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Franco Robecchi
Ettore Canali Creatività e impresa di un “interior designer” bresciano
Avv. ANDREA ARCAI Assessore alla Cultura
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Con il patrocinio del Comune di Brescia
Grazie all’impegno affettivo ed economico dei figli e del nipote - quasi una rarità nella società disgregata in cui ci ritroviamo - possiamo aggiungere una preziosa conoscenza alla nostra coscienza culturale e civica. La figura di Ettore Canali era sconosciuta ai più e, per molti di noi, l’incontro con questo artista-imprenditore bresciano, che il presente libro ci consente, è un’autentica scoperta. Francamente non sapevamo che il panorama delle intelligenze fattive bresciane potesse arricchirsi anche di questa personalità, che, nonostante le variegate e straordinarie imprese, creative e produttive, era stata pressoché dimenticata. Invece siamo orgogliosi di poter includere Ettore Canali nel pantheon degli illustri conterranei, non solo per la qualità delle opere ideate e costruite, ma anche per il carattere vulcanico del suo agire, da insaziabile homo faber, quale la terra bresciana si vanta di avere quasi come un archetipo della sua migliore tipologia umana. Naturalmente, per portare alla luce una personalità come quella del Canali, per tratteggiarla a tutto tondo evidenziandone le virtù, per includerla nel grande flusso del contesto storico, culturale e imprenditoriale della realtà bresciana, ma anche lombarda e nazionale, non poteva che intervenire la capacità di indagine, di sintesi e di scrittura di Franco Robecchi. L’autore ha saputo collocare la dimenticata figura di questo illustre figlio della nostra terra nel grande affresco corale che egli sta distendendo da trent’anni, per offrire alla comunità una continua crescita di consapevolezza e quindi di identità. L’infaticabile e severo lavoro di Franco Robecchi, divulgato con la più gradevole leggerezza di linguaggio, ha regalato alla coscienza collettiva dei Bresciani un vero patrimonio di informazioni, scenari, scoperte, anche iconografiche e simboliche, del quale gli siamo grati, come persone e come Amministrazione comunale. Questo libro su Ettore Canali costituisce solo l’ultimo frutto di questo straordinario albero, al quale auguriamo, per il bene di tutti, ancora infinite primavere, per continui germogli dei quali possiamo nutrirci.
Avv. Andrea Arcai Assessore alla Cultura del Comune di Brescia
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A nostro padre e a nostra madre che sono stati, per noi, esempio di intelligenza creativa e laboriositĂ infaticabile
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Presentazione Nell’agosto del 1929 Gabriele d’Annunzio scrive all’amico e architetto Gian Carlo Maroni: “Caro fratello, io ho il bisogno quasi tragico di escire da questo vecchio Vittoriale e di abitare in una casa nuova.” La casa nuova è l’ala di Schifamondo, lungamente vagheggiata, ma che il poeta non abitò mai perché morì prima della conclusione dei lavori. Alla realizzazione delle nuove stanze, ampie, prive di anticaglie, non tristi come ormai il poeta vedeva quelle della Prioria, concorsero le maggiori artisti e artigiani dell’epoca. La direzione dei lavori fu affidata, come sempre per la “Santa Fabbrica” del Vittoriale, all’architetto Maroni che si avvalse di importati collaboratori: fra questi Giò Ponti, Pietro Chiesa e Ettore Canali. Ettore Canali, il buon artefice come Maroni lo definisce in una lettera a d’Annunzio, è figura di spicco - da celebrare - nel panorama artistico bresciano e lombardo. Formatosi a Brescia, quando la città stava vivendo una straordinaria stagione di fermento artistico, culturale e economico, Canali fu architetto, designer, ebanista, arredatore e imprenditore. Con una perizia figlia della migliore tradizione artigianale italiana, seppe rispondere alle aspettative di facoltosi committenti, primi fra tutti le grandi famiglie bresciane, come l’importante committenza pubblica. La cura del dettaglio, la genialità di certe soluzioni sono tratti distintivi del lavoro di Canali, caratteristiche che non erano sfuggite all’esigentissimo abitatore del Vittoriale il quale, proprio a proposito di Schifamondo, in una lettera a Maroni, scrive: “Io so quel che voglio, in ogni particolare. La perizia vera non può esser fatta se non quando io avrò dichiarato il mio proprio disegno. Schifamondo è per me il luogo di una vita nova”. Saluto dunque con grande piacere la pubblicazione di questo volume prestigioso, che rende il giusto merito a Ettore Canali: un grande artista che ha concorso con personalità come Maroni, Cadorin, Marussig, Martinuzzi, Chiesa, Brozzi, un tempo, Ontani, Paladino, Riva oggi, a rendere il Vittoriale il libro di pietre vive che d’Annunzio ha voluto donare all’Italia e agli Italiani. Giordano Bruno Guerri Presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
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Nella pagina, Ettore Canali al lavoro di fronte al suo tecnigrafo
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Sommario Capitolo primo
9 Il contesto degli esordi 19 Ettore Canali giovane: dagli esordi alla prima Guerra mondiale 27 Il lavoro intraprendente in terra di Francia Capitolo secondo 39 Il contesto della maturità artistica e imprenditoriale negli anni Trenta 49 Il rientro in Italia e l’avvio dell’impresa Canali in Brescia 51 La grande committenza negli anni Trenta 101 L’impegno principe per il Vittoriale di Gabriele d’Annunzio Capitolo terzo
33 Il contesto dal dopoguerra agli anni Sessanta 1 143 Lo sviluppo dell’impresa e le collaborazioni illustri 165 Lo slancio finale: il cantiere nautico Note di famiglia 177 Un libro nato dall’amore di figli e nipoti 190 Mio nonno Ettore, una fonte d’ispirazione
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Capitolo primo
Il contesto degli esordi Ettore Canali nacque nel 1894, in un quadro di grande fermento internazionale, ma anche locale, della cultura artistica e nel panorama delle arti applicate. Già sedimentata era l’esperienza rivoluzionaria dell’Inghilterra di William Morris e del suo Arts and Crafts Movement, che aveva portato al successo il concetto, sino allora scarsamente accreditato, anche se sostanzialmente praticato, dell’attività artigianale associata alla dignità artistica. La prima reazione alle tecnologie della rivoluzione industriale aveva innescato il recupero e l’esaltazione della qualità del lavoro manuale dell’artista-artigiano dei secoli precedenti e soprattutto del Medioevo. A quella tradizione, nonché alle sue forme non seriali, non schematiche, non meccanicamente simmetriche, si ispirava il movimento che già l’Eclettismo architettonico, soprattutto Neogotico, aveva coltivato. La conoscenza e l’imitazione degli stili del passato appartenevano alla preparazione scolastica di architetti e pittori, la cui collaborazione era stata sempre più intensa. Ad essi era stata associata la categoria dei più abili artigiani, del legno, del ferro battuto, della ceramica, del vetro e dello stucco, delle tappezzerie e 10
