numero 44 del 30 ottobre 2021
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AUTUNNO CALIENTE
L’UNITA’ LABURISTA - 44
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L’editoriale del Direttore
“LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE” DI ALDO AVALLONE
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“IL PRIVATO NON CI AMA”
DI GIOVANNI AIELLO
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“UN PUGNO IN FACCIA” DI ANTONELLA GOLINELLI
pag 14
“SABATO 16 OTTOBRE 2021 VACCINAZIONE ANTIFASCISTA” DI RAFFAELE FLAMINIO
pag 18
“EPPUR SI MUOVE” DI VINCENZO CROLLA
pag 22
“LA GESTIONE PUBBLICA DELLA COSA PRIVATA E NON VICEVERSA” DI ROSANNA MARINA RUSSO
pag 26
“UNA SANITÀ EFFICIENTE TRA PUBBLICO E PRIVATO” DI ANGELA MADDALENA
pag 28
“L’INTERVENTO IN ECONOMIA DELLO STATO UNITARIO ITALIANO” DI GIOVAN GIUSEPPE MENNELLA
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pag 34
“OIKOS E POLIS”
DI CHIARA TORTORELLI
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“LA PALESTRA DELLA DEMOCRAZIA”
DI ANTONIA SCIVITTARO
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“I CAMMINI ITALIANI: DALLA VIA FRANCIGENA ALL’ATLANTE PERDUTO” DI VERONICA D’ANGELO
pag 43
“UN DUE TRE STELLA…È UN ATTIMO” DI ANTONELLA BUCCINI
pag 44
“COSA C’È DI PIÙ PRIVATO DEL PROPRIO DIARIO” DI ANITA NAPOLITANO
pag 46
“SEDUTA DI LAUREA” DI LUCIA COLARIETI
pag 48
“#UNPENSIEROSOSTENIBILE” DI GIOVANNI AIELLO
l’editoriale del direttore
La Rivoluzione d’ottobre ALDO AVALLONE
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in queste elezioni amministrative. E l’analisi del voto fa pensare che proprio gli ex elettori di M5S e Lega siano quelli che maggiormente abbiamo fatto crescere la percentuale di astensione. Il campo progressista, inteso in senso largo, ha ottenuto un lusinghiero successo, sia dove si è presentato in alleanza con i 5 Stelle sia altrove. Si tratta certamente di un risultato che fa ben sperare per il futuro, dimostra che la destra è battibile ma che occorre rimboccarsi le maniche e lavorare duro in vista delle politiche del 2023. Serve uno sforzo unitario, un campo largo che abbia nel Partito democratico il punto di coagulo con Leu e il rinnovato Movimento di Conte.
l “fil rouge” di questo numero è il rapporto tra pubblico e privato. Crediamo che mai come in questo momento occorra ridefinire l’intervento pubblico in tanti settori della vita sociale. Ne analizzeremo gli aspetti in alcuni degli articoli della testata. Ma molti altri temi hanno caratterizzato questo mese di ottobre che sta per concludersi. In primis, naturalmente, la tornata elettorale per le amministrative. Si è votato in molti comuni importanti e il campo progressista ha ottenuto un confortante successo. Merito certamente di una scelta migliore dei candidati sindaco e di una larga convergenza politica su di loro che fa ben sperare per il futuro. Se ne occupano, in particolare, una nostra storica collaboratrice, Antonella Golinelli, e una new entry nella squadra de L’Unità laburista, Vincenzo Crolla, al quale diamo un caloroso benvenuto.
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evidente che proprio i 5 Stelle sono i perdenti di questa tornata elettorale; bisogna chiedersi se sia l’inizio di una crisi irreversibile o piuttosto un fisiologico rallentamento dopo le note vicende interne che ne hanno agitato le acque. Noi ci auguriamo che il neo Movimento possa lasciarsi definitivamente alle spalle il populismo degli esordi e, operando una scelta precisa di campo, possa rappresentare un affidabile alleato in vista delle future elezioni. Pd, Leu e Neomovimento possono sconfiggere le destre e non si pensi assolutamente a coinvolgere un centro che, di fatto, nel paese non esiste da decenni. Mai più dialogo con chi ha scientificamente assassinato il governo Conte bis. La Sinistra, intesa in senso ampio, è chiamata a una sfida decisiva: riportare al centro della propria azione politica i temi storici che ne hanno da sempre costituito l’essenza, quali la lotta alle diseguaglianze, il lavoro, i diritti, la valorizzazione dei servizi pubblici. Serve, una buona volta, chiarire bene da che
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ui mi preme sottolineare ancora una volta il dato più rilevante emerso in questa ultime elezioni: più di un elettore su due ha scelto di non esercitare il proprio diritto di voto. Esiste oggettivamente una crisi di rappresentanza e non da pochi anni. I partiti politici tradizionali non sono più capaci di intercettare le istanze di larga parte della popolazione che vede la politica e le istituzioni altro da sé: la famigerata “casta”, sulla cui critica il Movimento 5 Stelle alle origini ha fondato molto del suo successo. Anche la Lega Nord ha cavalcato l’antipolitica facendone un proprio cavallo di battaglia ma quando entrambe le forze politiche sono entrate a pieno titolo nel campo istituzionale hanno fatalmente perso attrattività presso quella parte di elettori. Non a caso sono proprio il Movimento 5 Stelle e, sia pure in misura minore, la Lega che perdono consensi
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pass stanno destabilizzando il Paese.
parte si vuole stare. Chi difende i diritti dei lavoratori, dei meno garantiti, dei pensionati non può, nello stesso tempo, fare gli interessi di Confindustria e delle multinazionali che delocalizzano. L’ambiguità su questo punto è stata uno dei motivi per cui tanti elettori di sinistra si sono allontanati dalla politica e rifugiati nell’astensionismo. Usciamo dai palazzi, ritorniamo nei quartieri e nelle periferie, confrontiamoci con i problemi reali delle persone normali (la mancanza di lavoro, la scarsità di servizi, l’aumento del costo della vita) e proviamo a offrire soluzioni reali. È questa, e solo questa, la strada per ridare fiducia ai tanti che hanno scelto di non votare e riportarli alla partecipazione.
In questo numero troverete come al solito anche le rubriche di turismo, cultura e il racconto di narrativa di Lucia Colarieti. Il tutto ben condito dalle vignette satiriche di Frago.
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nfine, proponiamo una novità che spero raccolga il vostro consenso. Il nostro Giovanni Aiello ci ha scritto una lettera aperta dal titolo #unpensierosostenibile nella quale ci offre una breve una riflessione sulla questione ambientale ma, soprattutto, alcune proposte per affrontare le problematiche ad essa legate. Si tratta di uno spunto importante che ci auguriamo possa fungere da stimolo per tutti noi. Sulla pagina Facebook de l’Unità laburista, tra i commenti a questo numero, con l’hashtag “un pensierosostenibile”, accoglieremo con enorme piacere i vostri pensieri e le vostre proposte su questo tema. Cosa pensate che possa essere sostenibile? Quali dovrebbero essere i servizi da implementare? E i comportamenti individuali da adottare? Ci piace pensare di lanciare questa piccola campagna ambientalista con queste modalità per far sì che il confronto con voi lettori, che ci seguite con tanto affetto, sia sempre più vicino e produttivo
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ltro passaggio significativo di questo ottobre è stata la grande manifestazione sindacale antifascista di Roma. In questo numero pubblichiamo il diario del nostro Raffaele Flaminio che vi ha partecipato in prima persona. I rigurgiti fascisti, da troppo tempo tollerati nel nostro Paese, blanditi e mai condannati apertamente da Meloni e Salvini, hanno provato a rialzare la testa assaltando la sede della CGIL dopo una protesta dei NO VAX e dei NO GREEN PASS sabato 9 ottobre scorso. Non a caso è stato scelto come obiettivo il sindacato, da sempre primo baluardo contro le derive autoritarie. La risposta è stata fermissima: centinaia di migliaia di lavoratori sotto le bandiere sindacali e semplici cittadini hanno riempito Piazza San Giovanni dimostrando ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, che il fascismo non avrà mai più spazio nel Paese. Una risposta ferma, una “rivoluzione d’ottobre” italiana che ha dimostrato che gli anticorpi democratici sono a livello ben alto e sapremo reagire a ogni tentativo di provocazione delle destre, sotto qualsiasi forma si manifestino. Ora ci si attende al più presto la messa fuori legge, da parte del governo, di tutte le organizzazioni fasciste e parafasciste che speculando sulla protesta contro il green
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nfine, ma non certo annotazione meno importante, vogliamo salutare e ringraziare Fabio Chiavolini che da questo numero lascia l’incarico di Responsabile editoriale de L’Unità laburista per dedicarsi ad altri impegni nell’ambito di 999. È grazie a lui che è nata la testata e ha raggiunto e superato i due anni di pubblicazione. Senza di lui non stareste qui a leggere queste righe. Allo stesso tempo auguriamo buon lavoro a Gian Nicola Maestro che gli subentra nell’incarico. Non mi resta che augurare buona lettura a tutti voi.
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IL ‘PRIVATO’ NON CI AMA Il ‘privato’ non ci ama. Salute, territori e bisogni essenziali al centro di una battaglia per il controllo globale
di Giovanni Aiello
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hi vi scrive ha già pubblicato circa un anno fa un articolo, intitolato “Vaccini ‘privati’ e pubblici contagi”, all’interno del numero 35 di questa stessa rivista, in cui si faceva il punto sui farmaci in arrivo, sugli enormi guadagni attesi dalle aziende produttrici, sui macabri conflitti di interesse e sulle probabili sperequazioni che sarebbero seguite fra i paesi ricchi e quelli poveri nell’approvvigionamento di dosi (vedere fallimento del programma COVAX messo in piedi dalla UE).
rispetto dei diritti umani, non resta purtroppo che appellarsi al Padreterno. Anche se lui non è abitualmente invitato al G20.
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Territori - La ‘guerra d’Amazzonia’
ontraddizioni analoghe a quelle registrate per la salute si registrano per le politiche ambientali. Ne è un esempio macroscopico la trattativa in corso fra il presidente statunitense Biden e il governo del Brasile per limitare la distruzione della foresta amazzonica (la seconda più grande del mondo dopo quella equatoriale), nell’ambito di un piano green da oltre 20 miliardi di dollari che gli Usa vorrebbero attuare in Sudamerica. “E’ la transizione ecologica, bellezza!” e serve per salvare il pianeta dal collasso.
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aturalmente, aprire un proprio articolo citando se stessi può apparire poco elegante. Ma la tentazione è stata davvero troppo forte, dato il tema di copertina e visto che la storia degli ultimi mesi ha confermato quanto il ‘privato’, in questo caso impegnato sul fronte della salute, possa agire secondo logiche profondamente ciniche e finanche predatorie.
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eccato però che, fino a all’altro ieri, l’America “trumpiana” fosse fuori dagli accordi di Parigi sul clima e negasse l’esistenza stessa dell’emergenza. Inoltre, l’interlocutore principale degli Stati Uniti è stato finora il ministro brasiliano dell’ambiente Ricardo Salles, esponente dell’ultradestra e uomo di fiducia del presidente Bolsonaro, ovvero colui che nel corso del suo mandato ha consentito un aumento della deforestazione superiore all’80%. Come se non bastasse, lo stesso Salles ha più volte difeso in veste di avvocato i gruppi privati dell’agrobusiness ed è stato condannato per illeciti nel settore ambientale. Per questo tutti i principali operatori ed attivisti impegnati sul territorio si sono detti più volte preoccupati, e molti di loro subiscono minacce e corrono rischi enormi, spesso mettendo in gioco la vita.
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ià agli inizi di dicembre 2020 infatti, quando la campagna vaccinale non era ancora in corso, sembrava abbastanza chiaro che fossimo soltanto all’inizio di un estenuante tira e molla (almeno apparente?!) fra governi ed aziende. Prova ne sia che, appena pochi giorni fa, ma a distanza di un anno dalle prime somministrazioni, il Papa in persona abbia ancora dovuto invocare “in nome di Dio” la liberalizzazione dei brevetti e il condono dei debiti finanziari per i paesi più esposti, visto che in Africa, ad esempio, il tasso di vaccinati rimane ad oggi inferiore al 5%. Eppure, il motto della campagna era “o ci salviamo tutti insieme o non si salva nessuno”, come già nel novembre scorso affermava, fra i tanti, anche Ranieri Guerra, direttore vicario dell’OMS. “Globale è il rischio, e globale dovrà essere anche la risposta”, aggiungeva ancora nel corso di un suo intervento, anticipando però allo stesso tempo il pericolo di una vera e propria competizione scientifica. Ma d’altra parte, in assenza di fonti giuridiche internazionali e vincolanti che impongano ovunque agli stati il
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dati in proposito sono eloquenti, e somigliano a quelli di una vera guerriglia. Soltanto nel 2020 in tutto il mondo sono stati uccisi oltre 227 ambientalisti, come emerge dal rapporto annuale del Global Witness. La maggior parte di questi agisce in Centroamerica e in Sudamerica, ma non
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 mancano le vittime in Asia e in Africa, sempre per motivi analoghi. Proprio in Brasile sono stati uccisi 20 attivisti, in Messico 30 e in Colombia, il paese più pericoloso, addirittura 65. Nel mese di marzo una leader/sindaca indigena colombiana, María Bernarda Juajibioy, che agiva nel dipartimento amazzonico di Putumayo, è stata assassinata da un commando armato insieme alla sua nipotina di un anno e mezzo. Sempre in Colombia, nell’importante città portuale di Buenaventura, è attiva invece Danelly Estupiñán, che è stata individuata anche da Amnesty International come un’attivista a forte rischio per il suo impegno in difesa dell’ambiente contro interessi economici locali che prevedono disboscamento e inquinamento minerario. Malgrado le denunce Danelly è stata costretta a cambiare casa per tutelare la sua incolumità, vive sotto scorta, e subisce ancor oggi una persecuzione fatta di pedinamenti e intercettazioni telefoniche. Come lei stessa ha dichiarato nel corso di un’intervista a “la Repubblica”, esiste il forte sospetto che anche il CTI (Cuerpo Técnico de Investigación), un organismo dello stato colombiano, sia coinvolto in questa ricerca indebita di informazioni su di lei e sul suo lavoro, e che dei contractors potrebbero essere ingaggiati per eseguire un attentato ai suoi danni. Nel corso dei primi tre mesi del 2021, stesso periodo delle denunce della Estupiñán, nella sola Colombia già si contavano oltre 30 attivisti assassinati.
oscure del filantrocapitalismo” (Emi, 2020).
