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Affaracci. Egitto, la vergogna italiana

Esteri

Affaracci. Egitto, la vergogna italiana

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Umberto DE GIOVANNANGELI

Pecunia non olet. Anche quando l’odore è quello del sangue. Globalist lo ha anticipato ieri: l’Italia si accingerebbe a vendere due Fregate all’Egitto, nel quadro di un programma di forniture militari che varrebbe 9 miliardi di euro. Le navi, già pronte nei nostri cantieri per la Marina Militare, sarebbero a questa sottratte per essere date all’Egitto in pronta consegna. Altre da cantierare sarebbero consegnate in un secondo momento, assieme ad un certo numero di elicotteri. Si tratta dello "Spartaco

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Schergat" e dell'"Emilio Bianchi". La prima arrivata presso il Muggiano nel gennaio 2019 e ormai prossima a prendere il mare nei mesi a venire, la seconda appena terminata per la parte strutturale e in procinto di iniziare i lavori di allestimento nel golfo.

Si tratta della nona e decima unità del programma per una fregata europea multi missione sviluppato insieme alla Francia, che a sua volta nel 2015 ha ceduto il suo Normandie all’Egitto.

La notizia della possibile commessa, ha presto raggiunto Parigi , definita "uno schiaffo" dal quotidiano La Tribune che sottolinea gli storici rapporti con Il Cairo. Nell'operazione, di cui si starebbero definendo gli aspetti tecnico-finanziari, ci sarebbe il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti. “Garantire l’approvvigionamento di armi a un Paese come l’Egitto ci fa perdere credibilità, oltre a essere in aperto contrasto con gli impegni assunti da governo e parlamento sulla ricerca della verità”, annota Erasmo Palazzotto (Leu), presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. “Il governo italiano sta facendo approfondimenti tecnici per decidere se vendere all’Egitto due fregate militari della nostra Marina – dice Lia Quartapelle, capogruppo Pd alla - Commissione Esteri della Camera - Servono però valutazioni politiche”.

Il finto imbarazzo

il 24 gennaio scorso, alla vigilia dell’anniversario della scomparsa di Giulio Regeni, a Palazzo Chigi era in agenda una riunione plenaria sulla commessa aIl Cairo, una “sovrapposizione sgradevole” che la Farnesina ha chiesto di evitare. Ma la riunione si è svolta lo stesso, seppur in forma ridotta e con gli attori necessari. La trattativa è stata seguita in gennaio direttamente dalla presidenza del Consiglio e da

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Carlo Massagli, consigliere militare di Giuseppe Conte. La riservatezza è svanita quando è stata resa nota - come di dovere - a tutti gli uffici interessati, tra cui quattro ministeri e i vertici delle forze armate. La decisione avrebbe incontrato la delusione della Marina militare che sperava che le navi potessero far parte della propria flotta.

Le due fregate dal valore di un miliardo e duecento milioni fanno parte della classe Fremm, ma l'accordo delinea un'intesa di massima per un programma di sviluppo militare che Il Sole 24 ore stima in almeno 9 miliardi di commesse. Il negoziato permetterebbe, secondo le intenzioni di Palazzo Chigi, di far tornare l'Italia più centrale nel quadro geo-politico del mediterraneo meridionale.

In ballo ci sarebbero anche pattugliatori, 24 cacciabombardieri Tifone, oltre ad aerei da addestramento Macchi M-346. La Marina egiziana, come riferisce La Stampa, avrebbe già acquistato anche una ventina di elicotteri Leonardo AW149 da impiegare a bordo delle due portaelicotteri acquistate dalla Francia, la Ghamal Abdel al-Nasser e la Anwar Sadat. L’iniziativa è partita dal Cairo, che ha espresso una manifestazione di interesse per le fregate della Fincantieri. L’azienda ha subito informato il governo italiano per avere l’autorizzazione ad andare avanti.

Il progetto è quindi di una cooperazione su larga scala nell’industria militare, confermata dal giornale Mada Masr, che ha parlato di contatti con il ministro della Produzione militare Mohammed al-Assar, concretizzati con la firma di “nove memorandum d’intesa”, compresa la realizzazione di una “unità logistica integrata” al Cairo. Questo per il futuro. Il passato, recente, dice che ’Egitto ha pagato all’Italia una cifra record per l’acquisto di armi. I dati sono stati presentati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 2 aprile 2019. In particolare, la cifra pagata dall’Egitto per l’acquisto di armi, munizioni e sistemi di informazione per la sicurezza di pro-

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venienza italiana, nel 2018, ammonta a più di 69 milioni di euro. Tale cifra supera di gran lunga i 7.4 milioni del 2017 ed i 7.1 milioni del 2016. Anche precedentemente, nel periodo 2013-2015, l’Italia ha venduto armi al Cairo per cifre inferiori a quelle attuali, per un massimo di 37.6 milioni di euro.

