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La crisi del food
La crisi del food Quali scenari futuri
di Raffaella Galamini foto di Ristoratori Toscani
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Arte e cibo: a Firenze l’economia ruota da sempre attorno a questi due settori. Se il turista arriva dall’altra parte del mondo in città è per rifarsi gli occhi davanti a capolavori e monumenti del Rinascimento e per gustare bistecca alla fiorentina e un buon bicchiere di Chianti. L’emergenza Covid-19 e il conseguente lockdown hanno messo al tappeto un giro d’affari da quasi 4 miliardi, il 7 per cento del Pil. Ogni anno in città arrivano più di 20 milioni di visitatori senza contare poi chi per studio trascorre periodi medio-lunghi a Firenze. Oggi che turisti e studenti non ci sono, il centro appare svuotato e gli esercizi pubblici non sanno che pesci prendere. Nel settore della ristorazione le richieste di cassa integrazione sono oltre il 90 per cento, il 30 per cento dei contratti a tempo determinato non è stato rinnovato. Solo in centro sono a casa almeno 7mila dipendenti tra ristoranti, bar e alberghi. I Ristoratori Toscani si sono uniti insieme in gruppo per avanzare le loro rivendicazioni in termini di sgravi fiscali e occupazione di suolo pubblico. Nelle ultime settimane hanno fatto sentire la loro voce anche con una serie di manifestazioni e flash mob: dall’iniziativa Risorgiamo Italia alla consegna simbolica delle chiavi delle attività al sindaco di Firenze, Dario Nardella. Molti ristoranti, anche stellati, sono ricorsi alla formula dei dining bond: in pratica acquisti oggi una cena a prezzo scontato da consumare nei prossimi mesi. Un modo concreto per sostenere il comparto. Difficile immaginare gli scenari futuri: nel breve-medio periodo andrà ripensato il mondo della ristorazione a Firenze. Meno trattorie acchiappaturisti e stop al mangificio in tante vie del centro per riscoprire una ristorazione tradizionale autenticamente genuina e Meno trattorie acchiappaturisti e stop al mangificio in tante vie del centro a misura di fiorentini e di turisti italiani. Una vera incognita l’avvenire per i ristoranti top che dovranno trovare il giusto equilibrio tra taglio dei tavoli per il distanziamento sociale e assenza dei turisti stranieri.
Un bicchiere amaro. La qualità del vino, dalla vigna alla bottiglia, un futuro a rischio.
di Andrea Bertelli
L’attuale situazione riguardante il mercato del vino è un mare in tempesta. I vignaioli navigano su una scialuppa e non c’è terra all’orizzonte. La Toscana, regione di vigne, olivi e agriturismi è stata travolta in pieno. La crisi di mercato è stata scatenata dal blocco dei canali Ho.Re.Ca. (Hotellerie Restaurant Cafè, ndr) e del turismo, che probabilmente tornerà a regime soltanto dal prossimo anno.L’impennata delle attività di e-commerce e delle vendite online non sono sufficienti a coprire l’offerta.I produttori si sono così ritrovati al momento dell’imbottigliamento delle nuove annate con il mercato fermo, ordini inevasi e livelli elevati di giacenze in cantina.Nel frattempo la natura non si arresta, la nuova vendemmia è in arrivo e l’annata si promette generosa.“Cieli minacciosi su tutto il nostro piccolo pianeta: tutto sembra cambiare per poi restare uguale - afferma Elisabetta Fagiuoli dell’azienda Montenidoli di San Gimignano - la corsa del progresso ha subito un’accelerazione incredibile in questi ultimi anni, la pandemia ha provocato un arresto improvviso e un tentativo di ripensamento, ma la corsa sfrenata degli uomini riprenderà perché questa è la loro sorte”. In questa situazione difficile è però legittimo chiedersi come sia possibile che a una regione come la Toscana, dove ogni anno si registrano più di 40 milioni di presenze, bastino due mesi per entrare nella crisi più completa? “Questa situazione sta mettendo tutti in ginocchio, i clienti da 3 mesi sono spariti nel nulla, come rapiti dagli alieni, il vino rimane in cantina e la vendemmia si avvicina - dice Roberto Bianchi dell’Az. agricola Val delle Corti, presidente dei Vignaioli di Radda - molti produttori hanno necessità di fare posto in cantina. Il rischio grosso consiste nel crollo dei prezzi del vino, soprattutto sfuso. É necessario un intervento pubblico per aiutare la filiera, sennò la situazione rischia di trasformarsi in un piano inclinato inarrestabile”. I rischi per il territorio sono enormi, il lavoro e le conquiste fatte negli ultimi decenni da tanti produttori stanno venendo spazzate via in pochi mesi, le scelte virtuose e la qualità in questa economia non pagano.