l’Unità Laburista - Allonsanfàn - Numero 42 del 14 luglio 2021

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Numero 42 del 14 luglio 2021


Sommario  l’Editoriale del Direttore/Buon compleanno! pag. 5 di Aldo AVALLONE  La rivoluzione, qui e ora! - pag. 9 di Rosanna Marina RUSSO  ZanZanZan (cit.) - pag. 17 di Antonella GOLINELLI  Staccate la spina - pag. 23 di Aldo AVALLONE  Quando la convenienza costa troppo poco! pag. 27 di Giovanni AIELLO  Il rinascimento degli idioti - pag. 31 di Gian Nicola MAESTRO  Cronaca di un sogno - pag. 38 di Raffaele FLAMINIO  Un poeta al tempo del Papa Re - pag. 42 di Giovan Giuseppe MENNELLA  Un rigurgito di umanità - pag. 50 di Antonella BUCCINI  Benvenuti in Italia - pag. 53 di Massimo MORINO  È lei - pag. 56 di Lucia COLARIETI  Leggere Voltaire per coltivare patate - pag. 64 di Anita NAPOLITANO 2


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l’Editoriale del Direttore

Buon compleanno! Aldo AVALLONE

Buon compleanno all’Unità laburista, buon compleanno all’editore che ci consente di essere online, buon compleanno a noi che ci lavoriamo con dedizione e passione. Un grazie particolare a tutti voi lettori che in questi due anni ci avete gratificati della vostra attenzione. Il Numero Zero fu pubblicato il 14 luglio 2019, data scelta non a caso per ricordare la Rivoluzione francese e i valori di liberté, égalité, fraternité che promulgava. Oggi è online il numero 42. Sono trascorsi appena due anni ma due anni talmente pieni di avvenimenti da sembrare un’eternità. Al governo c’erano il Movimento 5 Stelle e la Lega, Renzi era ancora nel Partito democratico e Italia Viva e l’epidemia di coronavirus sciagure nemmeno lontanamente immaginabili. 5


Partimmo, allora, con umiltà ma con un progetto ambizioso: provare a essere un luogo di discussione e approfondimento per tutte le diverse anime della sinistra del nostro Paese, elaborando idee e proposte sempre in un’ottica di coesione, privilegiando i temi del lavoro e del sociale. Il nome scelto per la testata illustra meglio di qualsiasi discorso il nostro obiettivo. Come tutti, abbiamo affrontato le difficoltà generate dalla pandemia. Per alcuni mesi le pubblicazioni sono state sospese per poi riprendere con rinnovata lena nel dicembre del 2020. Anche la periodicità è cambiata e con essa il taglio del giornale: più pagine, più collaboratori, più temi trattati. Inutile sottolineare le difficoltà di realizzazione di una testata gratuita che non gode di finanziamento pubblico né di alcuna forma di pubblicità o sponsorizzazione. Il lavoro dei giornalisti, dei blogger e dei collaboratori è assolutamente volontario, mosso solo dall’impegno politico e dal desiderio di rendersi in qualche maniera utili alla causa. Per me è stato ed è un onore dirigerli in questa piccola grande impresa. A distanza di due anni viene naturale chiedersi se, almeno parzialmente, abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo proposti. Spero di non annoiarvi troppo riportando alcuni dati, fornitimi direttamente dall’editore, relativi al numero dei nostri lettori: “nel giro di 30 giorni, l’Unità Laburista è letta mediamente da circa 60.000 utenti unici - cioè persone fisiche - con un delta mensile di variazione di circa 3.000 utenti unici. Causa l’interruzione per 8 mesi delle pubblicazioni, dovuta al CoViD19, durante e dopo il lockdown si è verificata un’interessante variazione nelle modalità di fruizione della testata: in assenza temporanea di nuovi numeri, gli utenti hanno preso a leggere massivamente i numeri già pubblicati. L’abitudine si è consolidata e, oggi, ci sono mediamente 20.000 lettori utenti unici che leggono due o più articoli - oppure un numero intero - del numero più recente nei primi 30 giorni di pubblicazione, mentre altri 40.000 leggono (nello stesso pe6


riodo) due o più articoli di uno o più dei numeri precedenti oppure almeno un numero intero precedente, per una media di quasi 1.000 lettori utenti unici al mese per ogni singolo numero precedente. Ciò significa che, mediamente, ogni singolo numero è stato letto, nel corso dei due anni di vita della testata, da quasi 45.000 lettori utenti unici (con picchi che giungono a 63.000 lettori utenti unici per singolo numero). Ciò è motivo d’orgoglio, per noi, perché conferma la piena realizzazione de l’Unità Laburista nel suo ruolo di testata di approfondimento politico, i cui contenuti restano attuali e fruibili anche a distanza di anni dalla pubblicazione. Si consideri che non contabilizziamo i lettori utenti unici che leggono un singolo articolo di un numero, considerandoli “lettori occasionali” e, quindi, non rilevanti - perché ci interessa rendicontare solo l’utenza abituale della testata (quello che viene professionalmente definito “pubblico captive”): nel caso lo facessimo, i numeri sarebbero nettamente più alti. Parimenti, non possiamo monitorare l’ulteriore diffusione dei numeri che vengono scaricati e condivisi attraverso propri autonomi canali dai lettori (mail, social networks, WhatsApp, Telegram ed altri canali telematici). L’incidenza di feedback in tal senso suggerisce, senza possibilità di precisa contabilizzazione, che la pratica sia diffusa e di dimensioni sensibili”. Leggere queste cifre, lo confesso, mi ha dato una forte emozione. Avere conferma che l’impegno profuso si è tradotto in risultati di lettura così buoni rappresenta una grande soddisfazione e, soprattutto, uno stimolo a fare ancora meglio. Naturalmente non so dove potremo arrivare, ma posso assicurare che lavoreremo tutti con la massima dedizione per dare il nostro contributo a una informazione libera e di sinistra. Vi do appuntamento, innanzitutto al prossimo numero, ma anche al prossimo compleanno sperando di ritrovarvi tutti, numerosi e appassionati come oggi.

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Politica

La rivoluzione, qui e ora! Rosanna Marina RUSSO

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Libertè! Egalitè! Fraternitè! Tre parole che indicarono esattamente la natura della lotta e che furono da allora il nucleo di ogni rivendicazione sociale, di ogni giusta affermazione dei propri diritti e di ogni rivoluzione, non necessariamente armata. Lo è stata, infatti, anche quella gandhiana, come lo è stata la scrittura della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo che ha scientificamente modificato il senso delle vite. Tre parole eternamente valide con contenuti che appaiono, però, eternamente irraggiungibili. A meno che non si riesca a dare uno scossone a questo nostro mondo, a ricordargli

che auspichiamo essere dentro una evoluzione morale, civile e socia-

le, che sentiamo l’urgenza di una concreta rinascita, che vogliamo davvero modificare le condizioni umane avvilenti di molti. E che, dunque, cerchiamo e desideriamo una nuova, profonda rivoluzione, capace di scardinare e spalancare le porte, di rappacificare il nostro villaggio globale e di sconfiggere l’indifferenza. Si legge nell’incipit della Dichiarazione: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali ed inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della pace e della giustizia nel mondo…” Due verità assolute che costituiscono l’approdo, la terra promessa da raggiungere e che anche la nostra Costituzione ha accolto in una tavolozza di principi fondamentali: siamo una sola famiglia umana e i membri di questa famiglia hanno tutti pari dignità e godono di diritti uguali ed inalienabili. È l’egalité che ancora è il cardine di qualsiasi richiesta di capovolgimento di una realtà sociale dolorante. Perché è inutile nasconderlo: c’è un approdo, ma c’è un reale. Quando parlo con qualcuno della nostra Costituzione mi piace sempre far notare che fu una giovane donna che veniva dalla Resistenza, Teresa Mattei, a chiedere che nell’art. 3 , comma 2, fosse10


ro aggiunte quelle due paroline “di fatto” che hanno capovolto l’importanza della legge dinnanzi agli ostacoli : “di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”… Probabilmente perché sapeva bene tutte le speranze che erano state riposte nella nascente Repubblica. Quel “di fatto” riconosce che le disuguaglianze fra gli uomini non derivano soltanto dalle norme, ma affondano le loro radici nei rapporti sociali, nelle condizioni materiali ed economiche e indica che sono proprio le disuguaglianze a falsificare quel diritto allo sviluppo della persona, alla parità davanti alla legge, alla partecipazione democratica e ci ricorda che i diritti dell’uomo non devono solo essere proclamati, ma, appunto, essere realizzati nei fatti. Ma se è così, ed è così, bisogna ipotizzare precise strategie economico-sociali per attivare forme di coalizione alla solidarietà. Ci sono paesi nel mondo in cui i diritti umani quali la scolarizzazione, l’accesso all’acqua potabile, la sicurezza alimentare, sono ancora un sogno lontano. Non c’è una programmazione globale che dica come perseguire gli “Obiettivi ONU 2030”. Sappiamo di poter fare qualcosa come comuni cittadini per riequilibrare i consumi e ridurre gli sprechi, ma questo può portare a una più equa distribuzione delle risorse a livello planetario? E ancora: in un’epoca in cui può sembrare che il denaro sia l’unico valore di riferimento, è davvero possibile combattere la povertà? Sappiamo che sono state stanziate importanti risorse economiche e sono stati creati enti come la Banca Mondiale o la FAO per favorire lo sviluppo delle aree deprivate, ma la povertà è sempre lì, anzi avanza, creando sacche profonde anche nei paesi ricchi. Probabilmente ci si scontra in alcune aree con lo sfruttamento distruttivo delle risorse naturali e la crescita demografica fuori controllo e in altre con una disoccupazione che appare irre11


