Luxury Prêt à Porter Magazine - numero nove

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MODA E SOSTENIBILITÀ PROVATI PER VOI

Editoriale

Immaginate un mondo dove ogni dettaglio racconta una storia unica, dove ogni angolo nasconde un segreto da scoprire. Questo è il mondo che vi presentiamo nel numero nove di Luxury Pret à Porter Magazine. Un numero dedicato a coloro che cercano l'eccezionale, a chi vede la bellezza nell'insolito e trova l'ispirazione in ciò che è unico. Partiamo con il colorato universo di Sara Camposarcone, content creator canadese che fa del massimalismo il suo manifesto. La sua estetica audace e vibrante è un inno all'eccesso e alla creatività senza freni, un antidoto alla monotonia e un invito a esplorare nuove forme di espressione personale. Continuiamo con un viaggio fotografico accanto a Luca Bracali, il cui occhio cattura l'anima dei luoghi remoti. Non si tratta solo di paesaggi, ma di emozioni e storie rese uniche e universali grazie all'obiettivo che le ritrae. Le sue immagini sono finestre su mondi che spesso sfuggono alla vista comune, un invito a scoprire la bellezza nascosta. Dal viaggio invisibile alla presenza ineludibile, incontriamo Liu Bolin. L'artista cinese, maestro nel mimetizzarsi nell'ambiente circostante, ci costringe a interrogarci sulla nostra identità e su come ci integriamo nel mondo. La sua arte è un gioco di sguardi e riflessioni che ci spinge a rivedere la nostra relazione con ciò che ci circonda.

Le vette e i paesaggi montani ci chiamano con il loro irresistibile fascino. Dall'Alto Adige a Cervinia, vi portiamo tra le mete più belle per gli amanti della montagna, con un focus speciale sulla scalata del Kilimangiaro da parte della nostra impavida reporter di viaggio. Queste storie di avventura e resilienza ci ricordano che la vera grandezza si trova spesso nelle sfide più ardue. Spostandoci in Toscana, la Val d'Orcia, con i suoi panorami toscani senza tempo, è una poesia visiva che celebra l'incontro tra natura e cultura. Questo angolo di paradiso ci invita a rallentare, a respirare e a lasciarci ispirare dalla bellezza autentica e senza tempo. Chiudiamo con uno sguardo al futuro della moda sostenibile. La JCA London Fashion Academy di Jimmy Choo e l'Istituto Marangoni di Milano stanno formando una nuova generazione di stilisti che uniscono stile e sostenibilità, ridefinendo i confini della creatività e dell'innovazione. In ogni pagina di questo numero, troverete ispirazioni e muse che vi guideranno nella vostra personale ricerca dell'unicità. Che siano le immagini evocative di Bracali, le opere provocatorie di Bolin, o la vibrante espressività di Camposarcone, ciascuna di queste storie è un invito a scoprire e coltivare quel tratto distintivo che vi rende inimitabili. Questo numero è un viaggio attraverso l'unicità, un filo rosso che lega ogni storia e ogni immagine. Speriamo che queste pagine vi ispirino a trovare e coltivare il vostro tratto distintivo, quel qualcosa di speciale che vi rende unici.

Filippo Piervittori (e non solo*)

* Ebbene sì, questo editoriale è frutto di una collaborazione inedita tra me e ChatGPT. Siete sorpresi? Scandalizzati? Entusiasti? L'intelligenza artificiale è qui per restare: diventerà la nostra compagna di scrittura o un’insidiosa rivale? Noi speriamo di avervi incuriosito e, per-ché no, ispirato. In un mondo in continua evoluzione, dove la tecnologia sfida costantemente i confini della creatività, vogliamo credere che l’AI possa essere una musa moderna, capace di affiancare l’ingegno umano e aprire nuove strade nell’arte della narrazione. Buona lettura e buona riflessione!

Contenuti

Sette Sara Camposarcone

Ventidue Alto Adige

Cinquantaquattro Luca Bracali

Settantadue Kilimangiaro

Ottantasei Liu Bolin

Novantaquattro Disney

Novantotto Val d'Orcia

Centoquattro Cervinia

Centootto

Moda e sostenibilità

Centododici Lago Maggiore

Centosedici

Provati per voi

Masthead

Publisher & Editor-in-chief

Filippo Piervittori

Managing Direction

Beatrice Anfossi

Design & Art Direction

Luca Lemma

Editorial Team

Marianna Stefani

Sara Radegonda

Franca Cutilli

Anna Laguardia

Printed by Press Up S.r.l. Viterbo (VT)

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Crediti copertina: Sara Camposarcone IG @saracamposarcone | TikTok @saracampz

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Supplemento alla testata Rumors.it

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SARA CAMPOSARCONE

Ode al massimalismo

Vi sarà forse capitato, scrollando tra reel e video di TikTok, di imbattervi in look eccentrici e decisamente esagerati. È la nuova tendenza del more is more, o cluttercore. Per rimanere sul tradizionale: massimalismo. Ovvero la passione per tutto ciò che è vintage, colorato, giocoso, al limite del kitsch. Eppure, in questi look assurdi fatti di sovrapposizioni estreme, borse dalle forme improbabili e rivisitazioni di indumenti recuperati da epoche passate – sì, anche camice da notte di fine Ottocento - emerge sempre un disegno di insieme quasi ipnotico. Ma qual è la semantica di questi outfit all’apparenza caotici? E soprattutto, come è successo che il massimalismo sia tornato in voga, dopo anni e anni di una moda ridotta ai minimi termini? Complice sicuramente TikTok, che ha sdoganato e favorito la nascita di microtendenze in cui ciascuno può riconoscersi. Così il quiet luxury delle celeb americane, imitato ed emulato dallo stile delle corporate girl, coesiste con l’eccentricità di chi si tuffa nel passato per creare look sostenibili e stravaganti. Ne abbiamo parlato con la regina delle creator massimaliste, Sara Camposarcone: cognome italiano ma origini canadesi, vanta 1.8 milioni di follower su TikTok e 240k su Instagram, ma soprattutto un guardaroba ricchissimo di abiti e accessori bizzarri. A colpirci di ogni suo look è la coerenza e la cura con cui questi pezzi – e stiamo parlando, tra gli altri, di orecchini con una foglia di lattuga – vengono accostati a creare un insieme così assurdamente armonico che finirà per convincervi. Scrollare per credere.

Credit: Sara Camposarcone

Il tuo stile è lontano dai canoni condivisi, ma sembra rappresentarti alla perfezione. La nostra prima domanda è: ti sei sempre vestita così?

Beh no, non mi sono sempre vestita nel modo in cui mi vesto ora. Penso sia stata più una cosa graduale. Ho sempre amato la moda e sono sempre stata una persona molto creativa, ma negli ultimi cinque anni ho iniziato realmente a sperimentare con le cose che trovo nel mio armadio e semplicemente a divertirmi con quello che indosso. E poi, soprattutto in questi ultimi anni, sono riuscita ad alzare la mia autostima al punto che non mi tocca più quello che gli altri pensano, oppure se mi dicono: “ma come fai a uscire di casa indossando quelle cose”. Questo è stato il traguardo più importante.

Infatti, tu comunichi moltissima sicurezza con i tuoi look, che nella loro eccentricità dimostrano una certa coerenza. Come li elabori?

Solitamente inizio da un elemento e costruisco il look attorno a quello. Due cose in particolare mi piacciono: basarmi su un tema specifico, facendo in modo che alcuni pezzi si colleghino ad altri e quindi l’outfit racconti una storia; e poi le differenti silhouette. Apprezzo soprattutto i capi che mi danno volume. E poi mi piace mischiare le stampe, insomma rompere le regole imposte, tutto quello di cui si dice “questo non lo puoi fare”. A volta anche indossando una gonna come se fosse un top, ad esempio.

Ti definisci una “massimalista sostenibile”. Significa che acquisti solo second hand? Come trovi tutti questi accessori e capi così stravaganti?

È una domanda che mi viene fatta spesso: dove trovi tutte queste cose? La maggior parte dei miei vestiti e accessori, soprattutto scarpe e borse, sono di seconda mano. Ho iniziato a fare shopping nei mercatini vintage e dell’usato quando ero al liceo, quindi circa dieci anni fa. E poi spesso acquisto molti dei miei accessori più particolari in piccoli negozietti, da small business su Instagram o da miei amici che lavorano in questo mondo. Per quanto riguarda la sostenibilità, penso che anche l’eccessivo consumo di oggetti non sia del tutto sostenibile, quindi cerco sempre di esserne consapevole. Quando vado nei mercatini vintage, ad esempio, cerco solamente le cose per cui sono andata a fare shopping e non ne compro altre giusto per il piacere di farlo, anche se sono di seconda mano. E poi sto cercando di creare una sorta di mio negozio dell’usato; quindi, vendo spesso alcuni miei oggetti a persone che le desiderano, soprattutto quando acquisto qualcosa di nuovo. Ammetto però che mi piace molto poterli dare ai miei amici o a qualcuno che conosco, così che possa rivederli.

In effetti hai un guardaroba davvero ricco, con alcuni notevoli pezzi d’autore. Come scegli cosa acquistare? Hai un decennio in particolare da cui prendi ispirazione?

Mi piace collezionare soprattutto scarpe e borse di designer famosi, ovviamente second hand. Una delle mie aree di ispirazione preferite sono sicuramente gli Anni ‘80. Tutto quello che è eccentrico, i colori sgargianti. Però è difficile trovare pezzi di quell’epoca, soprattutto di seconda mano. Poi mi ispiro spesso ai primi Anni Duemila, in generale alle vecchie sfilate: Dior di Galliano, gli accostamenti audaci di Betsey Johnson. Solitamente ad attirare la mia attenzione sono i pezzi unici nel loro genere. Per esempio, adoro Moschino di Jeremy Scott. Lui crea questi accessori molto buffi, a volte un po’ pacchiani, però sono pezzi che parlano al mio cuore, mi fanno tornare bambina.

Come hai iniziato a lavorare sui social?

Inizialmente ho usato i social in un modo personale, per me stessa. Ho iniziato a pubblicare su TikTok e poi dopo circa un anno ho iniziato a ottenere diverse opportunità di collaborazioni con alcuni brand. Ad un certo punto ero così impegnata con i social media che ho avuto la possibilità di lasciare il mio lavoro. Quindi ormai mi occupo della creazione di contenuti da ormai due anni, lavoro per me stessa e lo adoro. E poi una volta a settimana lavoro in un piccolo negozio locale vintage che mi permette di uscire di casa e socializzare con altre persone.

Beh, perfettamente in linea con il tuo stile.

Sì, è divertente. E così rimango nell’ambiente.

Ci hai parlato della tua collezione di borse e scarpe firmate, ma a colpirci sono stati in particolare i tuoi accessori più estrosi: occhiali da sole, orecchini, collane… Dove li trovi?

Moltissime cose le acquisto su Etsy o su Instagram, da piccoli artigiani. A volte capita anche semplicemente che le persone trovino qualcosa e mi scrivano per regalarmela, dicendomi: “Questi occhiali da sole urlano il tuo nome”.

E poi hai anche una tua piccola collezione di accessori no?

Sì, ho un mio sito web. Ho iniziato durante la pandemia realizzando dei piccoli anellini in resina. Mia mamma in quel periodo faceva i sottobicchieri, e mi sono detta “Io posso fare dei gioielli”. Adesso li vendo anche in alcuni piccoli negozi locali, che è molto figo perché le persone in zona possono acquistarli direttamente lì.

La tua bio di TikTok recita “outfit che mi rendono felice”. È questo il tuo scopo sui social media? Diffondere spensieratezza?

Quando ho iniziato a postare video su TikTok condividevo semplicemente i miei look, senza dar loro troppo peso. Poi però ho iniziato a ricevere commenti come: “Non riuscirei mai a vestirmi così, ma solamente guardare i tuoi video mi sprona a indossare ciò che voglio”. E ho capito di poter in qualche modo aiutare le persone e spronarle a fare ciò che si sentono. Ed è fantastico. Mi fa sentire molto orgogliosa avere la possibilità di trasformare questo posto in un ambiente felice e positivo per le persone.

