Il nuovo universo di Paolo Benvegnù di Leonardo Cianfanelli
foto di Claudia Cataldi/The Factory Prd
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a sempre legato a Firenze e manifesto di un cantautorato italiano di qualità, Paolo Benvegnù è da poco tornato con "Dell’odio dell’innocenza", un nuovo album per Blackcandy Produzioni che continua il suo cammino solista iniziato dieci anni fa con quel piccolo/grande capolavoro chiamato “Piccoli fragilissimi film”, uscito dopo lo scioglimento degli indimenticabili Scisma. Lo abbiamo raggiunto in una domenica casalinga per levarci qualche curiosità: C'è una misteriosa e curiosa leggenda intorno al tuo nuovo album. Ce la vuoi raccontare? "Vivo ormai da un po' di tempo più realtà contemporaneamente, non da iper-uomo ma da ipo-uomo, nel senso che non riesco a staccarmi da un'esistenza o da un'altra, dall'immaginazione che mi porta verso un'altra esistenza. In una di queste esistenze che ho vissuto contemporaneamente ho scritto un disco insieme ai miei compagni. In un'altra, che è quella che mi ricordo meglio, mi è arrivata una busta anonima a me indirizzata, con dentro un CD masterizzato di dieci pezzi chitarra/voce e uno strumentale. Sul disco c'era la dicitura “Dell'odio dell'innocenza” e, dopo aver ascoltato il disco, ho chiesto ai miei compagni se fossero interessati a sfruttare quest'idea. Loro si sono convinti che si
trattava di una scrittura bella - anche se verbosa - e abbiamo deciso di rifare quel disco insieme". Un disco di cambiamenti (etichetta, booking), dove le canzoni tornano a una veste essenziale e minimale. Perché queste scelte? "Il vero cambiamento è stato tornare finalmente ad avere la fiducia delle persone con cui ho lavorato e lavoro ancora oggi. Tutto è continuamente in cambiamento, la realtà è assolutamente dinamica. Io sono stato per l'ennesima volta fortunato ad avere il privilegio di lavorare con dei compagni meravigliosi e con i ragazzi di Blackcandy, che sono stati molto accoglienti e fiduciosi. Quando senti fiducia, normalmente dai il massimo e cerchi di far il possibile per ripagarla: questo è quello che è successo". In tutti questi anni di carriera hai attraversato un ponte virtuale di eventi verso qualcosa che difficilmente volge la testa al passato. Cosa ne pensi dell'attuale scena musicale italiana? Nostalgia o senso di appartenenza? "Sinceramente non mi sento di avere senso di appartenenza verso nulla, cerco di staccarmi il più possibile, non considerandola una debolezza. Un senso di appartenenza verso i tramonti, l'alba, gli esseri umani, gli alberi,
è una cosa che tutti hanno. Le cose che gli uomini fanno, invece, sono piccole e fallibili, nel mio caso ancor di più (ride). Cerco di non avere alcuna nostalgia, né senso di appartenenza. Tutte le cose che nel tempo ho scritto con i miei compagni hanno un loro colore e, rivedendole un giorno, quando tutto sarà finito e scomparso, potranno sembrare un gioco articolato e pensato in maniera assolutamente pertinente... ma potrebbe anche non essere così". Ti conosciamo da sempre come un'artista con una sensibilità unica. Come stai vivendo queste giornate così surreali? "Questi giorni sono dolenti per me, perché sento la sofferenza di chi muore da solo. Questa sofferenza la sento da lontano come la sentivo prima che succedesse tutto questo, quando accadeva agli alberi o agli animali. È un mondo dolente e bisogna rendersene conto, per quanto noi stiamo cercando da almeno cento anni di abbandonare il dolore, che fa parte della vita. In questo esatto istante, la cosa che vorrei fare è essere utile a qualcuno, ma forse sono utile se sto zitto e mi concentro sul dolore degli altri, cercando in una maniera o nell'altra di fare in modo che i miei pensieri, insieme a quelli di tante persone, possano lenire anche minimamente questa sofferenza".
"Dell’odio dell’innocenza", tra un'esistenza e l'altra
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