Nel 2018, l’Egitto si è classificato al decimo posto nell’elenco dei Paesi che importano armi italiane, ed è il primo Stato del continente africano, preceduto da Qatar, Pakistan, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Germania, Stati Uniti, Francia, Spagna e Gran Bretagna. I beni di maggior rilievo, di cui è autorizzata l’esportazione verso l’Egitto, sono pistole e fucili di piccolo calibro indirizzate all’esercito, nello specifico “armi ed armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm”, oltre a bombe, siluri, razzi missili, accessori e pezzi di ricambio per armi americane ma fabbricate in Italia, apparecchiature elettroniche e software per il controllo regionale. Tali armamenti sono volti principalmente all’impiego militare, sia per l’esercito sia per la polizia e le forze di sicurezza. L’ambito relativo ai sistemi informatici risulta essere tra le novità delle relazioni Italia – Egitto.

Ma con il regime del presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi non sono in ballo solo affari navali. In Egitto l'Eni ha interessi stratosferici ed Edison, Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi, Ansaldo, Tecnimont, Danieli, Techint, Cementir stanno piantando tende. Oltre all’Eni, circa 130 aziende italiane operano in Egitto e producono circa 2,5 miliardi di dollari. C’è Edison (con investimenti per due miliardi) e Banca Intesa San Paolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari. Poi Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, e molti altri. Imprese di servizi, impiantistica, trasporti e logistica. L’Egitto fa gola. Ha lanciato grandi progetti di infrastrutture: dai porti e zone industriali lungo il canale di Suez appena raddoppiato, ai fosfati estratti nel deserto occidentale, a un

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nuovo triangolo industriale tra i porti di Safaga ed el Quseir sul Mar Rosso e la città di Qena sul Nilo, fino a una nuova espansione urbana e industriale sulla costa mediterranea intorno a El Alamein.

Il governo egiziano conta di investirvi cento miliardi di dollari, promessi in gran parte dalle monarchie del Golfo, e le imprese di tutto il mondo sperano di partecipare alla festa. Nel 2016 le esportazioni italiane verso l’Egitto hanno prodotto 3.089,11 milioni di euro. .Un caso a parte è rappresentato dall’Eni. Presente in E- gitto dal 1954 attraverso la filiale IEOC, la petrolifera italiana è la principale produttrice del Paese con 260,000 boed di gas naturale al giorno. Un report dell’Eni indica il ritrovamento di una nuova riserva di gas a Faghur durante una nuova operazione di esplorazione. È sufficiente pensare a quello che è accaduto il 31 gennaio del 2018 con l’inaugurazione del giacimento gasiero di Zohr scoperto due anni e mezzo prima dall’Eni. Quel giorno l’amministratore delegato della compagnia Claudio Descalzi presenziò alla cerimonia mentre la stampa egiziana celebrava in pompa magna i rapporti tra Italia ed Egitto.

Ad agosto 2019 il ministro del Petrolio e le risorse minerali dell’Egitto, Tarek El- Molla, ha firmato tre nuovi accordi per l’esplorazione di petrolio e gas naturale nel Mediterraneo, Sahara Occidentale e il Nilo per circa 139,2 milioni di dollari. Il primo è siglato tra la Compagnia Egiziana di Gas Naturale, Tharwa Petroleum e l’Eni per due nuovi giacimenti nel Mare Mediterraneo dell’Egitto. Il secondo tra l’Autorità Petrolifera dell’Egitto, l’Eni e la croata Ina per l’apertura di nuovi pozzi petroliferi a Raas Qattara e il terzo tra l’Autorità Petrolifera dell’Egitto, Eni e la British Petroleum per quattro pozzi sul Nilo. Nuove scoperte che contribuiscono all’apprezzamento dei titoli di Eni a Piazza Affari. Non basta. Ci sono poi gli interessi di gruppi come Leonardo-Finmeccanica che con l’Egitto hanno relazioni da

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tempo. Per esempio, la società italiana ha venduto hardware militare al governo e- giziano anche nei sistemi di monitoraggio e controllo delle frontiere, fornitura che rientra nell’ambito degli accordi sul controllo dell’immigrazione e dove la dimensione politica, commerciale, economica e strategica si sovrappongono.

stando alla Banca centrale egiziana, attualmente l’Italia è il quarto partner commerciale del Cairo dopo Cina, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti e nell’anno fiscale 2018/2019 gli scambi commerciali tra i due hanno sfiorato i 4,5 miliardi di dollari.

