numero 47 del 7 marzo 2022
MIACRAINA
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p4 – La sinistra, Putin e la p6 - La guerra della fol p8 - Chi ha costruito i suoi fasti politici sul Anche di cancellare uno Stato e il suo p14 – Bella ciao di p16 – War game di p17 – L’intervista - La transizione ecologic p20 – Presidenza della Repubblica. An p24 – Facite ammuina! Ovvero: fat p28 – Dove sono finiti p32 – Le regole si cambiano o ci ca p35 – Costituzione e vita politica in p38 – Regole sportive e il sistema per aggir p40 – L’arte del Vivere e del p42 – Le regole di p45 – C’arripigliamm tutt chell c p46 – Il Papa che uni p48 – Cat cafè, dal Giappone la moda p50 – Un film nuovo per dettare n p52 – Riccioli di p56 – La spiegazione di Ma p58 – La foto d
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a guerra di Aldo Avallone llia di Fabio Chiavolini l genocidio di un popolo, è capace di tutto. o popolo di Umberto De Giovannangeli i Raffaele Flaminio Antonella Golinelli ca, fra sfida e necessità di Giovanni Aiello nnessi e connessi di Antonella Golinelli te confusione! di Raffaele Flaminio i?... di Vincenzo Crolla ambiano? Di Rosanna Marina Russo n Italia di Giovan Giuseppe Mennella rarle: il sistema Italia di Antonio Cuccorese l Morire di Chiara Tortorelli Antonia Scivittaro ch’è o nuost di Antonella Buccini isce di Lucia Colarieti del bar dei Gatti di Veronica D’Angelo nuove regole di Anita Napolitano i Lucia Colarieti arco Arturi (con Gian Nicola Maestro) di Marco Arturi
l’editoriale del direttore
La sinistra, Putin e la guerra ALDO AVALLONE
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soprattutto sottolineare alcuni concetti utili a chiarire il dibattito che si è aperto in una parte della sinistra nel nostro Paese.
uesto numero de L’Unità laburista doveva essere online circa tre settimane fa. Problemi tecnici ne hanno impedito la pubblicazione, poi è scoppiata la guerra. Naturalmente non si poteva non tenerne conto e abbiamo ritenuto di “aggiornarlo” con alcuni articoli che si occupano di questo decisivo e attuale argomento mentre il resto del giornale ha come “fil rouge” il tema che avevamo scelto allora: le regole.
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a Russia di Putin non è più l’Unione sovietica di cui tanti compagni sono ancora nostalgicamente innamorati. La Russia di Putin è un Paese capitalista dove la ricchezza è concentrata nelle mani di una cerchia di oligarchi e dove la maggioranza della popolazione, soprattutto nelle zone agricole, vive in condizioni di estrema povertà. Quindi, una nazione dove i rapporti sociali non sono dissimili da tutti gli stati dove governa il capitale. Inoltre, nella Russia di Putin, al contrario che altrove, non esiste nemmeno una parvenza di democrazia. Gli oppositori vengono incarcerati o muoiono per incidenti improvvisi, la stampa è totalmente sotto controllo governativo e i giornalisti scomodi vengono tranquillamente assassinati. È proprio delle ultime ore la notizia della chiusura a Mosca di una televisione e una radio private, ultime isole di libera informazione nel mare della propaganda governativa. Putin non è altro che un dittatore che attraverso finte elezioni perpetua il suo potere personale.
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e regole in vigore sono ancora attuali visti i veloci cambiamenti che percorrono il nostro mondo? È il caso di mutarle, adattandole alle trasformazioni epocali che in tutti i settori della società stanno manifestandosi? Naturalmente non abbiamo nemmeno lontanamente la presunzione di affrontare un argomento così vasto in maniera esaustiva. Vorremmo semplicemente offrire degli spunti di riflessione in un momento storico nel quale si comincia a percepire che le vecchie regole debbano essere sostituite da nuove, più adeguate ai cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo.
Ma veniamo alla cruda attualità.
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ltro punto fondamentale da mettere in chiaro è che in questa guerra esiste un paese aggressore e un paese aggredito. I carri armati russi sono entrati in territorio ucraino distruggendo infrastrutture e uccidendo civili. Credo che nessuno metta in dubbio il diritto del popolo ucraino a difendere se stesso e la propria terra. Per cui è eticamente doveroso stigmatizzare l’invasione e dare ogni supporto possibile al popolo ucraino. Sento tante voci a sinistra alzarsi e dire “ma anche gli Stati Uniti, ma anche Israele, ma
uando ho scritto il precedente editoriale soffiavano già venti di guerra ma la parola non era ancora passata alle armi e si poteva ancora sperare che il negoziato potesse impedire lo scoppio delle ostilità. Purtroppo, non è stato così. Putin non si è fermato e mentre stendo queste note in terra ucraina si combatte e si muore.
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n un interessantissimo pezzo di Fabio Chiavolini troverete l’analisi geopolitica della situazione. In queste righe mi preme
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fortunati di noi, che ci chiederanno aiuto. Se sarà così, anche la guerra in corso potrà rappresentare un’occasione di crescita per l’Europa. Perché di fronte alle mire espansionistiche del dittatore russo ci sarà sempre più bisogno di un’Europa forte e coesa.
anche la Nato…”. Ebbene, come abbiamo sempre criticato ogni intervento armato del “gendarme” americano, critichiamo oggi l’intervento russo. È bello vedere le marce pacifiste e le bandiere multicolori sventolare nelle piazze di tutto il mondo. È bello sentire invocare tavoli di negoziazione e inviti a risolvere i problemi attraverso la trattativa. Dal mio punto di vista, è meno bello ascoltare le parole di chi a sinistra ha criticato la decisione di inviare armi che hanno funzione esclusivamente difensiva all’esercito ucraino. Non so bene perché ma mi sono venuti in mente i partigiani che sulle montagne italiane combattevano contro l’occupazione nazista. Hanno combattuto con i vecchi fucili modello 91, con le armi sottratte alle milizie fasciste, spesso con le molotov contro i blindati tedeschi. Se qualcuno avesse fornito loro qualche arma più efficace ci sarebbe stato da strapparsi le vesti? Da sempre mi sono battuto per la pace, ho fatto manifestazioni e sit in, ho invocato l’articolo 11 della Costituzione urlando slogan nei cortei. Oggi mi rendo conto che esistono gli ideali e poi c’è la realtà, dura e brutale, che impone scelte che a volte collidono con quei famosi ideali. Potrei sviscerare anch’io, come altri, tanti “sì, ma…”. Ma ora non è il momento. Con il cuore gonfio di tristezza dico che è giusto inviare armi a chi combatte il dittatore russo.
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oncludo questa breve riflessione, dettata soprattutto dall’emotività del momento, affermando ancora una volta il valore universale della pace ma ricordando anche le parole di Lenin: l’unica guerra giusta è quella che i popoli uniti combattono contro i loro oppressori. A un secolo di distanza da quando furono pronunciate, naturalmente nessuno crede che si debbano proporre rivoluzioni armate. Ma che un nuovo e potente internazionalismo unisca i diseredati della terra e li spinga a battersi democraticamente per un mondo più giusto è certamente auspicabile.
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esta apprezzabile in tutto questo caos la posizione ferma e unitaria dell’Europa. Nessun coinvolgimento diretto nel conflitto ma sanzioni alla Russia, aiuti anche militari all’Ucraina e disponibilità piena all’accoglienza dei profughi. Certo, questo atteggiamento sarebbe stato gradito maggiormente se fosse stato adottato anche nei confronti di tutti gli esuli che giungono nel nostro continente da ogni parte del mondo. Sappiamo bene che non è stato così. Auguriamoci che questa gara di solidarietà che vede impegnati tutti i popoli europei si manifesti in futuro verso tutti coloro, meno
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LA GUERRA DELLA FOLLIA DI FABIO CHIAVOLINI
Negli ultimi dieci giorni abbiamo assistito impotenti alla morte di più di duemila persone.
e - soprattutto - i giornalisti. Tutti con l'elmetto, tutti con un'innaturale voglia di menare le mani.
In Italia. Di CoViD-19.
Tutti resi pazzi, già prima della guerra, dai lockdown e dall'ansia generata dal virus.
Avete letto bene.
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Nel mio piccolo, penso che l'Occidente non capisca nulla delle feroci guerre tra le mafie post-sovietiche (lì non hanno penetrato porzioni dello Stato ma apparati dello Stato ex sovietico si sono fatte mafia) e si faccia turlupinare facilmente dall'uno o dall'altro.
ella sola Italia abbiamo avuto lo stesso numero di morti provocati dalla guerra in Ucraina. Solo che li ha fatti il virus. Non scriverò molto: sono troppo deluso per spendere troppe parole. Sono rimasto profondamente colpito dalla velocità con la quale abbiamo rimosso la pandemia. La stessa congerie di zombies che prima si era scagliata contro il vaccino si è divisa in una doppia armata di favorevoli e contrari alla Russia e/o all'Ucraina.
Nel mio piccolo, penso che siamo stati troppo frettolosi nel far entrare Paesi ex sovietici nella UE e nella NATO: ci voleva un po' più di tatto e raziocinio. Nel mio piccolo - pur condannando fermamente l'operato di chi ha sparato per primo - non mi "arruolo".
Il Governo italiano è passato dai vincoli del Super Green Pass per i cittadini all'esenzione per i profughi ucraini: e se riceverli è un obbligo, mi pare che il minimo sia vaccinarli - alla fine, sinora, si parla di poche migliaia di persone.
Resto neutrale. Perché resto pacifista come Gino Strada, che sapeva che non esistono potenti "buoni" e, se c'è una guerra, è sempre tra uno che ha un po' più torto ed uno che ne ha un po' meno - ma mai tra un totale colpevole ed un totale innocente.
E - invece e contro ogni logica - vengono dispensati, con grave rischio sanitario per i profughi e per chi li ospita.
Perché dalle guerre guadagna solo e sempre il Capitale, mentre pagano solo e sempre i deboli.
Inoltre, ci siamo scoperti un popolo d'interventisti: tutti per l'Ucraina taluni senza nemmeno sapere dove si trovi e come si sia arrivati a Zelensky, tutti per la Russia talaltri senza avere la minima idea della ferocia con la quale Putin tratta le opposizioni
Ricordatelo, quando vi chiederanno di schierarvi con l'uno o con l'altro.
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CHI HA COSTRUITO I SUOI FASTI POLITICI SUL GENOCIDIO DI UN POPOLO, È CAPACE DI TUTTO. ANCHE DI CANCELLARE UNO STATO E IL SUO POPOLO. DI UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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hi ha costruito i suoi fasti politici sul genocidio di un popolo, è capace di tutto. Anche di cancellare uno Stato e il suo popolo.
uso della forza, trattamento disumano dei civili, detenzioni arbitrarie, esecuzioni sommarie". Amnesty International invita Europa e America a intervenire sul Cremlino, affinché l' "offensiva di primavera" lanciata in questi giorni non finisca in una carneficina di donne e bambini. Tuttavia, primi ministri, ministri degli Esteri, presidenti, passano da Mosca senza tradurre denunce, accuse, appelli, in decise pressioni politiche sul capo del Cremlino. Al recente summit internazionale sul terrorismo in Egitto, Eltsin ha detto in sostanza che la Cecenia è appunto un "problema di terrorismo", e perlomeno pubblicamente nessuno lo ha contraddetto. Se a qualcuno il prezzo pagato finora dai ceceni non sembra abbastanza alto (40 mila morti e 500 mila profughi), va ricordato che i ceceni sono un piccolo popolo, in tutto un milione di persone: fatte le proporzioni, è come se l’Italia avesse sofferto 2 milioni di morti e 30 milioni di profughi. In Cecenia, insomma, si sta consumando il genocidio di un popolo, davanti al quale le razionali argomentazioni della politica (secessione sì o no, diritto all' autodeterminazione o autonomia all' interno della federazione russa) passano in second' ordine. In passato acerrimo fustigatore dei ceceni, ora Aleksandr Solgenitsyn riconosce che, con le loro sofferenze e il loro coraggio, i separatisti si sono guadagnati il diritto all' indipendenza. Sarebbe doveroso riconoscere che come minimo si sono guadagnati il diritto alla solidarietà occidentale”.
Ricordate la Cecenia? rinfrescare la memoria un bellissimo articolo di Repubblica datato giugno 1996.
A volte basta un nome per identificare una guerra. My Lai, il villaggio vietnamita in cui i marines americani massacrarono 347 civili, in maggioranza vecchi, donne, bambini, simboleggia gli orrori del conflitto in Vietnam. Srebrenica, l’enclave mussulmana colpita dalla furia della "pulizia etnica" serba in Bosnia, riassume la tragedia della ex Jugoslavia. Chissà se Samashki, il villaggio ceceno teatro di feroci atrocità delle truppe russe (carri armati che sparano contro donne e bambini mentre escono dalle case a mani alzate, uomini bruciati vivi, cadaveri fatti a pezzi), diventerà agli occhi del mondo una metafora dell’intervento di Mosca nella piccola repubblica separatista nel sud della Russia. Probabilmente, no. Per quanto i mass media abbiano dedicato ampio spazio a Samashki e ai frequenti episodi dello stesso tipo verificatisi in Cecenia dall' inizio del conflitto, il mondo civile, democratico, occidentale non reagisce con lo sdegno riservato a My Lai o Srebrenica. I morti e le atrocità in Cecenia contano di meno: se suscitano le proteste della comunità internazionale, sono di solito proteste a mezza voce, più formali che sentite. E il motivo è chiaro: non mettere in difficoltà Boris Eltsin, comunque preferibile al candidato comunista nelle elezioni presidenziali di giugno. Ma più la guerra in Cecenia va avanti, più la passività dell'Occidente appare ripugnante e scandalosa. La Croce Rossa internazionale ha denunciato "brutalità inquietanti" da parte russa. Il rapporto annuale sui diritti umani del Dipartimento di Stato americano ha accusato Mosca di "indiscriminato
In memoria di Anna e Antonio
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nna Politkovskaja nasce a New York il 30 agosto 1958 da due diplomatici ucraini, funzionari Urss all'Onu. Si laurea nel 1980 in giornalismo all'Università di Mosca, con una tesi sulla poetessa Marina Cvetaeva. nizia nel 1982 a lavorare all'Izvestia, dove rimane fino al 1993. Dal 1994 al 1999 collabora con diverse radio e TV libere. Nel 1998 si reca per
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la prima volta in Cecenia come inviata della Obšcaja Gazeta per intervistare il neo-eletto Presidente della Cecenia, Aslan Mashkadov. A metà del 1999 passa alla Novaja Gazeta, il giornale sul quale pubblica le inchieste scomode e i reportage scottanti sulla Cecenia, il Daghestan e l'Inguscezia, criticando senza mezzi termini il presidente russo Putin e i politici locali, "fantocci" di Mosca.
Parlare di Antonio significa parlare di guerre nascoste, dimenticate. Come era appunto la guerra in Cecenia: guerre delle quali era impedito a chiunque di documentare l’orrore. Antonio Russo è stato il tenace cronista del ghetto di Groznyj, è stato, secondo la definizione di Barbara Spinelli: “Una lampada accesa nel cuore del ghetto in fiamme. [...]. Ventun anni sono trascorsi dal suo assassinio, da quando il suo corpo fu trovato, il 16 ottobre 2000, sulla strada che da Tbilisi porta al confine con l’Armenia, a 25 chilometri dalla capitale della Georgia, poco distante da una base militare russa e dal Caucaso meridionale tornato in fiamme il 27 settembre del 2020 quando si riaccese il trentennale conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh, un’enclave a maggioranza armena situata in territorio azero, e che ha prodotto altre migliaia di morti e oltre centomila sfollati. Conflitto conclusosi il 9 novembre di quello stesso anno con un accordo tra i due paesi mediato dalla Russia.
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i reca molto spesso in Cecenia per documentare i massacri e denunciare la politica russa, sostenendo le famiglie delle vittime civili, visitando ospedali e campi profughi, intervistando sia militari russi che civili ceceni. Interviene anche nella trattativa durante l'assedio della guerriglia cecena al Teatro Dubrovka di Mosca, che termina con l'irruzione delle forze speciali di Putin, la liquidazione dei guerriglieri asserragliati nel teatro e molte vittime civili tra gli spettatori.
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el settembre 2004 si sente male sull'aereo che la sta portando a Beslan, dove è in corso l'assedio della scuola presa d'assalto da guerriglieri ceceni che tengono in ostaggio molti bambini, colpita da un malore e perde conoscenza. L'aereo è costretto a tornare indietro e si sospetta che Anna sia stata oggetto di un tentativo di avvelenamento.
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’autopsia effettuata sul corpo di Antonio non riscontrò tracce di ferite da incidente stradale o da aggressione, ma i suoi organi interni erano distrutti. Aveva ancora al collo una catenina con un crocifisso d’oro. Il suo appartamento di Tbilisi fu messo a soqquadro e risultarono mancanti la videocamera, il registratore, le cassette Vhs e i taccuini, mai più ritrovati. Nulla più si è saputo sulla sua uccisione, non si conoscono gli autori né i mandanti del suo assassinio.
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el dicembre 2005, durante una conferenza di Reporter Senza Frontiere a Vienna sulla libertà di stampa afferma: "Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano". Dice di considerarsi "una persona che descrive quello che succede a chi non può vederlo" e denuncia il clima di intimidazione instaurato da Putin contro la libertà di stampa e di parola. È consapevole di rischiare la vita con la sua opera di denuncia e controinformazione, ma non si ferma.
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appiamo però che è stato schiacciato come un insetto, in perfetto stile Kgb, da chi in quei giorni, la Russia di Putin, tentava di imporre l’espulsione del Partito radicale dall’Onu, cioè di annullarne lo status di Ong, con l’accusa di appoggio al terrorismo ceceno. Il voto era fissato per il 18 ottobre 2000, ma quel giorno l’Onu respinse la richiesta russa.
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l 7 ottobre 2006 viene uccisa nell'ascensore del palazzo di Mosca dove abita, colpita da quattro colpi di pistola, di cui uno alla testa.
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ntonio è morto per contribuire a che si evitasse che la tragedia in atto in Cecenia si compisse fino in fondo. Nel suo ultimo intervento pubblico ad una conferenza sui danni ambientali causati dal conflitto ceceno, tenutasi in Georgia, parlò di un probabile uso, da parte di Mosca, di proiettili all’uranio impoverito nella repubblica caucasica e, nel corso di una telefonata aveva detto alla madre, pochi giorni prima della morte, di essere in possesso di una videocassetta dal contenuto esplosivo, nella quale si documentavano le torture perpetrate dall’esercito russo ai danni della popolazione civile cecena”.
a Novaja Gazeta pubblica due giorni dopo gli appunti in preparazione dell'articolo a cui Anna stava lavorando, un'inchiesta dettagliata sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramsan Kadyrov. Ai funerali, celebrati in una zona periferica di Mosca non facilmente raggiungibile, partecipa una grande folla commossa, ma nessun rappresentante del governo russo”.