del mosaico. Quando Ettore Canali nacque esplodeva, in Europa, l’esito più straordinario di quel clima culturale: l’Art Nouveu. Lo stile, noto in Italia come Liberty, portò l’unica vera rivoluzione dall’epoca del Gotico. Se gli stili architettonici e decorativi si erano sempre aggirati nel patrimonio storico-classico dell’arte europea, alterando, deformando, ricomponendo, ma mai allontanandosi da quei modelli, il Liberty, per la prima volta, abbandonò alla radice il repertorio della tradizione, creando realtà sino allora mai viste, basate su riferimenti morfologici del tutto inediti, come le forme organiche, dell’acqua o del fumo. Il Liberty portò alla massima esaltazione il contributo artigianale, nel campo delle arti applicate. Le figure dell’architetto e dello stilista, che da sempre avevano avuto una preparazione prevalentemente artistico-pittorica, estesero la loro personalità in ruoli multiformi, nei quali l’ingegnere diveniva architetto, scultore, designer e pittore. Sono noti i moltissimi esempi di progettisti che disegnavano l’architettura, le parti decorative, le maniglie e i rubinetti, le poltrone e i tendaggi. L’artista integrale caratterizzò la nobile famiglia europea che costruì il
La vivacità economica e culturale bresciana trovò una vetrina nell’Esposizione del 1904 A pagina 8, il maggiore stand, eretto nel piazzale interno del Castello di Brescia
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grande fenomeno dell’Art Nouveau, stile inzione del Liberty, che già i più avveduti e ternazionale per eccellenza, capace di coinanticonformisti architetti e stilisti avevano volgere tutta la cultura occidentale, dagli individuato e praticato. Stati Uniti alla Russia. Ai maggiori centri di diffusione e appliL’esperienza Liberty fu folgorante e veloce, cazione dello stile, come Torino e Milano, andandosi ad esaurire, sostanzialmente, si associarono altri ambienti, anche della solo una ventina d’anni dopo la sua nasciprovincia. In Brescia i pionieri furono alcuta, contro la trincea delni ingegneri-architetti, la prima Guerra Moncome Alfredo Premoli, diale. Le esperienze Luigi Tombola, Arnaldo iniziali, inglese, belga Trebeschi, Cosimo Cae spagnola, si diffusero novetti, Camillo Arcanin tutta Europa, anche geli ed Egidio Dabbeni. sulla scorta della difSoprattutto quest’ultifusione di informazioni mo, nato nel 1873, editoriali, giornalistiera l’ingegno di punta che (si pensi alla rivista dell’ambiente bresciano. inglese, vera promotrice Già nel 1895 progettò le dell’innovazione, “The prime opere in cemento Studio”), nonché deriarmato, prime non solo vanti dalla crescente in Brescia, ma anche mobilità delle persone nel panorama nazionae dalle grandi vetrine le. La casa Migliorati, costituite dalle Esposidi Via Trento 3, la villa zioni universali. Fu l’eL’ingegnere Egidio Dabbeni, all’epoca in Gussalli, di Via Montecui, progettista degli stand dell’Esposizione vento dell’Expo di Parisuello 4, i palazzi Pisa bresciana, del 1904, iniziava una luminosa gi del 1900 a celebrare, carriera durata settant’anni. Nel suo studio di Via Solferino e Corso si formò Ettore Canali a livello mondiale, l’Art Magenta recano ancoNouveau e l’Italia ne ra oggi eleganza e alta trasse stimolo per una qualità culturale al paesaggio della città diffusa interpretazione dello stile d’avandi Brescia. L’occasione più eclatante offerta guardia. L’Esposizione di arti decorative ad Egidio Dabbeni, per la manifestazione moderne, di Torino, nel 1902, costituì un della sua più sfrenata capacità stilistica, fu grande veicolo di informazione e promola progettazione degli stand per l’Esposi12
Uno degli stand dell’Esposizione bresciana del 1904. Nella pagina a fronte, due carte intestate di prestigiose ditte bresciane, attive nel settore delle arti applicate all’inizio del Novecento: la vetreria d’arte Testori e la ditta di commercio e produzione di mobili Gaeti. In basso, la locandina per le corse automobilistiche bresciane del 1906
zione bresciana, che si aprì negli spazi interni del Castello cittadino, appena offerto alla vita cittadina, grazie all’acquisto che il Comune di Brescia effettuò presso le Forze armate. Il giovane Dabbeni disegnò architetture schiettamente liberty, che sono andate malauguratamente perdute, in quanto costruzioni effimere, composte con materiali leggeri, come legno, tela e gesso. L’Esposizione bresciana, che si svolse fra il maggio e il settembre del 1904, costituì il grande evento della nuova cultura bre13
sciana. Lo studio dell’ingegner Dabbeni, peraltro ancora oggi attivo, grazie all’impegno di quattro generazioni di ingegneri e architetti, costituì un luogo di apprendistato e perfezionamento per molte personalità bresciane, fra le quali, come si vedrà, era anche Ettore Canali. Come nel resto d’Europa, anche in Brescia il nuovo stile attivò una schiera di artigiani e artisti, che già avevano iniziato ad intervenire nel clima dell’architettura eclettica, rappresentata in Brescia dallo stimato Antonio Tagliaferri. La tradizione dell’artigianato artistico legato al mondo degli scalpellini delle cave di Rezzato e Botticino fu ampiamente rinforzata, anche grazie alle grandi commesse, spesso internazionali, che la fama del marmo bresciano aveva garantito, soprattutto attraverso l’efficiente opera delle imprese rezzatesi Gaffuri e Lombardi. Altrettanto attivate furono ditte produttrici di oggetti d’arredo, come la vetreria Testori, prestigiosa produttrice di splendide vetrate, disegnate anche dal maestro bresciano Fausto Codenotti. Fra i mobilieri del Liberty emersero 14
gli Zatti e le officine Maghini, mentre fra i fabbri si posero in primo piano i Molinari e i Chizzolini. La grafica ebbe protagonisti i Gentilini, gli Zappa, i Sala, il citato Codenotti, e anche pittori professionisti o grafici di altissimo livello, come Romolo Romani, Cartolina pubblicitaria per la “Settimana automobilistica” bresciana del 1907 e affiche per il primo, grande e pionieristico, Circuito aereo internazionale, svoltosi a Montichiari nel 1909
Nella pagina a fianco: Il battesimo dell’aria di Gabriele d’Annunzio, il futuro pilota del volo su Vienna, alla manifestazione aerea di Montichiari, nel 1909
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Giovanni Fumagalli e poi Vittorio Trainini e Francesco Salodini. La grande stagione bresciana dei due primi decenni del Novecento vedeva anche attivo il grande propulsore industriale e tecnico della creatività tecnica e sportiva, che seppe inscenare eventi di importanza nazionale e internazionale da assoluto primato mondiale. Nel 1899 si svolgeva a Brescia una 16
