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l’Unità Laburista - Europa o barbarie - Numero 36 del 9 gennaio 2021
Racconti
A un passo da loro
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Lucia COLARIETI
Vit era entusiasta, da quando aveva conosciuto la sua destinazione Erasmus un misto di sentimenti la attraversavano, sopra tutti l’eccitazione di iniziare una nuova avventura, un po’ di timore per un paese sconosciuto e una lingua da imparare, curiosità per le nuove amicizie, un’università da scoprire. Da qualche tempo le lezioni del suo corso magistrale la annoiavano e inoltre l’idea di trovare un po’ d’indipendenza dalla sua amatissima ma ingombrante famiglia era allettante. Cercò su maps il nome della città: Guimarães provincia di Porto in Portogallo. Lei aveva viaggiato parecchio ma di quella parte dell’Europa non conosceva quasi nulla, poco male, sarebbe stata una magnifica avventura. Lo era stata fino alla sera dell’otto marzo. Già da qualche giorno arrivavano dall’Italia notizie sull’epidemia in corso, cronaca di sottofondo, amplificata dalle parole di una mamma un po’ ansiosa. Poi si erano fatte rumore, messaggi che par-
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lavano di emergenza, di misure di sicurezza, di rischio elevato e provvedimenti drastici del governo. Vit iniziò ad usare le precauzioni che le venivano da casa: mascherina, guanti, gel disinfettante. Si sentiva un po’ ridicola, lì nessuno faceva altrettanto, in Portogallo la vita continuava come sempre e una ragazza con il viso coperto suscitava ilarità, gli amici la prendevano in giro invitandola a prendere le bibite dalla stessa cannuccia e le ansie prendevano radici anche se intorno a lei non c’era la percezione di quello che invece le trasmettevano i genitori e i fratelli. Cedendo alla pressione una mattina decise, insieme a Martina e Federica, di prenotare un volo per l’Italia, sarebbero rientrate per qualche tempo, in modo da tranquillizzare le famiglie e attendere che la situazione si calmasse: volo Porto – Roma per il tredici marzo. Non fu così facile come si aspettavano. Due giorni prima della partenza arrivò la notizia del volo cancellato, a causa delle misure di restrizione per il contenimento del virus. Vit prenotò subito un altro volo per il sedici marzo, anche questo fu cancellato. L’agitazione iniziò a serpeggiare nei loro cuori, cercarono contatti per avere notizie, l’unico numero di telefono cui risposero era quello dell’ambasciata italiana. Furono gentili ma le dissero che tutti i voli erano bloccati, suggerivano di passare per la Francia che ancora non aveva chiuso le frontiere, ma non era una certezza, i provvedimenti venivano adottati di ora in ora e le cose potevano cambiare, la Francia avrebbe potuto chiudere le frontiere. Il consiglio era di rimanere in Portogallo. Vit rimase attonita e ammutolita di fronte a questa evidenza, nella sua giovane vita aveva preso tanti aerei, varcato innumerevoli confini, si era allontanata da casa con la consapevolezza che qualche ora di volo avrebbe presto annullato ogni distanza. Faceva fatica ad elaborare quel concetto: non mi posso muovere. Martina e Federica le rimandavano lo stesso pensiero, sul loro divano di una casa per studenti, uguale a tante altre, crocevia di vite ed esperienze, si sentivano in
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trappola. Federica continuava a digitare febbrile sul suo cellulare, a casa il padre era ammalato e lei non voleva assolutamente considerare l’idea di non essergli vicina. Si fecero forti di questo motivo del cuore e iniziarono a vagliare alternative. Scelsero un volo per Lione dove avrebbero incontrato un’altra amica, era di conforto pensare che almeno si sarebbero trovate in una città con una casa ad ospitarle. Prepararono i trolley da cabina inserendo il minimo indispensabile, abiti invernali per quelle settimane, tanto poi sarebbero tornate per primavera. Vit aveva il volo già prenotato dopo Pasqua, avrebbe usato quello. Uscirono da casa di notte per prendere l’autobus ed essere all’aeroporto entro le sei, giunsero con l’aereo a Lione dove avevano in programma di stare chiuse in casa di Emilia un giorno, distanti l’una dall’altra e poi avrebbero preso il treno per Torino. Durante la notte le urla di Federica le svegliarono: avevano cancellato il treno per l’Italia. Tutte e quattro si attaccarono agli schermi dei computer, i treni sparivano uno alla volta dalla programmazione, tentavano di prenotare, di scoprire nuovi canali, si passavano le notizie l’un l’altra, contattavano amici in giro per l’Europa, o- gni via sembrava