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Upendo Vibes

di Sara Radegonda

Due cuori e un van

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L’insofferenza per l’impossibilità di vivere a pieno il loro amore ha spinto Jamie e Sandra a cambiare drasticamente la propria vita. Dall’insoddisfazione, dalla distanza e da una vita vissuta solo a metà è nato

UpendoVibes, il progetto di due giovani che, dopo quasi dieci anni d’amore, hanno deciso di abbandonare le reciproche vite per lanciarsi nell’avventura della vita on the road.

Jamie è un videomaker e fotografo molto noto nell'ambiente musicale, lei, Sandra, una fotografa e content creator.

Come è nata l’idea di abbandonare la vita di tutti i giorni per lanciarsi verso l’ignoto?

È nata da un desiderio di cambiamento. Quattro anni fa Jamie abitava a Milano e io vivevo ancora a La Spezia; ci vedevamo una volta al mese, sentivamo la necessità di fare qualcosa per il nostro rapporto, che non stava andando troppo bene. A entrambi piaceva molto viaggiare, quindi un giorno Jamie mi ha detto: “Mandiamo a fanculo tutto, prendiamo una Jeep e vendiamo corsi di fotografia itineranti”. L’idea iniziale, embrionale, era quella; da lì è partito tutto. Dopo aver preso in considerazione mille soluzioni, alla fine è arrivata l’idea di comprare un van. L’abbiamo cercato tanto e, nell’estate del 2017, abbiamo trovato Djambo. E così tutto ha avuto finalmente inizio: ha preso forma l’idea di fare dei viaggi, di provare a collaborare con aziende, di cercare gli sponsor. Sono partite milioni di mail a profusione, fortunatamente qualcuno lo abbiamo trovato e siamo riusciti ad avviare il nostro progetto. L’obiettivo rimane quello di far diventare la nostra vita un viaggio. Infatti, negli ultimi mesi che siamo stati costretti a casa rischiavamo d'impazzire.

Credit: Upendo Vibes #upendovibes | @upendovibes www.upendovibes.com

Da dove nasce il nome UpendoVibes?

Abbiamo pensato tanto al nome, e ad un certo punto mi sono messa a fare un po’ di traduzioni in zuahili, che è la lingua parlata in Kenya (paese di origine del padre di Jamie). Ho cercato alcune parole e tra queste c’era anche amore, perché in fin dei conti alla base di questo progetto c’è la voglia di stare insieme. Pensandoci bene, la nostra prima convivenza l’abbiamo fatta su Djambo; abbiamo deciso di lanciarci in questa avventura senza mai aver vissuto insieme, se non qualche weekend a Milano. Tant’è che siamo partiti dicendo “se sopravviviamo a questa, è amore vero”. Quindi ho tradotto la parola “amore” e mi piaceva molto come suonava “upendo”, poi ci abbiamo aggiunto “vibes” per un discorso di orecchiabilità. Sono nate queste “vibrazioni d’amore” che rendono perfettamente l’idea. In uno dei primi post in cui abbiamo raccontato questa cosa, molti ci hanno fatto notare che “upendo” ricorda anche l’espressione “up and down”, ovvero gli alti e bassi che sono parte dei rapporti di coppia; quindi tutto torna alla fine.

Le mete le scegliete voi oppure programmate i viaggi in base alle richieste degli sponsor?

Fortunatamente le abbiamo sempre scelte noi, perché agli sponsor bastano foto in contesti fighi e, in realtà, ovunque tu vada trovi dei luoghi altamente fotografabili. Siamo riusciti sempre noi a scegliere dove andare. Magari ci dicessero dove andare, vorrebbe dire che ci pagano per farlo, fino ad ora non è stato così. Il viaggio del cuore?

Sandra: Per me, senza dubbio, la Patagonia. Jamie: Io sono indeciso tra l’Europa con il furgoncino e la Patagonia. Il viaggio con il furgoncino in Europa è stato il primo “viaggione” di questo progetto; emozione pura, soprattutto di fronte all’aurora boreale a cui abbiamo assistito in Norvegia. In Patagonia invece non c’era Djambo, ma è stata lo stesso un’esperienza unica: panorami che toglievano il fiato e il nostro ambiente preferito, la montagna. Tutto era molto dinamico, si passava in poco tempo dalla montagna al deserto, dall’estate all’inverno, quindi è stato nel complesso molto variegato. In Asia, invece, forse complice la pandemia, non abbiamo trovato panorami che ci facessero dire: “Oddio che bello vorrei rimanere qui per sempre”.

Credit: Upendo Vibes #upendovibes | @upendovibes www.upendovibes.com

Quali difficoltà si possono incontrare in queste tipologie di viaggi?

Per quanto riguarda i viaggi in van sicuramente quelle legate ai problemi meccanici del mezzo stesso. Prima di partire per la Norvegia, tutti ci avevano raccomandato di stare attenti, perché se si fosse rotto qualcosa lì sarebbe stato un disastro a livello di costi. E, ironia della sorte, appena messo piede in Norvegia si è rotto l’ammortizzatore. Gli inconvenienti sono stati il leit motiv di tutto il mese in cui siamo stati lì, perché ogni settimana si rompeva un pezzo di Djambo. Però siamo stati fortunatissimi ad aver trovato dei ragazzi appassionati di Volkswagen t3 (che è il nostro van) che ci hanno ospitato, ci hanno riparato il van e non hanno voluto nulla in cambio. È stata una cosa stupenda. Sempre in Norvegia ci siamo anche ribaltati su un fianco, abbiamo rischiato grosso. In tempo di pandemia invece abbiamo avuto diversi problemi nell’essere accettati dagli alberghi in quanto occidentali. Gli italiani in particolare hanno iniziato ad essere mal visti quando eravamo in Vietnam: a quel punto abbiamo iniziato a fingere di essere tedeschi, francesi o spagnoli. Non avete mai pensato, in occasione di una situazione difficile, di voler tornare a casa?

