Euro 7 | N.01 | A.2019
LUSSO WINTER EDITION 2019/2020
DA N I LO GA LLI N A RI / B A S K E T B A L L PL AYE R - NBA S TAR
EDITORIAL
L'
evoluzione dei media ci porta sempre più spesso ad assistere alla completa digitalizzazione di testate giornalistiche cartacee che negli anni sono state un punto di riferimento per molte persone. La tecnologia non si può fermare e ancor meno il mercato; eppure quando ritroviamo, quasi per magia, dischi musicali in vendita negli innumerevoli negozi delle nostre città, pochi di noi ricordano che fino a un paio di anni fa di fabbriche produttrici di vinili ne erano rimaste attive al mondo meno di una manciata. L'evoluzione, a quanto pare, non è una linea retta, ma disegna strane curve e il gusto degli individui non si misura solo in qualità e quantità di bit. Luxury prêt à porter è un media che potremmo definire “nativo digitale”, figlio di un genitore (la nostra testata Rumors.it) che a sua volta ha attraversato tutte le epoche del web, essendo stata fondata alla fine del 2004. Con Luxury abbiamo raccolto una sfida: avvicinare al mondo del lusso, della qualità, della ricerca delle tradizioni manifatturiere del “made in Italy”, del concetto di bello declinato in molti aspetti della nostra esistenza, anche coloro che, per età, seniority professionale o vita vissuta, non si sono mai addentrati fino in fondo in questi concetti. Tutto è giocato su un paradosso: il lusso può essere accessibile? Il lusso può essere su misura per ognuno di noi? O esiste un solo e unico concetto di lusso: aulico e poco raggiungibile ai più? Noi crediamo che oggi il lusso vada inteso al plurale, che possano esserci gradazioni diverse e vari modi per intendere il concetto di qualità ed esclusività. Dormire da soli in tenda in un luogo dove pochi esseri umani hanno messo piede può essere considerata una vacanza eccezionalmente esclusiva? Sorseggiare un distillato di cui solo alcuni conoscono la vera storia, il mito e le leggende che lo avvolgono è concettualmente un lusso? Potersi permettere viaggi sempre più comodi, organizzati con il click di un'app sullo smartphone o indossare un abito pensato e disegnato da uno stilista che vive magari in Africa o in Oriente, ci rende oggi tutti più internazionali, più aperti, più ricchi di esperienze? Un nuovo prodotto che affronta la sfida della produzione artigianale italiana di qualità mentre
i suoi competitor sono arroccati nel concetto di produzione massiva e delocalizzata, merita di essere collocato nell'Olimpo dei prodotti di lusso? Sono questi e tanti altri i temi che affrontiamo nel nostro primo numero di carta (senza dimenticare il web, ovviamente). Raggiunto un ottimo posizionamento nei motori di ricerca per alcune delle parole chiave più interessanti dello storytelling digitale del lusso, oggi sentiamo una nuova esigenza: preservare il bello, le esperienze, i volti e le parole di creativi, imprenditori e artisti che incrociamo giornalmente nella nostra narrazione editoriale. Per quanto potenzialmente infinito, il web ci sembra limitato, senza esser tacciati di presunzione. L'edizione trimestrale del magazine in versione cartacea vuol essere come l'album di fotografie che alcuni di noi, a casa, sono tornati a comporre, per ricordare meglio un viaggio speciale, un evento importante, la nascita di un figlio. Luxury prêt à porter Magazine vuole “fotografare” al meglio brand, personaggi ed esperienze che hanno catturato la nostra attenzione in ogni stagione dell'anno e farne un “album dei ricordi” che possa essere sfogliato, toccato, annusato, conservato, ritagliato... Vint Cerf, vicepresidente di Google all'American Association for the Advancement of Science, qualche tempo fa mise tutti in guardia spiegando: “Stiamo gettando con disinvoltura tutti i nostri dati in quello che potrebbe diventare un buco nero informativo. Mucchi di materiale digitalizzato potrebbero andare persi per sempre perché i programmi necessari per visualizzarli saranno in futuro defunti. Digitalizziamo le cose perché pensiamo di preservarle, ma quelle versioni digitali potrebbero non essere migliori del prodotto originale che abbiamo digitalizzato. Se ci sono foto a cui tenete davvero, stampatele”. Noi ci permettiamo di aderire alla sfida lanciata da Vint Cerf, affrontando con passione, entusiasmo e la giusta dose di incoscienza questo progetto, un Luxury prêt à porter di carta che raccolga ogni stagione quanto di bello, innovativo, curioso, ambizioso abbiamo incontrato nel corso del nostro racconto quotidiano digitale dedicato al lusso accessibile. Qualcosa da sfogliare oggi e magari anche tra qualche anno.
Filippo Piervittori Publisher
CONTENTS 06 16 20 24 30 34 38 42 46 50 54
Andrea Lehotska
Rapita dal deserto iraniano Ruggero Biamonti
Assenzio il ritorno della Fata Verde tra mito e realtà Cento luoghi cento storie Beatrice Anfossi
Jean-Pierre Grivory: “Quell’incontro con Dalí che mi ha cambiato la vita” Rigenerazione completa: da dentro a fuori Priscilla Lucifora
Limitless fashion
La nuova frontiera del beauty: i cosmeceutici rigeneranti Paride Saldarini
Sostenibilità e body positivity: le nuove sfide della moda Il made in Italy per una calzatura di qualità Beatrice Anfossi
Josephine Baker tra provocazione e riscatto
56 60 66 72 76 80 82 88 92 96
La passione di quattro generazioni Dormi bene pensa meglio Daniela Puddu
Winter wedding: un matrimonio fuori dagli schemi Rose, ortensie, girasoli: fiorisce anche il web Giorgia Sacchi
Il cibo si fa trendy, con un occhio per l'ambiente Per un mondo più green: la sfida tra acciaio e plastica Priscilla Lucifora
Viaggio a portata di smartphone La crociera perfetta ora è a prova di click Francesco Ippolito
Guida il futuro con classe Un primato per il design italiano: bello, funzionale e… di cartone
L'infinito è solo l'inizio
Masthead Publisher & Editor-in-chief
Editorial Team
Printed by
Filippo Piervittori
Beatrice Anfossi Giorgia Sacchi Paride Saldarini Priscilla Lucifora
C.T.S. Grafica S.r.l. Cerbara (PG)
Design & Art Direction
Managing Direction
N.1/2008 R.P. Trib.PG 12/01/2008
Copyright
Luca Lemma
Ruggero Biamonti
Registration
Contributing Writers
© 2019/2020 Luxury prêt à porter All rights reserved
Andrea Lehotska Daniela Puddu Francesco Ippolito
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TRAVEL
Destinazione Dasht-e-Lut alias Kalout, il venticinquesimo deserto piÚ vasto della terra. Situato nella provincia di Kerman nell'Iran sudorientale, è considerato uno dei luoghi piÚ aridi del pianeta.
Viaggiare al limite
Rapita
dal deserto iraniano di Andrea Lehotska
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TRAVEL
I
n un millennio in cui nulla è impossibile e l'offerta supera generosamente la richiesta, ci siamo senza alcuno sforzo abituati a una certezza: tutto si può ottenere, è solo una questione di prezzo. Il denaro rassicura, privilegia, apre vie preferenziali, fa diventare famosi, salva la vita, ci fa girare il mondo. Accorcia le distanze non solo tra le persone, ma anche tra i continenti. I tragitti un tempo percorsi da carrozze con trazione animale, oggi sono coperti da binari di treni che raggiungono 430 chilometri orari. Lontananze più significative, intercontinentali, sono ormai transitabili con voli diretti della durata di 19 ore. Seduti, dormienti, massaggiati, con cuoco e docce a disposizione in First, ormai è possibile fare colazione in Nuova Zelanda e cenare al Burj Khalifa di Dubai, senza rinunciare alla connessione wifi anche in mezzo alle nuvole. Ovunque, a tutte le ore, a qualsiasi prezzo. Ma il vero lusso, la vera ricchezza è il tempo libero, quello che non si fa corrompere, influenzare, e non transige. Quello che permette di staccare la spina e di godere di quella serenità che ci fa spegnere il PC e raggiungere un posto così 'folle' da non avere più né wifi né la linea del cellulare, e in cui l'unica utilità di quest'ultimo sarebbe poter utilizzare torcia e bussola incorporate. Andare oltre ai safari notturni in Namibia o alle ville galleggianti alle Maldive, dove le avventure vengono pagate e create su misura. Ai frettolosi ospiti si assicurano giornate ricche di attività, dal video con la tigre alla nuotata con i delfini. Passato il brivido dell'escursione privata, si ritorna al resort cinque stelle per lavarsi di dosso la sabbia, il sale, e - sempre più spesso - soffermarsi a pensare: e se invece di correre avanti, io tornassi indietro, alle origini? A esplorare? Scoprire? A perdermi e ritrovarmi in
Credit: Andrea Lehotska
#andrealehotska | @andrealehotska www.andrealehotska.com
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Ma il vero lusso, la vera ricchezza è il tempo libero, quello che non si fa corrompere 8
TRAVEL
una destinazione dove il vero lusso sono le sfide che un tale viaggio comporta? L'ho fatto per voi. Salite a bordo. Destinazione? Dasht-e-Lut alias Kalout, il venticinquesimo deserto più vasto della terra; situato nella provincia di Kerman nell'Iran sudorientale, è considerato uno dei luoghi più aridi del pianeta. Mi tengo aggrappata ai lati del cassone di un vissuto fuoristrada off-road, l'unico modo per raggiungere il cuore desertico più rovente del mondo. ll Distretto di Shahdad ospita 4000 abitanti sparsi in minuscoli villaggi-oasi ed è l'ultimo posto abitato che permetta di penetrare la steppa desolata, dal suo lato occidentale. Offre inoltre l'essenziale possibilità di ampliare le proprie scorte e, eventualmente, di rivalutare la propria permanenza all'interno dell'immenso labirinto di Dasht-e-Lut, scottante mondo a sé stante di quasi 52.000 chilometri quadrati. I più comodi e frettolosi scelgono un tour organizzato da una qualsiasi città iraniana, in grado di provvedere ai trasporti, a pernottamenti con aria condizionata, con pasti garantiti, un'escursione al volo nel deserto e persino una guida in lingua inglese. Gli avventurosi percorrono, autonomamente o con i mezzi pubblici, la suggestiva Birjand-KaloutKerman, lungo la quale il deserto presenta in anteprima impressionanti forme, colori e altezze, peculiarità alle quali deve il suo alias Kalout, ovvero 'una serie di diverse modalità di erosione'. Recarsi
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TRAVEL nei villaggi adiacenti al deserto permette anche di ammirare caravanserragli di fango e terra che si sgretolano a causa degli agenti atmosferici, o di usufruire dei servizi di un improvvisato 'ragazzo guida' del posto. Nemmeno qui, in questa sonnolenta terra incontaminata, l'ospitalità iraniana delude: un tappeto persiano - in Iran l'equivalente di un letto - e un gustoso pasto saranno offerti a qualsiasi passeggero desideroso di affrontare un'escursione in giornata alle porte del deserto. Io, fedele amante della libertà, del brivido e dello spaesamento, raggiungo Shahdad in autostop, munita di power bank, sali minerali, cibi energetici e acqua in abbondanza. Con l'idea di farmi portare, lasciare e piantare la tenda in un punto ben preciso; quello in cui la NASA nel 2010 ha rilevato la temperatura record più alta mai registrata sul nostro pianeta: ben 70.7°C. Opto per una negoziazione con chiunque possieda una macchina e mi porti nell'arida steppa, dagli stessi abitanti considerata pericolosa, se non la si conosce. "Solo un esperto nativo si prende la responsabilità dei sali e scendi tra le labili dune di sabbia. Basta poco: andare troppo piano, troppo giù, troppo a destra o scegliere una sbagliata inclinazione in salita e non ti troveranno più", racconta Amir, "le dune raggiungono fino a 300 metri di altezza e sono chilometriche. Se non ci vive nessuno, un motivo ci sarà! Il vecchio Hassein è l'unico che ancora ci porterebbe una persona a pernottare. Abita qui nella cascina di fango a sinistra, dopo gli struzzi. Inshallah". Quando la trattativa è ormai conclusa e l'ultima tacca del segnale sul mio telefono è scomparsa, la strada asfaltata, o almeno 'ufficiale', rimane solo un lontano ricordo, oltre che un punto di riferimento importante da memorizzare per ogni evenienza. Il percorso per arrivare alla destinazione è un viaggio attraverso l'impero dei sensi: la vista è succube di spettacolari altopiani erosi dal vento che fanno da maestosi cancelli e offrono un invitante ma altrettanto drammatico Benvenuto. L'olfatto scopre che anche il nulla ha un suo odore persistente, asettico, polveroso, e mentre il gusto assapora sorpreso l'aria impregnata di sale, l'udito ha appena compreso il suono della parola Infinito. Ma soprattutto, mentre per me il tempo si è appena fermato, da queste parti lo ha fatto migliaia di anni fa. Qui, due cose sono estremamente facili: sentirsi realmente l'unica forma di vita e perdersi. E non c'è GPS che tenga. Mentre con un po' di fortuna e tanta esperienza è possibile sopravvivere ai 65 gradi e tornare verso la strada precedentemente memorizzata, è più difficile evitare di imbattersi nei campi minati realizzati come deterrente per il traffico d'oppio.
La tempesta di sabbia schiaffeggia violentemente ogni pezzo di pelle non coperta. Rende impossibile guardare in direzione diversa da quella del vento, che veicola milioni di minuscoli granelli per poi posarli centinaia di chilometri più in là e creare una nuova cresta estesa, alta fino a 70 metri. Nonostante il precedente e indispensabile periodo di acclimatamento nelle aree più calde, umide e afose dell'Iran, il mio corpo non riconosce questo tipo di calore e subisce uno sbalzo termico. La temperatura dell'aria inspirata supera di decine di gradi quella espirata e rafforza la sensazione di sentire i propri organi interni cuocere. Letteralmente. È inutile che io perda tempo ed energie a cercare il punto ottimale per la tenda: l'ombra non ha alcuna valenza né vantaggio termico. Passare la notte su una desolata pianura distante dalle torreggianti dune mi proteggerà da un'eventuale valanga di sabbia e, nella remota possibilità di pioggia, l'acqua evaporerà comunque nell'aria, prima ancora di sfiorare la terra.
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TRAVEL Con l’avvicinarsi del tramonto, tra le 17 e le 19 ho l'imperdibile occasione di perlustrare - senza mai perdere di vista il campo base - uno degli scenari più suggestivi, scenografici e bizzarri del mondo, da tre anni sulla lista dei patrimoni dell'umanità. Scivolare per metri sulle pareti spioventi, attraversare pianure di sale, sprofondare nella sabbia finissima o ascoltare l'eco prodotto da ogni mio passo sulla superficie, a tratti dura e fangosa, sono solo alcune delle caratteristiche che rendono Dasht-e-Lut incomparabile sotto tanti punti di vista. Poi succede tutto molto in fretta: come se di colpo una mano tirasse un'invisibile tenda scura, il sole si dissolve dietro la cresta di sabbia più alta. La linea argentata del termometro scende a vista d'occhio: si direbbe che i minuti trascorsi dalla luce al buio siano direttamente proporzionali ai gradi Celsius in diminuzione. L'assenza di chiarore e bollore rivela una alquanto variegata fauna, specialmente i cosiddetti parvaneh, gli insetti provvisti di ali che invadono veracemente tutto ciò in cui s'imbattono: rendono impossibili gli spostamenti con occhi o bocca
aperti, e richiedono una protezione per i condotti uditivi onde evitare insediamenti interni indesiderati. L'assordante silenzio diurno viene sostituito da un insieme di vibrazioni capaci di provocare una sensazione che per anni ha intimorito e incuriosito viaggiatori come Marco Polo e Charles Darwin. Parlo di un brusio simile al suono di un violoncello, un suono basso, percettibile per interi minuti nell'etere, che si propaga a decine di chilometri e la cui intensità è pari a quella di un clacson. Perché questo rumore possa esser generato dai granelli di sabbia che si sfregano tra di loro, essi devono avere una specifica dimensione ed essere asciutti. Basterebbe anche solo una bassissima percentuale di umidità per far tacere una duna. Man mano che la notte avanza e i gradi Celsius si avvicinano allo zero, le colline e gli inusuali canyon accolgono il vento nelle loro cavità e forme fuori dall'ordinario, il quale a sua volta produce intere melodie. Quest'atmosfera notturna quasi macabra crea lo sfondo ideale per la grande uscita del padrone di questo immenso spazio: il cane selvatico. Organizzati in
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La notte ha voluto darmi l'ennesima lezione di vita, mentre continua a essere identica al territorio che la ospita: spettacolare, cristallina, quieta
branchi composti inizialmente da cauti e incuriositi osservatori, questi animali mutano in feroci e affamate belve non appena individuano un'eventuale fonte di cibo, che sia un volatile ferito o la barretta energetica nel mio zaino. Il loro potente fiuto non si può permettere di fallire e sprecare così le preziose forze. A refurtiva ottenuta, così come apparsi, spariscono nell'oscurità alla ricerca della preda successiva, prima che l'alba cocente plachi ogni possibilità di movimento. Ma questo estremo ed estroso habitat ospita anche altri mammiferi. Sdraiata a pancia in su con gli arti spalancati per assorbire tutta l'energia del pianeta, penso a quanto sia salutare per la nostra anima e mente non vivere guidati dagli orari, bensì dai ritmi dell'universo. Per sconfiggere una sensazione inaspettata - il freddo - sorseggio del chai iraniano, ovvero del the caldo preparato su un fornelletto da campeggio. Oltre a un cuscino, un sacco a pelo e qualche zolletta di zucchero, non ho altro. Eppure, una idilliaca sensazione di euforia mi pervade da ore, perché mi sono da tempo resa conto di una cosa: “Se quel poco che hai
ti rende felice, hai già tutto quello che ti serve”. Penso a tutti quei luoghi e attività che pagano le inserzioni pubblicitarie su guide turistiche e mi dico: “Vorrei possedere questo deserto in modo da poter pagare le guide il doppio, solo per non farlo apparire da nessuna parte. Per salvaguardare egoisticamente questa terra desolata e apparentemente vuota che ha la capacità di fare sparire pensieri, tachicardie, preoccupazioni, ansie non necessarie”. Sto per chiudere gli occhi e lasciarmi 'rubare' dai ritmi della natura, quando scorgo il passo incerto della pacifica volpe desertica, protetta dalla temperatura estrema del luogo da un sorprendentemente folto pelo. Nel nome della sopravvivenza, e con inaspettata caparbietà, si è saputa adeguare a un clima e condizioni eccessivi, insieme ad altre dodici specie di ragni velenosi, scoperte recentemente. Mi allontano in silenzio, a passi lenti, finché non rimango inghiottita dal buio che mi permette di osservare la volpe, illuminata dalla torcia lasciata per terra. Con cautela, ma senza perdere la sua agilità animalesca, si avvicina alla tazza del the, dove è rimasto dello 12
TRAVEL zucchero non sciolto, e con un appetito disarmante divora ciò che da queste parti equivale a un mese di energia calorica. Un impulso naturale ha fatto sì che preferisse rischiare e avvicinare un umano pur di assecondare il suo istinto di sopravvivenza. E poi ci siamo noi, che al massimo rischiamo in borsa o al Casinò, e il cibo acquistato lo sprechiamo per istinto di consumismo. La notte ha voluto darmi l'ennesima lezione di vita, mentre continua a essere identica al territorio che la ospita: spettacolare, cristallina, quieta. Un intero universo di stelle e pianeti iridescenti ricopre il cielo come un'enorme carta da parati, fatta di minuscoli frammenti di carbonio cristallizzato. La Via Lattea funge da unica fonte di radiazione luminosa mentre le costellazioni si sistemano ognuna al proprio posto. Fedeli alle loro posizioni millenarie, puntuali come ogni notte, inducono a una profonda e serena fase REM. Amo i tre metri quadrati della mia tenda: è impossibile perdermi dentro. Amo i miei 9 chili di zaino: è sempre tutto lì, non devo mai cercare nulla. Amo quel mini-libro da viaggio letto cento volte, che ho dovuto rileggere per la centunesima volta qui perché ne cogliessi il significato. E meno ho, più mi chiedo a cosa mai mi serviranno gli armadi pieni di vestiti firmati, a Milano, se l'unico pensiero quando li indosso è quello di non bucarli o macchiarli. Ed è questa, la grande differenza tra un viaggiatore e un turista: il turismo è un prodotto, mentre il viaggio è qualcosa che ognuno sperimenta per se stesso. Chi prima, chi dopo, chi da sempre o mai. Sono stata fortunata: ho saputo fermarmi nel momento migliore, buttare letteralmente via la carriera economica che non mi faceva mancare nulla se non quel vitale 'non so che', e fidarmi del sesto senso che mi sussurrava da anni: “Tu scegli sempre solo ciò che ti fa dormire 10 ore di fila e va sempre lì dove l'incontaminato ti abbaglierà con la propria serenità. E se smette di farlo, prendi e va altrove. Un'infinità di luoghi, una vita sola. Perché se qualcosa ti costa la tua serenità, è troppo cara”. Con la memoria di questa esperienza vivrò anni e anni a venire, e so che mi sto allungando la vita. Come potrò mai ridare all'universo ciò che mi sta offrendo? Sposto il sacco a pelo fuori dal mio 'alloggio a 1 stella', la tenda, e mi addormento fuori, nel più lussuoso resort a un milione di stelle. Sbiadiscono insieme al primo chiarore dell'alba che, chilometro per chilometro, denuda questa superficie terrestre dalle sue ombre, concedendo ai suoi occupanti le ultime ore di clima vivibile e utile per cacciare, mimetizzarsi, trovare un riparo. La fredda luce mattutina tinge questo museo a cielo aperto e le sue infinite opere d'arte di un argento lunare inimitabile. Progressivamente, come attraverso un prisma, posa le sue calde sfumature di arancione su tutti gli altopiani, montagne e sculture, e dà inizio a un'altra straordinari giornata. Fareste un viaggio così? Non fatelo. Potrebbe piacervi.
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TRAVEL
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WINE&SPIRITS
Fonte d'ispirazione per poeti e artisti, osteggiato dai moralizzatori che fecero di tutto per metterlo al bando, rimane la bevanda alcolica piĂš letteraria
Bere con stile
Assenzio: il ritorno della Fata Verde tra mito e realtĂ di Ruggero Biamonti
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U
n uomo e una donna siedono al tavolino di un bar. Non si parlano, non si guardano. L'uomo ha lo sguardo perso nel vuoto verso sinistra, mentre la donna flette gli occhi verso il basso in un'espressione esangue, persa nei suoi pensieri. Un'atmosfera fredda come il marmo che è messo a coprire i tavolini pare avvolgere questi due avventori. Malinconia, mestizia, rassegnazione, tra i vari sentimenti che possono essere attribuiti alla coppia sembra però che il senso di vuoto sia quello dominante. Una freddezza che risiede nell'anima e che riguarda i sogni infranti, la noia del presente e lo sgomento per il futuro. In bella mostra sul tavolino un bicchiere con un liquido verdastro: l'assenzio, che dà il titolo dell'opera di Edgar Degas dal quale è tratta questa scena. Vini e liquori hanno da secoli segnato la vita di molti artisti accompagnando la loro opera fin dalla più intima ispirazione: dal mare colore del vino di omerica reminiscenza a un'insospettabile presenza nella poesia islamica dove le ancelle che portavano il vino erano il simbolo di coloro che possedevano la verità. Ci sono opere che sono intimamente connesse con il bere: come “Sotto il vulcano”, che è, anche, una lunga maratona etilica dove si beve fino al delirio; oppure scrittori legati a doppio filo con una particolare bevanda, è il caso di Ernest Hemingway, appassionato a tal punto di daiquiri nel suo "buen retiro cubano", che una variante del suo amato cocktail prenderà il suo nome. Ma c'è un liquore che ha una particolarità unica, esso non è legato a un singolo scrittore o a una singola opera letteraria, ma ha guidato su linee torbide e distorte l'ispirazione di un intero movimento
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WINE&SPIRITS
poetico. È l'assenzio, la bevanda alcolica cantata nei versi e usata nella vita da poeti del calibro di Verlaine e Rimbaud. La vicinanza a un gruppo di artisti che volevano distaccarsi dalla nuda realtà e cercavano di utilizzare vari mezzi, leciti o meno, per penetrare nell'intima essenza delle cose, sempre alla ricerca delle più nascoste emozioni dell'animo umano, ha portato l'assenzio a essere oggetto di varie leggende che lo hanno fatto allontanare dalla sua origine, che consiste in un'infusione di varie erbe (ma imprescindibile deve considerarsi la santa trinità composta da artemisia absinthium, anice verde e finocchio) senza l'aggiunta di zucchero o aromi artificiali. Una prima sorpresa si coglie già quando scopriamo che l'assenzio non ha origini francesi, sua terra d'elezione. Nella Val-deTravers, in Svizzera, si è tramandata la ricetta di padre in figlio, usata per scopi curativi: popolare e molto economico (almeno ai tempi), l'assenzio ha conquistato uomini e donne di diverse classi sociali. Inebriante e leggendario, stimolava il furore creativo di poeti e pittori; un successo enorme per l'assenzio che aveva la consistenza di un liquore, ma la fama di droga allucinogena e proprio questa allure farà fiorire leggende sul suo conto che lo condurranno presto a essere messo fuori legge. Nel 1915 fu considerato illegale in Francia dopo che un ubriaco uccise due persone; l'uomo aveva bevuto, tra le altre cose, anche due bicchieri di Fata Verde, ma diversi sono i motivi della sua messa al bando: era l'alcolico più bevuto (nel 1910 in Francia si bevevano 36 milioni di litri di assenzio) e divenne così il capro espiatorio per colpire l'alcolismo. Inoltre, dato il suo grande successo, minava
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le quote di mercato delle lobby di produttori di distillati da vino. È da aggiungere che sull'assenzio furono messe in circolo una serie di inesattezze e di menzogne leggendarie, ora si direbbe fake news, tali che venne considerato più una droga che un alcolico, di conseguenza pericolosissimo. È il caso della presenza del tujone, ritenuto erroneamente (e in mala fede) simile al THC; in realtà esso non ha alcun effetto percepibile considerando le concentrazioni che possono essere raggiunte bevendo assenzio. Solo abusandone può causare degli effetti negativi: spasmi muscolari e convulsioni, ma non allucinazioni. Premesso che l'assenzio può essere consumato liscio gustandosi, puri, tutti i suoi gradi che possono superare anche la settantina, esiste anche un modo tradizionale di berlo, che si è consolidato come rito alcolico nella Parigi della Belle Epoque. Tutta una serie di gesti ripetuti nel tempo che aumentano il prestigio di questa bevanda. Si prende dunque un bicchiere dove verrà versato l'assenzio; si colloca sopra al bicchiere un apposito cucchiaino forato progettato per tale operazione, sul quale si posizionano uno o più zollette di zucchero. Il tutto viene posto sotto una fontana da assenzio, in sostanza una grande caraffa con delle spine, per due o più bicchieri, che fa gocciolare acqua gelata sullo zucchero. Quando l’acqua cade nell’assenzio avviene il cosiddetto louche, cioè una reazione in cui il liquore si intorbidisce. Gli elementi cardine, quindi, sono: l'assenzio, lo zucchero e l'acqua, senza alcun accenno al fuoco; un malcostume contemporaneo, quello di infiammare la zolletta, considerato un abominio dai puristi che non solo non apporta alcun beneficio ai sensi, trattandosi solamente di un elemento scenografico [ognuno di voi giudichi quanto opportuno ndr.], ma che contrasta con una consuetudine ormai secolare.
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Passione per l'olio
Cento luoghi, cento storie Al frantoio Centumbrie passione e amore per la terra umbra incontrano innovazione e qualitĂ
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FOOD
L'
azienda CM Centumbrie rappresenta il momento attuale della lunga storia di due famiglie umbre, antiche come l’Umbria, il suo popolo e la sua civiltà. In un mondo frenetico e caratterizzato da un consumo sempre più superficiale, CM Centumbrie è nata invece per salvaguardare e valorizzare la bellezza del paesaggio, la ricchezza delle coltivazioni e la qualità del lavoro artigianale e artistico. Casolari, oliveti, orti, frantoio e molino sono i luoghi e il corpo di questa azienda, sorta nella terra umbra del Trasimeno, dove è possibile ammirare alcuni dei tramonti più belli d’Italia. Il frantoio ha aperto i primi di ottobre, dopo neanche un anno dall’inizio dei lavori, mentre il molino è ancora in costruzione e se ne prevede l’apertura nel 2020. Il progetto comprende anche dei campi da tennis e un’area verde di prossima costruzione. L’azienda offre
inoltre delle strutture ricettive per godere a 360° l’esperienza umbra: un’oasi di pace nella quale prendersi un momento per respirare e apprezzare ciò che la terra è in grado di offrirci. Un salto nella tradizione che si coniuga con uno sguardo al futuro, tradotto in strutture architettoniche e tecniche produttive all’avanguardia. CM Centumbrie è legata a una visione del lavoro come passione, per migliorare insieme se stessi e l’ambiente. Un lavoro quindi che è motivo di dignità e di nobiltà: un lascito prezioso che viene tramandato dalle generazioni che ci hanno preceduto e di cui bisogna fare tesoro. Proprio per garantire la genuinità che da sempre caratterizza il prodotto umbro, e in generale italiano, le scelte dell’azienda partono dalla conversione al biologico, passando per qualità e innovazione. L’obiettivo è la valorizzazione del territorio del Perugino e dei prodotti che esso offre. L’implementazione dell’intera filiera produttiva permette inoltre di monitorare ed intervenire in ogni fase della produzione, assicurando così qualità e salubrità di ogni alimento proposto. Perché proprio l’olio? Tra l’olivo e l’Umbria esiste un indissolubile e millenario legame
Credit: Centumbrie
#centumbrie | @centumbrie_cm www.centumbrie.com www.cmcasamia.com
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fatto da esseri umani, territori e cultivar. CM Centumbrie si dedica con grande passione ai suoi oliveti adottando metodologie biologiche, con il massimo rispetto per l’ambiente e per il consumatore. Il frantoio di ultima generazione consente di operare a freddo, estraendo grandi oli con uso limitato di acqua per rispetto verso le risorse idriche e ambientali. Sono previste in particolare due linee di lavorazione, una a due fasi e una a tre fasi, in modo tale da adottare la migliore soluzione estrattiva a seconda delle caratteristiche delle olive raccolte. Con numerosi accorgimenti tecnologici, l’intero ciclo di lavorazione è in questo modo rigorosamente monitorato così da garantire un’altissima qualità dell’olio extra vergine d’oliva, prodotto di vanto della terra umbra. Lo stoccaggio e l’imbottigliamento vengono eseguiti in locali a temperatura controllata e con l’ausilio di gas inerte per salvaguardare le caratteristiche organolettiche e chimiche del prodotto. Proprio nell’ottica di una valorizzazione totale del territorio e di un coinvolgimento diretto del consumatore, vengono poi organizzate visite guidate, degustazioni, eventi, corsi. Solo così, anche chi è totalmente profano, può rendersi conto
della cura e dei processi che stanno dietro alla produzione del liquido dorato per eccellenza, fondamento della dieta mediterranea, famosa in tutto il modo. Per facilitare al visitatore l’incontro con questa realtà a tratti magica, ogni spazio è arredato con cura e originalità, senza lasciare nulla al caso. L’arduo compito di tradurre in un ambiente funzionale ma accogliente la sede operativa dell’azienda è stato affidato, non casualmente, a due grandi nomi umbri dell’architettura: Gianmarco e Silvia Balucani. Un frantoio dove si produce, si degusta, si studia e si ama l’olio, un prodotto millenario da conservare e preservare. Il suo cuore è una suggestiva corte interna, che si sviluppa intorno ad un antico ulivo. Lì i visitatori possono seguire le attività quotidiane dell’azienda attraverso le ampie vetrate, mentre assaporano la bontà dell’olio umbro e dei migliori prodotti locali. Un viaggio attraverso sapori e odori che riportano al passato e insieme guardano verso il futuro. Un frantoio dove vivere il presente, il passato e il futuro dell'olio. Un polo agroindustriale con 140 ettari di terreni coltivati con legumi, cereali e olivi, interessato a riqualificare l’area con zone verdi e a devolvere nel tempo parte dei profitti in iniziative benefiche e di interesse sociale. 22
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Profumo d'artista
Jean-Pierre Grivory: “Quell’incontro con Dalí che mi ha cambiato la vita” di Beatrice Anfossi
Dopo trentasei anni dal primo profumo, una nuova collezione ispirata al poliedrico Salvador Dalí
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n’intuizione geniale avuta più di trent’anni fa: creare un profumo in collaborazione con Salvador Dalí e ottenere l’esclusiva del suo nome. Un’idea semplice, eppure efficace: è questo il punto di svolta nella vita di Jean-Pierre Grivory, fondatore e CEO del brand di profumeria francese Cofinluxe. L’incontro con Grivory è avvenuto in occasione del lancio italiano delle nuove collezioni Dalí Haute Parfumerie, la linea di alta gamma che ha ulteriormente arricchito il portfolio dell’azienda, garantendo il suo posizionamento all’interno di una nicchia di profumi di alto profilo. Il luogo è l’iconico salotto della profumeria Mazzolari, indirizzo di riferimento per la profumeria milanese. Al centro della stanza, l’altrettanto iconica poltrona Vis-à-Vis, disegnata dallo stesso Salvador Dalí. Lì trovo seduto Monsieur Grivory, un elegante signore di settantatré anni dall’aria brillante. Lo sguardo attento e curioso deve essere lo stesso di quel giovane imprenditore che, nel 1982, decise di contattare Salvador Dalí, allora artista già globalmente affermato, per proporgli di creare insieme una nuova fragranza. La risposta, inaspettatamente, fu affermativa. Da un telegramma inizia la storia del suo successo.
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Credit: Dalì Haute Parfumerie
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Qual è stata l’ispirazione che l’ha portata ad avvicinare il mondo dell’arte e quello dei profumi?
L’arte della profumeria è da sempre associata alla moda, io credo invece che costituisca, in realtà, un punto di incontro tra la moda e l’arte. La creazione di un profumo è pura arte: possiamo paragonarla al lavoro di un pittore o di un musicista. Tutti guardavano alla moda e io volevo fare qualcosa di diverso. Perché ha pensato proprio a Salvador Dalí e come ha fatto a contattarlo?
Salvador Dalí all’epoca era l’artista più “totale” in circolazione: si occupava di pubblicità, cinema, balletto, gioielleria, moda; è stato quindi semplice per me pensare di inserire anche l’aspetto della profumeria all’interno del suo universo artistico. Lui poi era il mio artista preferito da quando, a dieci anni, mia nonna mi regalò un libro dedicato a lui dal quale ero rimasto molto impressionato. Infine, cosa da non sottovalutare, era vivo. Il modo in cui l’ho contattato insegna che nella vita bisogna osare e, soprattutto, rendere le cose il più semplici possibile. Sapevo che all’epoca, quando si recava a Parigi, Dalí soggiornava al Meurice hotel [in una suite che ancora oggi porta il suo nome n.d.r] e quindi ho chiamato l’hotel chiedendo di poter parlare con lui. Il concierge mi rispose che l’artista aveva appena lasciato l’hotel ma, contro ogni aspettativa, mi diede un indirizzo al quale potevo trovarlo: Castle of Pubol, nella provincia di Girona in Spagna.
La creazione di un profumo è pura arte: possiamo paragonarla al lavoro di un pittore o di un musicista
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Gli ho scritto quindi un telegramma — allora non esistevano fax o e-mail — in cui gli esponevo la mia idea di creare un profumo in collaborazione con lui. Con mia grande sorpresa, quindici giorni dopo ho ricevuto una risposta che diceva: “Sì, sono interessato”. Solo in un secondo momento, viaggiando spesso con Robert Descharnes, stretto collaboratore di Dalí per quarant’anni, avrei scoperto il motivo della mia fortunata sorte: era stato lui a rispondermi con quella tempestività; da pochi giorni infatti aveva iniziato ad occuparsi personalmente della posta dell’artista, che si accumulava da circa sei mesi. Un altro elemento giocò a mio favore: a differenza di altre due grandi compagnie che avevano avanzato una proposta simile alla mia, io non chiedevo soltanto il nome di Dalí, ma una vera e propria collaborazione a 360 gradi con l’artista, che avrebbe in questo modo potuto esprimersi anche nel campo della profumeria. Io volevo il suo nome e la sua arte. Dalí si è mostrato interessato alla mia proposta e le cose sono state fin da subito molto chiare. Questo ha reso lo sviluppo del prodotto rapido e relativamente semplice: dopo aver siglato il contratto nel dicembre del 1982, nell’autunno del 1983 abbiamo lanciato la fragranza. L’espressione “ci sono voluti due anni per sviluppare questa fragranza”, che spesso sento associare ad un’idea di qualità, sortisce su di me l’effetto opposto. Io credo che se uno sa quello che vuole, può procedere velocemente; se invece si cambia spesso idea e si hanno molti dubbi, allora sì il processo richiederà molto più tempo, perché nella maggior parte dei casi non si sta andando nella giusta direzione. Dalí aveva idee ben
precise, esattamente come me: le abbiamo condivise e siamo riusciti a lavorare rapidamente. Mi sento di dire che è stato abbastanza semplice, anche se so che potrebbe suonare strano. Di una cosa sono convinto: le persone davvero di talento, sono persone semplici. Salvador Dalí era già Dalí, non aveva alcun bisogno di dimostrarmelo. Non ha voluto sapere quali fossero le dimensioni della mia azienda o chi io fossi, si è semplicemente concentrato sul progetto così come io lo avevo concepito, che a quanto pare coincideva con ciò che lui voleva e cercava. La sua proposta ricadde sul naso e le labbra di Venere, che costituivano un’associazione abbastanza calzante per un profumo, e l’idea mi piacque fin da subito. In questo forse siamo stati fortunati, ci siamo trovati sulla stessa lunghezza d’onda. Nella vita la tempistica è fondamentale: probabilmente prima sarebbe stato troppo presto per me, e dopo sarebbe stato troppo tardi per lui. Importantissimo infatti è stato l’appoggio dell’adorata moglie Gala, che è venuta a mancare nel giugno del 1982, dopo però aver già approvato il nostro accordo. Se si vuole avere successo, bisogna saper sfruttare il tempo a proprio vantaggio. La fortuna arriva se si ha il coraggio di cercarla e di provare ad ottenerla. Non a caso il primo profumo creato per voi da Dalí era ispirato proprio a sua moglie Gala...
Quando per la prima volta ho parlato di creare un profumo con Salvador Dalí lui mi ha nominato due fiori: la rosa
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e il gelsomino; il primo era il preferito di sua moglie e il secondo era il suo. Si tratta di due fiori tra i più basici per la creazione di un profumo, quindi è stato abbastanza semplice. Una prova di grande umiltà da parte sua scegliere due fragranze così semplici, senza cercare complicati virtuosismi. Bisogna dire poi che una fragranza è un qualcosa di emozionale, o ti piace o non ti piace. La paragonerei ad un dipinto: un artista non può spiegare perché abbia messo lì il rosso e là il blu, l’ha fatto e basta. Non si guarda ogni singolo dettaglio ma il risultato nel suo insieme. È una questione di sensibilità e non si possono razionalizzare le sensazioni. Dietro alla nuova Jewels Collection c’è la maestria di Alberto Morillas, esperto profumiere. Com’è nata la vostra collaborazione?
Ho incontrato Alberto quando era un giovane e talentuoso profumiere. Nel 1982 decisi di affidargli il compito di creare la fragranza per Salvador Dalí: lui fece tre proposte e una di queste venne subito approvata da Dalí. Per Alberto ovviamente era molto importante riuscire a sviluppare una buona fragranza, si trattava di una grande opportunità per un ragazzo così giovane. Quando ho deciso di lanciare una linea di haute parfumerie la mia scelta non poteva che ricadere su di lui; è davvero talentuoso, oltre ad essere rimasto una persona estremamente semplice e umile.
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Sempre a proposito della Jewels Collection mi chiedevo, come possono i gioielli ideati da Dalí, strettamente legati alla vista e al tatto, ispirare qualcosa di immateriale come una fragranza?
A partire dai colori e dalle forme viene creata un’emozione che non si può spiegare, non c’è un motivo preciso per cui una determinata fragranza sia legata proprio a quella forma o a quel gioiello: è così e basta. Se poi le persone troveranno coerente e interessante la tua scelta, allora avevi ragione, altrimenti semplicemente avrai avuto torto. È un po’ come l’amore: se si prova a spiegare perché si ama qualcuno, potremmo dire che si smette quasi di amarlo. In realtà è proprio questa la magia dei profumi: a te piace, a me no; ma nessuno dei due ha torto. Si tratta di qualcosa di irrazionale, quando si crea qualcosa non si parte mai da zero ma si combina in maniera nuova ciò che già si sa, per creare una nuova sintesi. Per questo penso che si possa essere ispirati da qualsiasi cosa. Per questa collezione, tra tutte le creazioni di Salvador Dalí, ho scelto di guardare a quelle che potremmo definire di più alta gamma: i suoi gioielli. Anche la scelta di un logo diverso rispetto a quello della linea originaria è poco comune, ma lo stesso Dalí ha utilizzato circa 250 diverse firme sulle proprie opere, quindi è stata una decisione logica e spontanea. Volevo distinguere inoltre la collezione di alta profumeria da quella selettiva, che ormai possiamo dire essere “massificata”.
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Parlando di lei, ha una fragranza preferita o una che le ricorda un momento particolare della sua vita?
Salvador Dalí una volta ha detto che tra i cinque sensi l’olfatto è quello che più si avvicina all’idea dell’immortalità. Un profumo infatti è in grado di ricordarti una persona o un posto speciale, anche se oggi, con il lancio di una nuova fragranza quasi ogni mese, questo diventa ovviamente molto più difficile. Con i miei profumi è un po’ come con i figli: con alcuni hai più affinità ma non puoi realmente scegliere il tuo preferito. Ora ad esempio indosso il Bukhara, una delle sei fragranze della Fabulous Collection, ma cambio spesso. Quanto pensa sia importante l’aspetto esteriore del prodotto nella scelta di un profumo?
Io penso che un profumo sia la combinazione di tre sensi: la vista, il tatto e l’olfatto. Per prima cosa si è attratti più da alcune forme piuttosto che da altre, quindi la vista è fondamentale; poi, quando si prende in mano la boccetta, si dovrebbe provare una sensazione piacevole e infine è il profumo che deve convincerti con la sua fragranza. È un po’ come con le persone: magari quella che più sembra interessante all’apparenza, è la più noiosa e viceversa. Sicuramente quindi l’aspetto di un profumo è fondamentale, anche se l’ultima parola spetta sempre all’olfatto. Anche a livello di marketing e pubblicità, il cliente può solo basarsi sulla forma e sulla vista.
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Salvador Dalí una volta ha detto che tra i cinque sensi l’olfatto è quello che più si avvicina all’idea dell’immortalità
Per questo credo che nel caso di Dalí non avremmo potuto semplicemente creare una banale bottiglia con il nome del brand scritto sopra, anche se molti avrebbero fatto così, soprattutto per una questione di costi. Sono convinto che un brand sia un vero brand proprio perché lo si può riconoscere al di là dell’etichetta e del nome che c’è sopra. Io volevo che anche l’aspetto dei profumi fosse “daliniano”, proprio perché ognuno di essi è ispirato alle opere e alla vita dell’artista. Poi se la tua idea è vincente lo scoprirai soltanto in un secondo momento, in base alla risposta del pubblico; io però credo che si debba almeno tentare di avere una propria coerenza e personalità. La bottiglia ha poi un ruolo fondamentale anche nel determinare la percezione del profumo da parte delle persone: quando si vede una forma il nostro cervello è portato a crearsi delle aspettative, che talvolta possono essere disattese, qualora il profumo non sia in accordo con ciò che ci aspettavamo. C’è un’interazione tra i diversi sensi che è completamente irrazionale, ed è proprio questo che crea la magia dei profumi. È impossibile descrivere le emozioni.
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Benessere e consapevolezza
Rigenerazione completa: da dentro a fuori
Ya.Be propone un percorso di 28 giorni, che unisce i podcast ai cosmetici, permettendo alle donne di migliorarsi, apprezzarsi e conoscersi meglio 30
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na cosa che accomuna noi donne è la passione per la cura di noi stesse. Se questa cura, poi, serve sia a migliorarci esteticamente, sia a renderci più consapevoli di noi stesse, allora avremo trovato proprio ciò di cui avevamo bisogno. È partendo da queste fondamenta che nasce YA.BE, un progetto creato da donne per le donne che propone percorsi per il corpo e la mente, per far sì che tutte le persone possano riconnettersi con il proprio sé e non solo vedersi, ma anche sentirsi belle. Ya.Be 28 Days Beauty Ritual, in particolare, è un percorso di rinnovamento totale per le donne; dura ventotto giorni e mira ad arricchire la routine della crema viso del mattino per farla diventare un vero e proprio rituale di bellezza, interiore ed esteriore. Un processo di quattro settimane che ci dà la possibilità di ascoltare i nostri segnali più intimi, che spesso teniamo in silenzio, e che ci consente di mettere in luce le nostre unicità e caratteristiche distintive, in armonia con la nostra vita. I podcast di YA.BE 28 Days Beauty Ritual sono stati realizzati tenendo conto delle necessità di ogni donna: durano solo pochi minuti e non richiedono molto tempo a disposizione. Questi audio hanno lo scopo di agevolare, giorno dopo giorno, il processo di connessione con la propria energia femminile in modo naturale
e semplice, seguendo le esigenze di ciascuna donna. A questi podcast, che curano l’aspetto interiore, si affianca poi un percorso cosmetico che punta al rinnovamento del nostro viso, stimolando la pelle a rigenerarsi completamente per tornare al suo stato di normalità. Esso si compone di due maschere, una iniziale e una finale, intervallate dalle quattro fasi del programma: Release, Nurture, Bloom, Glow. La maschera iniziale, che costituisce il primo step, contiene mela e vitamina C; esfolia e predispone la pelle alla depurazione, eliminando le cellule in eccesso e quelle morte, innescando così il processo di rinnovamento delle cellule stesse. Il podcast iniziale, abbinato alla maschera, descrive il percorso e le linee guida per seguire al meglio il programma YA.BE. La crema della prima settimana ha l’obiettivo di migliorare i parametri della cute e di mantenere integra la barriera naturale che la nostra pelle crea attraverso il grasso e l’acqua prodotti dalle nostre ghiandole. In questa fase stiamo difendendo la pelle dall’attacco di sostanze esterne, che potrebbero danneggiarla. I podcast della prima settimana offrono alcune strategie di pensiero che permettono di lasciare andare le preoccupazioni e le tensioni, che soffocano e spengono le energie vitali. È
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la fase della purificazione, del cuore e della mente, così come della pelle del viso. Con la seconda crema, da applicare mattina e sera per ogni giorno della seconda settimana, andiamo a stimolare il microcircolo. Una buona ossigenazione è necessaria per il passaggio di principi attivi che permettono alla nostra cute di rinforzarsi. I podcast, in questa fase, hanno l’obiettivo di aiutare le donne ad avere il coraggio di rimettere al centro loro stesse. Passo dopo passo, una guida in un percorso di accrescimento della consapevolezza di meritare il proprio benessere e la capacità di esprimere la meravigliosa bellezza che c’è in ognuna di noi. Durante la terza settimana, la crema stimola la produzione di acido ialuronico, donando compattezza ai tessuti. Si elimina così l’opacità che si riflette anche nel nostro sguardo, su noi stesse e sul mondo. Questa è la fase del fiorire, del ricontattare la luce che abbiamo dentro per riscoprire le potenzialità uniche di ognuna di noi. I podcast ci ricorderanno di rimettere i nostri talenti in circolo nella vita di ogni giorno, per risvegliare la nostra bellezza interiore. La crema dell’ultima settimana del percorso, infine, serve a stimolare i fibroplasti. In questo modo, la cute che abbiamo reso pulita, elastica e compatta, diventerà più luminosa e splendente. In questa settimana i podcast offrono strategie di azione necessarie a consolidare il rapporto tra la straordinaria energia femminile di ciascuna di noi e il mondo esterno, fornendo gli strumenti per manifestare la donna che ognuna di noi è, superando tutte le resistenze e i pregiudizi. Il viaggio si conclude, poi, con la maschera finale: un vero concentrato di luminosità per la nostra pelle. In questo podcast si ripercorrono le tappe fondamentali del percorso e si danno
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Un progetto creato dalle donne per le donne, che propone percorsi per il corpo e per la mente
alcuni spunti per il prosieguo. Ognuna di noi è diversa da chiunque altro, così come sarà diverso il momento della propria vita durante il quale si attraversa il percorso Ya.Be 28 Days Beauty Ritual. Tutte, però, al termine di questo percorso avremo risvegliato la nostra consapevolezza e avremo messo in azione degli strumenti per esprimere la nostra bellezza. Ya.Be 28 Days Beauty Ritual è quindi un’occasione per rimettere al centro se stesse, con pochi minuti ogni giorno. È un percorso che ci guida attraverso dei momenti da dedicare a noi stesse, guardarci dentro e fuori con occhi nuovi. È l'inizio di un viaggio personale e individuale, di riscoperta e rinnovamento, che fornisce strumenti semplici, naturali ed efficaci da tenere a mente e ai quali tornare di tanto in tanto. Dietro alla realizzazione di Ya.Be 28 Days Beauty Ritual c’è un team di quattro donne: Valeria Scargetta, ideatrice, fondatrice e amministratrice; Margherita Paradisi, cofondatrice e advisor per la strategia di brand e la comunicazione; Gloriana Assalti, farmacista e cosmetologa, creatrice dei prodotti cosmetici e del percorso di rinnovamento cosmetico; Consuelo Zenzani, psicologa psicoterapeuta e coach, creatrice dei contenuti dei podcast e del percorso di rinnovamento interiore. Un prodotto creato dalle donne per le donne, o meglio, per tutti coloro che desiderano dedicarsi un po’ di tempo. In un mondo sempre più frenetico e stressante, ascoltarci e prenderci cura di noi stessi potrebbe essere la soluzione per non impazzire.
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Diversità e inclusione
imitless fashion
di Priscilla Lucifora
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asta andare sulla homepage di BOF, Business Of Fashion, uno dei magazine online più autorevoli a livello internazionale quando si parla di industria della moda, dell’abbigliamento, della bellezza e del beauty, per vedere almeno un articolo che parla di diversity. Una ricerca del termine sullo stesso sito ci mostrerà poi decine, centinaia di articoli scritti in proposito. Il termine diversity è legato a moltissimi brand, da quelli dello sportswear statunitense a quelli dell’haute couture francese, travolgendo nel suo passaggio tutto quello che c’è in mezzo. Di solito in coppia o affiancata a un’altra parola fondamentale al nostro discorso: inclusivity. Ma cosa vogliono dire queste parole? In assoluto, vogliono dire inclusione. Inclusione di una nuova idea, fino a qualche anno fa ignorata: l’idea che la bellezza non giace in ideali assoluti di biondezza, di magrezza, di perfezione, di occidente, di bianchezza. L’idea che la bellezza è anche sicurezza, divertimento, voglia di mostrarsi, personalità, diversità. L’alta moda, con il concetto di diversità, ci ha sempre giocato. Ha usato modelle donne e le ha vestite da uomo, modelli uomini e li ha vestiti da donna, ha piegato i generi fino a confonderne i confini prima ancora che lo facesse la società. Ha cercato la diversità androgina, la diversità disturbante. La passerella, dopotutto, era un mondo alieno, un mondo dove tutto era possibile. Oggi però la cosa ha acquisito connotazioni diverse, e la ricerca della diversità ha una prerogativa non più di gioco e di astrazione, ma mette radici nella società e nella realtà. Il diverso del cielo che si specchia nel suo opposto, il diverso della terra.
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Il mondo cambia, e con esso gli ideali di bellezza: l’industria del lusso riuscirà a tenere il passo?
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La diversità trae forza dalla realtà, dalla strada, dal quotidiano e chiede che questa realtà di corpi, di colori, di pelli, di capelli, di modi e di gusti trovi rappresentazione totale nel mondo della moda e della bellezza. Da questa esigenza di rappresentazione totale dei casi del reale, chiesta a gran voce dagli utenti e dai clienti, nascono i trend del curvy, del gender bender, la maggiore inclusività di tanti brand, che dopo molti anni hanno, ed è solo un esempio, accolto modelle di colore sulle loro passerelle. Trend che non sono altro che una risposta del mercato a queste richieste sempre più pressanti. Risposte diversificate, che non sempre soddisfano l’opinione pubblica, ma che dimostrano una volontà comune e irrinunciabile, anche dal punto di vista strettamente economico. Se non includi, non vendi. Lo scorso luglio, la maison di moda francese forse più rappresentativa di tutte, Chanel, ha assunto una nuova figura nel suo organico: il responsabile alla diversità e all’inclusione. Non è l’unica casa di moda ad averlo fatto. Anche Burberry e Adidas hanno compiuto negli scorsi mesi scelte simili. Scelte obbligate dalla crescente pressione dell’opinione pubblica, che sorveglia da vicino i grandi marchi, pronta a sottolinearne tutti gli errori. Un post sui social, parte il passaparola, e il gioco è fatto. La miopia dei giganti della moda viene esposta al mondo intero. L’integrazione di questa nuova figura (già esistente ad esempio nell’organico di grandi organizzazioni economiche come la UBS bank e particolarmente sensibile alle tematiche sociali) mostra una volontà, prima inesistente, di fare qualcosa, e di evitare disastri d’immagine in futuro. Pierpaolo Piccioli, designer dell’unica casa di moda italiana che forse riesce a gareggiare con l’haute couture parigina, Valentino, ha fatto dell’ideale di diversità e inclusione la sua missione. Il nuovo volto della casa di moda è Adut Akech, diciannovenne proveniente dal Sudan del Sud. “Il mio lavoro è di portare avanti la mia visione inclusiva della bellezza” afferma il designer.
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Gucci ha rischiato non poco con il passamontagna nero e rosso che forse troppo somigliava alle caricature razziste dell’America degli anni che furono, e si avvicinava pericolosamente al fenomeno conosciuto come blackface, in cui persone caucasiche si tingono la faccia di nero per imitare e scimmiottare le persone di colore. Non a caso ha deciso di rafforzare il suo rapporto con Dapper Dan, leggendario designer di Harlem che più di una volta ha visto alcuni dei propri capi essere copiati da marchi più famosi del suo senza reali conseguenze. “Sono un uomo nero prima di essere un brand” scrisse sul suo profilo Instagram ai tempi dello scandalo. “Un’altra maison ha sbagliato in maniera oltraggiosa. Non esistono scuse che possano cancellare questo tipo di insulto. Il CEO di Gucci ha acconsentito a venire ad Harlem questa settimana per parlarmi insieme ad altri membri della comunità nera e altri leader dell’industria. Non esiste inclusività senza una presa di responsabilità.” La questione, però, non è solo razziale. È ramificata e sfaccettata, e va a coprire anche altre diversità. Diversità fisiche e diversità culturali. Nike, ad esempio, ha realizzato recentemente la sua prima linea di abbigliamento per le donne musulmane che vogliono rimanere coperte senza rinunciare allo sport. È nato il primo Hijab Nike Pro. Nella stessa direzione si è mosso anche uno dei colossi del fast fashion, lo svedese H&M, che ha lanciato nella primavera del 2018 la sua prima linea di modest fashion. “Non è solo una fase; diversità e sostenibilità continueranno a crescere e diventeranno tematiche dominanti nell’industria” ha affermato Dr Ronald Milon, chief diversity officer del Fashion Insititute of Technology di New York. La strada è lunga, e non tutti sembrano aver recepito il messaggio in tempo. Le conseguenze a questo tipo di miopia possono essere molto serie. Come dimenticare gli effetti sul fortissimo mercato cinese degli spot Dolce&Gabbana che mostravano una modella cinese mangiare un cannolo siciliano mentre una voce esterna con un fortissimo accento macchiettistico suggeriva: “Forse è troppo grande per te?” E mentre cambia la rappresentazione della bellezza negli ambienti alti, questo slittamento
si riproduce anche ai piani bassi, e viceversa, in un continuo influenzamento a doppio senso di circolazione che proprio dal suo continuo movimento trae la sua forza. Basti pensare ai social network, usati per accusare e richiedere, per fomentare e per mostrare. Su YouTube e su Instagram abbiamo visto i primi beauty guru uomini, le modelle plus size mostrarsi al mare senza Photoshop, i profili verità delle madri e dei loro imperfetti corpi post gravidanza. Realtà sempre esistite, certo, ma che o erano limitate ad alcune subculture o venivano nascoste, che approdano in spazi estremamente popolari da cui prima erano assolutamente escluse. La bellezza non esiste più, o forse è più diffusa che mai e si specchia ovunque, libera dagli ideali di perfezione.
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Beauty Life Cosmetici lancia una nuova linea di cosmeceutici. Che cosa sono? Nient’altro che prodotti cosmetici che offrono benefici simili ai farmaci
Bellezza su misura
La nuova frontiera del beauty: i cosmeceutici rigeneranti 38
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a maggior parte delle donne da una crema pretende moltissimo, risultati visibili e immediati. L’apparenza non incanta più nessuno, ingredienti dai nomi altisonanti e dal grande impatto marketing oggi sono ormai superati. Le donne cercano sostanza dietro e dentro ad una crema, sono sempre più esigenti e pretendono credibilità, risposte vere e risultati visibili. Erika Guerra, 39 anni, dopo quasi diciannove anni passati a lavorare come Beauty specialist ha deciso di fondare un nuovo brand, con lo scopo di mettere sul mercato cosmeceutici in grado di rispondere a tutte le esigenze di cui la nostra pelle ha bisogno. “In questi anni di lavoro passati ad aiutare molte donne che volevano migliorare i propri inestetismi, ho capito che ogni pelle ha bisogno di un prodotto cosmetico mirato alle sue esigenze e al proprio stile di vita, e sono sempre più convinta di questo. I risultati visibili si raggiungono attraverso il compimento di piccoli rituali quotidiani prolungati nel tempo. La costanza di una beauty routine, realizzata ad arte, migliora senza dubbio la compattezza, l’elasticità e la grana della pelle, rendendola tonica, luminosa e ossigenata. Quello che danneggia la nostra pelle è lo stress, la rabbia, le cattive abitudini, l’inquinamento e l’esposizione non protetta ai raggi solari. Anche la convinzione che i piccoli gesti non servano a nulla ci mette del suo; al contrario sono proprio i piccoli gesti quotidiani che garantiscono risultati reali e prolungati nel tempo”, spiega Erika. I cosmetici Beauty Life sono frutto di una meticolosa e costante ricerca di mercato, dove la scienza e le nanotecnologie si uniscono alle sostanze funzionali che la natura ci offre. Un approccio multifunzionale per donare risultati visibili a tutti i tipi di pelle e di inestetismi.
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“Per noi le donne sono come farfalle: belle, uniche e in continua metamorfosi”. La farfalla, non a caso icona del brand, vive una lenta trasformazione; la sua bellezza e la sua armonia sono il frutto di una lenta metamorfosi che le permette di raggiungere la massima espressione di sé. Parte proprio da questo concetto Erika Guerra, Ceo di Beauty Life Cosmetici. Dall’amore per la pelle e dal profondo senso di rispetto e di stima che nutre per tutte le donne, ha fatto nascere i suoi prodotti. La fretta e la superficialità vengono lasciate fuori dall’azienda, per dare spazio solo ad una progettualità fluida, coerente e mirata. Il concept dell’azienda è allineato con un concetto univoco di bellezza, intesa come rituale quotidiano e cura del corpo che partono dal sé, dalla propria anima e dalla volontà di dare importanza ai piccoli gesti. Tutto questo, messo insieme come un puzzle, crea la vera metamorfosi di bellezza. Seguendo questa filosofia Beauty Life offre diversi prodotti per la cura del corpo e del viso. All’interno della linea Gold Life troviamo il gel detergente, che assicura idratazione, nutrimento ed elasticità; la crema viso 24h, con uno speciale fattore illuminante che riduce visibilmente l'ombreggiatura che crea la ruga e infine il contorno occhi e labbra,
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Un rituale quotidiano e una cura del corpo che partono dal sé
che contrasta le antiestetiche linee sottili e le borse del contorno occhi. Si aggiungono a questi il burro fondente per il corpo che, a base di olio di cocco e burro di Karitè, dona alla pelle secca immediato nutrimento e benessere e il miele corpo dopo bagno, una coccola disponibile in due profumazioni: frangipane e biscotto. Una calibrata miscela di granelli di gusci di noce e polvere dorata dà vita invece allo scrub gelee per mani e piedi, che attenua le macchie cutanee e accelera il rinnovamento cellulare. Sempre dedicata alle mani la Baume de beauté, uno speciale balsamo composto da burro di Cupuacu e di Murumuru, associato al burro di Karitè; elementi che conferiscono un’idratazione profonda, proteggendo la pelle da screpolature, rossori e secchezza. Il tutto arricchito da un inconfondibile profumo di orchidea nera. Da circa un anno infine Beauty Life ha messo a disposizione dei clienti, oltre che uno shop online, anche un servizio di consulenza gratuita. Sembra infatti essere sempre più di tendenza, al giorno d’oggi, la possibilità per il consumatore di usufruire di veri e propri pacchetti su misura, confezionati in base alle singole esigenze e necessità. Spazio quindi alla personalizzazione, per un’esperienza unica e insieme efficace.
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Oltre la tradizione
Sostenibilità e body positivity: le nuove sfide della moda di Paride Saldarini
Dopo la rivoluzione dei big names degli anni Ottanta, le nuove leve combattono la sfida tra vecchio e nuovo
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Courtesy Raeburn 42
e pensiamo alla moda i nomi che possono venire in mente sono Prada, Chanel, Dior, Gucci, Louis Vuitton. Tutti nomi italiani o francesi, eccetto qualche “intruso” proveniente dagli Stati Uniti come Marc Jacobs e Oscar de la Renta, o dall'Inghilterra come Burberry. Con il tempo, alle due capitali della moda per eccellenza, Milano e Parigi, si sono aggiunte anche Londra e New York. Tutto questo avveniva negli anni '80. Ma oggi quali sono le nuove realtà che si stanno affermando? Come spesso succede, il “vecchio” lascia posto al nuovo e una nuova classe di stilisti sta pian piano crescendo con nuove idee, nuovi business e nuovi progetti tutti da scoprire. Tra i nomi che più spiccano c’è sicuramente Jonathan Anderson, fondatore di JW Anderson e direttore creativo della maison spagnola Loewe. Capace di uno stile disinvolto e fresco, ha un sogno: pensare un lusso più democratico. Che cosa significa? Nuovi capi per nuove clientele che non hanno paura di mischiare tradizione e modernità, tocchi di arte e cross culture. Uno stile più personale ed elegante, perfettamente pratico sia di giorno che la sera. Anderson, mai sceso a compromessi, ha sempre fatto ciò che riteneva giusto, unendo diverse ispirazioni provenienti dal mondo dell'arte. Alla sua
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Credit: JW Anderson #jwanderson | @jw_anderson www.jwanderson.com
ultima sfilata le modelle camminavano all’interno di una installazione dell'artista canadese Liz Magor. Concept della sfilata: come si possono riutilizzare oggetti che non si usano più? Nessun problema: gioielli e cristalli possono essere ricamati su giacche e vestiti di cotone asimmetrici. Una eleganza bizzarra che salta all'occhio immediatamente, accompagnata dall’ottimismo verso un futuro migliore. Rivolto a una diversa concezione è invece il progetto dello stilista americano Telfar Clements. Più che al rapporto con l'ambiente, è interessato ai rapporti tra le persone. Come reazione contro le nuove dark news quali il ritorno di una forte ondata di xenofobia, razzismo, omofobia e misoginia, propone una moda rivolta ai concetti di inclusività e coabitazione. Lui stesso si definisce avvocato di comunità queer dove tutti sono inclusi, indipendentemente dai propri gender, sessualità e provenienza. La sua ultima collezione è stata presentata durante la settimana della moda di Parigi nel 18° Arrondissment, presso il teatro La Cigale. Clements ha deciso per l’occasione di realizzare un video con il cast di Moonlight, gli stessi outfit del video erano poi indossati in passerella dai modelli: canotte, blouse, shorts, streetwear. Capi semplici ma sempre con qualcosa di inaspettato: tasche plussize, reti. La collezione prende ispirazione dalle uniformi della sicurezza negli aereoporti. Questi luoghi - spiega Clements - sono per le persone di colore ancora motivo di rischio e di frustrazione (numerosi sono stati i casi di violenza da parte degli agenti su di loro). Non si sa mai cosa può succedere. Un po' per protesta un po' per rivolta i suoi modelli indossano pantaloni cargo, giacche, t-shirt e tute da ginnastica strappati, ibridati e con inserti di rete.
Capi semplici ma sempre con qualcosa di inaspettato
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La grandezza di Telfar sta proprio in questa ibridazione della moda stessa: non più un semplice capo da indossare, diventa pensiero, performance, rivolta e politica. Alla fine della sfilata i modelli hanno invitato il pubblico a ballare sulla passerella mostrando inclusività e gioia di vivere. L'etica verso il pianeta è uno degli aspetti più importanti a cui oggi non si può non pensare. Pioniere dell'eticità ambientale è sicuramente Raeburn, nuova leva della moda inglese. Brand nato nel 2010, il suo spirito e la sua etica sono composte da 4 R: remade, recycled, reduced e Raeburn. Riciclare materiali di scarto, rilavorarli e ridurre sprechi: che cosa si può fare di un paracadute scartato o di un gommone inutilizzabile? Raeburn prende tutto questo e gli infonde una nuova vita. Le tracce di grezzo sono un segno della vita dei materiali e della rinascita in qualcosa di nuovo. Suzy Menkes, grande firma di Vogue, ha scritto che è la sua visione particolarmente attenta verso il pianeta e gli uomini a rendere Raeburn uno stilista così altamente originale ed eccezionale. Queste sono solo alcune delle esperienze che stanno maturando nel mondo della moda. Non molto conosciute, spesso fanno fatica ad emergere dalla selva dei grandi nomi o, dato il loro forte contenuto innovativo, non tutti riescono a comprenderli. Nonostante i centri fondamentali rimangano sostanzialmente consolidati e immutabili, nuovi business fino ad ora impensabili stanno pian piano emergendo con una loro creatività e una loro forza, che avrà delle influenze importantissime nei giorni che verranno. Più che la novità è la forte inclusività che offrono a giocare un ruolo importante per il futuro e oggi più che mai è necessario supportare queste nuove realtà. D’altra parte, se la moda non guarda in avanti dove altro può guardare? Non si può prevedere cosa sfilerà domani in passerella, ma la battaglia tra vecchio e nuovo si giocherà sui temi di sostenibilità, inclusività e body positivity.
Credit: Mitchell Sams
#telfar | @mitchell_sams www.telfar.net
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NUOVI CENTRI SPACES STANNO ARRIVANDO A MILANO. Un ambiente prestigioso e stimolante, dove nascono le idee, le aziende crescono e le relazioni evolvono. Un posto in cui puoi occuparti del tuo business, controllare le e-mail e organizzare le riunioni, e intanto goderti un’ottima tazza di caffè e un buon pranzo. Ora puoi trovarci a Milano nei centri Spaces Porta Nuova, Spaces Isola e Spaces San Babila. Prossime aperture Spaces Turati e Spaces Piazza Vetra. Visita il sito spacesworks.com/milan o chiamaci al numero 800 82 84 30 per saperne di più. Uffici, spazi di coworking, sale riunioni, community.
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22/10/2019 15:39
FASHION
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Garanzia italiana
l made in Italy per una calzatura di qualità
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elasca è un marchio italiano di scarpe da uomo fatte a mano nelle Marche, nato da un’esigenza personale: una calzatura di qualità Made in Italy al giusto prezzo. I suoi fondatori, Enrico Casati e Jacopo Sebastio, hanno saputo guardare oltre ciò a cui siamo abituati e lo hanno fatto con un guanto di sfida: la bellezza e l’unicità del Made in Italy non dovrebbero essere un privilegio per poche persone, ma un’eredità da condividere. Da qui il coraggio di coinvolgere gli artigiani, bussando porta a porta, per convincerli a far parte del progetto. Questo incontro ha aperto le porte ad un modello di business che non conosce intermediari: le scarpe arrivano al cliente direttamente dalle mani artigiane, per questo le Velasca le trovi solo da Velasca. Dietro ogni calzatura c’è un uomo o una donna che hanno intagliato, limato o cucito quel prodotto, con la passione che è stata loro trasmessa dalla famiglia. “Il valore aggiunto dell’uomo è presente in ogni passaggio. Questo rende il tutto molto di valore e difficile da copiare”, dice Jacopo. Dietro ogni scarpa c’è una storia, e Velasca cerca di raccontarla ogni giorno. Enrico, con un passato internazionale in HSBC, e Jacopo, con forti basi di finanza in Deloitte, hanno infatti deciso insieme di scommettere sul potenziale dell’italianità e del prodotto artigianale tradizionale marchigiano, dove viene realizzata, a mano, ogni singola scarpa. La startup nasce inizialmente con un negozio online, che ha fin da subito un grande successo; poi arriva la prima Bottega fisica, oggi se ne contano nove, di cui una a Parigi.
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Credit: Velasca
#velascamilano | @velascamilano www.velasca.com
Dall’idea di due giovani milanesi unita all’esperienza delle mani degli artigiani, nascono le calzature Velasca, ormai esportate in tutto il mondo
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All’inizio di novembre sono arrivati anche a Londra, mentre l’apertura di una Bottega a New York è in programma per l’inizio del 2020. Ogni negozio sarà costruito su un tema diverso, con un qualche legame con la città in cui si trova, come già accade nella Bottega di Bologna, dedicata ai motori, e in quella di Firenze, dedicata all’arte. Nonostante la volontà di coinvolgere fisicamente il cliente, rimane centrale l’attenzione per la comunicazione digitale, che sta contribuendo ad esportare l’eredità italiana in tutto il mondo. Viviamo in un mondo di nativi digitali, quindi l’e-commerce è un canale fondamentale per raggiungere ogni angolo d’Italia e del mondo. Ma non lavora da solo: lo fa insieme alle Botteghe. Chi entra non deve per forza uscire con un sacchetto: se il prodotto è riuscito a trasmettere la sua storia, prima o poi sarà acquistato. Le Botteghe sono un vero e proprio luogo d’incontro, nel quale i clienti possono sentirsi a casa e trovare persone di cui fidarsi, a cui chiedere consiglio per i loro acquisti. E si sa, il futuro del retail è nell'integrazione di online e offline: si può magari passare nella Bottega, provare le scarpe e poi chiedere di riceverle a casa, direttamente dal sito web. Una curiosità: il nome “Velasca” ha radici forti e una derivazione di valore, legata a creatività e design italiano. Velasca racconta infatti della Torre Velasca, anche chiamata “Il grattacielo con le bretelle”, simbolo dell’innovazione di un’Italia che si rialza negli anni ’50 dopo la Grande Guerra. Un esempio di come un’idea apparentemente semplice possa risultare vincente e abbia contribuito, di conseguenza, all’esportazione dell’alta qualità che da sempre caratterizza il prodotto artigianale italiano.
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TRAVEL
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Ritmo ed emancipazione
Josephine Baker tra provocazione e riscatto di Beatrice Anfossi
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i sono figure della storia controverse, persone che hanno fatto la differenza o lasciato il segno. Alcune di esse sono famose, ben presenti nella mente di tutti. Vengono ricordate nell’anniversario della propria nascita o morte, compaiono in articoli e tributi. Altre hanno agito più nell’ombra, o nell’ombra poi sono finite. Dimenticate, sottovalutate o semplicemente sconosciute ai più. O ancora conosciute, sì, ma senza la consapevolezza di quanto il loro esempio e la loro esperienza siano state determinanti. Non si può negare che questo sia accaduto spesso alle donne: tra di loro c’è Josephine Baker. E Josephine Baker non è stata una semplice ballerina. Nata nel 1906 a Saint Louis, in Missouri, non impiegò molto a rendersi conto che la vita di una bambina nera, nel bel mezzo della segregazione razziale, non sarebbe stata semplice. Le bianche e benestanti famiglie per le quali lavorava a stento la consideravano un essere umano, vietandole categoricamente di “dare baci ai loro figli”. È solo la prima delle innumerevoli discriminazioni che Josephine dovrà affrontare nel corso della propria vita. Di indole combattiva, si mantenne sempre da sola, senza mai dipendere da un uomo. Si sposò e divorziò, per quattro volte. A soli tredici anni riuscì ad entrare a far parte della compagnia The Dixie Steppers, che in un primo momento l’aveva giudicata “troppo magra e troppo nera”. Per questo Josephine può essere considerata un esempio di tenacia, caparbietà e determinazione: in un mondo in cui si parla spesso di femminismo e pari opportunità, lei sembra aver precorso tutti i tempi, sovvertendo le regole ferree che dominavano
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SOCIETY
Credit Busto: Brandon Carson #brandoncarson | @brandons.records Flickr: DSCN0163
La ballerina nera che stregò l’Europa negli anni Venti con le sue esibizioni fuori dagli schemi e che non smise mai di lottare per una società migliore
la società statunitense negli anni Venti. Ma ancora doveva arrivare la fama e, con quella, la battaglia per i diritti civili di tutti quelli come lei: i neri d’America. Josephine raggiunse l’Europa nel 1925, con lo spettacolo la Revue Nègre, un vero scandalo e, proprio per questo, un enorme successo. Siamo negli anni del primo dopoguerra, la gente balla il Charleston e i parigini hanno bisogno di svago, dopo i duri anni del primo conflitto mondiale. Josephine Baker è una ventata di aria fresca che sconvolge i benpensanti: una ballerina seminuda, per di più nera, che si muove sul palco in maniera del tutto nuova. Spalanca gli occhi, li fa roteare, sembra quasi goffa quando balla. La sua è una provocazione continua, è il suo modo di sentirsi finalmente libera. Negli anni Novanta ha fatto scalpore il reggiseno a punta, creazione di Jean Paul Gaultier, indossato da Madonna in occasione del “Blond Ambition” tour. Peccato che già settant’anni prima Josephine si fosse presentata sul palcoscenico con un gonnellino fatto soltanto di sedici banane. Fu l’esibizione che consacrò definitivamente il suo successo. La ballerina sembrava salire sul palco e dire: “eccomi, potrete anche chiamarmi scimmia ma io sono qui e voi non mi staccate gli occhi di dosso”. Sembra folle, forse un po’ lo era, ma è anche incredibilmente attuale: basti pensare ai cori che ancora oggi riecheggiano negli stadi quando un giocatore nero scende in campo. Il successo in Europa è travolgente, gli spettacoli che hanno Josephine come protagonista riempiono i teatri e lei diventa una delle artiste più pagate e fotografate di tutto il mondo. È la musa di grandi
Josephine Baker non è stata una semplice ballerina
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artisti, da Picasso a Colette: rappresenta l’essenza stessa di quell’età del jazz che ha infiammato l’Europa tra gli anni Venti e Trenta. Questo status privilegiato sembra però abbandonarla non appena lei lascia il Vecchio Continente: ogni volta che Josephine tornerà nella sua terra natale verrà considerata una cittadina di serie B, al pari di tutti coloro che condividevano con lei il colore della pelle. La critica stronca i suoi spettacoli, i benpensanti non possono accettare che una donna nera calchi le scene di Broadway, ottenendo un enorme successo. Gli hotel rifiutano di ospitarla, i ristoranti di servirle la cena. L’allure da diva, che Josephine si era faticosamente guadagnata in Europa, sembra essere rimasta là, insieme alla sensazione di sentirsi finalmente parte di un Paese che la accetti così com’è. È in quel Paese, la Francia, che la ballerina torna. E proprio in difesa di quella nazione Josephine presta il suo servizio durante la Seconda Guerra Mondiale. Sfruttando la sua notorietà e la possibilità di muoversi liberamente, la regina dei palcoscenici di tutto il mondo riesce infatti a trasportare, nascosti tra i suoi spartiti, alcuni documenti segreti che aiutano la Resistenza Francese nella lotta contro il Nazismo. Quindi no, Josephine Baker non è stata una semplice ballerina. Proprio per la sua dedizione, verrà poi insignita della Medaglia della Resistenza e nominata Cavaliere della Legione d’onore dal Governo francese. A questo punto però, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la ballerina decide che è arrivato il momento di tornare a casa. Non è più la ragazza
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SOCIETY
“troppo magra e troppo nera” di Saint Louis. È una star di fama mondiale che pretende che i suoi diritti, come quelli di tutti, vengano riconosciuti. Servendosi dei media e della sua visibilità, ingaggia battaglie esplicite con alcuni accaniti sostenitori della segregazione razziale, per poi prendere parte nel 1963 alla marcia su Washington, al fianco di Martin Luther King. Proprio in questo periodo inizia anche ad adottare i bambini, poi in tutto dodici, che formeranno quella che lei stessa definiva la sua “famiglia arcobaleno”: Josephine voleva dimostrare che persone provenienti da ogni parte del mondo, di etnie e religioni diverse, potevano vivere insieme, felicemente. È impossibile non riconoscere questi discorsi e queste posizioni come attuali. Per questo senza timore di smentita possiamo dire che Josephine Baker ha precorso i tempi, non soltanto nel suo modo di esibirsi, ma anche nelle battaglie che ha deciso di sostenere nel corso della sua vita. La sua provocatoria esistenza è terminata il 12 aprile 1975, senza che mai Josephine smettesse di ballare.
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HERITAGE advertorial
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Arte in mostra
infinito è solo l'inizio
Cramum e Gaggenau di nuovo insieme per svelare alla cittĂ il Paese delle Meraviglie di Paolo Scirpa 54
HERITAGE
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ramum è un progetto no profit nato per sostenere progetti artistici e culturali in Italia e all’estero, con particolare attenzione ai giovani artisti. La parola “cramum” deriva dal latino e significa “crema”, “la parte migliore”. Progetto principale di Cramum dal 2012 è il Premio omonimo, concepito per essere un talent-program per i migliori giovani artisti in Italia. Ogni anno il premio mette al fianco dei finalisti dieci artisti di fama internazionale, intellettuali, curatori, collezionisti e giornalisti. Dal 2014 il direttore artistico è Sabino Maria Frassà. Dal 2017 Cramum fa parte della Fondazione Cure Onlus. Gaggenau, invece, è un’azienda tedesca che produce elettrodomestici di altissima qualità ed è al contempo simbolo di innovazione tecnologica e design Made in Germany. Le sue origini risalgono addirittura al 1683. Cosa fanno, insieme, Cramum e Gaggenau? Arte. Il noto brand del design di lusso e il progetto no profit presentano a Milano, dal 20 novembre fino al 31 gennaio, la mostra "Sconfinamento" curata da Sabino Maria Frassà e dedicata a Paolo Scirpa, tra i più rilevanti artisti italiani viventi. La mostra mette in scena nello Showroom milanese del brand tedesco una mostra-evento dove lo spettatore si può perdere, divertito e impressionato, tra luci e inganni ottici alla base delle opere (chiamate "Ludscopi") di Paolo Scirpa.
