per la presenza di animali esotici in giardini e recinti si diffuse sempre più presso i nobili, ma finì per divenire anche patrimonio centrale del potere statale. Si può ricordare, da un lato, il caso di un nobile privato secentesco, il cardinale Scipione Borghese, romano, la cui villa fu voluta anche per accogliere, nel proprio giardino, animali di ogni sorte. Di livello internazionale fu, invece, la formazione, nel 1662-1664, da parte del re francese Luigi XIV, della Ménagerie di Versailles, un vero e proprio Giardino zoologico, con struttura muraria e architettonica, cui si affiancò, nel 1661, a Vincennes, una seconda ménagerie, con parco per la caccia, al centro del quale fu costruita una torre, con balconi, dai quali si poteva avere una vista panoramica
dell’intero scenario. A Versailles la struttura era costituita da un ventaglio di cortili a spicchio, su un pianta semicircolare. Al centro del diametro era una costruzione alta che consentiva la visione dei vari gruppi di animali. Il nome ménagerie apparve in Francia nel XIII secolo e si riferiva, inizialmente, alla
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Un’interessante e rara scena di commercio di animali esotici, nel 1800. Sotto, l’esibizione di animali selvaggi per un pubblico popolare avveniva nelle piazze, soprattutto ad opera di zingari, che mostravano gli “orsi che ballano”.
gestione della casa, essendo poi passato ad indicare la gestione complessiva della fattoria. Fu utilizzato per la prima volta per indicare una struttura predisposta al mantenimento e all’esibizione di animali esotici proprio in occasione della costituzione della Ménagerie di Versailles. Il nome passò anche all’inglese con il termine menagerie, mentre in Italia simili strutture continuarono a chiamarsi serragli. L’esempio francese fu imitato da numerosi monarchi europei, che abbinarono ai gabinetti delle meraviglie anche luoghi di coltivazione di piante rare, come le orangerie, e ménagerie, che ospitavano animali rari. Soprattutto in Italia, come nel caso della villa e del parco di Pratolino, di una ventina di ettari, di Francesco I de’ Medici, le ville e i giardini assommavano patrimoni che andavano dalle opere d’arte ai reperti archeologici, dalle piante rare agli animali esotici, alle curiosi-
Nella pagina a fronte, in alto, tre perfette tavole naturalistiche. A sinistra un disegno di Georg Flegel, pittore tedesco vissuto fra XVI e XVII secolo. Al centro, un’illustrazione settecentesca della collezione del farmacista olandese Alberto Seba e, a destra, un’elegante tavola del secentesco pittore olandese Balthasar van der Ast. Sotto, una folla di vari tipi di colibrì in una sfolgorante tavola settecentesca.
tà di manufatti e di natura, in una sorta di isola delle meraviglie universali cui la cultura barocca avrebbe attribuito, tra giochi d’acque e fondali prospettici, il crescente carattere della sorpresa e dello stupore. Ancora rimanendo nell’ambito italiano, ricordiamo che Eugenio di Savoia aprì, nel castello di Belvedere e nel 1723, una ménagerie sul modello di Versailles. Ma ormai era tempo di una diffusione più democratica dell’offerta di animali esotici alla curiosità popolare, anche con funzioni didascaliche. Nel XVIII secolo si assiste alla nascita di ménagerie che si aprono al pubblico. Il primo caso viene riferito a Lord Halifax, a Horton, che, nel 1750, aprì ai visitatori la ménagerie, che faceva parte del proprio palazzo di piacere. Anche Villa Borghese, Villa Lante o il
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Celebri esibizioni pubbliche di animali esotici nel Settecento, ritratte dal veneziano Pietro Longhi. Nella pagina a fronte, a destra, un orso, emblema della città di Berna, portato in corteo il giorno dell’anniversario della fondazione della città. A sinistra, spettacolo di piazza con l’esibizione di alcuni animali che, nel 1863, destavano curiosità.