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ono alcuni passaggi del pezzo, partecipe e documentato, scritto da Mariano Giustino per Huffington Post il 16 ottobre 2021, nel ventunesimo anniversario dell’uccisione di Antonio Russo, inviato di guerra di Radio Radicale. Criminali riconoscenti Il presidente ceceno Ramzan Kadyrov ha messo a disposizione delle forze russe i volontari delle sue milizie. Come riportato da Adnkronos, l’esercito ceceno è stato autorizzato ad andare a combattere nelle zone più critiche dell’Ucraina a sostegno delle forze russe. Kadyrov ha radunato oltre 12 mila unità delle forze speciali, ma in Cecenia ci sarebbero circa 70 mila persone pronte a partire alla volta di Kiev. “I combattenti hanno espresso la loro piena disponibilità a portare a termine obiettivi di qualsiasi livello di complessità”, quanto reso noto dal Caucasian Knot.
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i fronte ai 12mila uomini armati radunati nella capitale Groznyj, Kadyrov si è rivolto al Presidente ucraino Zelensky dicendo: “Colgo l’occasione di dare un consiglio all’attuale Presidente ucraino Zelensky, che potrebbe anche diventare ex Presidente, affinché chiami il nostro Presidente, il comandante supremo Vladimir Putin e chieda scusa”.
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on è dato sapere la data della realizzazione del video, che circola di fatto dopo la diffusione delle immagini dei soldati ceceni intenti a pregare in una foresta. Secondo quanto diffuso nella serata del 24 febbraio 2022 da Chechyatoday.com, in base a “rapporti non confermati” alcuni rappresentanti delle forze armate cecene e i propri soldati si troverebbero in Ucraina o più precisamente nel Donbass. Il regime di Kadyrov continua ad avere la principale opposizione nelle madri dei civili torturati, scomparsi (più di 10.000 persone) o uccisi (tra i quali 35.000 bambini, numero più alto dei desaparecidos argentini) nei campi “di filtraggio” o per mano delle “unità di pulizia dei boschi”, nome utile a coprire veri e propri squadroni della morte come i “Kadyrovity”, direttamente riconducibili all'attuale presidente .«Il terrorismo islamico è sicuramente un problema in Cecenia, ma è sbagliato ricondurre tutta la crisi a questa minaccia. Non si devono confondere cause e conseguenze: la causa del conflitto ha radici profonde e lontane, mentre il terrorismo è un sottoprodotto della guerra», denunciava in un’intervista del 2006 a SwissInfo Andreas Gross, all'epoca relatore speciale
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per la Cecenia al Consiglio d'Europa. Sparizione in diretta tv.
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atima Bazorkina suo figlio lo vede sparire quasi in diretta televisiva. Durante un servizio della Ntv, infatti, vede il generale Alexander Baranov ordinare ad un prigioniero dell'esercito russo di sparare. Quel prigioniero, Yandiev il nome, è il figlio di Fatima. La donna non aveva più avuto notizie di lui fino a quel momento. Fatima, tra il 2000 ed il 2006, ha girato la Russia alla ricerca di notizie o del corpo di suo figlio, senza successo e senza ricevere risposta alcuna alle tante lettere scritte alle autorità. Il generale Baranov, invece, è stato promosso a coordinare tutte le forze armate del Caucaso settentrionale. Cecenia inclusa, naturalmente. Sparito nel nulla dal 1999 – da quando cioè aveva abbandonato gli studi in sociologia all'Università di Mosca per andare a Groznji in cerca del padre – Yandiev non risulta né ucciso, né mai arrestato con la propria o con altra identità, finché nel 2004 viene accusato di essere entrato a far parte di un gruppo armato illegale. Secondo i russi vive in clandestinità. Neanche la Corte europea è riuscita ad andare più in là della sparizione, chiudendo il caso il 27 luglio 2006 come “morte presunta”.
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iolazione del diritto alla vita, tortura, detenzione illegale sono solo alcune delle accuse più comuni mosse contro la Russia davanti alla Corte.
'altronde il rapporto tra l'attuale presidente russo e la piccola repubblica caucasica è un rapporti consolidato: «Tra Putin e la seconda guerra bisogna porre un segno di eguaglianza. Lui è stato eletto sull'onda di una propaganda fortemente militare e su quest'onda ha continuato a governare», raccontava Anna Politkovskaja nel documentario “Coca – la colomba della Cecenia”, film-documentario di Eric Bergkraut che ha per protagonista Zainap Gashaeva, fondatrice della ong Echo Vojny (“Eco della guerra”) che si occupa di orfani di guerra, pace e diritti umani.
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a seconda guerra cecena, dunque, come «forma perversa di “campagna elettorale”, progettata freddamente a tavolino e costruita sulla pelle di migliaia di civili, per creare attorno a Vladimir Putin, uomo di fiducia di Eltsin, il consenso di cui aveva bisogno per conquistare la presidenza della Federazione», come scriveva Carlo Gubitosa nel suo “Viaggio in Cecenia “del 2004. Una campagna che era stata finanziata, cinque anni prima, anche attraverso la cancellazione dei
4,5 miliardi di dollari di debito russo da parte dei paesi del G8. Il petrolio di Groznyi (circa 4mila tonnellate al giorno), non è un interesse solo russo, evidentemente.
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utin – all'epoca un semisconosciuto colonnello messo alla guida dell'Fsb, il Kgb post-sovietico - diventa, grazie alla sua mediatizzazione nel racconto della seconda guerra cecena, l'”uomo forte” di cui la Russia ha bisogno per far dimenticare la stretta relazione tra Eltsin e l'alcol. Una necessità nella quale il “nemico ceceno” - dipinto «come una popolazione composta unicamente da criminali e terroristi spietati», scrive ancora Gubitosa - torna ad avere una funzione vitale e nella quale importante è il ruolo della propaganda mediatica, che ha permesso di nascondere 25.000 civili uccisi (14.000 i ribelli), 200.000 profughi – ai quali viene difficilmente concesso asilo politico nell'Unione - e 5.000 scomparsi nelle fosse comuni o nelle carceri illegali tra il 1999 ed il 2009, anche grazie all’adesione di Mosca alla guerra al terrorismo qaedista post 11 Settembre.
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Tutti dovranno andare davanti ad un tribunale. Quelli che [la guerra, ndr] l'hanno iniziata e quelli che l'hanno continuata. I russi come i ceceni colpevoli» dice la Gashaeva nel documentario. Secondo la Politkovskaja (nel 2004) «sarebbe necessaria un'inchiesta internazionale».
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nna è stata uccisa. E come lei Antonio Russo e altri coraggiosi giornalisti, a centinaia, che hanno raccontato gli orrori ceceni e i crimini della cricca al potere a Mosca. A capo della quale, c’è sempre lui: Vladimir Putin. Quando lo “Zar” si traveste da storico...
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nnota Il Post: “Con una veemenza e una convinzione che hanno stupito anche gli esperti che hanno più familiarità con le sue distorsioni storiche, nel suo discorso di lunedì Putin ha detto, tra le altre cose, che l’Ucraina «non ha mai avuto una tradizione stabile come nazione a sé stante» e che è stata sostanzialmente inventata dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica all’inizio del Novecento: «L’Ucraina moderna è stata interamente e completamente creata dalla Russia», ha detto Putin. Martedì ha ripreso la questione il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che è arrivato a dire che l’Ucraina ‘non ha il diritto di essere una nazione sovrana’. Non è certo la prima volta che Putin esprime idee di questo tipo: sono anni che lo fa, sostenendo pubblicamente che russi e ucraini siano «un solo popolo». Lo disse nel 2014,
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in occasione dell’annessione della Crimea, lo ha ripetuto varie volte in interviste e interventi pubblici e lo ha ribadito anche lo scorso luglio in un suo lungo saggio intitolato “Sull’unità storica dei russi e degli ucraini”: il saggio sostiene, in sostanza, che l’Ucraina appartenga alla Russia e che la formazione di un’identità nazionale ucraina staccata dalla Russia sia da considerarsi un «progetto anti-russo». Sono tutte opinioni condivise e ribadite pubblicamente anche dagli alleati stretti di Putin, con formule anche molto fantasiose, come quella di Vladislav Surkov, consigliere di Putin sulla questione ucraina, che definì l’Ucraina «uno stupefacente entusiasmo per l’etnografia, portato agli estremi».
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no degli argomenti usati da Putin per sostenere che l’Ucraina non possa essere considerata una nazione sovrana, per esempio, è che parte dell’attuale Ucraina faceva parte della cosiddetta Rus di Kiev, cioè l’insieme di tribù slave, baltiche e finniche che nel Nono secolo creò una lasca entità monarchica che si estendeva dal mare Bianco nel nord al mar Nero nel sud, e che dunque comprendeva parte dell’attuale territorio ucraino, bielorusso e russo. Secondo Putin, la comune appartenenza alla Rus di Kiev è da considerarsi il fondamento di una comune identità. Parliamo però di eventi che risalgono a oltre un millennio fa..”.
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on basta. Annota ancora Il Post: “Tra le altre cose, Putin ha detto, come già in altre occasioni, che l’Ucraina non esisterebbe se non fosse stato per Vladimir Lenin, che al momento della creazione dell’Unione Sovietica decise di fare dell’Ucraina una repubblica separata dalla Russia...”.
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i grande interesse è la riflessione di una delle firme storiche di Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv: Alon Pinkas.
Putin - scrive - si vede come un protagonista nel continuum della storia russa, destinato a riportare la Madrepatria alla sua gloria e al suo dominio. L'abissale economia russa, una società in decadenza, una tecnologia inferiore (al di fuori dei sistemi militari molto avanzati) e il poco peso diplomatico russo nel mondo raccontano una storia diversa.
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uttavia, anche una potenza in declino ha potere. Secondo Putin, la Russia è stata resa miserabile, ridimensionata, esclusa e umiliata dagli Stati Uniti. Lui vuole cambiare tutto questo.
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a una campagna shock and awe in Ucraina non rappresenta la vittoria ma l'inizio di un conflitto sanguinoso. Il disprezzo per l'Occidente e la sfida delle sanzioni non è una ricetta per il successo. Questa non è la Grande Guerra Patriottica - come i russi chiamano lo sforzo sovietico nella Seconda Guerra Mondiale - ed è dubbio che molti russi pensino che ne valga la pena, una volta che si rendono conto di questi costi esorbitanti.
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utin può canticchiare tutto il giorno la "1812 Overture" di Tchaikovsky, e i suoi groupies e apologeti in Occidente possono essere impressionati dalle sue buffonate astute e dalla sua pseudo sofisticazione. Ma ciò che è iniziato in Ucraina potrebbe anche rivelarsi la sua rovina. Prima di questo, la domanda rimane: Farà degenerare una guerra in Ucraina in una guerra più ampia in Europa”, conclude Pinkas.
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uesta è la vera posta in gioco. Che va molto al di là della martoriata Ucraina.
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O BELLA CIAO DI RAFFAELE FLAMINIO
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rovo grande difficoltà a scrivere ed a esprimermi avendo la guerra addosso. Il mio convinto pacifismo vacilla ora. La voce dei miei nonni e dei miei genitori, che la guerra l’hanno subita e anche combattuta, è più che mai viva nella mia mente e nella mia coscienza. Ascolto nel buio pesto che è dentro di me gli allarmi antiaerei, il sinistro rombo delle macchine di morte che vomitano fuoco sulle persone sconcertate ed incredule da tanta insensatezza. Mi rispondo alla domanda che i giornalisti rivolgono ai governanti di tutto il mondo: “Ma siamo in guerra secondo lei?” Io dico: “Sì, siamo in guerra. Non ho bisogno di armarmi per sentirmi in guerra”.
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uesto mostro famelico mi aggredisce già fisicamente da anni, dilaniando la mia carne, i miei pensieri, la mia coscienza. Il senso di vergogna di essere umano penetra velocemente nelle mie fibre vitali. La mia testa è un fungo atomico. Tutto il mio nucleare umano è già esploso. Ogni mia cellula, molecola, neurone e con loro i neutroni sono esplosi, vagano nell’atmosfera inquinata dall’assurdo. Il mio manifesto per la
pace è L’urlo di Edvard Munch. Le mie parole sono quelle di Giuseppe Ungaretti scritte nella poesia Soldati. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.” Provo, contemporaneamente, orrore e speranza. La PAURA non ha dimora, ora, dentro di me. Lei è l’agente nemico della ragione. La guerra è il braccio armato della stessa paura. E io come tutta l’umanità che subisce la distruzione non voglio aver Paura, come la mia amica Maria che da due mesi è tornata in Ucraina ben conscia di ciò che sarebbe accaduto. Me lo ripete da anni: “Vedrai che quel nazista di Putin ci farà del male, comincerà da noi. Voi non ci credete, ma noi lo sappiamo bene.”
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aria viveva in Italia da ventitre anni, ha lasciato un figlio piccolo a casa quando è partita. È venuta da noi con la valigia di cartone, dentro c’era la speranza di rialzarsi e in un angolo, di quella valigia, vi era un piccolissimo astuccio che conteneva un seme d’Amore che la mia amica voleva far germogliare. La casa di mia mamma, insieme a quella di tante altre mamme che Maria ha curato nel corso dei suoi ventitre anni, ha fatto da serra. Quel piccolo seme che ha portato con
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nelle scuole, palestre ed in altri luoghi pubblici, dormitori e punti di assistenza sanitari. I bambini, stato capace di fiorire e veicolare il suo le donne e gli anziani sono decine di migliaia profumo d’ Amore nelle nostre narici stravolti dalla fatica e dall’orrore vissuto. Gli uomini asfittiche. Ha ripristinato in quelle famiglie tornano indietro. Gli addii sono strazianti, i bimbi l’umanità, la comprensione, la solidarietà. Ha aggrappati ai loro papà si fanno forza ascoltando accolto e si è fatta accogliere. Ha generato un in silenzio e con gli occhi pieni di lacrime le parole miracolo. E io le sono debitore. Sono in contatto dei genitori. Tante donne che possono affidare i con lei quotidianamente. La sua città è posta nella bambini a parenti sono decise a tornare verso i parte ovest dell’Ucraina, a qualche centinaio di teatri di guerra. Le donne di questo Paese sono un chilometri dai confini di Polonia e Moldavia. La esempio commovente di che cosa rappresenti la prima domanda che le ho posto è perché non sia forza e la risolutezza. L’equilibrio dello spirito che sa tornata in Italia o a ricongiungersi con il figlio in dove pendere, necessariamente, in momenti come Asia. Mi ha risposto che non voleva, che quella è questo. Negli ultimi giorni i collegamenti internet casa sua, che li ci sono le fondamenta di ciò che ha sono poco stabili. I media del Paese, nonostante, costruito negli anni prima con il suo lavoro in Russia tutto riescono a trasmettere ed a informare e poi in Italia. Lei non si sente sconfitta dalla vita. l’opinione pubblica. L’esercito, per quanto mi Rimanere in Ucraina non le risulta solo un dovere, riferisce la mia amica, è invisibile, forse questo modo ma una necessità fisica impellente; le sue radici, di operare rientra in una modalità atta a preservare come quelle di una quercia, si rifiutano di essere la “normalità” di quei luoghi. Il timore che dalla sradicate, a costo dell’abbattimento. Interpreto le Bielorussia, posta al nord delle città occidentali, sue parole, tornate più vicine al suo idioma, come possa scattare l’altra invasione è sempre più presente. un’affermazione nobile d’identità umana e, solo in second’ordine, territoriale e nazionale. È vivo in lei, come nella sua gente, il senso di responsabilità Leopoli si sono insediati tutti gli ambasciatori e resistenza a favore di tutti noi, esseri umani, dell’ovest e questo può costituire un enorme soggiogati dalle lusinghe. Credo di capire che senza fattore di rischio per gli abitanti. Maria LIBERTA’ non c’è vita che valga la pena di essere mi conferma che i prigionieri russi sono trattati vissuta. Che nessuno può essere etichettato e con umanità e fratellanza, rifocillati e curati, gli spedito come un pacco, da un qualsiasi deposito nel è consentito chiamare i parenti in Russia per mondo, dove le merci hanno un valore temporaneo. comunicare il loro status di prigionieri; questi Loro non provano odio nei confronti dei Russi, la contatti, come dicevo, sono importanti e necessari loro “ira” è diretta a quei pochi individui che stanno per dare senso e forza ai dissidenti del pensiero compiendo questo scempio, e non escludono i unico che pure sono presenti in Russia. Mi dice, loro oligarchi, che dal racconto di Maria, si stanno anche, che le razioni di cibo assegnate alle truppe mettendo in salvo comodamente, conservando i russe dal loro stato maggiore, portano la data di loro patrimoni lucrati prima con l’aiuto di Putin e poi scadenza 2015. Mi conferma, inoltre, che le colonne con la corruzione che il presidente Zelens’kyj aveva di blindati russi spesso si fermano per mancanza di intenzione di combattere con il suo insediamento. carburante e che i cittadini ucraini fanno sempre più In quelle zone loro la guerra la stanno combattendo, spesso resistenza pacifica avvolti nelle loro bandiere. per il momento, inviando immagini ai loro amici, Oggi 4 marzo la nostra comunicazione si è limitata parenti, anche russi, esponendo i loro telefonini, ad un “buongiorno” su whatsapp. In queste due fuori dalle finestre quando si odono le sirene di settimane di guerra non nascondo la mia costante allarme, per cercare di incrinare lo scetticismo che voglia di avere notizie dirette, ma mi rendo conto dall’altra parte della cortina i russi e i bielorussi che la situazione è drammatica, e faccio prevalere ancora coltivano a causa della repressione feroce il mio pudore, aspettando una risposta scritta e che i dittatori e i loro sodali impongono ai cittadini, affermativa di Maria rispetto alle mie domande. che considerano cosa loro. Intanto raccolgo immagini di manifestazioni che si tengono nelle città italiane e le invio a lei tramite n quelle città vicine ai confini occidentali ancora i social media cercando di trasmetterle la nostra c’è una parvenza di normalità, i beni essenziali partecipazione alla causa della Libertà. ancora si trovano e la rete dei servizi pubblici funziona. Tutte le famiglie residenti si danno un gran da fare affinché gli sfollati dalle zone bombardate trovino ristoro e accoglienza. Sono stati allestiti
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WAR GAME DI ANTONELLA GOLINELLI
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d è la guerra. La vecchia, sporca, distruttiva, sanguinaria, crudele guerra. Quella di sempre, dagli albori dell'uomo.
Quella in cui si usano tutti i mezzi leciti, per quanto possa essere lecito sparare, e illeciti. Quella che gioca sempre al rialzo su obiettivi e danni. Quella in cui il più pulito dei contendenti ha la rogna.
