7 minute read

Fabrizio De Andrè pag

Next Article
Venezia pag

Venezia pag

Omaggio a Fabrizio De André

Era l'11 gennaio del 1999, quando la morte di Fabrizio De André scosse l'intero mondo della musica italiana. L'artista aveva appena 58 anni quando un tumore ai polmoni lo vinse. Ma chi era Fabrizio De Andrè? Fabrizio Cristiano De André, noto come Fabrizio De André o "Faber", per la sua simpatia verso i pastelli e le matite della Faber-Castell, è considerato come un’importante figura di riferimento musicale e uno dei maggiori poeti italiani del Novecento. Nato il 18 febbraio 1940 a Genova, ha dedicato ben quarant'anni della sua vita all’attività artistica, vendendo 65 milioni di dischi e guadagnando un posto nella classifica degli artisti italiani di maggior successo. Uno dei suoi album "Creuza de mä" (interamente in dialetto genovese) è stato qualificato dalla rivista "Rolling Stone" nella TOP 4 dei migliori album italiani. La sua canzone d'autore è incentrata sulla voce profonda piuttosto che sulla melodia, seguendo lo stile di "far poesia in canzone". Accompagnati da una leggera chitarra e pochi contrappunti, i personaggi principali delle sue opere sonore sono i testi poetici. Definiti da diversi critici come vere e proprie poesie, Fabrizio canta agli ultimi, agli oppressi, ai diseredati, alle "vittime di questo mondo". Con una voce che accarezza l'anima, trasmette la sua compassione in molteplici importanti messaggi: l'amore in tutte le sue manifestazioni, la scoperta, il dolore e la sofferenza, gli atteggiamenti ingannevoli di chi ha potere, la società che non accetta il diverso. La sua capacità di raccontare storie in un modo originale, e a volte polemico, hanno fatto sì che venisse definito come il "poeta degli sconfitti", un baluardo di chi è stato lasciato ai margini della società. Diverse sue opere vennero inserite in varie antologie scolastiche di letteratura già dai primi anni Settanta.

Advertisement

De André è ancora nella memoria collettiva e viene considerato uno dei pilastri del cantautorato italiano. Questo mese sarà il ventitreesimo anniversario dalla sua scomparsa, e abbiamo piacere di ricordarlo come un'anima pura che non aveva paura di esprimere il proprio pensiero e che ha descritto le parti in ombra della società italiana. Qui di seguito vi riportiamo, per chi non li conoscesse, alcuni versi dei tanti brani di questo artista e il loro significato. Speriamo che anche voi possiate apprezzare questi grandi pezzi di musica d’autore che, secondo noi, non passano mai di moda... Buona lettura!

Don Raffaè

Don Raffaè nasce dalle collaborazioni di Fabrizio De André con Massimo Bubola per la stesura del testo e con Mauro Pagani per la scrittura della musica. Il brano denuncia la situazione critica delle carceri italiane negli anni Ottanta e la sottomissione dello Stato al potere della criminalità organizzata, attraverso il racconto dell'interazione tra Pasquale Cafiero, brigandiere, e il boss camorrista "don Raffaè" che si trova incarcerato in tale struttura. L'agente di custodia, corrotto dal malavitoso, gli offre speciali servigi (come, ad esempio, fargli la barba), gli chiede diversi favori personali (come il prestito di un cappotto elegante da sfoggiare a un matrimonio), e gli offre ripetutamente un caffè, del quale esalta la bontà. Il testo evidenzia anche, con ironia, quanto il boss all'interno del carcere conduca una vita agiata e ricca di privilegi. Il Testo “Io mi chiamo Pasquale Cafiero E son brigadiero del carcere, oiné Io mi chiamo Cafiero Pasquale E sto a Poggio Reale dal '53 E al centesimo catenaccio Alla sera mi sento uno straccio Per fortuna che al braccio speciale C'è un uomo geniale che parla co' me Tutto il giorno con quattro infamoni Briganti, papponi, cornuti e lacchè Tutte l'ore co' 'sta fetenzia Che sputa minaccia e s'a piglia co' me” “Ah, che bell' 'o cafè Pure in carcere 'o sanno fa Co' a ricetta ch'a Ciccirinella Compagno di cella, c'ha dato mammà” “Prima pagina, venti notizie Ventuno ingiustizie e lo Stato che fa Si costerna, s'indigna, s'impegna Poi getta la spugna con gran dignità Mi scervello e m'asciugo la fronte Per fortuna c'è chi mi risponde A quell'uomo sceltissimo immenso Io chiedo consenso a don Raffae'” La parte di testo riportata fa comprendere lo stile dell’autore e i temi già spiegati, ma ovviamente per poter apprezzare a pieno la canzone è necessario ascoltarne la versione integrale. Questo è stato il pezzo con cui ho scoperto la musica di De Andrè e ne sono subito rimasta affascinata. Anche da fanatica del rock (in senso positivo, ovviamente) mi è piaciuto dal primo ascolto. Mi ha colpito il fatto che, le sue, fossero tutte canzoni che non hanno bisogno di molto per “suonare bene”. Il testo è talmente diretto che la musica sta in piedi da sola. Personalmente penso che questo brano rimanga ancora molto attuale perché, purtroppo, in Italia il potere della malavita non rimane irrilevante, anzi, ma nella sua ironia il pezzo fa riflettere.