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u tutte queste fondazioni troneggia però la Gates Foundation di Bill e Melinda Gates, che con i suoi 50 miliardi di dollari di patrimonio sviluppa progetti praticamente a trecentosessanta gradi, che vanno dalla ricerca, all’educazione, dall’agricoltura, alla nutrizione, all’inclusione finanziaria e alla transizione energetica. La sua capacità di influenzare le scelte, indirizzare finanziamenti, aggregare competenze, è oggi quasi irresistibile, tanto che in molti suoi settori di intervento si fa oramai fatica a distinguere cosa sia pubblico da cosa sia privato. Il dato in questo senso più significativo ed allarmante è costituito forse dai 10 miliardi di dollari che la fondazione Gates ha complessivamente “donato” all’OMS (l’agenzia dell’Onu specializzata per le questioni sanitarie), che ne fanno il suo secondo più grande finanziatore, dietro soltanto al governo degli Stati Uniti. E siamo dunque ritornati alla salute, nostro punto di partenza, la cui gestione sembra quindi sottratta al potere delle assemblee internazionali, passando dall’essere bene comune ad interesse strategico di pochi. Ciò a riprova ulteriore di un disequilibrio generale in cui la pervasività della ricchezza privata mette in discussione qualsiasi aspirazione all’uguaglianza di oggi e di domani.
Bisogni essenziali - I progettidei ‘filantrocapitalisti’
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a la strategia di controllo in assoluto più efficace ed intrusiva, come spesso accade, non è basata sulla violenza in senso stretto. Ma anzi, è quella con cui i grandi ricchi del mondo cercano di giustificare e rinforzare la propria posizione dominante investendo enormi somme (che si contano in centinaia di miliardi di dollari o di euro) nell’azione umanitaria e nei bisogni fondamentali delle categorie più deboli. Un approccio certamente paternalistico e tutt’altro che disinteressato, che usa il pretesto della lotta al disagio globale per consolidare l’idea che i poveri abbiano bisogno dell’intervento dei ricchi per essere liberati dalla sofferenza e dall’emarginazione, secondo il principio win-win (se il ricco vince anche i poveri vinceranno grazie a lui). Si tratta insomma di una filantropia capitalistica, dunque “filantrocapitalistica”, che alcune influentissime fondazioni (quali la Welcome Trust, la Stiching INGKA Foundation, la Robert Bosch Stiftung o la Nestlé Foundation) perseguono con grande successo, e della quale ci parla approfonditamente la giornalista Nicoletta Dentico nel suo prezioso libro, non a caso intitolato “Ricchi e buoni? Le trame
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UN PUGNO IN FACCIA DI ANTONELLA GOLINELLI
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e destre hanno perso. Una porta sbattuta in faccia. Ci sono rimasti male porelli. Loro ci credevano. Ci credevano talmente tanto che non sono riusciti a mascherare stizza e risentimento in conferenza stampa.
disposizione un po’ fa eh. I citofoni erano totalmente esclusi. Hanno provato, i poveretti, a cavalcare i no vax, no mask, no sobemé. Incredibilmente è stato un disastro. Sti disgraziati di fiancheggiatori e orientatori del voto (che poi bisognerebbe capire anche come fanno ad orientare) non si sono messi a devastare la CGIL? Non ci si crede.
Credevano di avere la situazione in pugno.
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mministrative 2021 e qualche reduce di mille battaglie (perse tre l'altro) se ne esce con questa bella idea.
Nota a margine: i signori in questione sono ancora in galera, compreso il NAR che non si capisce bene come fosse ancora in circolazione, e il sempiterno Fiore che crea disagio, ricordo, da quando ero una liceale. Sempre lui. Sempre in mezzo come il mercoledì a far casini totalmente inutili. Il punto però non è nell'errore di strategia o nell'inchiesta giornalistica uscita, diciamo così, per tempo.
Il pugno l'hanno preso direttamente in faccia e li ha stesi i galletti arruffati. Hanno provato a dar la colpa ai candidati civici, i commentatori hanno messo in dubbio la strategia, i galletti (sempre loro) hanno accusato gli eventi avversi, ma la sostanza è che hanno perso. Di brutto. Devo ammettere che dare la colpa ai candidati sbagliati è una vera vigliaccata. Li hanno scelti loro i civici. Hanno optato per i civici per non dare vantaggio agli alleati, I presume. Ma non li hanno lanciati.
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ddio, non che ci fosse poi molto da lanciare, lo spessore non era granché, però li hanno mollati lì nel niente e se li sono scrollati di dosso non appena hanno capito che non sarebbe andata. Non è un bel modo. Se stavolta hanno fatto fatica a trovare candidati sindaci immaginate la prossima occasione. Chi si metterà in ballo per gente, capi partito, totalmente inaffidabili? La voglio vedere. La strategia in effetti non è stata delle migliori. Certamente non avere un “parlateci di Bibbiano” a
Il punto è che questi arruffati galletti non hanno letto la realtà. Lo stesso errore dei vivaisti. Sono talmente staccati dal loro popolo o da un qualunque popolo da non rendersi conto di come vive la gente oggi.
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hissà se sanno di tutte le app nate per vendere la roba usata? Forse pensano sia un impeto di economia verde. No signori, vi sbagliate. È miseria. È semplicemente miseria. Per chi vende e chi compra. Forse, e dico solo forse, se ve ne foste resi conto avreste capito come agire. Tra primo e secondo turno c'è stato proprio il crollo. I loro votanti sono stati a casa. È finita l'onda, la spinta populista si è conclusa. Si è infranta sugli scogli del nulla di fatto del loro potere. Perché basarsi solo, illudersi, sul fatto che sarebbe bastata la loro bella facciotta a farli vincere si è
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 rivelato un grosso errore. L'identificazione tra il livello nazionale e il locale non attacca più. Probabilmente anche l'appeal nazionale, dei VIP, non attacca più.
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ntrambi i gallettini si sono fidati della loro augusta presenza al punto di arrivare a sconfessare gran parte del loro elettorato che, immagino, si è sentito tradito. Certo se appoggi i no vax e i no green mentre i tuoi sono tutti vaccinati o quasi e vogliono solo darsi da fare e guadagnare è fatica ci sia identificazione. Se in effetti parli di lavoro, lavoro, lavoro e non menzioni le paghe difficilmente chi non arriva a fine mese continuerà a darti ascolto. Abbiamo gli stipendi più bassi del '90 del secolo scorso, non si va mai in pensione e la salvaguardia messa in campo non ha aiutato quasi niente, ma i galletti continuano a far la guerra per il reddito di cittadinanza.
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uattro soldi a chi non ha niente e non è stato mai nemmeno intercettato. Da chi poi avrebbe dovuto essere intercettato? Da Berlusconi e dai suoi imprenditori rampanti? Da loro stessi che badavano solo alla narrazione dei negri (passatemela)? Dal vivaista che ha smantellato i diritti del lavoro col vostro plauso? Dai five stras che ci hanno messo una pezzuola tiepidina facendola passare come l'ideona?
ha fallito. In compenso ho letto che Maroni sia stato chiamato nella commissione per il caporalato. Questa la voglio proprio vedere. Mi incuriosisce. Così come voglio vedere come la mettono con le pensioni. Come concilierà questo governo la modernizzazione, la necessità di svecchiare gli organici con la depravazione di voler tenere la gente al lavoro fino alla morte? Non stanno insieme questi fattori, in alcun modo. Nemmeno con la quantistica. Non si può rilanciare il paese impedendo ai giovani di lavorare e guadagnare. (ricordate su la faccenda delle app?) Si è affacciato pure lo spettro peggiore: la denatalità. Ah sì, proprio. Decenni a colpevolizzare le donne per le gravidanze, nessun aiuto nemmeno a piangere in greco (modo di dire locale) e ci si ritrova che non li fa più nessuno i figli, o quasi. Ma dai! C’è da chiedersi perché'. Mi sono sempre chiesta come mai qualcuno pensava che i figli nascessero già in età da università. Come mai immaginava che a parte l'assenza programmata per il parto (ehi, risulta difficile partorire alla scrivania o al bancone) poi il problema non si ponesse più.
Che tristezza.
In effetti con tutti questi servizi ampli e quasi gratuiti come è possibile ci siano disagi? Del resto, i nonni sono lì disponibili, sono in pensione... ah no. Non è così.
Comunque, questo argomento è stato archiviato in fretta.
E ancora non si è affrontato il nodo degli anziani e dei malati, sempre a carico delle donne.
L'avanzare degli eventi è cadenzato.
Certo! Senza un soldo che batta nell'altro, senza una certezza, senza un servizio che faccia finta di servire a qualcosa, con la prospettiva di non avere nessuno a supporto, anzi con la prospettiva reale che il supporto sia necessario darlo ai genitori sfruttati fino allo stremo, chiaramente i figli si sfornano a raffica. Certamente.
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’è il DPCM, o almeno le linee guida, le riforme da portare a compimento per avere i soldi, Forza Nuova et similia da sciogliere o per lo meno neutralizzare per un bel po'. Non c’è tempo per crogiolarsi nella sconfitta. Soprattutto considerato il fatto che non si può continuare a dare la colpa al PD. Questo hobby ormai è inutilizzabile. Almeno per stavolta. Tocca aspettare la prossima. Vedo che le destre di lotta e di governo si sono incontrate dopo. Il vecchio marpione li ha fatti sfogare poi ha ripreso le redini. Lui il suo uomo in Calabria lo ha piazzato. Poi si è preso la libertà di imporre il nuovo capo gruppo con grande contrarietà di colonnelli e colonnelle. Vediamo come evolve. Gli altri due cosa portano? Ben poco. E Giorgetti muto. Il suo candidato a Varese ha fallito, quindi lui stesso
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he gente vergognosa, che politici vergognosi, che imprenditori vergognosi.
E in tutto questo nulla qualche portuale inscena una protesta sul green pass. Non su tutto lo scritto sopra che sarebbe materia per anni di lotte. No, sul green pass. Eh beh, ognuno ha le sue priorità. Alla prossima gente.
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SABATO 16 OTTOBRE 2021 VACCINAZIONE ANTIFASCISTA DI RAFFAELE FLAMINIO
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re 10.00 siamo partiti in direzione di Roma per partecipare alla grande manifestazione "ANTIFASCISTA E PER IL LAVORO SICURO" promossa da Cgil, Cisl e Uil dopo il vile attacco fascista alla sede nazionale della Cgil di sabato scorso. Sono a bordo di un pullman della Fisac- Cgil, la categoria dei lavoratori del credito e delle assicurazioni, sono insieme ad una quarantina di compagne e compagni iscritti al sindacato guidato da Landini. Saranno circa 800 i pullman che convergeranno su Roma, oltre 100 treni speciali, 750 i compagni impegnati nel servizio d'ordine. L'atmosfera che si respira è calma e distesa, la consapevolezza di stare dalla parte giusta è radicata. Ogni volta che la Democrazia è messa in pericolo la Cgil è in prima linea, è accaduto con il terrorismo delle Brigate Rosse che prima ha minacciato e poi ucciso i sindacalisti come Guido Rossa, accade quando nel Paese si fomenta la tensione e la confusione e allora il movimento dei lavoratori è il primo baluardo della democrazia partecipativa ad essere colpito, ed in particolare la Cgil. La presenza nei luoghi di lavoro del sindacato garantisce la partecipazione ed è un presidio di legalità. Non a caso la Storia ci ricorda che la febbre da totalitarismo in occidente si è manifestata con
l'attacco violento e sanguinoso alle forze organizzate del lavoro. In Italia le prime ad essere colpite, un secolo fa, dagli infami e vigliacchi squadristi fascisti, furono le Camere del lavoro, così fu in Francia, così in Germania, così il fascista spagnolo Franco iniziò la sua sanguinosa ascesa al potere. Oggi 16 ottobre 2021, con la consapevolezza della
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 Storia, il mondo del lavoro, che è simbolo di Libertà e Democrazia, mostra con pacifica determinazione il suo radicamento nel dettato della Costituzione Repubblicana ed Anti Fascista. Il concentramento è previsto in piazza San Giovanni, la piazza del Primo Maggio, un percorso breve e facilmente controllabile dal servizio d'ordine e dalle forze di Polizia. I pullman si fermeranno nei pressi delle fermate metrò Anagnina, Ponte Mammolo, Eur Laurentina dotate di ampi parcheggi. Le autorità si aspettano una manifestazione imponente e pacifica com'è consuetudine di chi LAVORA, credo che noi non deluderemo le aspettative. Gli unici che rimarranno delusi saranno il duo acredine Meloni-Salvini e i loro capi casting. Il piazzale dell'autogrill scelto per la sosta fisiologica, canonica, è colmo di pullman provenienti dal sud Italia, tutto tranquillo fin qui. Il servizio d'ordine sindacale vigila, sono stati notati muscolosi individui, prontamente intercettati; con sollievo siamo venuti a sapere che si tratta degli steward del servizio d'ordine dello stadio Olimpico:
oggi gioca la Lazio. Da oggi gli stadi sono a piena capacità grazie al green pass, per il quale non c'è stata alcuna protesta, neanche, dal tifo organizzato di solito rumoroso. Siamo in Piazza S. Giovanni straripante di donne e uomini allenati alla democrazia e alla partecipazione, è una cortina di anticorpi antifascisti colorata e variopinta, oltre ai sindacati confederali presenti noto l'Anpi, Emergency, i sindacati di Polizia, organizzazioni Curde, l'Arci. Le persone sono tantissime, non oso fare una stima ma,
sicuramente sono decine di migliaia. Gli interventi dal palco sono cominciati e in piazza continuano ad affluire persone con le bandiere dei sindacati confederali. Il mondo politico riformista di sinistra e centro sinistra è presente in maniera anonima e personale, ho visto Letta, D'Alema, Fratoianni, Cofferati e signora, Conte, Di Maio, Bersani.