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a non è una cronistoria della guerra che voglio scrivere, vorrei dedicarmi con un certo fervore all'uso disinvolto dell'informazione. Informazione non tanto delle parti direttamente coinvolte che ci sta tutta, abbiamo uno storico infinito di informazione e disinformazione, fa parte del gioco. Voglio dire la mia dell'avvenimento in sé.
sull'uso
interno
nostro
Ora, la spettacolarizzazione continua di un evento tragico di suo non fa proprio benissimo.
C P
erto è l'argomento del giorno, ci mancherebbe altro, ma non è che il cicaleccio continuo, il susseguirsi di collegamenti con gli inviati di guerra siano utili. Anzi.
remesso che veniamo da due anni di paracronaca della pandemia che ha provocato lo schierarsi in un campo o in un altro (cosa ci fosse da schierarsi non sono ancora riuscita a capirlo), pro o contro i vaccini, i green pass e tutta la compagnia, dando luce e voce a posizioni tuttora ridicole e aizzando gli animi verso una cattiveria inaccettabile, mi spiegate la necessità di mettere in atto lo stesso giochetto con la guerra? Qui si chiacchiera continuamente di Russia, Ucraina, Unione Europea, NATO, USA, Cina nell'eterno giochetto di attribuire colpe. Per fare questo si torna indietro nella storia all'infinito.
C
i si deve schierare, per forza. O da una parte o dall'altra. Di essere contro la guerra e basta non se ne parla. Fazioni in lotta dialettica
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sempre e per sempre. Ascolto attribuzioni di appartenenza che farebbero ridere se non fossero tragiche. Attribuzioni lanciate come insulti in base alla propria storia personale. Ad ascoltare certi personaggi in libera uscita declamatoria viene su un nervoso che inibisce. Ma cosa volete stare a disquisire degli errori del passato prossimo o remoto che sia.
I
l nocciolo della questione è sempre lo stesso: se qualcuno vuole muovere guerra per qualsiasi motivo un pretesto lo trova sempre.
Se non è una cosa è l'altra, per quanto irrilevante possa essere. Perché non è il motivo addotto la causa, il motivo è sempre la conquista. La buona, più espansionistica.
o
meno,
vecchia
politica
Il soldo, quello sì che fa la differenza.
N M
oi stiamo qua inermi ad ascoltare dotti e sapienti concionare su storia e geografia e ci scontriamo e ci azzuffiamo su appartenenze ed esclusivistiche visioni. Come se fosse importante. Noi che non contiamo niente. i sono alzata stamattina con la notizia che stavano bombardando e combattendo per una centrale nucleare, la più grande d'Europa. Mi si è gelato il sangue. Non c'è nemmeno bisogno di sganciare un ordigno con le centrali in mano. Basta una fuga di radiazioni. La gente muore, le strutture rimangono integre e noi continuiamo a discutere, a dividerci in fazioni, a scontrarci su posizioni spocchiose e irrilevanti senza nemmeno rendercene conto.
S
iamo in guerra tutti ma nessuno lo dice. Tuttalpiù si prospettano scenari. Uno più fosco dell'altro. Senza avere il fegato di dirlo apertamente che ci aspetta la guerra. A Samarcanda ci siamo già. Alla prossima sperando ci sia.
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L’INTERVISTA - LA TRANSIZIONE ECOLOGICA, FRA SFIDA E NECESSITÀ KATIUSCIA EROE, RESPONSABILE NAZIONALE DI LEGAMBIENTE PER L’ENERGIA, CI AIUTA A COMPRENDERE LE INCOGNITE E LE POTENZIALITÀ DELLA RIVOLUZIONE GREEN DI GIOVANNI AIELLO
A
d inizio anno Legambiente ha diffuso un suo report, dal duro titolo “Scacco matto alle rinnovabili”, in cui si mettono in luce numerose e profonde criticità che potrebbero ostacolare la costruzione dei nuovi impianti e con essa la tanto invocata transizione ecologica. Per comprendere più a fondo la fase energetica attuale, fra la drammatica guerra in Ucraina e l’emergenza climatica, noi de l’Unità Laburista abbiamo parlato con Katiuscia Eroe, curatrice del report e responsabile nazionale di Legambiente sui temi energetici.
K
atiuscia Eroe, prima di entrare nel merito del vostro recente dossier, è doveroso chiederle una battuta sulla crisi ucraina, che oltre ad essere una tragedia umanitaria rappresenta probabilmente uno spartiacque riguardo le strategie di approvvigionamento energetico. Come potrebbero cambiare i programmi sulla transizione?
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a situazione in Ucraina è davvero disastrosa per tutte le persone che adesso sono coinvolte direttamente. Dal punto di vista energetico queste crisi internazionali mettono in evidenza una volta di più quanto sia fragile la condizione dei paesi come l’Italia, che stipulano accordi per comprare gas fin oltre il 40% del loro fabbisogno. Al punto che le nostre riserve, da sole, sarebbero sufficienti appena per sette mesi. Ma anche sostituendo il fornitore risolveremmo la questione solo fino ad una successiva emergenza. Serve invece un nuovo modello energetico che ci liberi dai condizionamenti. E questa strada non solo è necessaria, ma è anche tecnicamente praticabile, a patto che non si frappongano ostacoli continui.
E
qui veniamo al tema del vostro report, che infatti ha evidenziato diversi nodi da sciogliere, fra iter di autorizzazione e
intoppi sistemici, che se non risolti potrebbero rappresentare uno “scacco matto” alle ambizioni di transizione energetica. Ma allora il Pnrr cosa rappresenta per Legambiente, un’occasione da non perdere o al contrario una potenziale trappola?
C
hiariamolo subito. Il Pnrr è una grande opportunità, perché sono ingenti le risorse stanziate per l’Italia. Ma allo stesso tempo già sappiamo che non potremo mai completare la riduzione energetica e raggiungere gli obiettivi climatici esclusivamente nell’ambito del piano nazionale. Questa sarà una parte, sicuramente importante, di un percorso più lungo, in cui saranno aspetti decisivi sia la capacità di spesa che la qualità effettiva dei progetti. A questo proposito anche le amministrazioni locali dovranno fare la loro parte, evitando di rispolverare vecchie proposte, ma offrendo un contributo innovativo reale in termini di conoscenza del territorio.
E
ppure il dossier di Legambiente, fra le varie problematiche, fa esplicito riferimento proprio alla difficoltà di coordinamento fra i diversi livelli di responsabilità amministrativa, per via di stratificazioni normative e lentezze burocratiche. Immaginate già una strategia di razionalizzazione per superare queste resistenze? Le complessità effettivamente sono tante, sia a livello centrale che locale. Prima di tutto andrebbe rivista la normativa nazionale per la realizzazione degli impianti che oramai risale al 2010 (si tratta del Decreto Interministeriale emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell’Ambiente, ndr), periodo in cui i parametri di sostenibilità erano profondamente diversi. Oggi però la maggiore esperienza e la migliore capacità di progettazione richiedono regole aggiornate, per poter costruire in tempi ridotti degli impianti che a noi piace definire “fatti bene”, ovvero
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 efficienti e ben integrati nel territorio, e dotare così l’Italia degli 8 GW di energia rinnovabile in più all’anno che ci occorrono, in linea con le indicazioni del green deal. Quanto invece alle normative degli enti locali vanno fatte considerazioni ancora diverse.
E
infatti voi raccogliete nel dossier anche 20 casi emblematici di “blocchi alle rinnovabili”, verificatisi su tutto il territorio italiano, per via di un quadro regolatorio fra Regioni, Province e Comuni, che viene definito disomogeneo. Come si può intervenire? Il contenuto di un nuovo testo unico, di cui il report sollecita apertamente la stesura quanto prima, oltre che degli impianti dovrà preoccuparsi anche di stabilire specifiche competenze per i vari organi e tempi certi. Questo eviterebbe numerosi conflitti, ad esempio con riferimento all’idoneità delle aree, tali da rallentare o impedire la realizzazione delle strutture (gli oppositori vengono spesso distinti fra i cosiddetti “NIMBY” - acronimo di not in my back yard, non nel mio cortile - e i “NIMTO” - che invece sta per not in my terms of office, non durante il mio mandato elettorale, ndr). Ciò non vuol dire che le autorità locali, così come i comitati, non debbano partecipare ai tavoli di trattativa. Al contrario, dovranno farlo sempre di più e con crescente consapevolezza. Ma andranno scongiurate quelle situazioni di stallo che poi determinano un clima
di sfiducia fra i cittadini e anche fra gli investitori, vanificando preziose opportunità di crescita.
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tal riguardo qualche voce maligna ha finanche sostenuto che, dato il vuoto normativo interno, finiremo per eseguire gli “ordini” che ci giungono dalla UE, lasciando fuori dalle decisioni i territori e le comunità. Corriamo davvero questo rischio? Intendiamoci. Certamente esiste la possibilità che l’Italia possa non spendere adeguatamente tutte le risorse, come purtroppo è già accaduto in passato. Ma è altrettanto vero che quella attuale è una situazione completamente nuova, in cui il paese potrà mettere in mostra la sua reale capacità di progettare, che noi sappiamo essere di grande livello. Dunque pensare che le operazioni possano essere dirette solo dall’Europa, senza una nostra concreta e decisiva partecipazione, è pura fantascienza. Basti pensare che solo pochi giorni fa Elettricità Futura (la principale associazione italiana del mondo dell’elettrico, ndr) ha emesso un comunicato con il quale spiega che le imprese italiane sono in grado di dotare l’Italia di 60 GW di energie rinnovabili già nei prossimi tre anni, ovvero in anticipo sui tempi dall’agenda 2030.
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eniamo al caro bollette. L’emergenza energetica sta infatti generando enormi preoccupazioni da un lato, ed enormi speculazioni e guadagni supplementari dall’altro (quest’anno, solo in Italia, la vendita del gas ha già fruttato oltre 4 miliardi di euro in più, che secondo le stime potrebbero diventare 14 nel 2022). Eppure, nella manovra di aiuti da 7 miliardi voluta dal governo, la tanto contestata mini tassazione degli extra profitti riguarda soltanto gli impianti che producono da fonti rinnovabili. Come si spiega questa scelta contraddittoria che sembra punire chi guarda più avanti? Bisognerebbe scegliere da che parte stare. Il caro bollette, come stiamo bruscamente apprendendo in questi giorni dalla guerra in Ucraina, dipende da fattori geopolitici, per cui è assolutamente insensato pensare di ridurre i costi ostinandosi nella direzione del gas e della cattura della CO2. Una scelta che non danneggia solo il comparto delle energie pulite, ma anche quei grandi gruppi tradizionalmente legati al fossile, come ad esempio Enel o Erg, che però hanno investito già da tempo nella transizione verso altre fonti, senza attendere interventi governativi come il capacity market (strumento adottato dal governo nel 2019 per evitare che gli impianti termoelettrici risentissero troppo dell’abbassamento dei prezzi dell’energia dovuto allo sviluppo delle rinnovabili, ndr).
A
nche per questa ragione sarà importante d’ora in poi sorvegliare il processo di transizione e Legambiente rappresenta storicamente un attore importante in tal senso. Come pensate di attuare in concreto questa attività di presidio e monitoraggio? Noi saremo vigili senz’altro. Seguiremo e valuteremo ogni progetto che verrà presentato, così come facciamo da sempre per tutte le nuove tecnologie. Siamo pronti ad attivare una sorta di osservatorio interno. I nostri circoli ci offrono una potenza e una capacità di controllo sui territori sicuramente importante, grazie alle quali interverremo tutte le volte in cui riterremo le iniziative non all’altezza degli obiettivi da raggiungere. E anzi svolgeremo un’attività di promozione per incoraggiare la costruzione di una rete energetica diffusa, fatta di impianti puliti e accumulatori, che a pieno regime coprirà gran parte dei nostri bisogni, come già accade in vari comuni italiani con migliaia di abitanti.
S
u quali punti di forza può contare il nostro territorio per perseguire questi obiettivi di sostenibilità?
Gli studi in proposito parlano molto chiaro. L’Italia è un paese ideale per implementare il solare fotovoltaico e l’eolico, dai quali arriverà il maggiore contributo energetico, ovvero circa 80% dell’energia rinnovabile che dovremo complessivamente produrre per rispettare i parametri indicati dall’UE. Ma esistono anche altre grandissime potenzialità, quali la geotermia, l’idroelettrico e le bioenergie, che integreranno la disponibilità e andranno chiaramente sviluppate nelle aree più adeguate. Se ad esempio parliamo di biomasse, saranno quelle montane e boschive.
L
a transizione ecologica però non riguarda soltanto l’italia. Appena pochi giorni fa gli esperti dell’ONU hanno lanciato l’ennesimo allarme sugli effetti irreversibili della crisi climatica nel mondo, parlando anche di inazione "criminale" dei leader. Legambiente ritiene davvero che sia possibile vincere questa battaglia? Noi siamo ottimisti per definizione. Siamo consapevoli che le realtà del fossile hanno ad oggi poteri e mezzi immensamente maggiori dei nostri. E la stessa Unione Europea manda segnali scoraggianti, quando ad esempio sceglie di inserire all’interno della tassonomia verde anche ‘gas metano’ e ‘nucleare’, quali energie ambientalmente sostenibili. Ma risulta oramai evidente a tutti che la sola strada praticabile è quella dell’energia pulita, il cui uso ridurrà gli impatti sul clima e presumibilmente anche le gravi tensioni fra i paesi su questi temi. Quella del mondo fossile quindi è una partita già persa. Ma quanto noi saremo bravi e veloci nel fargliela perdere è una questione ancora tutta in gioco. Katiuscia Eroe è membro della Segreteria nazionale e responsabile energia di Legambiente. Esperta nelle tematiche energetiche e membro del consiglio nazionale di Legambiente dal 2011. Incontra l'Associazione nel 2003 grazie al Servizio Civile Volontario Nazionale dove partecipa alle attività dell'Ufficio Scientifico e dell'Ufficio Campagne sui temi dell'inquinamento atmosferico, elettromagnetico e delle acque di balneazione partecipando alla Campagna Goletta Verde. Prosegue la sua collaborazione con Legambiente, prima nell'Ufficio Scientifico, occupandosi degli stessi temi, e dal 2006 nell'Ufficio Energia e Clima. Qualificata in materia di energie rinnovabili e fossili, efficienza energetica e risparmio.
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PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA. ANNESSI E CONNESSI. DI ANTONELLA GOLINELLI
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Da personaggi poco raccomandabili in giro per le istituzioni? Da azioni potenzialmente pericolose per la nazione e le istituzioni stesse?
Messo in sicurezza da cosa esattamente?
Non mi è chiaro il significato profondo di questa affermazione.
nfine ce l'abbiamo fatta. Abbiamo messo in sicurezza la Repubblica. Matterella e Draghi restano al loro posto e Amato arriva alla presidenza della Corte costituzionale. E va bene. Ma solo l'espressione “messo in sicurezza” fa pensare.
Da avventurismi disinvolti?
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omunque, dopo un mese appesi all'improbabile candidatura di Berlusconi ci siamo ritrovati d'un tratto con Salvini iperattivo al comando di una ipotetica squadra pronta a elaborare nomi “loro” e impegnatissimo ad intrecciare contatti con tutti. Risultati zero scarabocchio. Io però una cosa la vorrei capire: con quale principio, quali numeri la destra, in ogni sua espressione, si è arrogata il diritto di proclamare che “stavolta tocca a noi esprimere il presidente”. Non è che dirlo sia sufficiente, anzi. L'unico motivo che mi viene in mente è che avessero la necessità di mantenere per aria il polverone e di riuscire a comprare votanti in libera uscita con l'uso degli scoiattoli. Si vede che gli scoiattoli hanno unghie e denti ormai inservibili perché è andato tutto a monte. Oppure i votanti in libera uscita non erano disposti ad essere accomunati a responsabili di altre stagioni. Chi può dirlo.
il punto della magistratura che blocca la vita democratica di un partito su esposto di ricorrenti fa un po' paura. Almeno a me, non so a voi. Il tutto per una votazione che ha avuto luogo su un'altra piattaforma e con il limite dei sei mesi di iscrizione? Siamo sicuri?
Un giro di giostra.
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onseguenze immediate: l'esplosione, letteralmente, del centro destra. Si sono polverizzati. È pur vero che riusciranno ad aggregarsi, forse, in autunno per le politiche seppellendo le rivalità. È anche vero che a forza di far così sono arrivati alle tele. La pratica di coalizzarsi in vista di appuntamenti elettorali sospendendo le ostilità interne ha oramai creato tanto di quel risentimento che non potranno continuare molto. Se davvero uscirà una legge elettorale proporzionale sarà difficile non caratterizzarsi e rivolgersi ad elettorati diversi.
Il tutto contro un uomo ed eventualmente una filiera che si è trovato di fronte alla pandemia e l'ha affrontata a mani nude ed è riuscito, non da solo ovviamente, a far cambiare idea all'Europa portando a casa il Recovery fund. Ma siete sicuri? Cos'è che non va bene nell'operato più che dignitoso di quest'uomo? Qui il sospetto è che non vada bene il fatto che dalla rivolta pura e semplice perenne si passi ad una struttura consolidata in grado produrre risultati. A chi nuoce? Chi si sente minacciato dal crescere di un gruppo dignitoso? Ma passiamo ad altre dolenti note.
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La ipotetica creazione di un Partito Repubblicano all'americana sembra, appunto, un'americanata da tempi disperati. vero che Salvini e anche la Meloni li ha creati Berlusconi, è anche vero che crearne altri non sarà poi così difficile per lui nonostante l'età. Non mi convince la loro posizione temporanea e qui siamo abituati a repentini cambiamenti di opinione. Vedremo. Abbiamo anche un grande centro. Caspita! Anche qui un ipotetico aggregato di singoli o poco più che
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i chiedo dove vogliano andare questi. Anche cosa vogliano fare. Non sono sicura abbiano obiettivi effettivi al di là della loro personale sopravvivenza. La simil coalizione di sinistra ha puntato sulle riconferme e ce l'ha fatta. Condivisibile o meno la scelta, sono riusciti a concordare una permanenza, anzi due. In silenzio con poca agitazione formale. Il movimento in qualche modo ha tenuto fede agli impegni e qui è caduta la tegola.In pochi giorni di tegole ne son cadute più di una.Prima le dimissioni di Di Maio da garante, poi la sentenza contro Conte e l'assetto delle cariche di partito. A breve distanza la richiesta di rinvio a giudizio di Renzi e giglio magico. Ma andiamo per ordine:
In ogni caso alla fine della fiera è andato tutto in malora, ogni azione proposta è andata fallita, ognuno ha bruciato nomi validi o meno e siamo andati alla riconferma di Mattarella.
