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l’Unità Laburista - Europa o barbarie - Numero 36 del 9 gennaio 2021
Pandemia
Su alcune pandemie degli ultimicento anni (parte seconda)
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Giovan Giuseppe MENNELLA
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Forse ancora più dimenticate sono due altre pandemie di influenza aviaria verificatesi nel corso del XX Secolo, l’influenza “Asiatica” del 1957 e quella “Hong Kong” del 1968. Hanno presentato caratteristiche più simili all’attuale pandemia da nuovo coronavirus 2019-2020 che alla pandemia di febbre “spagnola” del 1918- 1920. In effetti, il conto delle vittime totali dell’attuale pandemia si attesterà probabilmente più vicino a quello degli episodi pandemici del 1957 e del 1968 che a quello della febbre “spagnola”.
Il virus dell’influenza pandemica del 1957 fu isolato in Cina già nel 1954 ed era del sottotipo A/H2N2, mentre quello della febbre spagnola era stato del tipo A/ H1N1. Anche questo fu un virus aviario, cioè transitato dagli uccelli selvatici ai maiali e da questi all’uomo, in luoghi come in Cina, dove i suini sono macellati in pessime condizioni di igiene e sicurezza. Si disse allora, scherzosamente ma non troppo, che quando Mao Tse Tung starnutiva, il resto del mondo prima o poi rischiava di ammalarsi.
Dalla Cina era passato a Hong Kong, allora colonia britannica, da cui ebbe maggiore propensione a espandersi in altre parti del globo, tuttavia meno rapidamente di oggi perché quella era un’epoca in cui la gente viaggiava molto di meno. E c’erano maggiori probabilità che i microorganismi nocivi per l’uomo restassero confinati in parti remote del mondo. Il rovescio della medaglia era che la scarsa diffusione dei mezzi di informazione di allora, soprattutto se confrontata con quella di oggi, impediva di conoscere per tempo notizie utili per l’assunzione di provvedimenti di quarantena o comunque di apprestamento di presidi sanitari adatti.
A metà degli anni ’50 le frontiere erano chiusissime, nessuno andava in Cina, prima che nel 1972 Nixon e Kissinger aprissero i rapporti diplomatici con la Repubblica popolare cinese.
L’ influenza, dopo essersi sparsa nel mondo abbastanza lentamente a partire da Hong Kong, divenuta una pandemia, colpì all’incirca il 20% della popolazione, con una mortalità stimata allo 0,4% dei contagiati. In Italia fece 20.000 morti, moltissimi di meno della spagnola.
La malattia era molto contagiosa, ma meno letale delle pandemie influenzali del passato, soprattutto quella del 1918-1920. La spiegazione è stata rinvenuta nel fatto
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che attaccasse di più le persone giovani, quindi in migliori condizioni di salute, anziché persone anziane. Infatti, i più vecchi dovevano già avere nel loro sistema immunitario gli anticorpi ereditati dall’esposizione alle influenze precedenti, anche esse di origine suina o aviaria (pollame o anatre).
Anche la possibilità di usufruire degli antibiotici, da poco entrati in commercio, contribuì a limitare la mortalità. Non che gli antibiotici fossero utili contro i virus, ma almeno potevano contribuire a lottare contro le polmoniti batteriche secondarie opportuniste che si insinuano negli organismi in seguito alle infezioni virali.
Sulla pandemia “Asiatica” del 1957, e anche sui rapporti che il mondo occidentale intratteneva con la Cina durante la Guerra Fredda, è stata resa di recente una gustosa testimonianza giornalistica da Paolo Guzzanti. Il giornalista ha raccontato che una volta fu sul punto di essere ammesso eccezionalmente a visitare la Cina, con un percorso via Tirana. Aveva superato tutti gli impedimenti e gli esami, ma all’ultimo momento rifiutò di partire perché gli era stata imposta l’ulteriore condizione di tagliarsi la barba.
Sempre seguendo il racconto di Guzzanti, apprendiamo, qualcuno ricorda anche, che durante l’Asiatica i medici di famiglia andavano a visitare i malati nelle loro case, presentandosi alla porta armati di una panciuta valigetta, contenente un enorme stetoscopio, l’apparecchio per misurare la pressione e un bollitore in cui sterilizzare antiche siringhe di vetro opaco. Gli aghi erano d’acciaio e venivano usati e riusati fino a trasformarsi in pugnali da infilzare nelle natiche dei malcapitati. Guzzanti continua raccontando che a quell’epoca i medici si sedevano ai piedi del letto dell’ammalato, mettendo il cappello sulle coperte. Simbolo scaramantico di morte in agguato. Allora si moriva in casa, anche in una pandemia. Circostanza che oggi non usa più, si muore al terzo o quarto piano di un ospedale o di una clinica. Poi si viene portati nel seminterrato della morgue per l’eventuale autopsia, si viene tagliati col bisturi e poi ricuciti per il funerale.