delle prime gare mondiali per automobili e nel 1904 si organizzava una pionieristica Settimana automobilistica, che richiamò le maggiori personalità del nascente mondo dei motori, fra cui quel Vincenzo Florio, milionario siciliano, industriale del marsala e inventore di una corsa classica dell’automobilismo, la Targa Florio. Dopo la manifestazione nazionale dell’Esposizione
dell’elettricità, anch’essa tenutasi in nuovi stand nelle aree del Castello di Brescia, nel 1909 si impose, sul palcoscenico mondiale, il primo Circuito aereo, organizzato nella brughiera di Montichiari, a soli sei anni dal primo volo dei fratelli Wright, che è rimasto un caposaldo nella storia dell’aeronautica, e quindi della civiltà contemporanea. Nel 1921 fu la volta del primo Gran premio d’automobilismo svoltosi in Italia, ancora a Montichiari, nel nuovissimo e grande circuito della Fascia d’Oro. Erano le premesse che avrebbero portato alla corsa regina, la Mille Miglia, del 1927. In quel
Il clima culturale bresciano all’inizio del Novecento: disegni decorativi di Fausto Codenotti, collaboratore della Vetreria Testori e, a destra, lo scultore salodiano Angelo Zanelli, autore del fregio romano per l’Altare della patria. Nella pagina a fianco, un particolare del fregio dello Zanelli e, sotto, l’atelier della scuola per arti applicate “Moretto”, frequentata da Ettore Canali
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clima, anche di ricchezza economica, la vitalità progettuale trovò terreno fecondo e fu, quindi, molto intensa e diffusa, sortendo anche esiti di successo, come ebbe modo di dimostrare il grande scultore bresciano, Angelo Zanelli, che si aggiudicò il prestigioso e gravoso incarico, assolto in forma superba, di creare il faraonico fregio dell’Altare della Patria, nel Vittoriano di Roma, che tutto il mondo ancora ammira. La pratica diffusa delle arti applicate fu, in Brescia, particolarmente curata dalla scuola “Moretto”, una scuola tecnica comunale, che era nata, nell’Ottocento, come scuola di disegno. Si era poi convertita, nel clima del fermento industriale, alla preparazione prevalente di maestranze capaci di lavorare nel campo della meccanica, dell’elettricità, della chimica. Tuttavia, proprio il clima del Liberty aveva rilanciato l’insegnamento del disegno e delle applicazioni decorative all’edilizia e all’arredamento. 18
Nella scuola, che ebbe come insegnanti i più affermati architetti e pittori bresciani, ebbe modo di educarsi anche Ettore Canali, il quale, peraltro, nacque nella città di Chiari, uno dei centri più vivi della provincia bresciana, non casualmente patria di Franco Mazzotti, il padre della Mille Miglia, nonché luogo nel quale si conserva una delle architetture più fastose del Liberty italiano, la villa, appunto, della famiglia Mazzotti, progettata dall’architetto torinese Antonio Vandone di Cortemiglia e arricchita dai ferri battuti di uno dei massimi maestri del settore, il milanese Alessandro Mazzucotelli. Fu in quel clima che Ettore Canali
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Capitolo primo
Ettore Canali giovane:
dagli esordi alla prima Guerra mondiale
Nel 1894, il 23 gennaio, Ettore Canali nasceva in Chiari, una delle maggiori città della provincia bresciana, terra di grande fermento economico e anche culturale, posta sulla privilegiata direttrice BresciaMilano e, dall’antico, terra di confine della Repubblica Veneta. Chiari aveva scuole e ambiente sociale di alto livello, frutto soprattutto di una ricchezza non provinciale e di intelligenze diffuse. Negli anni in cui il Canali nasceva Chiari era terra di fiorenti attività imprenditoriali, con punte di speciale successo anche in campi rari, per il Bresciano, come quello finanziario. Nella famiglia dei Mazzotti Biancinelli, Lodovico stava raggiungendo la posizione di un operatore finanziario fra i maggiori d’Italia, banchiere, industriale, presidente di innumerevoli società in Italia, amministratore delegato e presidente dell’Isotta Fraschini. Il regime fascista lo premiò attribuendogli il titolo di conte. Il figlio di Lodovico Mazzotti Biancinelli, Franco, fu una splendida personificazione della figura del ricchissimo snob dalla vita generosa e spericolata. Campione in molti sport e avventuroso pilota d’aerei, Franco Mazzotti è paragonabi20
le all’americano e contemporaneo Howard Hughes, magnate del petrolio, cineasta e costruttore di aerei, nonché audace aviatore, la cui vita è stata narrata, nel 2004, nel film The Aviator, di Martin Scorsese. Franco Mazzotti resta però nella storia in una collocazione più stabile dell’Americano, poiché fu il creatore e il finanziatore della “Corsa più bella del mondo”, la Mille Miglia, che vide la luce nel 1927 e, contrariamente allo Hughes, non finì la sua vita rinchiuso nell’ossessione della sua fobia, ma eroicamente, pilotando, da volontario, un aereo militare che portava in salvo civili italiani dalla Libia, dopo le sconfitte militari del 1942. L’aero fu mitragliato dagli Inglesi e Mazzotti sprofondò nel Mediterraneo, dove nessuno più lo ritrovò. In quell’atmosfera il piccolo Ettore Canali visse i suoi primi anni, forse assorbendo, per quelle vie imponderabili che inducono l’ambiente a creare l’assetto mentale dei suoi figli, lo spirito dell’operosità e della ricerca del successo. Il padre di Ettore, Giovanni Maria, nato a Ponte San Marco nel 1854, era un ferroviere che proveniva da una famiglia di Ponte San Marco, pa-
ese della provincia bresciana, posto fra il capoluogo e il Lago di Garda. La madre era Marianna Bertinotti, nata a Chiari nel 1859. Pare che la nonna paterna, Decima, appartenesse ad un rango sociale non secondario, tanto che di lei si ricordano con-
tatti personali con Giuseppe Zanardelli, il noto statista bresciano. La coppia Canali ebbe, in tempi ravvicinati, altri tre figli, Stefano, Piero e Carlo. Con essi la famiglia si trasferÏ, nei primi anni del Novecento, in Brescia, dove abitò in un appartamen21
In questa e nella pagina a fianco, precoci disegni architettonici di Ettore Canali, eseguiti nello studio di Egidio Dabbeni, per il Palazzo Pisa di Via Solferino, in Brescia Alle pagine 18 e 22, particolari del palazzo, oggi
to posto nell’arco meridionale dei fabbricati che danno imbocco, dal Piazzale Garibaldi, alla Via Milano. Il giovane Ettore frequentò probabilmente l’Istituto Moretto, una scuola comunale che era nata, nel 1839, per l’insegnamento della pittura, su 22
iniziativa di Gabriele Rottini. La scuola, assunta in diretta gestione dal comune di Brescia, si trasformò man mano, seguendo le esigenze del mercato e in funzione degli interessi di sviluppo dell’economia cittadina, nonché del servizio a ragazzi apparte-
