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L'eccidio di Porzus
Storia e Politica
L’eccidio di Porzus
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Giovan Giuseppe MENNELLA
Nel novembre 1944, in seguito ad accordi tra la Resistenza italiana e il dirigente comunista sloveno Edvard Kardelj, la Brigata partigiana garibaldina Natisone, operante in Friuli Venezia Giulia, si trasferì agli ordini del IX Corpus sloveno. Non obbedì all’ordine la brigata partigiana Osoppo, composta non da comunisti ma da monarchici, cattolici, azionisti, socialisti, badogliani. Questo fu il prodromo dell’eccidio di Porzus del 7 febbraio 1945, nel quale persero la vita molti componenti della Osoppo. Quel giorno una spedizione militare guidata dal capo partigiano comunista Mario Toffanin, nome di battaglia Giacca, un elemento particolarmente violento e deter-18
minato, sorprese uomini della Osoppo alle malghe di Porzus. Il comandante osovano Francesco De Gregori, nome di battaglia Bolla, e altri due uomini furono uccisi subito, mentre altri 16 furono catturati e portati via. Dopo poche ore, altri 14 furono uccisi e solo 2 riuscirono a fuggire. Tra gli uccisi c’era anche Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo. Anche molta documentazione in possesso della Osoppo fu catturata e fu resa consultabile solo a partire dagli anni ’60. Ma occorre fare un passo indietro per comprendere i prodromi e le motivazioni di quell’eccidio. Nel periodo successivo all’8 settembre1943, i tedeschi occuparono la Venezia Giulia e ne fecero una regione incorporata nel Reich, denominata Adriatisches Kunstenland, governata da funzionari carinziani. Si sviluppò così la resistenza, costituita all’inizio da militari italiani sbandati che si erano rifiutati di consegnare le armi. Con il passare dei mesi, anche i partiti politici italiani si diedero a organizzare gruppi armati. Si formarono i gruppi armati comunisti delle Brigate Garibaldi, tra cui la Natisone, e quelli non comunisti, soprattutto la Osoppo. Su pressione degli inglesi, fu formato un comando unico tra i due gruppi italiani, ma l’accordo non durò a lungo e presto si sciolse. Quindi, la Resistenza italiana si spaccò in due: da un lato i partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi, dall’altro i partigiani non comunisti. La ragione della spaccatura fu il comportamento da tenere rispetto all’intenzione dei partigiani di Tito di annettere quel lembo d’Italia alla Jugoslavia e, di conseguenza, inserirlo nell’area di influenza comunista. In effetti, la storia del ‘900 non è stata caratterizzata solo dal dissidio tra fascismo e antifascismo, ma anche dal dissidio tra italiani e slavi sul confine orientale e da quello, allora incipiente, tra comunismo e anticomunismo. Per ordine di Stalin i partigiani comunisti italiani delle Brigate Garibaldi della Ve-
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nezia Giulia cercarono accordi con i partigiani jugoslavi comunisti di Tito che operavano di là dal confine. Già nel 1942, con una lettera del 3 agosto, il segretario generale del Comintern Georgi Dimitrov aveva disposto che in tutta la Venezia Giulia le strutture del Partito comunista italiano dovessero passare alle dipendenze del Partito comunista sloveno. Tito aveva ottenuto l’appoggio di Stalin e il riconoscimento degli occidentali, soprattutto degli inglesi, per rivendicare l’annessione nel dopoguerra del litorale adriatico e della Venezia Giulia alla futura Jugoslavia comunista. Tito voleva veder riconosciuta la sua leadership anche all’interno della Jugoslavia perché aveva intrapreso una guerra non solo contro i tedeschi ma anche una guerra per la presa del potere all’interno, contro il Re e i cetnici di Mihailovic alleati del Re. Churchill aveva dato l’assenso a un tale progetto poiché aveva ritenuto i gruppi combattenti partigiani titini i più efficienti militarmente tra quelli jugoslavi, quindi i più adatti a sconfiggere i tedeschi in quella zona dei Balcani, a scapito di altri, soprattutto i partigiani cetnici filo-monarchici di Mihailovic. La scelta inglese si sarebbe rivelata sbagliata nel breve periodo in quanto Tito avrebbe dato filo da torcere agli occidentali al momento della sconfitta germanica nel maggio 1945, ma lungimirante nel medio e lungo periodo. Infatti, nel 1948 proprio Tito avrebbe consumato il famoso strappo politico contro Stalin e l’URSS che sarebbe stato di grande giovamento alla strategia occidentale nel momento più difficile della Guerra fredda. Dopo l’8 settembre 1943 lo Stato italiano era letteralmente sparito nella Venezia Giulia e tutto il potere repressivo era in mano ai tedeschi, per cui la guerriglia e la controguerriglia assunsero un carattere ancora più violento che altrove. La resistenza jugoslava aveva più forze e più potere militare di quella italiana perché aveva iniziato a contrastare i tedeschi fin dal 1941. La competizione per assu-