frenabile Tuttavia, vincere la povertà è una scelta rivoluzionaria e noi vogliamo una rivoluzione. C’è chi ha provato a creare una nuova modalità di economia, come Muhammad Yunus che con la Grameen Bank o Banca dei Poveri, fondata sui piccoli prestiti, ha finanziato le piccolissime iniziative economiche necessarie alla crescita degli strati più poveri della società. Se la si dovesse tradurre in poche parole, quest’idea potrebbe essere riassunta così: sconfiggere la povertà creando una banca che concede prestiti solo ai più poveri delle zone rurali a fronte di un progetto minimo. Prestiti che non sono assistiti da alcuna garanzia e che richiedono interessi soltanto nella misura minima necessaria perché la banca sia autosufficiente. D’altra parte, le banche del terzo mondo (e non solo) sono al servizio prima di tutto di ceti corporativi e privilegiati e raramente hanno la capacità di svolgere la funzione di sostegno alle piccole attività produttive che non hanno la possibilità di dare dei beni in garanzia e che, quindi, spesso si rivolgono al mercato nero del credito, agli strozzini. In questo modo, invece, le persone, anziché essere escluse da un’economia concepita esclusivamente in funzione degli affari e del lavoro dipendente, ne diventano protagonisti a pieno titolo, riprendendo il controllo della propria vita. Oggi questo modello di banca è la più importante istituzione mondiale nel campo del microcredito. È presente in 81.393 villaggi del Bangladesh con 2.568 filiali, tutte informatizzate, per servire più di 8,8 milioni di clienti: il 96,5 % di loro è costituito da donne. Un modello che ha preso slancio in aree economicamente svantaggiate, soprattutto ru-

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rali ma anche nelle periferie e nei ghetti delle grandi metropoli dei cinque continenti. Dal giorno della fondazione sono stati erogati circa 19,9 miliardi di dollari: 18,2 sono stati restituiti. Complessivamente, il tasso medio di recupero è pari al 98,96%. Grazie al microcredito sono state costruite più di 700.000 case e oltre 53.000 persone hanno potuto accedere a percorsi di alta formazione. Nel 2006 Muhammad Yunus per questa intuizione ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Perché la povertà è una minaccia alla pace. La distribuzione del reddito su scala globale ci racconta che il 94% del reddito globale va al 40% della popolazione, mentre l’altro 60% si deve accontentare soltanto del 6% delle risorse. La metà della popolazione mondiale vive con due dollari al giorno e più di un miliardo di persone con meno di un dollaro al giorno. Questa non è una ricetta per la pace che è minacciata continuamente da un ordine economico ingiusto oltre che dall’assenza della democrazia e dei diritti umani. Ma la solidarietà va indirizzata anche verso le sacche di povertà di quei paesi dove la disoccupazione è altissima. Ormai l’idea più accettata è quella di dare un reddito a chi non ce l’ha. Da noi si chiama reddito di cittadinanza, indirizzato al singolo senza lavoro, in altre parti è il reddito di base che assicura un minimo per vivere.

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I sostegni servono perché sia salva la dignità della persona, ma non eliminano la disoccupazione. Da noi in Italia il dibattito, come si sa, è molto aspro sulla utilità o sulla nocività del reddito di cittadinanza. Probabilmente quando manca una visione generale ci si perde nel particolare. Non ho l’ambizione di parlare da economista, ma una misura di sussistenza temporanea forse dovrebbe essere accompagnata da un salario minimo superiore alla misura e forse questo da alcuni incentivi fiscali per gli imprenditori che assumono e forse anche da contratti di solidarietà. Forse da altro ancora. Credo si possa essere d’accordo sull’idea che la solidarietà non deve essere elemosina, ma strategia economica che mira ad allargare le maglie del benessere e, quindi, non può che fondare su una utilità diffusa e sulla umanizzazione di tutti i rapporti. Tutti, non solo quelli economici. È necessario riflettere e imparare dalla crisi pandemica e mutare i nostri comportamenti per evitare o mitigare la possibile prossima crisi di sistema. É assolutamente indispensabile ripartire da comunità urbane in armonia non solo con le altre specie viventi, ma anche al proprio interno. Nuclei policentrici e resilienti con un più adeguato ricambio di tutte le funzioni, con una maggiore vicinanza delle persone ai luoghi della produzione e ai servizi, con quella prossimità che amplifica la vita comunitaria.

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Abbiamo bisogno di città più capaci a capire velocemente i problemi e a trovare risposte innovative, ad adattarsi ai cambiamenti, a produrre e non a divorare risorse, a coinvolgere tutti senza creare differenze tra centro e periferia. Quest’ultima è la sfida più difficile: che le periferie tornino ad essere luoghi di vite e diventino micropresìdi per la cultura, per il lavoro e per l’intrattenimento. Come? Le proposte ci sono: allargare i marciapiedi e prevedere pedonalizzazioni temporanee con lo scopo di ampliare gli spazi per l’educazione, il gioco e l’attività fisica; distribuire nello spazio pubblico teatri, cinema, musei, scuole; riutilizzare edifici dismessi per accogliere funzioni condivise; costruire una fascia di prossimità che possa consentire la fruizione di attività non solo individuali ma anche collettive, entro un limite di sicurezza e autosufficienza in caso di pericolo; emulare con una sorta di rielaborazione laica l’Eruv, la recinzione rituale degli ebrei ortodossi che circonda Manhattan e che estende di fatto il domicilio privato anche agli spazi pubblici; creare un arcipelago di prossimitá con le diverse isole connesse tra loro attraverso parchi, giardini, ferrovie inutilizzate, ciclovie o strade per auto elettriche. Sembra molto, anzi troppo. Eppure, la pandemia ci insegna che non possiamo indugiare a fare piccoli adattamenti, che non è intelligente accontentarsi, ma che è imprescindibile cambiare radicalmente e dobbiamo farlo ora. Egalitè! Solidaritè! Proximitè! Allons enfant, marchons! 15


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Politica

ZanZanZan (cit.) Antonella GOLINELLI

Vogliamo proprio non scriverle due parole su questo pasticcio? Non si può. Dunque, alla fine della fiera, alla data di oggi 7 luglio, il DDL Zan va in aula al Senato per la discussione. Non si sono messi d'accordo in commissione e si scontrano in aula. Il che mi pare pure giusto. È una proposta di legge, è già passata alla Camera con modifica a firma Annibali e si è bloccato in commissione al Senato. Mica cade il Governo se non passa, anche se lo ipotizzano. Figuriamoci. Tra meno di un mese siamo nel semestre bianco. Dove volete che vadano questi. 17


A parte che la Lucia Annibali me lo dovrebbe spiegare perché continua a restare dove è andata (che con la sua storia di maschi prepotenti ne avrebbe già dovuto avere avuto abbastanza) (e farsi far fuori un suo emendamento dai compagni di partito dovrebbe come minimo indignarla) (chissà come glielo hanno spiegato il fatto). Comunque, si è bloccato tutto lì con l'aiuto fondamentale della diplomazia vaticana. Il bianco Matteo si è fatto portavoce dei desiderata vaticani, femministi (dice lui), lesbiche e non ho capito bene chi altri. In parole povere ha proposto modifiche tali da inibire la legge e i suoi propositi. Esattamente come ha proceduto per lo Ius soli e per la Cirinnà. Lo schema è sempre quello! Con la scusa di migliorare, di mediare affossa tutto. Con lo Ius soli gli è andata di lusso e non è stato votato, con le Unioni civili è riuscito a produrre una legge tronca, senza le adozioni e senza il naturale prosieguo della legge che sarebbe il riconoscimento di tutte le unioni civili di questo pazzo mondo. Stavolta, sempre in accordo con l'altro Matteo, si è applicato a mandare nel fosso una leggina semplice semplice, nemmeno impegnativa con un sacco di scuse. E la libertà d'espressione e la libertà di insegnamento e il genere e la qualsiasi. Il colpaccio non è andato, la missione di compromesso non ha funzionato e si va in aula. E si vota. Sapendo che la Lega voterà contro se mancano voti, nello specifico i1 7, sarà colpa sua se non verrà approvata. Che non è un vantaggio per nessuno ma ti ci hanno messo in un cantone stavolta! E 18


spingono. Fatterelli di contorno colorano questo momento topico della politica. Chiara Ferragni ha fatto uscire un meme con la sua foto e una scrittina piccola piccola. Dice la signora Ferragni che certi politici fanno schifo. Uno è il lobbista misarione, l'altro è l'omonimo. Di quest'ultimo non ho visto ne sentito nulla a tal proposito, ma il primo si è esibito. E parecchio anche. Pensate che è riuscito a scrivere, sui social, che politica non si fa sui social. Che uno si chiede cosa ci faccia continuamente con dirette, posts, commenti di varia natura. Mah. E' persino riuscito a chiedere un confronto diretto con la Dottoressa Ferragni. Beh, certo! Questo residuo della politica non ha più un uditorio e vuole parassitare l'altrui pubblico. Ma certamente quello schiacciasassi (nel senso di imprenditrice di successo) si presta. Subito. La parte più ridicola sono le parti che prendono i difensori a oltranza, i pincher da guardia, quelli con un grande futuro dietro le spalle. Sono meravigliosi. Si parte dall'affibbiare ogni colpa della gestione Renzi di partito e paese a tutti tranne che a lui. Ogni fallimento ricade sulle altrui spalle perché al massimo non sono stati capace di contrastarlo, di opporsi. Ancora un po' e verranno accusati di non averlo ucciso in culla. Si continua con lo spacciare la situazione dell'uomo del monte, del mare e del deserto come win win. E non è vero. Allo stato dei fatti, se gli va bene, verrà riconosciuto come un traditore, che sarebbe pure ora, se gli va male come un delinquente 19


