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È Lei - l’Unità Laburista - Allonsanfàn - Numero 42 del 14 luglio 2021

Racconto

È lei

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Lucia COLARIETI

Lara avvertiva un leggero senso d’inquietudine, come se da una stanza buia qualcuno le stesse indicando uno spiraglio da cui fuggire, ma lei non si fidasse.

La sua amica del cuore aveva insistito per partecipare a quel seminario, le aveva detto «prendiamoci una giornata di riposo, si occupano di benessere e cura di sé, io penso tu ne abbia bisogno».

Adesso Lara stava ad osservare il tergicristallo dell’auto che andava avanti e indietro sotto la pioggia e le parole della psicologa che aveva tenuto la conferenza le

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vorticavano nel cervello, avanti e indietro a scombinare i pensieri così come le due asticelle spazzavano via le goccioline d’acqua.

La sua vita fino a quel momento le era sembrata riuscita, un successo perseguito e conquistato. Il giorno prima al mattino correva per le vie del centro diretta al grattacielo dove lavorava come consulente, aveva una riunione importante e aveva indossato il suo tailleur rosso che la faceva sentire sicura di se. Come sempre aveva controllato nel riflesso della vetrina che l’effetto fosse quello che desiderava. Uscire di casa era quasi un rito, prepararsi con cura, fare attenzione ai minimi particolari illudendosi che anche qualcun altro ci potesse fare caso, voleva darsi un’aria di donna in carriera, libera e determinata e offrire l’immagine di se che preferiva. Lara era stata cresciuta con la convinzione che lo studio fosse la sola cosa importante nella vita. Da piccola, invece di giocare a mamma e figlia, giocava “all’ufficio” e nessuno le aveva mai fatto intravedere una possibilità diversa di realizzazione.

Dopo il lavoro, come ogni giorno uscita di fretta, il suo cervello già lavorava alacremente alla organizzazione casalinga. Non si permetteva distrazioni, era tutto incastrato al millimetro, i bambini e il marito la aspettavano a casa, infilava la chiave nella toppa e già udiva le loro voci che le davano calore al cuore anche se avrebbe tanto desiderato un attimo di silenzio.

In trasparenza tra i fari dell’auto che la precedeva affiorò il ricordo dell’ultimo litigio con il marito, lui era distratto, preso dalle sue abitudini e completamente concentrato in quella odiosissima ultima automobilina che stava montando.

«Avrei solo voluto andare al cinema», aveva detto Lara.

«E perché? Tanto non danno mai un film interessante, e poi stasera in TV c’è quella trasmissione che non posso perdere».

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«Però è tanto tempo che neanche andiamo a ballare». «Ma come ti viene? E i bambini dove li lasci?» «Ho capito, sarà per un’altra volta, magari metto un po’ in ordine in casa». «Si brava, non fa niente, poi si farà» aveva concluso lui.

Desidero solo essere un po’ felice, aveva pensato Lara, ma non fa niente. La solita coda all’ingresso della tangenziale la riportò all’attimo presente: aveva fatto di nuovo tardi. Forse era meglio telefonare per avvisare. La voce al cellulare risultò subito di rimprovero, non c’era bisogno di capire le parole, bastava il tono, arrabbiato, indagatore, accusatorio: «che fine hai fatto?»

«Forse sto morendo, ti interessa?» avrebbe voluto rispondere, ma si limitò a riattaccare.

Il giorno dopo aveva ripreso la sua vita, impegni, aspettative altrui, silenzi. La riunione si protraeva con argomenti che non la interessavano, le cifre, gli obiettivi, i carichi di lavoro cadevano come polvere grigia ad imbrattare ogni cosa, la colse un desiderio di aria e spazi aperti. Senza che ci pensasse troppo, alcune cose che aveva ascoltato il giorno prima, tornarono a svolazzare intorno a lei, tutto le sembrava pesante e le costava tanto, ogni cosa era troppo e troppo poco. Qualcosa non andava e non c’era una spiegazione razionale.

Tornò a casa di corsa, i bambini erano in palestra con il padre, la casa era silenziosa e lei aveva da stirare. Prese la prima camicia dalla pila dei panni, il tessuto si stendeva ribelle sotto il ferro da stiro, sferrava colpi rabbiosi sul cotone indomito,

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nel cervello le giravano pensieri difficili da gestire. Come al solito era stata costretta a rubare una mezz’ora alla riunione, svicolando e balbettando qualche scusa, per trovare il tempo di abbattere quella montagna minacciosa di panni. Non c’era mai il tempo di fare niente e meno che mai per farlo con calma, ma non erano i lavori domestici a frullarle in testa mentre piegava magliette e allacciava bottoni in quel pomeriggio, era quella parte di se che ogni tanto si affacciava e squarciava la precaria quiete della sua vita, era un pensiero che pian piano si stava facendo strada e che la inquietava abbastanza, non era facile tornare a casa e sentirsi svalutata, messa in discussione, aver sempre la sensazione di stare facendo male. Di nuovo l’assalì la sensazione di essere prigioniera di un silenzioso aguzzino, di essere derubata della gioia di vivere, dell’entusiasmo e della libertà di essere se stessa.

Un’eco di musica martellante salì dalla strada, un ritmo ancestrale e profondo veniva dalle percussioni di una coppia di ragazzi che suonavano sul marciapiede.

Lara sentì cadere dentro di sé il precario equilibrio che credeva di avere raggiunto, vorticando con il martellare dei tamburi le sue viscere si risvegliavano da un torpore velenoso, il ferro da stiro rimase sulla camicia a bruciare un lembo di stoffa. Un rogo dei lacci in cui lei stessa si era imbrigliata. Lara abbandonò lo strumento di tortura, lasciò le ciabatte sul pavimento e a piedi nudi si accostò al balcone.

Il ritmo profondo e incalzante iniziò a far emergere ciò che aveva tentato di soffocare sotto finti doveri, lo aveva sentito al seminario: la donna selvaggia( * ) abita ognuna di noi.

E’ lei!E’ lei che bussa alle soglie della coscienza,

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è lei che ci richiama alla fonte della nostra vita.

Nella contemplazione di un cielo stellato In un verso scritto di getto Nel silenzio della campagna coperta di brina Nel fragore del mare in tempesta In una fuga solitaria per le vie del centro Sulle note evocatrici di nuove atmosfere In un lavoro fatto a mano La ritroviamo. E ci guida a cercare la pienezza di vita

Quando il ruolo mi irrigidisce Quando le lacrime si fermano dietro i vetri dei miei occhi Quando sono troppo stanca anche per sorridere Quando le risorse sono esaurite Quando tutto è deserto Allora è il momento di andarle incontro È’ ora di lasciar perdere il “devo” E’ ora di lasciar perdere il “dare”

E’ ora di lasciar scorrere lacrime ed emozioni

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Lasciare i piedi liberi di vagare Lasciare le braccia libere di danzare Lasciare i capelli a sentire la carezza del vento Lasciare le orecchie libere di ascoltare il suono del mare Lasciare le mani libere di creare Lasciare la pelle libera di sentire il calore del sole Lasciare gli occhi liberi di riposare sui colori del tramonto Lasciare le narici libere di perdersi nel profumo di casa Lasciare, andare … e poi tornare Andare e tornare … Ricevere e dare … Sognare e fare … Creare e vivere …

(*Donne che corrono coi lupi, Clarissa Pinkola Estes, Ed. Pickwik)

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