Mai, neanche ora con la pandemia. Ci abbiamo messo due settimane a decidere se tornare in Italia o restare in Asia. Saremmo voluti restare su un’isoletta della Cambogia, poi invece abbiamo fatto l’errore dell’anno: nel tempo che abbiamo impiegato a tornare a casa (tra ambasciate e ritardi), sull’isola era tornato tutto normale, lockdown finito e tutti felici in giro per la Cambogia. Noi chiusi in casa in Italia.

Credit: Upendo Vibes #upendovibes | @upendovibes www.upendovibes.com

Quest’estate avete deciso di intraprendere un viaggio tutto italiano, che fa parte di un progetto un po’ più grande che si chiama “Cambiare vita”, in che cosa consiste?

Cambiare vita ci rappresenta in pieno, perché parla proprio della nostra esperienza. L’idea è quella di creare una serie che parli di persone che hanno dato una svolta alla propria vita - chi in piccolo chi in grande - o chi ha scelto di intraprendere la strada della felicità, perché non era soddisfatto prima. Quindi, per iniziare, abbiamo incontrato un po’ di persone che hanno scelto di intraprendere un percorso di vita diverso e le abbiamo intervistate. Con Cambio vita vogliamo raccontare non tanto la nostra avventura, ma le storie degli altri.

La prossima meta importante?

Probabilmente ora saremmo già partiti per il Kenya. È un viaggio che abbiamo fatto nel 2011, perché Jamie ha tutta la famiglia là. È tanto che non andiamo, perciò partiremo il prima possibile indipendentemente dal clima, monsonico o meno. Il primo vero progetto di lavoro sarà invece la continuazione di “Cambiare vita”; vogliamo vedere se riusciamo ad andare a Berlino oppure a intervistare alcuni ragazzi che attualmente sono in Sardegna.

Direi di no. Vivevamo separati e il nostro rapporto non procedeva benissimo. Lui viveva a Milano e mi chiedeva di trasferirmi lì, io non volevo assolutamente andarci: alla fine questo è stato un buon compromesso. Non rimpiango nulla di quel periodo, preferisco mille volte questa vita. L’abbiamo scelta, non possiamo che esserne contenti.

Non vi manca mai la vecchia vita? Come vi gestite con le attrezzature soprattutto durante i viaggi zaino in spalla?

Quando siamo partiti la prima volta in Europa con Djambo avevamo più spazio, quindi ci siamo ritrovati ad avere attrezzatura da vendere, anche troppa. Valige di attrezzature che non abbiamo mai usato e, in questo, l’essere troppo professionisti è un’arma a doppio taglio. Invece, nei viaggi zaino in spalla - come abbiamo fatto in Asia o in Argentina - devi selezionare accuratamente tutto quello che ti porti, deve essere essenziale a livelli esagerati. Hai quello zaino per i due mesi di viaggio, non c’è spazio per comprare nulla. Ora che eravamo in giro per l’Italia per girare la prima parte del progetto “Cambiare vita” abbiamo trovato finalmente la formula giusta: abbiamo creato tutta la parte di video, stile vlog, arrangiandoci con il minimo indispensabile, pur riuscendo a mantenere una qualità alta.

Voi partite da un background come fotografi professionisti e videomaker, secondo voi quanto ha aiutato questa componente nel reportage dei viaggi o nello sviluppare i progetti?

In realtà lo può fare chiunque, è sufficiente avere un minimo di inventiva e forza di volontà. Oggi ci sono cellulari che fanno foto pazzesche e abbiamo visto che tante persone che hanno successo in questo campo, pur non utilizzando mezzi ricercati, hanno comunque un bellissimo profilo. Paradossalmente il mondo social finisce per penalizzare noi professionisti, che abbiamo un prodotto molto valido ma non sufficientemente ripagato. Ad oggi siamo in un limbo e dobbiamo realmente decidere la strada da intraprendere: se continuare a fare le cose da youtuber, quindi mantenendo un profilo basso ma con una serie di tecnicismi che ti aiutano, oppure puntare al lato più professionale e di qualità. In ogni caso, l’essere inseriti nel settore ci ha aiutato in molte cose: tanti ad esempio ci scrivono per sapere quale camera o programmi di editing usiamo. Noi abbiamo semplicemente preso quello che sapevamo già fare e lo abbiamo sfruttato per partire con il piede giusto. Qual è il viaggio della vita che, prima o poi, vorreste fare?

Jamie vorrebbe andare in Nepal, però a me mettono ansia il freddo e la fatica. Io vorrei vedere i gorilla e visitare meglio l’Africa, perché per ora abbiamo visto solo il Kenya. Vorrei anche andare in Namibia e in Antartide, sarebbe bello trovare qualcuno da intervistare che ha cambiato vita ed è andato a vivere là. Quando eravamo in Argentina, avevamo guardato come raggiungere l’Antartide, però costava veramente troppo. Bisognerebbe trovare una collaborazione per poterci andare, per le persone “normali” è un viaggio impensabile.

E Djambo?

L’idea è risistemare Djambo per far sì che si possa, non dico viverci, ma avere un’autonomia maggiore. In modo che realmente se vogliamo stare in giro cinque mesi per intervistare le persone possiamo farlo. Ad oggi mancano ancora molte piccole cose che ti facilitano la vita: non c’è la doccia ad esempio, d’estate non è un problema, ma d’inverno è infattibile. Quindi il progetto è di attrezzarlo per poter vivere realmente on the road.

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