politico. Quindi possiamo asserire serenamente che la situazione in cui si è cacciato è loose loose. Ma passiamo un po' all'altro Matteo. Quello verde lime. Oggi obiettava sull'Ungheria e le minacce europee di sospendere i fondi. E via con una serie infinita di banalità su famiglia, diritti e compagnia cantante. La parte più sconcertante è che mentre rivendicava il diritto di Orban e di chiunque di applicare le proprie leggi sul proprio territorio senza interferenze si inchinava al Santo Padre. Che detta così... perchè è verissimo che il Papa è la più alta autorità morale e religiosa esistente, non c'è alcun dubbio su questo. È anche vero però che il Papa è un monarca eletto di uno stato straniero. Quindi vorrei capire perché le interferenze di uno stato straniero attraverso la diplomazia, perché Bergoglio se ne è stato ben fuori dalla faccenda, sono accettabili da una parte e da un'altra no. Non me lo spiego. Anzi di più. Perché sarebbe inaccettabile che la comunità di 27 stati chiamata europea, che ti finanzia munificamente da quando sei entrato, non ha il diritto di esigere un livello minimo di civiltà comune all'interno di se stessa? È difficile da comprendere questo. Anche con tutti gli artifici dialettici, poca cosa in effetti, il Matteo verde non riesce a giustificare con paragoni improbabili comportamenti altrettanto improbabili. In ogni caso se la deriva delle mancate leggi è il taglio dei fondi forse sarebbe opportuno abbassare un po' la cresta. Va poi a finire che i prossimi sanzionati siamo noi. E non sarebbe proprio un bene ci congelassero i fondi.

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Comunque, in tutto questo bordello inutile stiamo perdendo di vista le cose corpose. Non che i diritti di chiunque non siano importanti, altroché se lo sono. È il contorno di baggianate che non serve. Per esempio, i cantieri bloccati per i quali è stata fatta un'infornata di managers a che punto è? Sono avviati? Quanti e quali sono ripartiti? Di quanti fondi fermi è stata riavviata la spesa? Quante aziende sono coinvolte? Quanti addetti hanno e quanti nuovi assunti? Stato di avanzamento lavori? Ipotesi di fine lavori e consegna? Qui andavano tutti con dei gran fogli di excel ma non mi pare mica se ne siano visti e se ne vedano i risultati. Ancora, i primi fondi, l'anticipo, su cosa vanno? Possiamo avere in visione un programmino con nomi e numeri dei concorrenti? Da che parte ci facciamo? Tutte domande banali ma che sono il fondo, le fondamenta di cosa sarà il futuro. Su su su votate la Legge Zan e andiamo avanti.

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Politica

Staccate la spina Aldo AVALLONE

Questo è un appello appassionato ai compagni di Leu, a quelli del PD e agli amici del Movimento 5 Stelle. Staccate la spina a questo governo. Ora. Per impedire ai “migliori”, amici della destra di fare altri danni. Vogliamo elencare brevemente alcuni degli sconci che questo governo ha approvato o legittimato con il proprio silenzio in questi ultimi mesi? La libertà di licenziamento ancora in piena pandemia, si è rivelata già dopo pochi giorni un regalo enorme alle imprese che consente loro di liberarsi di lavoratori cinquantenni per assumere, se va bene, giovani con contratti meno costosi e con

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minori garanzie. Ma è normale licenziare 422 operai con una semplice mail, come è avvenuto alla GKN di Firenze? E non si tratta certo di un caso unico. L’attacco ai diritti dei lavoratori è proseguito con lo smantellamento del decreto “Dignità” che nel 2018 aveva stabilito regole più ferree sui contratti a termine. Il parlamento ha approvato la norma che elimina del tutto le causali che giustifichino la temporaneità reale delle esigenze dell’impresa, in assenza delle quali lo stesso decreto aveva previsto l’obbligo della conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Il salario minimo garantito, un provvedimento in vigore in qualsiasi Paese civile, introdotto dal precedente Governo nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nella nuova versione è stato cancellato come se nulla fosse. Il cashback, il provvedimento varato dal governo giallorosso, che restituiva ai cittadini 150 euro per le spese effettuate con pagamento elettronico è stato anch’esso cancellato. Serviva a ridistribuire un minimo di ricchezza e, inoltre, contribuiva a contrastare l’evasione fiscale tracciando tutti i pagamenti. Ma a un governo di destra è mai davvero interessato combattere gli evasori? Il clima politico è ancor più avvelenato e spinto a destra dall’annunciato referendum proposto dai vivaisti per abolire il reddito di cittadinanza. Pur con qualche limite, il provvedimento garantisce un minimo reddito a chi non ha altre entrate. Una legge di civiltà che ha aiutato tanti a sopravvivere in periodo di pandemia e di difficoltà economiche. Il solo proporlo è una porcata vergognosa che fa comprendere, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la collocazione di destra del senatore rignanese. È giunta l’ora di lasciarlo andare al proprio destino e dimenticarlo definitivamente. Le vicissitudini del disegno di legge Zan per combattere l’omofobia e la profonda revisione della riforma della giustizia Bonafede meriterebbero un discorso a parte, soprattutto per il metodo adottato dal primo ministro del governo dei “migliori”. Per tutto questo vi rinnovo l’appello: staccate la spina prima che sia troppo tardi. Compagni di Leu, lo so che siete in pochi in Parlamento. Ma siete preparati e combattivi, non limitatevi a fare proposte intelligenti e utili alle quali, però, nessuno dà 24


retta. Oggi non serve più soltanto una testimonianza attiva, oggi servono decisioni, anche difficili, che scuotano una sinistra profondamente addormentata. Compagni del PD (posso ancora chiamarvi compagni oppure non conviene?) voi siete abbastanza numerosi in Parlamento. Insieme ai 5 Stelle siete la parte più consistente della maggioranza che sostiene l’attuale premier. Volete far pesare questa vostra forza o sarete sempre supini alle decisioni che Draghi continua a far passare sopra le vostre teste? Oggi servono scelte coraggiose per fermare la deriva di destra alla quale il Paese si avvicina quasi rassegnato. Non è sufficiente che il segretario, il buon Letta, si limiti a qualche blanda critica rispetto allo sblocco dei licenziamenti. Oppure che riguardo al disegno di legge Zan ci si limiti a demandare tutto al Parlamento. Amici del Movimento 5 Stelle, state attraversando una profonda crisi. Era anche prevedibile visto il sempre maggiore scollamento dei vostri parlamentari rispetto alle istanze provenienti dalla base. Lo scontro tra Conte e Grillo è solo la punta di un iceberg di dimensioni gigantesche che rischia di affondare definitivamente il Movimento. Potrebbe essere soltanto una crisi di crescita se sarete capaci di cogliere le opportunità di rinnovamento offerte dal progetto di Giuseppe Conte, superando definitivamente un passato fatto di battaglie etiche importanti ma anche di errori e tanto populismo. In questo momento storico dove la destra più retriva scrive manifesti che inneggiano a Dio, alla patria e alla famiglia, occorrono gesti forti. Avete la maggioranza dei parlamentari, senza di voi il governo non può andare avanti. Siete disposti a sopportare qualsiasi cosa pur di conservare per due anni ancora il posto in Parlamento? Staccate la spina. Andiamo a votare dopo il semestre bianco nella primavera del 2022. Usiamo proficuamente questo tempo per tornare tra la gente, difendendo i diritti dei lavoratori e dei meno garantiti. Non permettiamo a Draghi di adottare altri provvedimenti che favoriscano Confindustria e i padroni. Costruiamo un’alleanza forte tra tutte le forze progressiste, siamo generosi rinunciando ognuno a qualcosa in nome di un bene più grande. E poi andiamo a votare. Se saremo bravi ce la giocheremo e se si perderà si sarà perso in nome di una buona causa. Almeno non saremo complici di Salvini, della Meloni, di Berlusconi, di Renzi e di tutte le destre palesi o meno che vogliono mettere le mani sul Paese. 25


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Politica

Quando la convenienza costa troppo poco! (Una breve storia estiva di social dumping) Giovanni AIELLO

Oggi è sorto un problema nella mia azienda. Io e i miei collaboratori abbiamo compreso che vendendo il mio prodotto al prezzo attuale chiuderò molto presto. Il motivo: eccesso di buoni sentimenti, troppa democrazia! In altri paesi, infatti, i concorrenti possono permettersi di realizzare un prodotto identico che viene importato in Italia a un decimo del prezzo all’ingrosso e poi viene venduto al dettaglio a poco più della metà di quanto non possa fare io. Il tutto con margini di guadagno più che triplicati (in certi casi finanche decuplicati), sia per il produttore che il negoziante. E questo è possibile proprio perché nei loro stabilimenti ogni cosa funziona in modo più semplice e veloce. Spesso si tratta di strutture fatiscenti, lo smaltimento dei rifiuti costa pochissimo, e soprattutto i lavoratori vanno avanti a ciclo quasi continuo per meno di 50 euro al mese, tasse comprese. Cosa fare dunque?! 27