CAMPOSARCONE SARA

Parlando di massimalismo, pensi che ci sarà un ritorno dell’eccesso nella moda, in generale? Tu come lo interpreti?

Certo. Penso che il massimalismo sia soprattutto un’espressione di libertà e non debba quindi far riferimento a uno specifico mood. Semplicemente credo che significhi divertirsi, giocare con una creatività che ti permette di indossare ciò che vuoi. Penso anche che lo stile personale di ciascuno sia unico, quindi due persone possono essere entrambe massimaliste ed essere comunque molto diverse. Per me, vestirmi la mattina è un momento felice e di pace, mi sento molto bene quando indosso qualcosa che amo. Credo che questa sia l'essenza del massimalismo.

Ti ispiri a qualche designer in particolare?

Sì. Beh, una l'ho già citata ed è Betsey Johnson, una delle mie preferite. Adoro il fatto che sia sempre rimasta fedele a se stessa, cosa che ammiro e rispetto. E poi un'altra persona che mi piace molto è Marc Jacobs, penso che la sua linea Heaven per Marc Jacobs sia geniale, e credo che sia stata la prima volta che ho pensato "Oh, questo è una specie di marchio massimalista" ma è davvero rivolto alle generazioni più giovani. Penso che sia un genio.

Anche nella moda ora vediamo colori vivaci, stampe e sovrapposizioni di fantasie. Pensi che anche i designer abbiano intrapreso la strada del massimalismo?

Credo proprio di sì. Penso che le case di moda più grandi siano sempre le ultime ad arrivare. Perché ormai tutto inizia sui social media, in particolare su TikTok, dove risiedono le generazioni più giovani e i futuri clienti dei brand. Penso che il massimalismo si stia diffondendo in tutti i settori dell'industria della moda. Lo vedo anche nelle Fashion Week passate, che mi sono sembrate molto più divertenti e soprattutto inclusive.

Sei d'accordo sul fatto che la moda, pur consevando il suo ruolo all'interno della società, sia stata un po’ scalzata dalle tendenze che provengono dal basso, dai social media, dalle generazioni più giovani?

Sì. Credo proprio di sì. E credo che molte volte la gente pensi "Oh TikTok, i content creator, è tutto così stupido". Ma il fatto è che TikTok è una piattaforma molto potente, in grado di farti raggiungere tantissime persone. Quindi penso che essere al corrente di che cosa succede sui social media sia un ottimo strumento per i designer.

CAMPOSARCONE

E il tuo stile, come lo definiresti?

Dico sempre che è molto divertente e giocoso, ovviamente per la maggior parte colorato, ed è molto eclettico. A volte è anche comico, mi piace aggiungere un po' di comicità alla mia moda. Credo che rappresenti al meglio la parte di me che dice "non prendere la vita troppo sul serio". E poi molto spesso mi piace fare riferimento a cose della mia infanzia, a volte mi sento come una ragazzina.

Quando ti esponi sui social media incontri inevitabilmente persone più e meno carine nei tuoi confronti. Come affronti gli hater?

Penso che faccia parte del gioco. Se ti metti in gioco su internet, soprattutto su TikTok, sicuramente ci sarà qualcuno che dirà qualcosa di negativo. So che il mio stile non può piacere a tutti, qualcuno dirà sempre qualcosa; quindi, tanto vale fare quello che si vuole: è un atteggiamento che credo di aver costruito nel tempo, come un'immunità. La gente su internet ha le palle per dire quello che vuole, ma in pubblico mi capita solo che la gente venga da me per farmi i complimenti. Ricevo qualche sguardo strano, ma nessuno ti dirà mai qualcosa di scortese in faccia. La vita reale non è il web, va tenuto a mente.

Penso anche che chi si mostra sempre positivo tenda ad attrarre energia positiva…

Sì esatto. Si riceve indietro ciò che si dà, no?

Come ti immagini l’evoluzione del tuo lavoro nei prossimi anni?

Spero di continuare a crescere nel settore della moda. E poi mi piacerebbe scrivere un libro e aprire il mio negozio di second hand, come ho accennato prima. In generale credo che continuerò a fare quello che sto facendo, perché mi piace molto. Il sogno nel cassetto rimane lavorare con alcuni brand che adoro…

Uno su tutti?

Di nuovo con Moschino, sarebbe fantastico.

ALTO ADIGE

Credit: Filippo Piervittori

Paolo Cognetti, nel suo romanzo di maggior successo “Le otto montagne”, scriveva che la montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi e pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. È uno stato d’animo, una continua scoperta. E la cosa più bella della montagna è che è di tutti: per chi la vuole vivere fino in fondo, scalandone le vette; per chi la vuole soltanto assaporare, passeggiando tra i suoi pascoli; per chi la vuole osservare, rilassandosi giù nella valle.

In questo numero vogliamo portarvi alla scoperta di diversi modi di vivere la montagna, anzi le montagne, in tutte le stagioni. Dalle Dolomiti dell’Alta Badia alla maestosità del Cervino, passando per lo scrigno nascosto della regione di Lana. Così che ciascuno di voi - da solo, in coppia, in famiglia o con gli amici - possa trovare il proprio modello di vacanza perfetta.

Credit: Freddy Planinschek

Credit: Alex Moling

Il nostro viaggio inizia in Alta Badia, valle dal cuore ladino incastonata tra le Dolomiti, Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Un luogo inevitabilmente ricco di fascino, paesaggi maestosi ed eccellenze culinarie locali. Una regione da vivere in estate e inverno, ma perché no anche in autunno. È durante questa stagione di mezzo, quando gli animali lasciano i pascoli per essere ricoverati a valle e le foglie iniziano a colorarsi di arancio, che si possono assaporare forse ancor di più le speciali vibrazioni che questa terra è in grado sprigionare. Spazio quindi a una passeggiata tra i boschi silenziosi, a un pranzo ristoratore in un maso tradizionale e poi a un po’ di relax nella spa di una delle tante strutture ricettive d’eccellenza della zona. Noi, in particolare, abbiamo selezionato per voi tre chicche imperdibili per un weekend in Alta Badia all’insegna del gusto, della cultura locale e del relax. Gli ingredienti per un po’ di giorni in cui fuggire dalla frenesia della città ci sono tutti: non vi resta che goderveli. Oppure venire in viaggio, anche solo virtualmente, insieme a noi.

Corvara e il Piz Boè

Dal grazioso paesino di La Villa, dove abbiamo soggiornato, si può decidere di arrivare a Corvara a piedi, con una passeggiata di circa un’ora su un dolce sentiero che costeggia il fiume. Nulla di impegnativo, al contrario un’occasione perfetta per rilassarsi al suono della natura e fare qualche chiacchiera in compagnia. Una volta raggiunto il centro di Corvara, che non ha caso si è guadagnata l’appellativo di “Perla delle Dolomiti”, potete gustarvi un caffè, o ancor meglio una cioccolata calda. Dopo una sosta rigenerante, avrete due opzioni: gambe in spalla, potrete salire a piedi fino al Piz Boè, oppure più comodamente

utilizzare la cabinovia Boè, con le sue iconiche cabine gialle, che vi porterà in cima in un battito di ciglia. Tranquilli, per camminare siete sempre in tempo: in cima infatti potrete godervi il panorama girovagando tra i prati, e magari incontrando anche un gregge di pecore con il suo pastore. Da non sottovalutare il panorama magnifico, che vi circonderà a 360 gradi come in un dipinto. A quel punto, vi consigliamo di tornare a valle a piedi: lungo il sentiero – assolutamente fattibile con tutta la famiglia – troverete anche un ottimo punto di ristoro, per gustare qualche specialità tipica. Ne vale la pena, no?

ALTA

Credit: Alex Moling

BADIA

Credit: Filippo Piervittori

Rifugio Lè e La Crusc

La vera chicca di questo weekend altoatesino, anzi ladino, è arrivata però nel nostro secondo giorno di permanenza. Da Badia, paesino limitrofo a La Villa che dà il nome all’intera zona, vi consigliamo –caldamente – di prendere la seggiovia a quattro posti Santa Croce. Dopo un rilassante tragitto che supera il centro di Badia e alcuni pascoli, si raggiunge la zona de La Crusc, in cui troverete un divertente Summer Park pensato per i più piccoli e l’accogliente Rifugio Lè, in cui gustare le specialità locali. Il rifugio è stato da poco ristrutturato, con una grande attenzione ai materiali, e merita senza dubbio una visita!

Per chi ha voglia invece di proseguire nel tragitto, tramite una cabinovia o a piedi è possibile raggiungere la vetta di La Crusc, adagiata alle pendici dell’omonima montagna e ricca di vibrazioni positive. Sarà merito della piccola chiesetta che potrete visitare sulla vetta, al suo interno ricca di ex voto che si sono realizzati e ringraziamenti sentiti. Per gli appassionati di trekking, poi, immancabile una passeggiata fino alla Grotta della Neve, anche se ormai solo parzialmente conservata. E dopo una giornata trascorsa a godere delle bellezze della natura, è tempo di tornare in hotel per godersi qualche momento di relax…

Credit: Filippo Piervittori

Credit: La Majun

Hotel La Majun

L’hotel La Majun di La Villa è la struttura che dovreste scegliere se avete voglia di sentirvi a casa. Un luogo oggi curato nei minimi dettagli, dalla colazione alla ricca Spa, con una storia familiare incredibile. “La Casa”, è così che la titolare Roberta Rinna chiama il suo hotel, che rappresenta un esempio perfetto di empowerment femminile, tenacia e grande operosità. Ecco la sua storia: nel 1959 il padre di Roberta – fabrro del paese –muore prematuramente di infarto, lasciando sola la moglie con cinque figli da mantenere. L’unica strada possibile fu quella, all’epoca, di affittare l’appartamento in cui vivevano: tre stanze accoglievano gli ospiti a Natale e Pasqua, mentre le quattro sorelle dormivano in garage e la madre e il fratello in cantina. “Un freddo bestiale”, ci racconta la signora Roberta, “mia madre si era fatta prestare una stufetta da un amico in paese, che faceva più fumo che caldo”.

Poi le tre camere divennero quindici, sistemando i due piani superiori. Fino al 1977 quando Roberta, ormai sposata, demolì la casa dei genitori per costruire la nuova Casa: dieci camere e un enorme ristorante, che con il boom del turismo di montagna negli anni Ottanta rappresentò la loro fortuna. Nel 2000, quindi, una nuova ricostruzione ha dato vita alla struttura che oggi è La Majun, un luogo accogliente come solo quelli intrisi d’amore e passione sanno essere. E se questo non bastasse, potrebbero convincervi l’ottima cucina che intreccia cultura ladina alle suggestioni più contemporanee, la bellissima Spa con due saune finlandesi, bagno di vapore al sale e vasca esterna in legno con acqua calda e vista mozzafiato sulle dolomiti. Non da meno le camere, ristrutturate con una particolare attenzione ai materiali, che vedono protagonista – ovviamente – il legno. Che dire quindi de La Majun? Una chicca da non perdere nella bellissima Alta Badia.

Nella foto: la titolare Roberta Rinna con la figlia Natalie Credit: Filippo Piervittori
Credit: Patrick Schwienbacher

C’è una regione speciale in Alto Adige, a due passi da Merano. Un luogo in cui il clima alpino incontra quello mediterraneo, dove le cime innevate sposano le valli fiorite: è Lana, una piccola fetta di territorio che racchiude in sé molto più di quanto ci si potrebbe aspettare. A sud-est, a soli 20 minuti di distanza, si trova Bolzano, poco più a nord la splendida Merano e l’imbocco della Val Venosta, celebre per le sue mele. Lana si trova quindi in una posizione strategica, non soltanto per scoprire i suoi dintorni, ma anche per godere delle bellezze, naturali, culturali e gastronomiche di cui è ricca. Che cosa si può vedere e fare nella regione di Lana, quindi? Ve lo raccontiamo noi.