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mere il potere sulla Venezia Giulia, una volta sconfitti i tedeschi, si accese tra italiani e jugoslavi e si iscrisse nella più ampia lotta per l’egemonia sull’Europa del dopoguerra tra mondo occidentale e mondo comunista. Il dirigente comunista sloveno Kardelj in una lettera del 9 settembre 1944, inviata alla direzione del PCI Alta Italia per tramite di Vincenzo Bianco, delegato di Togliatti presso il fronte di liberazione sloveno, disse che all’interno delle formazioni partigiane italiane occorreva fare un repulisti di tutti gli elementi imperialisti e fascisti, in quanto non si poteva lasciare su quei territori giuliani neanche un’unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potesse camuffarsi da falso spirito democratico e antifascista. Kardelj incitò anche i partigiani comunisti jugoslavi a occupare militarmente una significativa parte di territorio italiano per spingere più a occidente possibile il futuro spartiacque tra mondo comunista e mondo occidentale capitalista. In seguito a tali manovre politiche si verificò un avvicinamento tra la brigata partigiana comunista Natisone e i combattenti jugoslavi del IX Corpus di Tito. Eugen Matelika, commissario politico del IX Corpus, chiese agli italiani che tutte le formazioni partigiane italiane e slave della zona della Venezia Giulia passassero alle dirette dipendenze del IX Corpus jugoslavo e riconoscessero che i territori strappati ai tedeschi passassero di fatto e di diritto alla Jugoslavia. I partigiani italiani non comunisti della Osoppo si opposero decisamente a queste prese di posizione rispondendo che avrebbero fatto riferimento solo alle decisioni del CLN italiano e che il problema del confine tra Italia e Jugoslavia si sarebbe dovuto risolvere solo alla fine della guerra, confidando evidentemente nel sopraggiungere degli eserciti angloamericani che avrebbero potuto rovesciare la situazione. Il 24 settembre 1944 il rappresentante del Partito Comunista italiano Vincenzo
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Bianco ordinò a tutte le formazioni italiane di passare alle dipendenze jugoslave, accusando la Osoppo di opporsi pervicacemente alla decisione. A ottobre di quel 1944 si svolse a Bari un incontro tra Palmiro Togliatti e Kardelj nel quale il segretario del partito comunista accettò il concetto dell’occupazione del territorio da parte di Tito e scrisse a Bianco di collaborare con gli jugoslavi. Togliatti fu d’accordo nel considerare quella della Venezia Giulia una situazione particolare ed eccezionale, in quanto in quelle zone le formazioni partigiane comuniste italiane e slave avrebbero avuto l’opportunità di non essere disarmate alla fine della guerra e quindi di instaurare un potere comunista rivoluzionario. La Osoppo si oppose ancora una volta perché aveva capito che il progetto era quello di annettere la Venezia Giulia alla futura Jugoslavia comunista. Era fondamentale tenere il controllo militare lungo il confine per avere il controllo politico nel dopoguerra. Quindi i rapporti tra garibaldini e jugoslavi da una parte e osovani dall’altra divennero ancora più tesi sino al punto di rischiare scontri armati. Togliatti era anche un leader del comunismo internazionale, oltre che italiano, e perciò in nome dell’internazionalismo socialista avallò la linea degli jugoslavi che, molto soddisfatti, si sentirono autorizzati a procedere sulla linea dell’annessione di una parte del territorio italiano. L’ordine di Vincenzo Bianco del 24 settembre 1944 alle formazioni partigiane italiane fu un vero e proprio ultimatum, a partire dal quale si mise in moto il meccanismo decisionale che avrebbe condotto alla strage di Porzus. Era passata la linea di Kardelj, scritta anche a Bianco, secondo cui non era il caso per i comunisti italiani di restare sudditi di un Paese conservatore e reazionario come l’Italia quando avevano invece la possibilità di passare a uno Stato che avrebbe completato la rivoluzione social-comunista. Dopo l’eccidio alcuni esponenti comunisti trovarono giustificazioni a chi se ne era
