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The Divide ( parte prima) Raffaele FLAMINIO

Politica

The Divide ( parte prima)

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Raffaele FLAMINIO

Il libro di Jason Hickel ‘The Divide’, edito in Italia da ‘il Saggiatore’ è una lettura molto interessante. Il testo si propone di indagare le cause delle diseguaglianze sempre crescenti tra il così detto, primo mondo e il terzo mondo, affetto, secondo alcuni, da sottosviluppo strutturale e antropologico,. La nostra testata ha deciso di prendere a prestito quest’opera, per ragionare, insieme ai nostri lettori, sulle ragioni geopolitiche da cui scaturisce il pensiero unico imperante. Cercherò di condurre chi vorrà seguirci pazientemente nell’esplorazione e nella

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conoscenza dell’avvilente e debilitante condizione di povertà in cui versa il sessanta per cento della popolazione mondiale, percorrendo la storia e chiedendo aiuto ai numeri che tracciano i contorni della diseguaglianza globale. All’inizio del nuovo millennio, le statistiche ci dicevano che il reddito e la ricchezza tra occidente (USA in testa) e il resto del mondo era così distribuito: un cittadino statunitense godeva di un reddito medio pari a circa nove volte quello di un latino americano, ventuno volte più alto di un mediorientale e nordafricano, cinquantadue volte quello di una abitante dell’ Africa subsahariana, circa settantatré volte più alto degli abitanti dell’Asia meridionale. La comparazione di questi dati con quelli del 1960 ci dice che il divario è triplicato. È facile supporre che la frattura tra Paesi ricchi e Paesi poveri sia sempre esistita, un fattore genetico infestante che andava monitorato e curato nell’interesse comune. Ma è una storia forviante inventata da noi, per giustificare e assolvere la nostra coscienza. Invero, le ragioni della diseguaglianza non si generano a dispetto di una parte sull’altra ma causa di una sull’altra. Prima delle scoperte geografiche (1492) non esistevano differenze rimarchevoli tra il resto del mondo e l’Europa di allora; anzi si può affermare con verità storica che alcune regioni del sud del mondo conosciuto fossero più evolute dell’Europa. Quindi, la frattura di cui parliamo non si è generata naturalmente come una faglia sismica, ma è stata creata strumentalmente. La prima e seconda rivoluzione industriale dell’occidente (Europa e Stati Uniti) è avvenuta attraverso la schiavitù e la rapina delle risorse naturali delle colonie. Le esagerate quantità di oro e argento estratte dall’America Latina fornirono il capitale per la nascente industria meccanica e cantieristica, concedendo alle potenze coloniali, attraverso l’uso della forza militare sproporzionata, la necessaria miscela dello sviluppo. Lo sfruttamento latifondista dei terreni coloniali consentì di sposta-

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re, nei paesi europei, mano d’opera dalle campagne alle città che via via si industrializzavano. Il Nuovo Mondo subì un Olocausto di 70.000.000 morti in nome del progresso. Le cifre sono raccapriccianti. L’impero di sua maestà britannica nella sola India causò la morte per fame di 30.000.000 d indigeni. “In India e Cina il tenore di vita medio, che prima del periodo coloniale era uguale a quello della Gran Bretagna precipitò, così come, la loro quota di Pil che dal 65% sprofondò al 10% mentre in Europa si triplicò”. (Ha-joon Chang, Cattivi samaritani. Il Mito del libero mercato e l’economia mondiale. Università Bocconi di Milano 2008). Per la prima volta nella storia, la povertà globale fece la sua comparsa e l’imperialismo europeo – guidato dall’imperativo del profitto e della crescita- privava le popolazioni della loro terra e distruggeva le loro capacità di autosostentamento. Lo sviluppo di alcuni significò il sottosviluppo e la mortificazione per altri. Anche la gerarchia della Chiesa cattolica, pervasa dal furore evangelico, contribuì a radicare nella mente delle genti europee il teorema della ineluttabilità della povertà e della misericordia. La storia del sottosviluppo s’intreccia intrinsecamente con fattori psicologici che generano sensi di colpa collettivi nel nord del mondo. La metodica ricorrente utilizzata dai Paesi ricchi, fa leva su questo aspetto. Le pubblicazioni di statistiche sempre più impietose nei numeri della fame e della disperazione, la diffusione di immagini forti di bambini affamati e moribondi, richiamano l’opulento Nord a lavarsi la coscienza attraverso la misericordia che assolve l’iper ricchezza accumulata a danno di altri esseri umani che versano nella disperazione più completa producendo la Grande Bruttura, inguardabile, che colpisce periodicamente l’animo dei ricchi. Il grande successo di alcuni ha bisogno di una narrazione convincente.

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Per sostenere una causa c’è bisogno di una ragione, una scusa. Se una parte del mondo è florida ed eccellente, una ragione ci sarà? Ed ecco che allora fioccano le istruzioni, per i poveri, che sono tali per incapacità, per struttura sociale, economica e ‘razziale’. L’istruzione da chi ne sa di più, è meglio. Diventa necessaria. Grazie al provvidenziale e generoso intervento, dei paesi ricchi, la povertà avrà vita breve. La narrazione contemporanea propone l’isola che non c’è. E’ come se ogni regione del mondo non fosse connessa all’altra e, che il benessere di alcuni non sia ragione di povertà di altri dove il vecchio adagio latino “MORS TUA VITA MEA” non avesse più cittadinanza. La connessione tra le genti, i continenti, gli stati è l’elemento portante che Jason Hickel incardina nel ragionamento nel testo di cui esponiamo le tesi. A suffragare e a convincerci ancor di più di quanto andremo a trattare sono gli ultimi avvenimenti dettati dalla cronaca contemporanea . Il coronavirus e la crisi ambientale che incombono dimostrano, perentoriamente, che il mondo è globalizzato in tutti i suoi aspetti. Dall’economia al clima, dai diritti alla salute e così si potrebbe andare avanti citando decine di argomenti. Come nasce l’illusione dello sviluppo? Seguiteci e lo saprete.

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