nenti, se non alla fascia povera, per la quale la scuola era stata pensata, al ceto popolare e piccolo borghese. L’istituto mirava, infatti, ad insegnare un lavoro da svolgersi già nell’adolescenza, in alternativa, quindi ai corsi d’élite dei licei e dell’università. La scuola, verso la fine dell’Ottocento, virò i propri interessi piuttosto verso il settore della meccanica, per preparare quadri adatti alla nascente industria. Tuttavia ancora essa aveva mantenuto insegnamenti improntati alle arti applicate, che furono funzionali al fiorire delle arti integrate del Liberty. Simili corsi, ma con orientamenti decisamente più operativi, erano tenuti anche da scuole filantropiche come, quelle dell’Istituto Derelitti, degli Artigianelli, del Pio Luogo Orfani, dove si insegnavano i mestieri di calzolaio, falegname, tipografo. Si trattava di scuole nate dalla filantropia cattolica ottocentesca, tesa a togliere i ragazzi indigenti dalla strada per indirizzarli ad una vita onesta da la-
voratori, spesso artigiani.La scuola Moretto, che ormai non aveva più alcuna connotazione assistenziale, avrebbe poi generato anche l’Istituto tecnico “Benedetto Castelli”. In essa insegnavano illustri artisti e architetti bresciani. Il disegno, nelle sue varianti e specialità, costituiva la materia basilare per molti corsi di insegnamento, adatto com’era sia alla via dell’industria meccanica, sia alla via dell’edilizia e delle diverse applicazioni artigiane, da quella dei modellatori di gesso e cemento per l’edilizia, a quella dei fabbri e degli ebanisti. I maggiori architetti dell’epoca, da Antonio Tagliaferri a Luigi Arcioni, da Luigi Tombola a Egidio Dabbeni erano stati, a vario titolo coinvolti nella scuola. Fu certamente in quel contesto che Ettore Canali, superati i corsi anche in tempi più ridotti del normale, grazie alla sua facilità di apprendimento e di studio, fu notato dall’ingegnere Egidio Dabbeni, che, nonostante la giovane età, era un affermato progettista. Il Dabbeni fu una 23
delle maggiori personalità dell’architettura e dell’ingegneria bresciana del Novecento, secolo che egli corse ampiamente, grazie alla speciale longevità della sua vita, anche professionale. Nato nel 1873, egli morì a 91 anni, quasi ancora attivo nel suo studio. Egli fu uno dei primi applicatori del cemento armato in Italia e fu, in Brescia, il caposcuola della corrente liberty, che applicò a numerosi edifici e anche all’opera per la quale divenne, in quegli anni, giustamente celebre: gli stand per l’Esposizione bresciana del 1904. Si trattava di una manifestazione che intendeva fare il punto dell’economia bresciana e che fu allestita negli spazi interni al Castello cittadino, per la prima volta, dopo secoli di uso militare, adibito ad usi civili, solo pochi mesi dopo l’acquisizione da parte del comune. 24
Disegno di Ettore Canali e il particolare scultoreo inerente, nella fotografia accanto, del Palazzo Pisa di Via Solferino progettato dall’ing. Egidio Dabbeni. Si tratta di opere del 1912
A quattordici anni, Ettore Canali fu ammesso nello studio del Dabbeni, studio che, per decenni, fu palestra e scuola per molti architetti, disegnatori, ingegneri e geometri bresciani. Il ragazzo Canali fu accolto come apprendista disegnatore e certamente maturò in quel l’ambiente la propria abilità grafica, che già doveva essersi manifestata. Intorno al 1908, quindi, si ebbe il passaggio al lavoro del ragazzo, il quale dovette essere rapidamente apprezzato. Si ricorda, a prova di quell’apprezzamento, che egli, già prima della Guerra mondiale, poteva disporre di un discreto stipendio, tanto da poter soddisfare le sue giovanili passioni per motociclette e automobili. Ricordo che, in quegli anni, la gioventù bresciana aveva più di uno stimolo per appassionarsi ai motori. Brescia, nel 1899, fu tra le prime città italiane
ad organizzare una gara fra pionieristiche automobili, mentre, nel 1904, già organizzava quella Settimana automobilistica che si sarebbe dovuta ripetere annualmente, ponendo le basi di un amore per il progresso tecnologico che avrebbe puntato grandemente sull’automobile. Ma non solo. Altrettanto precoce fu l’interesse per un altro settore che in quegli anni muoveva i suoi primi passi mondiali: quello dell’aviazione. Nel 1903 i fratelli Wright sollevavano per primi un oggetto più pesante dell’aria dal suolo terrestre, facendovisi trasportare. Era nato il volo umano. Solo sei anni dopo, a Montichiari, non distante da Ponte San Marco e a 25 chilometri dal capoluogo, si svolse il primo Circuito aereo internazionale, che vide la rassegna di tutti i pionieri storici dell’aviazione mondiale. Era quello il clima di euforia modernista che offriva anche numerose sollecitazioni culturali e occasioni professionali.
Pierina Zacco, giovane moglie di Ettore Canali
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Su tutti, però, come sulla Belle Époque, piombò la battuta d’arresto della guerra. Ettore Canali andò, come quasi tutti i giovani Italiani, al fronte. Anche in quella nuova dimensione egli si presentò con le sue virtù, che furono subito riconosciute e utilizzate. Fu incaricato di ritrarre, in vedute prospettiche, le postazioni nemiche. Si narra che fu quell’attività a salvarlo anche da una morte pressoché certa. L’incarico lo allontanò dal suo reparto, proprio nell’imminenza di un attacco che decimò i commilitoni. Alla fine della guerra Ettore Canali rientrò in Brescia e anche nello studio del Dabbeni, dove proseguì il suo lavoro, sempre con profitto, anche economico. Si ricorda che il suo stipendio, nel 1920, quando Ettore aveva 26 anni, era quattro volte superiore a quello del padre ferroviere. Il giovane stava intanto stringendo il proprio rapporto con una ragazza di dieci anni più giovane, Piera, allora e per sempre chiamata Pierina. Nel 1920 aveva solo sedici anni ed era di famiglia contadina. I genito26
ri si erano da poco trasferiti in Brescia dalla nativa cittadina di Pontevico, pare per aprire una bottega per la vendita di frutta e verdura. Il padre, Daniele Zacco, figlio di Teresa Pea e di Filippo, a sua volta figlio di Giuseppe, e la madre di Pierina, Maria Lucia Tabaglio, originaria di Verolanuova, figlia di Carlo e di Carolina Bertoni, che risiedevano a Quinzano d’Oglio, abitavano in una casa di Via Musei. La ragazza, che iniziava un’attività di piccola sartoria, fu dissuasa dai genitori dal frequentare il Canali, che non era ben visto. Spesso, per evitare gli incontri, la giovane era mandata a soggiornare presso i nonni paterni, Filippo e Teresa, che continuavano a svolgere la loro vita rurale in Pontevico. Tuttavia la tenacia amorosa portò i ragazzi ad avvicinarsi sempre più e, nel 1921, a decidere le nozze. Forse fu quell’evento a indurre il Canali a cercare maggiori gratificazioni professionali.