“Uuh, buon prezzo!”, esclama soddisfatto il protagonista di un noto spot mentre osserva dal suo telefonino le offerte di una mega-piattaforma per lo shopping online. Ecco, anche il mio business dovrà andare nella stessa direzione. Dovrò portare ad un fallimento programmato la mia attività attuale, distraendo fondi da sottrarre alla procedura. Gradualmente metterò i miei lavoratori in cassa integrazione, promettendo una ripresa a tempo pieno che non ci sarà mai, e allo stesso tempo avvierò con i soldi nascosti al fisco le trattative nel paese senza diritti per fondare la mia nuova società. Forse costruirò uno stabilimento corrompendo i politici locali, o forse no. Perché sarà sufficiente strappare prezzi bassissimi sulla merce già prodotta da altri e rivenderla nel mio paese, facendomi forte dell’ecommerce e della rete già esistente da noi nella grande distribuzione. L’imprenditore Oggi anche nostra madre ci raggiungerà in Italia dal Bangladesh. Noi siamo originari di Dacca. Ma la mia famiglia però si era dovuta trasferire presto in un’altra città del paese che si trova sul mare, a circa sei ore di bus da casa nostra. Lì c’è infatti un grande porto dal quale la merce prodotta nei tantissimi stabilimenti del posto parte principalmente in direzione dell’Europa. I miei genitori lavoravano entrambi in fabbrica (anche se mio padre ha studiato come geologo), e le cose erano già abbastanza difficili per via degli stipendi troppo bassi. Ma poi la situazione è ancora peggiorata, da quando un’azienda italiana è riuscita a contrattare al ribasso in quel distretto, ottenendo condizioni vantaggiose per sé attraverso una ulteriore riduzione della paga per tutti gli impiegati. A quel punto io e mio fratello Saiful siamo subito partiti insieme a mio padre per l’Italia, dove già c’erano alcuni conoscenti ad attenderci. Anche mia madre, dopo che una sua parente è morta nel crollo di una vecchia fabbrica mai ristrutturata, ha 28


deciso finalmente di venire qui. In Italia la vita è piuttosto dura ma almeno saremo uniti. Imparare la lingua non è facile, farsi degli amici ancora meno. Abbiamo un negozietto in cui vendiamo piccoli gioielli e mio padre d’estate fa anche l’ambulante sulle spiagge del litorale. - Riya e Saiful Oggi vado a comprare delle magliette. Quest’estate l’ondata di caldo afoso da “crisi climatica” sta rendendo la vita difficile. Anni fa avevo trovato delle t-shirt di cotone leggerissime, tanto che sembrava di non indossare nulla. Erano economiche e pratiche. Mai più trovate di quel livello. Certo, erano tutte bianche, davvero standard. Ma allora se volevi maglie semplici ed economiche da usare tutti i giorni non c’era molta scelta. O c’era il bianco “original marines” oppure delle scritte grossolane ed orribili. Entro in un grande magazzino. Spero di trovare qualcosa di adatto, paragonabile a quelle vecchie maglie di cotone pagate diecimila lire ciascuna. Io adoro le maglie di colore blu, di ogni tonalità possibile dall’avion a salire, fino a quello scurissimo. È un colore che ha mille qualità. Si abbina facilmente, cela bene qualche macchia occasionale o alone dovuto ai lavaggi e poi è comunque elegante, incontestabile. Ed ecco che mentre mi aggiro fra gli scaffali dello store intravedo finalmente qualcosa. Sono perfette! Vestono bene, sono sottili, ma non tanto da deformarsi dopo due lavatrici. Sono resistenti, ma non in modo da risultare spesse e quindi calde. Decido allora di comprarne sei, di quattro blu diversi. Totale importo: meno di 50 euro. Ogni capo costa appena 7.99. Sono proprio le mie magliette ideali! Le mie magliette ideali prodotte nel distretto portuale di Chittagong, in Bangladesh. - Io e la mia maglietta ‘ideale’ 29


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Politica

Il rinascimento degli idioti. Breve testo soggettivo, di parte e malevolo Gian Nicola MAESTRO

Nel 2014 usciva Mediocrazia, del filosofo canadese Alain Deneault. Un libro che descrive la lenta genesi, più una putrefazione in realtà, dell’ascesa al potere del Mediocre.

In medio stat virtus!! mi urlava il professore di lettere, un salesiano esasperato. Io non capivo, sinceramente, come potesse sbocciare tutta sta virtù da gente così noiosa, prevedibile e grigia. Ma sapevo anche di essere catalogato come un “ ribelle” e immaginavo fosse quindi un mio problema. O una mia virtù.

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Nella “nuova normalità” ,direi che abbiamo sorpassato, ghignanti come Gassman nella famosa sequenza di Risi, anche il libro di Denault. Siamo oltre. Sarò io, ma ogni giorno mi sembra che l’asticella della idiozia/follia/ignoranza/ arroganza (componenti base di ogni mediocrità )si alzi di qualche misura. In questo anno e mezzo siamo stati catapultati in un futuro (?) distopico e triste, dove siamo anestetizzati, sommersi dagli idioti mediocri. Dove crimini come quelli del carcere di Santa Maria passano quasi con fastidio sui media (la sx che trova solo risposte inseguendo la dx, ma è un altro discorso ….) Dove siamo ridotti ad avere come campioni della gente Fedez e Ferragni (ma davvero ci voleva Fedez per mandare a stendere Renzi?!). Dove l’emergenza giustifica ogni taglio alla libertà ,senza neanche poterne discutere. Con lo spirito di un entomologo polemico, propongo un breve bestiario, esagerato, polemico e di parte, ovvio, dei nuovi personaggi della tragicommedia italiana. Il ringhiante. “la mascherina!!! metti la mascherina!!!!” si sgola dal balcone, urlando al ragazzino che passa sotto casa in assoluta solitudine. Di solito si incontra in code al supermercato o alle poste, dove squadra con occhio malevolo chiunque sia ,anche solo un cm dentro i due metri istituzionali ,soprattutto se sembra di buon umore. Non lo sopporta. Ma questo anche prima della pandemia. Il liberi tutti.

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E ’finita, siamo fuori dal tunnel, l’economia tira e Draghi è ’il dominus, santo e buono, di questa rinascita (be ’questo sui media e ’davvero un continuo peana al salvatore della patria). Guai a dirgli che fasce intere di professioni sono state distrutte, che il divario tra poveri e ricchissimi e ’sempre più largo, e la classe media (ah ah) scivola sempre più giù .Che salveranno le imprese, ma non le persone… Siete i soliti pessimisti. Il complottista totale. Quando ho visto che anche in Italia erano stati aperti più canali Qanon, ho perso davvero ogni speranza. Trump campione della gente, che salva il mondo da pedofili satanisti. In usa 60 e passa milioni di idioti ci credono, qui da noi qualche decina di migliaia, e mi fa davvero paura. Il complottista totale non ha paura di sembrare ridicolo, anzi ne fa un vanto, di essere un idiota, e questo lo rende ancora più nocivo.

L’illuminato. Lui sa. Vi sorride dolcemente e vi compatisce. Ma non è ostile ,solo lui SA e voi NO. Questo lo avvolge in una luce brillante, una aura di saggezza. (perlomeno è ciò che pensa lui). Cosa esattamente sappia, non ha importanza, lui SA. Il tiburòn. Lo squalo (anche se il paragone è insultante per le specie ittiche) è quello che credeva di fregare tutti o quasi (i più deboli, non si mette MAI contro i potenti, è 33


anche vigliacco) prima del covid e ora si sente autorizzato a fare peggio. E ’il cliente che una volta vi avrebbe chiesto di fare il lavoro mezzo gratis perché è“ un investimento” ,e ora si fa il prezzo lui, perché“ c’è la crisi”. E si potrebbe continuare, ma diciamo che questi sono i tipi base che ho osservato, in varie misture e gusti e percentuali. In mezzo a questo sconsolante panorama, tragicamente ridicolo, la piaga degli idioti e dei mediocri sguazza felice e prospera. Ora che la ignoranza è assurta a virtù( i professoroni.. gli esperti… gli scienzati) ,Facebook è diventata la fonte della verità. I guerrieri da tastiera ormai senza freno, e senza il senso del ridicolo, smentiscono e affermano tutto e il contrario di tutto. Ma non importa. Ciò che mi colpisce è la velocità .In un battito di ciglia mondiale, la proliferazione spontanea delle spore, già abbondantemente coltivate nei decenni di imbarbarimento dei media, di distruzione della scuola pubblica (mentre la privata ingrassava), di riduzione delle università a semplice prodotto, ha generato una massiva produzione di idioti arroganti, ma mediocri nel senso letterale. In un anno e mezzo la nostra capacità di pensiero critico è stata messa a dura prova. La continua emergenza, il bombardamento mediatico di parole e immagini costanti di morte e malattia e, appunto, emergenza, la spinta a fare QUALCOSA, qualsiasi cosa, dei politici, fosse anche sbagliata o affrettata, hanno fatto si che il pensiero critico sia diventato un peccato mortale. Allegramente abbiamo accettato ogni regola, ogni chiusura o apertura, ogni pasticcio… abbiamo applaudito dai balconi, abbiamo urlato in strada, abbiamo cancellato dalla nostra mente il cancro, gli infarti, le malattie croniche (e chi ne soffre), abbiamo l’ennesimo governo di 34