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aspira ad occupare il centro. Calenda non pare sia coinvolto e ha già fatto sapere che al centro c'è lui e non se ne parla.
ell’udienza fissata per il prossimo aprile, il giglio magico potrebbe essere rinviato a giudizio per la Fondazione Open. Se ho capito bene l’indagine riguarderebbe il finanziamento occulto a un partito. Che già di per sé non è un gran bel fatto. Ora, i finanziatori di questa fondazione sono rimasti in gran parte coperti invocando la privacy; i bilanci sono quello che sono; in tanti chiedevamo a gran voce la trasparenza di queste operazioni. Che il segretario di un partito incassasse denaro per la sua corrente mentre distruggeva economicamente e politicamente il partito di
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 cui era segretario (spese folli per il referendum, dipendenti in cassa integrazione a 0 ore) dirottando tutte o gran parte delle risorse raccolte per il rafforzamento della sua posizione fa ridere.
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e leopolde faraoniche, i viaggi, i tentativi di imporre privati alla gestione dei dati dei servizi sono tutti fatterelli un po' oscuri. Diciamo che possono essere velati dall'ombra del sospetto. Si arriva al dunque e c'è la richiesta di rinvio a giudizio. E lui cosa fa? Denuncia i suoi giudici, non ci si crede. Dice che gli hanno scardinato la vita. Non fatico a crederlo, ma non significa che sia legittimo compiere un'azione mai vista. Proprio proprio si possono ricusare i giudici, ma denunciarli? Siamo quindi in una situazione di grande confusione, ottima per cogliere occasioni per chi sa farlo.
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on per noi poveretti però. Qui tra la pandemia che si conclude per decreto, le bollette che ci tagliano a mezzo, l'ipotesi di guerra due passi più in là. Siamo circondati. Ma sul serio dovremmo preoccuparci delle vicende personali di qualche personaggio? Per qualche giorno ho ascoltato il tentativo di svolta presidenzialista o semipresidenzialista con relativa modifica costituzionale. Mi sono chiesta come mai i giocatori scarsi chiedono sempre di cambiare le regole mentre sarebbe sufficiente si ritirassero e cambiassero hobby per far vivere tutti in maniera più serena. Ma andate, brigate, fatevi una vita. Che non ci coinvolga. A presto.
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FACITE AMMUINA! OVVERO: FATE CONFUSIONE! DI RAFFAELE FLAMINIO
L’è tutto da rifare” diceva Gino Bartali, indiscusso, campione di ciclismo degli 30/40 del 900. Oppure: “A fare e disfare non si perde mai tempo” recita un vecchio proverbio. “Chi si dà da fare ( chi fa e disfa) non perde mai tempo”, un elogio a chi, con pazienza, si impegna sempre nella vita per portare a termine un compito nel migliore dei modi, sfruttando al meglio ogni momento della giornata. Se la prima interpretazione risulta essere in positivo, esaltando le qualità della
determinazione e della pazienza, una seconda, invece, mira all’indecisione e all’irrisolutezza di chi perde tempo con azioni inutili rispetto al fine da raggiungere; In napoletano “Chi fraveca e sfraveca nun perde maje tiemp” in questo caso è un ironico invito a darsi da fare, rivolto a chi non riesce mai a portare a termine un compito, perdendo costantemente tempo.
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uesto è il caso della scuola in Italia, attraversata da mille riforme inconcludenti che invece di favorire gli studenti ne stanno corrompendo lo spirito e la volontà, costretti quest’ultimi, per esasperazione, a inondare le piazze per essere inascoltati e al caso pure manganellati; “cornuti e mazziati”. Nel nuovo millennio vede la luce la legge quadro 10 febbraio 2000 n. 30 sul riordino dei cicli dell'istruzione superiore, e dalla legge 10 dicembre 1997, n. 425 che modificò la disciplina dell'esame di maturità in Italia. La riforma introduceva l’autonomia scolastica portando l’obbligo scolastico a quindici anni, inoltre doveva contenere il principio della formazione continua, introdotto dalle autorità europee. La didattica era calibrata, secondo lo spirito della riforma, ad acquisire abilità/competenze professionali atte, al sapere ed al saper fare, con un’attenzione particolare ai territori che attraverso i dirigenti scolastici e le istituzioni locali organizzassero e facilitassero l’immissione degli studenti nel mondo del lavoro, riorganizzando anche i cicli scolastici.
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l 1997 aveva dato i natali alla riforma delle autonomie territoriali con la modifica costituzionale del titolo V della Costituzione, da ciò il nesso della riforma Berlinguer con le autonomie locali. La contraddizione tra la legge 30/2000 ed il nuovo Titolo V del 2001 lascia in sospeso la responsabilità regionale in materia di formazione. La legge Berlinguer, infatti, non poteva assumere la modifica Costituzionale semplicemente per una discrasia temporale, essendo anteriore alla modifica del Titolo V. Nel 2003 irrompe come Ministro dell’istruzione la sig.ra Letizia Moratti che abroga la precedente riforma, detta Berlinguer, e decide con tutto il centro destra al Governo, di ridimensionare l’istruzione statale ritenuta troppo invasiva per le libertà di scelta delle famiglie e della libera concorrenza tra scuola pubblica e privata. L’idea focalizzante del Ministro è il costo della scuola pubblica troppo alto, ci sono troppi docenti e gli orari settimanali scolastici sono troppo lunghi. Le risorse vanno assegnate ai progetti più innovativi, al tempo prolungato al tempo pieno. Intanto la stessa riforma sottrae allo Stato l’indirizzo didattico tecnico professionale, affidandolo alle Regioni, mentre i Licei restano di competenza Statale.
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osì come per la sanità si procede con la scuola. Il modello da universalistico e omnicomprensivo si trasforma in domandista, basato sulle richieste del mondo nel lavoro, interattivo fondato sulla, presunta, capacità di apprendere e personalista cioè costruito sulla
persona, mettendo la struttura al servizio del singolo che deve godere della riacquisita libertà in nome della concorrenza nell’istruzione. Viene introdotta per gli istituti tecnici professionali l’alternanza scuola- lavoro, nonostante queste premesse, il provvedimento trova l’opposizione fiera della Confindustria che teme la marginalizzazione dell’istruzione tecnico professionale considerata determinante per i processi produttivi.
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’introduzione delle verifiche INValSI determina il disappunto dei docenti e degli studenti. “l’INValSI rappresenta un sistema di valutazione che si colloca all’interno di un quadro di riferimento europeo,che vede la valutazione nelle sue differenti declinazioni come uno degli strumenti necessari per il miglioramento del sistema scolastico. Test di valutazione simili a quelli introdotti in Italia vengono effettuati anche nella maggior parte degli altri paesi europei, dove tuttavia esiste una cultura della valutazione storicamente e scientificamente determinata, supportata in larga parte da investimenti significativi. Nel nostro paese, invece, i test fotografano una situazione e un quadro di disinvestimento pluriennale sulla scuola e sull’istruzione e soprattutto un quadro manchevole di una pratica valutativa significativa dal punto di vista culturale e scientifico, ancor meno economico. Si ha l’impressione che in Italia si pratichi così un’operazione di maquillage in chiave europeista. Non meno importante è il fatto che queste prove non siano adeguate ai diversi livelli che si incontrano nelle varie parti del paese: troviamo l’eccellenza assoluta di Bolzano per poi incontrare risultati non proprio brillanti in molte aree del sud. Il sistema dell’istruzione professionale prevedeva un percorso diverso in base alle scelte del singolo alunno, e la durata del percorso non era stabilita fin dall’inizio, ma graduata nel corso degli anni. Si stabiliva inoltre un sistema di alternanza scuola-lavoro, con la caratteristica di prevedere, dopo i quindici anni, delle esperienze per l’alunno da svolgere nel mondo del lavoro, programmati dalla scuola e valutati come un percorso didattico.
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l termine dei primi tre anni di istruzione professionale l’alunno avrebbe conseguito un diploma di qualifica. Se l’alunno non avesse avuto intenzione di proseguire gli studi universitari avrebbe potuto frequentare un quarto anno, conseguendo così la relativa qualifica quadriennale. Qualora, invece, volesse accedere all’Università, avrebbe potuto frequentare un quinto anno e sostenere l’Esame di Stato con lo stesso valore di quello del sistema dei licei.” (Fonte Pandora rivista
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19/1/2006). La scuola riassume il sistema classista previsto dalla riforma Gentile e le lacune fornite dalla Riforma del titolo V della costituzione.
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el 2006 le redini dell’istruzione sono prese dal Ministro Fioroni che blocca la riforma Moratti, egli stesso non stila una nuova riforma ma propone correttivi a quanto previsto dal precedente ministro, ovvero i diplomi di fine ciclo scolastico li rilascia lo Stato e non le Regioni che rilasciano solo diplomi di qualifica. Il 2008 il duo Tremonti Gelmini afferma che con la cultura non si mangia e danno origine alla legge 133/2008 che taglia il numero del personale, taglia il numero di cattedre, taglia il tempo scuola, i concorsi non sono più banditi con regolarità secondo efficienza. Quest’ultima riforma che taglia tutto quello che concerne la scuola e l’istruzione in generale, produce un caos sul reclutamento degli insegnanti che ancora oggi produce guasti e distruzione del sistema dell’istruzione nazionale. La legge 107/215 LA BUONA SCUOLA annunciata e varata dal Governo Renzi cerca di porre rimedio nel reclutamento dei docenti attraverso lo scorrimento delle graduatorie e d altro, però, allo stesso tempo aumenta a dismisura il potere dei dirigenti scolastici e non modifica i programmi didattici come auspicato dai docenti e dagli studenti, non alza l’obbligo scolastico a diciotto anni.
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’alternanza scuola-lavoro prevede quattrocento ore di tirocini vari, poi ridotti come vedremo, e questo tempo viene sottratto alla didattica tradizionale. Ogni dirigente scolastico ha a disposizione un plafond di risorse economiche; per aver accesso ad esse deve costruire i P.C.T.O “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”, che prevede un vincolo di un monte ore minimo di 90 ore nel triennio finale per i licei, 150 per gli istituti tecnici e 210 per gli istituti professionali. Questa fin qui la storia della scuola italiana, un po’ noiosa ma indispensabile per la comprensione ai profani del mestiere.
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e riforme sono tutte a debito della scuola, sottraggono docenti, personale amministrativo, peggiorano la qualità dei programmi, incentivano le disuguaglianze, acuiscono le difficoltà territoriali, generano una nuova corporazione, quella dei dirigenti scolastici a cui manca solo lo “Ius primeae noctis”. Nel generale “Facite Ammuina” gli studenti sono scomparsi, o peggio diventano merce di scambio per la formazione delle platee scolastiche, per la costruzione delle attività extra curriculari, per
drenare fondi messi a disposizione dell’Unione Europea. Tutti gli anni alla ripresa delle attività scolastiche, le piante organiche sono insufficienti per numero di docenti, le cattedre restano vuote e i poveri studenti sempre più disorientanti corrono il serio rischio di assumere l’unica possibile qualifica di mano d’opera gratuita, senza arte e ne parte. L’alternanza scuola lavoro trova estimatori e detrattori come è normale che sia, quello che non è normale e che la stragrande maggioranza degli studenti la ritiene pessima e pericolosa per come è costruita e concepita. Il tessuto industriale italiano è costituito da un pulviscolo di aziende familiari piccole e piccolissime in perenne crisi patrimoniale e a corto di investimenti, questi sono gli interlocutori dei dirigenti scolastici che progettano i tirocini e ancora qual è la conoscenza di questi ultimi e dei consigli di classe e d’istituto rispetto alla delicata materia? L’impressione che se ne ricava è la solita: fare, tanto per fare e apparire.
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’autonomia scolastica premia l’autoritarismo non la socialità e la coralità degli intenti, ne sia prova la pandemia che ha mostrato la necessità di tenere la scuola aperta a tutti i costi. L’opinione degli studenti non è richiesta nel percorso decisionale e democratico dei progetti, però i ragazzi devono essere in grado dai quattordici anni in poi di scegliere quale orientamento debbano assumere per il loro futuro. Le istituzioni non accompagnano non costruiscono, sono ancora riverse sui postulati delle riforme: Moratti, Gelmini, Renzi e cioè indirizzate al sistema mercantilistico che prevede lo sfruttamento perché poi il mercato correggerà. Sappiamo, ormai, tutti che dopo la pandemia non si torna più indietro, il mondo è cambiato nonostante tutto. Anche il festival di San Remo ha mostrato i cambiamenti che sono in atto nel Paese reale in particolare ha mostrato, i nostri giovani che hanno molto da dire e tanto da mostrare, capaci di apprendere dal passato, vivendo un presente liquido per costruire un futuro solido. se la Repubblica rimuovesse gli ostacoli e non li bastonasse, perché incapace di capirli, ciò renderebbe visibile quello che accade nel suo ventre: generare vita.
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DOVE SONO FINITI? DI VINCENZO CROLLA
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E le Erinni? Chi ha chiuso le loro bocche spalancate a lanciare urla terribili verso i nemici della famiglia e, armate di carboni e tizzoni ardenti, vendicare ogni torto subito? SPARITI!
Non si leggono più prime pagine che a titoli cubitali artisticamente stampati in rosso e nero scagliano editoriali di fuoco ogni volta che la magistratura, secondo loro, armata di codici, regolamenti e normative, invade il terreno di esclusiva pertinenza della politica.
Sembrano spariti dalla scena: come morti.
IMPROVVISAMENTE
ove sono finiti gli innumeri esegeti della democrazia senza aggettivi perfetta struttura “tripartita” nella suddivisione dei poteri?
Che fine hanno fatto le gelose vestali custodi del fuoco sacro e della verginità del sistema democratico?
on si sentono più compassionevoli arzigogoli orchestrati in punta di diritto da illustrissimi filosofi sulla necessità di ben definire il perimetro del gioco democratico e di tutelarne ciascun ambito.
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 quello sterminato coro del Nabucco che un giorno sì e l’altro pure occupava intera la scena con corali poco armoniche ma dai toni elevatissimi contro la pre/potenza della magistratura, sembra essersi tacitato; addirittura sparito: fuori dalla scena. Osservate bene però, non lasciatevi ingannare: sono tutti lì. Furtivi scambiano strizzatine d’occhio, si danno di gomito, scambiano sorrisi compiaciuti e reciproche – e complici – pacche sulle spalle. Sono soddisfatti! FINALMENTE quello strano animale, quella sorta di ircocervo comparso qualche anno fa sulla scena politica sembra star deflagrando: il gregge sembra disorientato e scomposto; il suo vanesio capobranco, inerme profeta disarmato, è pronto a far le valigie. Finalmente il sistema politico si avvia a essere depurato di ogni scoria anomala. “Bisogna che tutto cambi affinché tutto resti uguale a sé stesso” proclamava il Principe di Salina e a questo mai tramontato assioma sembra ri/orientarsi il Belpaese. FUOR DI METAFORA
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o, vecchio comunista cresciuto tra fumose sezioni, severe scuole di partito, e vecchi compagni mai domi, non sono grillino come ogni tanto maliziosamente qualcuno sembra voler alludere; sono un comunista: un vecchio comunista italiano che per decenni si è battuto - e ha sbattuto la testa - contro la palude centrista; quel sistema copernicano che vedeva la DC interpretare il Sole e gli altri, tutti gli altri, ruotare intorno ad essa con peso specifico poco, o per niente, significativo. Un sistema asfittico, unico in Europa, che escludeva ogni possibile ricambio nel governo del paese: la cosiddetta “conventio ad exludendum” immaginata per tenere a bada il PCI; per tenerlo lontano, sulla scena, dal ruolo di protagonista e affidargli al massimo quello di comprimario nei panni dell’antagonista cattivo dell’eroe buono. IL PCI NON C’E’ PIU’ è finito da oltre 30 anni quando noi eravamo ancora giovani e nel pieno della vigoria fisica. Il PCI non c’è più ma resta “il principio escludente”. Nel nostro paese, ogni volta che all’orizzonte appare la possibilità di una svolta che ponga fine al
monopolio centrista e avvii un sistema di effettiva alternanza tra due schieramenti – uno conservatore e l’altro progressista – come avviene in ogni matura democrazia occidentale, si scatena l’inferno. Tutte le volte che quel meccanismo corporativo (e complice) tra un’impresa assistita e una politica ancillare eternamente in cerca di protezioni e manleve rischia di rompersi, una generale “chiamata alle armi” – gazzettieri televisivi e di carta stampata, attempati filosofi della politica fuori corso, prefiche che piangono in anticipo la morte della democrazia – mette in piedi un esercito agguerrito con il mandato di far fallire ogni ipotesi di cambiamento nella direzione di una democrazia compiuta. IL M5S NON È LA MIA CASA il suo ambiente, la tinteggiatura delle sue pareti, il suo arredo non è il mio ambiente.
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o abito una catapecchia sgangherata dentro la quale però convivo con persone, poche, di cui ho stima e verso le quali esprimo considerazione e rispetto. Si tratta, come me, di vecchi comunisti rigorosamente italiani. Dei grillini in sé dunque, culturalmente e politicamente, del loro destino, non mi interesserebbe granché se non fossero, al momento, un pezzo, l’unico possibile date le forze in campo, di un eventuale schieramento progressista da contrapporre a un altro conservatore. LA STORIA o meglio la cronaca recente degli ultimi anni sembrava procedere in quella direzione fino a che… Fino a che non sono arrivati i soldi del PNRR e non si sono scatenati gli eterni famelici appetiti di sempre. Fino a quando, nel tentativo di mettere la sordina agli strepiti e allo sgomitare dei soliti noti per occupare il miglior posto a tavola, Mattarella non ha trovato di meglio che mettere tutti d’accordo inventandosi questa sorta spuria di “governo di unità nazionale”. Da quel momento, come l’Araba Fenice”, è risorta dalle proprie ceneri l’ipotesi centrista che sembrava essere morta una volta per sempre. LENTAMENTE sembrano marciare nella stessa direzione il partito di Berlusconi, i vari cespuglietti centristi (Renzi, Toti, Calenda, Bonino ecc.), una parte significativa della Lega sotto l’ala di Giorgetti e, perché no?, una parte consistente del PD e del M5S mai depurate della presenza (apparentemente melliflua
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 ma sostanzialmente democristianeria.
determinata)
dell’antica
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utti insieme appassionatamente per marginalizzare, a destra e a manca, le ali più “rumorose” e consentire all’officiante di distribuire l’eucarestia in un ambiente assopito dagli effluvi dell’incenso. Ma se a destra la Meloni si è marginalizzata sua sponte sperando in una futura rendita di posizione, dall’altro lato il “tallone d’Achille” di un possibile “rassemblement” progressista era senza dubbio il M5S conteso tra un’aspirazione alla radicalità di Conte e il tre bottoni democristiano di Di Maio. Il quale ultimo, avendo perso le prime riprese, ha attivato tutti i possibili partners (politici, economici e culturali) per ottenere una rapida rivincita e diventare, come sta avvenendo, un eroe; un padre della patria quando fino a ieri era l’inutile pupazzetto di peluche inutile a sé stesso e al paese. PER CONCLUDERE si difende il M5S in quanto tale?