LANA

Monte San Vigilio

Con e senza neve, il monte San Vigilio è una piccola oasi di pace perfetta per concedersi una passeggiata rilassante. Si raggiunge soltanto tramite la funivia, che è la più antica d’Europa ed è stata di recente completamente rinnovata. Una volta arrivati nella stazione a monte, si può decidere di procedere a piedi (circa 1 ora di camminata) oppure attraverso un’iconica seggiovia monoposto, che vi trasporterà immediatamente negli anni Settanta e vi farà trascorrere 20 minuti in totale relax. Sulla cima del Monte Vigilio, quindi, potrete fare diversi percorsi di trekking molto semplici, perfetti anche per le famiglie con bambini, e fermarmi in uno dei rifugi per gustare qualche piatto tipico. Una chicca da non perdere, la chiesetta di San Vigilio: luogo di raccoglimento ma anche soggetto perfetto per scattare una bella foto ricordo. Credit:

Una curiosità: la funivia, oggi privata e di proprietà del vigilius mountain resort (a sua volta realizzato da Ulrich Ladurner, patron di Dr. Schär, marchio leader nella produzione di alimenti per celiaci), venne costruita nel 1912 da Luis Zuegg, ingegnere ma anche membro della famiglia che ancora oggi è conosciuta per la produzione di marmellate. Insomma, Lana è da sempre una vera e propria fucina di menti e imprenditori di talento.

Credit: lanaregion.it

Credit: Maike Wittreck

Il centro di Lana e i suoi negozi

Punto di riferimento della regione, è la cittadina di Lana: un piccolo centro pieno di vita e brulicante di attività. Lungo il corso pedonale, infatti, sono nate e si sono consolidate negli anni realtà a conduzione familiare che uniscono la tradizione a una continua ricerca di novità. Tra queste, i cinque negozi della famiglia

Kuntner, che da tre generazioni opera nel settore della moda, delle calzature e della pelletteria. Oggi sono gli instancabili fratelli Lucas e Katharina a guidare l’attività e soprattutto a portare avanti i due capisaldi del know how di famiglia: la ricerca continua di nuovi prodotti e marchi, con un particolare focus sul Made in Italy

e la cura del cliente.

Uno sforzo ripagato dagli avventori, che apprezzano la varietà della proposta e la capacità di coniugare abbigliamento e calzature per proporre un total look ready to wear. Una marcata attenzione alla sostenibilità e ai materiali naturali guida invece la selezione per adulti e bambini di Feines – Family Nature Store, guidato dalla famiglia Winkler. Nato nel 2013 come negozio di prodotti in lana cotta e lana grezza di pecora di montagna, oggi è presente con due diversi punti vendita e accoglie giocattoli, abbigliamento per donna e bambino e oggetti per la casa. Una tappa imperdibile per grandi e piccini. Credit: Filippo Piervittori

I 7 Giardini di Kränzelhof

Una volta fatta una passeggiata rigenerante e un po’ di shopping, che cosa c’è di meglio di un bel bicchiere di vino? Meglio ancora se preceduto dalla visita a un luogo magico come i 7 Giardini di Kränzelhof, dove natura e creatività umana si incontrano. In un intreccio di piante e installazioni artistiche si snoda infatti questo giardino segreto, seguendo un percorso che ha come obiettivo quello di suscitare diverse sensazioni: Giardino della Fiducia, Giardino delle Emozioni, Giardino del Coraggio, Giardino del Cuore e dell'Amore, Giardino dell'Espressione, Giardino dell'Intuizione, Giardino della Coscienza. Non poteva mancare poi, in un vero giardino all’inglese, il labirinto, da percorrere in una sfida con noi stessi. Ma perché abbiamo parlato di vino, all’inizio? Perché questi Giardini nascono da un’idea della famiglia von Pfeil, con l’obiettivo di promuovere la loro produzione vitivinicola. Ed ecco che dopo aver sognato all’interno di questo mondo fatato potrete gustarvi un buon calice di Lagrein, il nostro preferito, o di Pinot Bianco.

Credit: Filippo Piervittori

Dove soggiornare a Lana?

L’offerta gastronomica e alberghiera di Lana è ovviamente variegata e di altissima qualità. Noi, in particolare, vi suggeriamo due alternative, indubbiamente di fascia premium. La prima, per chi ha voglia di vivere a pieno la vita della regione e dei suoi paesini, è l’hotel Muchele, un place to be situato a Postal, a pochi minuti da Lana. La seconda opzione, invece, è pensata per chi è alla ricerca di puro relax a contatto con la natura. La vostra meta non potrà che essere il vigilius mountain resort, un hotel a cinque stelle dall’anima sostenibile e minimalista, in cui ritrovare il proprio equilibrio.

Hotel Muchele

L’hotel Muchele è una struttura quattro stelle Superior, gestita con amore dalla famiglia Ganthaler. Tre sorelle, Martina, Priska e Anna, hanno preso in eredità l’hotel – anzi la casa, come la chiamano loro - di famiglia per traghettarla nell’hospitality contemporanea. Ed ecco quindi un hotel perfettamente integrato con l’ambiente circostante, che interpreta alla perfezione l’incontro tra flora mediterranea e alpina che caratterizza la regione di Lana. Un connubio che si riconosce nella scelta dei materiali e nella filosofia alla base della struttura: un quiet luxury basato sul relax e su un’accoglienza quasi domestica (nel senso più positivo del termine).

HOTEL MUCHELE

Credit: Hotel Muchele

L’hotel Muchele è ovviamente dotato di tutti i comfort: dalla piscina esterna riscaldata alla spa, compresa una palestra vista montagne con attrezzature Technogym di ultima generazione. Spiccata, inoltre, l’attenzione al design: le sue camere, infatti, sono curate nei minimi dettagli, con pezzi di design che è possibile anche chiedere di acquistare, nel corso del soggiorno. Interessante anche l’interpretazione della cucina trentina e la carta dei vini, che ospita anche la produzione di famiglia. Insomma, l’hotel Muchele è una piccola gemma tutta da scoprire, perfetta per chi desidera una vacanza che mixa relax, sport e qualche vizio godereccio. Cosa si può volere di più?

Nella foto: le sorelle Anna, Priska e Martina Ganthaler.
Credit: Hotel Muchele

vigilius mountain resort

Chi invece sceglie la montagna per isolarsi dal resto del mondo e ritagliarsi del quality time solo per sé, non potrà che soggiornare al vigiulius mountain resort, un vero e proprio angolo di paradiso incastonato sul monte San Vigilio, il gigante buono della regione di Lana. Accessibile solo tramite funivia, il vigilius mountain resort è un luogo da sogno, che è riuscito a coniugare il minimalismo e la sostenibilità in una formula accogliente e curata nei dettagli. Sarà forse per il caminetto che scalda la zona relax, oppure per le attività pensate per accompagnare l’ospite in un viaggio fatto di sport e relax (noi, ad esempio, ci siamo messi alla prova con il tiro con l’arco), ma al vigilius mountain resort – pur nelle sue linee asciutte e nel suo design minimal – ci si sente sempre nel posto giusto al momento giusto. Un luogo da cui non vorresti mai andartene.

VIGILIUS MOUNTAIN RESORT

Credit: Florian Andergassen

Credit: Patricia Parinejad

Merito anche, senza dubbio, della ricercata cucina del ristorante 1500 e della spa con vista sulle montagne da togliere il fiato. Interessante anche la scelta di spegnere il wi-fi alle 23, perfettamente in linea con la filosofia detox con cui è nato questo resort. Dopo un soggiorno, anche solo di un weekend, al vigilius mountain resort tornerete senza dubbio a casa rigenerati e pronti per le sfide che vi attendono. Provare per credere.

Credit: Patricia Parinejad

Credit: Patricia Parinejad

Il Vigilius Mountain Resort è progettato per mettere in risalto ciò che conta davvero. Il suo design, semplice e raffinato, si integra perfettamente con i boschi e i prati circostanti, unendo architettura e natura attraverso l'uso di materiali come il legno di larice, grandi vetrate, pietra naturale e argilla. Il risultato è uno stile che è allo stesso tempo moderno e rustico.

Il resort è fortemente ecologico, e questo impegno verso la natura si vede in ogni dettaglio. Come primo hotel italiano certificato Klimahaus-A, il Vigilius Mountain Resort utilizza materiali naturali per creare un ambiente che rispetta e celebra la bellezza del mondo naturale.

Guarda il video:

LUCA BRACALI

Una vita in viaggio per raccontare un mondo straordinario

Abbiamo conosciuto Luca Bracali anni fa e, dopo averlo intervistato una prima volta, abbiamo iniziato a seguire le sue avventure fotografiche in giro per il mondo attraverso il suo racconto quotidiano. Dire che Luca è un fotografo ci sembra riduttivo, perché è anche un esploratore, un creativo e un narratore. Ma soprattutto è una persona straordinaria che grazie al suo entusiasmo travolgente, alla qualità delle sue opere e alla sua capacità di mettersi in gioco professionalmente per innovare sempre, può essere considerato un vero artista, in grado di ispirarci con il suo lavoro.

Luca Bracali è un fotografo toscano di fama internazionale che ha viaggiato in 155 paesi, autore di 20 libri e vincitore di 15 premi in concorsi fotografici internazionali. Dal 2008 è membro di APECS e dal 2015 collabora con IASC per contributi mediatici e scientifici legati all'ambiente. Nel 2009 raggiunse il Polo Nord geografico sugli sci. Il suo debutto nella fine-art photography nel 2010 l'ha portato ad esporre in 50 musei e gallerie, incluso il Parlamento Europeo. Regista per Rai 1 dal 2011 e documentarista per Rai 2 e Rai 3, ha firmato 18 servizi per National Geographic. Dal 2017 è ambasciatore a vita di "Save the Planet" e nel 2021 è diventato Presidente italiano del C.I.G.V. Il Minor Planet Center gli ha intitolato un asteroide. Bracali si dedica all'insegnamento e ha insegnato fotografia a Firenze e presso le academy di Canon.

Credit: Luca Bracali

Come nasce la tua passione per la fotografia?

La mia passione per la fotografia è iniziata a sei anni grazie a mio zio, che possedeva tre macchine fotografiche. Nonostante le sue perplessità, gli chiesi di fare una foto e così nacque il mio primo scatto memorabile, anche se mosso. Credo di essere tra i pochi fotografi al mondo che conserva ancora la prima foto scattata a sei anni. Successivamente, un professore di nome Cornelio Bisello mi regalò una Canon F1, alimentando ulteriormente la mia passione. Sotto la sua guida, iniziai a fotografare paesaggi, fare ritratti e a lavorare in camera oscura, concentrandomi soprattutto sul bianco e nero. Mi insegnò molto nei tre anni in cui lo frequentai, prima della sua scomparsa prematura. A quel punto decisi di concentrarmi sulla fotografia sportiva, in particolare sul motociclismo. La mia passione e determinazione mi portarono presto a collaborare con testate sempre più grandi, fino ad arrivare alla MotoGP, dove ebbi l'onore di fotografare i grandi campioni.

Cominciai anche a fare il tester di automobili e moto, fotografando e scrivendo recensioni sui prodotti. Il passo successivo nella mia carriera arrivò con la Formula 1, dove affinai le mie capacità fotografiche viaggiando da un circuito all’altro. Nel 1991, organizzai un tour automobilistico in Europa e proposi l'idea alla rivista Auto, ottenendo otto pagine per il reportage. Contattai Toyota, che mi fornì una vettura per un viaggio di 15.000 km attraverso 15 paesi. Questo viaggio segnò il mio debutto nel mondo del reportage di viaggio e aprì la strada a numerose altre avventure. Da lì, mi dedicai anche alla fotografia di moda, architettura e paesaggio, ampliando continuamente i miei orizzonti. Il mondo è diventato il mio campo di gioco, dove posso esplorare e catturare la bellezza che ci circonda.

Il mondo è diventato il mio campo di gioco, dove posso esplorare e catturare la bellezza che ci circonda.

Nella tua narrazione fotografica il viaggio e la scoperta del mondo sono elementi cardine, ma come ti prepari per le tue missioni?