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messaggi di solidarietà per i Sindacati italiani e alla Cgil in particolare sono innumerevoli e sentiti. I sindacati europei attraverso la presenza di Visentini componente del C.E.S., l'organizzazione sovranazionale dei sindacati, ha espresso sostegno, apprezzamento e solidarietà ai lavoratori italiani; ha ricordato a tutti noi che il sovranismo e il neofascismo sono presenti in Europa specialmente a Est del continente. In quelle latitudini queste forze reazionarie stanno sovvertendo le leggi democratiche e costituzionali, colpendo gli agenti principali della vita democratica, i lavoratori ed i loro rappresentanti e con essi la libera stampa.
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andini, padrone di casa, nel suo intervento ha riferito che in Belgio, Spagna, Brasile, i lavoratori hanno organizzato manifestazioni a sostegno degli Italiani, dimostrando che una internazionale del lavoro è possibile e indispensabile, anche, per correggere la rotta delle politiche sul lavoro in Europa, perché il lavoro è la massima espressione di libertà e partecipazione, senza la quale il lavoro è solo sfruttamento. Il lavoro necessità di contrattazione e regole certe ed esigibili a salvaguardia dell'interezza degli individui. La crisi pandemica ha dimostrato che senza la solidarietà e la determinazione dei lavoratori la resistenza e la resilienza in questo paese non sarebbe stata possibile, senza le organizzazioni sindacali non si sarebbero costruiti e sottoscritti i protocolli di sicurezza che hanno consentito gli approvvigionamenti costanti al Paese. Le scassate strutture del Paese grazie ai lavoratori hanno retto, ma non è più possibile proseguire nella vecchia maniera. I dati sull'occupazione, tanto strombazzati, evidenziano ancora una forte precarizzazione del lavoro; dei 500.000 nuovi occupati l'80% sono a sei mesi e i rimanenti ad un anno di contratto. Le persone ed il lavoro non sono usa e getta. Parte delle risorse finanziarie devono essere allocate prevalentemente per rafforzare le politiche del lavoro, dagli ammortizzatori sociali, senza i quali il Paese non avrebbe retto l'urto pandemico, a quelle fiscali dedicate esclusivamente ai lavoratori e pensionati; le aziende avrebbero bisogno di investimenti e di nuovi capitali più privati che pubblici.
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i aziende voraci e cannibali ne abbiamo sperimentato i disastri. Oggi sono ancora aperte vertenze sanguinose per i lavoratori. La contrattazione collettiva e lo smantellamento dei contratti pirata, insieme alla legge sulla rappresentanza, auspicherebbe un efficace volano
imperano, così come troppe sono le scorciatoie politiche e educative che si adoperano per la disgregazione sociale e civile, prova ne sia il notevole astensionismo registrato nelle competizioni elettorali e l’analfabetismo funzionale che giova solo al fascismo e al sovranismo. Siamo stanchi
di sviluppo e democrazia. Un capitolo a parte merita la SICUREZZA dei LAVORATORI sui posti di lavoro, mentre siamo qui, in questa magnifica giornata di umana e civile resistenza ANTIFASCISTA, giungono conferme di nuovi intollerabili lutti sul lavoro, ancora quattro lavoratori sono morti. Centottantre miliardi di evasione contributiva insieme alla mancanza di investimenti per la sicurezza chiariscono, anche per chi non ha voglia di sapere e vedere; sono un fardello che non consente scuse da Azzeccagarbugli.
di sentire le idiozie del primo tribuno imbecille che si appropria di un microfono per proferire aberrazioni linguistiche e concettuali a persone smarrite e spaventate, è ora di finirla con il sentire privato e personale, è ora di un sentire pubblico e Democratico. Questo è il messaggio che Piazza San Giovanni lancia oggi 16 ottobre 2021 a tutto il Paese.
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mio modesto parere non occorre iperlegiferare sull’argomento, il Testo Unico della sicurezza del 2008 (Dgls 81/08) va emendato nella sua parte delle sanzioni e applicato severamente nella prevenzione sulla valutazione dei rischi. Questo è compito del legislatore, ma grande attenzione va posta dalle organizzazioni sindacali sull’argomento, esse devono favorire e pretendere il coinvolgimento dei Rappresentanti per la Sicurezza dei Lavoratori (RLS) aziendali, e i loro colleghi RLST (Rappresentanti per la sicurezza dei Lavoratori Territoriali), quest’ultimi attori ancora più, importanti per la presenza di piccole e piccolissime aziende presenti nelle filiere produttive che sfuggono ai controlli. I patti e gli accordi territoriali vanno costruiti, istruiti e applicati, perché la vita ed il lavoro non hanno colore o bandiera. Troppa è l’ignoranza, la superficialità, la disaffezione che
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“EPPUR SI MUOVE” DI VINCENZO CROLLA
...così con un rigurgito di amor proprio si espresse Galilei davanti a quel Tribunale che, prima che lui, processava le sue intuizioni e la sua scienza. L'universo è in movimento, il mondo è in movimento, la vita è movimento.
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nche chi dorme un sonno catalettico si muove: si muovono i suoi polmoni, i suoi occhi mentre sogna, la sua bocca mentre digrigna i denti, il cuore che pulsa. La politica, tra le cose terrene, tra le attività nelle disponibilità degli esseri umani, è certamente una di quelle che più si muove.
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l suo perenne viandare prescinde dalla direzione di marcia; che vada verso Nord o verso Sud, verso Oriente o verso Occidente, che respiri a pieni e liberi polmoni o che il suo fiato sia corto e catarroso poco importa. L'unica cosa che non è dato sapere, e che solo si può ipotizzare, è il porto nel quale attraccherà il suo naviglio. Chi vede la politica come ferma nel tempo o è vittima di una "fata Morgana" o di una perdurante nostalgia del passato.
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ridosso dell'esito elettorale, tutti, talk televisivi e carta stampata, improbabili commentatori politici, spin doctor più o meno interessati, hanno decretato la fine prossima ventura dei cinquestelle. E, in coro, più o meno compassionevoli, hanno versato lacrime ipocrite intorno al letto del moribondo e recitato le loro tristi litanie, il doveroso De Profundis del prossimo trapassato. Chi con malcelata soddisfazione, chi fingendo costernazione e chi con esplicito giubilo, tutti, soprattutto alla destra del sistema si sono accinti a redigere il certificato di morte. Unica eccezione il PD, il suo segretario Enrico Letta, e il piccolo manipolo di eroi di LeU nel quale sono rinserrato anch'io. Coloro che intanto non amano il mestiere di necroforo e soprattutto perché, separando la ragione dalle pulsioni emotive, osservano la realtà con maggiore freddezza. Il voto di ottobre per le elezioni dei sindaci dice due cose.
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a prima: laddove il M5S è riuscito a coniugare le proprie ragioni con quelle del PD e di LeU - a Napoli e a Bologna - i sindaci eletti
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 hanno vinto con risultati eccezionali. Qualcuno può pensare che quelle percentuali di adesioni siano state possibili senza l'apporto degli elettori grillini?; La seconda: contrariamente alla prima, racconta che dove il Movimento, a Roma con la Raggi e a Torino con la Appendino, si è contrapposto fortemente all'ipotesi in itinere di alleanza PD-M5SLeU, rivendicando l'antico profilo identitario, è stato sconfitto sonoramente. La politica - si diceva - non ama la statica ed è in continuo movimento. Giuseppe Conte, attraverso parole e atti sempre più espliciti, sta provando a "normalizzare" in senso democratico il partito che guida e a traghettarlo verso quel territorio tradizionalmente patrimonio delle forze di sinistra. Le note del suo pentagramma sono sempre più in armonia con quelle del PD e di LeU.
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quali, a loro volta, stanno posizionandosi meglio sul campo restituendo alle loro agende, un ordine di priorità più coerente con la propria storia. I temi delle disuguaglianze, del lavoro, delle condizioni di vita di salariati e pensionati sono adesso sotto i riflettori un poco più in luce di quelli pur importanti legati ai diritti civili. Questo è il terreno da arare. È qui che è necessario seminare e annaffiare. Il M5S può, e deve, condividere questo spazio; anche se in una positiva ma leale competizione. Il PD, mi pare, ha messo mano a questa operazione che ne ridisegna il profilo secondo la sua naturale vocazione. Più difficoltoso e pieno d'insidie il percorso del M5S che ancora è vittima delle scorie delle pulsioni originarie legate al vaffanculo e un'idea solipsistica del proprio ruolo e della sua presenza sulla scena.
andare al proprio destino le Raggi, le Appendino e i Di Battista e meglio è per loro e per il paese.
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iaccia o no, il prossimo futuro vedrà di fronte uno schieramento progressista e uno conservatore.
Si illude chi immagina di ripercuotere i fasti del vecchio centrismo che ruotava intorno alla Balena Bianca. Questo sogno, la riesumazione di quel cadavere, batte nel cuore di molti: da Berlusconi a Renzi, da Calenda a Bonino e perché no? da pezzi non secondari di PD e Lega. Il loro sogno, spinto da settori dell'informazione e dell'impresa, può realizzarsi solo facendo fallire l'ipotesi di alleanza strategica PD - M5S - Leu colpendola nel suo "tallone di Achille": il M5S ancora nel guado e alle prese con le reminiscenze malmostose dei suoi nemici interni.
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gni comunista di vecchia scuola sa che la sinistra ha bisogno di alleanze. Che da sola non va da nessuna parte. Che si è arenata anche quando era al massimo del suo splendore. Ma insieme ai vecchi uomini della sinistra lo sanno anche i loro avversari; è per questo che ormai da tempo lavorano per boicottare e minare questo percorso. Ed è esattamente per questo che tutti coloro che intendono lavorare alla costruzione di una democrazia finalmente compiuta - due schieramenti di diversa visione del mondo e differente pratica politica che contendono il governo del paese - che devono mettere le loro energie al servizio di questo disegno. A partire dall'aiutare il M5S a trovare il suo approdo anziché ostacolarne la navigazione.
Prima Giuseppe Conte si libera degli epigoni di questa genesi primordiale e meglio è. Prima lascia
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LA GESTIONE PUBBLICA DELLA COSA PRIVATA E NON VICEVERSA DI ROSANNA MARINA RUSSO
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on sono dedita solitamente all’ormai mitico “si faccia una domanda e si dia una risposta”, ma il tema è davvero complesso e stuzzicante. Come mangiare un piatto di cui non si riesce a riconoscere gli ingredienti, ma si vuole carpire il segreto. Perciò mi sembra utile, in questo caso, dedicarmi ad esercizi marzulliani. La prima domanda che mi faccio è: Chi è nato prima, il pubblico o il privato? Se crediamo in un Dio istituzione suprema, allora è nato prima il pubblico. E la cacciata dall’Eden è stata la nascita del privato di Adamo ed Eva.Se, invece, Dio rappresenta il padrone del Creato, allora il pubblico è una scelta gestionale di Adamo ed Eva. Ci scherzo, ovviamente.
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lo faccio perché mica è semplice stabilire con certezza quando si è sviluppata un’idea precisa della cosa pubblica rispetto a quella privata. Quest’ultima si è mossa in confini ben delineati da subito. Lo abbiamo studiato tutti: quando dal nomadismo si è passati alla stanzialità… a ognuno il proprio orticello, i propri animali, la propria tenda e la propria staccionata.
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l concetto di bene comune da custodire (tralasciamo per il momento i servizi essenziali), invece, non ha un anno zero e ha avuto nel tempo degli stop and go molto forti. Di sicuro ne parlò Tommaso d’Aquino, nella Summa, come di salute di una società che va salvaguardata da ciò che la inquina o la ferisce. E i periodi storici successivi hanno visto lievitare la diatriba filosofica attorno a un bene relativo a tutti, cioè a ogni individuo, o ai più, cioè alla maggioranza indistinta degli individui. L’una o l’altra posizione ha prevalso secondo il segno culturale del momento. Ma in questi mesi c’è una vera lotta sul punto e la discussione è, allo stesso tempo, filosofica e pragmatica. Parlo del vaccino anti Covid-19. Si discute fino allo sfinimento se abbia una valenza solo individuale o anche sociale, se cioè sia primaria
la sicurezza personale o quella collettiva. In un certo senso ci siamo avvitati tra i filosofi storici ed Hegel.