Nel 1968 si sviluppò un nuovo virus, del sottotipo A/H2N2, sostanzialmente una mutazione genetica del virus dell’Asiatica. Alla fine dei contagi, si calcolò una letalità leggermente più bassa di quella del 1957. A livello globale i morti si calcolarono in una forbice da 750.000 a 2 milioni, anche se la cifra più plausibile potrebbe ascendere a 1 milione tondo. La pandemia venne definita Hong Kong perché in
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quell’anno 1968 il Times di Londra fu il primo mezzo di comunicazione che lanciò l’allarme circa la diffusione di una strana epidemia di carattere respiratorio nella colonia britannica in Cina. La malattia si diffuse rapidamente, ma non con la velocità di oggi, prima nell’Asia continentale, poi negli Stati Uniti, veicolata dai soldati americani che tornavano dal Vietnam, poi in Europa. In Italia giunse solo nel 1969, e fu definita con il nome particolare di “influenza spaziale”, perché intanto nel luglio c’era stato lo sbarco dell’uomo sulla Luna.
Si rivelò molto contagiosa, ma meno letale delle precedenti perché, essendo il virus un mutante di quelli delle precedenti pandemie, molte persone anziane avevano già sviluppato una certa protezione anticorpale.
I decessi anche allora furono causati per la maggior parte da polmoniti virali o secondarie batteriche. Ci fu una ripresa nel tardo 1969 e nei primi mesi del 1970, con code che si spinsero fino al 1972. Nella seconda ondata si registrò un maggior numero di morti rispetto alla prima. Come detto, In Italia la “spaziale” giunse nel 1969 e causò 20.000 vittime nell’arco temporale 1969- 1970. Fu prodotto anche un vaccino che però non giunse in tempo in molti paesi.
Nell’Asiatica del 1957 e nella Hong Kong del 1968 non si verificarono le paure ancestrali e le chiusure di quasi tutte le attività umane che si sono riscontrate nella Sars Covid 2 di questo epocale 2020. La spiegazione va rinvenuta probabilmente non solo nella maggiore gravità dell’infezione attuale, quanto nelle condizioni di vita molto differenti che si vivevano sulla Terra alla metà del ventesimo Secolo.
Nel periodo storico in cui infuriarono Asiatica e Hong Kong la durata media della vita umana era più bassa di quella attuale, c’erano molti più giovani rispetto agli anziani, in una proporzione esattamente rovesciata rispetto a oggi, precisamente quattro giovani per ogni anziano allora, quattro anziani per ogni giovane oggi, almeno nei Paesi più evoluti e industrializzati.
Non si fa fatica a capire che a quei tempi era quantitativamente assai minore la platea di anziani che potessero essere maggiormente in pericolo per il contagio e in preda alla paura. Viceversa, i giovani rappresentavano la classe di popolazione più ampia che fosse mai apparsa sulla faccia della Terra; erano, eravamo, i baby boomers, i moltissimi nati dal 1946 al 1964 che non sono, non siamo, altri che gli anziani di oggi.
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E mentre gli anziani di allora dovevano fronteggiare altri pericoli e preoccupazioni anche più forti del contagio, quali malattie altrettanto pericolose e oggi quasi estinte e le preoccupazioni di completare la corsa verso la ricostruzione post-bellica e un nuovo benessere, viceversa i tantissimi giovani baby-boomers di allora o erano (eravamo) solo bambini nel 1957, o nel 1968 troppo impegnati a inseguire un mondo migliore facendo la Rivoluzione per impaurirsi e farsi rinchiudere in casa, come accaduto oggi che sono, (siamo) diventati anziani e maggioranza della popolazione .
Nel 1977 un virus del sottotipo A/H1N1, che non circolava più dal 1957, cominciò a espandersi dalla Cina all’Unione Sovietica e poi nel mondo intero. Ebbe la caratteristica di colpire molto i bambini. Pur essendo di fatto una pandemia, non causò una mortalità eccessiva. Quel virus A/H1N1 dell’anno 1977 continuò a circolare insieme al virus stagionale A/H3N2 del 1968 per 32 anni, fino al 2009.
