2 minute read
MARIO
Tu sei figlio dell’analogico, che cos’è cambiato nella fotografia con il passaggio al digitale?
Tantissimo. È svanita la magia di quando la foto era più sfumata, meno piatta e soprattutto generava attesa: per scoprire se le immagini fossero venute bene dovevi aspettare il giorno dopo.
Advertisement
C’erano dei rituali.
Sì, era quasi un rito. C’erano il fotografo e la macchina fotografica, si parlava di obiettivi e profondità di campo. Oggi c’è un computer, e poi si parla di ritocco e Photoshop.
E la fotografia di moda oggi?
È un po’ confusa.
Ha perso la sua identità?
Non so, io non voglio esagerare. Però sento che dalla scomparsa di Franca Sozzani sono cambiate tante cose, soprattutto nell’immagine. Io l’ho amata e odiata, però lei ha davvero dettato legge per l’arte. Un po’ come Gianni Versace, con la loro morte è cambiato tutto.
Possiamo dire che gli opinion leader hanno perso il loro peso culturale?
Oggi chi ci vuole influenzare in realtà non ha nulla da dire.
Sono d'accordo, e mi sconvolge vedere giovani fotografi che non conoscono i grandi classici della cultura e dell'arte. Ad esempio, la mia assistente non conosceva Anna Magnani. Prima di prendere una macchina in mano dovrebbero andare a Firenze e visitare tutti i musei. Anche io ho imparato così: ad esempio Aldo Fallai mi ha insegnato a conoscere Caravaggio; ora lo amo, perché le sue opere sono come fotografie. I giovani di oggi hanno perso la cultura, io vedo soltanto una grandissima confusione.
Pensi che la tecnologia abbia influito su questa deriva?
Sì, ha ridotto la curiosità, il sogno. I miei maestri mi hanno insegnato a cogliere l’attimo, perché la fotografia è l’unico mezzo che può fermare il tempo. Per questo non amo la fotografia programmata. Con me le donne devono saltare, ridere, urlare. E poi un tempo si facevano cose pazzesche: pensa all’editoriale “Water & Oil” voluto da Franca Sozzani. Noi aspettavamo con trepidazione ogni mese il giorno in cui sarebbe uscito Vogue, c’erano foto meravigliose.
Oggi sembra che manchino le idee, i contenuti.
È così, però è anche vero che è già stato fatto tanto. Oggi la difficoltà sta nel proporre cose nuove. La moda, nel momento in cui metti il marchio sulle scarpe, non è più moda, è solo marketing. Non si parla più di passamaneria, di tessuti. E questo si riflette nelle immagini. Secondo me sì. È vero che dobbiamo stare al passo con i tempi, però ora sono tutti fotografi, tutti truccatori, tutti parrucchieri. Lo sono tutti e quindi non lo è più nessuno.
Secondo te, i social media hanno influito su questo appiattimento?
Tu però hai anche saputo interpretare la tecnologia, ad esempio con il progetto della videoproiezione.
La videoproiezione è stata una mia idea. Ho provato prima con alcune luci cinesi che giravano, poi ho capito che con la proiezione potevo raccontare qualcosa. Così è nato il progetto con l’artista che vedete in apertura, Chiara Bonalumi.
C’è qualche personaggio in particolare che ti piacerebbe ritrarre?
Ce ne sono tanti, non ho una vera e propria mitologia del personaggio. Del passato, Anna Magnani. Oggi mi piacerebbe fotografare tutti, anche il Presidente degli Stati Uniti, se dovesse capitare.
E dei giovani fotografi che cosa pensi?
Io credo che con il digitale venga davvero fuori chi ha talento e chi non ce l’ha: in tutto lo staff, dallo styling al trucco. Oggi tutti vogliono fare questo lavoro, ma non è per chiunque. Ha a che fare con il talento, che è una cosa che hai dentro. Bisogna avere occhio.