Scelgo le mete dei miei viaggi seguendo le emozioni del cuore. Non riesco a recarmi in luoghi che non mi suscitano interesse. Le destinazioni che scelgo per i miei viaggi fotografici sono quelle che mi fanno battere il cuore. Anche se ho visitato alcuni luoghi più volte, come l'Islanda, ogni volta li affronto con lo stesso entusiasmo di un bambino. Le nuove destinazioni, invece, le esploro con occhi curiosi e con una costante voglia di scoperta. Nonostante l'avanzare dell'età, mantengo viva la passione per conoscere e approfondire, sia nei luoghi già visitati che in quelli ancora da esplorare.

E a livello tecnico?

A livello tecnico è fondamentale prepararsi con cura per un viaggio fotografico, assicurandosi di avere tutto l'occorrente. Oggi, il kit fotografico è composto da vari dispositivi: fotocamere, droni, batterie, stabilizzatori, smartphone e accessori per GoPro. Ogni dispositivo ha esigenze specifiche e richiede spazio aggiuntivo nel bagaglio. Inoltre, porto sempre con me un computer performante e hard disk SSD per gestire grandi quantità di dati. Scaricare e memorizzare le immagini ogni sera è essenziale, soprattutto quando si catturano centinaia di foto o video in alta risoluzione durante il giorno. Questa preparazione è cruciale per chi lavora intensamente con la fotografia e il video.

E qual è poi la destinazione dei materiali che produci?

Durante i miei viaggi, la mia priorità è produrre immagini per i miei clienti, come la Rai, per progetti documentaristici e videografici. Poi raccolgo foto per il mio archivio personale, che è sempre più rilevante. Queste immagini sono spesso utilizzate per progetti più ampi, come i miei libri fotografici.

Parlando di libri, hai un nuovo progetto editoriale a cui stai lavorando?

Sì, in cantiere c'è un progetto a cui tengo molto. Si chiama "Donne, Pianeta Donna" ed è nato nel 2002, quando una giornalista mi raccontò di un'infibulazione in Oman. Questo episodio mi ha spinto a riflettere sul ruolo delle donne e sui cambiamenti che hanno vissuto nel tempo, spesso purtroppo negativi, come dimostrano gli eventi recenti in Italia. Ho deciso di creare un volume che raccogliesse i miei migliori scatti dedicati alle donne, non solo per mettere in risalto la loro bellezza esteriore, ma soprattutto quella interiore. Il progetto include donne di diverse etnie e situazioni, dalle lavoratrici alle madri single. Ho cercato di catturare anche immagini di donne vittime della loro bellezza, come quelle che si sono tatuate il volto in Birmania per evitare il rapimento. Sto ancora lavorando su questo ambizioso progetto, cercando uno sponsor per realizzare un libro che racconti la storia delle donne in tutto il mondo, corredato da un testo significativo e profondo a sostegno della causa femminile, probabilmente affidato a un filosofo.

Un altro tema molto importante e particolarmente ricorrente nel tuo lavoro è quello ambientale, secondo te, questo tipo di lavoro può sensibilizzare la società civile?

Le azioni che intraprendo per promuovere la sostenibilità ambientale attraverso mostre, libri e conferenze hanno suscitato interesse e riflessione, in particolare durante la mostra al Parlamento Europeo nel 2017. Le conferenze nelle scuole rappresentano per me il momento più significativo, poiché posso sensibilizzare i giovani sulle sfide ambientali future e sul ruolo che ognuno di noi può svolgere nel proteggere il pianeta. È fondamentale trasmettere loro la consapevolezza che stiamo consegnando un mondo danneggiato e che è necessario agire con urgenza per invertire questa tendenza.

Ci sono cambiamenti climatici tangibili che hai osservato durante i tuoi viaggi?

Nel corso degli anni ho osservato cambiamenti climatici davvero significativi. Le temperature sono aumentate drasticamente, con una riduzione delle nevicate e un aumento delle precipitazioni in isole come le Svalbard. Un evento significativo è avvenuto nel 2015, quando ho fotografato un orso polare a -23 gradi Celsius. Un anno dopo, nello stesso luogo e con lo stesso orso, le temperature erano di +3 gradi Celsius. In Islanda, ho osservato la formazione di una baia che si è estesa negli anni a causa dello scioglimento dei ghiacci, ritirandosi annualmente di 80-100 metri, a volte anche di 200 metri.

Credit: Luca Bracali

A proposito di viaggi, in varie occasioni porti con te persone che vogliono provare questa esperienza o mettersi alla prova con la fotografia. Come è nato il progetto dei workshop fotografici?

L'idea è nata mentre insegnavo fotografia in una scuola per studenti americani. Ho deciso di condurre workshop fotografici in viaggio, unendo l'insegnamento alla scoperta del mondo. Dopo vari tentativi, sono riuscito a portare cinque allievi in Namibia e ho visto quanto fossero emozionati. Ho organizzato altri viaggi e il feedback sui social è stato entusiasta. Ho realizzato 87 eventi coinvolgendo quasi 500 persone. Sono fiero di questo successo, soprattutto perché ho visto le persone emozionarsi fino alle lacrime.

I partecipanti ai workshop sono tutti fotografi?

Accetto persone con ogni tipo di attrezzatura, dagli smartphone alle fotocamere professionali, e anche chi preferisce conservare i ricordi nella memoria. Prima del viaggio, conduco un breve corso di fotografia e ogni sera, se il tempo lo permette, faccio sessioni di revisione e critica delle immagini per offrire un'opportunità di apprendimento e crescita.

Come valuti la cultura fotografica in Italia?

Le foto che hai realizzato in giro per il mondo ti hanno permesso di conquistare anche molti premi. Quale ritieni il più rappresentativo della tua carriera?

Uno dei premi più significativi è stato il primo, consegnato da Alba Gonzalez a Fregene. Questo riconoscimento alla carriera mi ha fatto riflettere sul mio percorso e sull'impatto del mio lavoro. L'anno scorso ho ricevuto la lunetta d'argento, un ulteriore riconoscimento del mio impegno nel campo della fotografia e dell'ambiente. Altri premi importanti includono il riconoscimento del Rotary Club per il mio viaggio al Polo Nord nel 2000 e il premio Anello Verde a Finalborgo.

Nonostante il mio riconoscimento come artista, noto che in Italia la fotografia come forma d'arte ha un valore basso e genera poco interesse. Negli Stati Uniti, invece, la fotografia è considerata una forma d'arte avanzata. L'Italia sembra essere rimasta indietro nell'evoluzione della fotografia come vera e propria espressione artistica.

Forse un po’ di colpa ce l’ha anche l’abuso dei social media… Qual è la tua opinione in merito? Li utilizzi?

Utilizzo i social media, come Facebook e Instagram, per comunicare le mie attività, trovare clienti e documentare il mio lavoro. Non sono un grande consumatore di social media, ma rispondo sempre ai commenti dei miei followers. Non uso TikTok, che trovo poco adatto al mio linguaggio serio e discorsivo. Recentemente, Facebook ha bannato una mia foto considerandola pornografica, nonostante rappresentasse donne tribali con seni scoperti.

Negli ultimi anni hai utilizzato in modo molto creativo e artistico il drone. Quando è stata la prima volta?

Il mio primo volo con il drone fu nel 2011, e intensificai l’utilizzo nel 2012. Con il progetto "Planet Explorer", viaggio in moto per il mondo, documentando una nuova località ogni giorno in diretta. Anche se è la mia videomaker che si occupa principalmente del drone, continuo a guidare il progetto. L’introduzione del segnale video nel 2013 ha migliorato notevolmente la valutazione delle riprese in tempo reale. Durante il lockdown, ho documentato le città italiane deserte per la Rai e sono riuscito a catturare immagini spettacolari del vulcano Sagrada Sfial in Islanda, pubblicate su varie testate internazionali. La mia esperienza come regista Rai e videomaker mi ha permesso di specializzarmi anche nella parte video.

Hai mai avuto problemi tecnici con i droni?

In rari casi il drone ha avuto problemi tecnici. Una volta, alle isole Svalbard, perse l'orientamento a causa del campo geomagnetico, cadendo in acqua. A Capo Nord, il drone sbagliò l’atterraggio e rischiò di precipitare tra le rocce. Questi incidenti, causati da problemi tecnici e non da errori dell’utente, sottolineano l’importanza di mantenere la calma e gestire le situazioni con freddezza.

Credit: Luca Bracali

La tecnologia ha cambiato il tuo approccio alla fotografia?

Negli anni '90, la fotografia richiedeva grande abilità tecnica con messa a fuoco ed esposizione manuali. Oggi, la tecnologia ha reso tutto più accessibile. Per distinguermi, ho abbracciato il mondo dei droni, offrendo prospettive uniche. L’esperienza con la Rai mi ha insegnato l’importanza della regia nel video, ampliando così le mie competenze dalla fotografia tradizionale a quella con droni, videocamere e action cam. Questo continuo adattamento mi permette di ottenere risultati emozionanti e coinvolgenti.

Cosa pensi del fotoritocco e dell'utilizzo dell'intelligenza artificiale?

Odio la post-produzione e preferisco che la bravura di un fotografo si manifesti nello scatto. Temo l'impatto dell'intelligenza artificiale sulla fotografia, che potrebbe ridurre drasticamente i costi e cambiare il panorama del settore, con una possibile perdita di posti di lavoro. Anche nel campo dei video, l'intelligenza artificiale potrebbe rivoluzionare la creazione di contenuti.

Che consiglio daresti a chi sogna di fare il tuo mestiere oggi?

Oggi, per emergere nel mondo della fotografia, bisogna concentrarsi sulle piattaforme online e sui social media, dove si può trovare visibilità e qualche guadagno. Le opportunità tradizionali offrono retribuzioni molto basse e sono estremamente competitive. Lavorare per agenzie di fama è come vincere alla lotteria, e viaggiare il mondo essendo pagati bene è un sogno irrealizzabile al giorno d’oggi.

SULLE VETTE DELL'AFRICA

La sfida del monte Kilimangiaro

Quel 31 gennaio è stato un giorno che ho atteso per anni. La lunga attesa ha finalmente avuto fine, e come spesso accade in momenti significativi, la mia mente era piena di pensieri e preoccupazioni. Dopo un periodo segnato da problemi lavorativi e attacchi di ansia, il tanto atteso viaggio è finalmente iniziato. La mia voglia di avventura mi ha portato questa volta in Africa, con una tappa in Kenya prima di raggiungere la Tanzania per l'obiettivo finale: scalare il Monte Kilimangiaro. Dopo alcuni giorni di acclimatazione in Kenya, il viaggio è proseguito fino a Moshi, in Tanzania. Qui, la guida William ha accolto il gruppo al nostro hotel, e dopo le presentazioni con l'intero team, ci siamo diretti al cancello del Parco Nazionale di Londorossi per le procedure di registrazione.

Con sorpresa, ho scoperto che il team era composto non solo dalla guida e da un portatore come previsto, ma da sette persone in totale. William mi ha spiegato che era necessario un numero maggiore di persone per coprire tutte le necessità, portando con sé tutto, dalle tende al cibo. Dopo la registrazione, ogni portatore è dovuto passare attraverso una zona di pesatura per assicurarsi che nessuno portasse più di 30 kg. Completate tutte le formalità, ci siamo diretti al cancello di Lemosho, dove è iniziata la camminata. Dopo una passeggiata di due ore attraverso una foresta densa e rigogliosa, abbiamo raggiunto il campo di Mti Mkubwa, a 2.650 metri di altitudine. Durante la camminata, è stato possibile familiarizzare con il team e, nonostante la barriera linguistica, siamo riusciti a comunicare efficacemente. Il paesaggio della foresta pluviale era spettacolare, una delle cinque diverse zone climatiche del Monte Kilimangiaro.