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a questo è solo un esempio di come privato e pubblico, nel senso di personale e interpersonale, continuano a contrapporsi. Di sicuro sappiamo che mentre tutto ciò che è relativo al soddisfacimento dei bisogni del singolo non ha necessità di grandi esegesi storiche e antropologiche, tutto quello che si configura come realizzazione compiuta del bene collettivo spesso è un’idea mal digerita, perché intacca qualche scelta individuale. Il suo significato è, dunque, lontano da essere univoco. E, forse, è giusto che sia così. Magari il dubbio che tutto sia ancora in costruzione ci aiuta a staccarci dall’idea di esasperata perfezione antropocentrica di cui spesso siamo colpevoli.
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a seconda domanda è posta in maniera più seria: come mai l’uso di beni e servizi, che dovrebbero appartenere a tutti in maniera egualitaria per poter riconoscere il benessere di una società, spessissimo è specchio di antiche e incancrenite disuguaglianze? Pare semplicistico pensare che il male discenda tutto dalla proprietà privata che ha indotto a curare il proprio e a non preoccuparsi dell’altrui e che, come imprimatur atavico, ci porta a mettere su un piano privilegiato ciò che ci appartiene in maniera esclusiva, rispetto al resto. Ma, in realtà, questo è possibile, non tanto per la presenza della proprietà privata tout court, quanto dal ritardo della presenza del diritto pubblico. Da un punto di vista giuridico il diritto privato ha preceduto di parecchio quello pubblico, perché quest’ultimo ha avuto bisogno del caposaldo costituzionale per esprimersi nelle varie branche. Quindi si sono regolamentati prima di tutto gli affari e le convenienze private, anzi inizialmente solo i rapporti commerciali tra gli individui, inducendo una sorta di sbilanciamento. E nel tempo, questo vuoto giuridico ha sostanzialmente permesso un uso strumentale delle proprietà privata I latifondisti,
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 ad esempio, affamavano la plebe con tasse inique e permettevano che sopravvivesse coltivando un pezzo di terra senza mai esserne padrone e che usasse per sé stessa solo una piccolissima parte del raccolto. Questo era appena sufficiente alla sopravvivenza e, se da una parte, la salvava dalla morte, dall’altra, la fidelizzava. E nessun reclamo era possibile, come sappiamo. Forse fu allora che il privato, legato a “proprietá”, prese ad avere un’accezione del tutto negativa, mentre divenne emblema di libertà la metaforica e “pubblica” foresta di Sherwood, quella di Robin Hood, per intenderci: un uso concordato del suolo pubblico, fondato sull’equità sociale. In fondo una comune come ne sono state sperimentate tante negli anni 70 del secolo scorso.
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quanti fraintendimenti ideologici sull’argomento e quante lotte anticomuniste perché il comunismo si riteneva volesse abolire la proprietà privata. In realtà Marx non aveva idee preconcette sulla proprietà in genere, ma su quella che veniva utilizzata come strumento di sfruttamento (i latifondisti come sopra). La terza domanda è: come mai, ancora oggi, pubblico e privato configgono? Parlo di quei servizi che tutelano diritti fondamentali come la vita, la salute, l’istruzione e che sono individuali e quindi privatissimi, ma che abbisognano, a mio avviso, di una gestione pubblica, statale e non, per esprimersi al meglio o per meglio dire di una visione pubblica anche del privato e non viceversa.
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el nostro Paese la differenziazione tra statale e regionale e tra privato e pubblico ha reso il governo di quei diritti piuttosto complicato. Spesso si è privilegiato il privato a discapito del pubblico anche quando sembrava si volesse fare il contrario. Uno scompenso che ha provocato disequilibri sociali tuttora evidenti.
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mblematica è la nascita e lo sviluppo della scuola pubblica che divenne tale nel 1859 con la legge Casati, in Piemonte, semplicemente perché i Savoia, questa la motivazione ufficiosa, volevano togliere la supremazia educativa alla Chiesa. La scuola elementare istituita prevedeva, questa la motivazione ufficiale, che i bambini dovessero “leggere, scrivere e far di conto” e per questo fu resa obbligatoria e gratuita. Ma solo sulla carta. Difatti obbligatoria lo fu per modo di dire perché non c’erano sanzioni per i genitori inadempienti e gratuita lo fu solo per lo Stato centrale, visto che vennero delegati i Comuni all’organizzazione scolastica e all’assunzione dei
maestri. La legge, estesa al Regno d’Italia poco dopo, incise così malamente sullo sviluppo dell’istruzione che l’analfabetismo alla fine dell’800 riguardava il 74% degli uomini e l’84% delle donne. Come mai? Il peccato originale ne era la causa. I Comuni dovevano finanziare l’apertura di scuole e, dunque, quelli con minori risorse ne aprirono di meno e assunsero maestri non sufficientemente qualificati pagandoli di meno.
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he successe? Che venne incentivata la scuola privata per le famiglie più ricche a discapito di quella pubblica, soprattutto nelle aree più bisognose d’istruzione. Esempio di scuola pubblica che pubblica non era. Solo nel 1911 vi fu l’inizio di una scuola statale che intese uniformare il sistema scolastico nazionale, trovandosi però di fronte all’arretratezza sociale ed economica di molte zone del sud penalizzato dalla legge Casati.
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are che questo gap non si riesca ancora a colmare. D’altra parte, se sono stati uniformati programmi ed esami, non lo sono stati mai i fondi stanziati. Persino adesso che nel Pnrr le risorse maggiori, secondo le Indicazioni Ue, dovevano servire a ridurre divari territoriali, si scopre che i soldi vanno a molti comuni ricchi. Dall’articolo di Massimo Villone su Il Manifesto del 3 settembre scorso si legge: “Come al solito, il trucco c’è, e si vede. Il bando di gara prevedeva che il cofinanziamento da parte dei comuni desse un punteggio aggiuntivo commisurato all’entità. Ed è allora ovvio che il comune ricco possa cofinanziare di più. Così, il comune di Milano vince su Venafro (provincia di Isernia), che pure lo precedeva in classifica prima del cofinanziamento. Milano batte Venafro uno a zero.”
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cco perché confliggono. O perlomeno perché mi sembra che configgano: la gestione della cosa pubblica viene spesso misurata con l’occhio di quella privata, o meglio, si tende a schiacciare sul modello privato quello pubblico. Orrendo il periodo della scuola-azienda che, purtroppo, ancora non è concluso. E per la Sanità è anche peggio.
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nsomma, molte domande senza risposte precise, le mie. Allora voglio concludere formulandone un’altra, l’ultima, che sicuramente procede nello stesso solco: gli intendimenti e gli sforzi della nostra società “democratica” perseguono sul serio la vera uguaglianza tra i cittadini?“
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UNA SANITÀ EFFICIENTE TRA PUBBLICO E PRIVATO DI ANGELA MADDALENA
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l nostro sistema sanitario è considerato uno dei migliori al mondo. Ma oggi è ancora così? Dal lontano 1978, anno in cui, in modo veramente rivoluzionario, è stato istituito un unico, nazionale, egualitario sistema sanitario, sono state superate le frammentazioni e le diseguaglianze delle prestazioni offerte fino ad allora dai vari enti mutualistici, che tutelavano specifiche categorie e corporazioni, l’individuo, in tutto il territorio nazionale, viene posto al centro delle cure a prescindere da status sociale, razza, nazionalità. Attualmente però, a seguito delle diverse riforme, il servizio nazionale è diventato la somma di tanti diversi sistemi regionali, in cui la componente pubblica e quella privata si combinano in varie forme. Dal 1992 cominciano i due processi significativi, tuttora in evoluzione, che hanno apportato sostanziali modifiche: l’aziendalizzazione e la regionalizzazione. Con l’aziendalizzazione le Unità sanitarie locali diventano aziende e si introduce la normativa di diritto privato nelle aziende pubbliche. Queste divengono autonome e dotate di personalità giuridica. Le aziende sanitarie vengono dirette da manager nominati dalle Regioni. Con la regionalizzazione, pur essendo in vigore delle linee generali che riguardano l’intero territorio nazionale, ogni Regione ha competenza specifica in materia di sanità e può legiferare autonomamente. E diversi, da Regione a Regione, sono i finanziamenti statali, l’offerta di salute, le quote da pagare in aggiunta al ticket, etc. Tante diverse sanità in unico Paese.
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l rapporto tra pubblico e privato può assumere forme diverse. A seguito di scelte politiche, non necessariamente dettate da esigenze assistenziali, servizi che potrebbero essere tranquillamente offerti dal pubblico vengono esternalizzati. A seguito di gara, vengono acquistati servizi di grande portata, come pulizia, mensa, lavanderia, servizi che non vengono più svolti da personale regolarmente assunto all’interno dell’Azienda sanitaria ma da personale esterno e vengono solo controllati da quello interno.
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 Appalti milionari che vedono i lavoratori coinvolti, spesso intercambiabili (in continuo turn over), non sufficientemente pagati e non in grado di maturare la giusta professionalità ed esperienza perché spesso precari. È ipotizzabile che i costi degli appalti, spesso gonfiati da costi corruttivi, siano di gran lunga superiori al calcolo della sommatoria degli stipendi di eventuale personale assunto per quella stessa mansione.
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ppare evidente che questo sistema, ormai generalizzato, consenta largo spazio a corruzione, crei forme di precariato a basso salario e produca costi elevati alla collettività in cambio di servizi non sempre ottimali. Benché sarebbe auspicabile una netta separazione sanità pubblica e sanità privata (ci aveva provato inutilmente l’allora ministro della Sanità Rosi Bindi nel 1999) tornare indietro a una sanità completamente pubblica risulta ormai anacronistico. La soluzione desiderabile sarebbe una completa gestione del privato da parte del pubblico dove quest’ultimo detta le condizioni e attua forme efficienti di monitoraggio e di controllo.
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ltro punto di criticità del rapporto pubblico – privato è rappresentato dal sistema di accreditamento delle strutture private che, se in possesso di specifici requisiti, possono, su valutazione discrezionale delle Regioni, essere autorizzate a fornire prestazioni in convenzione. Ad oggi, nonostante il tempo trascorso, l’accreditamento non costituisce ancora uno strumento di regolazione dell’accesso al mercato sanitario, pertanto, si assiste a una duplicazione dei servizi che il più delle volte si risolve a scapito del pubblico. Tale fenomeno si verifica sia nella scelta degli utenti, che preferiscono rivolgersi alle strutture private, sia nella scelta degli operatori sanitari, che preferiscono lavorare nel privato. Oggi si assiste ad una crescente spesa del privato, più attrattivo e più efficiente del pubblico e perciò con più margini di profitto. Sarebbe, quindi, auspicabile differenziare il ruolo del privato, differenziare l’offerta, ma lasciare sempre la responsabilità all’ente pubblico, che deve produrre servizi o, in alternativa, saperli comprare dal privato evitando comportamenti opportunistici.
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nfine, va posto rilievo su un ulteriore punto di criticità che è rappresentato dall’intra moenia, la possibilità da parte dei medici in forza al servizio pubblico a tempo indeterminato di esercitare la loro attività privata presso la struttura pubblica versando una quota dei loro profitti all’Ente. Questa modalità di accesso ai servizi rappresenta un vantaggio per
l’utente nel poter scegliere il professionista da cui farsi curare, accorciando di fatto le liste di attesa e ottenere spesso un migliore standard alberghiero. Ma, altresì, questo sistema produce evidenti disparità di trattamento tra chi può permettersi di pagare e chi no e la creazione di una élite di professionisti che tenderà a operare soprattutto in intra moenia nonostante le norme prevedano che le prestazioni in intra moenia non possano in nessun caso superare quelle rese in ordinario. Inoltre, si corre il rischio che il pubblico diventi una delle modalità di raccolta di clienti privati anche per i medici che lavorano in extra moenia (a tempo determinato) sotto forma di visite private per accedere al servizio ospedaliero e interventi operatori nel privato per evitare lunghe liste di attesa, etc. etc.
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ome abbiamo visto in questo brevissimo excursus, il tema dell’assistenza sanitaria è articolato e complesso. I problemi sono tanti e sono emersi in maniera drammatica durante la fase acuta dell’emergenza covid. Le diverse sanità regionali la hanno affrontata in maniera differente e, per inciso, la tanto esaltata sanità lombarda, incentrata soprattutto sui servizi privati in convenzione, ha mostrato tutti i propri limiti. È evidente che occorra ridefinire tutto il sistema di assistenza sanitaria riportandolo sotto la guida centrale. Le tante sanità regionali con livelli di servizi differenti non garantiscono l’eguaglianza di tutti i cittadini nel fruire di un diritto fondamentale come stabilito dall’art. 32 della nostra Carta costituzionale.