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ssolutamente no! Quel che si difende è un pezzo rilevante di una possibile coalizione progressista; un alleato importante per peso specifico elettorale e per i ceti che rappresenta e senza il quale inevitabilmente il PD è destinato a confluire nella palude centrista di sempre trascinando con sé ogni speranza di un assetto politico-istituzionale normale. In linea con ogni democrazia degna del nome.
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LE REGOLE SI CAMBIANO O CI CAMBIANO? DI ROSANNA MARINA RUSSO
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a domanda è questa: è la società che si trasforma e cambia di conseguenza le regole o sono le regole scelte che cambiano la società? Non so se si possa rispondere in maniera certa, ma una piccola riflessione credo possa essere fatta. Immaginiamo com’era una piccola comunità umana agli albori. Di certo prevedeva pochi ma funzionali precetti di convivenza e sicuramente non erano all’orizzonte schemi culturali a cui aderire che, tuttavia, in forma silente venivano costruiti. E, in maniera esemplificativa, pensiamo alla pratica del duello, accettata e comune, di dirimere le questioni e ai tempi e ai modi in cui poi è decaduta. Quel “singolar tenzone” utilizzato per secoli come “processo per combattimento”, è stato prima riconosciuto e poi contrastato da leggi precise che, nel tempo, hanno cercato di far scomparire quell’usanza. Diciamo che il duello è uno degli esempi più clamorosi di come il piano culturale e quello legislativo possono essere slegati tra loro, intersecarsi talvolta o camminare insieme. E, anche, di come le regole possono lasciarci indifferenti o essere via via costruite dalle tradizioni, senza tener conto della norma ufficiale.
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bbene, il duello è continuato indisturbato fino alla fine del XIX secolo, mentre le leggi cercavano inutilmente di fermarne la pratica. Finalmente, nel secolo XX, questa era quasi scomparsa. E proprio allora la Corte Suprema (Corte di Cassazione, V Sezione, 24 Aprile 1987) si occupò del duello svolto “nell’osservanza delle consuetudini cavalleresche”differenziandolo da “una colluttazione senza armi, svincolata da qualsiasi regola, condotta senza esclusione di colpi e in modo selvaggio e bestiale”. E nel 1999, per quanto possa sembrare anacronistico, dal Codice furono nuovamente depenalizzati i reati “cavallereschi”.
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utto ciò dimostra che il legislatore può anche cercare di proporre un cambio di passo culturale, ma si trova spesso a inseguire il dato di fatto, a riconoscere le trasformazioni in atto, a certificarle disciplinandole. Insomma, si trova a incidere talvolta profondamente, altre affatto.
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gni processo di sviluppo sociale e culturale può, però, incontrare sulla sua strada situazioni o eventi particolarissimi che provocano smottamenti, frenate o accelerazioni. Eventi, si intende, straordinari in un senso o nell’altro. Come una guerra e poi la pace. Un terremoto e poi la ricostruzione. Come una pandemia. Tutti abbiamo potuto constatare che quest’ultima può spostare l’asse di tutte le conoscenze e di tutte le sicurezze sociali. Arriva in maniera così inaspettata
e misteriosa che le regole di comportamento proposte, per quanto dolorose e difficili, vengono, nella maggior parte dei casi, accettate. Perché, sempre nella maggior parte dei casi, si comprende bene l’impossibilità di combattere da soli contro un nemico totalizzante come una malattia globale. Ma poi la pandemia finisce, perché nessuna pandemia dura in eterno, e quei dettami decadono. Ma niente rimane immutato, soprattutto il sentire individuale e quello collettivo. E si stenta a ritornare alla modalità “rilassata” prepandemica. Rimaniamo sospesi come equilibristi sul filo. E succede qualcosa di impensabile: temiamo che quelle norme siano state tolte prematuramente, restiamo vittime di una specie di sindrome di Stoccolma. Ci dicono che siamo liberi, ma noi non ci sentiamo tali e, anzi, quasi non vogliamo esserlo. Ci sentiamo scoperti senza quelle abitudini che ci avevano reso, per necessità, non liberi. A mia memoria, è la prima volta che succede una cosa del genere.
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a, a quanto si legge, questo sta avvenendo soprattutto qui in Italia. Forse le nostre ricette difensive sono state più invasive?
n effetti ci sono stati paesi che hanno reagito all’emergenza sanitaria in maniera totalmente diversa, rifiutando il lockdown e ogni restrizione, per cui l’impatto emotivo è stato minimo. Come la Svezia. E non si creda che la scelta di far circolare liberamente il virus sia stata per il timore di insubordinazione dei cittadini. Basta rileggere le cronache svedesi del 1967, quando provarono a cambiare la guida dell’auto da sinistra, come gli inglesi, a destra, come da noi e tutti risposero positivamente, senza disubbidienze civili. Si può presumere, dunque, che sia stato quell’indirizzo politico a mitigare la negativa ricaduta psicologica sugli svedesi. Ma se rivolgiamo lo sguardo ad altre Nazioni, più simili a noi per risposta sanitaria, vediamo che è comunque più sereno questo passaggio. Lo è in Cina che ha puntato tutto su un forzato, austero e completo lockdown. Lo è in Gran Bretagna che ha dondolato altalenando tra restrizioni e liberazioni. Il nostro paese ha cavalcato le onde e i picchi di contagiosità e, tenendo ferme restrizioni di base, ha spaziato da lockdown severi a regole soft, fino a ridurre queste ultime all’essenziale che conosciamo tutti (mascherina al chiuso, lavaggio frequente delle mani, distanza fisica minima da rispettare negli assembramenti). Eppure viviamo adesso una specie di straniamento. Ci sentivamo tranquilli a viaggiare e svolgere particolari attività con tanti controlli e ora temiamo il momento in cui questi non serviranno
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 più. Io sono tentata di pensare che anche con il cambio delle regole molti continueranno ad essere prudenti. Ci sarà chi privilegerà i mezzi propri di trasporto, se possibile, per limitare al massimo i rapporti interpersonali. Chi indosserà comunque la mascherina anche all’aperto per mettersi al riparo da molte malattie respiratorie. Chi preferirà dire un ciao con la mano alzata, perché “tanto è la stessa cosa”. Forse si preferirà affittare case d’estate piuttosto che riempire Villaggi vacanze.
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piano piano ci sarà un cambio di rotta delle abitudini sociali dell’italiano medio. Io continuo a chiedermi se è stata la scelta di un sistema di controffensiva al virus a incidere così prepotentemente sulla nostra percezione della realtà. E anche se un’organizzazione sociale può cambiare non solo per l’esistenza di alcuni precetti ma soprattutto per l’assenza di essi. Ma, per rispondere alla domanda iniziale, se siano le regole condivise a cambiare una società o se invece sia il cambiamento che avviene nel tempo a modificare le regole, io direi che sia possibile una terza opzione, quella cioè di un modello sociale che muta senza anticipare o inseguire criteri, ma camminando parallelo ad essi.
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erciò è difficilissimo dire se alcune scelte siano state migliori di altre o più opportune o più utili o più significative o più funzionali. Le regole vivono di interazione tra chi le fa e chi ne fruisce. Ma di fatto noi siamo cambiati. Le regole ci hanno cambiati. Forse eravamo più indifesi, più permeabili.
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esta da chiedersi quale sarà il nostro approccio alla vita e alla Legge, da ora in poi. Come disse qualcuno: “Lo scopriremo vivendo”. È per questo, d’altra parte, che abbiamo obbedito: per vivere.
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n realtà sono convinta che il mondo intero sia cambiato, per tanti aspetti, ma il nostro mondo, quello che abbiamo amato, quello che veniva riconosciuto ovunque come particolare, difficilmente ritornerà quello di prima. Siamo diventati diffidenti e timorosi, abbiamo perso la solarità insieme al sorriso coperto, la voglia della vicinanza insieme all’abbraccio dimenticato, la simpatia insieme alla stretta di mano abbandonata.
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a verità è che le misure necessarie adottate in questi due anni ci hanno colpito profondamente, perché contrarie alla nostra natura. Parlavo l’altro giorno con un ragazzo che mi ha detto: “Non lo so se quando potremo darci la mano io riuscirò a dare la mano. Questa brutta storia mi ha tolto il piacere di incontrare persone, amici e persino familiari. Non riesco a guardare un amico senza pensare che possa essere pericoloso avvicinarlo. Mi sforzo, perché gli voglio bene, ma non è più lo stesso”. Perché in effetti questi due anni hanno colpito uno stile di vita, lasciando inalterati i modelli diversi dal nostro. Niente di strano, quindi, che altre organizzazioni sociali, con scelte diverse o simili, abbiano sofferto meno e continuino, ora, a vivere senza scosse la vita di sempre.
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COSTITUZIONE E VITA POLITICA IN ITALIA DI GIOVAN GIUSEPPE MENNELLA
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el XIX secolo in Europa e in America esistevano sia Stati nazionali che Imperi plurinazionali. In alcuni Stati nazionali, repubblicani o monarchici, come Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, il potere esecutivo era stato limitato da un complesso di leggi fondamentali che garantivano i diritti dei cittadini e le prerogative degli altri poteri.
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a limitazione del potere esecutivo era stata strappata in questi Stati con rivoluzioni, quelle del 1649 e 1688 in Gran Bretagna, del 1776 nelle colonie britanniche del Nordamerica, del 1789 in Francia. Alcune delle più significative conseguenze delle rivoluzioni erano state la fine del possesso della terra di tipo feudale e l’acquisizione di diritti politici e decisionali da parte della borghesia produttiva. Tutto ciò rispondeva al principio politico-giuridico, definito nel mondo anglosassone con la locuzione “No taxation without representation”, secondo cui il potere esecutivo non poteva imporre un carico fiscale ai cittadini produttori senza che questi fossero rappresentati politicamente e partecipassero attivamente alle deliberazioni di imposizione fiscale. Il riconoscimento del diritto dei cittadini, proprietari e produttori, di avere voce in capitolo nelle decisioni in materia di politica fiscale costituì il nucleo iniziale delle regole limitanti il potere esecutivo assoluto, cioè delle Costituzioni. Però, almeno fino a tutto il XIX secolo, le regole costituzionali salvaguardarono soprattutto i cittadini proprietari e produttori, cioè i diritti politici della borghesia e quasi per nulla i diritti sociali dei ceti subalterni.
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n Italia non c’era uno Stato nazionale unitario e indipendente ma vari staterelli a carattere regionale tutti, salvo il Regno di Sardegna, sotto la tutela egemone o il dominio diretto dell’Impero austriaco. Durante i moti rivoluzionari del 1848, in alcuni di essi, il Regno di Sardegna, lo Stato
Pontificio e il Regno delle due Sicilie furono adottate Carte costituzionali. Ma erano tutte concesse per grazia sovrana, non votate da Assemblee costituenti. L’unica Costituzione varata da un’Assemblea Costituente eletta dai cittadini, per giunta a suffragio universale, fu quella della Repubblica romana che però durò in vigore un solo giorno, il primo luglio 1849, data della sua promulgazione ma anche dell’entrata delle truppe francesi nella città. Dopo la sconfitta del moto quarantottesco italiano e il ritorno dei regimi assoluti, nel solo Regno di Sardegna fu conservata la Costituzione, definita Statuto Albertino per sottolinearne la concessione per volontà regale. Essa prevedeva l’esistenza di una Camera elettiva e di una certa libertà di stampa.
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i creò così in Piemonte un clima favorevole all’azione di una classe dirigente politica ed economica capace di limitare il potere e gli errori del Sovrano e della Corte e di farsi carico dell’adozione di alcune fondamentali riforme, tra cui l’abbassamento dei poteri della Chiesa e una politica economica liberista. All’atto della formazione dello Stato unitario, conseguente ai rivolgimenti e alle guerre del biennio 1859-1861, lo Statuto Albertino fu conservato immodificato quale legge fondamentale del nuovo Regno d’Italia perché Emilia, Toscana, Umbria, Marche, Mezzogiorno continentale e Sicilia furono incorporati nel Regno di Sardegna, o meglio dediti a Vittorio Emanuele di Savoia Re d’Italia, non con deliberazioni di Assemblee costituenti elettive, ma con Plebisciti puramente formali. Così, lo Stato unitario italiano ereditò senza modifiche la legge fondamentale dell’antico Regno di Sardegna, senza le integrazioni necessarie per tenere conto delle peculiarità dei piccoli e provinciali Stati preunitari annessi. Questa mancanza doveva rivelarsi grave e foriera di grandi squilibri soprattutto per il Mezzogiorno continentale e la Sicilia.
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a debolezza politico-giuridica del nascente Stato unitario fu messa in luce già da subito da un sincero democratico come Giuseppe Ferrari. Nella seduta del Parlamento subalpino del 2 ottobre, convocata per sanzionare le annessioni mediante Plebisciti, Ferrari protestò che si trattava di una pura e semplice espansione dell’egemonia del Regno di Sardegna e delle sue regole a tutta l’Italia, oltretutto sotto la protezione di un Regime assoluto come l’Impero francese di Napoleone III. Probabilmente l’urgenza del momento e il pericolo che le Potenze europee potessero intervenire facendo crollare sul nascere l’edificio unitario così faticosamente e quasi miracolosamente raggiunto, non consentì di procedere in modo diverso. Concorsero a questa soluzione anche gli abili intrighi di Cavour e la debolezza politica dei democratici e dei radicali.
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nche se la prassi innovò alquanto alcune regole fondamentali dello Statuto verso la configurazione di un sistema più parlamentare che costituzionale, con la Camera bassa elettiva più importante del Senato di nomina regia, lo Stato unitario italiano ebbe un’impronta autoritaria, soprattutto nei primi decenni di esistenza. Né lo scarno Statuto era idoneo a garantire le libertà personali e il diritto di associazione degli oppositori extraparlamentari, i clericali, i repubblicani, gli internazionalisti e più tardi i socialisti. Ovviamente, dati i tempi, neanche a parlarne di tutela dei diritti sociali delle classi lavoratrici e meno abbienti. D’altra parte, lo Stato era costituito da una base sociale molto ristretta, espressione da un lato della classe dirigente piemontese o delle singole personalità non piemontesi che avevano contribuito al processo di unificazione, dall’altro dei proprietari terrieri grandi e medi, dei banchieri, degli imprenditori delle poche industrie non legate alla trasformazione dei prodotti agricoli, degli alti gradi della burocrazia e dell’esercito.
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nche le leggi di organizzazione adottate nei primi anni unitari dalla Destra storica, ebbero una spiccata impronta autoritaria; basta considerare il sistema amministrativo fortemente accentrato, la subordinazione del potere giudiziario al potere esecutivo, il largo uso dei metodi polizieschi e repressivi nei confronti degli oppositori, i pesanti interventi governativi nelle elezioni. La stessa Sinistra Storica, andata al potere dopo il rivolgimento parlamentare del 1876, sebbene avesse attuato alcune riforme progressiste, come l’istruzione
elementare obbligatoria e l’ampliamento nel 1882 della base elettorale, conservò sostanzialmente il sistema di governo ereditato dalla Destra. Solo il Ministero Cairoli-Zanardelli del 1878 tentò di governare in modo più democratico mediante una interpretazione più larga delle libertà statutarie, ma fu presto travolto da una delle prime gazzarre nazionaliste causate dall’occupazione francese della Tunisia.
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urono i Ministeri Giolitti che nei primi anni del nuovo secolo cercarono di allargare la base sociale della Nazione. A parte qualche miglioramento parziale e disorganico della legislazione, il tentativo si risolse in un sostanziale insuccesso, pur con qualche aspetto positivo, sia pur parziale, come la libertà di associazione per il movimento operaio e il tanto atteso suffragio universale maschile. Ma era troppo poco e troppo tardi. La Costituzione rimase immutata, i socialisti furono blanditi ma non parteciparono mai al governo, non furono soddisfatte le esigenze della piccola e media borghesia che era ormai attiva nell’economia. Il periodo giolittiano è stato definito acutamente un riformismo senza riforme. Durante la Grande Guerra le libertà previste dallo Statuto furono ulteriormente limitate, per lo stato di eccezione e l’abbassamento delle garanzie democratiche a cui si ricorse per tenere disciplinate le truppe e unito il fronte interno.
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urante il Fascismo lo Statuto fu svuotato di fatto dalle leggi liberticide adottate dal Regime. Non fu mai abrogato, sopravvisse quasi in uno stato di morte apparente. E infatti, i gerarchi dissidenti e i circoli militari e monarchici, che avrebbero effettuato il colpo di Stato contro Mussolini del 25 luglio 1943, si sarebbero valsi dell’articolo 5 dello Statuto per restituire al Re il potere di azione, a partire da quello di comandare le Forze Armate in guerra.
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ra gli oppositori al Fascismo della prima ora, soprattutto Antonio Gramsci comprese che il Regime aveva stabilito basi forti e per abbatterlo sarebbe stata necessaria l’unione di tutte le forze antifasciste, per dare vita a una lotta unitaria che, una volta coronata dal successo, avrebbe dovuto sfociare nell’elezione di un’Assemblea Costituente, capace di rifondare su basi del tutto nuove e più ugualitarie le regole dello Stato. L’intuizione gramsciana diede i suoi frutti solo più tardi quando, a guerra fascista perduta, si realizzò l’accordo delle opposizioni nel CLN e nella Resistenza
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 che sfociò nei governi democratici di unità nazionale e nell’elezione dell’Assemblea Costituente il 2 giugno 1946. Ma negli anni in cui trionfava il Fascismo la linea gramsciana non era stata seguita neanche dal Partito Comunista d’Italia, più propenso a obbedire ai dettami di Mosca che imponevano al Partito di lottare anche contro le altre forze antifasciste, tra cui i Partiti socialisti, definiti socialfascisti.
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a Costituzione entrata in vigore il primo gennaio 1948 tenne conto finalmente anche dei diritti sociali dei cittadini, elaborati dalla dottrina giuridica più evoluta, seguendo anche quanto era stato previsto nel periodo del New Deal in USA e nell’immediato dopoguerra si andava adottando in Gran Bretagna dal Partito Laburista per la costruzione dello Stato sociale in base al Piano Beveridge. La Costituzione del 1948 fu scritta da personalità politiche e intellettuali che venivano da lunghi anni di opposizione e perciò tutelò i diritti delle minoranze politiche, stabilì contrappesi politici e giuridici per limitare l’eventuale strapotere delle maggioranze e dell’esecutivo. Amintore Fanfani, che contribuì a scrivere alcuni importanti articoli della Carta del 1948, li avrebbe sicuramente scritti in modo più favorevole all’azione dell’esecutivo nel 1958, quando non era più un parlamentare che veniva dall’Università, uno dei “professorini” di Dossetti e La Pira fautori della dottrina sociale della Chiesa e del Codice di Camaldoli, ma un politico potente che cumulava le cariche di Presidente del Consiglio, Segretario politico della DC e Ministro degli Esteri.
che una truffa. Altri episodi successivi hanno dimostrato, se li si osserva con spirito critico, che ogni modifica parziale e improvvisata del disegno complessivo tracciato dalla Costituzione del 1948 è destinato non solo a non risolvere i problemi ma a confondere ulteriormente l’azione dei Poteri pubblici. Pertanto è stato un errore, o meglio una superficialità propagandistica, parlare di Seconda o Terza Repubblica italiana dopo modifiche alluvionali e confusionarie del disegno complessivo della Carta, come in molti casi abbastanza recenti, tra cui la frettolosa modifica nel 2001 del Titolo V, riguardante i poteri degli Enti locali.
