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l’Unità Laburista - Europa o barbarie - Numero 36 del 9 gennaio 2021

Europa

Fantasmi d’Europa

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Raffaele FLAMINIO

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Correva l’anno 1990 quando uno sconosciuto calciatore belga, Jean Marc Bosman, si vide rifiutare la sua richiesta di trasferimento dalla squadra in cui militava, il Royal Football Club Liegi, una squadra che allora disputava il campionato di prima divisione belga. Quello era il suo ultimo anno di contratto con la squadra e Bosman desiderava trasferirsi a fine stagione all’USL Dunkerque, squadra della seconda divisione del campionato francese. Il Liegi però non permise a Bosman di trasferirsi perché l’indennizzo proposto dal Dunkerque non fu ritenuto sufficiente.

Bosmann fu messo fuori squadra e gli fu ridotto l’ingaggio. Il giovane Jean Marc, che allora aveva 26 anni, decise d’intraprendere una battaglia solitaria e pericolosa contro la Federazione calcistica belga, la squadra Royal Football Club Liegi e l’Uefa. Si rivolse alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo. Cinque anni dopo l’inizio della causa, il quindici dicembre 1995, l’Alta Corte di Giustizia Europea emise una sentenza a favore di Bosmann che, intanto, per questo atto di “insubordinazione” verso i potentati calcistici vide la sua carriera definitivamente conclusa.

L’Alta Corte di Giustizia Europea sentenziò la violazione dell’art. 39 del Trattato di Roma del 1957, considerato l’atto fondativo dell’allora Comunità Economica Europea; di fatto l’organizzazione calcistica aveva violato il diritto alla libera circolazione dei lavoratori.

Le cronache ci dicono che Jean Marc Bosmann non trovò più un ingaggio, nessuna società calcistica volle più proporgli un contratto. Metà dei sedici milioni di franchi belgi (circa mezzo milione di dollari dell’epoca) che la persona Bosman si vide riconoscere dalla Federazione calcistica belga fu spesa in tasse e parcelle di avvocati.

“Bosman smise di giocare definitivamente nel 1996 e negli anni successivi ebbe diversi problemi personali. Sviluppò una dipendenza dall’alcool, da cui uscì solo nel 2007, e cinque anni dopo fu condannato con la condizionale a un anno di carcere per violenze domestiche. Bosman ha vissuto fino a oggi lavorando saltuariamente, con l’aiuto del FIFPro — il sindacato mondiale dei calciatori — e grazie a un piccolo sussidio statale, che però gli è stato tolto lo scorso giugno.” (fonte IL POST sezione Sport 15 dicembre 2015).

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Il fatto citato ci permette di compiere alcune considerazioni sul ruolo che l’Unione Europea avrebbe dovuto svolgere e dovrà svolgere nell’immediato futuro a difesa dei diritti dei cittadini di questa parte del nostro continente e di coloro che vogliono liberamente farne parte e condividerne lo spirito. La prima considerazione che scaturisce nel racconto della vicenda umana di Bosmann costituisce il pieno riconoscimento del diritto alla libertà di movimento dei cittadini nel perimetro dei confini dell’Unione, incorporando nel corpo e nell’ingegno individuale un effetto di trascinamento di tutti i diritti fondamentali di cui è titolare l’individuo sia come Diritto Naturale che come Diritti Civili senza discriminazione di sorta come sancito e sottoscritto nel Trattato di Roma del 1957. Ma possiamo osservare, al tempo stesso, che un cittadino Europeo è stato fortemente discriminato nella sua facoltà di esercizio nel reclamare un diritto riconosciuto ed esigibile. La partita mercantilistica ha concluso e schiacciato quella umana.

Quali possono essere i costi umani, sociali se si subordina l’esistere decorosamente e dignitosamente ad una testimonianza fatta di esistenza in vita? La crisi generalizzata prodotta dall’epidemia da Covid 19 sta mostrando impietosamente i pericolosi limiti che incoraggiano la propensione all’accumulo, all’individualismo, l’arredevolezza alla paura che strangola i cittadini.

Il paradigma della vicenda Bosmann sussiste nel fatto che lo Spettacolo deve continuare.

Osservo che il mondo del calcio da quella sentenza e da quell’indennizzo ha risposto con la concentrazione di potere e danaro nelle mani di pochi. Le piccole e medie società di calcio non hanno avuto più l’opportunità di far crescere talenti, di trattenerli per aver la possibilità di competere equamente e dignitosamente con i grandi clubs. La conquista della Coppa dei Campioni ad opera di squadre che non siano il Real Madrid, il Bayern di Monaco, il Barcellona, il Milan o le squadre Inglesi risale agli ultimi anni 80 e inizio degli anni Novanta, quando ancora riuscivano a vincere la Steaua di Bucarest, la Stella Rossa, o squadre di seconda fascia dei vari campionati continentali. La concentrazione della ricchezza che intrinsecamente conteneva e contiene gli altissimi ingaggi ha prodotto la desertificazione e la marginalizzazione dei più deboli, l’invisibilità.