gente non votata (ma chissenefrega) e intanto si muore di lavoro quotidianamente. E potrei continuare. Ma non servono ulteriori elenchi, servirebbe un nuovo modello di vita. Per tutti. Magari questo shock mondiale spronasse una riflessione sul modo di vivere folle e suicida che abbiamo. La dicotomia mortale tra le parole che ascoltiamo da pensatori pubblici, politici, giornalisti insomma chiunque e la realtà è sempre più pesante. Intanto, la italica compagine di milionari in calzoncini vince gli europei. I toni sui media sono da impresa in orbace, da entusiasmo nazionalista, e tutto viene dimenticato. La sensazione è di essere su un piccolo naviglio, alla deriva, con l’equipaggio più pigro e nullafacente del mondo, pronti a scannarci tra di noi, con falle ovunque. E invece di preoccuparci di non affondare, ringhiamo. Intanto l’equipaggio degli idioti vira, stramba, e torna a virare, in un patetico balletto. La nave sta per affondare, ma sul ponte si balla. Le peggiori sfumature di squallore si sommano a insipienza e arroganza, e certe volte manca davvero la forza di combattere… Forse il danno è fatto, e ci vorrebbero generazioni per cambiare. “Non permetterò a nessuno di dire che vent’anni è l’età più bella” scriveva Paul Nizan in Aden Arabia. Ora è una verità assoluta. I “giovani” ,assurti a nuovi untori - ma solo se NON sono tifosi di calcio, come tifoso puoi ammassarti dove vuoi - sono i propagatori della peste. In realtà sono dimenticati. Hanno visto sparire la scuola, la socialità e il futuro. Un intero settore professionale, quello della cultura e del divertimento, cancellato. La possibilità di uscire, ballare fare vita sociale (e non sui social) sparita. Che poi qualcuno mi spieghi perché musei, teatri etc. sono stati chiusi, mentre sull’autobus o sul treno o aereo, si è trovato il modo. Come nelle fabbriche. La vita umana si butta allegramente (quella degli altri) SOLO se qualche padrone deve guadagnare. Ma 35


c’era l’emergenza… che giustifica tutto. Acriticamente. L’essere umano ha bisogno non solo di nutrimento materiale e riparo, che comunque molti non hanno, ma anche di cibo per l’anima. E capisco che inizino a esserci feste “illegali” ,che ci siano comportamenti irrazionali, e sanzionarli senza cercare soluzioni è il peggio che si possa fare. Ma ovviamente solo questo si farà .Per gli idioti, la risposta è il pugno di ferro, sempre se non riguarda loro. Il cocktail di tutto questo, nonostante sia espresso in questo mio sproloquio come un panegirico di lamentele, come un mugugno seriale, è la realtà dove agiamo, ed è una mistura esplosiva e pericolosa. Diventeremo un branco di pecore belanti, pronte a accapigliarci per la sopravvivenza, a esiliare chi è diverso, abituate all’indifferenza, a ridere dei migranti che muoiono, a regalare pezzi sempre più grandi delle nostre libertà senza pensare. In questa Weimar 2.0, una Weimar dell’anima, l’idiota mediocre prospera, sguazza, grufola e si riproduce allegramente. Intanto intorno si muore lentamente, un poco ogni giorno, mentre ancora si cerca di pensare, di agire, ma la marea del pensiero unico e mediocre ci soffoca sempre più. Si pensa che ci sia sempre tempo, per rimediare, per fare qualcosa. No, non è vero. Siamo vicinissimi al punto di non ritorno, per la sopravvivenza delle nostre anime. Quando si anestetizza il cuore. Quando non si è più capaci di compassione, nell’accezione cum patior -soffrire insieme. Quando l’empatia è un crimine, o uno s

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.

Quando si lascia parlare la pancia della gggente, e non il cuore. É allora che la mediocrità e la follia idiota si uniscono danzando, alla festa della morte rossa. E con questa immagine di gioia e speranza, sipario. 36


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Politica

Cronaca di un sogno Raffaele FLAMINIO

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L’Unità laburista compie due anni di pubblicazioni con il numero di luglio del 2021. La nostra avventura è cominciata ante Covid 19, con un mondo che procedeva monotono e distratto dimenandosi su analisi e possibili strategie da applicare per trovare un senso. L’avvento dell’epidemia ha scosso tutta l’umanità cogliendola, come dicevo, pigra e impreparata, incapace di interpretare i mutamenti civili e climatici che l’antropologia e la natura s’impegnavano a manifestarci. Il virus con la sua irruenza cruenta ha fatto da livella, ci ha affratellati e resi uguali, ma non liberi. Subito si è presentato l’interrogativo sulla Democrazia e i suoi diritti, accettare la visione compressiva di tutto o cercare di opporsi, ed aprire degli spazi nuovi che contemperassero la responsabilità individuale della Fratellanza, Uguaglianza e Libertà, che conducessero alla responsabilità collettiva, e quale costo da pagare ed accettare rispetto a quest’ultima. Nei terribili inizi della pandemia, personalmente, quando tutto era fermo, mi sono illuso che finalmente le cose potessero veramente cambiare, che la paura e lo sgomento per quanto stesse succedendo, infondesse sinceri e mediti consigli al genere umano che aveva vissuto il “Secolo Breve” con un senso di impotenza senza precedenti. Che il rigenerarsi nella natura in poco tempo ci convincesse a cambiare rotta, impegnandoci a fare le cose per stare meglio tutti: è da lì che veniamo, dal mondo naturale, e grazie ad esso e alle sue risorse che progrediamo. 39


Ci ha consentito lo sfruttamento selvaggio, ha aperto le sue vene regalandoci linfa, ci ha dato tempo e modo per pensare ad una nuova organizzazione nel vivere ma come tutti gli organismi viventi rischia il collasso, la perdita di coscienza e la morte. Ho ascoltato e pensato, valutato i progetti e i propositi con entusiasmo ed interesse, dicendomi sempre e più convintamente: è fatta, è vero non tutti i mali vengono per nuocere, dopo la Fraternitè e l’Egalitè finalmente la Libertè.

Alla fine, l’amara costatazione che siamo Fratelli e Uguali ma il nostro è mio e il mio è mio.

Se sei diverso per colore, religione, censo, lavoro ora non sei più mio Fratello e non sei Uguale e della Libertà forse me ne infischio se ho quello che mi serve, e per compensarti ti racconto una bella storia che metto sui social network così faccio “democrazia e partecipazione”, tanto chi me lo impedisce, il mondo è carta moneta virtuale e tu Peones.

Non sono in una crisi depressiva, credetemi, scrivendo su questa libera testata, ho imparato a raccontare quello che vedo e sento; i commenti appartengono ai lettori.

Credo che il nostro compito sia quello di raccontare la realtà, anche schierandoci, per dare voce alla Libertà.

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Cultura

Un poeta al tempo del Papa Re Giovan Giuseppe MENNELLA

Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo 10-10-1921/Conegliano Veneto 18-10.2011), il poeta italiano del ‘900, che se ne intendeva, definì i sonetti romaneschi di Giuseppe Gioacchino Belli (Roma 1791-1863) il più grande capolavoro letterario dell’800. E’ soprattutto un monumento letterario eretto al linguaggio, al modo di vivere, alle usanze, alle idiosincrasie della plebe romana della prima metà del XIX secolo. Nel periodo storico in cui si sviluppò la maturità umana e letteraria del poeta la città di Roma e il resto dello Stato Pontificio, composto da Lazio, Umbria, Marche 42


e dalle Province di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì, vivevano dal 1816 la restaurazione del dominio papale, dopo la parentesi della dominazione francese susseguente alla Rivoluzione e all’epopea napoleonica. Dal 1816 il Cardinal Consalvi aveva assunto l’incarico di Segretario di Stato del Papa Pio VII. Consalvi era un moderato, che aveva intrapreso l’opera di riorganizzazione dello Stato pontificio dopo la parentesi napoleonica. La sua opera fece compiere allo Stato qualche progresso rispetto all’epoca prerivoluzionaria, anche se non furono confermate la maggior parte delle riforme introdotte negli anni del dominio francese. Il regresso più grave fu rappresentato dal ripristino del governo ecclesiastico e dalla reintroduzione del monopolio dei prelati nell’amministrazione centrale e provinciale. In tal modo tutto il potere politico era nelle mani di un ristretto ceto di prelati che consideravano lo Stato come un beneficio, un loro patrimonio da sfruttare. Luigi Carlo Farini, il politico romagnolo che nel 1860 avrebbe gestito in nome di Vittorio Emanuele II e di Cavour il periodo di passaggio dell’Emilia Romagna allo Stato Sabaudo, osservò nel 1853 che “i governanti dello Stato della Chiesa si credono padroni e non amministratori; non sono funzionari pubblici, ma uomini partecipanti della sovranità che esercitano in nome della Chiesa: e tengono lo Stato come un grande beneficio ecclesiastico, da sfruttarsi dagli uomini di chiesa. Anche un politico accorto e di vedute larghe come il cardinal Consalvi non fu in grado di fare molto di più per la modernizzazione dello Stato, soprattutto per l’opposizione dei prelati detti “zelanti”, cioè i rappresentanti più reazionari della Curia. 43