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rigore di termini, si potrebbe parlare di nuova Repubblica solo quando si cambiasse tutto il disegno complessivo di una Costituzione, come nel caso di quella francese del 1958 che, con il passaggio al sistema politico presidenziale, diede inizio alla V Repubblica. Tuttavia, qualche modifica parziale di singoli articoli costituzionali, al fine di renderli più consoni alle nuove esigenze della società, può essere utile e interessante. E’ quello che è accaduto recentemente con la previsione all’articolo 9 della tutela della natura, dell’ecosistema e degli animali, nonché con l’istituzione all’articolo 41 di vincoli ecologici e ambientali all’iniziativa economica pubblica e privata.
D’altronde, lo stesso DE Gasperi si era pentito di avere adottato nei lavori preparatori della Costituzione la linea politica di non dare molto potere alla maggioranza, per timore che le elezioni politiche sarebbero state vinte dai socialcomunisti.
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er ovviare a questa mancanza, la maggioranza degasperiana varò per le elezioni politiche del 1953 una legge elettorale proporzionale, con premio di maggioranza alla coalizione che raggiungesse il 50 per cento più uno dei voti. La legge suscitò aspre proteste, tanto da essere definita “legge truffa”. Il premio di maggioranza, tuttavia, non scattò per poche migliaia di voti. In retrospettiva, giudicando quello che sarebbe successo dopo, sia per l’impotenza dei troppo numerosi governi succedutisi nei decenni della Repubblica democratica, sia per la pessima qualità di altre leggi elettorali varate anche recentemente, quella legge elettorale del 1953 si è rivelata tutt’altro
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REGOLE SPORTIVE ED ESPEDIENTI PER AGGIRARLE : IL SISTEMA ITALIA DI ANTONIO CUCCORESE
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l mese di gennaio, per il calcio europeo ed italiano in particolare, è destinato da diversi anni alle squadre che devono rifarsi il trucco, a coloro che devono porre rimedio alle lacune tecniche registrate nei primi mesi della stagione. Si tratta del cosiddetto mercato di riparazione, scialuppa di salvataggio soprattutto per coloro che devono disperatamente ottenere risultati agonistici di rilievo, “conditio sine qua non” per mettere le mani sui tanti soldi elargiti dalla Uefa e dalle televisioni che trasmettono le partite, per essersene aggiudicate i diritti. Ma quanto ci piace realmente tutto ciò che accade oggi, provando a svestirci per un attimo della passione, del tifo e delle aspettative di risultato finale della nostra squadra del cuore ?
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l calcio è profondamente cambiato negli ultimi decenni, soprattutto dopo l’avvento della Legge Bosman nel 1995, che mutò radicalmente il rapporto giocatore-società dal punto di vista contrattuale. In pratica cessava di esistere il “rapporto perpetuo” tra datore di lavoro (presidente) e dipendente (calciatore), considerandosi sciolto il vincolo alla sua scadenza naturale, stabilita al momento dell’apposizione delle firme. Inizio e fine del sodalizio sanciti dal nero su bianco.
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utto questo ha dato, col tempo, sempre maggior forza agli atleti, con società sportive spesso impotenti. “Io non firmo il prolungamento o il rinnovo del contratto che mi viene proposto, così alla scadenza posso andar via in un’altra società, che mi può prendere senza dover pagare nulla come costo del cartellino. Così potrò avere un importante asso nella manica da giocarmi al momento opportuno, allorchè dovrò stabilire l’entità del mio stipendio col nuovo capo”. In questo modo ragionano oggi i calciatori, supportati dai propri agenti, disposti a tutto pur di garantirsi ricche percentuali. Così è nata la categoria dei “parametro zero”, la nuova frontiera del calciatore moderno, quella più ambita, che determina la perdita automatica del vincolo del presidente sull’atleta, allo scadere dei termini contrattuali. Lo svincolato è libero da ogni dipendenza e può accasarsi dove
vuole. Magari mercanteggiando sul proprio ingaggio e creando, attraverso i procuratori, vere e proprie aste, in modo da trarne il massimo vantaggio. Una situazione per molti versi paradossale, che sta portando sempre più ad un calcio privo di bandiere e di ideali sportivi.
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er porre un freno alle campagne acquisti senza regole economiche, ad esclusivo vantaggio delle società ricche e dei dirigenti più “ammanigliati” all’interno del sistema calcio, fu introdotto nel 2011 il Fair Play Finanziario. Un criterio voluto dalle società stesse, per non consentire di spendere più di quanto si introitasse. Un calmiere dei prezzi e degli esborsi, per evitare sperequazioni e “magheggi”. Sembrava di aver trovato la soluzione ideale contro gli sperperi e gli squilibri tecnico-agonistici che si venivano a creare, ma ben presto, come spesso accade, “fatta la legge trovato l’inganno”. Col tempo il FPF si è tramutato in un labirinto tortuoso di sotterfugi, che ha dato il là alla circolazione di danaro finto e virtuale, ottenuto attraverso plusvalenze gonfiate e spesso fittizie, pur di far quadrare i conti di bilanci non in regola. Con aumenti di capitale usati come paravento.
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l risultato di questo modus operandi, malato e taroccato, è che assistiamo oggi ad acquisti super onerosi che non ti spieghi, con pingui contratti arricchiti da decine di bonus raggiungibili, da parte di società con l’acqua alla gola e indebitate fino al collo. Il raggiro delle regole del FPF è diventata una triste consuetudine, ormai costante per i grandi clubs. Una legge voluta da loro e poi puntualmente disattesa. Il tutto aumentando sempre di più il gap tra “piccole e grandi”, con uno spettacolo sportivo sempre meno attraente e privo di pathos. Ormai è talmente abissale la distanza tra le prime sei o sette squadre del nostro campionato e tutte le altre, che ciò che una volta era divertimento e fibrillazione si è trasformato in una noia mortale. Lo spezzatino televisivo, voluto da chi trasmette, per avere il calcio a tutte le ore, propone sempre meno partite realmente interessanti. Ciò che che intriga davvero i clubs, non è soddisfare l’occhio del tifoso e la sua passione, ma introitare il massimo possibile
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attraverso il merchandising, l’ingresso nelle coppe europee e gli accordi televisivi.
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he tristezza per chi era innamorato del calcio di una volta !!! Quello delle radioline e delle partite in contemporanea. Di 90°minuto e della Domenica Sportiva. Quello dei calciatori che nascevano e morivano in una squadra, diventandone prima tifosi e poi dirigenti. Quando esisteva la poesia delle magliette di un unico colore e numerate dall’1 all’11, per identificare i ruoli. Con la 9 legata al grande bomber e la 10 sulle spalle del più talentuoso. Oggi, guardando le casacche dei calciatori, sembrano una festa di Carnevale che precede le estrazioni del lotto. Colori che non rispecchiano l’identità del club e numeri a caso, senza logica e magia. Oggi sai già che non dovrai più costruirti idoli. Che non dovrai affezionarti a nessuno. Perché il giovane di belle speranze, comprato a poco, andrà via in un grande club appena sbocciato. Magari, nel bel mezzo della stagione, te lo ritroverai avversario, dopo che fino al giorno prima si era battuto il petto sotto la tua curva. Che sport è, questo calcio attuale, in cui i settori giovanili sono praticamente spariti ? Perché crescere un ragazzo oggi costa troppo, rispetto ad andarlo a prendere a poco in qualche sobborgo sperduto di un paese povero. E che sport è, il calcio odierno, in cui coloro che avevano stabilito inizialmente le regole le disattendono puntualmente, per trarne vantaggi illeciti ?
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sservando questo indecente guazzabuglio, mi viene alla mente il mondo sportivo americano, il basket professionistico NBA, coi suoi collegamenti con le Università. Dove i soldi che girano sono tantissimi, ma la salvaguardia dello spettacolo e della regolarità delle gare viene prima di tutto. Con la Lega garante dell’incertezza del risultato finale, condizione necessaria per la massimizzazione del profitto, attraverso l’impedimento del conseguimento di posizioni dominanti. Il modo in cui essa raggiunge tale scopo, assicurando il giusto grado di competitività, è quello di limitare la concorrenza tra le squadre, attraverso una corretta distribuzione dei giocatori ed un controllo sul monte ingaggi, con un sussidio
incrociato a favore dei clubs meno forti. Il mercato del basket americano inizia con il Draft NBA, un evento annuale in cui le trenta squadre possono scegliere i nuovi giocatori, di solito provenienti dai college. E sapete come funziona l’ordine di scelta ? Dipende dal posizionamento nella stagione precedente. Chi sceglie per primo ? Sono le ultime classificate ad avere il diritto di prima scelta. Che può anche essere mercanteggiato, successivamente, con scambi tra i clubs. Capite, quindi, che un sistema di questo genere, tutela i più deboli ed evita la crescita esponenziale del gap fra i teams. In questo modo non hai partite dal risultato scontato, non vincono i titoli sempre gli stessi ed eviti il disinteresse mediatico. Non subisci il crollo degli ascolti e le disdette degli abbonamenti ed hai impianti sportivi sempre zeppi di gente che brulicano di passione. Che differenza con il deserto sempre più in espansione nei nostri stadi !!!
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n altro aspetto su cui controlla e vigila con attenzione la Lega NBA, è il rispetto del Salary Cap, che è la cifra massima che una società può spendere per pagare gli stipendi dei giocatori in rosa. Quando una squadra sfora il tetto salariale, incorre in una multa, denominata Luxury Tax, proporzionata al numero di dollari oltre la soglia consentita. Più grande è lo sforo, maggiore è la multa. E, tale importo, viene successivamente distribuito alle squadre che hanno invece rispettato il Salary Cap. Una sorta di premio al virtuosismo economico. Un sistema, quello del mondo sportivo a stelle e strisce americano, distante anni luce dal nostro. Pervaso, invece, di interessi particolari e posizioni di monopolio, di padroni e sudditi, in cui mezzucci squallidi di ogni tipo sono all’ordine del giorno.
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o immaginereste attuabile qui da noi ? Oggettivamente no. Occorrerebbe una rivoluzione innanzitutto culturale, di cui non si vede traccia nemmeno minima all’orizzonte.
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L’ARTE DI VIVERE E MORIRE DI CHIARA TORTORELLI
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er entrare in un nuovo Mondo ci vuole qualcosa di speciale, una sorta di vademecum per non dimenticare mai cosa vuol dire essere uomini. Nasciamo per sperimentare e per conoscere attraverso l’esperienza il mondo. ma soprattutto per sperimentare quella scintilla viva che parte da noi stessi, vederla, farci amicizia, fidarci di lei e vedere dove ci conduce. La fiaccola accesa è la coscienza e noi attraverso una vita consapevole non solo possiamo essere più felici, ma possiamo far maturare il seme, quella ghianda nascosta in ciascuno di noi, che Hillman chiama “il codice dell’anima”. Dobbiamo imparare a dialogare col daimon, questa specie di Angelo custode che tiene custodite le chiavi dell’anima, i nostri talenti e la speciale missione per cui veniamo qui. Castaneda diceva che per diventare esseri completi, uomini di conoscenza dobbiamo attraversare e fare nostre quattro esperienze fondamentali del vivere. Ecco, io auspico che possano essere queste, le nuove regole che animano il cuore dell’uomo davanti alla sfida e al guado: attraversare la palude del vecchio ed entrare a tutti gli effetti in una nuova società, costruita a partire da una diversa consapevolezza. La prima sfida da affrontare per diventare uomini è la Paura, diceva Castaneda. In genere davanti alla Paura, a questo grande Demone dell’ego, noi scappiamo. Tendiamo sia a nascondere a noi stessi di avere timore, sia a mettere da parte l’emozione scomoda, a ritrarci e ad evitare tutte quelle situazioni che la fanno nascere. Don Juan, lo stregone di Carlos Castaneda ci invita invece a guardare negli occhi la Paura, a non ritrarci, ad andarle volontariamente incontro, e ad attraversarla, accettando quella sensazione di vulnerabilità, quell’essere indifesi che connota l’umana dimensione. Infine, se si attraversa il fiume si comprende che l’esperienza in sé non dà paura, è la proiezione dell’esperienza, quel prefigurarcela, quel dipingerla nella nostra mente prima ancora che accada che ci fa scappare a gambe levate e procrastinare all’infinito qualsivoglia azione. Una volta affrontata la Paura si riceve un dono: la Lucidità. Essere lucidi significa essere capaci di vedere, e questa ricchezza può a
volte far sentire invincibili. Se sono lucido, sono forte, vedo e posso tutto e mi sembra di avere in mano le chiavi dell’immortalità. Ma anche qui c’è una trappola. Bisogna rinunciare alla Lucidità, non attaccarsi a lei e viverla solo nello spazio del presente. Vedi adesso, non è detto che vedrai domani. E solo accettando l’impermanenza della lucidità potrai arrivare allo step successivo. Lo step successivo si chiama Potere. Se non hai paura, e sei lucido, e vedi nitidamente il presente, scopri il Potere. Niente ti è precluso. Sei un uomo di Potere, senti la vita che ti scorre dentro e sai che tu puoi essere l’Artefice. Eppure, per diventare uomo integro di conoscenza, devi rinunciare anche al Potere. Cioè sapere che quel Potere non dipende da te, che tu lasci solo che si faccia attraverso di te e ti attraversi. Tu sei solo strumento, lucido, impavido e impeccabile. Fai sì che il Potere della vita scorra tra le tue mani e si faccia con lo strumento del tuo corpo, della tua mente vuota e ricettiva e del tuo sentire pieno. Così scopri il fare non facendo. Senza attaccamento. Infine, sei pronto per l’ultima sfida: la Vecchiaia. Il guerriero impeccabile di conoscenza che ha attraversato la Paura, ha conosciuto la Lucidità, si è fatto attraversare dal Potere, giunge alla Vecchiaia. A quel desiderio forte di sedersi, riposare e lasciar andare tutto. È stanco, ha vissuto e ora vorrebbe cedere e arrendersi. Ma è allora che c’è l’ultima sfida: non arrendersi alla vecchiaia. Continuare a fare non facendo, continuare a fare del suo meglio, dando vita, respiro e gesti senza aspettarsi nulla se non il gesto stesso nitido e intonso. Allora se il guerriero non cede alla Vecchiaia, per un barlume, anche solo per un barlume ha in dono la vita autentica dell’uomo di conoscenza. È pronto ad andare via anche in questo momento ma continua a dare tutto se stesso perché la Vita si compia tramite lui. Perché la danza sia perfetta. Poi lascerà tutto in sordina, in punta di piedi, senza paura, lucido, un uomo di potere, oltre la morte e la vecchiaia. Un guerriero spietato che ha fatto della sua Vita un’Arte.
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LE REGOLE DI ANTONIA SCIVITTARO “Devi imparare le regole del gioco e poi devi giocare meglio di chiunque altro” (A. Einstein)
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orenzo Parelli, 18 anni, è morto alla fine di gennaio colpito da una putrella nel suo ultimo giorno di stage scuola-lavoro nello stabilimento di carpenteria meccanica di Lauzacco (Udine).
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uesta notizia mi ha sinceramente scossa. È stato come un fulmine a ciel sereno esploso nella mia quotidianità ponendomi davanti ad una cruda e terribile realtà: avrei potuto essere io a morire a 18 anni in una fabbrica. Sarei potuta morire di alternanza scuola-lavoro.
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tudenti di ogni parte d’Italia erano in piazza il 4 febbraio per protestare e sui loro striscioni era scritto “non si può morire di scuola”. Io non ero alla manifestazione ma sono d’accordo con loro. Da chi, da cosa è stato ‘tradito’ Lorenzo Parelli? Forse è stato tradito dal mondo del lavoro degli adulti che in Italia conta 1221 morti bianche nel 2021. E perché le forze di polizia hanno reagito così male? Il loro comportamento nelle piazze ha avuto un carattere violento e repressivo. Perché disperdere con la forza degli studenti che avevano il solo obiettivo di
portare solidarietà e chiedere maggiore protezione? Sono cose molto brutte da vedere.
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nche per i miei compagni e per me verrà il momento dell’alternanza scuola - lavoro. Come potremo affrontare tale esperienza con serenità? Io ritengo che questa proposta didattica abbia le giuste potenzialità per essere utile e funzionale alla crescita di noi studenti e alla nostra introduzione nel mondo del lavoro, ma deve svolgersi nella tutela e nella dignità di tutti i partner coinvolti: aziende, lavoratori, scuola e studenti. È per questo motivo che la domanda sorge spontanea: com’è potuta accadere questa tragedia? È un interrogativo nato nella mia mente in modo prepotente e, ovviamente, la risposta non potrà arrivare in fretta…
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a una riflessione voglio farla: perché è nata l’idea della scuola-lavoro? Probabilmente per mettere in comunicazione le nozioni teoriche apprese con lo studio e la loro applicazione pratica. Ma, guardando meglio, il mondo del
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 lavoro a quali regole e norme deve rispondere? È una domanda che fa riflettere. In Italia non esiste il salario minimo; le norme di sicurezza sono lì, sulla carta. Ma quando guardo degli operai su di una impalcatura (e, in questo periodo se ne vedono tanti visto il boom dei ‘bonus facciata’) non ho la sensazione che lavorino in maniera protett… E non posso dimenticare che l’Italia ha il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa e continua a costringere le donne a scegliere fra maternità e lavoro.
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ista da queste prospettive, l’alternanza scuola-lavoro potrebbe NON essere una preparazione al lavoro inteso come il fine ultimo del nostro studio. Sembra più una preparazione al MERCATO DEL LAVORO che risponde con grande prontezza anche a leggi economiche brutali che niente hanno a che fare con un dignitoso svolgimento delle mansioni di un qualsiasi lavoratore.
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ulla triste vicenda di Lorenzo Panelli è nata in me una seconda domanda alla quale non riesco a dare una risposta: come si poteva evitare? Da dove nascono degli errori così gravi e tremendi? La mia sensazione è che, nell’ applicare le leggi, qualsiasi esse siano, non ci si metta veramente la giusta cura e la necessaria attenzione.