Così come nella nostra comunità continua a crescere la disuguaglianza.

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La crisi del lavoro, imperversante da decenni, disegna una curva discendente sempre più ripida e pericolosa. La sanità pubblica continentale è allo sbando, anche la granitica Germania e l’orgogliosa Francia fanno i conti amari su ciò che poteva essere e non è stato. Negli anni Novanta siamo riusciti a produrre una feroce guerra continentale nel cuore dell’Europa con milioni di morti, tradendo lo spirito fondativo dell’Unione Europea che nel 1957 a Roma vide la sua luce. Le conseguenze sono ancora sotto i nostri occhi. Pezzi del nostro continente sono preda di nazionalismi esasperati e anacronistici che impediscono di fatto lo sviluppo di una armonica ed efficace convivenza pacifica e civile basata sui diritti. I veti incrociati degli Stati membri e di quelli dell’est più recentemente accolti nell’Unione, di fatto impediscono fattive intese che, se lasciate ai singoli Stati sollecitano gli appetiti dei tanti Capitan Fracassa continentali.

Ad est del continente si moltiplicano le leggi liberticide, il blocco dei Paesi Europei, battezzati come fronte di Visegrad, demolisce con golpe bianchi i progressi civili e democratici contenuti negli accordi di adesione all’Unione.

Francamente tutto ciò dovrebbe essere indigesto per le Istituzioni europee ancora troppo deboli, balbettanti e cedevoli, incapaci per struttura organizzativa e qualità dei trattati non rispondenti alle esigenze e ai bisogni dei cittadini, i quali per la stragrande maggioranza si dichiarano Europei, specialmente tra le nuove generazioni.

La Brexit sta dilaniando al suo interno quella comunità che, di fatto non vuole essere consegnata di nuovo al nostalgico isolazionismo britannico di stampo imperiale.

Uno spiraglio di luce ci fu concesso il ventinove ottobre del 2004, ancora Roma a fare da padrona di casa; Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea, la cerimonia solenne alla presenza dei venticinque Capi di Stato e di Governo Europei nella sala degli Orazi e dei Curiazi del Campidoglio a troneggiare sul tavolo la Costituzione Europea con i suoi 448 articoli e 36 protocolli.

I Capi di Stato europei emozionati, armati di stilografica decisi a dare una svolta alla storia d’Europa; i media mondiali collegati per testimoniare la nascita di un nuovo soggetto politico mondiale che fino a quel momento aveva lavorato per dare consistenza ad una innovativa visione della politica di coesione scandito da un ordinamento dettagliato e preciso che regolava e univa la convivenza civile e politi-

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ca di quei popoli che in passato si erano combattuti in guerre sanguinose per una supremazia continentale.

Purtroppo, quella fantastica visione fu abortita e seppellita per sempre dai Francesi, Danesi, Olandesi Polacchi e Britannici che non avevano mai amato quell’idea unitaria e benefica che avrebbe costituito la nuova Europa.

La bocciatura della ratifica della Costituzione attraverso i referendum indetti in Francia e in Olanda e mai esercitati negli altri Stati membri, pose una pietra tombale sull’argomento.

In quel frangente anche le resistenze della rigorosa Germania erano state sconfitte.

Romano Prodi abile tessitore diplomatico di quell’esperienza politica ed estensore del così detto “Progetto Penelope” di stampo federalista che prevedeva la cessione di sovranità e legittimità democratica verso Bruxelles disse: “Il progetto Penelope fu distrutto. Venne ritenuto una provocazione. Giscard fu abilissimo a tessere compromessi sul filo dei veti britannici e francesi. Poi arrivò la Conferenza intergovernativa e fece a pezzi quel poco che era rimasto ".

Il seguito della storia è l’attualità di questi giorni dominati dall’epidemia che mette, a nudo tutta la fragilità di un’Europa incapace di esprimere se stessa in maniera efficace e convincente.

C’è estremo bisogno di Lavoro che non produca dumping salariale e unifichi in tutti i Paesi membri salari e diritti, di un’istruzione unica e integrata, di una sanità pubblica ed efficiente, di un’unica politica fiscale ed estera, di un’unione bancaria e di un governo dell’economia che stimoli e finanzi la crescita economica improntata sulla sostenibilità.

Di tutto ciò e di altro ci sarebbe bisogno in casa nostra.

Il piano Next Generation E.U. è l’ennesimo tentativo di rinascita europea che consentirebbe al nostro continente di recuperare e integrare quanto di buono si è cercato di fare fino ad oggi.

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