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Una serie di fortunati eventi

Intervista a Simone Ciaruffoli, fondatore di Burgez

di Sara Radegonda

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"Ad un certo punto della mia vita decido di partire per New York alla ricerca di un lavoro. Mi imbarco clandestinamente su una nave e una volta raggiunta cambio idea e torno in Italia pensando di aprire un hamburgeria. Diciamo un fast food di qualità, ma pur sempre un fast food”. Così inizia, nel 2015, l’avventura imprenditoriale di Simone Ciaruffoli, che la mia meta, mentre cammino grazie a una serie di fortunati eventi ha per le strade della città, incontro un senzatetto. realizzato il primo di tanti sogni: Burgez, un Dopo aver scambiato qualche parola, lui fast food tutto italiano. mi regala un piccolo diario che conservava Ciaruffoli ha voluto raccontare l'incredibile nelle tasche da una vita, donatogli molto storia di Burgez nel suo libro "Il vangelo tempo prima dai genitori. In questo diario era secondo Burgez", edito da Mondadori. Qui custodita la famosa ricetta dell’hamburger. si ripercorrono, fin dalle origini, tutte le Se ero partito per New York con l’idea di vicissitudini e le tappe di una burocrazia sfondare nel mondo della creatività e del spesso ostile, spiega Simone, in cui marketing, dal quale venivo, a quel punto gli ostacoli maggiori sopraggiungono

soprattutto per un'impostazione di marketing sicuramente originale, nata con un intento dichiaratamente provocatorio. Una provocazione però non fine a se stessa, bensì volta a sostenere una strategia di comunicazione proiettata nella contemporaneità, massicciamente presente sui social e molto focalizzata sulla cura dell’immagine stessa del brand. Un insieme di competenze che derivano dal background lavorativo del fondatore, che dopo un’esperienza di scrittura per la televisione (in cui firma la sceneggiatura di programmi come "Camera Caffè") diventa direttore creativo e editoriale, lavorando con Ford, Adidas e altre importanti aziende. Il marketing di Burgez rispecchia, non a caso, una visione ampia e approfondita del settore, insieme alla parallela volontà di dare vita a qualcosa di nuovo. "Quello che mi interessava creare era un fast food a cui legare una comunicazione diversa. Avrei agito nello stesso identico modo, anche se invece di fare hamburger avessi fatto bulloni o carta vetrata. L’obiettivo era svecchiare un sistema per molti versi fermo a diversi anni fa” racconta Ciaruffoli. Ciò che distingue Burgez dalla concorrenza è il ruolo centrale riservato ai clienti: “Noi facciamo una cosa simpatica: non creiamo contenuti ex novo, ma usiamo quelli realizzati dagli utenti. Siamo stati i primi a farlo nel 2015, allora perché non avevamo soldi per pagare la creatività, e poi non abbiamo più smesso”. Un sistema che mette al primo posto l’autenticità e sceglie di “snobbare” consapevolmente l’influencer marketing: "L’influencer è semplicemente una persona che fa pubblicità a un prodotto, niente di più. Oggi sponsorizza il tuo panino, può essere che il giorno dopo promuova quello di un competitor. L’affezione al brand non esiste. Quella la trasmettono soltanto i clienti. Un cliente che si fa una foto mentre mangia il tuo hamburger vale cento mila influencer. E questa è una cosa che pochi brand hanno capito”.

Un business che punta tutto sull’autenticità, sapendo sfruttare i canali del mondo contemporaneo. Eppure, nonostante la vena avanguardistica, Simone sceglie di affidare i propri pensieri non al web, ma alle pagine di un libro. “Io credo molto in quello che viene definito out of home o offline, ovvero tutto ciò che non è web”, spiega Ciaruffoli, “non a caso noi di Burgez puntiamo molto sull’advertising su strada. Per tre mesi un tram ha girato per Milano con un manifesto che affermava che l’hamburger di Burgez fosse il più schifoso di tutti. Scriverlo in un post su Instagram sarebbe stato forte, ma farlo comparire ogni giorno sotto gli occhi dei milanesi è stato decisamente più impattante”. D’altronde, la caratteristica distintiva del brand è proprio una forma di guerrilla marketing aggressiva e sfacciata. L’ultima provocazione è arrivata con la campagna di apertura del nuovo locale a Monza, con cui Burgez è arrivato a quota undici store in giro per l’Italia. Sulle vetrine di un locale in ristrutturazione sono apparsi i manifesti con il marchio “Burghy” – la catena di fast food che per prima portò in Italia, più precisamente in piazza San Babila a Milano, hamburger e patatine – accompagnato dalla scritta “Stiamo tornando”. Una campagna che ha fatto sognare i nostalgici degli anni Ottanta, ma che in realtà, non era che l’ultima trovata di marketing firmata Burgez. Simone ha ora davanti agli occhi solo le possibilità del futuro, ma se dovesse voltarsi per un istante indietro a riguardare il suo percorso, al sé del passato direbbe “che sta facendo bene, ma di dormire un po’ di più la notte”. E a chi si trova in difficoltà che “se non incontra ostacoli non sta facendo probabilmente una cosa importante”. Così Simone Ciaruffoli ci insegna che oggi come ieri, per fare tendenza, bisogna lasciare in qualche modo il segno.

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