complesso di Pratolino erano chiusi quando erano presenti i proprietari, ma, altrimenti, alcune zone erano aperte ai visitatori e soprattutto i parchi con gli animali. Anche la ricca raccolta di animali della Torre di Londra e la simile collezione viennese del castello di Schönbrunn iniziarono ad aprirsi al pubblico, che aveva poche altre occasioni di osservare animali esotici. Era tradizione degli zingari nomadi apparire sulle piazze con un orso alla catena, per spettacolo con questua, così come alcune piccole scimmie erano talora esposte a contorno attrattivo in occasione di spettacoli da strada, di saltimbanchi, guitti o anche di ciarlatani. Nel Settecento si diffusero anche episodi di esibizione di rarissimi animali esotici itineranti. È noto, soprattutto per la raffigura-
zione veneziana del pittore Pietro Longhi, il viaggio attraverso l’Europa, durato 17 anni, del rinoceronte indiano chiamato Clara. Si ricordano, a partire dalla tigre esposta a Torino per un lungo periodo, nel 1478, altre esibizioni itineranti di elefanti e anche, nella seconda metà del XVIII secolo, mostre di animali esotici in vendita. Tra le prime città a possedere un simile negozio, nonché una ménagerie con ingresso a pagamento, vi fu Amsterdam. Altre città avevano qualche raccolta di animali rari, ma spesso in relazione solo all’animale che era raffigurato nello stemma comunale. Era il caso di Berna, che ha nel gonfalone l’emblema dell’orso. Un orso in gabbia era portato in corteo nelle vie della città, in occasione delle celebrazioni per gli anniversari della fondazione della città. A Londra divenne famosa, dal 1770,
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la ménagerie visitabile a pagamento ai piani inferiori dell’Exeter Exchange, dove, accanto a leoni, tigri, ghepardi, scimmie e uccelli, vi era anche un celebre elefante, di nome Chunee, che pesava sette tonnellate. Gli animali mostrati a pagamento iniziarono a rientrare, già nel Seicento, fra le curiosità anche degli spettacoli viaggianti da cui prese origine il circo moderno. Accanto a donne forzute, nani e vari uomini-mostri, si cominciarono ad esibire anche alcuni animali esotici. Il clima generale accompagnava queste scelte di curiosità e divulgative, riguardanti gli animali esotici, ad interessi scientifici nei riguardi del mondo dei viventi. Già a metà del Cinquecento erano state istituite cattedre di botanica nelle università di Padova e Pisa, imitate da altri atenei in Europa, mentre, nel Settecento, Carl Nilsson Linnaeus, noto come Linneo, formulò il sistema classificato-
rio, la cosiddetta “nomenclatura binomiale” delle specie di esseri viventi. Nel Seicento si sviluppò anche la tecnica dell’imbalsamazione, che consentì la diffusione, e quindi lo stu-
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dio, di animali anche rari e provenienti da luoghi lontani. La paleontologia dei mammiferi muoveva i suoi primi passi grazie a Georges Cuvier, mentre Georges de Buffon poneva le basi per una visione della vita sulla terra in forma dinamica, che preludeva alle ipotesi evoluzioniste di Jean Baptiste de Lamarck e Charles Darwin. Alle raccolte di animali rari o esotici si affiancò un’utile pratica scientifica della dissezione, che fornì importanti informazioni biologiche. Lo studio della zoologia, favorito dalla disponibilità di molti esemplari di animali poco conosciuti,
consentì lo sviluppo dell’anatomia comparata, della fisiologia generale e anche dei rapporti medici fra animali e uomo. Si pensi alla vaccinazione, messa a punto dall’inglese Edward Jenner. Il vocabolo vaccinazione deriva evidentemente dal nome della vacca, dalla quale Jenner prelevò il materiale necessario alla prima inoculazione, che ha portato, nel 1977, alla scomparsa del vaiolo dal globo. Su questo humus culturale si calò la materializzazione politica e amministrativa consentita dal nuovo evento della Rivoluzione
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francese. A Parigi, nel 1792, la Ménagerie reale di Versailles fu trasferita nell’antico orto botanico, il Jardin des plantes, fondato nel 1626, e si creò il grande Giardino zoologico che ancora esiste, collegato al museo di storia naturale. La raccolta di animali, criticata dall’Encyclopédie di Diderot perché inutilmente costosa, fu vagliata dai rivoluzionari, che distinsero le potenzialità didattiche dell’esposizione pubblica di animali esotici dalle condannate cacce reali e dalla prigionia degli animali, ritenuta simbolo dell’oppressione monarchica sul popolo. I giacobini
Due specialisti della conservazione e dello studio degli animali. “La scienza è misura”: uno zoologo allo studio dello scheletro di un uccello, in un dipinto ottocentesco di Henry Stacy Marks, e, a destra, il laboratorio di un imbalsamatore del 1896. Nella pagina a fronte, grande serraglio del 1891 in un dipinto di Paul Meyerheim.