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Capitolo primo
Il lavoro intraprendente in terra di Francia
Una capacità d’avventura e un’audacia che erano diffusi fra gli Italiani, soprattutto nel clima della difficile ripresa economica del dopoguerra, facevano ritornare d’attualità lo spirito che aveva già indotto i padri all’emigrazione, nell’Ottocento. Anche Ettore Canali volle lasciare l’Italia. Non si conoscono esattamente i motivi di quella decisione, che certamente, coincidendo con il matrimonio, dovevano tuttavia consistere in una ricerca di migliori occasioni professionali e di guadagno. La meta scelta fu la Francia e la Francia di Nancy. Quella città, nel dipartimento della Meurthe-et-Meuselle, a nord della Svizzera, era un luogo noto per le distruzioni che in essa vi aveva causato la vicinanza al fronte bellico e l’azione di una celebre e micidiale artiglieria tedesca, piazzata a 35 chilometri, con obici da 380 millimetri, chiamati popo28
larmente “Gros Max”. Molte erano state le vittime civili e pesantissimo l’abbattimento di edifici. Si rendeva necessaria una ricostruzione massiccia. Forse qualche contatto era giunto al Canali, forse si trattava di una scelta basata solo sulla notizia giornalistica della condizione di Nancy. Di fatto la decisione audace si materializzò a cavallo di una motocicletta, la fresca moglie nel sidecar, ingombrato da bagagli e anche dalla tavola da disegno con tecnigrafo. Era la fine del 1921. L’arrivo a Nancy comportò la veloce ricerca di un alloggio qualunque e di un’occupazione, il che dimostra la totale assenza di contatti preventivi con una qualunque persona del luogo. Lasciata la moglie bambina in una stanza, il ventisettenne Ettore Canali uscì per cercare lavoro. Forse davanti alla targa di uno studio di progettisti il Canali bussò alla porta.
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Alle pagine 26 e 27, Ettore Canali e la giovane moglie, con il primo figlio, presso Nancy
In queste pagine, disegni di Ettore Canali eseguiti durante il soggiorno francese, per la chiesa di Mousson, e la lettera della vedova dello scultore bresciano Claudio Botta, nella quale si rievoca il sodalizio fra il marito ed Ettore Canali, durante il periodo francese. 30
Si narra di una prova richiesta, forse architettonica, certamente grafica, eseguita magistralmente, tanto che, a sera, Ettore poteva rientrare dalla moglie, dicendole: “Ho un lavoro”. La nuova avventura aveva inizio. La collaborazione del Canali con i professionisti francesi, uno dei quali pare si chiamasse Jean Colin, si sviluppò rapidamente, mentre la residenza della coppia fu fissata, prima a Nancy e poi ad Épinal, un centro ad una cinquantina di chilometri a sud di Nancy, nel dipartimento dei Vosgi, non lonA destra,un disegno di Ettore Canali, del periodo francese Sopra, Ettore Canali in Francia con la famiglia Nella pagina a fianco: due disegni di Ettore Canali per il Palazzo dei sindacati fascisti di Brescia, opera dell’ingegner Ottorino Gorgonio. Il Canali collaborò con vari professionisti bresciani anche durante il periodo francese
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tano da Strasburgo. Ricordo che Nancy era la città in cui si era formata la celebre École de Nancy, culla dell’Art Nouveau francese, rappresentata dal grande artista Émile Gallé, celebratissimo e imitatissimo ma-
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estro dell’arte vetraria, nonché eccellente ebanista. Il territorio della Lorena include anche, non distante da Nancy, la cittadina di Baccarat, che, per la sua tradizione vetraria, dal XVIII secolo, ha dato il nome ad
uno dei cristalli più noti nel mondo. Certamente il clima creato dalle eccellenze artigiane e dall’esperienza liberty dovette lasciare personalità, professionalità e pratiche nel territorio e il Canali incontrò sicuramente situazioni connesse a quella gloriosa tradizione. Non si spiegherebbe altrimenti la repentina scelta del Canali, immediatamente operativa, di avviare un’attività nel settore della produzione di arredi in legno, al suo rientro in Italia. Il soggiorno del Canali ad Épinal e Nancy fu fecondo. Solo pochi mesi dopo il suo arrivo egli diveniva socio degli originari datori di lavoro. Si ricordano suoi viaggi a Parigi e contatti con alcuni intellettuali della capitale. Fra questi il Canali citava Georges Ivanovič Gurdjieff intellettuale armeno, filosofo e mistico, personaggio famoso ed influente. Non è escluso che egli abbia potuto visitare, nel 1925, la famosa Exposition internationale des Arts Décoratifs et industriels modernes, culla dell’Art Déco europeo, così come è possibile che egli sia
venuto in contatto con l’opera di EmileJacques Ruhlmann, un maestro del nuovo stile applicato all’arredamento. Contemporaneamente il Canali teneva rapporti con Brescia. Egli, ad esempio, chiamò l’amico e scultore bresciano, Claudio Botta, perché creasse un’opera da collocare in Francia. Il Botta, e anche la sua vedova, furono per decenni grati al Canali per questo, e altri, incarichi professionali. Come ricordava la signora Botta, nel 1924 il marito si trasferì per due mesi a Nancy, nel 1924, per eseguire un grande crocifisso da collocare nella chiesa dedicata a Santa Giovanna d’Arco, che il Canali stava ristrutturando. Il Botta, uno dei due, con Angelo Righetti, più interessanti scultori bresciani dell’epoca, che fu ospite della famiglia Canali, modellò non solo il Cristo, alto due metri, ma anche una figura di Giovanna d’Arco. Il sodalizio fra il Botta e il Canali sarebbe proseguito, con un rafforzamento dell’amicizia, anche negli anni successivi e dopo il rientro del Canali in Brescia. Pare
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Uno dei disegni decorativi, del Canali, per il progetto Dabbeni di ristrutturazione della sede della Camera di commercio di Brescia, del 1926 e, sotto, un progetto di arredo. Si tratta di opere eseguite durante il soggiorno francese del Canali Nella pagina a fianco, elegante pannello previsto per la sede dei sindacati fascisti in Brescia, anch’esso disegnato da Ettore Canali per l’ingegner Gorgonio, durante il soggiorno francese
che Ettore mantenesse, simmetricamente, anche contatti di lavoro con l’ambiente bresciano, probabilmente, ancora, con lo studio Dabbeni. Vi sono tavole del Canali per lo studio Dabbeni, degli anni Venti, proprio
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gli stessi anni durante i quali egli era in Francia. Sono tavole ancora caratterizzate da un forte impegno grafico, per particolari architettonici che richiedevano capacitĂ artistiche di invenzione, cultura architet-
tonica, per il rigore stilistico, e altissime abilità grafico-pittoriche per l’esecuzione. Abbiano disegni, sempre riferiti a progetti del Dabbeni, per architetture bresciane del 1923, 1924 e 1926: come la Villa Coppellotti, di Via Ragazzoni, la sede della Camera di commercio, di Corso Mameli, la Villa Pasotti del Villaggio omonimo, la Banca San Paolo, di Corso Martiri della Libertà, la Villa Galassini e la Villa Zanella, nonché la lussuosa Villa Beretta, di Gardone Valtrompia. Il rapporto di Ettore Canali con Brescia doveva essere, quindi, ricorrente. La moglie del Canali, nel dicembre del 1922, ritornò a Brescia per dare alla luce il primo figlio, Mario, che nacque il 25 di quel mese. Altrettanto Pierina avrebbe fatto per partorire il secondogenito, Guido, nato nel gennaio del 1927. La vita di Ettore Canali rimaneva molto dinamica e inquieta. Prima della metà degli anni Venti Ettore fu raggiunto a Nancy dai due fratelli Piero e Carlo, che erano intenzionati ad imbarcarsi per gli Stati Uniti, alla ricerca di un lavoro. L’idea era fremente e tale da coinvolgere anche Ettore, il quale si lasciò sedurre dall’ipotesi di seguire i fratelli, che insistevano perché egli li accompagnasse nella nuova avventura. Inizialmente egli pensò di lasciare la giovane moglie a Brescia, rimandando il ricongiungimento a tempi adatti, dopo che fosse stato garantito l’inserimento lavorativo. Pur essendo problematico l’abban-
dono della moglie, con due figli, Ettore pareva determinato, tanto che, con i fratelli, giunse a Le Havre, per imbarcarsi. Con un gesto degno di un romanzo romantico, sul molo di Le Havre, mentre uno dei fratelli doveva sposarsi su due piedi con la suocera del fratello, per superare un ostacolo di frontiera inerente all’ingresso negli Usa, Ettore concluse il suo rovello decidendo di non partire, di riman e r e v icino a l l a moglie e ai figli. Ritornò a Brescia per ric o n giungersi a l l a consorte e, con lei,
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riprese la sua vita francese. I fratelli, negli Stati Uniti, si erano stabiliti in California, a San Francisco e avevano trovato un lavoro: Piero come architetto e Carlo come direttore del cimitero degli Italiani. Ma la crisi finanziaria del 1929 pesò anche sui due Bresciani, che dovettero chiedere aiuto al fratello Ettore. Questi intervenne pagando il viaggio di ritorno dei due fratelli e decise di rientrare in Italia per accoglierli. Fu per quella ragione che abbandonò definitivamente Nancy e, con la moglie
Disegni di Ettore Canali per la Villa Galassini, del 1927, e per la nuova sede della Banca San Paolo, progettata ancora dall’ingegnere Egidio Dabbeni, alla metà degli anni Venti
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e due figli, ritornò a Brescia.