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n diritto che, invece, è ancora una volta sotto attacco. Il disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata è “magicamente” ricomparso, aggiunto ai decreti collegati alla legge di Bilancio per il 2022. Si tratta di un regalo ai leghisti da parte dell’esecutivo Draghi che potrebbe rappresentare il definitivo colpo di grazia a quel che resta di nazionale della sanità pubblica. Confidiamo in una forte opposizione da parte di tutti i parlamentari del centrosinistra e, in primis, da parte del ministro della Salute Speranza che, pur tra tante difficoltà, è riuscito a tenere la barra del timone dritta della barca piena di falle della nostra sanità pubblica. L’aumento della dotazione del fondo sanitario nazionale da 114 a 122 miliardi in questi ultimi anni è certamente un ottimo risultato che dovrà essere incrementato anche nei prossimi, operando affinché le diseguaglianze vengano rimosse per avere finalmente una sanità pubblica che garantisca cure efficaci a tutti i cittadini.
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L’INTERVENTO IN ECONOMIA DELLO STATO UNITARIO ITALIANO DI GIOVAN GIUSEPPE MENNELLA
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o Stato italiano sorse nel 1861 unito e indipendente e fu un miracolo politicomilitare dovuto all’astuzia politica di Cavour e dei moderati e all’impegno militare di Garibaldi e del Partito democratico. Dopo i miracoli si fermarono; infatti, la base sociale dello Stato risultò estremamente ristretta, composta com’era sostanzialmente di proprietari terrieri grandi e medi, di banchieri, di proprietari delle pochissime industrie non legate alla trasformazione dei prodotti agricoli, di esponenti dell’alta burocrazia e degli alti gradi dell’Esercito. Aveva diritto all’elettorato attivo non più del due per cento della popolazione. Il compito immane di amalgamare gli ordinamenti, le economie, l’organizzazione di tanti ex Antichi Stati italiani entrati a far parte della compagine unitaria, insieme alle fortissime spese necessarie per organizzare dal nulla un nuovo Stato, aprirono una voragine nei conti pubblici e un conseguente aumento delle imposte. In queste condizioni, ovviamente, il neonato Stato non poteva avere un programma organico di intervento nell’economia, impegnato com’era a tappare sia i buchi di bilancio con una politica fiscale che oggi si definirebbe di lacrime e sangue, sia a reprimere la ribellione di forze che si opponevano allo Stato unitario, soprattutto la guerriglia dei briganti nel Mezzogiorno.
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’altra parte, l’impostazione di politica economica dei moderati della Destra storica al potere nel primo quindicennio unitario fu chiaramente liberistica. Il liberismo post-unitario danneggi il Sud, dove non ci fu più la barriera del protezionismo adottato dal Regno borbonico per proteggere i prodotti autoctoni dalle importazioni da paesi tecnologicamente più avanzati. Così ebbero a soffrirne le poche industrie presenti nel territorio, meccaniche, di navigazione, tessili, non molto evolute, soprattutto dal punto di vista dell’organizzazione capitalistica e finanziaria, da
poter reggere la concorrenza. Fu emblematico il caso della gestione del servizio postale marittimo per le rotte verso il Sud, in relazione al quale i finanziamenti statali dello Stato unitario furono concessi alla Società Rubattino, avente sede nel Nord. Viceversa, nel Nord, le più organizzate industrie capitalistiche tessili e di trasformazione dei prodotti agricoli, soprattutto della Pianura Padana, ressero.
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al 1864 al 1875 lo sforzo dei Ministri delle Finanze Quintino Sella e Marco Minghetti riuscì a raggiungere il fatidico pareggio di bilancio e quindi, anche con l’avvento al governo della Sinistra Storica, si aprì un maggiore spazio per l’intervento statale nell’economia. Nei primi anni dopo il 1876 e fino allo scorcio del secolo XIX l’impegno statale si esplicò nel protezionismo doganale, adottato per favorire le nascenti industrie siderurgica, meccanica, delle costruzioni navali, situate soprattutto nel Nord. L’impostazione protezionistica di alcuni governi della Sinistra storica dopo il 1876 e dei governi di Crispi sfavorì l’agricoltura meridionale, soprattutto le colture specializzate e di pregio della vite, dell’olivo, degli ortaggi che si trovavano ostacolate dalle barriere doganali innalzate per ritorsione dagli Stati esteri, soprattutto dalla Francia. Probabilmente, alla politica protezionistica non c’erano alternative, se si voleva far sorgere un processo di accelerata industrializzazione, necessario per recuperare il ritardo sui Paesi tecnologicamente più avanzati.
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iolitti, nei suoi governi a partire dal 1903 continuò con la politica protezionistica, alla quale non mancarono anche serie e motivate opposizioni, come quella dei sindacalisti rivoluzionari di Arturo Labriola e quella dell’opposizione liberale costituzionale di Sidney Sonnino che lamentavano i danni per l’economia
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 agricola del Mezzogiorno e per la libera impresa.
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el 1911, poco prima della guerra di Libia, Giolitti fece presentare al Parlamento un disegno di legge che istituì il primo Ente pubblico economico, l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, con il compito di esercitare il monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita, con il compito di accumulare capitali pubblici per provvedere alla previdenza dei lavoratori. Il disegno di legge era stato preparato dal Ministro dell’Industria Francesco Saverio Nitti, con la collaborazione determinante di Alberto Beneduce, un grande tecnocrate che sarà ancora più determinante nel prosieguo della storia. L’intervento nella Grande Guerra il 24 maggio 1915 accelerò la tendenza al controllo dello Stato su alcuni tipi di produzioni e anche sul credito e sui movimenti finanziari, allo scopo di razionalizzare l’economia e programmare lo sforzo bellico.
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all’inizio del secolo anche i nazionalisti, uno dei grandi movimenti di massa insieme al socialismo e ai cattolici, con l’ideologo Alfredo Rocco, avevano sostenuto che dall’antagonismo delle nuove parti sociali create dall’incremento delle iniziative industriali, dovesse emergere la sovranità assoluta dello Stato, sintesi dell’unità nazionale, anche nel campo dell’economia. Il Fascismo in quanto regime totalitario fu interessato al controllo di tutte le attività dei cittadini e quindi anche di quelle in campo economico. Non a caso, Giovanni Gentile, tra i principali ideologi del fascismo elaborò il concetto che nulla doveva esistere al di fuori dello Stato, nulla senza lo Stato, nulla contro lo Stato. Quando il Pontefice Pio XI volle criticare i totalitarismi in quanto contrari allo spirito del Cristianesimo, ebbe a dire che il Fascismo aveva sostituito alla religione di Cristo la Religione dello Stato. Tuttavia, nei primi anni del Regime prevalse la tendenza a lasciare di l’iniziativa economica alla classe imprenditoriale, alla cui connivenza il fascismo doveva in larga parte la presa del potere.
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uando il Regime fu abbastanza consolidato da poter fare scelte autonome, furono adottate alcune scelte che già configuravano un maggiore controllo dell’economia, un embrione di vero e proprio dirigismo. In questo filone si inserirono nella seconda metà degli anni ’20 la rivalutazione della lira a quota 90 sulla sterlina, la battaglia del grano, intesa ad aumentare artificiosamente la produzione dei cereali per raggiungere l’autosufficienza, peraltro mai ottenuta,
un ciclo di lavori pubblici intesi a diminuire la disoccupazione, la bonifica integrale, studiata dal grande tecnocrate Arrigo Serpieri, che però non fu portata a termine per mancanza di capitali e per il boicottaggio dei grandi proprietari terrieri che non intendevano parteciparne finanziamento. Le prime misure dirigistiche del Fascismo non sempre riuscirono utili, anzi qualcuna si rivelò controproducente, come la rivalutazione della lira che danneggiò l’esportazione di alcuni prodotti, o l’incremento forzato della produzione di cereali che causò la diminuzione del terreno destinato alle colture di pregio e danneggiò la zootecnia. L’intervento dello Stato fascista fu più sostanziale durante la grande crisi mondiale, seguita al crollo borsistico del 1929 e alla depressione economica dei primi anni ’30, i cui effetti furono avvertiti in modo pesante anche in Italia, nel periodo 1929-1933.
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a crisi mondiale fu originata dal crollo borsistico che causò un drastico restringimento del credito e il fallimento di moltissime aziende che erano già loro stesse alle prese con problemi di sovrapproduzione. Poi si riverberò anche sulle banche che si trovarono irrimediabilmente esposte perché non riuscirono a recuperare i crediti concessi alle imprese e avevano in portafoglio moltissime azioni ormai svalutate. La congiuntura mondiale estremamente sfavorevole fece sentire i suoi effetti anche in Italia. L’industria italiana fu colpita dalla crisi in misura non molto diversa da quella della media dei paesi industrializzati europei, ma anche l’agricoltura soffrì gravemente per il crollo dei prezzi delle derrate, per le difficoltà del commercio estero e per la politica del governo di proteggere fortemente la produzione della barbabietola da zucchero e del grano, nella continuazione della famosa “battaglia”,. Tutto questo produsse un considerevole e inarrestabile aumento della disoccupazione. Si passò dalle 300.000 unità nell’ottobre 1929, a 740.000 nel dicembre 1930, a 1.070.000 nel dicembre 1931, a 1.230.000 nel febbraio 1932, a 1.300.000 nel febbraio 1933, per mantenersi a tale livello nell’inverno 19331934. Dopo cominciò a diminuire, ma i disoccupati erano ancora 765.000 nel 1935. Per due anni vi fu anche una ripresa dell’emigrazione, consentita da Mussolini con una circolare ai prefetti delle province settentrionali e parte di quelle centrali del 13 agosto 1930, adottata per alleggerire la pressione dei disoccupati nelle zone più colpite dalla crisi.
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partire dal novembre 1930 fu decisa la riduzione dei salari nell’industria e nell’agricoltura. Diminuirono anche le ore lavorative e i consumi, soprattutto quelli delle classi sociali meno abbienti. La crisi dell’industria e dell’agricoltura determinò una grave sofferenza delle banche, per l’inesigibilità dei crediti con le imprese, e anche perché le più importanti di esse, Banca Commerciale, Credito Italiano e, sia pure in misura minore, Banca di Roma, essendo state sempre le principali finanziatrici delle imprese, avevano in portafoglio un gran numero di azioni delle più importanti industrie italiane. Il problema principale del mondo bancario fino al 1929, non solo in Italia, era consistito nella commistione, nelle medesime banche, tra attività bancaria tradizionale di tipo commerciale e speculativo e l’attività di investimento a favore delle imprese. Le operazioni azzardate tipiche del primo tipo avevano travolto nel loro crollo anche l’attività di credito alle imprese.
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uando, nel settembre 1931, divenne grave anche la situazione della Commerciale, fu necessario operare un intervento pubblico per salvare banche e imprese industriali. Si decise un intervento radicale, comprensivo di pubblicizzazione e ristrutturazione del mondo bancario e industriale, sia perché i mutui concessi poco alla volta dallo Stato alle banche si erano rivelati insufficienti per il salvataggio, sia per evitare che le stesse banche private, una volta salvate dalla crisi, continuassero ad essere, con i medesimi rischiosi criteri speculativi, le finanziatrici delle imprese. L’operazione fu avviata alla fine del 1931 e constò nel salvataggio a spese dello Stato delle imprese bancarie e industriali in crisi e nella costituzione degli Enti pubblici IMI, Istituto Mobiliare Italiano e IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale a cui andava affidata la gestione degli asset salvati.
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’operazione fu portata avanti, nella massima segretezza, da un gruppo ristretto di tecnocrati, scelti personalmente da Mussolini, senza interessare minimamente il Parlamento, il Gran Consiglio e neppure i principali dirigenti del Partito Nazionale Fascista, né il tanto enfatizzato sistema delle corporazioni o lo stesso governo inteso nella sua collegialità. Piuttosto che in questi circuiti istituzionali la strategia prese corpo invece nelle stanze riservate degli enti pubblici economici, nelle stanze ovattate della Banca d’Italia, molto negli ambienti esclusivi frequentati dalle élite
tecnocratiche del regime. Gran parte della manovra, dipanatasi nel corso di più anni, tra il 1931 e il 1933 per la fondazione dell’IMI e dell’IRI e tra il 1936 e il 1938 per la legge bancaria e l’ordinamento del credito, si avvalse di strumenti normativi “leggeri”, il decreto-legge quando non se ne poteva fare a meno, sennò, meglio, un armamentario di convenzioni, accordi, direttive di autorità di settore per lo più messi a punto dal diritto privato.
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l principale attore ne fu Alberto Beneduce, studioso di statistica ed economia, già collaboratore del Ministro dell’Industria Francesco Saverio Nitti nella fondazione dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, successivamente presidente di alcuni importanti istituti di credito. Beneduce era stato sempre contrario alle banche miste, cioè quelle che esercitavano sia il credito commerciale a breve, sia il credito a lungo termine alle industrie, caratteristica tipicamente italiana che era stata una delle principali ragioni della crisi della Banca Commerciale e del Credito Italiano. Era convinto che le banche private dovessero limitarsi al credito commerciale e lo disse con determinazione a Mussolini e a Toeplitz che amministrava da tempo la Commerciale. Con decreto-legge del 9 novembre 1931 fu istituito un nuovo Ente statale finanziatore delle imprese, l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano), con capitale di circa 500 milioni di lire sottoscritto da Cassa Depositi e Prestiti, INA, Banco di Napoli, Banco di Sicilia, con il compito di raccogliere risparmio mediante l’emissione di obbligazioni decennali da destinare al finanziamento di industrie a scopo di risanamento e sviluppo. Tuttavia, nel corso del successivo anno 1932, per l’aggravarsi della crisi e per una gestione troppo prudente, l’IMI riuscì a svolgere un’attività relativamente limitata e in ogni caso non sufficiente a risolvere la situazione in modo decisivo.
