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Il tassista innamorato Antonella BUCCINI
Cultura
Il tassista innamorato
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Antonella BUCCINI
“Porta Grande o Porta piccola?” mi chiede la signora mentre sostiene le buste della spesa in ciascuna mano. In verità mi sono sempre confusa tra le due Porte del Bosco di Capodimonte, faticando a ricordare il dove dell’una e dell’altra. “Signora sia gentile, voglio andare al Museo di Capodimonte quale Porta mi consiglia?”. “La grande”, mi dice senza indugio, “e il Museo le verrà incontro”. E’ vero. Quando entro da un cancello imponente che si snoda per tutto il perimetro, la Reggia di Capodimonte, già residenza dei Borboni e poi dei Bonaparte, dei Murat, e dei Savoia, si impone austera e suggestiva, sarà anche per il tempo grigio e umido, di quelli che evocano antiche lussazioni o più decadenti artrosi. Forse per questo mi nego
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una passeggiata verso il bosco che degrada dalla Reggia e si insinua chissà per quanto. “Napoli di lava, porcellana e musica – Sale dell’Appartamento Reale” all’ingresso, la mostra di Sylvain Bellenger, curata da Hubert Le Galle e promossa dal Museo con il Teatro San Carlo. Si è proprio lì che voglio andare. Ho vinto la pigrizia e di lunedì, in solitudine mi sono decisa. Contavo di non trovare nessuno o quasi e invece una scolaresca irrequieta sale con me la scalinata con la promessa di un primo piano che invece si moltiplica almeno per tre. I ragazzini non ci fanno caso e procedono spediti reprimendo risatine in presenza dell’insegnante che arranca come me. Quanta bellezza si disperde da giovani. L’impegno di crescere non ammette deroghe. E invece a me già impressiona la straordinaria installazione all’ingresso del percorso, indice di sottesa ironia e di intuitiva sintesi: una tazza gigante ispirata alle porcellane di Capodimonte e al suo interno la figura di Maria Carolina d’Asburgo Lorena, moglie di Ferdinando IV di Borbone e regina di Napoli e di Sicilia, con cipiglio ovviamente aristocratico e lievemente irritato certo per l’insolita collocazione. E da lì si dipana lungo diciannove sale la storia di Napoli nel ‘700 e oltre in una sorta di pièce teatrale. L’incrociarsi delle arti, e su tutte la musica, lo splendore delle opere, il fermento creativo e l’intruglio delle povertà passano attraverso scene della vita quotidiana, del mutamento dei gusti e delle mode, del passaggio del potere dagli anni di Carlo di Borbone a Ferdinando II. La musica esalta in ciascuna sala, grazie alle cuffie dinamiche, i temi proposti. Sono, infatti, composizioni di Pergolesi, il meraviglioso Stabat Mater, Cimarosa, Paisiello, Jommelli. E la musica in quegli anni è arte suprema a Napoli, tanto che il giovane Mozart scrisse al padre “il giorno che riuscirò a scrivere una partitura che possa piacere al Teatro S. Carlo varrà come cento concerti fatti per i tedeschi”. Il senso di una città, Napoli, capitale della cultura come Londra e Parigi, c’è tutto. La mostra si conclude nell’ultima sala dedicata ad una videoinstallazione dell’artista Ste-
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fano Gargiulo dove l’insieme dei racconti delle principali opere tratte dall’archivio storico del Teatro S.Carlo, del Museo e della Reggia di Capodimonte si intersecano con la Napoli contemporanea ferita come un tempo. Il sipario si chiude e l’inafferrabile forza di questa città controversa ma mai scontata, chiosa la fine della messa in scena. Esco e non mi sorprenderebbe l’incontro con qualche personaggio con il cappello a tre punte e il mantello raccolto sulle spalle, magari che so, il Principe di San Severo, quello della famosa Cappella. I ragazzi li ritrovo fuori, a ridosso del bosco, stanno provando con l’insegnante un coro. Non è poi così vero che a loro sfugge la bellezza, la praticano. Il tassista che mi riporta nel ventunesimo secolo è di quelli che desidera parlare, io non ne ho tanta voglia ma poi cedo come sempre. “Oggi è una brutta giornata” osserva ed io non posso che condividere. “Ieri, invece”, mi racconta, “era bellissima e sono andato con un’amica sul lungomare”. “Buona idea”, rispondo con scarsa originalità. Lui continua. Mi racconta del pranzo, della passeggiata, della gente che prendeva il sole. Poi aggiunge che la sua amica è una gran bella donna, senza disprezzare, e si gira verso di me. “Certo” lo rassicuro. “Stiamo assai bene insieme, ma io ho cinquantaquattro anni e lei quarantuno, troppa differenza di età”, conclude con un po’ di malinconia. Siamo ormai arrivati. “Ma no”, gli rispondo, “non c’è nessuna grande differenza”. “Allora signora secondo voi…?” “Sicuramente vale la pena provarci”, lo incoraggio, “potreste essere una splendida coppia”. Mi sorride ed è proprio contento.
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