Nell’anno 2009 un nuovo virus influenzale A/H1N1, proveniente dal Messico, causò una nuova pandemia influenzale, di severità moderata, la cui fine fu annunciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2010. Il virus messicano del 2009 sostituì i virus precedenti del sottotipo A/H1N1, ma i virus del sottotipo A/H3N2 del 1968-1969 continuarono a circolare ugualmente, ma, essendo virus ormai antichi, molta parte della popolazione ne è risultata immunizzata.
Un caso particolare è la pandemia che si è scatenata per il retrovirus dell’AIDS a partire dall’inizio degli anni ’80 del XX Secolo. Diversamente da quello che si era ritenuto certo per anni, più di recente si è compreso che il salto di specie del virus dell’HIV dall’animale all’uomo si era verificato fin dal 1908. In quell’anno un cacciatore di scimmie in Congo si era contagiato con il sangue di una scimmia uccisa. Da allora il virus aveva continuato a serpeggiare in Africa per decenni. Poi nel 1969 giunse ad Haiti, a causa dei frequenti contatti commerciali tra l’isola caraibica e l’Africa. L’ultimo salto verso gli USA avvenne nel corso di tutti gli anni ’70, a causa del turismo sessuale degli statunitensi. A quel punto, arrivato in un grande Paese con scambi turistici e commerciali, il virus non fece più alcuna fatica a e- spandersi in tutto il mondo e diventare pandemia. Non si tratta di un virus respiratorio, come quelli che avevano caratterizzato le precedenti pandemie, ma è veicolato tra gli umani attraverso il sangue. Un vaccino non è stato ancora messo a punto,
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ma da alcuni anni nuovi farmaci antiretrovirali consentono di tenere abbastanza sotto controllo la malattia, per anni mortale. Attualmente, attraverso accordi internazionali il prezzo, prima elevatissimo, dei nuovi farmaci è stato calmierato e ne possono usufruire con discreta disponibilità anche i Paesi più poveri, in Africa, India, Oriente, dove nel passato si erano verificate autentiche stragi.
Nel novembre 2002 apparve per la prima volta nella provincia cinese di Guandong (Canton) una forma di grave polmonite. In quel mese un allevatore di Fuhan morì per questa grave forma morbosa nel Primo Ospedale del Popolo di Fuhan. Sulle cause del decesso non fu redatta una diagnosi definitiva, ma presto molte altre persone si ammalarono della stessa sindrome. Pur essendo chiaro che stava esplodendo un focolaio epidemico di una malattia non ben diagnosticata e conosciuta, i responsabili del Governo cinese, non solo non adottarono appropriate misure per controllare l’epidemia, ma non informarono dell’evenienza morbosa l’Organizzazione Mondiale della Sanità fino al febbraio 2003, sempre per la solita ossessione dei regimi autoritari di limitare le notizie per tutelare la sicurezza pubblica. Un simile comportamento è stato tenuto dalla Cina anche in relazione ai primi focolai della pandemia in corso, con conseguenze che tutto il mondo sta ancora subendo.
Natura e pericolosità della malattia furono individuate dal medico italiano Carlo Urbani, che si recò nelle zone di infezione per incarico dell’OMS, non appena le autorità sanitarie internazionali riuscirono ad apprendere la notizia. Urbani fu contagiato e perse la vita ma il suo tempestivo intervento si rivelò decisivo per circoscrivere l’epidemia nell’estremo Oriente, con poche sporadiche apparizioni in altre parti del mondo, soprattutto in quei paesi dove ci fu nei primi tempi di comparsa del contagio un frequente scambio di persone con Cina e Corea del Sud, come il Canada anglofono. Il medico marchigiano è stato un vero eroe della medicina e purtroppo è ancora poco conosciuto e celebrato nella stessa Italia, pur essendo uno dei personaggi che hanno dato dignità a questo paese.
Il Laboratorio dell’Università di Hong Kong fu il primo a identificare il virus il 21 marzo 2003. Il sequenziamento del genoma virale fu effettuato alla British Columbia Cancer Agency dell’Università di Vancouver, Canada, il 12 aprile 2003, costituendo un primo passo verso lo sviluppo di un test diagnostico e di un vaccino. Si
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trattava di un coronavirus, definito così perché appare al microscopio come una corona circolare. I coronavirus sono a ssRNA+ e sono importanti organismi patogeni degli uccelli e dei mammiferi causa di importanti infezioni respiratorie ed enteriche sia negli animali che negli umani, ai quali fanno danni quando si verifica lo spillover, il salto di specie da animale a uomo, come era stato nel caso dell’influenza “Spagnola”. L’OMS comunicò il 6 aprile 2003 che la causa della malattia era un coronavirus ormai identificato da numerosi laboratori.La malattia sviluppatasi in Cina fu denominata dall’OMS Severe acute respiratory syndrome da Coronavirus 1, acronimo SARS Cov-1. Sviluppava negli umani severe forme di polmonite.