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a scuola entra in gioco nella formazione della nostra personalità, dei nostri pensieri e della nostra capacità di formularli e affermarli. Ed è anche (dovrebbe essere?) una palestra civile per creare un rapporto SANO fra diritti e doveri. oglio davvero credere, per l’ennesima volta, che la terribile vicenda di Lorenzo Parelli sarà l’occasione per imparare dagli errori perché le regole non uccidono e, se lo fanno, vuol dire che sono sbagliate o che vengono applicate in maniera errata. E voglio avere fede e sperare che un giorno non lontano, nessuno potrà anteporre i propri profitti alla sicurezza, all’umanità e alla giustizia. Soprattutto mi auguro che nessuno muoia di lavoro o di scuola. Vorrei che le cose cominciassero a cambiare da subito. Adesso. E desidererei che fossimo noi giovani a dare una marcia in più, una spinta maggiore al rinnovamento partendo dalla scuola per poi arrivare al lavoro e alla società. Le regole non dovrebbero essere una clava che colpisce, ma delle opportunità per migliorare; non limitazione delle libertà, ma legittimazione dei bisogni più profondi e concreti; non ignoranza ma dignità per tutte le persone.
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allora ricominciamo dal principio. Quale posto è più idoneo per discutere di regole se non la scuola? È il primo posto dove apprendiamo cosa sono e a che cosa servono le norme che dovremo seguire; cosa possiamo e non possiamo fare e come relazionarci fra noi e con chi è più grande di noi. Insomma, impariamo come comportarci. Ma credo anche che in questo preciso periodo storico si stiano verificando gravi incomprensioni fra adulti e ragazzi, e, in una prospettiva più grande, tra Stato e cittadini e fra la collettività e le regole.
È
diventato difficile distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato perché il mondo sembra grigio, senza forma e nessuno ci aiuta a capire come comportarci. Per questo motivo desidero che la scuola migliori. Perché credo che nelle classi di ogni istituto di qualsiasi grado possa svilupparsi un obiettivo molto più ampio della sola preparazione ‘scolastica’. L’istruzione ci fornisce conoscenza, ci deve (dovrebbe?) preparare al concetto di accoglienza, di conoscenza del nostro territorio dove purtroppo noi ragazzi abbiamo davvero poco spazio e voce in capitolo.
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C ’ ARRIPIGLIAMM TUTT CHELL CH’È O NUOST DI ANTONELLA BUCCINI
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h, come avrei voluto che l’intreccio sui gioielli dei Savoia prendesse un’altra piega. Che so, una trama avvincente come quella dei tre moschettieri e i puntali di diamante donati dalla regina Anna d’Austria all’amante conte di Buckingham, il cardinale Richelieu, Milady De Winter e tutto quanto.
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i sarei accontentata anche di una baruffa reale di quelle cioè più contigue al pettegolezzo che all’avventura ma che comunque rivitalizzano, come piani marketing, le nobiltà sopite. a in questo caso è inutile sperare. Gli sceneggiatori sono Vittorio Emanuele e le principesse Maria Gabriella, Maria Beatrice e Maria Pia, i quattro figli eredi di Umberto II. Del resto, neanche i loro avi hanno particolarmente brillato chiudendo residenza e carriera con una fuga a dir poco precipitosa. Trattasi quindi di litania giuridica sulla proprietà dei gioielli rivendicata da entrambe le parti, gli eredi reali e lo Stato italiano.
O
ra, dico io, ma era proprio necessario? I gioielli, una quindicina, pare di inestimabile valore, sono impreziositi da perle, diamanti e brillanti, raccolti in un astuccio in pelle nera con chiusura a chiave e sigillo e custoditi presso la Banca d’Italia. Infatti, il re Umberto II quando si congedò, all’esito del referendum istituzionale, con grande garbo, affidò le gioie a Luigi Einaudi affinché fossero consegnate “a chi di diritto”.
A
chi quindi? Tra l’altro la norma alla base di tutta la querelle è del 1850 e disciplina i beni in “dotazione” della corona (e quindi se ne deduce non di proprietà). Insomma, gli indizi sembrerebbero deporre per una titolarità legale della Repubblica e, anche se i termini della questione fossero diversi, un atto di generosità nei confronti del popolo italiano sarebbe certamente apprezzato.
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a a lume di naso non sembrano i tipi!
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IL PAPA CHE UNISCE DI LUCIA COLARIETI
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on un vezzo recente, ormai ogni evento oggi viene presentato come straordinario, eccezionale, storico, epico, imperdibile. In una comunicazione che ha bisogno sempre più di alzare i toni, si alza la voce negli annunci in tv. Non è sfuggita a questa legge l’intervista a Papa Francesco, andata in onda durante la trasmissione televisiva di Fabio Fazio, "Che tempo che fa", su Rai Tre.
si è trattato di una “prima volta” tra il vaticano e la televisione, illustri precedenti ci sono stati in forma di telefonate o brevi interviste, la Chiesa cattolica ha sempre utilizzato i mezzi di comunicazione per presentarsi e raccontarsi e nel caso di Papa Francesco la sua presenza in prima serata sulla Rai è coerente e conseguente al suo progetto di Chiesa in uscita.
Certamente si è trattato di un evento inconsueto e soprattutto di grande impatto mediatico, a tutti gli effetti è stata la prima volta di un Papa in un talkshow generalista in prima serata, ma a ben vedere non
ncurante degli annunci di eccezionalità, di fatto il Papa era lì, al netto delle polemiche sulla “vera” diretta, mentre milioni d’italiani, forse stanchi e sazi delle divagazioni domenicali, sul
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 divano di casa lo aspettavano. Tutt’altro che dissacrante Francesco porta il sacro nella vita quotidiana con la dolcezza, il sorriso, il senso dell’umorismo, il rispetto, la saggezza di un padre.
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’intervista di Fazio non ha avuto il sapore del grande evento storico preannunciato, forse non ce n’era neanche l’intenzione; invece, ciò che sorprende in questo pontefice è proprio il suo presentarsi come un uomo tra gli uomini, alla domanda su come faccia ad abbracciare tutti e sopportare un peso così grande ha risposto: «Io sono uno che sopporta come tutta la gente sopporta».
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l Papa in televisione ha mostrato, in linea con l’immagine di questo pontificato, un Papa essere umano: l’orologio economico al polso, la musica, il tango, gli amici, i suoi sogni di bambino, il senso dell’umorismo, la richiesta di preghiera, fino ad ammettere che non sa darsi la risposta alla sofferenza di bambini.Ha parlato come la gente comune; eppure, non ha rinunciato a ribadire temi importanti sui quali l’essere umano ha ancora parecchia strada da compiere, alcuni di ordine spirituale e personale come il rapporto con i figli, la misericordia e il perdono. Altri di grande rilevanza sociale come la vergogna delle migrazioni, l’inutilità e la violenza della guerra, l’urgenza di tutelare la madre terra. Alcune sue affermazioni assumono un significato che va ben oltre il ruolo religioso. Se appare scontata la condanna della guerra “controsenso della creazione”, lo è molto meno la decisa presa di posizione sui migranti. Francesco ha definito il Mediterraneo “un grande cimitero”, ha asserito che esistono i lager in Libia e, infine, che l’immigrazione deve essere un problema europeo. Ha ringraziato i medici e gli infermieri “che hanno toccato il male durante la pandemia e hanno scelto di stare lì”, perché “toccare è farsi carico dell’altro”. Sono dichiarazioni che hanno certamente un alto valore umano ma rappresentano anche una precisa scelta di campo viste le posizioni dei no vax (e di chi li appoggia politicamente) contro la medicina ufficiale e il suo ruolo. Infine, anche il richiamo a un forte impegno ambientalista non può considerarsi neutro. E un Papa che si cala nei problemi “terreni” è un Papa che sentiamo vicino, al di là del sentire religioso di ognuno.
viaggi dove non si è mai sottratto al confronto con temi scottanti, piuttosto appare probabile che si sia scelta la strada dei temi comuni, delle cose che legano invece di dividere.
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on gli sono state risparmiate critiche anche dall’interno della chiesa, accusato di trascurare l’aspetto spirituale e inseguire troppo il consenso, rinunciando alla trascendenza. Ci si attende che tali aspetti abbiano solo parole austere e toni severi, ma Francesco ha detto frasi incisive sulla preghiera. Forse questo messaggio vale solo se lo esponiamo con parole incomprensibili e concetti teologici difficili da digerire? È nel suo stile affidare ai documenti e alle comunicazioni ufficiali la forma necessaria e preferisce parole semplici per parlare alle persone, senza omettere ciò che conta. Nelle risposte a
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azio ha fermamente condannato la mondanità spirituale, cioè l’affidarsi al mondo, e il clericalismo sotto il quale si nasconde la putredine. Senza giri di parole ha detto che la chiesa va avanti con la parola di Dio, senza la carne di Dio non c‘è redenzione possibile. Infine, ha appassionatamente ricordato che non si scende a patti con il male, con il male non si parla.
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apa Francesco incarna una figura trasversale che raccoglie consensi al di fuori degli ambienti strettamente cattolici. Per la prima volta un Papa riscuote simpatie un po’ da tutti gli schieramenti. In questo tempo in cui ogni tema è occasione di divisione e ogni confronto necessita di fazioni in cui schierarsi, in cui ci viene chiesto di scegliere tra bianco e nero, il Papa unisce in maniera inedita: questo è il vero evento straordinario e forse è proprio questa la sua difficile missione di questi tempi.
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on sono state fatte domande scomode? Appare strano pensare che il Papa o il Vaticano le abbiano “impedite” considerato il modo in cui egli stesso affronta le interviste con i giornalisti, come per esempio nei voli durante i
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CAT CAFÈ, DAL GIAPPONE LA MODA DEL BAR DEI GATTI DI VERONICA D’ANGELO
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hiunque abbia un gatto per amico sa che questi felini, con la loro calma serafica, la loro empatia e l’abilità nel dare e richiedere coccole nei momenti giusti, hanno la capacità di rilassarci e migliorare il nostro umore. Lo sanno bene i giapponesi, per i quali il gatto è un animale portafortuna sin dai tempi in cui veniva venerato insieme all’Imperatore, con cui condivideva il palazzo reale e lo stile elegante e discreto. Ed è infatti in Giappone, ad Osaka, che nel 2004 si sviluppano i Neko cafè, letteralmente “caffè del gatto”.
Si tratta di locali abitati da mici, dove i clienti possono trascorrere il tempo in loro compagnia, consumando un caffè o un tè e osservandoli mentre si aggirano tra i tavoli, giocano o sonnecchiano accanto agli ospiti.
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a presenza dei gatti contribuisce a dare una sensazione di familiarità e calore domestico, allentando così lo stress quotidiano, soprattutto se si ha la fortuna di avere un morbido pelosetto da accarezzare acciambellato sulle gambe.E per creare un’atmosfera totalmente rilassante, sia per i mici che per i clienti, questi posti vengono ubicati in edifici lontani dal rumore e dalla
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 folla e sono arredati come un confortevole ed intimo salotto, con comode poltrone, divani e cuscini dove i gatti possono sdraiarsi per attendere alla pulizia quotidiana o schiacciare un pisolino.
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a formula è vincente. In poco tempo questi locali conoscono un successo enorme, dovuta anche al fatto, probabilmente, che molti giapponesi non possono tenere questi animali nelle loro case a causa delle piccolissime dimensioni delle abitazioni urbane o dei divieti vigenti in alcuni condomini. Fatto sta che nel 2015 i Neko cafè in Giappone erano già un centinaio, di cui circa la metà a Tokyo, e pian piano cominciarono a diffondersi in Europa. Il primo Cat cafè italiano apre a Torino e successivamente altri bar e bistrot abitati dai gatti si sviluppano nel resto dello stivale, con caratteristiche comuni.
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nnanzitutto, l’arredamento. I Cat cafè sono anche le case dei gatti e dunque le sale sono a misura di felino, con giochi, tiragraffi per affilare le unghie, percorsi per saltare e spazi separati per riposarsi. Inoltre, i clienti devono osservare una serie di regole: non importunare i gatti, non disturbarli mentre dormono, non fotografarli con il flash e non dare loro del cibo.
molto raffinata, che ho provato personalmente. Una gioia per il palato e per l’umore!
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robabilmente sono di parte, perché amo follemente questi animali, ma la sensazione che si ha entrando in questi posti è di essere a casa, se si hanno gatti come me, o di essere andati a prendere un caffè o a cenare da un amico che ha la casa piena di mici. E mentre noi in Italia facciamo i conti con questo nuovo genere di ristorazione, con i dubbi e le perplessità dei più scettici in fatto di igiene, in Oriente già stanno estendendo l’esperimento ad altri animali. Così in Corea è nato il primo Sheep cafè, dove sono le pecore a fare compagnia agli ospiti, mentre in Giappone i clienti affollano i bar popolati da conigli, gufi, ricci o…serpenti.
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arà, ma io mi fermerei ai gatti. Voi vi rilassereste mai seduti a un tavolo a bere un tè sapendo che qualche serpentello si aggira tra le vostre gambe?
A differenza dei Neko cafè giapponesi, però, dove si può entrare soltanto per passare il tempo con i mici, pagando un contributo orario, la versione italiana contempla la convivenza tra umani e felini sempre accompagnata da una offerta di cibo, assumendo forme anche originali.
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l Neko cat House di Vicenza (www.nekocafe.it), ad esempio, è un vero e proprio rifugio per gatti abbandonati, dove si organizzano cene a tema. Il Nero Miciok Cat Café di Palermo (facebook.com/ neromiciok), invece, è una pasticceria specializzata in torte artigianali e pancake salati, e lì si possono adottare i mici presenti nel locale. Se al Crazy Cat Café di Milano (crazycatcafe.it), in pieno stile meneghino, si può passare il tempo con i gatti mentre si fa un brunch o un aperitivo, al friulano di Cane in Gatto Cat cafè (dicaneingatto.it), ci si può fermare a leggere uno dei tanti libri messi a disposizione dalla libreria del locale o a divertirsi con dei giochi da tavola.
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n Campania, il Gattò Bistrot (facebook.com/ GattoBistrot) di Portici ha puntato tutto sulle birre artigianali, mentre il Romeow Cat Bistrot di Roma (romeowcatbistrot.com) propone esclusivamente piatti vegani, ma con una cucina
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UN FILM NUOVO PER DETTARE NUOVE REGOLE DI ANITA NAPOLITANO
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l mondo sta cambiando: ci vogliono nuove regole? Un film nuovo può dettare nuove regole?
Di fronte a domande di questo tipo è inevitabile riflettere anche in maniera semplice senza addentrarsi in riflessioni di tipo sociologico, antropologico, storico, filosofico e così via, ma può bastare anche l’osservazione di fatti che accadono intorno a noi, che ci vengono raccontati attraverso la lettura di certe storie narrate nei libri che poi vengono riadattate per il Cinema: ciascuno di noi sicuramente può riflettere o semplicemente osservare il punto di vista che l’autore della narrazione scritta o cinematografica ci propone e giungere a delle conclusioni personali più o meno plausibili.
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tal proposito, la visione dell’ultimo film di Nanni Moretti può essere un nuovo spunto di riflessione rispetto alla capacità dell’essere umano di trasformarsi. L’ultimo film di Nanni Moretti, Tre Piani, è possibile vederlo, da questo mese, su Sky.
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er la prima volta Moretti mette in scena una storia non originale, bensì tratta dal romanzo Tre Piani, dell’israeliano Eshkol Nevo, uscito nel 2015, sorto da una brillante idea narrativa: la descrizione della vita di tre famiglie sulla base della teoria freudiana, Es- Io- Super io, della personalità. È la storia di tre famiglie che vivono nello stesso condominio, un palazzo di tre piani in cui ciascuna vive il proprio contesto, inoltrandosi nelle relazioni umane che vanno dal bisogno di amore al tradimento, dal sospetto, alla paura di lasciarsi andare.
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oretti regista, come Nevo scrittore, tocca temi universali e quanto più nevralgici, come il perché delle nostre scelte e il senso di responsabilità che ci rende più o meno coraggiosi o fragili, la difficoltà di ciascuno di chiedere scusa e intanto la necessità di perdonare che rendono complicati i rapporti umani, i legami familiari, spesso segnati da un profondo senso di solitudine. Tra zone d’ombra e spazi di luce i personaggi vivono, si muovono all’interno di questo palazzo di tre piani
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 che è allegoria della Psiche Umana, come suggerisce il possente, denso romanzo di Nevo costruito appunto sull’allegoria di uno spazio abitativo di tre piani; Nanni Moretti ripropone le storie di tre famiglie borghesi che vivono a Roma, in un elegante palazzo antico, riuscendo a ricreare sullo schermo cinematografico, l’atmosfera del romanzo di Nevo, attraverso una struttura narrativa coerente, facendo iniziare il film da una scena cruciale del romanzo, una scena violenta, un incidente mortale: l’elegante palazzo ripreso nella sua totalità con le sue finestre silenziose che si affacciano su una strada altrettanto silenziosa; si vede un portone antico, piante che adornano l’ingresso del palazzo. Intanto mentre una donna incinta va a partorire da sola, avviene la distruzione di una parete di vetro - cemento al piano terra provocata da un’auto che a tutta velocità la sventra per entrare nell’appartamento di Lucio, Sara e la loro bambina Francesca. Alla guida è Andrea, ubriaco, figlio di Dora e Vittorio, due magistrati che abitano al terzo piano; Andrea prima di distruggere la parete travolge una donna che sta passando di lì, uccidendola. Dalla prima scena, ci sono tutti gli elementi della narrazione, la simbologia dei contrasti fin da subito, una scena violenta una vita distrutta e intanto la donna che va a partorire una nuova vita; e tra contrasti seguirà la narrazione del film fino alla fine, un concatenarsi di scene in modo lineare e coerente attraverso un sottile filo conduttore astratto: dalla teoria freudiana che vuole l’uomo perennemente combattuto tra Io, Es e Super Io, i personaggi in carne ed ossa tra odio e amore si intrecciano tra di loro tra luce e ombra, nei tre Piani di un antico palazzo romano.
per lottare ancora e ricostruire le proprie esistenze. Nanni Moretti mette in scena i personaggi di Nevo che, in quanto vicini di casa, si sfiorano, si toccano, pur vivendo ciascuno il proprio dramma esistenziale, tra solitudine, conflitti interiori e, soprattutto, la difficoltà di comunicare all’altro il proprio bisogno d’amore. Su tutto la difficoltà di mettersi in ascolto dell’altro e la difficoltà nel praticare il perdono per la resistenza dell’altro a chiedere scusa: la parola scusa ricorre nelle tre storie divenendone il collante.