eliminarono le facoltà di medicina perché simbolo del tiranno, ma il fine della divulgazione scientifica salvò il Jardin des plantes e la ménagerie, nella quale, però, si sfoltirono i carnivori, espressione, a detta dei nuovi potenti, della prepotenza classista e dittatoriale. Si vollero esporre soprattutto animali miti. Si trattò di un’ennesima ed esemplare
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In alto, a sinistra, giraffe e un rinoceronte imbalsamati, esposti nel vecchio British Museum, allestito, nel 1845, in Montague House. Accanto, il laboratorio tassidermico di un museo di storia naturale del 1853. Sotto, la ricomposizione dello scheletro fossile di un Megaterium in un museo di storia naturale ottocentesco. Accanto, una sapiente riproduzione grafica di tigri accolte in uno zoo e la sezione di rettili tropicali in un giardino zoologico ottocentesco.
Pagina a fronte, l’esposizione di animali rari in Exeter Exchange, a Londra, alla fine del Settecento,
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trasposizione antropomorfica di copertura, rispetto alla realtà umana. Che si additasse come ammirevole la mitezza degli animali vegetariani, proprio da parte di coloro che scatenavano il Terrore della ghigliottina e del fanatismo ideologico, che generò nel sangue 40.000 omicidi, è un dato rivelatore della falsa coscienza cui spesso si presta la valutazione della vita animale. Il modello parigino si diffuse a Bruxelles, Anversa, Amsterdam, Berlino e Londra, nonché, successivamente, in diverse altre
città, talora utilizzando parchi preesistenti. Proprio per la menagerie di Londra, in Regent’s Park, nel 1828, fu coniata la denominazione “zoological garden”, che sarebbe divenuta di uso internazionale nelle varie traduzioni, poi affiancata, e spesso sostituita, ma solo un secolo dopo, dall’abbreviazione zoo. L’iniziativa dell’apertura di giardini zoologici fu quasi sempre privata, a partire da Bristol, nel 1835, dove la costituzione del Giardino zoologico fu intrapresa da un gruppo associatosi in una “joint-stock company”,
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In alto, biglietto di ingresso al giardino della Società zoologica di Londra, dei primi anni dell’Ottocento. Sotto, la grande gabbia delle scimmie e il recinto di bovidi e dromedari nel giardino zoologico di Londra, nella prima metà dell’Ottocento. Nella pagina a fronte, recinto dei dromedari e una grande gabbia di scimmie nello zoo di Regent’s Park di Londra, nel 1835.