Credit: Marianna Stefani

Attraverso la foresta pluviale Il secondo giorno ha offerto una camminata piacevole di 7 km, completata in meno di quattro ore. Il percorso attraversa l'ultima parte della foresta pluviale, che si dirada per lasciare spazio alla brughiera. La brughiera è caratterizzata da vegetazione bassa e odori distinti. Il clima è diventato più fresco, ma ciò non ha impedito un tuffo nel ruscello al campo Shira 1, a 3.650 metri di altitudine. Il campo si trova al centro del Plateau Shira, ai piedi della Cattedrale Shira, una delle tre vette del Monte Kilimangiaro, formatesi durante l'ultima eruzione circa due milioni di anni fa.

Durante la giornata, ho avuto modo di apprezzare i colori vibranti della foresta pluviale e la ricca biodiversità. Gli alberi imponenti e le piante esotiche creavano un'atmosfera incantata, e ogni passo svelava nuove meraviglie naturali. La camminata è stata un'opportunità per osservare da vicino la flora e la fauna locali, con uccelli colorati e scimmie che si muovevano agilmente tra gli alberi. Il contatto con la natura è stato rigenerante, un ottimo modo per iniziare l'avventura.

Lava e deserti alpini

La terza giornata ha visto il passaggio dal plateau della brughiera alle creste di lava sotto i ghiacciai del Western Breach. Durante il trekking, il gruppo ha attraversato la zona del deserto alpino per raggiungere la Torre di Lava, una formazione rocciosa alta 100 metri. La Torre di Lava, una colossale formazione vulcanica, è un ricordo tangibile delle eruzioni passate del Kilimangiaro. La vista dalla sommità offre panorami mozzafiato che si estendono per chilometri. La discesa al campo Barranco, situato al fondo della Grande Valle Barranco, ha offerto panorami mozzafiato e la possibilità di apprezzare la maestosità della montagna da diverse angolazioni.

La Scalata del Muro di Barranco

Il quarto giorno aveva come obiettivo la scalata del Muro di Barranco, un'esperienza impegnativa ma gratificante. Procedendo "pole pole" (piano piano, in swahili), il gruppo ha impiegato circa un'ora e mezza per scalare il ripido dirupo di 257 metri. Il Muro di Barranco, noto per la sua verticalità, richiede pazienza e determinazione, ma la vista dalla sommità ripaga ogni sforzo. La camminata è proseguita per un paio d'ore fino al campo Karanga, l'ultimo punto d'acqua del trekking. Il pomeriggio è stato dedicato al riposo e all'osservazione del cielo stellato.

L'assenza di inquinamento luminoso ha permesso di ammirare un cielo notturno straordinariamente limpido, punteggiato da innumerevoli stelle.

Durante la scalata, il paesaggio ha continuato a mutare, passando da una vegetazione rigogliosa a un ambiente più arido e roccioso. Le formazioni geologiche uniche e i panorami spettacolari hanno reso ogni momento indimenticabile. L'intero gruppo ha mostrato una straordinaria resistenza e spirito di squadra, affrontando insieme le sfide del percorso. La guida William è stata fondamentale nel motivare e incoraggiare tutti, condividendo la sua vasta conoscenza del Kilimangiaro e delle sue caratteristiche.

Credit: Marianna Stefani

Verso il Campo Barafu

Il quinto giorno è iniziato con un bellissimo tramonto e un sonno ristoratore. La camminata di quattro ore attraverso il deserto secco e sassoso ha offerto una vista maestosa della cima del Kilimangiaro. Il campo Barafu, ultimo campo prima della vetta, ha permesso di prepararsi mentalmente e fisicamente per l'ascesa finale. Il panorama da Barafu è stato semplicemente spettacolare, con la cima innevata del Kilimangiaro che si stagliava contro il cielo azzurro. Durante il pomeriggio, il gruppo ha svolto una sessione di briefing per discutere i dettagli dell'ascesa finale.

La guida ha sottolineato l'importanza di procedere lentamente e di mantenere un ritmo costante per conservare energie. La preparazione mentale è stata altrettanto cruciale, con ogni membro del gruppo che ha affrontato le proprie paure e incertezze. La sera è stata trascorsa in tranquillità, ammirando il tramonto sul deserto e riflettendo sul viaggio compiuto fino a quel momento.

L'ascesa finale

Il giorno tanto atteso è arrivato. Partendo alle 23.30, il gruppo ha iniziato l'ascesa verso la vetta del Monte Kilimangiaro. La camminata di 15 ore è stata impegnativa, con temperature rigide e un percorso difficile. Alle 00.30, il gruppo si è diretto verso la vetta, seguendo un sentiero stretto illuminato dalle luci dei caschi. Dopo 7 ore, il gruppo ha raggiunto Stella Point, il bordo del cratere Kibo a 5.756 metri di altitudine. Da lì, un'ulteriore salita di 170 metri ha portato alla vetta. Nonostante la fatica, la vista dalla cima dell'Africa ha ripagato tutti gli sforzi. Durante l'ascesa finale, la determinazione e la forza di volontà sono state messe alla prova. La temperatura è scesa sotto zero e l'aria rarefatta ha reso ogni

passo un'impresa. Tuttavia, la guida ha mantenuto alta la motivazione del gruppo, incoraggiando tutti a procedere "pole pole". La sensazione di raggiungere la vetta, il punto più alto dell'Africa, è stata indescrivibile. La soddisfazione personale e il senso di realizzazione hanno superato ogni difficoltà incontrata lungo il percorso. Una volta in cima, il gruppo ha celebrato il successo con foto e abbracci. La vista panoramica dei ghiacciai e del paesaggio circostante ha offerto un'esperienza visiva indimenticabile. La permanenza in vetta è stata breve a causa delle temperature estreme, ma il ricordo di quel momento rimarrà per sempre impresso nella memoria.

Il ritorno alla normalità

Il ritorno al campo ha offerto la possibilità di ammirare i ghiacciai millenari. La discesa è stata più dura del previsto, con un sentiero ripido e scivoloso. Una volta al campo, il gruppo ha impacchettato rapidamente le proprie cose e si è diretto all'ultima tappa. L'ultima notte in montagna è stata trascorsa in un sonno profondo e ristoratore.

Il ritorno al campo ha permesso di riflettere sull'intera esperienza. I ghiacciai, testimonianze di antichi cambiamenti climatici, sono stati un promemoria della fragile bellezza della natura. La discesa è stata un'ulteriore prova di resistenza fisica, ma la prospettiva di completare l'avventura ha dato la spinta necessaria per proseguire. Il gruppo ha condiviso storie e risate, rafforzando i legami creati durante il viaggio. La sensazione di cameratismo e il supporto reciproco hanno reso il ritorno al campo un momento di condivisione e celebrazione.

L'ultimo giorno ha visto una passeggiata mattutina nella foresta, seguita dal rientro al villaggio di Mweka e il viaggio di ritorno a Moshi. Il team si è congedato, tornando ai propri villaggi, e l'esperienza complessiva è stata straordinaria. La compagnia Absolute Africa ha fornito un supporto eccellente, dimostrando una grande attenzione ai dettagli e alla sicurezza. L'avventura sul Monte Kilimangiaro è stata un grande successo, con oltre 70 km percorsi in sette giorni e una vetta raggiunta a 5.895 metri di altitudine. Una conquista personale e un'esperienza indimenticabile, coronata dalla preparazione per ulteriori avventure in Africa.Durante l'ultima passeggiata attraverso la foresta, ho riflettuto sull'intero viaggio, sulla crescita personale e sulle lezioni apprese lungo il cammino. Ogni passo è stato un'opportunità per apprezzare la bellezza della natura e per riconnettermi con me stessa. Il ritorno a Moshi ha segnato la fine di un'avventura straordinaria e l'inizio di nuovi sogni e obiettivi. Il Monte Kilimangiaro ha lasciato un'impronta indelebile nella mia vita, un promemoria costante della forza interiore e della bellezza del nostro pianeta.

L'arte di fondersi con il mondo

I LIU BOLIN

n un mondo di artisti che si contendono gli onori della fama, esiste un fotografo capace di rovesciare il paradigma e abbracciare il paradosso dell’artista nascosto. Un’utopia con poche eccezioni: Bansky, ad esempio, ma ancor di più il fotografo Liu Bolin, capace di fondersi con la natura che lo circonda grazie alla fotografia e ad un sapiente uso del body painting. Nascondersi per l’artista cinese non è tuttavia una missione di vita atta ad allontanare l’affetto degli appassionati o le curiosità degli addetti ai lavori, bensì un mezzo per riflettere sull’essere artisti e sull’umanità, servendosi del mimetismo. L’artista invisibile, come è stato ribattezzato, ha chiara la sua missione: portare al centro del dibattito la relazione tra uomo e habitat, denunciare le storture della società e offrire all’occhio di chi guarda le sue opere un’esperienza inedita di allenamento all’amore per i dettagli. Si è raccontato così.

Come è iniziata la tua carriera artistica e cosa ti ha spinto a creare le tue prime opere?

È iniziato tutto nel 2005, a Pechino. Quando l’attenzione mondiale era concentrata sulle Olimpiadi del 2008, anche l’arte contemporanea cinese era sotto i riflettori. È in questo contesto che è nato il Campus d’arte internazionale Suo Jiacun, dove nel 2004 lavoravano oltre 140 artisti cinesi e stranieri, rendendolo il campus d’arte internazionale più grande del Paese all’epoca. Tuttavia, dall’inizio del 2005 il distretto artistico è stato più volte sospeso per abusi edilizi, finché non è stato demolito il 16 novembre del 2005. Il mio primo lavoro è stato realizzato proprio il giorno dopo la demolizione, di fronte alle rovine del mio studio, che si trovava all’interno del distretto artistico. Nell’opera in questione la volontaria sparizione del soggetto con la mimetizzazione rispetto allo sfondo viene utilizzata per problematizzare l’accaduto: questo lavoro nasce come appello alla società a prestare attenzione alle condizioni di vita di noi artisti. Da quel momento ho iniziato il mio percorso creativo, continuando a mettere in dubbio la società e riflettendo sulla società stessa.

Le tue opere spesso si avvalgono della “scomparsa”. Perché hai scelto questa tecnica per veicolare il tuo messaggio artistico?

Le persone non riescono a trovarmi all’interno dei miei lavori e questo è il mio modo di esprimere il valore dell’unicità. Mettere in discussione nel mio lavoro l’ambiente creato dagli esseri umani, che è dannoso per gli umani stessi, è un modo per la mia anima di comunicare con il mondo. La forza che mi spinge a continuare con la realizzazione di questa tipologia di lavori è la possibilità di portare a compimento il mio sistema creativo; in secondo luogo, anche i contesti difficili in cui vivono gli esseri umani mi incoraggiano costantemente a scattare e utilizzare i miei lavori per parlare agli altri esseri umani. Completare il lavoro è infine un processo di scoperta e al tempo stesso porta a completare gradualmente se stessi: è molto motivante.

Hai lavorato su progetti artistici in tutto il mondo. Qual è stata la performance che più ti ha coinvolto? Quale la più significativa della tua carriera?

Ho sempre voluto che le mie opere avessero come protagonisti gli ambienti naturali. Con l’iceberg, ad esempio, ho portato in evidenza il tema del surriscaldamento globale. Nel 2017 il famoso brand di piumini Moncler mi ha aiutato a completare questo lavoro, per il quale ho collaborato con la nota fotografa americana Annie Leibovitz. Il nostro team è volato da New York all’Islanda e il processo creativo ha incontrato qualche difficoltà, come il freddo, il forte vento e l’acqua del mare a quasi zero gradi. Un’esperienza indimenticabile, che mi ha dato la sensazione di essere a stretto contatto con la Terra e con il destino dell’umanità. Non ero solo con la miglior fotografa al mondo, ma anche con il marchio di giubbotti più conosciuto al mondo, inoltre dalla dimensione terrestre siamo passati a pensare al futuro dell’umanità: è così che questo lavoro assume più significato. C’è poi la collaborazione con Ruinart Champagne. Fondato nel 1729 a Reims, nella regione francese dello champagne, ogni anno Ruinart attiva un programma di supporto per gli artisti ed io nel 2018 ero l’artista dell’anno. Nell’autunno precedente, durante la vendemmia, ho fotografato otto pezzi della serie Ruinart lì. Ho raccontato la loro storia, la cultura aziendale e perfino le tecnologie e procedure di produzione nei lavori, provando perfino provare a esprimere il gusto dello champagne nelle opere. Sono molto contento di questa collaborazione, attraverso la quale ho avuto la possibilità di conoscere ancora più a fondo la cultura europea.