La situazione peggiorò ulteriormente con l’elezione di Papa Leone XII, uno zelante che subito licenziò il Consalvi e ancora di più dal 1831, con l’elezione di Gregorio XVI. Il periodo di regno di Gregorio XVI, dal 1831 al 1846, coincise con il periodo più duro e oscuro del malgoverno papale e con quello più fecondo e ispirato della produzione letteraria del Belli, soprattutto dei sonetti romaneschi. In effetti, nei periodi di oscurantismo politico l’inventiva letteraria fiorisce ugualmente, anzi in modo ancora più ispirato, perché le difficoltà della repressione e della censura stimolano l’ispirazione e incentivano a cercare modi nuovi e più originali di espressione, non fosse altro che per mettere alla berlina i potenti in modo obliquo affinché loro stessi non se ne rendano conto. Emblematico è un appunto trovato nelle carte del Belli, scritto presumibilmente nel 1846, al momento della morte di Gregorio XVI, il cui contenuto recita “io a Papa Grigorio je volevo bene, perché me dava er gusto de dirne male”. Belli esprime quindi nei sonetti l’insoddisfazione e la sofferenza della plebe romana, costretta a subire questo stato di cose, plebe che di uguaglianza e libertà ne godeva poca o niente del tutto. Nei giorni in cui si celebra l’anniversario del primo atto della grande Rivoluzione del 1789 può essere interessante esaminare come è trattato nei sonetti belliani il rapporto tra il popolo romano e i tre grandi principi rivoluzionari francesi della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità Quello che è trattato più frequentemente è il rapporto del popolo con l’uguaglianza. Le enormi disuguaglianze presenti in quell’epoca erano qualcosa di concreto, di materiale, visibile in ogni manifestazione della vita. Così i cibi raffinati e abbondanti che mangiavano i ricchi e quelli poverissimi e insufficienti di cui si dovevano accontentare i moltissimi diseredati, i vestiti sontuosi degli uomini 44


di potere e gli stracci dei poveri, le onorificenze, le croci, le patacche appuntate sul petto di lor signori e i calci nel sedere che dovevano subire quasi quotidianamente tutti gli altri poveracci. Nel sonetto “La porpora” del 17 gennaio 1833 la plebe appare rassegnata, destinata a subire in sempiterno le angherie dei potenti cardinali; che cosa è la porpora del manto cardinalizio, è il sangue di Cristo? No, è il sangue dei cristiani, dei romani. La veste dei cardinali è color porpora perché bagnata del sangue della plebe e il sangue le scorre ai piedi come in un fosso, quando le danno in gola con il “palosso”, con il coltello, come si fa con le pecore e con i cani. Traspare comunque nel sottotesto un anelito al riscatto, un grido che chiede una maggiore uguaglianza sociale. Nel sonetto “Li Papati”, datato 4 maggio 1833, è detto che tutti Papi, appena eletti, sembrano voler prendere provvedimenti in favore dei diseredati, ma poi, col tempo, appena cominciano a padroneggiare i meccanismi del potere, fanno scialare il ricco e stentare il meschino e povero chi si lamenta perché nessuno risponde a chi strilla giustizia. Ne “Li du’ ggener’umani”, del 7 aprile 1834, si sottolinea che “solo a ssu’ Eccellenza, a ssu’ Maestà, a ssu’ Artezza, fumi, patacche, titoli e sprennori, e a noantri artiggiani e sservitori er bastone, l’imbasto e la cavezza” e si continua con “Cristo creò le case e li palazzi p’er prencipe, er marchese e ‘r cavajjere, e la terra pe nnoi facce de scemi”. E a proposito di cavalieri, esilarante è il sonetto “Li cavajjeri” scritto il successivo 21 aprile dello stesso 1834, in cui si immagina che “Li sovrani nun zanno antro che ffà che cavajjeri. Preti, ladri, uffiziali, cammerieri tutti co le croscette a li pastrani. 45


E oramai si le chiedono li cani, dico che jje le danno volentieri”. Ma poi, nel giorno del Giudizio Universale, “Ggesucristo, arzanno er braccio, dirà: Ssignori cavajjer der c….., ricacate ste crosce, e a l’infernaccio”, con evidente auspicio palingenetico che almeno nel giorno del Giudizio ci possa essere un’eguaglianza livellatrice, anzi un capovolgimento totale, con i cavalieri all’inferno e gli umili in cielo. Non altrettanto avvertito dal popolo romano, e cantato del Belli, è il concetto di Libertà, molto più astratto di quello dell’uguaglianza. La disuguaglianza si percepisce in modo concreto. Il ricco mangia moltissimo, ha bei vestiti, uniformi scintillanti, decorazioni, grandi palazzi, mentre il povero mangia poco e male, veste con quattro stracci, vive in case modeste. La differenza tra i due tenori di vita si coglie nel sonetto “La bbona famijja”, del 28 novembre 1831, dedicato a una famiglia umile e ne “La Viggija de Natale”, del 30 novembre 1832, sulle prelibatezze che arrivano nella casa di un Cardinale in un giorno di festa. La cena della famiglia umile consiste in “du’ fronne d’inzalata”…”quarche vvorta se famo una frittata che ssi la metti ar lume sce se specchia come fussi a ttraverzo d’un’orecchia: quattro nosce e la cena è tterminata” . Mentre al palazzo del Cardinale alla Vigilia di Natale entrano: “una cassetta de torrone, un barilozzo de caviale, er porco, er pollastro, er cappone, er fiasco de vino padronale, er gallinaccio, l’abbacchio, l’oliva dorce, er pesce de Fojjano, l’ojjo, er tonno e l’inguilla de Comacchio”. E’ vero che il Cardinale nello Stato della Chiesa riveste un ruolo anche politico, ma la disuguaglianza delle cose concrete non potrebbe essere può smaccata e concreta. Ne “Li polli de li vitturali”, del 28 ottobre 1833, un popolano si rende conto che i carretti con gabbie di polli e cesti di uova che vengono dalle Marche non sono per i 46


poveretti, per i quali non esiste “la grascia” ma solo “un tozzo de pane, quattrr’ajjetti, e ssempre fame vecchia e fame nova. Preti, frati, puttane, cardinali, monziggnori, impiegati e bbagarini: ecco la ggente che ppò ffà li ssciali. Perché ste sette sorte d’assassini, come noantri fussimo animali, nun ce fanno mai véde li quadrini”. E Belli, per bocca del popolano, qui ha detto veramente tutto. Nei sonetti belliani il tema dell’anelito alla libertà individuale è trattato poco o nulla, perché meno concreto e meno avvertito sulla pelle della plebe di quello dell’uguaglianza sociale. Questa problematica sembra un’anticipazione, un prodromo della divaricazione, d’attualità nel mondo contemporaneo e ancora di più nel tempo presente, tra diritti di libertà individuali e diritti sociali. E’ diventata tradizione dei populisti accusare ingiustamente la sinistra di battersi per tutelare i diritti di libertà individuale e trascurare la difesa dei diritti sociali dei meno abbienti. A parte che i diritti di libertà prima o poi riguardano tutti, anche e soprattutto i meno abbienti, va detto che la situazione politico-economica mondiale, soprattutto quella economica, rende difficile per qualunque parte politica intraprendere una svolta decisiva nella difesa dei diritti sociali, specie se si tentasse di farlo in un solo Paese e non con una lotta globalizzata che coinvolga molte altre aree geografiche. Il concetto di fratellanza sembra che fosse poco considerato nella società romana e papalina degli anni ’30 e ’40 del XIX secolo e anche di questo c’è un’eco nei sonetti belliani. Presso la plebe romana sembra vigere la legge del taglione, occhio per occhio e dente per dente, e anche peggio, altro che fratellanza. In uno dei primissimi sonetti, “L’aducazzione”, del 14 settembre 1830, un padre snocciola al figlio un vero e 47


proprio decalogo di comportamento sociale: “si cquarchiduno te viè a ddà un cazzotto, lì callo callo tu ddajjene dua”……si ppo quarcantro porcaccio da ua te sce fascessi un po’ de predicotto, dijje: de ste raggione io me ne fotto, iggnuno penzi a li fattacci sua”…….pe cquesto hai da portà ssempre in zaccoccia er cortello arrotato e la corona”. Nel sonetto “Vonno cojjonatte e rugà”, datato 2 ottobre 1831, un personaggio che va a comprare un giubbetto usato finisce per litigare con il commesso e alla fine accade che “Io bbuttelo pe terra…….te l’agguanto in petto. E ssai come finì? Cco la barella.” Nel sonetto “La lingua nova”, datato 2 dicembre 1832, un popolano punisce duramente a colpi di pietra in faccia un figuro che aveva fama di uomo violento, spia del Governo, che aveva insultato un amico del protagonista. In conclusione, nel canzoniere dei sonetti romaneschi del Belli, si trova la narrazione delle enormi disuguaglianze sociali della Roma papalina della prima metà dell’800, con il popolo che sogna invano l’uguaglianza materiale delle classi. Non si fa alcun accenno alla libertà, perché concetto troppo astratto per essere compreso da gente semplice, dagli istinti elementari e viscerali. Vi si rinviene quel poco di spirito di fratellanza che non può non unire il popolo dei diseredati rispetto alla classe dominante dei prelati e dei ricchi, ma anche la violenza primordiale dell’individuo contro un altro individuo. A qualunque classe esso appartenga.