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ussolini l’8 gennaio 1933 incaricò il Ministro delle Finanze Guido Jung di preparare la formazione di un nuovo istituto pubblico, che avrebbe dovuto finanziare a lungo termine le industrie in maggiore difficoltà e stimolare la ripresa produttiva. Per consiglio di Alberto Beneduce, che pose il problema dello smobilizzo del possesso azionario delle banche, Jung modificò il progetto originario del Duce, che non si oppose alle modifiche. Era questa, sostanzialmente la realizzazione del necessario progetto di separazione dell’attività bancaria commerciale tradizionale che poteva prevedere anche aspetti di rischio speculativo dall’attività bancaria di
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u così emanato il decreto-legge del 23 gennaio 1933, che diede vita all’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), di cui fu presidente Beneduce, vicepresidente Francesco Giordani, professore di chimica generale all’Università di Napoli, e direttore generale Donato Menichella, futuro governatore della Banca d’Italia dopo la seconda guerra mondiale. La più importante attività dell’IRI riguardò le grandi banche, di cui era divenuto il principale proprietario, possedendo il 94% delle azioni della Banca Commerciale e il 78% di quelle del Credito Italiano. Acquistò anche il 94% delle azione del Banco di Roma, per evitare che questa banca privata, sia pure molto più piccola delle altre due e non in sofferenza, continuasse ad effettuare pericolose operazioni speculative. Oltre che delle tre banche, l’IRI divenne proprietario di una grande quantità di partecipazioni azionarie nelle imprese, cedutegli dalle banche stesse. Così le partecipazioni azionarie dell’IRI ammontarono a più del 20% del capitale azionario totale in Italia. In percentuale, l’IRI prevaleva nelle società telefoniche (83,15%) e in quelle di navigazione (55,88%), mentre aveva posizioni cospicue nelle banche private (38,92%), nelle società metallurgiche (37,92%), nelle società finanziarie (32,18%), in quelle elettriche (29,33%), nelle immobiliari urbane (23,00%) e nelle società meccaniche (21%).
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l compito per il quale l’IRI fu costituito sarebbe stato quello di finanziare, riordinare e poi rivendere agli imprenditori privati le società di cui aveva acquisito la proprietà azionaria, quindi avrebbe dovuto essere un compito limitato nel tempo. Tuttavia, solo alcune imprese furono smobilizzate e vendute ai privati, quelle più redditizie e non in perdita. Viceversa, non poterono essere smobilizzate quelle imprese non molto appetibili per i privati in quanto avrebbero dovuto essere ancora sostenute da forti investimenti, mentre lo Stato pretese di conservare il controllo
delle imprese necessarie alla produzione bellica. Pertanto l’IRI fu trasformato in Ente permanente con decreto legge del giugno 1937.
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e cessioni ai privati riguardarono soprattutto le banche e le società elettriche, mentre furono conservate al pubblico soprattutto le società telefoniche (SIP e STET), quelle cantieristiche facenti capo alla FINMARE, quelle meccaniche controllate dalla FINMECCANICA, queste ultime importanti per la produzione di armamenti necessari alle guerre che il fascismo stava intraprendendo in giro per il mondo a partire dalla seconda metà degli anni ’30.
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a storia dell’intervento statale in economia nel secondo dopoguerra è più recente e più nota. L’IMI e l’IRI continuarono la loro opera configurando quella economia mista pubblica e privata per cui si è caratterizzato lo Stato democratico nato dalla Resistenza. Ai due pilastri costituiti dagli Enti costituiti durante il fascismo si aggiunsero sostanzialmente l’ENI di Enrico Mattei e la Cassa per il Mezzogiorno.
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nrico Mattei era stato un importante imprenditore nato da umili origini, fattosi da sé durante il fascismo, che aveva partecipato attivamente alla Resistenza, con il compito di amministrare i finanziamenti del CLN e di tenerne i conti economici. Dopo la guerra gli fu affidato il compito di liquidare l’AGIP, uno dei tanti Enti economici secondari creati durante il fascismo. Mattei, valendosi delle sue amicizie politiche nella sinistra democristiana, come Ezio Vanoni, Amintore Fanfani e La Pira, riuscì a impedirne la liquidazione e lo rilanciò, ampliandolo con l’istituzione dell’Ente Nazionale Idrocarburi, dando vita all’interessante esperimento di cercare idrocarburi nella Valle Padana e passando poi al procacciamento di forti forniture di petrolio e gas naturale stipulando contratti vantaggiosi con i Paesi produttori del Terzo Mondo. Con l’ENI Mattei contribuì ad assicurare all’Italia una autosufficienza energetica che costituì uno dei fattori determinanti della Ricostruzione e del miracolo economico,
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n altro pilastro economico pubblico del dopoguerra fu la Cassa per il Mezzogiorno, che ebbe il compito di sviluppare infrastrutture e imprese economiche nelle zone depresse del Paese, soprattutto il Mezzogiorno, ma non solo. L’organizzazione e la gestione della Cassa fu sostanzialmente nelle mani dei medesimi tecnocrati che avevano contribuito a fondare l’IRI, soprattutto Pasquale Saraceno, Gabriele Pescatore, Sergio Paronetto.
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’opera degli Enti pubblici economici ENI, IRI, Cassa per il Mezzogiorno fu sostanzialmente positiva e determinante per lo sviluppo del Paese nella prima parte della storia dell’Italia democratica, fino alla metà degli anni ’60 e sostanzialmente fino alla morte di Enrico Mattei nel mai chiarito incidente aereo di Bascapè.
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ella seconda parte della storia della Repubblica, gli Enti pubblici economici persero molta della loro efficacia, diventando fonte di corruzione dei partiti politici, fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica. Sul controllo e sull’intervento statale in economia hanno influito negativamente il cambiamento del ciclo economico mondiale intervenuto a partire dagli anni ’80 del Novecento. Hanno spinto alla liberalizzazione e alla privatizzazione in economia le nuove normative europee a partire dagli accordi di Maastricht del 1992, la stessa abrogazione negli USA del Glass Steagall Act, la Globalizzazione economica con la tendenza mondiale alla liberalizzazione dei commerci e degli scambi finanziari prevista dagli accordi nell’ambito del WTO World Trade Organization, non era più favorevole all’esistenza di uno Stato controllore, né tantomeno imprenditore. Il ciclo è stato completato con l’emanazione delle regole europee che sostanzialmente hanno vietato, con eccezioni per casi particolari, gli aiuti di Stato all’economia e alle imprese.
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e conseguenze sono state in Italia la dismissione delle aziende pubbliche economiche e le conseguenti privatizzazioni tra la seconda metà degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio. Nel mondo ci sono state la crisi delle banche del 2008 e la conseguente depressione economica, la crisi del debito europeo del 2011.
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ttualmente però, dopo le crisi del 2008 e del 2011 e quella recentissima causata dalla pandemia da COVID 19, vi è un accenno di ritorno al passato ed è allo studio un grande piano di rilancio pubblico dell’economia nell’ambito delle istituzioni europee, che è ancora tutto da sviluppare e da applicare.
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OIKOS E POLIS DI CHIARA TORTORELLI
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’è una reale differenza tra dimensione pubblica e dimensione privata?
Nel mondo greco della democrazia ateniese si dibatteva molto sul rapporto tra oikos cioè nucleo familiare e polis, cioè città e quindi collettività; l’oikos inserito nella polis definiva la natura stessa della polis. Trovo molto efficace la traduzione più fedele possibile del termine oikos, che è appunto “organismo” che comprende cose, persone e riti. L’organismo dà bene l’idea di “movimento”, e fa intendere che oikos non è una matrice fissa; quindi sottrae l’oikos alla schematicità e al dogma e fa intendere la natura del movimento evolutivo intrinseco della sfera privata che è retta dal meccanismo evolutivo tipico della coscienza umana.
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el mondo romano il privato era definito dall’otium e il pubblico dal negotium, e nella coscienza e nella vita di ogni singolo individuo si alternavano le dimensioni del negotium cioè del “fare nella società e per la società” e dell’otium cioè del dedicarsi a se stessi e alle proprie passioni. Solo una completa armonia tra le due sfere a livello individuale permetteva l’armonia sociale e civile, un po’ come quell’armonia sempre sottolineata dal mondo latino, “mens sana in corpore sano”.
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e civiltà antiche sembrano suggerire la dimensione di interdipendenza tra pubblico e privato e la dinamica evolutiva legata all’impossibilità di tradurre in uno schema fisso ciò che è privato e quindi ciò che è pubblico.
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elle filosofie orientali che richiamano molto le scoperte fatte nell’ultimo secolo dalla fisica quantistica, l’io e il mondo non sono disgiunti, ciò che vediamo all’esterno è il perfetto riflesso del nostro stato di coscienza, quindi il pubblico e il privato sono interconnessi, ciò che vediamo pubblico non è esistente di per sé ma è influenzato dalla natura del privato. Nel buddismo si parla della natura specchio, che si basa sulla comprensione profonda che tutto ciò che vediamo all’esterno di noi ci specchia, ci permette di vedere la nostra essenza e di conoscerci. Non esiste quindi separazione, la frattura della separazione è un fattore esclusivamente mentale e razionale. Noi separiamo per discernere ma la coscienza dovrebbe poi operare il processo della riunificazione, che si basa sul “riconoscere” se stessi negli altri, e gli altri in se stessi. Un po’ come diceva Terenzio: “Homo sum, humani nihil a me alenum puto”, sono un uomo, niente che sia umano mi è estraneo, riportando così in vita il valore dell’humanitas.
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otremmo dire che non esiste collettivo a sé stante dall’individuale e che ciò che vediamo collettivo non è oggettivo ma dipende dallo sguardo di chi osserva, non può essere separato dal soggetto che guarda. Quindi non esiste un solo collettivo, una sola dimensione pubblica, ma tante dimensioni pubbliche quanti sono i soggetti coinvolti. Ritorna quindi con la sua forza il concetto di “evoluzione”.
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ome si cambia una società?
Non dal collettivo, inteso a livello ideologico, ma dall’individuo. L’individuo è la cellula del collettivo e se si vogliono trasformare i postulati sociali alla base di un certo modo di vivere, di relazionarsi e di fare nella polis quindi di fare politica, non serve molto considerare meccanicamente il pubblico come un’area statica e amorfa su cui intervenire dall’esterno. Occorre ritornare all’individuo e incentivare in ciascuno il processo evolutivo, cioè un cambiamento dello stato di coscienza. Nella nostra società orientata alla tecnica è facile smarrire il valore umano, l’humanitas e quindi il sentimento della pietas, quell’empatia che fa sentire l’altro uguale a noi.
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i viene in aiuto il mondo greco, l’oikos era considerato fattore dinamico, in movimento, un organismo vivo, quindi non conviene “rivoluzionare” perché la rivoluzione presuppone un processo di non riconoscimento, e rende amorfo e privo di vita l’oikos. A noi serve unificare, per creare quei presupposti comuni che dovrebbero animare un collettivo autentico.
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ovremmo quindi ritornare all’uomo nella sua accezione più feconda e valoriale. Ricondurre l’uomo all’uomo e quindi a se stesso, per riscoprire il mondo come dicevano i socratici e per costruire il corpo sociale a partire da quei valori umanitari che sembrano perduti oggi dietro uno schermo freddo, nel mito dell’interconnessione apparente e nella società mercantile liquida. Al capitale economico affiancare il capitale umano. Ricondurre l’uomo all’uomo perché pubblico e privato viaggino insieme, e costituiscano elemento fondante di quel “capitale” fondato sulla coscienza, sulla pietas e sull’humanitas e non sul meccanicismo robotico dell’efficienza, del consumo e del profitto.
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LA SCUOLA: PALESTRA DI DEMOCRAZIA
DI ANTONIA SCIVITTARO
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redo di sfondare una porta aperta dicendo che il rapporto tra l’individuo privato e la comunità, anche se formata da tanti singoli, è molto complesso e pieno di sfaccettature. Anche nel mio piccolo è possibile notarlo. In particolare all’interno della scuola dove oggi, dopo molti mesi di Dad, torno a vivere una gran parte del mio quotidiano. Io sono una semplice studentessa di secondo liceo, attenta al sociale e interessata alla politica. Vorrei condividere queste mie passioni con la mia “collettività”: i miei compagni di classe, i miei professori e la mia scuola. Nonostante questo mio desiderio, però impattarsi con la realtà, è sempre più complicato che fantasticare o pensare di fare qualcosa… Recentemente ho vissuto un’esperienza che mi ha fatto realizzare questa complessità ancora più da vicino…
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l venticinque settembre appena trascorso c’è stato lo sciopero globale per l’ambiente: il “Friday for Future” e in tutte le città, erano previste manifestazioni per la difesa del nostro unico e indispensabile ecosistema. Noi avevamo iniziato a parlarne solo pochi giorni prima, in parte per gli impegni scolastici e non, in parte a causa di una certa superficialità nel “farsi carico” i temi che riguardano il bene della collettività. Confrontandoci fra noi studenti, non siamo arrivati a conclusioni particolarmente esaustive. Riflettemmo sul fatto che, avendo solo 15 anni, molti genitori non avrebbero avuto piacere a
saperci ad una manifestazione. Non avevamo avuto il tempo per discutere approfonditamente il tema dell’inquinamento, poter scrivere striscioni o cartelli che avessero l’originalità del nostro pensiero e, non da ultimo, non sapevamo COME si partecipa ad una manifestazione. Decidemmo di confrontarci con una delle nostre professoresse, per avere il suo parere sulla questione. Il dibattito che ne sfociò fu decisamente più risolutivo di quanto non lo fossero stati i precedenti.