formula societaria allora molto innovativa. Seguirono simili fondazioni ad Amsterdam, nel 1843, a Bruxelles, nel 1851, a L’Aia, nel 1863, a Marsiglia, nel 1854, a Lione, nel 1858, a Berlino, nel 1844, a Colonia, nel 1860, e a Stoccarda, nel 1870. Mosca aprì il suo Giardino zoologico nel 1863 e Budapest nel 1865, Basilea nel 1874 e Lisbona nel 1883, mentre Barcellona inaugurò il suo parco zoologico nel 1892. I giardini zoologici nacquero spesso per volontà di associazioni naturalistiche e furono associati a musei e biblioteche. Si trattava di complessi dedicati prevalentemente a studiosi, tanto che, in molti casi, l’ingresso era consentito solo ai soci e non al pubblico generico. Nei casi, inizialmente pochi, di giardini zoologici aperti al pubblico senza restrizioni, si ebbero anche concessioni di ingressi gratuiti a specifiche categorie sociali, come le scolaresche, i singoli studenti, i soldati in uniforme e gli operai. Il Jardin des plantes di Parigi fu aperto gratuitamente a tutti nel 1830 e Regent’s Park nel 1847 fu il primo Giardino zoologico ad aprire l’accesso anche ai non membri della società proprietaria, lungo tutta la settimana, ma salvo la domenica mattina. I giardini zoologici a vocazione pubblica furono sempre più connessi al contesto culturale igienista dell’epoca. Inseriti in parchi fortemente alberati perché già esistenti, furono affiancati a strutture
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Visitatori all’interno di un serraglio, nel 1835, in un dipinto di Johann Geyer. Nella pagina a fronte, il grande serraglio viaggiante dell’inglese Wombwell, a metà Ottocento. In basso è esibito il lungo corteo dei carrozzoni che trasportavano le gabbie con gli animali.
di intrattenimento, come ristoranti, teatri, campi sportivi, caffè, planetari, chioschi musicali, giardini d’inverno, come quello degli Champs Elisées, che accoglieva fino a 40.000 visitatori al mese. Durante la diffusione dei giardini zoologici, che comunque rimanevano in numero molto
ridotto, si ebbe anche una crescita quantitativa dei grandi patrimoni di serragli itineranti internazionali. La curiosità destata dagli animali esotici cresceva con la conoscenza degli stessi. Il colonialismo, soprattutto inglese, rendeva molto più facile di prima la raccolta e il trasporto di un gran
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numero di bestie, che rientravano anche in una visione d’orgoglio nazionale. Il ventitreenne calzolaio londinese George Wombwell acquistò due serpenti boa presso alcuni marinai che li avevano portati dall’America del sud. Girava la notte nelle taverne, dove, mostrando agli avventori i grandi e strani ret-
tili, raccoglieva discrete somme di denaro. Nel 1810 aprì il suo serraglio ambulante con molti animali che egli acquistava allo sbarco da navi provenienti da ogni Paese tropicale Nel 1839 era il più conosciuto proprietario di serragli in Inghilterra, quando, per trasportare la massa dei suoi animali, doveva
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Affiche per la pubblicità del grande serraglio viaggiante ottocentesco di Bostock e Wombwell.
utilizzare 15 carrozzoni, trainati da 60 cavalli, che contenevano elefanti, leopardi, leoni, giaguari, canguri, giraffe, gorilla, tigri, un rinoceronte, zebre e molti altri animali. Fu un allevatore di animali esotici in cattività e fu tra i primi ad ottenere molte nascite di cuccioli. Era ritenuto uno dei massimi esperti in veterinaria, tanto da essere consultato anche dalla Casa reale inglese. La sua tomba è sormontata dalla statua di uno dei suoi più celebri leoni: Nerone. Nella stagione ottocentesca dei serragli viaggianti, che pure non intersecarono mai la realtà dei giardini zoologici, se non per qualche compravendita di animali, va almeno ricordato
anche lo statunitense Phineas Taylor Barnum, l’eclettico fondatore dell’omonimo circo statunitense. Dal 1835 il Barnum sviluppò la sua azione anche nel settore circense, creando una delle maggiori realtà del settore, con un grande serraglio. La fama del suo circo a tre piste, dei suoi fenomeni da baraccone, chiamati in inglese freak, e del suo patrimonio di animali si affermò anche in Europa, dove il circo giunse nel 1897, rimanendovi, in tournée, sino al 1902. A testimonianza dell’eco del grande circo e dei suoi animali basti ricordare che il termine Jumbo, di origine africana ed entrato nel linguaggio internazionale (dal nome dell’elefan-
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Manifesto pubblicitario per il serraglio “The realistic Jungle Menagerie”, di Barnum e Bailey.
