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Michael Tippett, il musicista trotz
Musica e Politica
Michael Tippett, il musicista trotzkistae poi pacifista
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Giovan Giuseppe MENNELLA
Il musicista inglese Michael Tippett nacque il 2 gennaio 1905, l’anno della guerra russo-giapponese, la prima del XX Secolo, e morì l’8 gennaio 1998. Il suo percorso umano lo rese testimone impareggiabile di tutto un secolo tragico. Un secolo che lui tentò di cambiare, perché fu l’emblema dell’artista impegnato e militante. A otto anni di età, il 28 febbraio 1913, spedì alla testata progressista “The vote” u- na letterina in cui auspicò la concessione del diritto di voto alle donne. Sicuramente la mano del bambino era stata guidata da un’altra mano più matura, quella della sua mamma, Isabel Kemp, che era una femminista e militante politica che si batte-
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va per le cause progressiste. Anche il padre si era sempre battuto per le cause civili e progressiste. Il bambino Tippett soffrì sempre per le frequenti assenze della madre, spesso impegnata nelle sue lotte politiche e non infrequentemente chiusa anche in prigione. Il giovane Michael come musicista fu un autodidatta, prese lezioni private di pianoforte che però non diedero risultati molto positivi. Si costruì una certa cultura musicale da solo, studiando un trattato di armonia di Charles Stanford. Riuscì a entrare a diciotto anni al Royal College of music, ma il suo percorso in quell’istituzione fu accidentato. Non era un musicista naturale dal quale fluissero con facilità armonie, melodie e invenzioni, ma intellettualistico, mediato, artificioso, compose i suoi pezzi sempre con una certa fatica e dopo molti studi e ripensamenti. Attese i trent’anni per dare alle stampe l’opus numero 1, una serie di quartetti per archi. Non possedeva innata sensibilità musicale, ma piuttosto una chiara attitudine a intervenire nella società per cambiarla. I suoi amici furono tutti attivisti politici e sociali. Il suo amico Bush curava l’educazione musicale dei bambini poveri, figli dei lavoratori. Nel 1933 andarono a Strasburgo per dirigere alcuni cori musicali di lavoratori. Bush era comunista stalinista, mentre Tippett, nella sua ansia di rinnovare la società e la politica, si proclamava trotzkista e cercò di creare circoli politici trotzkisti anche in Gran Bretagna. Bush diceva che la musica avrebbe servito la rivoluzione, mentre Tippett ribatteva che invece sarebbe stata la rivoluzione a servire la musica. A partire dagli anni ’30 entrò in contatto con i circoli pacifisti e antimilitaristi, man mano che si avvicinava la guerra in Europa. Quando la guerra scoppiò veramente, non perse tempo a dichiararsi obiettore di coscienza. Al processo cui fu sottoposto, dichiarò che le persone della sua età erano
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entrate nella vita adulta già con la sindrome della Grande Guerra. Nel 1922, a diciassette anni, aveva partecipato a raccolte di fondi per aiutare i bambini resi tubercolotici dalle privazioni subite per via della guerra, quando era abbastanza grande aveva visto il film “I quattro cavalieri dell’apocalisse” ed era stato impressionato dai grandi cimiteri delle Fiandre, facendo promessa con i suoi amici di non partecipare mai agli orrori della guerra. Non fu condannato subito a una pena detentiva, anche grazie all’intervento di molti esponenti del mondo culturale e musicale britannico, ma obbligato a partecipare allo sforzo bellico con servizi socialmente utili, lavorando al raccolto nei campi. Quando si scoprì che non partecipava neanche ai lavori agricoli, fu imprigionato per davvero. Il suo amico Benjamin Britten, il più grande compositore britannico e uno dei massimi del ‘900, riuscì a organizzare un concerto in carcere e c’è una foto, alquanto patetica, che immortala Britten che suona il pianoforte e Tippett che gli gira devotamente le pagine dello spartito. Tra le vittime della Seconda Guerra Mondiale ci fu anche Herschel Grischmann, il giovane ebreo che uccise con un colpo di pistola il diplomatico tedesco Von Rath, episodio che diede il via al pogrom antiebraico passato alla storia come “Notte dei cristalli”. A lui Tippett dedicò la cantata “A child of our time” che fu la sua opera più popolare e riuscita. Fu composta tra il 1939 e il 1941 ma fu eseguita solo nel 1944. Avrebbe voluto far scrivere il testo al suo amico, il grande poeta Thomas Stearns Eliot. I due erano amici perché accomunati dalla passione per il gioco del Monopoli, in cui entrambi erano molto esperti. Fu proprio Eliot che lo convinse a scrivere lui stesso il testo, avendo notato che era molto convinto e motivato dall’episodio. Non si può dire che il testo della cantata sia un capolavoro letterario. Infatti, i testi delle sue composizioni cantate non si distinsero mai per bellezza letteraria, proprio perché composti da lui stesso, a differenza di altri compositori, in-
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glesi e non, come Britten o Richard Strauss, che si valsero sempre di grandi scrittori e poeti, come Henry James, W.H.Auden, Hugo von Hofmannsthal. Il cerebralismo di Tippett non avrebbe retto alla poetica di Auden. Invidiò sempre Benjamin Britten perché aveva il dono della melodia, della facilità di comporre velocemente, mentre lui aveva tempi molto lunghi di gestazione delle opere. Britten dubitò sempre che Tippett avesse molto ben presente la coscienza creativa. Nel dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale, Tippett si interessò sempre di più alla psicanalisi, soprattutto a quella junghiana. I suoi problemi psicologici erano stati causati dai frequenti abbandoni da parte della madre, dal riconoscersi omosessuale, dai gravi atti di bullismo dei quali era stato vittima da ragazzo ai tempi del collegio. Fu influenzato dallo psicanalista junghiano John Layard a tenere sempre presente i due principi in opposizione jin e jang sempre presenti in ciascuno. Così giunse alla convinzione che l’essere umano aveva proiettato l’ombra malefica di sé sul proprio nemico e quindi aveva scatenato la guerra mondiale. La sua produzione artistica successiva fu molto condizionata da questa concezione. Dopo la guerra voltò le spalle anche al trotzkismo e il suo idolo divenne Beethoven, di cui ammirò incondizionatamente lo sforzo eroico per la libertà e la felicità dell’uomo, tanto che in una delle sinfonie citò la nona di Beethoven. Però si chiese se, dopo Auschwitz, Hiroshima, la Guerra di Corea, la guerra del Vietnam, avesse più senso l’inno alla gioia del compositore di Bonn. Pacifista e antimilitarista lo era sempre stato, divenne poi anche ambientalista e filantropo. In una delle sue composizioni corali inserì un frammento del discorso di Martin Luther King “I have a dream”. Quando fu aperto il suo testamento si scoprì che aveva destinato una parte del patrimonio ad associazioni come “Amnesty International” e “Save the children”.
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