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nsieme, riuscimmo a stabilire il piano che, approssimativamente, avremmo dovuto seguire: se fossimo riusciti ad ottenere il permesso di scendere in piazza a manifestare, avremmo scioperato; se invece il permesso, ci fosse stato negato saremmo andati a scuola e avremmo discusso in classe il problema del cambiamento climatico…Nel caso della nostra presenza a scuola, avremmo voluto predisporre uno striscione sulla cancellata per dichiarare, pur non partecipando al corteo, la nostra solidarietà ai manifestanti e la nostra condivisione sui temi della protesta. Per alcuni motivi che non abbiamo ben capito, ci è stato comunicato che non avremmo potuto farlo, né sarebbe stato consigliabile scrivere anche solo un cartellone da attaccare fuori alla porta della classe… La situazione, a quel punto, ci era sfuggita di mano…. Scioperammo, ma solo in pochi, compresa me, andarono effettivamente alla manifestazione. I genitori avevano negato agli altri il permesso, nonostante avessimo già dichiarato che non saremmo andati a scuola... Insomma, una specie di sciopero “da casa…”
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opo quella giornata mi sono posta parecchie domande: come eravamo arrivati alla comica soluzione di una manifestazione che si era ‘svolta’ (per così dire) stando ognuno per conto proprio?
le assemblee di classe, le assemblee d’istituto, i rappresentanti di classe e d’istituto, il collettivo studentesco ecc… parlare fra noi, confrontarsi, scambiarsi pareri è fonte di ricchezza, di progresso e di innovazione.
Ho notato che le discussioni che si sono tenute solo fra studenti si sono rivelate inconcludenti. Questo, a causa del fatto che spesso tendiamo a parlarci addosso, senza darci il tempo di esprimere dei pensieri completi, e che pur essendo bravi ad ascoltare gli adulti, i professori, i genitori e a considerare le loro opinioni, come è giusto che sia; non riteniamo le nostre idee altrettanto valide.
a scuola in tutte le sue parti (allievi, professori, personale scolastico e apparato organizzativo) è quanto di più importante per la crescita dell’individuo e della collettività. È da qui che si comincia. Ed è da qui che i miei compagni ed io inizieremo la nostra crescita nella democrazia.
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La scuola non dovrebbe aiutarci a crescere, a prendere decisioni, per poi diventare membri attivi e partecipi della società? Dov’era allora, il cortocircuito fra singolo e collettivo? Nella mia scuola, come nella maggior parte delle scuole ci sono degli strumenti democratici che gli studenti possono richiedere per consultarsi tra loro: che vanno dall’assemblea di classe a quella di istituto… ma sappiamo usarli?
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l giorno prima dello sciopero, come ho raccontato, avevamo parlato anche con una professoressa e le avevamo chiesto se fosse possibile appendere degli striscioni. Questa domanda, che io stessa posi, ora mi appare ingenua, perché mi sono resa conto che noi non conosciamo i “dispositivi” che abbiamo per esercitare nostri diritti in quanto studenti. In questo modo ho capito che così non poteva andare bene, poiché la scuola è il luogo in cui si impara ad esercitare la democrazia, la discussione, il confronto, l’inserimento regolamentato del singolo all’interno della comunità, la relazione tra il privato cittadino e il pubblico. La democrazia ripaga sempre, nonostante gli sforzi necessari per esercitarla. Nel microcosmo di questa mia esperienza, infatti, ho avuto modo di apprendere tanto: ho parlato con tanti studenti; mi sono confrontata con gli insegnanti e mi sono scontrata anche con le necessità della mediazione fra le parti coinvolte.
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n particolare, ho capito che non conoscevo le regole fondamentali per muoversi nella palestra della democrazia studentesca. Per questo motivo ho fatto delle ricerche riguardanti quali sono gli strumenti che gli studenti hanno per portare le proprie idee su un piano di confronto con “l’istituzione scuola”: lo statuto degli studenti,
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I CAMMINI ITALIANI: DALLA VIA FRANCIGENA ALL’ATLANTE PERDUTO DI VERONICA D’ANGELO
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he cos’è un Cammino? Un percorso a piedi di più giorni, normalmente diviso in tappe di media lunghezza, caratterizzato da un filo conduttore che può essere di tipo religioso, culturale, naturalistico o storico. In origine, i Cammini erano i viaggi fatti in epoca medievale per raggiungere i luoghi santi della Cristianità, che erano Gerusalemme, Santiago de Compostela e Roma, durante i quali i pellegrini attraversavano strade e sentieri, campagne e montagne, dotati del minimo indispensabile e chiedendo spesso riparo in ostelli o strutture religiose. Essi portavano con sé la credenziale, una lettera del parroco o del vescovo che attestava la loro intenzione di compiere un determinato Cammino. I pericoli disseminati lungo i percorsi, lunghi centinaia di chilometri, erano tali e tanti, dalle
condizioni atmosferiche ai sentieri impervi, alle possibili aggressioni di animali selvatici o banditi, che intraprenderli era di per sé un atto di fede e rappresentava la metafora delle avversità della vita da superare per ricevere il dono del Paradiso.
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ncora oggi, sulle orme degli antichi pellegrini, si possono percorrere il Cammino di Santiago, che attraversa la Spagna per giungere in Galizia, presso la tomba dell’Apostolo Giacomo, o la Via Francigena, che collega quelle che un tempo erano le terre dei Franchi a Roma e poi ai porti pugliesi, da cui ci si imbarcava per la Terra Santa. Per anni il Cammino di Santiago è stato quello più conosciuto e frequentato, probabilmente perché ha mantenuto il carattere semplice, austero e spirituale che aveva in origine, e al contempo ha beneficiato
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 del supporto delle istituzioni che sono intervenute per fare promozione, migliorare la segnaletica e supportare le strutture destinate alla accoglienza. Si parte con una credenziale, rilasciata da un ente autorizzato, che va timbrata ad ogni tappa del percorso e che consente, al raggiungimento di un certo numero di chilometri, di ottenere l’attestato di percorrenza. Ci si sveglia al mattino presto e all’arrivo si cerca alloggio in una delle strutture dedicate ai pellegrini, seguendo la segnaletica con la conchiglia, simbolo del pellegrinaggio in questi luoghi, disseminata lungo il percorso. Sono stata anche io in cammino per Santiago una decina di anni fa, alla ricerca di risposte esistenziali, con le mie mappe stampate (allora non c’erano le App), il bastone e la conchiglia appesa allo zaino, con il timore di non reggere lo sforzo fisico e la meraviglia di scoprire ogni giorno persone, luoghi ed emozioni diverse.
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e una volta questi sentieri erano intrapresi per lo più da fedeli e appassionati di trekking, tuttavia, con il tempo sono diventati meta di un crescente turismo alternativo, lento e sostenibile, fatto di un pubblico meno esperto in cerca non solo di spiritualità, ma anche più semplicemente di spazi aperti, riscoperta del territorio e del benessere psico-fisico legato al camminare. Anche in Italia l’interesse per i Cammini è cresciuto notevolmente negli ultimi anni, generando una riscoperta di quelli classici, come la antica Via Francigena, e la creazione di nuovi, grazie al lavoro di associazioni e, in qualche caso, delle istituzioni, che hanno visto nella realizzazione di questi percorsi nuove opportunità di valorizzazione dell’inestimabile patrimonio naturalistico e culturale italiano e di sviluppo economico dei territori. La Via Francigena, ad esempio, ha ricevuto un rinnovato impulso grazie al lavoro promozionale della Associazione Europea delle Vie Francigene, che fornisce le credenziali del Cammino e che quest’anno ha organizzato lungo i 3.200 chilometri di percorso una grande marcia a staffetta, durata quattro mesi, cui hanno partecipato pellegrini, associazioni e viandanti da tutta Europa. Il tratto della Francigena nel nostro Paese, quello che va dal Gran San Bernardo a Roma, è un percorso lungo 945 chilometri che attraversa in verticale la penisola, dalle montagne valdostane ai campi piemontesi, dalle colline emiliane e toscane ai laghi del Lazio, mentre la Via del Sud attraversa la
Campania fino alle meravigliose coste pugliesi. Un viaggio nel territorio italiano a contatto con la sua storia e le sue tradizioni, oltre che con la natura ed il paesaggio. Molti altri sono però i Cammini in Italia, nati più o meno recentemente. Alcuni sono di natura religiosa, come il Cammino di San Francesco o di San Benedetto, ubicati in Italia centrale, che ripercorrono i luoghi cari ai Santi. Altri sono di tipo storico, come ad esempio il Sentiero dei Briganti, che attraversa le montagne dell’Aspromonte, in Calabria, o il Sentiero della Pace in Trentino, voluto fortemente dalla Provincia di Trento, che dal Passo del Tonale alla Marmolada unisce i luoghi della memoria seguendo la linea del fronte della Prima guerra mondiale.
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a maggior parte di questi itinerari nasce su impulso di volontari, associazioni culturali o ambientaliste che ne curano poi lo sviluppo, partendo dalla ricerca storica alla sistemazione dei sentieri e della segnaletica, dall’elaborazione delle mappe alla gestione delle credenziali, alla comunicazione e promozione attraverso il web e i canali social. Un lavoro che viene ripagato enormemente in termini di ricaduta economica sui territori, ma che non sempre riceve dalle istituzioni il supporto che meriterebbe. Tra gli ultimi nati c’è il Cammino di Dante, ideato nel 2015 da un gruppo di appassionati di Dante e di trekking, che hanno sviluppato un percorso ad anello di quasi 400 chilometri che si snoda tra la Toscana e la Romagna, collegando la casa del poeta a Firenze e la sua tomba a Ravenna, in un affascinante viaggio immaginario che attraversa i sentieri degli Appennini, i borghi e le vie medievali percorsi durante l’esilio, quando Dante scrisse la Divina Commedia, o di cui si trova traccia nella sua opera. Per il suo ruolo importante ai fini della diffusione della cultura dantesca, questo Cammino è stato riconosciuto “bene culturale” dal Ministero della Cultura.
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ncora in cantiere, invece, il Cammino dell’Appia antica, la strada che collegava Roma a Brindisi, porta per l’Oriente, che è stato costruito a seguito della spedizione fatta nel 2015 da un gruppo di quattro persone, tra cui lo scrittore e viaggiatore Paolo Rumiz, su iniziativa di Repubblica, per riscoprire la strada romana antica più nota al mondo. Il percorso tracciato, lungo circa 600 chilometri, fu oggetto di una serie di inserti, un libro di Rumiz e una mostra fotografica che ha fatto
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 il giro del mondo. Il Ministero della Cultura, cui furono consegnate le mappe nel 2016, ha deciso di realizzare il Cammino, curando gli aspetti storico-archeologici e la messa in sicurezza del sentiero, iniziando solo nel 2020 la fase di progettazione esecutiva con un finanziamento di 20 milioni di euro. Chissà quando ne vedremo i risultati... Insomma, il panorama dei Cammini italiani è davvero notevole, brevi, lunghi, storici, religiosi, promossi da privati o da istituzioni, tradizionali o innovativi. Un patrimonio immateriale ben più grande di quanto immaginassi. E scopro che nel 2017 il Ministero della Cultura ha avuto la splendida idea di creare un portale, l’Atlante dei Cammini Italiani, un punto di riferimento per i camminatori e turisti italiani e stranieri alla ricerca del percorso che più gli si addice, in cui erano stati censiti e mappati ben 44 Cammini.
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eccato che il sito (www.camminiditalia. it), nato per valorizzare ufficialmente i cammini d’Italia, non sia attualmente attivo. E il motivo potrebbe essere per la divergenza con alcune normative regionali in materia. Una storia tutta italiana, che speriamo si risolva al più presto. Nel frattempo, noi viandanti e appassionati di Cammini possiamo consultare i siti dei singoli percorsi, fortunatamente ricchi di informazioni, e contattare le associazioni che li promuovono, o dare un’occhiata al portale www.cammini.org, che così come nelle intenzioni del perduto Atlante, contiene un elenco dei principali itinerari divisi per regione. Basterà per cominciare a sognare di indossare scarpe comode, zaino e bastone ed intraprendere il prossimo viaggio, alla ricerca di noi stessi o dei paesaggi italiani che sono tra i più belli al mondo. A voi la scelta. Buon Cammino a tutti!
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UN DUE TRE STELLA…È UN ATTIMO ATTENZIONE: L’ARTICOLO PUÒ RAPPRESENTARE SPOILER DELLA SERIE TELEVISIVA SQUID GAME!
DI ANTONELLA BUCCINI
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n due tre stella è il primo gioco al quale partecipano 456 disperati, indebitati fino al collo, sedotti dal premio milionario. Gli incauti giocatori colti in fallo sono eliminati, uccisi, per la precisione. La noia ha indotto un gruppo di ricchi sfaccendati ad organizzare e pianificare minuziosamente l’iniziativa, regole comprese. È quanto accade in Squid Game, serie sudcoreana, pare la più vista al mondo su Netflix. La dinamica è di quelle facili. La competizione spietata induce i partecipanti a ogni reciproca nefandezza e la solidarietà ancora residua si concentra su qualche protagonista. La morale è dietro l’angolo. Ragazzi non perdiamo l’umanità, nonostante le disuguaglianze, la disperazione, la solitudine. Ma la prevedibilità non nuoce al meccanismo narrativo che riserva colpi di scena a tratti geniali. È proprio la prima imprevista carneficina, introdotta da un gioco innocente e rassicurante, di cui magari proviamo anche una sottile nostalgia, a raccontare tutto l’orrore che si dipanerà nella storia.