Pont à Mousson Una trentina di chilometri a nord di Nancy, sulla Mosella, vi è la cittadina di Pont à Mousson. Sopra la maggiore delle colline che circondano quel centro è il piccolo abitato Mousson, un tempo dotato di un castello. Fra i ruderi esisteva anche una cappella gotica, oggi scomparsa, dedicata a Giovanna d’Arco, nata a Domrémy la Pucelle, un villaggio posto a 50 chilometri a sud-ovest di Nancy. La cappella fu restaurata all’inizio del Novecento, ma subì poi danni bellici. I disegni di Ettore Canali si riferiscono ad un probabile intervento di ricostruzione, rimasto sulla carta. La cappella fu, anzi, demolita e della statua di Giovanna d’Arco, un tempo posta sulla cuspide del campanile, resta solo un moncone.
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Disegni di Ettore Canali eseguiti durante il soggiorno francese e inerenti anche alla ricostruzione della chiesa di Mousson. Nella pagina a fronte, una veduta della cappella nel 1898 e un disegno di progetto del Canali
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Il clima artistico generale aveva il suo fondamento nella cultura francese, con la quale certamente Ettore Canali entrò in contatto, focalizzata sull’Art Déco, esaltato dall’Esposizione parigina del 1925, citata dal manifesto pubblicato nella pagina a fronte In questa pagina, un intarsio su disegno di Ettore Canali, chiaramente ispirato allo stile del 1925
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Capitolo secondo
Il contesto della maturità artistica e imprenditoriale negli anni Trenta
Quando Ettore Canali rientrò in Brescia, alla fine degli anni Venti, dopo la quasi decennale esperienza francese, il clima culturale generale era segnato dalla nuova tendenza dello Stile 1925, altrimenti noto come Art Déco, che pure conviveva con un diffuso storicismo, basato sull’imitazione stilistica. In competizione, e anche fusione, con l’avanzare, pure in Italia, del Razionalismo, spesso armonizzato con integrazioni classicistiche, lo stile Déco, consacrato dall’Exposition internationale des Arts Décoratifs et industriels modernes, di Parigi, si era contrapposto al lussureggiante e lussurioso stile floreale, recuperando geometrismi e strutturalismi, già cari alla tendenza austro-germanica. Nonostante l’esaurimento dello stile guida dell’abbinamento fra arte e produzione di oggetti d’uso, era ormai irreversibile l’interesse, fortemente spinto dalle motivazioni industriali, per la produzione artigianale e di serie assistita da intellettuali stilisti, architetti, pittori e scultori. L’oggetto d’autore era ormai entrato nella pratica produttiva,
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nel gusto e anche nelle aspettative della borghesia, finendo, inevitabilmente, per divenire anche simbolo di stato sociale e
quindi richiesto e ammirato, con crescente interesse. Il campo dell’ebanisteria, nel quale il Canali si sarebbe inserito, aveva ormai una sua lunga tradizione di accreditamento fra
i capisaldi delle arti applicate. Essendone culla la Francia, era dai tempi del Rococò che la nobiltà e la Casa reale avevano stimolato e gratificato gli autori della produzione di arredi, portandone l’attività ad altissimi livelli, rimasti nella storia e suggellati dal mercato antiquario. Dopo le grandi stagioni del Settecento e dei primi tre quarti dell’Ottocento, anche i maestri del Liberty avevano spesso operato nel settore dell’arredo in legno: dal belga Henry van de Velde allo scozzese Charles Rennye Mackintosh, ai francesi Hector Guimard, Alexandre Charpentier, Eugène Gaillard, Eugéne Vallin e Émile Gallé. Questi tre ultimi erano protagonisti di quell’École de Nancy, che, forse, aveva fatto sentire il suo influsso di ricaduta anche sul Canali, che a Nancy soggiornò. In Italia era ancora viva, nell’ambiente, l’eco della collaborazione siciliana fra l’architetto Ernesto Basile e il mobilificio di Vittorio Ducrot, i cui successi
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erano stati celebri. Non erano meno conosciuti, nell’Italia settentrionale, gli ebanisti di grido, fra Liberty e Art Déco, come il bergamasco Eugenio Quarti o il milanese Carlo Bugatti, che, con i suoi due figli, Rembrandt ed Ettore, materializzò il collegamento tra la cultura italiana e francese, portando l’azione dal mondo dei gioielli e dei mobili a quello della scultura e dell’automobilismo. Nota era anche l’attività multiforme, anche nel campo della produzione di arredi, del romano Duilio Cambellotti. Gio Ponti, il grande designer e architetto, era già noto e ben attivo nella cultura italiana di matrice lombarda. Nel 1923 aveva iniziato la sua collaborazione fecondissima e brillante con la ditta Richard-Ginori, che produ-
In questa e nella pagina a fronte, lo stile degli anni Venti, nelle arti applicate, in opere di Erté e Gio Ponti, ritratto nella fotografia
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ceva ceramiche, e nel 1928 fondava la rivista “Domus”. Contemporaneamente nasceva, ancora in ambito milanese, ad opera di Guido Marangoni, la rivista “La casa bella”, divenuta poi, nel 1933, la nota “Casabella”. Erano fenomeni che catalizzavano la prassi, ormai abbastanza consolidata anche in Italia, della collaborazione di architetti alla progettazione di oggetti industriali o di alto artigianato, nel campo dell’arredo, ma anche della meccanica e dell’automobilismo. Si pensi alla macchina da scrivere Olivetti Studio 42, che, nel 1935, fu il primo oggetto ad essere prodotto industrialmente, in Italia, su disegno di grandi architetti: Luigi Figini e Gino Pollini.