Forse, un giorno, l’Italia riuscirà a costruirsi un volto nuovo, ma questo dipenderà soprattutto da noi che

siamo le nuove generazioni.

Le cover

Il brano è stato reinterpretato dal cantante napoletano Beppe Barra nel 2001 e inserito nel suo album Guerra. Un'altra cover è stata incisa da Pupo nel 2004 e inclusa nel suo album L'equilibrista. Nel DVD di tributo Omaggio a Fabrizio de André, del 2006 il brano viene interpretato dal cantante napoletano, Massimo Ranieri.

La versione di Clementino

In occasione della terza serata del Festival di Sanremo 2016, il rapper italiano Clementino ha eseguito una propria versione del brano in seguito pubblicata per il download digitale il 12 febbraio 2016 ed entrata in rotazione radiofonica a partire dal 22 marzo dello stesso anno. Abbiamo citato anche questa versione perché è coerente con l’originale e potrebbe suscitare anche l’interesse degli amanti del rap.

Bocca di rosa

Ovviamente non si poteva non inserire nell’articolo questo brano, e quindi eccolo qui! Bocca di Rosa è una canzone scritta da Fabrizio de André insieme a Gran Piero Reverberi. Si tratta di una delle canzoni più rappresentative dell'autore ed è entrata

nell'immaginario collettivo italiano, tanto che l'espressione "bocca di rosa", nel linguaggio comune, anche se in modo errato rispetto al senso del testo della canzone, si riferisce a una prostituta.

Il contenuto

La canzone racconta la vicenda di una forestiera, soprannominata Bocca di Rosa, che, arrivata in treno "nel paesino di Sant'Ilario", con il suo comportamento passionale e libertino ne sconvolge la quiete. Nel giro di poco tempo la donna viene presa di mira dalle signore del paese, le quali, erano state tradite dai mariti per passare qualche ora in compagnia della nuova arrivata. Esse si rivolgono al Commissario di polizia, che manda quattro gendarmi, che condurranno Bocca di Rosa alla stazione di polizia e successivamente alla stazione ferroviaria, dove sarà accompagnata sul treno per essere allontanata dal paesino. Alla forzata partenza di Bocca di Rosa assistono commossi tutti gli uomini del borgo. La notizia della presenza di un personaggio del genere, però, si diffonde velocemente, tant'è che, alla stazione successiva, la donna viene accolta in modo trionfale e addirittura voluta dal parroco accanto a sé nella processione.

Il Testo “La chiamavano bocca di rosa Metteva l'amore, metteva l'amore La chiamavano bocca di rosa Metteva l'amore sopra ogni cosa Appena scese alla stazione Nel paesino di Sant'Ilario Tutti si accorsero con uno sguardo Che non si trattava di un missionario C'è chi l'amore lo fa per noia Chi se lo sceglie per professione Bocca di rosa né l'uno né l'altro Lei lo faceva per passione” “E fu così che da un giorno all'altro Bocca di rosa si tirò addosso L'ira funesta delle cagnette A cui aveva sottratto l'osso” “E quelle andarono dal commissario E dissero senza parafrasare "Quella schifosa ha già troppi clienti Più di un consorzio alimentare" “E l'accompagnarono al primo treno Alla stazione c'erano tutti Dal commissario al sacrestano Alla stazione c'erano tutti Con gli occhi rossi e il cappello in mano” “E alla stazione successiva Molta più gente di quando partiva ” “Persino il parroco che non disprezza Fra un miserere e un'estrema unzione Il bene effimero della bellezza” Anche per questo pezzo, penso sia sottinteso che la versione completa renda molto di più. Di primo acchito la canzone mi ha fatto sorridere.Mi sono immaginata tutte le donne del paese furibonde, che invece di chiedersi il perché del tradimento dei mariti, abbiano scelto il “male minore”, cacciando la forestiera. Mentre nel paese successivo gli abitanti, e persino il parroco, sono corsi ad accoglierla con entusiasmo sperando di poter trovare in lei un po' d’amore. Probabilmente, Bocca di rosa era solo una ragazza che si godeva la vita, senza porsi troppe questioni sull’etica delle proprie azioni. E in un certo senso era anche giusto così.

Altre versioni

Della canzone sono state eseguite svariate cover dalle grandi voci femminili d'Ornella Vanoni, Anna Oxa e L'Aura, ai cantautori (Roberto Vecchioni) al rock demenziale (gli Skiantos), al Jazz (Musica Nuda) dall'orchestra (Malinda Mai), alle band-tributo (i Mercanti di Liquore),ma anche al folk, con Mario Incudine che ne fa una versione con testo tradotto in dialetto siciliano, e Peppe Barra, che realizza una versione con il testo tradotto da Vincenzo Salemme in lingua napoletana, inserita nella raccolta del 1995 di Artisti Vari, "Canti Randagi". Speriamo di avervi fatto venire la curiosità di andare ad ascoltare questi ed altri brani di Faber (il soprannome di De Andrè). Questo grande autore non è morto, si è semplicemente trasformato nella sua musica, lasciandoci le sue opere come patrimonio.

Denise Pansini Lorenzo Piturro, 3°AT

This article is from: