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Libia, il buco nell’acqua di “Giggino l’ammiraglio”

Esteri

Libia, il buco nell’acqua di “Giggino l’ammiraglio”

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Umberto DE GIOVANNANGELI

Dilettanti allo sbaraglio. Venditori di fumo spacciato per grande azione diplomatica. L’ultimo buco nell’acqua dell’”ammiraglio” Di Maio. Una missione nata morta: quella che avrebbe dovuto sostituire l’operazione “Sophia” per contrastare i trafficanti di esseri umani e far rispettare l’embargo Onu sulle armi in Libia. Il pia-

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no proposto dall'Unione europea "per vietare il flusso di armi in Libia fallirà nella sua forma attuale, in particolare sulle frontiere terrestri e aeree nella regione orientale". Lo dichiara in una nota il ministero degli Esteri del Governo di accordo nazionale libico di Tripoli, guidato da Fayez al-Sarraj. "Il governo di accordo nazionale - spiega la diplomazia libica - ha ripetutamente chiesto per anni la rigorosa attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che hanno vietato il flusso illegale di armi nel nostro Paese". Tripoli rivendica inoltre il suo "diritto di continuare le sue alleanze militari aperte attraverso canali legittimi". Il che vuol dire continuare a ricevere armi dalla Turchia.

"La situazione sul terreno in Libia resta fragile, la tregua viene violata in continuazione. Oggi (ieri, ndr) c'è stato un attacco al porto di Tripoli". Lo ha detto l'inviato speciale dell'Onu Ghassan Salamè dopo il secondo round di colloqui tra il governo di al-Sarraj e rappresentanti delle forze del generale Haftar. "Fino a che la tregua continuerà ad essere violata, come oggi contro il porto di Tripoli, è molto molto difficile pensare a un dialogo e un negoziato tra le due parti", ha sottolineato Salamè , ricordando che "dal 19 gennaio ci sono state violazioni dell'embargo sulla vendita di armi alla Libia e sull'invio di mercenari". D’altro canto, L’inefficacia dell’Onu nel far rispettare il proprio divieto di vendere armi alla Libia è dovuta al fatto che nel corso degli anni la guerra libica è diventata sempre più una guerra di altri, con il coinvolgimento di Paesi stranieri che sono membri permanenti con potere di veto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, o che sono da loro protetti: il potere di veto è quella cosa che permette a Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Cina e Russia di bloccare unilateralmente qualsiasi risoluzione del Consiglio, senza bisogno di avere la maggioranza dei voti. Al momento ci sono almeno due Paesi con potere di veto coinvolti direttamente nella guerra in Libia: la Russia e la Francia,

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che appoggiano entrambi il maresciallo Khalifa Haftar. Il generale di Bengasi è sostenuto anche dagli Emirati Arabi Uniti, accusati di essere i responsabili dell’attacco al centro di detenzione vicino a Tripoli dello scorso luglio e individuati da molti come i maggiori violatori dell’embargo sulla vendita delle armi alla Libia.

Dopo il bombardamento di Tripoli, di Libia ha parlato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha detto di appoggiare la decisione del governo Sarraj di ritirarsi dai colloqui del comitato militare: "È stato un passo importante, la Turchia continua a restare dalla parte del governo legittimo della Libia a Tripoli". Erdogan ha aggiunto per la prima volta che "se un accordo giusto non potrà essere raggiunto attraverso i negoziati internazionali, sosterremo la legittima amministrazione della Libia nel prendere il controllo dell'intero Paese" contro le forze di Khalifa Haftar. Come dire che Ankara sarebbe pronta a un'offensiva militare contro le postazioni tenute da Haftar.

Tutto accade il giorno dopo che un drone turco è stato abbattuto nell'area di Ain Zara, alle porte di Tripoli dall'autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna). Secondo il generale Mabrouk al Ghazwi il drone era in missione sull'area da cui erano partiti i colpi sparati dalle forze del generale Haftar contro il porto della capitale. Nell'attacco sono stati uccisi tre civili e almeno altri cinque sono rimasti feriti. Il comando generale dell'Esercito della Cirenaica ha rivendicato l'attacco sostenendo di aver "colpito un deposito di armi e munizioni" e di aver "impedito l'arrivo di mercenari siriani". "L'attacco al porto di Tripoli avrebbe potuto portare a un disastro umanitario e ambientale e avrà un impatto significativo su una regione affollata come Tripoli", ha dichiarato in una nota invece il presidente della Noc, la compagnia petrolifera libica, Mustafa Sanalla. "La città non ha strutture operative per lo stoccaggio del carburante in quanto i serbatoi principali della capitale è stato e-

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vacuato a causa dei combattimenti nell'area della strada verso l'aeroporto, dove si trova la struttura. Le conseguenze saranno immediate: ospedali, scuole, centrali e- lettriche e altri servizi vitali verranno interrotti", ha aggiunto. I razzi sono caduti a pochi metri da una delle petroliere impegnate nella fornitura di gas gpl alla capitale. "Il bombardamento poteva avere conseguenze catastrofiche", ha dichiarato Samalla, che ha fatto ritirare due navi dalla zona per portarle in acque sicure. Al - Sarraj, per risposta, ha deciso di sospendere i colloqui 5+5 di Ginevra decisi alla Conferenza di Berlino per monitorare la tregua di cui, a questo punto, rimane ben poco.

Dal 2011 gli ispettori dell’Onu hanno rilevato violazioni sistematiche dell’embargo sulla vendita di armi da parte di numerosi Paesi stranieri, ha scritto il New York Times, e le hanno comunicate al Consiglio di Sicurezza. Finora però le uniche due persone sanzionate per la loro azione nella guerra libica sono stati due cittadini eritrei, accusati nel 2018 di traffico di esseri umani. E cose non sono cambiate nemmeno con l’incontro sulla Libia tenuto a gennaio a Berlino, nel quale i leader presenti hanno firmato una dichiarazione che chiedeva una tregua nei combattimenti e confermava il divieto della vendita delle armi alle fazioni che combattono la guerra libica.

Poco dopo l’incontro, in Libia sono arrivate nuove armi, probabilmente in preparazione a una nuova serie di attacchi e contrattacchi: tra le altre cose, sono arrivate nelle acque libiche navi da guerra turche cariche di veicoli corazzati destinati al governo di Sarraj, mentre nella Libia orientale decine di aerei forse carichi di rifornimenti per Haftar sono atterrati in una base controllata dagli Emirati Arabi Uniti. Sia la Turchia che gli Emirati Arabi Uniti sono tra i firmatari della dichiarazione di Berlino. Insomma, firmata la dichiarazione, scoperto l’inganno. “Spero che la nuo-

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va missione” di controllo dell’embargo Onu sulla Libia “possa essere lanciata al prossimo consiglio Affari esteri, ed essere operativa da fine marzo” ha affermato nei giorni scorso l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, chiarendo che è stato trovato “un accordo politico” e che ora saranno gli ambasciatori, ed il Comitato militare Ue, presieduto dal generale Claudio Graziano, a lavorare sui dettagli e sulle regole di ingaggio. “Di fatto quindi nessuno controllerà i cargo che portano armi in Libia per almeno un altro mese e mezzo, mentre non sembrano esserci singoli Stati pronti a far rispettare l’embargo con le proprie forze navali in attesa della flotta Ue”, annota Gianandrea Gaiani, direttore di Affari Difesa. “I mercantili che portano armi al Governo di accordo nazionale (GNA) di Fayez al-Sarraj a Tripoli sono scortati da navi da guerra turche – rimarca Gaiani - e, ‘passeggiata o meno’ nessuno riesce a immaginare, a Roma come a Bruxelles, che la flotta Ue abbia regole d’ingaggio così robuste da permetterle di scatenare una battaglia navale contro la Marina di Ankara per bloccare le forniture di armi al governo libico legittimo riconosciuto dall’Onu”. D’altro canto, rileva ancora Gaiani, “se la Ue crede di poter fermare così i flussi di armi diretti all’esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar rischia di incassare solenni delusioni poiché la gran parte degli aiuti militari arrivano da tempo per via aerea con decine e decine di voli dei super cargo Antonov e Iliyushin noleggiati dagli Emirati Arabi Uniti o attraverso il confine terrestre egiziano. Altri mezzi e rifornimenti in arrivo via nave vengono sbarcati nel porto egiziano di Sidi el-Barrani, nei pressi del confine, e poi trasferiti su strada in Cirenaica....L’idea sostenuta da Di Maio che in caso di aumento dei flussi di clandestini incoraggiati dalla presenza delle navi europee, la missione venga bloccata sembra quasi una barzelletta e la dice lunga circa la ‘ferrea determinazione’ dell’Europa nell’esercitare il blocco alle forniture di armi alla Libia...”. Tre siluri “affondano” l’improbabile missione dell’”ammiraglio” Lui-

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gi Di Maio. La missione Ue per il controllo dell'embargo sulle armi in Libia sarà "aerea, navale e terrestre se sarà autorizzata dalle parti in causa". Così aveva affermato il titolare della Farnesina in conferenza stampa a Roma con il suo omologo russo, Serghei Lavrov".Il pattugliamento aereo e marittimo avverrà con attrezzature militari, ma la postura dell'Ue non è di guerra bensì legata all'affermazione della pace", ha aggiunto, rilevando che lo stop all'arrivo di armi aiuterà il dialogo tra le parti., La notizia è, spiega il titolare della Farnesina, che "c'è una missione, non era scontato che 27 Paesi Ue fossero tutti d'accordo su una missione contro l'ingresso di armi in Libia". Sarà. Ma, piaccia o meno al ministro pentastellato, la notizia preoccupante è che se dovesse realizzarsi una tale missione, dovremo mettere in conto regole d’ingaggio da combattimento. “Prima di trarre ogni conclusione bisognerà attendere che venga messo nero su bianco il mandato, con le relative regole di ingaggio – osserva Pietro Batacchi, direttore di RID (Rivista Italiana Difesa, tra i più autorevoli analisti militari - Cosa potrebbe succedere se, per esempio, una nave turca che trasporta armi a Tripoli – magari scortata da una fregata – dovesse rifiutarsi di essere ispezionata? Uno scenario tutt’altro che irrealistico considerando la recente assertività di Ankara in tutto il Mediterraneo. E poi c’è la questione del confine con l’Egitto, attraverso il quale passano le armi – provenienti dallo stesso Egitto, ma pure dagli Emirati Arabi Uniti – destinate alle milizie di Haftar. Stiamo parlando di un confine lungo oltre 1.000 km e sorvegliarlo in maniera efficace significherebbe dover mettere in campo un contingente molto robusto e articolato, senza dimenticare la necessità di ottenere la cooperazione fattiva del Cairo. Un’ipotesi, dunque, al momento difficilmente praticabile”. “Il piano proposto dall'Unione europea "per vietare il flusso di armi in Libia fallirà nella sua forma attuale, in particolare sulle frontiere terrestri e aeree nella regione orientale". Primo siluro. A lanciarlo, in una nota è il ministero degli Esteri del Governo di accordo

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nazionale libico di Tripoli. "Il governo di accordo nazionale - spiega la diplomazia libica - ha ripetutamente chiesto per anni la rigorosa attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che hanno vietato il flusso illegale di armi nel nostro Paese". Tripoli rivendica inoltre il suo "diritto di continuare le sue alleanze militari aperte attraverso canali legittimi". Il secondo siluro non è meno pesante. E viene dal “Sultano di Ankara”. L'Ue non ha l'autorità per decidere sulla Libia e Ankara è pronta a sostenere il governo di Tripoli nello sforzo per prendere il controllo del Paese. Non usa mezzi termini Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco da sempre apertamente schierato contro l'uomo forte della Cirenaica a difesa del debole, precario esecutivo guidato da al-Serraj. "Se non sarà possibile raggiungere un accordo equo nei colloqui internazionali, sosterremo il legittimo governo di Tripoli della Libia nel prendere il controllo sull'intero Paese" avverte Erdogan, nel suo discorso davanti all'assemblea parlamentare del suo partito Akp. Una posizione del genere ha come obiettivo quella di garantirsi il ruolo di partner principe agli occhi di al-Sarraj, una lotta in corso tra Ankara e Bruxelles, con Roma in prima fila. Le promesse di supporto militare, però, hanno già in passato spostato i favori del premier libico sulle posizioni del presidente turco. Terzo siluro. Meno appariscente ma non per questo meno devastante. "”La Russia insiste che deve essere sacrosanto rispettare gli accordi e non intraprendere azioni che potrebbero essere viste come contraddittorie rispetto al Consiglio di sicurezza Onu", ha puntualizzato il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov dopo la riunione Italia-Russia in formato Esteri-Difesa a Roma, parlando della missione Ue per l'embargo delle armi. "I meccanismi devono essere concordati con il Consiglio di Sicurezza, non possiamo rispettare gli auspici solo di una parte o dell'altra, l'Italia ci ha rassicurato di a- vere piena comprensione di questa situazione". Mosca è uno dei grandi sponsor del generale Haftar, che ieri, ha rivendicato l’attacco al porto di Tripoli contro una

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nave turca che avrebbe trasportato armi. "Non c'era nessuna nave turca, perché il porto è utilizzato solo per scopi commerciali” ha risposto un portavoce delle forze del governo di Tripoli.Quanto alla sempre più problematica missione europea, “il lato positivo – osserva il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa - è che sembra esserci una maggiore consapevolezza dei problemi che pone la situazione in Nord Africa da parte dei Paese Ue, anche di quelli che non hanno un diretto interesse alle vicende mediterranee. Bisogna però constatare che siamo ancora nel regno, peraltro confuso, delle buone intenzioni. Per bloccare il flusso di armi e munizioni verso i contendenti libici – spiega Camporini – è necessario sigillare tutte le frontiere, quelle terrestri, quelle marittime e quelle aeree. Bloccando una sola di queste, non si ottiene altro risultato che dirottare i flussi verso le altre due. Ciò detto, occorre anche ricordare che per un blocco efficace è indispensabile una risoluzione esplicita del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in mancanza della quale i comandanti delle navi incaricati delle operazioni possono solo chiedere cortesemente alle navi in transito di acconsentire ad una ispezione.E se la risposta è ‘no, io proseguo’, possiamo sola fare un saluto con la manina”. E così, a credere nella missione salvifica sembra essere rimasto solo l’uomo della Farnesina: “Giggino l’ammiraglio”.

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