Le manifestazioni espositive inerenti alle arti applicate e ai loro prodotti, frutto di artigianato o di produzione industriale, erano ormai una consuetudine anche in Italia, a partire dalla grande manifestazione di Torino, del 1902, l’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna, per giungere al radicamento milanese. Dal 1919 erano iniziate le esposizioni di arti decorative a Monza, volute dalla Società Umanitaria, che si sarebbero evolute nella Biennale internazionale delle arti decorative, che finÏ per sfociare nella celebre Triennale delle arti decorative, di Milano. Il clima culturale e artistico bresciano della fine degli anni Venti e dei primi anni Trenta era estremamente ricco e in fer-
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mento. Il balzare della città alla ribalta nazionale, soprattutto grazie alla nomina di Augusto Turati, nel 1926, all’altissimo ruolo di segretario nazionale del partito fascista, carica seconda solo a Mussolini, aveva posto la città su una postazione di decollo. Le energie locali avevano trovato pigmalioni e produttori, che avevano portato alla materializzazione di straordinarie invenzioni. La Mille Miglia, del 1927, era uno dei frutti di quella sinergia, così come Sopra, disegno di Ettore Canali per una camera da letto Art Déco Nella pagina a fronte, tavole di progetto del grande arredatore francese Emile-Jacques Ruhlmann, maestro internazionale di un calligrafico e neoclassico Art Déco, la cui opera era certamente nota ad Ettore Canali
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il successo industriale, figlio della produzione armiera nella fase bellica. Le energie in movimento avevano potuto far balzare la realtà bresciana sul podio primario del panorama nazionale, nel quale si ritenne di poter dare sbocco ad istanze coltivate inutilmente per decenni, come quelle urbanistiche, abbinandole a prospettive sgorgate dall’euforia fattiva di quegli anni. Ricordo solo l’inserimento di Brescia in uno dei primi segmenti autostradali del mondo, il Brescia-Bergamo-Milano, o l’apertura della Scuola d’alta velocità per idrovolanti, in Desenzano, nella quale si coltivò la punta di diamante dell’aeronautica italiana di quegli anni, che produsse esaltanti record mondiali. In quel clima è da collocarsi anche il lusinghiero e fecondo inserimento gardesano di Gabriele d’Annunzio, che, dal 1921, si era insediato nella dimora di Gardone Riviera, mutata poi in quel Vittoriale degli Italiani, che, ancora oggi, costituisce
una delle perle più affascinanti fra le attrattive culturali e turistiche del Bresciano. La presenza di D’Annunzio costituì un motore di attrazione e produzione per l’ambiente locale, vivificato da una delle personalità più brillanti della storia italiana, poliedrico e concreto, tanto quanto sfrenato nella creatività artistica, linguistica e delle situazioni. La presenza del poeta produsse eventi sportivi di caratura internazionale, come le gare aeree o motonautiche, indusse presenze illustri, come quelle degli ospiti Benito Mussolini, Italo Balbo, Francesco De Pinedo, e consolidò personalità già dimostratesi brillanti, come quella, in Calcinato, di Arturo Mercanti, artefice dell’autodromo di Monza e protagonista della
nascita dell’aeronautica militare e civile in Italia. Gabriele d’Annunzio fu anche il munifico attivatore di personalità artistiche, fra le quali, oltre all’architetto Giancarlo Maroni e all’orefice Renato Brozzi, oltre al pittore Guido Marussig e al grafico Adolfo De Carolis, fu anche, appunto, Ettore Canali.
L’ambiente artistico bresciano degli anni Trenta vantava realtà come la Bottega d’Arte e pittori, come l’amico del Canali, Eliodoro Coccoli, ritratto qui a fianco
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In Brescia la vivacità culturale si fondava anche su un’elegante attività editoriale, che vide nella rivista “Brescia”, fondata nel 1928, un modello ineguagliato di modernità. La presenza, nella redazione, di Carlo Belli, noto critico d’arte di fama nazionale, abbinava alla fattività bresciana di personalità come Alfredo Giarratana, lo sguardo ampio e certamente non locale o passatista di ingegni di qualità. L’operazione del piano regolatore, la cui stesura fu affidata ad un concorso nazionale, nel 1927, aprì 46
Ritratto dell’amico di Ettore Canali, lo scultore Claudio Botta, tracciato da altro sodale del Canali, il pittore Eliodoro Coccoli
Uno degli splendidi disegni pubblicitari del grafico bresciano Giovanni Fumagalli
ulteriori panorami, lontani dalle angustie provinciali. Il fior fiore degli architetti italiani partecipò a quel concorso e infine la rivoluzione del centro di Brescia fu affidata alla personalità di Marcello Piacentini, il più equilibrato e sapiente fra gli architetti dell’epoca, se non il più modernista. La nascita di Piazza della Vittoria, con le innumerevoli opere d’arte che inizialmente conteneva, fu motivo di eccitazione degli ingegni, di ispirazione ad operare in grande, nonché ragione di collocazione di Brescia a modello
Disegni di Ettore Canali per lo studio Dabbeni: un comignolo per la villa di Cesare Pasotti, del 1924, e una voluta a spirale in cemento
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della cultura urbanistica e dell’efficienza amministrativo-politica. Il settore dell’architettura e dell’edilizia vedeva ancora primeggiare l’ingegnere Egidio Dabbeni, nel cui studio Ettore Canali aveva mosso i suoi primi passi, però affiancato da altri interessanti progettisti, soprattutto ingegneri, fra i quali emergevano Tito Brusa, Oreste Buffoli e Angelo Bordoni, autore mirabile della nuova sede degli Spedali civili. Nonostante il contraccolpo dell’enorme sforzo per la realizzazione di Piazza della Vittoria, nonostante la crisi mondiale del 1929,
in Brescia si mantenevano vive realtà industriali e personalità dell’alta borghesia che potevano offrire occasioni di lavoro e di crescita culturale all’ambiente, non molto ampio, degli artisti e degli artigiani di alta qualità. Era ancora illustre la presenza dello scultore salodiano Angelo Zanelli, che sarebbe morto nel 1942. Il pittore Gaetano Cresseri concludeva, all’inizio degli anni Trenta, la sua brillante vita artistica, mentre Vittorio Trainini, pittore e anche progettista di oggetti d’arredo, era nel pieno della sua feconda vita professionale. L’eccellente grafico Giovanni Fumagalli era nella fase più alta della sua produttività, mentre il pittore Eliodoro Coccoli, nato nel 1880, arricchiva l’ambiente artistico, così come contribuivano a vivacizzare il clima Giuseppe e Tita Mozzoni e un Matteo Pedrali agli inizi. Il poeta Angelo Canossi legava la sensibilità intellettuale alla tradizione popolare, attraverso l’uso del dialetto, mentre Arturo Benedetti Michelangeli iniziava in Brescia la sua educazione musicale, che lo avrebbe portato ai vertici del pianismo mondiale. Proprio per quel grande musicista il Canali arredò l’appartamento di via Marsala e la Villa in Franciacorta. La Bottega d’Arte, del fotografo socialista Dante Bravo, costituiva un cenacolo per gli intellettuali bresciani, i quali amavano anDante Bravo, leader della Bottega d’Arte, in un ritratto di Eliodoro Coccoli
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che luoghi di incontro più popolari e frizzanti di sapore vernacolare, come il Cantinone, di Via Adua, poi Via Cavallotti. L’attività artigianale, nel campo delle arti applicate, puntava ancora su settori consolidati, come quello della scultura, gravitante attorno al mondo delle cave di marmo di Botticino, Nuvolera e Rezzato, nel quale primeggiavano, sopra una schiera di bravissimi scalpellini decoratori, gli scultori professionisti Claudio Botta, Angelo Righetti, Giovanni Asti e Timo Bortolotti. Nel campo delle vetrate proseguiva la sua alta attività la Vetraria Bontempi e Novaglia,
erede della Testori di età liberty, mentre la fonderia d’arte dei fratelli Perani attirava scultori e decoratori. Il settore della produzione di arredi, pur comprendendo nomi di noti commercianti, anche dotati di propri laboratori, come i Maghini e i Gaeti, non emergeva però per qualità o fama. In quello spazio si inserì, con straordinaria intelligenza e creatività, Ettore Canali. La sua prorompente energia stilistica e imprenditoriale, fitta di importanti relazioni personali, lo portò immediatamente ai primi posti dell’artigianato artistico bresciano e a dominare il settore dell’arredamento d’autore.