La tua serie Hiding in the City ha catturato l’attenzione di molti appassionati. Hai un aneddoto riguardo alla sua realizzazione?

Mentre lavoravo con JR (street artist, ndr), per nasconderci di fronte alla piramide di Ieoh Ming Pei al Louvre, abbiamo scoperto qualcosa di particolarmente interessante, qualcosa che nessuno di noi aveva mai visto. Dopo lo shooting della prima opera, tutti i file sul mio computer relativi allo shooting sono spariti, erano irrecuperabili, e tutte le proprietà delle cartelle sono tornate al 23 gennaio 1984, il giorno in cui l’architetto Ieoh Ming Pei inviò gli schemi per la piramide. Dovevamo ripetere gli scatti e pioveva tantissimo. A cinque minuti dal secondo shooting ha smesso all’improvviso di piovere e non ha riiniziato finché non abbiamo terminato. Il destino.

Qual era il messaggio che volevi trasmettere?

Ho iniziato a fotografare Hiding in the City nel 2005 e per questa serie ho scelto degli sfondi contradditori e interdipendenti, ovvero l’essere umano e il contesto in cui vive. Ho scelto questa tipologia di sfondo per raccontare me stesso, ma soprattutto per dire alle persone che guardano queste opere di prestare attenzione alla vera relazione tra noi e l’ambiente. Far sparire le persone determina una crescita spirituale dell’individuo. Dal 2013 ho cercato di invitare più persone a partecipare alle opere. La prima produzione con questo obiettivo si chiamava Cancer Village. A causa dell’inquinamento ambientale causato dallo sviluppo economico, il tasso di mortalità di molti villaggi è aumentato e molti abitanti si sono ammalati di cancro. La mia intenzione iniziale era quella di mettere il mio soggetto più a contatto con la società, ma volevo al tempo stesso permettere alle persone che hanno partecipato ai miei lavori di esprimere il loro atteggiamento nei confronti della società attraverso il proprio linguaggio del corpo. Così le loro espressioni, i loro corpi e i loro cuori sono tutti stati combinati nel lavoro nel momento della creazione. Non è una semplice espressione, ma una silenziosa comunicazione che viene dall’interno.

Come scegli i posti e gli oggetti nei quali ti “nascondi”? C’è una ragione specifica dietro ogni scelta?

Nei miei lavori lo sfondo è molto importante, perché devo scegliere dove nascondermi ma anche evidenziare il significato di quella scelta. La prima volta che ho scelto lo sfondo per i miei lavori invisibili in Cina, ho scelto qualcosa correlato al Paese, come i grandi personaggi che vedevo spesso da bambino, degli slogan di propaganda politica, la nostra bandiera nazionale e qualche esempio di architettura cinese. Dopo il 2009 ho iniziato a scegliere sfondi legati a concetti negatii, per trattare il tema dello sviluppo economico della Cina, come la diffusione di bevande scadenti, cibo scaduto e magazine. In Italia ho scelto alcune vere e proprie opere d’arte, che ben rappresentano la mia ossessione per la cultura di questo Paese. Nei miei lavori ci sono anche altri fattori, come i colori e le linee, che devo tenere in considerazione. Per ora, preferisco concentrarmi su pochi soggetti, ma finché c’è una riflessione dietro qualsiasi sfondo può diventare parte dei miei lavori. Teoricamente, qualsiasi sfondo può essere lo sfondo, l’importante è che ci sia una sensibilità sociale dentro, che è il modo per catturare l’attenzione delle persone.

C'è anche Luxury prêt-à-porter Magazine in una delle opere di Liu Bolin (trovalo!)

La tua tecnica richiede molta pazienza e precisione. Puoi condividere parte del processo creativo che c’è dietro le tue performance?

Dopo aver scelto lo sfondo, solitamente rifletto su dove andrò a posizionarmi e dove guarderò. Quanto dista la fotocamera da me? Come possiamo registrare questo lavoro al meglio? Dopo aver stabilito la mia posizione e la posizione della fotocamera, la composizione è fondamentalmente stabilita. A questo punto comunico con i miei assistenti: qual è il colore dietro di me, come disegnarlo bene, cosa trovare per primo, e come riflettere meglio e velocemente sul mio corpo il colore che si trova dietro di me. Dopo aver parlato con i miei assistenti, il mio compito è quello di stare nella posizione stabilita, non muovermi, così da collaborare con loro e completare il lavoro il più velocemente possibile. Nei miei lavori sono sia il regista che l’attore.

Come reagiscono le persone quando vedono i tuoi lavori dal vivo o nelle fotografie?

Dal 2005 i miei lavori si sono evoluti insieme allo sviluppo della cultura di internet. Inizialmente, la diffusione dei miei lavori sul web o sugli smartphone si è rivelata molto importante per farli comprendere al pubblico. Sia adulti che bambini, tutti adoravano i miei lavori perché erano un po’ come degli indovinelli. Durante il procedimento di osservazione dell’opera, il pubblico si chiede dove si stia nascondendo Liu Bolin. Così si sviluppa un umorismo a sé stante e il pubblico sente una forma di partecipazione con l’opera, riuscendo a godersi i miei lavori all’insegna del buonumore. Non era nelle mie intenzioni, ma sono grato che il pubblico percepisca questo.

Guardando al futuro, hai qualche progetto o idea che ti piacerebbe realizzare o esplorare maggiormente nella tua arte?

Negli ultimi dieci anni mi sono occupato di creazione artistica in tutto il mondo, con scambi e collaborazioni internazionali. A causa della pandemia, molti progetti sono stati cancellati, compresi quelli avrebbero dovuto essere realizzati in Cina.

A seguito del lockdown, ho visto i danni della pandemia su internet e in televisione, il che mi ha portato a pensare alla Terra e al destino degli umani, e tutto ciò ha comportato dei cambiamenti anche nei miei processi creativi. Durante questo periodo, ho realizzato alcuni dipinti virtuali, a olio e sculture, impiegando ad esempio la stampa 3D o la modellazione scannerizzata. Secondo me, la creazione artistica dovrebbe far riferimento ai propri tempi ed esplorare il mondo che la circonda al meglio.

Guarda il video:

DISNEY IN THE DARK

La fabbrica dei sogni ha davvero perso il tocco magico?

La felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo ci si ricorda si accendere la luce. Così Albus Silente recitava di fronte alla platea di studenti di Hogwarts in “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”. E sembra proprio che Disney abbia smarrito non solo la retta via, ma abbia anche dimenticato dove si trova quel magico interruttore.

A100 anni da quel “tutto iniziò con un topo” – era il 16 ottobre 1923 quando Roy e Walt Disney fondarono lo studio di animazione Disney Brothers Studio – a fabbrica dei sogni si ritrova, come altre volte nel corso della sua storia, a far fronte all’ennesima crisi. Negli ultimi quattro anni, infatti, l’impero delle meraviglie ha visto spegnersi quasi del tutto la propria magica scintilla, collezionando un flop dietro l’altro: Red, Soul, Onward, Encanto, Lightyear e poi la ferita più fresca: Elemental. Il film d’animazione che racconta la strana amicizia tra Flam, una ragazzina d’acqua, e l’infuocato Flack è costato 200 milioni di budget (più 100 di marketing), ma a dispetto del ritorno di fiamma recente (con l’arrivo su Disney+) ha incassato soltanto 450 milioni. Decisamente non abbastanza, soprattutto alla luce dello storico deludente. Un tunnel buio a cui neanche Wish, l’ultimo film d’animazione con la nuova eroina Asha, è riuscito a portare un pizzico di luce.

Credit: The Walt Disney Media Center

Nonostante la pellicola fosse un omaggio alla storia secolare dell’azienda, con la protagonista che si ricollega alle eroine delle fiabe disneyiane moderne con riferimenti ai gloriosi personaggi del passato come Peter Pan, alla riscoperta delle radici della filosofia per cui “i sogni son desideri di felicità”, neanche questa volta l’obiettivo di uscire dalla crisi sembra essere stato centrato. L’ultima fiaba Disney ha collezionato infatti l’ennesimo flop al botteghino, con soli 50 milioni di dollari, soprattutto se paragonato a un successo come quello di Frozen II, che nel 2019 ha incassato 288 milioni di dollari, quasi sei volte tanto.

Inoltre, Disney aveva riposto numerose speranze nell’ultima, celebrativa, pellicola; motivo per il quale l’insuccesso ha gettato l’azienda in uno stato di ancor maggiore sconforto. In occasione del centenario, infatti, Wish era stato pensato come biglietto d’oro per uscire dalla crisi, invece ha avvalorato una tesi ormai diffusa: la fabbrica dei sogni sembra aver perso la magia di attirare gli occhi dei bambini e di portare, anche i più grandi, al cinema.

Nel corso della sua storia secolare Disney ha più volte affrontato periodi di crisi, uscendone sempre vincitrice, le attuali difficoltà dell’azienda, tuttavia, sarebbero da imputare a diversi fattori:

da un lato le scelte sbagliate di Bob Chapek, l’ex CEO della Walt Disney, che ha deciso di investire la maggior parte delle risorse nell’espansione dei franchise MCU e Star Wars, e gli errori di distribuzione delle ultime pellicole (soprattutto durante la pandemia) che hanno avvantaggiato la piattaforma Disney+ ai danni della presenza in sala. Dall’altro è evidente come l’azienda fatichi oggi a trovare un equilibrio tra l’intrattenimento e la volontà di veicolare messaggi, sacrificando il primo a favore del secondo con film d’animazione intrisi di pedante paternalismo.

Una forzatura nel voler a tutti i costi infondere messaggi sociali, alla disperata ricerca di essere al passo con la cosiddetta cultura woke, che è costata cara al mondo Disney, surclassato dal dinamismo e dalla riscoperta dei cattivi (che mancano da troppo tempo nei film Disney) del mondo dei videogiochi.

Sembra proprio che la causa dei recenti insuccessi sia da imputare, dunque, non tanto ad una mancanza di creatività come è stato dichiarato più volte –altrimenti titoli del calibro di Frozen non sarebbero venuti alla luce -, bensì alla perdita di quel sano e innocente divertimento che dominava le storiche pellicole Disney, il quale veniva messo al servizio del racconto di fondamentali valori morali e non viceversa, come ha sottolineato il CEO Bob Iger: “Mi piace intrattenere e se si riesce a trasmettere anche dei messaggi positivi e avere un impatto nel mondo, è fantastico. Ma non dovrebbe essere questo l’obiettivo”.

Se è vero che l’interpretazione del presente è racchiusa nella consapevolezza del passato, Disney saprà riscrivere il proprio Rinascimento; anche se ad oggi, l’ultima speranza in seno alla fabbrica dei sogni restano i sequel dei grandi successi come Frozen – di cui sono in lavorazione due sequel – e Inside Out, il cui secondo capitolo arriverà presto nelle sale. “Tutti i sogni possono realizzarsi se si ha il coraggio di inseguirli” diceva Walt Disney. E speriamo che questo monito possa guidare l’azienda alla riscoperta della propria magia.

I TESORI DELLA

TRA MODA, OSPITALITÀ E GASTRONOMIA

Credit: Filippo Piervittori

DELLA VAL D'ORCIA

Immaginatevi un incantevole dipinto di colline ondeggianti e cipressi secolari, ricco di eccellenze che abbracciano la moda, l’ospitalità e la gastronomia. Ebbene, immersa nel cuore della Toscana, nella Val d’Orcia, questa visione diventa realtà. In questo angolo di paradiso si dispiegano tre splendidi tesori, ognuno capace di evocare un’esperienza unica. Qui, un brand di moda innovativo, l’accoglienza raffinata e i sapori unici di una terra tutta da scoprire, vi attendono in un viaggio che arricchisce l’anima e delizia i sensi. Venite con noi a scoprire: Sartoria Toscana, Locanda in Tuscany e Vitaleta.