Nel maggio 2003 studi, condotti nei mercati alimentari della Cina su animali selvatici, dimostrarono che il coronavirus in questione poteva essere isolato negli zibetti (soprattutto nel tipo Paguna larvata) che però non sviluppavano la malattia. Il virus fu rinvenuto anche nei cani procioni e nei gatti domestici. Successivamente, due studi scientifici condotti nel 2005 identificarono molti coronavirus simili a quelli della SARS Cov-1 nei pipistrelli cinesi. Le analisi filogenetiche condotte su questi virus dei pipistrelli cinesi indicarono un’alta possibilità che il Coronavirus SARS Cov-1, sviluppatosi inizialmente in quei mammiferi volatori, si sia diffuso nell’uomo direttamente o attraverso specie animali presenti nei mercati alimentari cinesi. Anche i pipistrelli non mostrarono alcun segno visibile della malattia, essendo solo i serbatoi naturali di Coronavirus di tipo SARS.
Considerato che l’ipotesi più probabile sull’eziologia del nuovo Coronavirus SARS Cov-2 della attuale pandemia risiede nell’infezione trasmessa da pipistrelli di cui si sono cibati i cinesi, è fin troppo ovvio, alla luce delle osservazioni scientifiche del 2005, che sarebbe stato saggio da parte delle autorità sanitarie mondiali monitorare attentamente sia i pipistrelli che i mercati cinesi. Ma la Cina non tollera interferenze al proprio interno, anzi ha mentito e tenuto segreto il contagio per un tempo che sarebbe stato decisivo per bloccare la malattia. D’altra parte, anche l’OMS è risultata a dir poco non incisivo e preveggente, se non addirittura complice del negazionismo delle autorità cinesi.
La malattia si sviluppò come polmonite grave, con il maggior danno probabilmente provocato da un eccesso di reazione del sistema immunitario al virus. Tale sinto-
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matologia è stata riscontrata anche nella attuale malattia da nuovo Coronavirus SARS Cov-2, anche se ovviamente gli studi sulla attuale malattia sono ancora in fase iniziale e incompleti. Prima della comparsa del SARS Cov-1 i Coronavirus non erano stati oggetto di ricerche antivirali e non esistevano terapie efficaci per i casi più gravi, salvo trattamenti empirici.
Tuttavia, a differenza dell’attuale sindrome da SARS Cov-2, quella del SARS Cov- 1 non arrivò a sviluppare una pandemia, sia perché quasi certamente, per la sua stessa maggiore gravità, non produsse molti asintomatici e poi aveva un periodo di incubazione molto più breve e quindi, con appropriate, anche se tardive misure, si riuscì a circoscriverlo a non moltissimi casi in 17 Paesi, la maggior parte dei quali nella Cina continentale e a Hong Kong.
I casi totali della SARS Cov-1 risultarono 8096, con 774 decessi, con letalità finale pari al 9.6% dei contagiati.
L’epidemia durò dal novembre 2002 al luglio 2003 e dal 2004 al 2019 non si registrarono più casi da coronavirus nell’uomo.
E tuttavia, gli studi sui pipistrelli avevano abbondantemente dimostrato che, in caso di mancata prevenzione sul territorio, massime in Cina, nuovi pericolosi coronavirus avrebbero potuto effettuare il salto di specie sull’uomo, cosa puntualmente verificatasi alla fine del 2019 con il nuovo coronavirus da SARS Cov-2.
E infatti, nel 2012 si verificò un altro contagio da coronavirus, la MERS, acronimo di Middle East Respiratory Syndrome, nota anche come influenza cammello. Il primo caso fu individuato il 24 settembre 2012 dal virologo egiziano Ali Mohamed Zaki a Gedda in Arabia Saudita. Fino al 30 aprile 2014 furono registrati 424 casi, con una mortalità del 34% dei contagiati, nettamente superiore anche a quella della SARS Cov-1 di 10 anni prima. Anche la MERS non diventò una pandemia perché si riuscì a circoscrivere il contagio a poche zone del Medio Oriente, a causa del suo decorso molto grave ma breve, per il periodo di incubazione limitato e per il numero molto basso di asintomatici.