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rrore al quale quasi tutti i giocatori, dopo il panico iniziale, non si sottraggono perché il mondo fuori dall’isola dove sono intrappolati e da quel terreno di gioco, è molto peggio. È molto peggio nella Corea del Sud dove l’indebitamento individuale è una piaga nazionale molto diffusa, il divario salariale profondo, la disoccupazione giovanile crescente, lo stato sociale assente. La Corea del sud propone dunque il suo game sadico come la vita vera di chiunque su questo mondo si senta stritolato dalla disumanità di un sistema senza più diritti. Intanto si teme per il rischio emulazione degli adolescenti attirati dai meccanismi narrativi assimilabili a un videogioco. Si auspica che l’emulazione non coinvolga gli adulti impegnati magari nella pianificazione delle politiche migratorie o industriali. Perché è un attimo
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COSA C’È DI PIÙ PRIVATO DEL PROPRIO DIARIO? DI ANITA NAPOLITANO
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e i segreti che si annidano nel diario di un adolescente, diventano per la madre un po' impicciona, rivelazioni sorprendenti e sconvolgenti, tanto da intervenire, in un modo incredibile, usando la rete e il web ai quali, proprio i suoi figli l’hanno iniziata, quei segreti privati diventano pubblici in modo inaspettato.
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a vicenda, che vede il privato di una famiglia milanese, scaraventata attraverso i social che portano ad una trasformazione tragica della vita familiare stessa, viene raccontata dallo scrittore toscano Francesco Recami in uno dei suoi libri, intitolato Il Diario Segreto del Cuore, edito da Sellerio: la famiglia Giorgi, si trasferisce in un condominio di Milano, nell’appartamento n. 14, gli altri appartamenti sono tutti misteriosamente disabitati; i protagonisti che vi abitano sono, la mamma Donatella, disoccupata e i due figli Margherita di undici anni e Gianmarco tredicenne,
il padre Claudio non vive con loro, sta cercando di uscire dal tunnel dell’alcol seguendo una severa cura detox.
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i tratta di una storia noir, costruita attraverso un diario tenuto da Margherita, il modello è quello del diario, nel libro Cuore di Edmondo De Amicis, fatto di racconti adolescenziali tra scuola, famiglie, amici e vita contemporanea, infatti irrompe nella vicenda, un diario segreto destinato a metterci però, davanti una realtà spudorata, diventando metafora di questo nostro disastrato Paese.
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onatella una mattina, rientrando prima degli altri a casa, scova il diario di Margherita nascosto in un vecchio coniglio porta-pigiama, decide, in quanto preoccupata dei cambiamenti emotivi della ragazzina, di leggerne il contenuto, per cercare di capirla, sfogliandone le pagine scopre un universo adolescenziale, descritto
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L’UNITA’ LABURISTA - 44 nella sua realtà più spietata, come normale o persino ovvio, ma si tratta, di una realtà che spiazza, scandalizza gli adulti.
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e parole di Margherita dipingono davanti agli occhi della madre inerme, il ritratto totalmente inaspettato dei suoi figli che lei immaginava completamente diversi, li scopre già profondamente provati, svezzati e abituati alla crudezza del mondo che li circonda. I dubbi e curiosità tipici dell’età preadolescenziale a cui Margherita tende a rispondere e, non a caso, i quesiti irrisolti della ragazzina si fanno immaturità nelle sue compagne di classe, le quali, travolte dal bisogno di apparire, entrano in un circolo vizioso ben più grande della loro intraprendenza impertinente: sono volgari, oscene e violente raccontano aneddoti di sé che nulla hanno a che vedere con la loro giovane età, si scattano foto provocanti e le inviano in conversazioni private sul web. Ed ecco quindi, che la paura di perdere per sempre l’innocenza di Margherita, a più riprese bullizata per la sua fanciullezza, scatena in Donatella un istinto iperprotettivo di vendetta che avrà delle conseguenze enormi e imprevedibili.
ogni costo. M ci invita ad una riflessione su un tema sottovalutato: il rapporto tra i giovani e il sesso, che se non coltivato in modo sano, rischia di diventare pornografia. Attraverso la voce narrante di Margherita ci presenta ragazzini che sembra ne sappiano più degli adulti, ma intanto sono comunque ingenui, in quanto non hanno consapevolezza dei pericoli nei quali incorrono, quando i freni inibitori si lasciano ingannare dallo schermo di un computer o di uno smarthphone. Il tutto, raccontato con un tono mai cupo o allarmante, anzi ironico e apparentemente leggero. Dunque, un vero caos che confonde la percezione del confine tra il proprio vissuto intimo, privato e il confronto nell’ambito sociale e comunitario, tanto che la consapevolezza e il senso di responsabilità per gli adulti viene completamente offuscato… Il finale della storia è SORPRENDENTE…
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onatella scopre così un mondo che non avrebbe mai immaginato: dov’è la sua bambina in quelle pagine così smaliziate ed esperte? Chi sono quelle compagne che sul sesso la sanno così lunga, e gli accenni ai panetti di droga cosa vorranno dire? Margherita si destreggia molto bene con la scrittura, ci sono i riassunti dei libri che ha letto, osservazioni acute sulle prof, lettere al padre e le risposte di Claudio.
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poi c’è un segreto che aleggia, un segreto che Margherita non può affidare nemmeno al suo diario che riguarda Amedeo Consonni, l’uomo che abitava in quel condominio, misteriosamente morto…
onatella, dunque sente di dover intervenire per vendicarsi, di quelle compagne che maltrattano la sua piccola innocente e lo fa nel modo più incredibile, attraverso il web che i suoi stessi figli le hanno insegnato ad usare. l confine tra il concesso e il non ammissibile, tra il legale e l’illegale tra il cautelativo e la ripicca, tra privato e pubblico, si fa estremamente labile, quasi inesistente. Francesco Recami con la sua scrittura semplice e scorrevole ci catapulta, in modo sorprendente, in quella che è una tragica pagina dell’epoca contemporanea, l’era dei social e dell’apparenza a
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IL GIORNO DELLA MIA LAUREA DI LUCIA COLARIETI
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ggi è il giorno della mia laurea. È una bella giornata di sole, il cielo è azzurro e sento un dolce vento che mi spettina i capelli.
Oggi è il giorno della mia seduta di laurea e io sono agitata, forse è normale che mi senta così in questo giorno. Questa paura ho imparato pian piano a controllarla, fin dal primo giorno di università, e sono riuscita a giungere qui, non avrebbe senso fermarmi ora, la strada più lunga è stata fatta, i problemi sono alle spalle, devo solo concludere.
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a nuvola di passaggio, che oscura per un momento il cielo, mi distrae, sollevo gli occhi e mi ritrovo a quel maledetto esame per concludere il primo anno. Ne avevo già fatti cinque, tutti con il cuore sparito esangue tra le costole e lo stomaco in rivoluzione. Ero riuscita per ben cinque volte, dopo settimane in apnea sui libri, a scovare la mia voce rintanata tra le pieghe della gola e ad estirpare dalla cassaforte dei miei neuroni almeno una minima parte di tutto quello che avevo studiato. Ero riuscita a rientrare a casa, nonostante il desiderio di fuggire che mi fremeva nei muscoli, ero riuscita
a non ascoltare i commenti senza gratificazioni di mia madre. Avrei ogni volta voluto sprofondare, volatilizzarmi, essere trasparente e sorda, chiudevo la mia anima ermeticamente, impermeabile alla svalutazione che sentivo cadere su di me come una pioggia acida. Ogni nuova lezione, ogni nuovo libro mi scaricavano addosso tutte le aspettative dei miei genitori, di anni, di secoli, un carico di volta in volta più pesante.
P M
oi quel maledetto giorno l’esame non l’avevo superato e il rientro a casa era diventato un pensiero inaffrontabile. Forse aveva ragione lei, mia madre, avevo sbagliato facoltà, quegli studi erano inutili, io non sarei mai stata all’altezza. a oggi è il giorno della mia seduta di laurea, tutto è pronto, là fuori: i tailleur, i sorrisi, la corona di alloro, i fiori, i pasticcini, lo spumante. Allora perché io sono quassù? È un po’ di tempo che non so più bene Dove mi trovo, sarà la stanchezza, sarà la tensione, non sono più sicura di dove vivo, di dove sono viva. Il morso dell’ansia mi aggredisce improvviso, gli occhi si annebbiano e il cuore sale alle tempie
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sbattendo violento e chiedendo di uscire. Tra le costole un nodo doloroso si stringe e l’aria si fa rarefatta mentre mille pungoli mi coprono le gambe costringendomi a cadere; mi riprendo. Esattamente come quel giorno dell’esame non superato, non avevo alternative, mi dovevo riprendere per sempre, e ci sono riuscita. Ho costruito la mia nuova vita e ho superato le critiche insidiose di mia madre; quel giorno e ogni tanto tornavo a casa e le comunicavo il mio trenta e lode: non ha avuto più nulla da ridire. E così giorno dopo giorno ho costruito il mio castello: la paura, i sorrisi; la paralisi, l’euforia; la sconfitta, i sogni; l’impotenza, la fantasia; l’umiliazione, la difesa. Ora che sono giunta fin qui, che sono quassù, non posso più tornare indietro, non posso più tornare al buio delle mie fobie; là fuori c’è fermento, mi aspettano.
fronte alle parole difficili di un professore, nessuno può stare con me nella solitudine profonda di una sedia dinanzi alla cattedra. Sono sola dietro un velo che m’impedisce di comunicare, di farmi vedere. Sono sola nel mio castello, dove ogni cosa è come la voglio io ma nessuno è qui in cima con me. Sono arrivata fin quassù, su questo tetto e nessuno mi cerca, tutti stanno aspettando la mia laurea.
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l cielo azzurro mi chiama alla sua vastità, al suo silenzio. Per una volta sarò coraggiosa e chiuderò il discorso per sempre, come voglio io e non dovrò ascoltare le critiche. La strada più lunga è stata fatta, i problemi sono alle spalle ora devo solo volare. Oggi era il giorno della mia seduta di laurea ma io sto volando libera nel cielo.
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ggi è il giorno della mia seduta di laurea e nessuno sa dove sono. Nessuno sa del dolore che ho dentro, nessuno mi vede, nessuno sa delle attese inutili fuori dall’aula senza il coraggio di entrare, nessuno conosce il senso di sconfitta di
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#UNPENSIEROSOSTENIBILE DI GIOVANNI AIELLO
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a transizione ecologica? La sostenibilità? Non si tratta soltanto di cambiare modello di produzione, ma semmai di accettare l’idea che la produzione non è certo il fine in sé, quanto il mezzo per avere tutti quanti ciò che occorre per vivere bene. Non si tratta tanto di comprare cose che non danneggino più la terra, ma di smetterla di pensare di essere felici prevalentemente comprando e accumulando. Non si tratta, insomma, semplicemente del come faremo le cose da adesso in poi, ma dei motivi profondi per cui le faremo.
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e vivremo ancora con l’obiettivo di guadagnare soldi e consumare all’infinito, allora non andremo certo tanto lontano, questo oramai è chiaro a tutti noi. E se per acquistare in denaro la nostra sopravvivenza o la nostra libertà continueremo a fare, ma anche a sopportare, qualsiasi cosa, rimarremo sempre divisi e in lotta per tutto, proprio come, a vario titolo, è stato fino ad adesso. Ma se invece rivedremo le nostre priorità, allora è certo che supereremo le difficoltà attuali e riusciremo a progettare un futuro almeno promettente. E se agiremo con amor proprio ed intelligenza per il meglio, tutto questo potrebbe accadere anche in meno tempo di quanto oggi riusciamo a immaginare, senza infinite crisi e senza eccessivi stravolgimenti. Così facendo saremo contemporaneamente fuori dall’emergenza e, tutti insieme, più liberi di pensare a quello che maggiormente conta.
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’altra parte, quanto è sostenibile l’idea che oggi appena un quarto delle persone della terra possa coltivare anche solo una minima speranza di avvenire per sé e per i suoi cari, mentre per tutti gli altri abitanti la vita risulta spesso al limite dell’impossibile? E quanto è sostenibile andare avanti con la consapevolezza che, se ciò accade, è perché stiamo evidentemente sbagliando qualcosa di molto importante?
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gni persona, infatti, può considerarsi tale se nasce e vive in un posto sicuro, se accede alle risorse, ai luoghi, alle conoscenze e agli strumenti, per custodire insieme agli altri la terra e le identità, per continuare a crescere e ad imparare. E non saremo mai completamente noi stessi, fino a quando queste condizioni indispensabili non saranno rispettate sempre, per tutti quelli che ci sono e che verranno. Risulta quindi impossibile credere che proprio le stesse ragioni (o gli stessi sogni) e in larga parte gli stessi metodi che fino ad oggi ci hanno condotto su una strada rivelatasi tanto dannosa e pericolosa, possano allo stesso tempo ispirarci e guidarci d’ora in poi verso una vera liberazione. Adesso è il momento di essere bravi. E per questo, adesso, è il momento delle brave persone (quelle che fanno #pensierisostenibili)!
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Secatibe runtum earum sincilla velenimus auta nobit raecus di omniet
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