tino Dumbo Jumbo, che originariamente si chiamava Jumbo junior, del cartone animato di Walt Disney, al nome dell’aereo Boeing 747, sino alla jumbo mail) deriva dal nome di un grande elefante del circo Barnum, che lo acquistò nel 1881 presso il Giardino zoologico di Londra. L’interesse per gli animali esotici era spesso affiancato dall’interesse etnografico, che solo in parte superava il criterio che, nei tre secoli precedenti, aveva accomunato una vasta serie di materiali sotto il titolo della curiosità naturalistica. Gli stessi circhi associavano la curiosità zoologica alla bizzarria attrattiva di fenomeni umani, più o meno ascrivibili alla categoria teratologica.
Il nuovo Giardino zoologico di Parigi, voluto dall’imperatore Napoleone III nel 1860, al Bois de Boulogne, e chiamato Jardin d’acclimatation, fu particolarmente interessato, nella fase d’espansione del colonialismo francese, all’osservazione etnologica e molti gruppi di popolazioni esotiche selvagge furono esibiti al pubblico nel contesto di scenari botanici e zoologici coerenti. Raccolte di oggetti etnografici erano spesso abbinate all’importazione di prodotti coloniali e anche le persone furono incluse in una sorta di deportazione scientifica, finalizzata all,interesse degli studiosi e dei curiosi. Già Cristoforo Colombo portò in Europa di-
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Giardino zoologico tedesco della seconda metà dell’Ottocento. Sotto, tratta da un quadro di Paul Meyerheim, l’incisione ottocentesca che raffigura la bizzarra ipotesi di una gelosia espressa con ruggiti dalla leonessa, contro la domatrice del serraglio che accarezza il leone. Nella pagina a fronte, la tradizione dei domatori di leoni, che ha annoverato anche alcuni esempi di presenze femminili, come quella rappresentata in questo dipinto ottocentesco.
versi nativi americani, che destavano molta attenzione per il loro aspetto e per il loro abbigliamento, anche se la finalità utilitaristica consisteva soprattutto nell’intenzione di istruire gli “indiani” sulla lingua spagnola, in modo che potessero divenire interpreti
presso le popolazioni d’origine. D’altra parte il clima culturale era da qualche decennio molto interessato ad esotismi anche antropologici. La cultura europea, soprattutto delle avanguardie artistiche, era alla ricerca di innervamenti innovatori che consentissero di rompere l’impasse che si avvitava sull’infinito rimando nell’introspezione ripetitiva che vedeva l’architettura prigioniera dell’imitazione stilistica dello Storicismo eclettico, la pittura realistica chiusa nella frequente rievocazione storica, nella letteratura quasi incapace di emergere dalla ripetizione di modelli classici o medievali.