Un passo indietro, neanche troppo lungo, nel tempo. Il 4 settembre 2017, l’allora ministro degli Esteri, nel governo Gentiloni, Angelino Alfano definiva l’Egitto un “partner ineludibile dell’Italia” e fa ancora riflettere la descrizione che Naguib Onsi Sawiris, imprenditore egiziano e magnate delle telecomunicazioni, ha fatto dell’Egitto durante un intervento al Forum Rome MED 2017. Naguib Onsi Sawiris è presidente e amministratore delegato di Orascom Telecom, presidente del Consiglio di Amministrazione di Wind Telecomunicazioni Spa e di Mobinil. È uno degli uomini più ricchi dell’Africa ed è figlio di Onsi Sawiris, fondatore del gruppo Orascom. Di fronte a una platea gremita, Onsi Sawiris ha descritto l’Egitto come un “ambiente economico positivo, dove si può investire, e dove molte cose giuste sono state fatte dal punto di vista strutturale”.

Morale della brutta favola: a Roma cambiano i governi, variano le maggioranze, ma i diritti umani calpestati sistematicamente dal regime egiziano vengono sempre in secondo piano rispetto agli affari. Così come la verità sull’assassinio di Giulio Regeni. Che si sia trattato di un omicidio di Stato, su questo non esistono dubbi. Solo che i miliardi in ballo oscurano questa verità. E’ la vergogna italiana.

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Ma Di Maio fa finta di non capire. L’ambasciatore italiano al Cairo, Giampaolo Cantini, è finito nel mirino nelle ultime settimane, accusato anche dalla famiglia di Giulio Regeni di disinteresse nella ricerca della verità sull’uccisione in Egitto del giovane ricercatore. Il caso di Patrick Zaky riapre il drammatico tema dei diritti u- mani nel Paese nordafricano e sulla presenza di un diplomatico italiano al Cairo. Per il pentastellato ministro degli Esteri non c’è discussione: “Se si vogliono difendere i diritti umani e si vuole la verità su Giulio Regeni non si può prescindere da una relazione con l’Egitto” spiega Di Maio nelle interviste concesse a Corriere della Sera e Repubblica. E questo mentre la famiglia di Patrick George Zaky lancia un disperato appello per la liberazione del giovane studente egiziano dell’università di Bologna, arrestato nei giorni scorsi al suo rientro al Cairo. È stato “picchiato e torturato per 30 ore” in Egitto perché volevano conoscere “i suoi legami con l’Italia e con la famiglia di Giulio Regeni” riferisce la famiglia ai quotidiani. “Non sappiamo perché Patrick sia stato arrestato”, aggiunge uno dei suoi avvocati, Wael Ghally. “Abbiamo soltanto due certezze. La prima è che nei suoi confronti è stato emesso un mandato di comparizione il 24 settembre, ma nessuno glielo ha comunicato. Per questo è stato fermato alla frontiera. La seconda è che lì è stato bendato e portato da qualche parte al Cairo. È stato detenuto e interrogato per 30 ore, torturato. Lo picchiavano e gli chiedevano dei suoi legami con l’Italia e con la famiglia di Giulio Regeni. Patrick non sa nulla di tutto questo. Così alla fine lo hanno trasferito qui a Mansura”. Di Maio sottolinea che “il ragazzo è egiziano”, ma l’Italia ha chiesto di “seguire tutti i passaggi del processo”... “Stiamo attivando tutti i soggetti per conoscere che cosa è successo. Abbiamo fatto lo stesso a livello europeo, chiedendo che l’Ue segua tutti i passaggi del processo”.

Quanto poi alla vendita di navi da Fincantieri alla Marina egiziana, il ministro ag-

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giunge che “sulle fregate Fremm il governo non ha preso alcuna decisione. C’è un negoziato in corso tra Fincantieri e il Governo egiziano, ma seguiamo con molta attenzione quello che sta avvenendo e nessuna vendita è stata approvata”. Un Pilato alla Farnesina.

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