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reso responsabile in un asserito accordo della Osoppo con i fascisti della X Mas. Sarebbe stato necessario sventare il progetto che le due formazioni avrebbero escogitato per eliminare a loro volta i partigiani comunisti. In effetti, la X Mas di Junio Valerio Borghese fu operativa su quel territorio e all’inizio del 1945 il principe fascista chiese un colloquio alla brigata Osoppo per elaborare una strategia comune di difesa dell’italianità di quelle zone, avendo avuto notizia del progetto di annessione jugoslavo. Dopo l’apertura degli archivi jugoslavi c’è ancora incertezza sulla data dell’incontro, oscillante tra il 30 gennaio e il 15 febbraio 1945, ma sicuramente successiva alla determinazione comunista di operare contro la Osoppo. L’incontro avvenne a Vittorio Veneto ma si concluse con un nulla di fatto. La Corte d’appello di Firenze, dove si svolse nel 1954 il processo penale di secondo grado per l’accertamento delle responsabilità dell’eccidio, stabilì che gli ordini esecutivi per l’attacco alle malghe Topli Uorch di Porzus furono trasmessi il 24 gennaio 1945. Da altri studi recenti, è risultata una responsabilità, perlomeno di tacito assenso, della federazione comunista friulana. E’ stata ritrovata negli archivi jugoslavi una lettera del 9 dicembre 1944 di un comandante della Natisone al X Corpus in cui si disse che la Osoppo sarebbe stata liquidata. La liquidazione non era avvenuta immediatamente già nel novembre o dicembre perché in quel periodo la Osoppo fu sotto la protezione di distaccamenti britannici. Tutta la vicenda della tempistica della decisione di agire contro la Osoppo non fu chiarita per molti anni perché le lettere della Garibaldi Natisone e della Osoppo furono portate a conoscenza degli storici soltanto molti anni dopo, quando furono resi consultabili gli archivi della Jugoslavia. Dopo che il 24 dicembre 1944 la divisione Garibaldi Natisone, su ordine del X Corpus jugoslavo, si allontanò dal confine italiano e andò a combattere contro i te-
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deschi all’interno della Slovenia, fu maturo il tempo per l’attacco di sorpresa contro distaccamenti della Osoppo e per il massacro del 7 febbraio 1945. Il caso dell’ecidio di Porzus è particolare per una serie di ragioni. Innanzitutto, per molti anni non se ne parlò quasi affatto, sia per mancanza di documentazione, sia perché anche i vertici della Resistenza non avrebbero voluto infrangere il mito di perfetta unità e concordia delle bande partigiane. Lo stesso Ferruccio Parri, che pure non volle mai che le fazioni della Resistenza prevalessero l’una sull’altra, non fu mai molto chiaro sull’argomento. Episodi di scontri tra diverse fazioni partigiane avvennero in più occasioni ma quello delle malghe di Porzus fu unico, perché particolarmente grave e perché avvenuto in prossimità del confine con la Jugoslavia, alla quale i partigiani comunisti avrebbero voluto cedere una parte di territorio italiano. Accadde in quel luogo e in quel momento perché mancava poco alla fine della guerra ed era già in atto la competizione per il predominio politico nel dopoguerra tra comunisti e anticomunisti. E la contrapposizione sull’episodio non cessò per lunghi decenni, trascinandosi a lungo nel dopoguerra. Fino a tempi recenti si è accesa sul controverso episodio una vera e propria guerra mediatica sia tra gli storici di diverse tendenze, sia tra la Osoppo e l’Associazione nazionale partigiani italiani. Alcuni storici sloveni e italiani di estrema sinistra hanno ipotizzato che l’eccidio fosse stato organizzato dai servizi segreti alleati e badogliani per farne ricadere la colpa sui comunisti, in modo da averne un vantaggio politico nel dopoguerra. Tuttavia, la maggioranza degli studiosi propende per la responsabilità da attribuire agli elementi partigiani comunisti filo-jugoslavi. In epoca più recente, finita la guerra fredda e caduto il comunismo, si è cominciato ad avere visioni meno contrapposte e dichiarazioni distensive, soprattutto tra gli e-
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redi della tradizione comunista. Il 7 febbraio 1998 Luciano Violante, nel discorso di accettazione della elezione a Presidente della Camera dei Deputati, aprì all’ammissione di responsabilità del PCI per Porzus. Nel 2001 Giovanni Padoan dell’ANPI riconobbe la propria responsabilità nell’eccidio come commissario politico della Brigata Natisone e il 23 agosto 2001 lui e don Redento Bello, cappellano della Osoppo, si abbracciarono con gesto distensivo alle malghe di Topli Uorch di Porzus. Infine, anche Napolitano, nel ruolo istituzionale di Presidente della Repubblica e comunque come erede della tradizione comunista, offrì il proprio contributo alla distensione tra le due parti recandosi il 29 maggio 2012 in visita ufficiale a Faedis e alle malghe Topli Uorch, significando così di rendersi conto dell’importanza e della gravità di quello che era avvenuto in quel luogo.
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