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n conclusione, Moretti mette in scena le storie parallele di tre famiglie, i cui componenti passano da momenti di crisi profonda fino al limite dell’autodistruzione e riuscire, comunque, attraverso barlumi di luce interiore a ritrovare la forza attraverso la Consapevolezza, a ricostruire nuovi equilibri di Vita, una vita nuova; un percorso che avviene attraverso quella forza che ci rende umani, profondamente umani: il coraggio di ricostruire, di rinascere!
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unque, una storia come quella raccontata dallo scrittore Nevo e riprodotta dal regista Nanni Moretti per il Cinema, in una maniera asciutta, essenziale, densa, attraverso la solitudine dei personaggi che trovano comunque uno spiraglio di luce e speranza dai momenti bui, spiazzando il pubblico. Sorprende scoprire un Nanni Moretti mai così diverso da se stesso, un Moretti nuovo che può proporre nuovi spunti di riflessioni sia per le nuove modalità cinematografiche sia per i contenuti; c’è sicuramente un atteggiamento di osservazione neutrale di uno squarcio di vite familiari, lontano dalle ironie tipicamente morettiane, (il che devo ammettere, in questo film, non dispiace).
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n regista nuovo, diverso, eppure espressamente coerente con la sua idea di Cinema che dona agli spettatori dei personaggi umani e profondi sempre pronti, nonostante i duri colpi inferti dalla vita, a rialzarsi
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RICCIOLI DI LUCIA COLARIETI
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ustavo aprì le ante della finestra dello studio, tra un paziente e un altro ci teneva ad arieggiare. La stanza era piccola, nessun oggetto superfluo, tutto doveva avere la sua funzione: il tappeto sul pavimento per attutire i passi, il colore azzurro delle pareti per indurre il relax dei pazienti, la poltroncina confortevole, l’orologio alle spalle del paziente per tenere sotto controllo il tempo della seduta. Concedere alle persone di riversare la loro vita in quello spazio era il suo lavoro ma doveva proteggersi dal fiume di dolore e di emozioni che prorompevano ogni volta.
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veva ancora qualche secondo prima del prossimo paziente, diede uno sguardo alla sua immagine riflessa nel vetro, i capelli brizzolati perfettamente in ordine, il pullover girocollo aderente al fisico che teneva allenato. Tolse un invisibile bruscolino dalla manica, chiuse le ante e prese l’agenda degli appuntamenti. Si affacciò sulla piccola sala di attesa e chiamò il cognome del prossimo paziente, un primo incontro. Lei entrò mentre già toglieva il cappotto ingarbugliando sciarpa, capelli e tracolla della borsa «Scusami, sono accaldata, avevo fatto tardi, piacere sono Sabina».
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 «Non si preoccupi, faccia con calma» le rispose lui indeciso se aiutarla. «Eccomi, ce la posso fare», scaraventò il groviglio d’indumenti sulla spalliera della poltroncina e si lasciò cadere rovesciando la testa per rimettere in ordine la massa di capelli castani. Gustavo cercava di arginare il senso di caos che quella donna stava portando nel suo studio, in un angolo del cervello colse l’attrazione che stava provando ma era abituato a non affacciarsi su questi pensieri. Fece fatica ad impostare l’inizio della seduta, lei parlava a ruota libera con un’onda di parole che narravano di vita, non stava nei sentieri tracciati dal protocollo di una psicoterapia, aveva saltato presentazioni e dichiarazioni di problemi da risolvere, gettando direttamente sul campo la sua insoddisfatta voglia di vivere. Con la professionalità che lo contraddistingueva Gustavo disciplinò quella tempesta, si trattava di crisi coniugale, figli adolescenti e un malessere che affondava le radici nel passato. Avrebbe potuto trattare con lei il suo disagio e condurla a fare chiarezza. Al termine dei cinquanta minuti prese l’agenda e sfogliava le pagine.«Ti prego, non far passare troppo tempo». «Non ho spazio prima della settimana prossima». «No, non ce la faccio ad attendere, per la prima volta qualcuno mi ascolta e ho ancora tanto da dire». Cedendo per un attimo alla piccola parte di sé che gli chiedeva di rivederla al più presto, Gustavo le dette un appuntamento di lì a tre giorni. Come tutte le sere chiuse lo studio e si incamminò verso il suo appartamento. Da quando si era separato aveva costruito quel piccolo spazio che custodiva gelosamente, aprire la porta del monolocale, che aveva preso in affitto in centro, gli procurava una pace ineguagliabile. Dopo anni, in cui aveva tenacemente resistito in un matrimonio che non aveva senso di esistere, solo perché non riusciva ad ammettere di dover venire meno alla parola data quel giorno in chiesa, finalmente aveva compiuto lo strappo.
Dopo tre giorni era di nuovo lì, sulla soglia della porta ad attendere Sabina. Lei era già seduta in sala d’attesa, un vestito di maglia che scivolava sulla spalla lasciandola scoperta, i riccioli dei capelli spostati di lato, gli andò incontro salutandolo con un bacio sulla guancia. «Dovremo rispettare alcune regole» disse lui mentre le dava le spalle per andare a sedersi e darsi il tempo di calmare il battito di troppo nel suo petto. «Scusami, non pensavo di sbagliare, io sono spontanea». «Sì, è una cosa bella, ma in questo studio, affinché le cose funzionino, è necessario stabilire delle regole e rispettarle» pronunciò tutto d’un fiato con tono serio «per esempio sarebbe meglio non darci del tu». «Ma è impossibile, io sto parlando con un’anima uguale alla mia, non potrei mai darti del lei, ho sentito subito che sei uguale a me». Gustavo avrebbe voluto replicare mille confutazioni a quella teoria, come potevano essere uguali! Dovette però ammettere a se stesso che in lei qualcosa lo attirava. «Va bene, se questo ti mette più a tuo agio, possiamo derogare. Diamoci del tu, però rispettiamo le distanze. Una psicoterapia ha bisogno di tenere il setting sgombro da altre implicazioni personali». La guardò negli occhi e sentì un certo stridore in quello che aveva appena detto. Lei si accomodò sulla poltrona non dando cenno di aver compreso il messaggio. «Venendo qui mi è successa una cosa strana, ho litigato con un cretino per strada». «Come mai?» «Stavo cercando parcheggio ed è sbucato un gattino da un negozio, uno scooter davanti a me l’ha toccato ed è rimasto ferito sulla strada. Allora ho fermato l’auto per soccorrerlo, povera bestiola era un cucciolo». «E qual è stato il motivo del litigio?» «Come si fa ad essere così insensibili? Quello dietro con l’auto ha cominciato a suonare il clacson e poi ad inveire contro di me». «Eri ferma in mezzo alla via?» «E certo, dove volevi che mi fermassi. Qui non c’è un buco neanche in seconda fila. Ma cosa c’era di sbagliato, era un’emergenza, mica potevo lasciare la creatura a soffrire?»
La stanza con angolo cottura e bagno era stato il luogo dove aveva combattuto i suoi fantasmi e le sue solitudini, era sceso a patti con se stesso e dopo qualche anno assaporava la quiete.
«C’era di sbagliato che il codice della strada stabilisce che non puoi fermare il traffico, stai intralciando la circolazione». Lei si fece seria, scostò la ciocca che le era piovuta sulla guancia, si avvicinò a lui sporgendo la schiena: «non credi che le regole ogni tanto vadano infrante?»
Ma quella sera una cascata di riccioli castani turbava la liscia superficie delle sue certezze.
Gustavo alzò lo sguardo all’orologio sulla parete, il tempo scorreva e lui sentiva di non aver ancora
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 iniziato il suo lavoro. «Pensi che siano le regole ad impedirti di vivere come desideri?» la domanda fece quasi un’eco che gli ritornò. «Non lo so, so che sento di voler amare, ogni cosa, un gattino, una bella giornata, gli esseri umani, amare a cuore libero».
sono in vendita».«Non ho detto che devi comprarli, ho detto che una rosa, una sola mi farebbe felice, basta prenderla». «Non si può» la voce gli si smorzò in gola. «Sei sicuro? Fai come vuoi, rinuncia» si alzò e con fare dispettoso uscì dal bar.
«Ne parliamo la prossima volta» si sentì dire Gustavo mentre tentava di ricacciare al sicuro un’emozione che gli era sfuggita. Lei assunse un’aria corrucciata, si alzò in silenzio e raccolse le sue cose. «Tra una settimana, va bene?» «Va bene» rispose lei «non vedo l’ora». Più tardi, nel pomeriggio, mentre Gustavo riordinava le ultime cose prima di chiudere lo studio, il suo cellulare vibrò, era il numero di Sabina: «Pronto?» «Senti io lo so che tu sei il mio terapeuta, o almeno dovresti diventarlo, ma io non riesco ad attendere, sento il bisogno di parlarti, di raccontarti ancora del mio modo di vedere la vita, sento che mi comprendi come mai mi è accaduto». «Non saprei, mi metti in difficoltà». «Ti prego, una sola volta, vediamoci al bar sotto casa tua, una chiacchierata e poi ti prometto che farò quello che tu mi dirai». Lui, intanto, si era incamminato e già si trovava all’altezza del bar, la vide. Stava seduta al tavolino accanto alla vetrina. I capelli raccolti con un fermaglio, il profilo dolce delle spalle, le gambe snelle accavallate. «Va bene» disse «solo una chiacchierata».
L’aria umida della sera si mescolò alla lacrima che si ostinava a sgorgare dagli occhi castani, si avvolse il cappotto più stretto intorno alla vita, sciolse i capelli dal fermaglio, drizzò le spalle e decise di guardare oltre, ostinatamente proseguì sul marciapiede controcorrente, ostacolando i passanti che camminavano ciechi tutti nella stessa direzione. Le sue scarpe alte ticchettarono ritmiche fino alla mattonella fuori posto, si ritrovò a terra tra gli sguardi stupiti dei presenti. «Posso aiutarla?» La voce di Gustavo le giunse oltre il rimbombo del suo cuore spaventato per la caduta. Alzò lo sguardo e lui era lì, i capelli in disordine, la fronte leggermente imperlata, il fiato di chi ha corso, una mano tesa verso di lei e nell’altra, una rosa rossa.
Chiuse la telefonata e si maledisse per quel disordine che non riusciva a dominare, sentiva sulla pelle la solitudine degli ultimi anni senza la carezza di una mano femminile, nell’inguine un calore nuovo. Si accomodò nella sedia libera accanto a lei e la conversazione prese curve impreviste, gli sembrò di correre a perdifiato su un viottolo a strapiombo, in bilico tra la paura di cadere e il brivido della vertigine. «Senti» le disse frenando bruscamente «è piacevole chiacchierare con te, ma…» «Ti prego non ricominciare, in questo mondo triste e arrabbiato è un regalo trovare la sintonia così». Gustavo volse lo sguardo fuori, alla strada, le persone nella serata di un normale giorno settimanale correvano sole incontro a chissà quali impegni, sguardi corrucciati, mani serrate, passi veloci. La mano di Sabina gli stava sfiorando i capelli sulla nuca. «Non possiamo» le disse scostandosi. «Li vedi quei fiori rossi sul banco? Mi piacerebbe tanto averne uno, un solo appassionato fiore rosso, starebbe bene tra i miei capelli». Gustavo si voltò a guardare il bouquet di rose che decorava un tavolo al centro della sala del bar. «Non
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L’UNITA’ LABURISTA - 47 In un momento come questo, mi fa paura chi ha solo certezze, mi fa paura chi vede il bianco e il nero e basta. Mi fa orrore la caccia al russso che si e' scatenata, la censura della cultura e dello sport. E' una semplificazione manichea e inoltre non serve a niente. Serve solo a aumentare la voglia di linciaggio e l'odio. Come l'invio di armi, che servira' solo a far uccidere piu' persone, o scatenera' un guerra peggiore, ma non salvera' l'Ucraina. Paghera' come sempre la povera gente. Quelli che non possono scappare dalle sanzioni o dalle bombe. Ma non per questo demonizzo chi la pensa diversamente, come il nostro direttore (conoscendolo, so quanto gli e' costato pronunciarsi in questo senso). Mentre invece penso tutto il male possibile, ad esempio, delle epurazioni chieste da Enrico Letta... per non parlare delle censure culturali, ridicole e pernciose, o le liste di proscrizione protofasciste che fa un Gianni Riotta - additando Barbara Spinelli e Sergio Romano, o Franco Cardini segnati como filoputiniani (sic) .... Per questo, ripubblico un post con le parole di Marco, perche' le condivido COMPLETAMENTE. Gian Nicola Maestro, direttore editoriale e art director.
Parole di Marco Arturi
LA SPIEGAZIONE
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ieccoci. Vedo che ogni volta tocca fare il disegnino per fare comprendere la propria posizione. Perché al centotrentacinquesimo "quelli come te sostengono Putin" mi sarei anche, passatemi il francesismo, rotto i coglioni. Quindi spiego di seguito come la pensano "quelli come me" e mi prendo la libertà di farlo anche a nome loro, dal momento che siamo rimasti in quattro.
uno dei nostri slogan era "Voi G8, noi sei miliardi". Ecco, uno di quegli otto che quelli come me hanno contestato, pagando a caro prezzo, si chiamava Vladimir Vladimirovič Putin. Come è andata a finire si sa, dove stavano quelli che ora ci chiamano amici di Putin pure. Quindi certe cazzate sarebbe ora di risparmiarsele, specie quando non si è lottato neanche un giorno in vita propria;
. A quelli come me Vladimir Putin fa schifo, insieme alla sua banda di oligarchi fascisti e assassini. Lo detestiamo e, senza presunzione, non da oggi ma da quando molti altri riuscivano a parlarne più o meno bene. L'unica differenza sta nel fatto che non è l'unico a farci schifo, anzi la lista è decisamente lunga. Se qualche anima bella avesse un'obiezione da avanzare a riguardo, gli ricordo che a Genova nel 2001 c'eravamo noi e che
. Quelli come me condannano senza riserve l'intervento russo che, come era prevedibile, si è tradotto subito in un'ecatombe di civili. Un'aggressione del genere non può avere nessuna giustificazione. La differenza è che a quelli come me le guerre fanno schifo tutte indistintamente. Per esempio ci faceva schifo anche quella in Cecenia, un luogo che molti di quelli che ci chiamano amici di Putin farebbero fatica a indicare sulla cartina;
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. Non nonostante ma proprio in virtù dei punti 1 e 2, che spero siano espressi in maniera sufficientemente chiara, quelli come me sono convinti che inviare armi in Ucraina sia un errore madornale: perché si tratta di una decisione che vede l'Europa abdicare al suo ruolo di attore di pace, perché si tratta di una scelta molto pericolosa e perché non sarà la presenza di altre armi sul campo a risparmiare vite, anzi;
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. Se quelli come me si permettono di ricordare che questa guerra non arriva dal nulla e ha molti padri (argomentazione contestatissima dagli abili e arruolati ma mai smontata nei contenuti) è perché sono coscienti che il popolo ucraino sotto le bombe stia pagando anche molti errori dei governanti occidentali. Errori di strategia, scelte miopi che potevano essere convenienti solo nell'immediato;
bombe non sono più disposto ad accettarla. Ancora una cosa, scritta ieri da Wu Ming: se c'è una guerra e si manifesta contro il nemico si sta manifestando per la guerra. Ficcatevelo in testa. Un saluto a tutti e scusatemi la lunghezza, ma di queste stronzate da tifosi non se ne può davvero più. "Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia" (Gino Strada, 1948 - 2021. Chirurgo di guerra, uomo di pace, compagno)
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. Il presidente ucraino non è una pecorella bensì un opportunista con tratti fortemente autoritari. Il governo di Kiev di democratico non ha proprio niente, e a quelli come me dà fastidio che si finga e che si dichiari il contrario. Perché quelli come me sanno che tra sostenere gli ucraini e sostenere l'Ucraina ce ne corre, e neanche poco;
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. Uno di quelli come me purtroppo non c'è più. Era uno che di guerra ne sapeva qualcosina e che si sarebbe sicuramente incazzato parecchio di fronte all'invio di armi in Ucraina. Nel 2003, ai tempi della seconda guerra in Iraq qualcuno sulla prima del Corriere lo definì "il signor né né" perché non stava con Saddam né con gli Usa. Lo chiamò anche "scoria pacifista". Questo ragazzo di chiamava Gino Strada, era un tipo incazzoso e se ci fosse ancora si sarebbe beccato certamente dell'amico di Putin. E non avete la minima idea di quanto quelli come me siano orgogliosi di essere, almeno un pochino, quelli come lui. Che per essere chiari non sono pacifisti: sono contro la guerra. Spero di avere chiarito due cose: 1. La posizione di quelli come me 2. La pochezza di chi, per mancanza di argomenti, ci chiama amici di Putin. Che colgo l'occasione per mandare affettuosamente a fare in culo.
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a chiudo qui, spero una volta per tutte: si può non essere d'accordo con quelli come me e ci mancherebbe; si possono discutere anche aspramente i nostri punti di vista. Ma la disonestà intellettuale di dire che NOI staremmo dalla parte di chi fa piovere missili e
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uesta fotografia di Emilio Morenatti è un'opera d'arte l'orrore, la negazione della dignità umana, l'assurdità de bene è anche il più efficace degli editoriali politici su q
Perché In questo scatto c'è tutto:
La barbarie e la ferocia di Vladimir Putin, che nel nome d puzza di morte e devastazione sta letteralmente pisciando degli assedi di Leningrado e Stalingrado ma dalla parte de
L'irresponsabilità totale di Volodymyr Zelensky, che anz impossibile mette a repentaglio altre decine di migliaia d intervento che porterebbe il mondo sull'orlo della catastro
L'inconsistenza, la meschinità e l'ipocrisia di un'Europa delle armi e della cobelligeranza anziché il ruolo di at sono bambini, donne e uomini ucraini. Qui da noi no Marco Arturi
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e potentissima, che fissa tutto nello spazio di un singolo scatto: ella guerra, lo sgomento per l'imminente possibile. Ma a guardarla questa guerra, nel mezzo di tante parole che girano a vuoto.
di una restaurazione impossibile e di una finta retorica patria che o sulla storia di ciò che vorrebbe restaurare, ripetendo il copione ell'assediante nazista. Questa volta il nemico alle porte è lui
ziché cercare di trattare una resa nel nome di una resistenza di vite umane e addirittura rilancia, chiedendo all'occidente un ofe totale
che getta altra benzina sul fuoco scegliendo la strada dell'invio tore di pace; tanto a vivere come topi in trappola o a morire on abbiamo neppure dovuto spegnere i termosifoni. Per ora.
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Testata online aperiodica Proprieta’: 999 - ETS, Corso Barolo, 57 12051 ALBA (CN) Direttore Responsabile: Aldo Avallone - Stampatore www.issu.com Direzione Editoriale, Grafica & Editing: Gian Nicola Maestro web: www.issu.com/lunitalaburista - mail: lunitalaburista@gmail.com - tel. +39.347.3612172 Palo Alto, CA (USA) , 01 dicembre 2021