SARTORIA TOSCANA

Nel cuore della Toscana, tra le colline incantate della Val d’Orcia, nasce Sartoria Toscana, il brand di moda firmato dalla giovane e talentuosa designer Margherita Batelli. Con un occhio rivolto alle proprie radici e l’altro proiettato verso la sostenibilità, questo marchio incarna il perfetto connubio tra eleganza e innovazione sartoriale. Il brand collabora con artigiani locali, creando una filiera cortissima che garantisce qualità e sostenibilità. La produzione di Sartoria Toscana avviene rigorosamente on demand, per ridurre al minimo gli sprechi, e la collezione si arricchisce di un nuovo capo o accessorio ad ogni equinozio e solstizio, scandendo il ritmo delle stagioni. Il bianco è l'elemento distintivo di Sartoria Toscana. Margherita ha infatti creato un guardaroba composto da undici capi total white, ciascuno realizzato su ordinazione per ridurre sprechi e garantire esclusività. Questi abiti, creati con tessuti naturali come cotone e seta sostenibile, sono il perfetto esempio di come sartorialità e sostenibilità possano convivere armoniosamente.

"Sartoria Toscana nasce come un guardaroba di collezione tutto bianco, perché volevo rendere omaggio a mio nonno. Ho questo ricordo molto emozionante di lui, sempre vestito di bianco, anche per andare a fare la spesa", racconta Margherita. Questo guardaroba si rinnova nel tempo, tanto da voler creare anche collezioni di colori diversi, come nel caso di Terra di Siena, il nuovo abito lanciato da Sartoria Toscana, dalle sfumature arancioni, gialle e rosse. Con le sue creazioni, Margherita riesce a trasmettere alle donne a cui si ispira, e a cui parla, un ritrovato potere: creare per loro gli abiti con cui affrontare il mondo, a testa alta.

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IL PROGETTO DOLCEVITA VALDORCIA: LOCANDA IN TUSCANY E VITALETA

In Val d’Orcia, dove il tempo scorre lento e la pace regna sovrana, nasce un progetto ambizioso e affascinante:

Dolcevita Valdorcia. Questa iniziativa di ospitalità diffusa mira a valorizzare e sostenere l'iconico territorio riconosciuto Patrimonio dell'Umanità

UNESCO dal 2004. Si tratta di un cluster di ospitalità situato a Castiglione d’Orcia, il cuore pulsante della valle. Il loro obiettivo è quello di creare un'esperienza autentica e immersiva, che permette ai visitatori di vivere appieno l'atmosfera magica della Val d'Orcia, abbracciando la cultura e le tradizioni locali.

Locanda in Tuscany, il luxury country resort di Claudia Giuliani e Luca Benetti, rappresenta il successo che ha ispirato

Dolcevita Valdorcia. Situato tra Pienza e Bagno Vignoni, il resort è un antico casolare ristrutturato con cura, che offre nove camere e suite, ognuna unica, con accesso a una splendida piscina. La cucina del ristorante Taverna di Mozart, orchestrata dalla cuoca Tina Aigbovo Pinzi, è un'ode alla tradizione toscana, con piatti realizzati con ingredienti locali di stagione. Questo resort incarna perfettamente il concetto di lusso essenziale, dove ogni dettaglio contribuisce a valorizzare il territorio.

Credit: Filippo Piervittori
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Un altro dei gioielli di questo progetto è la Cappella della Madonna di Vitaleta, un luogo iconico e molto amato, incorniciato da cipressi e immerso nella natura. Questa chiesetta, dopo un recente restauro, è tornata a splendere ed è ora disponibile per cerimonie e eventi. Accanto alla cappella, sorge Vitaleta Ristoro, che offre eccellenze toscane e focacce fatte in casa. Qui, i visitatori possono gustare prodotti locali a km zero, sostenendo l'iniziativa Amore Toscano, che promuove artigiani e produttori regionali.

Al piano di sopra, invece, vi attende un'esperienza che coinvolgerà tutti i vostri sensi. Vitaleta Gourmet, infatti, offre ai suoi ospiti non solo sei tavoli esclusivi con vista sulle colline circostanti, ma anche una cucina raffinata e intrigante, tutta da scoprire. I menù degustazione, curati dallo chef Cristiano Milighetti, esaltano gli ingredienti tipici della Toscana, con una cucina della memoria reinterpretata in chiave fine dining che unisce tradizione, ricordi e stimoli sensoriali. Qui vi capiterà di assaggiare ravioli ripieni di cinghiale con tartare di gamberi, rimanendo a bocca aperta. In una forma di sperimentazione sempre rispettosa delle materie prime, in grado di sorprendere e accompagnare l’ospite in un viaggio tra passato e futuro. Vitaleta Gourmet non è solo un ristorante, ma un vero e proprio percorso culinario attraverso la Toscana, dove ogni piatto racconta una storia di tradizione e innovazione, immerso in un ambiente di rara bellezza e charme.

E non finisce qui, perché il progetto Dolcevita Valdorcia guarda al futuro con la riqualificazione dello splendido borgo di Rocca d’Orcia, in cui alcune case sono state trasformate in ville indipendenti, offrendo un soggiorno unico e autentico. L'hotel Rocca d’Orcia, con cinque suite nell'antico castello, regala una vista spettacolare sulla valle e dispone di una piscina in travertino che si sposa magnificamente con il paesaggio circostante. Presso l'hotel, gli ospiti possono gustare una prima colazione servita sulla terrazza panoramica, mentre il Rocca d’Orcia Grill Restaurant offre piatti toscani tradizionali in un ambiente storico e affascinante.

Chef Cristiano Milighetti, toscano di nascita, porta avanti una cucina della memoria, ispirata ai piatti della tradizione e ai ricordi di viaggio. La sua passione per la cucina nasce dalla nonna e dallo zio ristoratore, che lo hanno avviato a questo mondo fin da giovane. Nella cucina di Vitaleta Gourmet, chef Milighetti esprime un forte legame con il territorio, proponendo piatti come i Tortelli ripieni di formaggio guttus e tartufo nero, la Barbabietola con bloody mary e rucola selvatica, e la Guancia di chianina in dolce forte con cipolla di Certaldo.

VALTUR CERVINIA

CRISTALLO SKI RESORT & SPA

Paradiso ad alta quota

Nel cuore delle Alpi, il Grand Hotel Cristallo di Cervinia riapre i battenti con un nuovo nome e un rinnovato splendore: Valtur Cervinia Cristallo Ski Resort. Dopo un restyling imponente, questo storico complesso si trasforma in una struttura all'avanguardia, conservando il fascino del passato e proiettandosi verso un futuro di lusso ed esclusività. Al centro di questo progetto innovativo c'è Valtur (storico marchio del turismo, ora parte del gruppo Nicolaus), con la sua nuova linea di prodotto "Italian Lifestyle Collection". Un connubio perfetto tra tradizione italiana, attenzione al dettaglio, benessere e rispetto per l'ambiente.

Credit: Valtur Cervinia Cristallo Ski Resort

Il resort, situato a 2000 metri di altitudine e a breve distanza dal centro di Cervinia e dal comprensorio sciistico internazionale Matterhorn Ski Paradise, si compone di tre edifici: il corpo centrale Cristallo (5 stelle) e le due dependance Cristallino 1 e 2 (4 stelle).

Una configurazione che permette di soddisfare diverse esigenze, offrendo camere di varie tipologie, dalle romantiche suite del Cristallo alle familiari e tematiche stanze del Cristallino.

Gli interni, curati dallo studio di architettura milanese STP, sono un'ode al design italiano. Linee essenziali, materiali pregiati e colori caldi si fondono armoniosamente, creando un'atmosfera accogliente e raffinata. Un vero e proprio rifugio di relax e benessere, dove ogni dettaglio è pensato per il comfort degli ospiti. Al Valtur Cervinia Cristallo Ski Resort, infatti, ogni desiderio diventa realtà. Due ristoranti, un bistrot gourmet, due bar, campi da padel e una pista di pattinaggio su ghiaccio sono solo alcuni dei servizi a disposizione degli ospiti. Per gli amanti del relax, poi, la SPA "Miele" offre percorsi benessere personalizzati e una palestra attrezzata con i migliori macchinari. E per gli sciatori più esigenti, una ski room by Rossignol con noleggio e deposito sci e scarponi.

Ovviamente, l’accesso alle piste è “sci ai piedi”, grazie ad un funzionale tapis roulant che parte direttamente dal resort. Imperdibile anche la Terrazza Cervino, che con i suoi spazi esterni accoglienti e riscaldati è perfetta per rilassarsi ammirando il panorama alpino.

Non da meno è l’esperienza gastronomica, variegata e pensata per soddisfare tutti i gusti: dal ristorante centrale “Gargantua”, che propone ogni sera un’abbondante cena a buffet con specialità italiane e valdostane, si passa al più ricercato ristorante à la carte “Gou”, con la firma dello chef Cristian Iommetti, che con piatti ricercati e materie prime d’eccellenza conduce l’ospite in un vero e proprio viaggio culinario alla scoperta del Belpaese. Per un dopo cena non banale, poi, Valtur offre una variegata gamma di intrattenimento con serate a tema e una mixology d’eccellenza, per gustare un ottimo cocktail nel Lounge Bar “Bolla”.

Valtur Cervinia Cristallo Ski Resort rappresenta una nuova era per il turismo alpino, dove lusso, comfort e innovazione si incontrano per offrire una vacanza indimenticabile. Un rifugio di benessere e piacere nel cuore delle Alpi, dove ogni ospite può trovare la propria dimensione ideale.

LA MODA SI FA ETICA (E GIOVANE)

Così

il sistema promuove una svolta sostenibile e supporta i nuovi talenti

La moda può essere un veicolo di cambiamento positivo? Sembra proprio di sì. Nel cuore pulsante della moda globale, infatti, è in corso una rivoluzione senza precedenti. Mentre le passerelle si illuminano con la creatività di designers visionari, e le boutique sfoggiano le ultime tendenze, c'è una sottile metamorfosi che si sta facendo strada attraverso il tessuto dell'industria mondiale: la moda sostenibile.

Da Londra a Milano, le istituzioni di moda più prestigiose del mondo stanno abbracciando un nuovo mantra: dare alla moda un cuore ancora più green. La Jimmy Choo Academy (JCA) situata a Mayfair nel centro di Londra, e l'Istituto Marangoni con sede a Milano, stanno conducendo la carica, spingendo i confini della creatività verso un futuro più luminoso e sostenibile.

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Credit: Polly McKevitt Collection / JCA London

JCA LONDON

Nel cuore di Londra, la Jimmy Choo Academy si erge come una fonte di ispirazione e speranza per gli aspiranti designer. Fondata nel 2021 da icone dell'industria, questa non è solo un’accademia. Si tratta di un faro di creatività sostenibile. I creatori della JCA sono Jimmy Choo OBE, il CEO Stephen Smith, e Ha Smith, direttrice dell’incubazione che offre ai laureati il vantaggio di accedere a strutture specializzate. Non si tratta di una semplice scuola, ma di un catalizzatore per il cambiamento, un invito a unirsi a un viaggio verso un futuro più consapevole e responsabile.

Stephen Smith, CEO della JCA, condivide questa visione con un fervore contagioso. Per lui, l'Accademia è molto più di un'aula; è un luogo dove l'eccellenza e l'innovazione si incontrano in un abbraccio appassionato. Ogni studente per lui non è solo un partecipante, ma un potenziale pioniere della moda sostenibile, al quale l’Academy dà un prezioso riconoscimento, seguendolo in modo individuale e personalizzato.

Sul futuro della moda, Smith dice: “Penso che ci sarà una necessità continua e intensificata di design sostenibile e pratiche industriali sostenibili. Ho visto molti miglioramenti negli ultimi 10-15 anni, ma c'è ancora molto lavoro da fare. Sono molto orgoglioso che tanti dei nostri giovani designer abbiano la sostenibilità come valore fondamentale del loro marchio".

