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Quando la convenienza costa troppo poco! (Una breve storia estiva di social dumping)

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Politica

Quando la convenienza costa troppo poco! (Una breve storia estiva di social dumping)

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Giovanni AIELLO

Oggi è sorto un problema nella mia azienda. Io e i miei collaboratori abbiamo compreso che vendendo il mio prodotto al prezzo attuale chiuderò molto presto. Il motivo: eccesso di buoni sentimenti, troppa democrazia! In altri paesi, infatti, i concorrenti possono permettersi di realizzare un prodotto identico che viene importato in Italia a un decimo del prezzo all’ingrosso e poi viene venduto al dettaglio a poco più della metà di quanto non possa fare io. Il tutto con margini di guadagno più che triplicati (in certi casi finanche decuplicati), sia per il produttore che il negoziante. E questo è possibile proprio perché nei loro stabilimenti ogni cosa funziona in modo più semplice e veloce. Spesso si tratta di strutture fatiscenti, lo smaltimento dei rifiuti costa pochissimo, e soprattutto i lavoratori vanno avanti a ciclo quasi continuo per meno di 50 euro al mese, tasse comprese. Cosa fare dunque?!

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“Uuh, buon prezzo!”, esclama soddisfatto il protagonista di un noto spot mentre osserva dal suo telefonino le offerte di una mega-piattaforma per lo shopping online. Ecco, anche il mio business dovrà andare nella stessa direzione. Dovrò portare ad un fallimento programmato la mia attività attuale, distraendo fondi da sottrarre alla procedura. Gradualmente metterò i miei lavoratori in cassa integrazione, promettendo una ripresa a tempo pieno che non ci sarà mai, e allo stesso tempo avvierò con i soldi nascosti al fisco le trattative nel paese senza diritti per fondare la mia nuova società. Forse costruirò uno stabilimento corrompendo i politici locali, o forse no. Perché sarà sufficiente strappare prezzi bassissimi sulla merce già prodotta da altri e rivenderla nel mio paese, facendomi forte dell’ecommerce e della rete già esistente da noi nella grande distribuzione. - L’imprenditore

Oggi anche nostra madre ci raggiungerà in Italia dal Bangladesh. Noi siamo originari di Dacca. Ma la mia famiglia però si era dovuta trasferire presto in un’altra città del paese che si trova sul mare, a circa sei ore di bus da casa nostra. Lì c’è infatti un grande porto dal quale la merce prodotta nei tantissimi stabilimenti del posto parte principalmente in direzione dell’Europa. I miei genitori lavoravano entrambi in fabbrica (anche se mio padre ha studiato come geologo), e le cose erano già abbastanza difficili per via degli stipendi troppo bassi. Ma poi la situazione è ancora peggiorata, da quando un’azienda italiana è riuscita a contrattare al ribasso in quel distretto, ottenendo condizioni vantaggiose per sé attraverso una ulteriore riduzione della paga per tutti gli impiegati.

A quel punto io e mio fratello Saiful siamo subito partiti insieme a mio padre per l’Italia, dove già c’erano alcuni conoscenti ad attenderci. Anche mia madre, dopo che una sua parente è morta nel crollo di una vecchia fabbrica mai ristrutturata, ha

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deciso finalmente di venire qui. In Italia la vita è piuttosto dura ma almeno saremo uniti. Imparare la lingua non è facile, farsi degli amici ancora meno. Abbiamo un negozietto in cui vendiamo piccoli gioielli e mio padre d’estate fa anche l’ambulante sulle spiagge del litorale. - Riya e Saiful

Oggi vado a comprare delle magliette. Quest’estate l’ondata di caldo afoso da “crisi climatica” sta rendendo la vita difficile. Anni fa avevo trovato delle t-shirt di cotone leggerissime, tanto che sembrava di non indossare nulla. Erano economiche e pratiche. Mai più trovate di quel livello. Certo, erano tutte bianche, davvero standard. Ma allora se volevi maglie semplici ed economiche da usare tutti i giorni non c’era molta scelta. O c’era il bianco “original marines” oppure delle scritte grossolane ed orribili.

Entro in un grande magazzino. Spero di trovare qualcosa di adatto, paragonabile a quelle vecchie maglie di cotone pagate diecimila lire ciascuna. Io adoro le maglie di colore blu, di ogni tonalità possibile dall’avion a salire, fino a quello scurissimo. È un colore che ha mille qualità. Si abbina facilmente, cela bene qualche macchia occasionale o alone dovuto ai lavaggi e poi è comunque elegante, incontestabile. Ed ecco che mentre mi aggiro fra gli scaffali dello store intravedo finalmente qualcosa. Sono perfette! Vestono bene, sono sottili, ma non tanto da deformarsi dopo due lavatrici. Sono resistenti, ma non in modo da risultare spesse e quindi calde. Decido allora di comprarne sei, di quattro blu diversi. Totale importo: meno di 50 euro. Ogni capo costa appena 7.99.

Sono proprio le mie magliette ideali!

Le mie magliette ideali prodotte nel distretto portuale di Chittagong, in Bangladesh. - Io e la mia maglietta ‘ideale’

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