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Cultura

Un rigurgito di umanità Antonella BUCCINI

Non c’è dubbio, ai tempi di Melville le cose andavano diversamente. Altri personaggi, altre intenzioni. Moby Dick, una balena di tutto rispetto, cattiva, astuta, provocatoria, ironica. Incarnazione del male, quello che si trancia di netto, senza indugi, nelle storie che non tradiscono la purezza e la complessità dei sentimenti. E di Akab che dire, un uomo divorato dal livore, sopraffatto dai suoi stessi demoni. Lo scontro tra i due è epico, maestoso, racchiude in sé un destino, l’uomo e la natura. Anche la balena di Collodi fa la sua figura e certamente ha da insegnarci molto in tema di ospitalità verso chi si perde per mare. Michael Packard, invece, è capitato male, almeno così sembra. Michael è un pescatore di aragoste e con l’attrezzatura del caso si trovava lungo le coste di Cape Code per 50


ragioni di lavoro. Ad un tratto ha sentito un tonfo. Non è cosa facile orientarsi in mare. In prima battuta ha pensato a uno squalo. Non avvertiva dolore però, si percepiva tutto intero. Era buio intorno ma riusciva comunque a muoversi ed è stato allora che ha avvertito come dei muscoli nel suo raggio di azione. Muscoli non suoi. E poi ha capito. Era stato risucchiato da una balena e stava nuotando nella sua bocca. Il nostro Michael ha giustamente temuto il peggio e ha pensato in fretta a come uscirne vivo. Ma intanto, nel giro di trenta secondi, la balena è salita in superficie, ha agitato la testa e lo ha sputato fuori. Michael è planato sull’acqua a galleggiare incredulo. Non si sa se per un conato, per l’ingombro eccessivo, (pensate alla muta, le pinne e gli occhiali come recita la famosa canzone), per una forma di ribrezzo, perché si sentiva solleticare il palato, ma la balena lo ha liquidato velocemente come un incidente fastidioso. Quale che sia la dieta delle balene si insinua un sospetto. Questo rifiuto è stato troppo netto, rapido e senza esitazioni. Non è proprio usuale. A chiunque sarà capitato di ritrovarsi con qualcosa di bizzarro in bocca e magari, esplorandone la consistenza o la superficie, ha valutato in un certo tempo se buttar giù o no. Oppure, ad esempio, il nocciolo di una ciliegia è scivolato nella trachea senza intenzione, così, all’improvviso. La balena invece non ci casca, ha i riflessi pronti, qualche secondo e via. Aveva già esperienza degli umani? Ne aveva incontrato qualche esemplare? Ne ha conosciuto in qualche modo la curiosa conformazione del corpo o quella dell’anima? Probabilmente avrà sentito parlare del DDL Zan. Potrebbe anche aver saputo dei calciatori italiani che agli europei si inginocchiano contro il razzismo…. forse…. anzi no…. un po', solo un po'. Quali le ragioni, dunque, di uno sputo così…. sprezzante? Magari è tutto più semplice e, chissà, allo sventurato Michael è stato inoculato astrazeneca e quel retrogusto trombotico avrà disgustato la povera megattera! 51


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Racconto

Benvenuti in Italia Massimo MORINO

Mia moglie era attaccata al bordo e io cercavo di tenerle la testa su. Sentivo la gente, aggrappata come noi alla chiglia della barca capovolta, che si lamentava, pregava, urlava in tante lingue diverse. Il mare era scuro e rabbioso. Non avevo mai visto il mare prima ed ora ci ero dentro, ci stavo morendo. Pensavo al villaggio con le case di fango e lamiere, col vecchio pozzo di acqua sporca e fangosa. Agli uomini armati che ogni tanto arrivavano e prendevano qualche giovane donna o qualche ragazzino più in salute e li portavano via. Al cimitero pieno di bambini morti. Mia moglie era incinta, non poteva più vivere lì. Ibrahim era partito per la Francia cinque anni prima e ci aveva detto che si stava bene in Europa. Che l’acqua da bere 53


non ti faceva morire e che la gente non veniva portata via di notte. Aveva un lavoro in un ristorante. Mio fratello ci aveva mandato dei soldi. Si, avevo deciso di provare, ma Dio pareva che avesse altri piani. Salva mia moglie e il nostro bambino, pregai. Mio fratello mi aveva detto anche che in Europa molti non ci volevano. Avevano paura di noi. Pensavano che volessimo andare a casa loro per rubare e per fare i delinquenti. Ma io per noi volevo solo una vita senza la paura di morire per la fame, per le malattie, o di essere uccisi dagli uomini armati. Io volevo solo un po’ di serenità per la mia famiglia. Un piccolo pezzetto, senza dare fastidio a nessuno. Alcuni vicino a noi avevano lasciato la presa ed erano scivolati via in silenzio nel buio. L’acqua era fredda e le onde mi sommergevano la testa. La bocca piena di acqua salata. Salva mia moglie se ci sei, ti prego. Sarei andato a Marsiglia. Avrei lavorato e poi con Ibrahim e le nostre mogli avremmo aperto un piccolo ristorante. Le cose sarebbero andate bene. Ora ero stanco, avrei voluto scivolare via ma non potevo. Mia moglie era stanchissima e mi guardava con i suoi occhi grandi e io la tenevo per un braccio e non potevo, non potevo… Sentii il motore prima di vederla. Era una barca, forse un peschereccio. Una luce illuminò il buio e le urla aumentarono. Dovevamo resistere ancora un poco. Quando tirarono su me e mia moglie mi resi conto che eravamo rimasti in pochissimi. Tutti gli altri andati. Mia moglie stava piangendo e forse lo stavo facendo anche io. Un uomo venne vicino a noi e ci diede una coperta e una tazza di caffè caldo. Non conoscevo la sua lingua capii solo “Benvenuti in Italia”. I suoi occhi erano buoni e il suo fu il primo sorriso che vidi dopo settimane di viaggio.

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Racconto

È lei Lucia COLARIETI

Lara avvertiva un leggero senso d’inquietudine, come se da una stanza buia qualcuno le stesse indicando uno spiraglio da cui fuggire, ma lei non si fidasse. La sua amica del cuore aveva insistito per partecipare a quel seminario, le aveva detto «prendiamoci una giornata di riposo, si occupano di benessere e cura di sé, io penso tu ne abbia bisogno». Adesso Lara stava ad osservare il tergicristallo dell’auto che andava avanti e indietro sotto la pioggia e le parole della psicologa che aveva tenuto la conferenza le

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vorticavano nel cervello, avanti e indietro a scombinare i pensieri così come le due asticelle spazzavano via le goccioline d’acqua. La sua vita fino a quel momento le era sembrata riuscita, un successo perseguito e conquistato. Il giorno prima al mattino correva per le vie del centro diretta al grattacielo dove lavorava come consulente, aveva una riunione importante e aveva indossato il suo tailleur rosso che la faceva sentire sicura di se. Come sempre aveva controllato nel riflesso della vetrina che l’effetto fosse quello che desiderava. Uscire di casa era quasi un rito, prepararsi con cura, fare attenzione ai minimi particolari illudendosi che anche qualcun altro ci potesse fare caso, voleva darsi un’aria di donna in carriera, libera e determinata e offrire l’immagine di se che preferiva. Lara era stata cresciuta con la convinzione che lo studio fosse la sola cosa importante nella vita. Da piccola, invece di giocare a mamma e figlia, giocava “all’ufficio” e nessuno le aveva mai fatto intravedere una possibilità diversa di realizzazione. Dopo il lavoro, come ogni giorno uscita di fretta, il suo cervello già lavorava alacremente alla organizzazione casalinga. Non si permetteva distrazioni, era tutto incastrato al millimetro, i bambini e il marito la aspettavano a casa, infilava la chiave nella toppa e già udiva le loro voci che le davano calore al cuore anche se avrebbe tanto desiderato un attimo di silenzio. In trasparenza tra i fari dell’auto che la precedeva affiorò il ricordo dell’ultimo litigio con il marito, lui era distratto, preso dalle sue abitudini e completamente concentrato in quella odiosissima ultima automobilina che stava montando. «Avrei solo voluto andare al cinema», aveva detto Lara. «E perché? Tanto non danno mai un film interessante, e poi stasera in TV c’è quella trasmissione che non posso perdere». 57


«Però è tanto tempo che neanche andiamo a ballare». «Ma come ti viene? E i bambini dove li lasci?» «Ho capito, sarà per un’altra volta, magari metto un po’ in ordine in casa». «Si brava, non fa niente, poi si farà» aveva concluso lui. Desidero solo essere un po’ felice, aveva pensato Lara, ma non fa niente. La solita coda all’ingresso della tangenziale la riportò all’attimo presente: aveva fatto di nuovo tardi. Forse era meglio telefonare per avvisare. La voce al cellulare risultò subito di rimprovero, non c’era bisogno di capire le parole, bastava il tono, arrabbiato, indagatore, accusatorio: «che fine hai fatto?» «Forse sto morendo, ti interessa?» avrebbe voluto rispondere, ma si limitò a riattaccare.

