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l’Unità Laburista - Autunno Caliente - Numero 44 del 30 ottobre 2021
L’UNITA’ LABURISTA - 44
OIKOS E POLIS
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DI CHIARA TORTORELLI
C’è una reale differenza tra dimensione
pubblica e dimensione privata?
Nel mondo greco della democrazia ateniese si dibatteva molto sul rapporto tra oikos cioè nucleo familiare e polis, cioè città e quindi collettività; l’oikos inserito nella polis definiva la natura stessa della polis.
Trovo molto efficace la traduzione più fedele possibile del termine oikos, che è appunto “organismo” che comprende cose, persone e riti.
L’organismo dà bene l’idea di “movimento”, e fa intendere che oikos non è una matrice fissa; quindi sottrae l’oikos alla schematicità e al dogma e fa intendere la natura del movimento evolutivo intrinseco della sfera privata che è retta dal meccanismo evolutivo tipico della coscienza umana.
Nel mondo romano il privato era definito
dall’otium e il pubblico dal negotium, e nella coscienza e nella vita di ogni singolo individuo si alternavano le dimensioni del negotium cioè del “fare nella società e per la società” e dell’otium cioè del dedicarsi a se stessi e alle proprie passioni.
Solo una completa armonia tra le due sfere a livello individuale permetteva l’armonia sociale e civile, un po’ come quell’armonia sempre sottolineata dal mondo latino, “mens sana in corpore sano”.
Le civiltà antiche sembrano suggerire la
dimensione di interdipendenza tra pubblico e privato e la dinamica evolutiva legata all’impossibilità di tradurre in uno schema fisso ciò che è privato e quindi ciò che è pubblico.
Nelle filosofie orientali che richiamano molto le scoperte fatte nell’ultimo secolo dalla fisica quantistica, l’io e il mondo non sono disgiunti, ciò che vediamo all’esterno è il perfetto riflesso del nostro stato di coscienza, quindi il pubblico e il privato sono interconnessi, ciò che vediamo pubblico non è esistente di per sé ma è influenzato dalla natura del privato.
Nel buddismo si parla della natura specchio, che si basa sulla comprensione profonda che tutto ciò che vediamo all’esterno di noi ci specchia, ci permette di vedere la nostra essenza e di conoscerci.
Non esiste quindi separazione, la frattura della separazione è un fattore esclusivamente mentale e razionale.
Noi separiamo per discernere ma la coscienza dovrebbe poi operare il processo della riunificazione, che si basa sul “riconoscere” se stessi negli altri, e gli altri in se stessi.
Un po’ come diceva Terenzio: “Homo sum, humani nihil a me alenum puto”, sono un uomo, niente che sia umano mi è estraneo, riportando così in vita il valore dell’humanitas.
Potremmo dire che non esiste collettivo a sé
stante dall’individuale e che ciò che vediamo collettivo non è oggettivo ma dipende dallo sguardo di chi osserva, non può essere separato dal soggetto che guarda. Quindi non esiste un solo collettivo, una sola dimensione pubblica, ma tante dimensioni pubbliche quanti sono i soggetti coinvolti.
Ritorna quindi con la sua forza il concetto di “evoluzione”.
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Come si cambia una società?
Non dal collettivo, inteso a livello ideologico, ma dall’individuo. L’individuo è la cellula del collettivo e se si vogliono trasformare i postulati sociali alla base di un certo modo di vivere, di relazionarsi e di fare nella polis quindi di fare politica, non serve molto considerare meccanicamente il pubblico come un’area statica e amorfa su cui intervenire dall’esterno.
Occorre ritornare all’individuo e incentivare in ciascuno il processo evolutivo, cioè un cambiamento dello stato di coscienza.
Nella nostra società orientata alla tecnica è facile smarrire il valore umano, l’humanitas e quindi il sentimento della pietas, quell’empatia che fa sentire l’altro uguale a noi.
Ci viene in aiuto il mondo greco, l’oikos era
considerato fattore dinamico, in movimento, un organismo vivo, quindi non conviene “rivoluzionare” perché la rivoluzione presuppone un processo di non riconoscimento, e rende amorfo e privo di vita l’oikos. A noi serve unificare, per creare quei presupposti comuni che dovrebbero animare un collettivo autentico.
Dovremmo quindi ritornare all’uomo nella
sua accezione più feconda e valoriale.
Ricondurre l’uomo all’uomo e quindi a se stesso, per riscoprire il mondo come dicevano i socratici e per costruire il corpo sociale a partire da quei valori umanitari che sembrano perduti oggi dietro uno schermo freddo, nel mito dell’interconnessione apparente e nella società mercantile liquida.
Al capitale economico affiancare il capitale umano.
Ricondurre l’uomo all’uomo perché pubblico e privato viaggino insieme, e costituiscano elemento fondante di quel “capitale” fondato sulla coscienza, sulla pietas e sull’humanitas e non sul meccanicismo robotico dell’efficienza, del consumo e del profitto.
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