Da questo punto di vista, la MERS, il SARSCovid-1 ed Ebola, ormai endemica in alcune zone d’Africa, sono state accomunate dalle stesse caratteristiche. Tutti questi episodi epidemici si sono potuti circoscrivere in tempo in poche zone e non far
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assumere loro il profilo di pandemie perché molto gravi e quindi presentano manifestazioni morbose immediatamente riconoscibili, hanno un periodo di incubazione molto breve e comportano una piccola o nulla platea di soggetti asintomatici. Infatti, le esperienze scientifiche ed empiriche fatte sul campo hanno dimostrato che quanto più, in una malattia contagiosa, è breve il periodo di incubazione, quanto più sono immediatamente riconoscibili i sintomi gravi e quanti meno soggetti asintomatici comportano, tanto più sussistono buone probabilità che si riesca a circoscriverle nelle zone di origine senza farle espandere ormai fuori controllo in vastissime zone del mondo.
Le pandemie verificatesi nell’ultimo secolo hanno presentato caratteristiche comuni, su cui possono essere fatte alcune riflessioni. In tutte gli agenti patogeni hanno iniziato a circolare silenziosamente, senza che le autorità politiche e mediche se ne fossero rese conto per molti mesi o addirittura molti anni prima che l’epidemia e poi la pandemia fossero scoperte e ne fosse accertata la natura e le caratteristiche. Se una malattia contagiosa grave non è scoperta e contrastata in poco tempo dall’insorgere, è quasi sempre troppo tardi per fermarla.
Perciò sarebbe opportuno bloccare il proliferare di questi agenti patogeni non appena diventi probabile che possano effettuare il salto di specie dall’animale, qualunque esso sia, all’uomo.
Per fare ciò, la soluzione ideale sarebbe quella di evitare che gli umani continuassero a occupare e alterare ambienti naturali ancora incontaminati o addirittura a e- dificare in breve tempo autentiche megalopoli in zone da poco tempo strappate alla natura selvaggia, dove è probabile che ci siano incontri assai ravvicinati e convivenze tra esseri umani e animali selvatici.
Se proprio non si dovesse riuscire, come auspicabile, a evitare l’occupazione e la colonizzazione umana di territori incontaminati, una soluzione alternativa dovrebbe essere quella di predisporre gruppi di intervento di virologi, zoologi, biologi, e- sperti di scienze forestali, sotto la supervisione di organi scientifici e politici sovranazionali veramente indipendenti, meglio le Nazioni Unite che l’OMS, che sorveglino i territori dove sia probabile l’incontro e la convivenza tra l’uomo e la natura selvaggia.
Sia per segnalare assai per tempo gli allarmi di possibili salti di specie, sia per di-51
fendere preventivamente dalle attività invasive degli uomini ambienti naturali e a- nimali selvatici.
Sia consentito, infine, di esprimere un giudizio molto negativo sul comportamento grave e irresponsabile tenuto dal regime cinese in occasione dell’inizio degli ultimi contagi da coronavirus, SARS Cov-1 e SARS Cov-2.
L’azione del governo cinese, locale e nazionale, ha presentato profili di colpa grave, laddove non ha mai fatto nulla per impedire la macellazione e il consumo di a- nimali selvatici che fin dal 2005 studi scientifici autorevoli avevano identificato come serbatoi e veicoli nell’uomo di pericolosissimi virus, ma anche di vero e proprio dolo in quanto ha consapevolmente nascosto le notizie dei contagi e scientemente mentito alle autorità sanitarie mondiali per tutelare la sicurezza interna del regime.
Il comportamento è stato tanto più grave in quanto la Cina si è dimostrata poi capace di mettersi in sicurezza dalla pandemia prima di tutti gli altri Paesi, valendosi di una perfetta organizzazione di reazione militaresca ex post e della capacità di imporre qualunque confinamento e quarantena con la forza delle armi, cose che le Nazioni democratiche non possono fare.
Però anche le altre Nazioni, compresa l’Italia, hanno avuto le loro colpe.
Specialmente l’Italia non ha predisposto l’aggiornamento del piano pandemico e in tal modo, per non stanziare preventivamente nessuna cifra in bilancio, dovrà spendere mille volte tanto per fronteggiare le conseguenze dell’incuria, al netto delle vite umane perdute.
D’altra parte, l’Italia ha una lunga tradizione di tale comportamento dissennato anche per quanto riguarda la messa in sicurezza del territorio rispetto ai terremoti, alle frane e alle alluvioni.
Per queste ragioni sarebbe auspicabile che almeno per il futuro siano predisposti adeguati meccanismi di tutela internazionale per prevenire un simile comportamento e anche per imporre il pagamento dei danni al resto del mondo.
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