Nell’ambiente artistico bresciano anche le arti applicate contribuivano a mantenere vivo il clima culturale. In alto, immagine della vetreria d’arte “Bontempi e Novaglia”, specializzata in vetrate artistiche A destra, un ritratto, opera di Angelo Righetti, dell’architetto Gian Carlo Maroni, che tanto ruolo ebbe nella professione di Ettore Canali
Nella pagina a fianco, immagine pubblicitaria della ditta Febbrari, alla quale il Canali, si associò, nel suo esordio imprenditoriale
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Capitolo secondo
Il rientro in Italia
e l’avvio dell’impresa Canali in Brescia
Il rientro in Brescia sembrava dover porre non pochi problemi professionali ad Ettore Canali, che pareva aver avuto ben poche possibilità di radicarsi nell’ambiente. In sostanza, gli unici anni in cui egli poté farsi conoscere e lavorare erano quelli dell’anteguerra, quando egli, sia pure nello studio illustre dell’ingegner Dabbeni, aveva solo un’età dai quattordici ai vent’anni. In seguito, la guerra, prima, e l’emigrazione in Francia non avevano certo consentito al Canali di crearsi una rete di rapporti, di occasioni professionali, di prove sulla qualità del suo operare. Difficilmente spiegabile è quindi il successo di Ettore Canali, in pochi anni e in un settore produttivo che egli non aveva mai frequentato precedentemente, almeno in Brescia. Non si conoscono i motivi della sua scelta, se non portando in primo piano l’ipotesi avanzata, che egli, cioè, avesse già a Nancy intrapreso l’attività di disegnato50
re e forse la produzione di arredi in legno. Di fatto, il Canali, appena rientrato in Brescia, cercò di associarsi con un’azienda del settore che fosse già inserita nel mercato locale. Credette adatto un rapporto con l’officina del mobiliere Silvio Febbrari, forse anche per motivi di difficoltà economica di quella ditta. Era una delle falegnamerie affermate di Brescia e aveva sede nella Via Campo Marte, nel tratto compreso fra Via Bezzecca e Via Rocca d’Anfo, sul lato est. Nei pressi ebbe la sua abitazione anche la famiglia Canali. L’avvio della nuova attività fu tumultuoso, cui seguì il dinamismo del Canali negli anni Trenta, che fu sorprendente. Il frenetico lavoro di Ettore Canali era attribuito, dai parenti, anche alla sua bradicardia: 31 battiti al minuto. I risultati non tardarono a manifestarsi. Sorprendentemente, in pochissimi anni aveva già una clientela d’élite, che gli chie-
affabilità, mentre la moglie, pur nel suo pressante impegno per la famiglia, fu sempre presente deva progetti di arredamento per le proprie ville, acquistando i mobili che il Canali produceva direttamente. Ben presto, infatti, egli aveva rilevato la ditta del Febbrari, che si trasferì, con un’attività residua, in Via Sostegno. Certamente uno degli strumenti forti del successo di Ettore Canali presso i clienti consisteva nella sua ormai matura capacità grafica, già nota sino dall’adolescenza e confermata dalle tavole che qui si pubblicano. Ettore Canali era anche dotato di una seduttiva capacità di rapportarsi alle persone, fatta di eleganza, di cordialità e
ed attiva in tutte le iniziative del marito, tanto per l’industria quanto per le tre aziende agricole.Nel 1930 nacque il terzo figlio, Elio, nel 1932 nacque Gianni, nel 1933 Anna, nel 1936 Gabriele, nel 1938 Edda e negli anni Quaranta altria fianco, tre figli: Nella pagina Tavole di Ettore Canali,del tavole, del 1930, per arredi 1932, per mobili laccati, del conte Aymo Maggi, Nevio, Leonardo ed Elena. In totale, infinel “salotto da lavoro per bresciano, grande pilota la signora”, commissionati d’auto e cofondatore della da Edoardo Pezzagno Miglia” ne, la famiglia era ricca“Mille di dieci figli.
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Capitolo secondo
La grande committenza negli anni Trenta
Nel 1930, un solo anno dopo il suo rientro in Brescia, Ettore Canali produceva uno studio di arredi domestici per un illustre cliente, il conte Aymo Maggi. Il documento, che è rimasto negli archivi della famiglia, è sorprendente, poiché i Maggi erano
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una delle famiglie più in vista della città, nobili dal Medioevo, ricchi e politicamente influenti. Aymo Maggi, che aveva anche cariche nel partito fascista, era, inoltre, il celebre corridore automobilistico, vincitore di innumerevoli gare in tutta Italia, grande
amico di Franco Mazzotti Biancinelli e, con lui, Renzo Castagneto, e Giovanni Canestrini, creatore della Mille Miglia. Si narra di una gara svoltasi nelle vie centrali di Brescia, per auto sportive in retromarcia, fra giovani piloti della cerchia modernista locale, vinta proprio da Ettore Canali. Forse l’amore comune per le automobili e i motori fu all’origine della conoscenza
fra il Canali e il Maggi e forse i rapporti che il Canali aveva mantenuto con Brescia, nonostante l’assenza francese, erano stati 53