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L’interesse per l’arte giapponese e il fascino di culture e luci tropicali ammaliarono gli Impressionisti, da Manet a Gauguin, e nutrirono l’Art Nouveau, per giungere all’assunzione di modelli di arte africana, che influirono vistosamente su Amedeo Modigliani, su Pablo Picasso e altri, orientando quindi l’intera arte contemporanea. Il veronese Emilio Salgari, che i biografi dicono incantato dai molti animali esotici che ebbe occasione di vedere nella sua città, nei serragli dei circhi, pubblicava a puntate, nel 1883, il suo primo romanzo della serie tenebrosa ed eroica di scontri e amori, tra spari e ti-
gri, kriss e giungle: Le tigri di Mompracem. Nel 1894 era pubblicato il celebre Libro della giungla, dell’inglese Rudyard Kipling, che, com’è noto, racconta la storia di un bambino, Mowgli, disperso nella giungla indiana e adottato da un branco di lupi, che lo introducono ad una vita fra gli animali dai caratteri e dagli atteggiamenti umani, fra buoni e cattivi, lotte e amicizie. Si era in anni in cui prendeva vita, per iniziativa dell’inglese Robert Baden-Powell, il movimento educativo dei Boy scout, nato nel 1907 e fortemente intriso di concetti naturalistici. Il giovane esploratore si forgiava nella rude vita della
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La singolare esibizione di coraggio di un domatore in un dipinto ottocentesco. Lo zoo come teatro della compatibilità fra uomo e natura matrigna. Si tratta dello statunitense Isaac Van Amburgh, notissimo e ricchissimo domatore e primo addestratore di animali esotici dell’età moderna, abbinando il suo serraglio ad un circo. Qui è in un ritratto nel 1839, di Edwin Landseer, autore anche dei leoni in bronzo posti al centro di Trafalgar Square.
foresta, a confronto con le bellezze e l’ostilità della natura. Non casualmente i nomi degli istruttori e di alcuni ruoli interni allo scoutismo sono tratti dal libro di Kipling o dalla vita animale: da Bagheera ai lupetti. Rudyard Kipling scrisse, proprio su richiesta del Baden-Powell, un adattamento del suo Libro della giungla, per il mondo degli scout. Nel 1912 usciva la prima edizione di un racconto dello statunitense Edgar Rice Burroughs, intitolato Tarzan delle scimmie, che ebbe immensa fortuna, sino ai giorni nostri. Anche in questo romanzo un piccolo bambino viene a trovarsi solo nella foresta e viene adottato, questa volta, dai gorilla, che lo allevano come un cucciolo della loro specie. Il ragazzo parla con gli animali, combatte con quelli aggressivi e ama quelli a lui vicini, finché entra in contatto con alcune persone americane, fra le quali è la celebre Jane, la ragazza con la quale instaurerà un rapporto amoroso che lo porterà ad abbandonare la vita selvaggia per trasferirsi nel mondo civilizzato, salvo poi ritornare nella presunta salubrità della foresta. L’oscillare di esseri umani fra la condizione animalesca e la civiltà, nutrita dal mito e da alcuni riscontri di bambini allevati da branchi di animali, a partire da Romolo e Remo, era frutto sia delle derivazioni darwiniane, sia dell’interesse per la primitività, presunta fonte di rigenera-
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Tre quadri dell’immagine ottocentesca riferita alla confidenza provvisoria fra uomini e animali selvaggi. Al centro, attrazioni zoologiche e l’assimilata attrazione costituita dai popoli primitivi. In basso, il mondo selvaggio ed esotico in una tavola didattica e in uno dei maggiori veicoli di indirizzo alla convivenza fra l’uomo moderno e la natura, alla base anche del movimento dei Boy scout: il Libro della giungla, di Rudyard Kipling: Qui la locandina per la vendita della prima edizione, del 1894.
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Scene di uno zoo ottocentesco. Sotto, il lavoro dietro le quinte per il mantenimento di un vecchio serraglio, in un’incisione tedesca che riproduce un quadro del pittore tedesco Heinrich Leutemann.
