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l’Unità Laburista - Autunno Caliente - Numero 44 del 30 ottobre 2021
L’UNITA’ LABURISTA - 44
UNA SANITÀ EFFICIENTE TRA PUBBLICO E PRIVATO
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DI ANGELA MADDALENA
Il nostro sistema sanitario è considerato uno dei
migliori al mondo. Ma oggi è ancora così? Dal lontano 1978, anno in cui, in modo veramente rivoluzionario, è stato istituito un unico, nazionale, egualitario sistema sanitario, sono state superate le frammentazioni e le diseguaglianze delle prestazioni offerte fino ad allora dai vari enti mutualistici, che tutelavano specifiche categorie e corporazioni, l’individuo, in tutto il territorio nazionale, viene posto al centro delle cure a prescindere da status sociale, razza, nazionalità. Attualmente però, a seguito delle diverse riforme, il servizio nazionale è diventato la somma di tanti diversi sistemi regionali, in cui la componente pubblica e quella privata si combinano in varie forme. Dal 1992 cominciano i due processi significativi, tuttora in evoluzione, che hanno apportato sostanziali modifiche: l’aziendalizzazione e la regionalizzazione.
Con l’aziendalizzazione le Unità sanitarie locali diventano aziende e si introduce la normativa di diritto privato nelle aziende pubbliche. Queste divengono autonome e dotate di personalità giuridica. Le aziende sanitarie vengono dirette da manager nominati dalle Regioni.
Con la regionalizzazione, pur essendo in vigore delle linee generali che riguardano l’intero territorio nazionale, ogni Regione ha competenza specifica in materia di sanità e può legiferare autonomamente. E diversi, da Regione a Regione, sono i finanziamenti statali, l’offerta di salute, le quote da pagare in aggiunta al ticket, etc. Tante diverse sanità in unico Paese.
Il rapporto tra pubblico e privato può assumere
forme diverse. A seguito di scelte politiche, non necessariamente dettate da esigenze assistenziali, servizi che potrebbero essere tranquillamente offerti dal pubblico vengono esternalizzati. A seguito di gara, vengono acquistati servizi di grande portata, come pulizia, mensa, lavanderia, servizi che non vengono più svolti da personale regolarmente assunto all’interno dell’Azienda sanitaria ma da personale esterno e vengono solo controllati da quello interno.
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Appalti milionari che vedono i lavoratori coinvolti, spesso intercambiabili (in continuo turn over), non sufficientemente pagati e non in grado di maturare la giusta professionalità ed esperienza perché spesso precari. È ipotizzabile che i costi degli appalti, spesso gonfiati da costi corruttivi, siano di gran lunga superiori al calcolo della sommatoria degli stipendi di eventuale personale assunto per quella stessa mansione.
Appare evidente che questo sistema, ormai
generalizzato, consenta largo spazio a corruzione, crei forme di precariato a basso salario e produca costi elevati alla collettività in cambio di servizi non sempre ottimali. Benché sarebbe auspicabile una netta separazione sanità pubblica e sanità privata (ci aveva provato inutilmente l’allora ministro della Sanità Rosi Bindi nel 1999) tornare indietro a una sanità completamente pubblica risulta ormai anacronistico. La soluzione desiderabile sarebbe una completa gestione del privato da parte del pubblico dove quest’ultimo detta le condizioni e attua forme efficienti di monitoraggio e di controllo.
Altro punto di criticità del rapporto pubblico
– privato è rappresentato dal sistema di accreditamento delle strutture private che, se in possesso di specifici requisiti, possono, su valutazione discrezionale delle Regioni, essere autorizzate a fornire prestazioni in convenzione. Ad oggi, nonostante il tempo trascorso, l’accreditamento non costituisce ancora uno strumento di regolazione dell’accesso al mercato sanitario, pertanto, si assiste a una duplicazione dei servizi che il più delle volte si risolve a scapito del pubblico. Tale fenomeno si verifica sia nella scelta degli utenti, che preferiscono rivolgersi alle strutture private, sia nella scelta degli operatori sanitari, che preferiscono lavorare nel privato. Oggi si assiste ad una crescente spesa del privato, più attrattivo e più efficiente del pubblico e perciò con più margini di profitto.
Sarebbe, quindi, auspicabile differenziare il ruolo del privato, differenziare l’offerta, ma lasciare sempre la responsabilità all’ente pubblico, che deve produrre servizi o, in alternativa, saperli comprare dal privato evitando comportamenti opportunistici.
Infine, va posto rilievo su un ulteriore punto di
criticità che è rappresentato dall’intra moenia, la possibilità da parte dei medici in forza al servizio pubblico a tempo indeterminato di esercitare la loro attività privata presso la struttura pubblica versando una quota dei loro profitti all’Ente. Questa modalità di accesso ai servizi rappresenta un vantaggio per
l’utente nel poter scegliere il professionista da cui farsi curare, accorciando di fatto le liste di attesa e ottenere spesso un migliore standard alberghiero. Ma, altresì, questo sistema produce evidenti disparità di trattamento tra chi può permettersi di pagare e chi no e la creazione di una élite di professionisti che tenderà a operare soprattutto in intra moenia nonostante le norme prevedano che le prestazioni in intra moenia non possano in nessun caso superare quelle rese in ordinario. Inoltre, si corre il rischio che il pubblico diventi una delle modalità di raccolta di clienti privati anche per i medici che lavorano in extra moenia (a tempo determinato) sotto forma di visite private per accedere al servizio ospedaliero e interventi operatori nel privato per evitare lunghe liste di attesa, etc. etc.
Come abbiamo visto in questo brevissimo
excursus, il tema dell’assistenza sanitaria è articolato e complesso. I problemi sono tanti e sono emersi in maniera drammatica durante la fase acuta dell’emergenza covid. Le diverse sanità regionali la hanno affrontata in maniera differente e, per inciso, la tanto esaltata sanità lombarda, incentrata soprattutto sui servizi privati in convenzione, ha mostrato tutti i propri limiti. È evidente che occorra ridefinire tutto il sistema di assistenza sanitaria riportandolo sotto la guida centrale. Le tante sanità regionali con livelli di servizi differenti non garantiscono l’eguaglianza di tutti i cittadini nel fruire di un diritto fondamentale come stabilito dall’art. 32 della nostra Carta costituzionale.
Un diritto che, invece, è ancora una volta sotto
attacco. Il disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata è “magicamente” ricomparso, aggiunto ai decreti collegati alla legge di Bilancio per il 2022. Si tratta di un regalo ai leghisti da parte dell’esecutivo Draghi che potrebbe rappresentare il definitivo colpo di grazia a quel che resta di nazionale della sanità pubblica. Confidiamo in una forte opposizione da parte di tutti i parlamentari del centrosinistra e, in primis, da parte del ministro della Salute Speranza che, pur tra tante difficoltà, è riuscito a tenere la barra del timone dritta della barca piena di falle della nostra sanità pubblica. L’aumento della dotazione del fondo sanitario nazionale da 114 a 122 miliardi in questi ultimi anni è certamente un ottimo risultato che dovrà essere incrementato anche nei prossimi, operando affinché le diseguaglianze vengano rimosse per avere finalmente una sanità pubblica che garantisca cure efficaci a tutti i cittadini.
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