Grazie al prezioso impegno dell’Academy, numerosi studenti hanno già lanciato progetti di successo, dimostrando che la moda può essere non solo esteticamente accattivante, ma anche responsabile. Sette talenti emergenti presentati lo scorso ottobre durante la prima graduation della JCA, rappresentano l'apice di questa visione audace. Ognuno ha portato con sé una nuova voce nel mondo della moda, ma soprattutto una sensibilità unica per la sostenibilità.

Il 12 ottobre 2023, nel cuore di Mayfair, durante la London Frieze Week, la Jimmy Choo Academy (JCA) di Londra ha accolto un evento senza precedenti. I sette talentuosi designer, freschi di diploma in "Fashion Entrepreneurship in Design and Brand Innovation", hanno presentato durante la graduation le loro opere nel sontuoso JCA's Grade I Period Building, offrendo agli ospiti un'esplorazione nel futuro della moda sostenibile.

I sette designer emergenti hanno forgiato le loro collezioni con un'attenzione scrupolosa alla sostenibilità, all'innovazione e all'inclusività, ciascuno portando un'interpretazione unica del concetto di moda responsabile e sostenibile.

I DESIGNER

Polly McKevitt, che dà il nome al proprio marchio, ha incantato con un design all'avanguardia che celebra l'individualità attraverso dettagli crochet e audaci applicazioni.

Olivia Black, altrettanto geniale, ha integrato la sostenibilità nei suoi design senza genere, utilizzando materiali riciclati e deadstock per creare pezzi distintivi.

Mariam Saeed, con la sua etichetta Location-em, fonde il moderno con l'etico, creando abiti per le occasioni speciali che abbracciano la modestia con uno stile senza tempo.

Saleha Hussain, la mente dietro Yasmin, ridefinisce lo streetwear di lusso con una prospettiva di moda modesta e contemporanea, abbracciando pratiche etiche e sostenibili.

Rocio Sánchez, con le sue creazioni, invita le donne a celebrare la loro unicità, ponendo al centro la sostenibilità e l'inclusività.

Meryem Bertal, con il brand Unbound, unisce danza e moda con materiali innovativi che promettono comfort e durabilità, reinventando l'abbigliamento da ballo per tutti i generi.

Aaiyma Masoud, fondatrice dell’AAIYMA Creative Studio, esplora l'arte e la tecnica, ispirandosi a forme geometriche e tridimensionali che vengono declinate in straordinarie scelte sartoriali.

CIRCULAR DESIGN CHALLENGE

A Milano, l'Istituto Marangoni rappresenta l'eccellenza nel mondo del fashion e design. Con radici profondamente intrecciate nel tessuto della moda italiana, è molto più di una semplice scuola. È un luogo dove le menti brillanti e gli spiriti più audaci si riuniscono per plasmare il futuro della moda con passione, dedizione e un tocco di magia. Qui, gli studenti non sono solo apprendisti, ma veri poeti dell'estetica e creatori di glamour. Ogni cucitura, ogni dettaglio, è un'ode alla bellezza, una dichiarazione d'ciramore alla creatività e all'innovazione. Ora, oltre alla ricerca della perfezione estetica, Marangoni abbraccia la nuova sfida fondamentale dell’industria della moda: la sostenibilità. In questo percorso verso un futuro più luminoso e sostenibile, l'Istituto Marangoni non solo forma designer, ma coltiva visionari che, con il loro lavoro, celebrano l'armonia tra estetica e responsabilità.

I FINALISTI

Xu Wenyan , con le sue soluzioni circolari, utilizza tessuti vintage scartati per creare nuovi capi, riducendo lo spreco di risorse e ricostruendo l'idea di 'moda' attraverso il 'riprogettare'.

Katherine Scheel , fondatrice di Pi Yei, ridefinisce il comfort e la sostenibilità nell'abbigliamento da notte con materiali riciclati ed eco-tessuti, puntando alla neutralità carbonica entro il 2050.

Leyla Babayeva crea prodotti artigianali sostenibili utilizzando materiali eco-consapevoli, intrecciando l'arte e la sostenibilità per ridurre l'impronta ecologica.

Edurne Goikoetxea , con “AZERO” applica tecniche zero waste per minimizzare gli sprechi tessili e promuovere la sostenibilità con materiali riciclati e tecnologia avanzata.

Attraverso la Circular Design Challenge, in collaborazione con R|Elan™ e le Nazioni Unite, l’Istituto si impegna a promuovere il talento emergente e a incoraggiare soluzioni innovative per ridurre gli sprechi e rafforzare la sostenibilità nell'industria della moda. Questa collaborazione è un passo significativo verso la costruzione di un futuro più sostenibile. Il CDC non è solo una competizione; è un'opportunità per i designer di mostrare il loro impegno per un futuro più verde e responsabile. I finalisti si distinguono per la loro visione unica e innovativa, dimostrando che la moda sostenibile non è solo possibile, ma anche straordinariamente creativa. La loro passione e il loro talento non sono solo un tributo alla moda, ma un contributo essenziale per un domani più consapevole e rispettoso del nostro pianeta.

Credit: R|Elan Circular Design Challenge (CDC)

La vincitrice Xu Wenyan

Tra questi, il 7 giugno 2024, Xu Wenyan è stata incoronata vincitrice dell'Incontro della Giuria

UE del prestigioso R|Elan Circular Design Challenge (CDC). Questo riconoscimento celebra la sua straordinaria visione, che ha incantato tutti con creazioni innovative, realizzate utilizzando tessuti vintage scartati per dar loro nuova vita, riducendo lo spreco di risorse. Parlando infine dell'impegno di Reliance Industries verso la sostenibilità, il signor Hemant D. Sharma, Responsabile SettorePoliestere, RIL, condivide la visione audace che guida il CDC, in collaborazione con l’Istituto Marangoni:“Il R|Elan Circular Design Challenge è un esempio del nostro impegno a promuovere l'innovazione e la circolarità nell'industria della moda".

La vincitrice Xu Wenyan si unirà ai vincitori degli incontri della giuria del Regno Unito, dell'APAC e dell'India, per la finale che si

terrà durante la Lakmé Fashion Week in collaborazione con il Fashion Design Council of India, nell'ottobre 2024. Questa finale rappresenterà una vetrina globale per il talento e la sostenibilità, unendo creativi da tutto il mondo per presentare soluzioni visionarie, in grado di trasformare l'industria della moda verso un futuro più verde e responsabile. Mentre ci avventuriamo verso un futuro che su tanti aspetti è incerto, una cosa è chiara: la moda sostenibile non è solo un'opzione, ma una necessità. Attraverso l'innovazione e l'impegno, istituti come la Jimmy Choo Academy e l'Istituto Marangoni stanno guidando la carica verso un mondo più verde e responsabile. Dall'eleganza senza tempo alla creatività audace, la sostenibilità è il nuovo paradigma della bellezza.

La vincitrice Xu Wenyan con la Giuria UE

EDEN ROC DI ASCONA Il suggestivo incanto del lago

Cosa c’è di meglio di concedersi un rilassante weekend fuori porta? Soprattutto per chi vive in città, è fondamentale ritagliarsi alcuni momenti di relax lontani dal caos metropolitano. Sulle sponde del Lago Maggiore, nel cuore del Canton Ticino, abbiamo trovato il luogo che fa per voi: è l’Hotel Eden Roc di Ascona, una struttura di assoluta pace e tranquillità. Qui potrete rilassarvi nell’ampia area Spa, concedervi una romantica passeggiata sul lungolago oppure gustarvi un buon cocktail sulla splendida terrazza affacciata sull’acqua. L’Hotel a 5 stelle è curato nei minimi dettagli: dalle suite arredate con gusto giocando con stampe e colori, alla terrazza tutta declinata nei toni del blu.

A questo si aggiunge un servizio attento e cortese, perfettamente in grado di rispondere ad ogni esigenza del cliente: dall’accoglienza al check out, all’Eden Roc Marina vi sentirete sempre i protagonisti di un’esperienza in cui nulla viene lasciato al caso. Non stupisce infatti vedere quanti dei clienti siano in realtà habitué provenienti da ogni parte della Svizzera, e non solo, ormai da diversi anni.

Credit: Eden Roc Ascona

Credit: Eden Roc Ascona / Beatrice Anfossi

Che dire poi delle esperienze collaterali, a partire dall’ottima cucina declinata in ben quattro ristoranti: La Brezza, due stelle Michelin, guidata dallo chef Marco Campanella; La Casetta, un luogo storico – lì, si dice, siano stati discussi segretamente i termini per l’armistizio della Seconda Guerra Mondiale – in cui gustare specialità locali o del buon pesce fresco; l’Eden Roc, per una cena classica ma con un twist di gusto e infine il ristorante Marina, perfetto per un light lunch o per una cena informale. E se del buon cibo non bastasse, l’Eden Roc Marina mette a disposizione dei suoi clienti anche svariate attività all’aria aperta, nell’ambito dell’iniziativa Moving Mountains, un programma olistico che offre percorsi personalizzabili in base alle richieste di ogni ospite, basato su cinque pilastri: muoversi, giocare, nutrirsi, riposare, dare. Per l’estate, ad esempio, sono previste una serie di avventure su misura, come l’escursione all’alba fino al punto panoramico di Balladrüm, con vista mozzafiato sul sole che sorge; o il tour in bicicletta per scoprire il Ticino su due ruote. Finché le temperature lo consentono, invece, imperdibile l’esperienza Sauna meets Lake, con l’Aufguss seguito da un tuffo nelle fredde acque del lago e poi una squisita zuppa degustata intorno al falò. Non possiamo esimerci, infine, dal fare una menzione d’onore ai cocktail paradisiaci serviti nella lounge dell’Hotel Eden Roc, a cura del bar manager Leo Zoccali. Grazie ad un esperienza maturata soprattutto nell’ambiente della mixology londinese, Leo sarà in grado di condurvi in un vero e proprio viaggio fatto di accostamenti inaspettati e sapori equilibrati. Uno su tutti, tra i suoi signature drinks, The Taming of the Shrew, con zafferano e passion fruit. Da provare, per poi pensarci per il resto dell’anno.

Guarda il video:

DINING D'ECCELLENZA

Particolare

Milano

Nel cuore di Milano, un angolo di paradiso in cui fuggire dal caos metropolitano. Particolare propone una cucina mediterranea mai banale, che sa giocare con la creatività senza snaturare le materie prime. Il menù cambia spesso, per tenere il ritmo delle stagioni e, soprattutto, dell'estro dello chef. Nota di merito alla selezione dei vini, magistralmente presentata dal maitre e sommelier Luca Beretta.

www.particolaremilano.com

L'Acciuga Perugia

Una stella Michelin e uno spazio rinato come la Fenice dalle sue ceneri. L'Acciuga è una tappa imperdibile per chiunque passi dalle parti di Perugia: la cucina è divertente e scanzonata, con una grande attenzione alla valorizzazione delle materie prime, soprattutto quelle vegetali.

www.lacciuga.net

Ricci Osteria

Milano

Il luogo perfetto per vivere la Puglia a Milano: dalle orecchiette fatte al coltello ogni giorno agli spiedini di bombette di capocollo di maiale, potrete chiudere gli occhi e fare finta di essere al mare. L'atmosfera, autentica e genuina, fa da contorno a una cucina concreta e sincera, che rispetta le materie prime (rigorosamente pugliesi!).

ricciosteria.it

Hostaria Bacanera

Venezia

Un indirizzo da non perdere tra le calli del quartiere Cannareggio a Venezia, L’Hostaria Bacanera, affacciata in un piccolo campiello appartato a due passi dal ponte di Rialto è un luogo antico che diventa contemporaneo, grazie ad un’idea di cucina mai banale. Il menù è prevalentemente di pesce (nota di merito per le ostriche, italiane e francesi), ma non mancano sfiziosi piatti a base di carne.

bacanera.it

NUMERO NOVE FINE

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