Il giorno dopo aveva ripreso la sua vita, impegni, aspettative altrui, silenzi. La riunione si protraeva con argomenti che non la interessavano, le cifre, gli obiettivi, i carichi di lavoro cadevano come polvere grigia ad imbrattare ogni cosa, la colse un desiderio di aria e spazi aperti. Senza che ci pensasse troppo, alcune cose che aveva ascoltato il giorno prima, tornarono a svolazzare intorno a lei, tutto le sembrava pesante e le costava tanto, ogni cosa era troppo e troppo poco. Qualcosa non andava e non c’era una spiegazione razionale.

Tornò a casa di corsa, i bambini erano in palestra con il padre, la casa era silenziosa e lei aveva da stirare. Prese la prima camicia dalla pila dei panni, il tessuto si stendeva ribelle sotto il ferro da stiro, sferrava colpi rabbiosi sul cotone indomito, 58


nel cervello le giravano pensieri difficili da gestire. Come al solito era stata costretta a rubare una mezz’ora alla riunione, svicolando e balbettando qualche scusa, per trovare il tempo di abbattere quella montagna minacciosa di panni. Non c’era mai il tempo di fare niente e meno che mai per farlo con calma, ma non erano i lavori domestici a frullarle in testa mentre piegava magliette e allacciava bottoni in quel pomeriggio, era quella parte di se che ogni tanto si affacciava e squarciava la precaria quiete della sua vita, era un pensiero che pian piano si stava facendo strada e che la inquietava abbastanza, non era facile tornare a casa e sentirsi svalutata, messa in discussione, aver sempre la sensazione di stare facendo male. Di nuovo l’assalì la sensazione di essere prigioniera di un silenzioso aguzzino, di essere derubata della gioia di vivere, dell’entusiasmo e della libertà di essere se stessa. Un’eco di musica martellante salì dalla strada, un ritmo ancestrale e profondo veniva dalle percussioni di una coppia di ragazzi che suonavano sul marciapiede. Lara sentì cadere dentro di sé il precario equilibrio che credeva di avere raggiunto, vorticando con il martellare dei tamburi le sue viscere si risvegliavano da un torpore velenoso, il ferro da stiro rimase sulla camicia a bruciare un lembo di stoffa. Un rogo dei lacci in cui lei stessa si era imbrigliata. Lara abbandonò lo strumento di tortura, lasciò le ciabatte sul pavimento e a piedi nudi si accostò al balcone. Il ritmo profondo e incalzante iniziò a far emergere ciò che aveva tentato di soffocare sotto finti doveri, lo aveva sentito al seminario: la donna selvaggia( * ) abita ognuna di noi.

E’ lei! E’ lei che bussa alle soglie della coscienza, 59


è lei che ci richiama alla fonte della nostra vita.

Nella contemplazione di un cielo stellato In un verso scritto di getto Nel silenzio della campagna coperta di brina Nel fragore del mare in tempesta In una fuga solitaria per le vie del centro Sulle note evocatrici di nuove atmosfere In un lavoro fatto a mano La ritroviamo. E ci guida a cercare la pienezza di vita

Quando il ruolo mi irrigidisce Quando le lacrime si fermano dietro i vetri dei miei occhi Quando sono troppo stanca anche per sorridere Quando le risorse sono esaurite Quando tutto è deserto Allora è il momento di andarle incontro È’ ora di lasciar perdere il “devo” E’ ora di lasciar perdere il “dare” E’ ora di lasciar scorrere lacrime ed emozioni 60


Lasciare i piedi liberi di vagare Lasciare le braccia libere di danzare Lasciare i capelli a sentire la carezza del vento Lasciare le orecchie libere di ascoltare il suono del mare Lasciare le mani libere di creare Lasciare la pelle libera di sentire il calore del sole Lasciare gli occhi liberi di riposare sui colori del tramonto Lasciare le narici libere di perdersi nel profumo di casa Lasciare, andare … e poi tornare Andare e tornare … Ricevere e dare … Sognare e fare … Creare e vivere …

(*Donne che corrono coi lupi, Clarissa Pinkola Estes, Ed. Pickwik)

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Cultura

Leggere Voltaire per coltivare patate Anita NAPOLITANO

Di fronte al motto della Rivoluzione Francese: Libertè, Egalitè, Fraternitè, che in questo numero dell’Unità laburista, non a caso, ne stabilisce l’uscita il 14 luglio, ricordando i valori fondamentali che sottendono la vita democratica in qualunque contesto culturale, è inevitabile voltare lo sguardo al passato per interrogarsi sul nostro presente democratico e per prepararci forse al futuro? Non saprei… Ma mi viene in mente la risposta di James Burke a chi gli chiese: «Perché dovremmo guardare al passato per prepararci al futuro?” – rispose: «Perché non c’è nessun altro posto in cui cercare». 64


Quindi, voltando uno sguardo al passato, saranno state le tre parole francesi, ripetute nella mia testa, non so, che vado a cercare nelle mie letture passate, tra i classici e rimanendo in ambito francese, riprendo tra le mani il libro di Voltaire, Candido o L’Ottimismo, rileggo con uno spirito diverso: mi riconnetto al presente e confermo l’immortalità dei classici che hanno sempre delle risposte moderne e possibili oltre il potere di interrogare ancora il lettore.

La storia di Candido inizia nel Castello del barone di Thunder- ten- tronckh in Vestfalia, dove nasce questo giovane tranquillo, educato dal filosofo ottimista Pangloss, il quale è convinto che al mondo tutto va nel “migliore dei modi possibili”. Innamorato della figlia del barone Cunegonda, Candido viene cacciato dal castello e iniziano le sue esperienze sempre più difficili e pesanti che non sembrano confermare gli insegnamenti del suo maestro filosofo Pangloss. Candido attraversa prima l’Europa poi l’America. Sfugge alla morte, per miracolo. Viene a sapere poi che il castello è stato saccheggiato, libera Cunegonda dalle mani del grande accusatore che ne ha fatto la sua amante, ma di nuovo sarà separato da lei. Inseguendo l’amore Candido va a Parigi, Londra, Venezia, Costantinopoli. Dopo tante esperienze difficili, si convince sempre di più che la felicità non esiste, riesce a sposare Cunegonda ormai vecchia, con lei si trasferisce in una fattoria sulle sponde del Bosforo a lavorare la terra, “l’orto”.

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(Un riassunto brevissimo che serve a non svelare nulla. Il motivo? Andate a leggerlo! Scherzo, non è facile riassumere in poche battute, ve lo assicuro, comunque andiamo avanti…)

Candido è il racconto filosofico di Voltaire (1759 scritto trent’anni prima della Rivoluzione Francese!) che, attraverso il personaggio ingenuo di Candide, in modo ironico, critica l’ottimismo metafisico di Leibniz. Nel libro c’è il rifiuto dell’ottimismo più scontato e semplice dettato da quel “mondo possibile” dei metafisici e, infatti, l’ingenuo Candido è soggetto ad attraversare esperienze difficili, violente incontrando tragedie di ogni tipo e natura.

Il Candido è sia un romanzo filosofico sia un romanzo di viaggio e di formazione, che smonta la massima ottimistica di Leibniz per cui “Tutto è bene”, in particolare critica il panglossismo cioè “tutto è lingua” (parole, parole…blablabla); è un modo per Voltaire di criticare con l’arma dell’ironia i filosofi che disputano e sentenziano su importanti questioni della Vita, rispetto alle quali a volte non vi sono soluzioni, rimanendo fuori dalla realtà. Dunque, quale sia il mondo migliore possibile, dove tutto sia regolato dai valori fondamentali della vita democratica, uguaglianza, fratellanza e libertà? Praticamente la Felicità?

Non saprei…

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…una delle tante risposte potrebbe essere in questo libro o altrove, intanto in questo libro, nel trentesimo e ultimo capitolo del romanzo, Candido approva la filosofia di Martino ( il medico anabattista che pensa che l’ Universo sia diviso in bene e in Male, la felicità sembra un’utopia che non si riesce a realizzare mentre il male fisico e morale regna ovunque tanto che la storia è un seguito di inutili atrocità) quella, di “lavorare ciascuno il proprio orto”: l’operosità e l’impegno concreto

si contrappongono alle speculazioni astratte, come afferma il

protagonista nel finale rispondendo a Pangloss che diceva: « In questo migliore dei mondi possibili, tutti i fatti son connessi fra loro. Tanto è vero che se voi non foste stato scacciato a gran calci nel sedere da un bel castello, per amor di madamigella Cunegonda, se non foste capitato sotto l’Inquisizione se non aveste corso l’America a piedi, se non aveste infilzato il Barone se non aveste perso tutte le pecore del belpaese di Eldorado, voi ora non sareste qui a mangiar cedri canditi e pistacchi”.

«Voi dite bene!», rispondeva Candido «ma noi bisogna che lavoriamo il nostro orto».

E allora buona lettura a chi volesse perdersi nella lettura di un classico e anche a chi volesse iniziare a coltivare un orticello.

Auguro una buona produzione: che almeno il mio articolo sia servito a produrre qualcosa, magari patate! 67


Testata online aperiodica Proprietà: 999 - ETS, Corso Barolo 47, 12051 Alba (CN) Direttore Responsabile: Aldo Avallone - Stampatore: www.issuu.com web: www.issuu.com/lunitalaburista - mail: lunitalaburista@gmail.com - Tel. +39.347.3612172 Palo Alto, CA (USA), 14 luglio 2021 68


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