sbarrata. Un’amica, che stava a Lille al confine con il Belgio, doveva prendere un treno per raggiungerle e partire insieme per Torino, avevano cancellato anche la tratta interna alla Francia; infine trovarono un’auto a noleggio per andare alla stazione di Torino, prima dell’alba si avviarono all’agenzia. I moduli da firmare erano tantissimi, Vit era l’unica a guidare e dovette farsi carico del noleggio; dalle chat di whatsapp continuavano a piovere notizie sull’andamento dell’epidemia e delle restrizioni nel mondo, le quattro ragazze sapevano di dover contare solo su loro stesse, nessuno poteva fare altro per loro. In quel momento neanche la disponibilità di soldi avrebbe potuto migliorare la situazione, contava solamente essere lucide, conservare la calma e impegnarsi al meglio. Prima
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dell’ultimo modulo da firmare l’impiegato dietro al vetro le fermò: “Hanno chiuso le frontiere con l’Italia, non posso noleggiarvi l’auto”, un’altra strada chiusa. Non rimaneva che tornare a casa di Emilia e cercare altre soluzioni. Come una squadra speciale tutte e quattro iniziarono ad elaborare le più assurde possibilità, contattarono agenzie di viaggi, Uber, chauffeur privati ma nessuno passava il confine. Dall’Italia, dove anche le famiglie si stavano attivando per cercare soluzioni, arrivò la notizia di un treno Modane – Torino che ancora non era stato cancellato. Ritornarono all’agenzia, tra francesi che le guardavano stupiti perché nessuno usava la mascherina e ancora erano tutti per strada, correndo per arrivare prima del noleggio dell’ultima vettura, che nonostante tutto stavano andando a ruba. Allo sportello scoprirono che la carta di credito di Vit non era abilitata, dovettero prenotare a nome di Martina e pagare il secondo autista, ma ormai i soldi erano l’ultimo dei loro problemi, si ingegnavano i tutti i modi per farsi fare le ricariche dai genitori in Italia. Alle quattro del mattino, con le borse piene di panini e di biscotti, partirono per un viaggio di tre ore in autostrada verso Modane. Non era facile tenere a bada l’ansia e la stanchezza, le aiutavano le play list e i reportage da postare agli amici, le risate e i messaggi audio, però lo svincolo per Modane passò inosservato e si trovarono di fronte a quelli che per loro erano dei caselli autostradali. Un uomo in divisa fece loro segno di fermarsi, iniziò a parlare francese poi passò all’italiano: “Ragazze questa è la frontiera con l’Italia, non potete passare”. L’Italia era a un passo da loro, si vedeva e non potevano raggiungerla. La generazione di Erasmus e dei voli low-cost non aveva mai visto una frontiera, non aveva mai passato una dogana. Non poterono far altro che tornare indietro verso la stazione ferroviaria di Modane,
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giusto in tempo per apprendere che anche quel treno era stato cancellato. In quel posto non avevano dove andare a dormire, di nuovo si misero alla ricerca di una soluzione. La trovarono in un taxi che, per una cifra sproporzionata, le avrebbe portate appena fuori dal tunnel del Frejus. Si trovarono così a Bardonecchia, a piedi, in mezzo alla neve, senza attrezzatura, davanti ad un bar che verosimilmente era aperto fuorilegge, però erano in Italia. Trovarono strane tutte le misure di sicurezza, i nastri rossi, gli avvisi per il distanziamento, le mascherine per tutti, loro venivano da una realtà che avevano vissuto come normale fino ad allora, una cioccolata calda al bar, sedute ognuna ad un tavolo diverso, sembrava la scena di un sogno. Un treno regionale le portò a Torino e le cinque ore di attesa del convoglio per Napoli sembrarono dilatarsi al soffio della paura di vederlo cancellato, ma furono i timori ad essere cancellati: partiva in orario. Autocertificazioni, documenti, controlli, altre novità che aumentavano l’estraneità e la difficoltà ad abbandonare il senso di precarietà e insicurezza. Il viaggio verso Napoli corse in un paesaggio che si faceva sempre più familiare, arrivarono alle ventitré in una piazza Garibaldi spettrale. Dovettero accontentarsi degli occhi sorridenti dei loro genitori, rimandare il riposo a dopo una doccia e un ripasso di disinfettante, sopportare due settimane d’isolamento ma tutto era dolce quando aveva il sapore di casa. Giusto il tempo di riprendersi, di raccogliere le forze e ed essere consapevoli che si diventa grandi anche così. Vit e le sue amiche già hanno nuovi progetti in giro per il mondo.
NdA. Ringrazio V.T. per il racconto che mi ha regalato, un’esperienza davvero vissuta.
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