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Accurato disegno di rapaci, nella tradizione dei grandi illustratori di soggetti naturalistici e, sotto, tavola enciclopedica sul mondo dei mammiferi: un tema molto amato anche dagli scolari.
farfalle indenni dal calcino, la malattia che sterminò gran parte del patrimonio bacologico europeo, mettendo in crisi un importante settore dell’economia. Ma si pensi anche all’importazione e alla successiva diffusione delle capre Hircus, tibetane, per la produzione della lana Cashmere, o alla più recente importazione di struzzi, anche in Italia e nel Bresciano, per la creazione di allevamenti da carne. Nel Jardin d’acclimatation parigino si tentarono anche incroci di razze affini di animali selvaggi e nel 1904 furono zione fisica e anche intellettuale, sia degli esiti delle esplorazioni coloniali, soprattutto inglesi. I giardini zoologici rientravano in questo clima, tra favola e suggestione, fra scienza e colonialismo politico. Accanto a tendenze di interesse come quelle viste, va anche ricordato che non ultima delle finalità dello studio e di quella procedura che diede anche il nome alla struttura parigina, e cioè l’acclimatamento, era il tentativo di addomesticamento di specie nuove di animali, a fini zootecnici, sia alimentari, sia inerenti all’utilizzo di prodotti animali. Né l’idea era solo peregrina o velleitaria. Si pensi alla laboriosissima ricerca, anche da parte di sericoltori lombardi e bresciani, di nuove razze di bachi da seta, nel corso del secondo Ottocento, al fine di reperire in Oriente
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presentati due meticci, incrocio di una tigre e un leone nonchÊ di una zebra con un cavallo. Si sperava di poter giungere a qualche nuovo tipo di animale, utile anche sotto il profilo economico. Non era, neppure questa, una prospettiva balzana. Da incroci e selezioni, sia botaniche che zootecniche, si giunse, nell’Ottocento, a grandi risultati. Si pensi a molte razze di cani che oggi possediamo, di pesci ornamentali di origine cinese, di razze
Un serraglio di fine Ottocento, antica forma di esibizione di animali esotici viaggianti, anticipatrice degli zoo del XIX secolo.
iperproduttive nel campo avicolturale e nel settore delle vacche da latte, nonchÊ alle contemporanee razze di suini, ben diversi anche solo da quelli di 100 anni fa, alle pecore da lana, come le selezionatissime merino, ad alcuni insetti antagonisti per la lotta biologica ai parassiti delle piante o, restando a campi voluttuari, alle selezioni di canarini, animali da pelliccia, gatti da compagnia, conigli d’affezione o cani e cavalli da corsa.
Nelle due pagine seguenti, splendide tavole informative, di inizio Novecento, sul tema zoologico, nel suo versante ornitologico.
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Secondo Capitolo
Il caso dello zoo di Brescia: la struttura del primo Novecento La vicenda italiana è stata qui accennata per le sue fasi antiche, che vedevano l’interesse aristocratico, razionalista e rinascimentale per la varietà e per le curiosità esotiche della natura. La piccola conoscenza di animali africani o asiatici, dopo la grande fase romana, fu limitata a qualche sporadica occasione, in particolare pertinente all’ambiente veneziano, favorito dai suoi traffici con il Medio Oriente, che rimandava all’Estremo Oriente. Tuttavia lo spirito emulativo, negli ambienti della nobiltà europea, coinvolse precocemente anche una famiglia che ebbe
una centrale importanza per l’Italia: la famiglia Savoia. I regnanti del Piemonte crearono a Stupinigi una ménagerie fra il 1815 e il 1826, che doveva contribuire all’accrescimento dell’immagine di prestigio della Casa reale. La struttura fu però trasformata in scuderia nel 1852, soprattutto per volere di Cavour, che intendeva, anche abbandonando gli animali esotici, tracciare la modernizzazione dello stato. Al contrario Vittorio Emanuele II volle realizzare un Giardino zoologico nel parco della reggia, che contribuì a innovare il volto della città di Torino.
Due immagini di giardini zoologici del primo Novecento.
Nella pagina a fronte, l’ornitologo curatore di un settore museale alla fine dell’Ottocento. L’interesse per i musei di storia naturale fu molto intenso anche in Brescia.