Sebbene il tema sia serio, la tensione all'infinito e la ricerca di un'ascesi morale, la mostra colpisce subito per la spettacolarità e la natura site-specific: pozzi luminosi e stargate a terra e sul soffitto. Il curatore ha costruito questo percorso liberamente ispirandosi ad Alice nel Paese delle Meraviglie, volendo cogliere del Maestro la capacità di unire l'aspetto mistico e quello ludico: "Paolo Scirpa è riuscito e riesce ancora oggi a liberare ed elevare l'essere umano ad approcciare e percepire l'infinito anche solo per un secondo. Quella che si sprigiona è una vertigine di gioia, una possibilità di riassaporare quello stupore e quella meraviglia propria dei bambini, ancora incoscienti e non pienamente consapevoli di sé e dei propri limiti. Per Paolo Scirpa l'infinito è solo l'inizio". La mostra conclude il ciclo di mostre InMaterial che per il secondo anno ha permesso al pubblico milanese di scoprire gli elementi di design di lusso di Gaggenau attraverso una selezione di opere e di artisti all'avanguardia e mai banale, frutto di un quasi maniacale lavoro di ricerca del direttore artistico, Sabino Maria Frassà. Aspettando le novità per il 2020 non ci resta che perderci nel magico mondo di Paolo Scirpa alla ricerca dell'infinito. Milano, "Sconfinamento" Spazio Gaggenau - Corso Magenta 2 20 novembre - 31 gennaio
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Cantina Scacciadiavoli: competenza tecnica e rispetto della tradizione sono le parole d'ordine essenziali per l'ottima produzione vinicola di questa azienda
Vino e leggenda
La passione di quattro generazioni 56
WINE&SPIRITS
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e volete andare, andiamo, ma io non ci vengo, questo simpatico detto umbro rende bene le caratteristiche essenziali dello spirito regionale. Gente molto riservata, ma allo stesso tempo generosa e ospitale, proprio come la conformazione geografica di questi luoghi: boschi verdeggianti che danno requie dal gran caldo in estate, mentre in autunno allietano la vista con il loro variopinto foliage. Tra questi dolci declivi sorge una delle più prestigiose e antiche aziende locali avvolta da un'aurea leggendaria, che la impreziosisce ulteriormente. Secondo un'antica leggenda infatti, nei terreni della Cantina Scacciadiavoli operava un esorcista che aveva escogitato un metodo inusuale per allontanare il maligno: la vicenda narra di una giovane posseduta, alla quale è stato fatto bere del vino locale, riuscendo in questo modo a scacciare il Diavolo. Risalente nel tempo è anche la storia della cantina: attraverso una vicenda professionale centenaria vengono raccontate generazioni di vignaioli e di come sia ancora possibile tramandare l’amore per la terra e per il territorio. Montefalco e il vitigno Sagrantino sono oramai parte del DNA della cantina Scacciadiavoli e della famiglia Pambuffetti, un connubio iniziato con il sogno di Amilcare e che ora continua con la quarta generazione della famiglia. Ideata e fondata dal Principe Ugo Boncompagni Ludovisi (in effigie nei pali azzurri che circondano la cantina si possono ancora notare le iniziali dell'aristocratico) come “stabilimento” del vino nel 1884, la Cantina Scacciadiavoli era, già allora, un complesso enologico imponente e molto moderno. Nel 1954 Amilcare Pambuffetti, all’età di 71 anni, acquisì la tenuta di Scacciadiavoli, la stessa tenuta dove da ragazzo, intorno ai 14 anni, aveva lavorato
come garzone. Alla sua morte nel 1977, i figli Alfio, Settimio e Mario portarono avanti l’attività del padre. Nel 2000 i fratelli Pambuffetti (Francesco, Carlo, e Amilcare), figli di Settimio, come vuole l’antica tradizione, presero in mano la cantina più antica del territorio. Ad oggi la cantina vanta 130 ettari di superficie, di cui 40 impiantati a vigneto, con una produzione di circa 250.000 bottiglie. I vigneti si trovano ad una altitudine media di 400 metri s.l.m., su terreni argillosi e mediamente profondi, molto indicati per una viticoltura di qualità incentrata su varietà tardive come il Sagrantino. I vigneti occupano vari versanti della collina arrivando a toccare i comuni di Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria e Montefalco. Quest'ultimo comune è chiamato anche la Ringhiera dell'Umbria, perché data la sua posizione permette un suggestivo sguardo panoramico che spazia dall'intera vallata tra Perugia e Spoleto, dai versanti del Subappennino a quelli dei Monti Martani. Esso offre il nome alla denominazione di origine controllata Montefalco, che comprende i terreni dell'omonima città e in parte quelli dei Comuni di Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castello Ritaldi e Giano dell’Umbria, in provincia di Perugia. In questi territori è presente il vitigno Sagrantino, “tra i vitigni più particolari e unici che ci siano in Italia”, come ci tiene a precisare Liù Pambuffetti. Quanto sia antica la coltivazione di uva Sagrantino a Montefalco è da sempre materia di dibattito, univoco e pacifico è invece il giudizio sulla qualità del vino, Il Montefalco Sagrantino della Azienda Agraria Scacciadiavoli, che stupisce con i suoi aromi così variegati e una struttura di tale portata. Il colore è profondo, il bouquet è sensuale e il corpo è vigoroso. Vino la
Attraverso una vicenda professionale centenaria vengono raccontate generazioni di vignaioli
Credit: Scacciadiavoli #scacciadiavoli | @scacciadiavoli www.scacciadiavoli.it
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cui raffinatezza si apprezza da giovane, quando il frutto e le spezie si fondono al gusto del legno, nel quale il Sagrantino è stato elevato. Ma è dopo qualche anno che se ne apprezza pienamente il successo, quando intervengono note balsamiche e i tannini si ammorbidiscono: si scopre così un vino dalla grande personalità. Ricco di polifenoliche hanno proprietà antiossidanti e quindi benefiche. Dal vitigno Sagrantino non nascono solo grandi rossi. Vinificato in bianco è una base originale per lo Spumante Brut Metodo Classico di Scacciadiavoli. Le caratteristiche del vino si rivelano in nuove forme: gli aromi sono freschi e delicati e i tannini, tipici del Sagrantino, partecipano alla struttura unendosi alle bollicine. Competenza tecnica, tradizione e soprattutto grande passione sono le componenti che rappresentano il motore trainante della Azienda Agraria Scacciadiavoli, una felice realtà che sa coniugare le più moderne tecniche produttive con il rispetto delle radici radicate nel territorio, come le parole di Liù Pambuffetti dimostrano: “per noi produrre il vino da questa uva è una sfida che continua da quattro generazioni e il Metodo Classico da uva Sagrantino è la prova che la nostra ricerca non si ferma mai.”
Credit: Scacciadiavoli #scacciadiavoli | @scacciadiavoli www.scacciadiavoli.it
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DESIGN
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Design d'eccellenza
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ormi bene, pensa meglio
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gnuno di noi desidera trovare in viaggio il comfort di casa propria. Che si viaggi per lavoro o semplicemente per rilassarsi, un letto che ci permetta di dormire bene è alla base della buona riuscita di un soggiorno. Non esiste niente di peggio di svegliarsi con le ossa rotte, la giornata inizierà già male e non potrà che finire peggio. Non è un caso quindi che la scelta di architetti e interior designer ricada spesso, ormai da vent’anni, sui prodotti di Milano Bedding. Azienda lombarda che, con i suoi divani letto, è in grado di portare comfort, qualità e design nelle residenze private e in resort esclusivi. Sì perché il divano letto in questione può essere la soluzione adatta a tutti coloro che in casa dispongono di davvero poco spazio, ma non vogliono rinunciare allo stile e soprattutto alla comodità. I modelli dell'azienda, 100% Made in Italy, hanno tecnologie all'avanguardia e offrono infinite possibilità di personalizzazione: rivestimenti, accessori, pouf, poltrone, chaise longue, versioni componibili e angolari, consentendo di arredare gli ambienti creando mood ed atmosfere esclusive. Inoltre, le tecnologie sviluppate aumentano l'efficienza e la praticità dei sistemi di apertura e chiusura del divano letto, nella maggior parte dei casi senza rimuovere i cuscini durante il movimento. Le soluzioni proposte hanno come punto d'eccellenza il comfort sia di seduta che di dormita: una vasta gamma di materassi e reti a maglia elettrosaldata o a doghe di legno, trasformano il divano in un vero e proprio letto. L'azienda presenta le sue novità ogni anno durante il più importante evento per il
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Credit: Milano Bedding #milanobedding | @milano_bedding www.milanobedding.it
Con Milano Bedding puoi trovare il comfort di casa tua in tutto il mondo.
Cover: Divano letto Clarke a Roma
Un divano letto per dormire bene e affrontare la giornata con la giusta carica, in vacanza o al lavoro
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settore dell'arredamento e del design: il Salone del Mobile di Milano. La novità del 2019 è Oliver, disegnato da Alessandro Elli: un divano dalle linee decise e pulite, con un alto schienale dalla forma trapezoidale a creare una decorazione distintiva che sostiene i cuscini nella versione divano mentre, una volta aperto a letto, diventa una piacevole testata. Lo stesso design dello schienale viene ripreso nei braccioli sagomati che accolgono e avvolgono per un comfort di seduta elevato, grazie anche alla qualità delle imbottiture. Recentemente, i divani letto dell'azienda hanno contribuito a creare l'atmosfera unica e distintiva degli appartamenti sparsi in varie parti del mondo del progetto "21-5”, un innovativo concetto di gestione di case vacanza nato in Danimarca che vede 21 famiglie possedere e alternarsi 5 residenze dallo stile unico e ricercato. Da Barcellona a New York è stato scelto Andersen, un modello a dormita trasversale dalle proporzioni equilibrate che spicca per l'elegante e sottile profilo e per la comoda seduta impunturata dal sapore retrò. Nella vivace città spagnola troviamo anche il contemporaneo Dave, modello
Credit: Milano Bedding #milanobedding | @milano_bedding www.milanobedding.it
Sinistra: Divano letto Andersen a Barcellona Destra: Divano letto Dave a Barcellona | Divano letto Oliver
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leggero ed elegante. Clarke, invece, caratterizzato da un rivestimento con lavorazione a “volant” e cucitura a vista che lo rende ricercato e allo stesso tempo informale, è collocato in un raffinato appartamento a Roma, dai toni delicati e chic, arredato con uno stile che mixa elementi classici e moderni. Milano Bedding è un marchio nato nel 1996 dall'esperienza di Kover, azienda da oltre trent'anni leader nella produzione di divani letto, letti e materassi. In collaborazione con diversi designer Milano Bedding ha voluto, fin dalla sua fondazione, creare modelli che coniugassero design, comfort e tecnologia, per portare al mondo dei divani letto la stessa qualità di quello dei letti e dei divani. I prodotti Milano Bedding puntano sempre all'innovazione, allo sviluppo di tecnologie e a soluzioni in grado di aumentare la funzionalità e la praticità dei sistemi di apertura e chiusura, attraverso l'adozione di meccanismi d’avanguardia. La quasi totalità dei prodotti Milano Bedding non richiede la rimozione di cuscini o schienali durante il movimento; inoltre, numerosi modelli offrono anche la possibilità di contenere
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un letto pronto con lenzuola e una coperta leggera. Il brand garantisce la qualità del sonno proponendo una continua ricerca sui materassi impiegati; essi sono di spessori differenti, al passo con i tempi e le tecnologie. L'azienda permette di scegliere tra materassi rigidi, morbidi, a molle, in poliuretano o altri materiali: tutte soluzioni per standard elevati, in grado di soddisfare al meglio il comfort di seduta e di sonno, senza compromettere estetica e design del prodotto. Il brand propone anche una collezione di letti, anch'essi sinonimo di qualità, comfort, design e funzionalità. Ci troviamo in un mondo in cui la concorrenza internazionale corre e le aziende italiane, soprattutto se medio-piccole, stentano a starle dietro. La soluzione, in questi casi, non può che essere puntare sulla qualità e l’eccellenza, caratteristiche che da sempre contraddistinguono i prodotti italiani. Milano Bedding non si discosta da questa linea e sceglie infatti di esportare, ma non solo, una produzione al cento per cento made in Italy.
Credit: Milano Bedding #milanobedding | @milano_bedding www.milanobedding.it Divano letto Andersen a New York
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Matrimoni d'inverno
Winter Wedding: un matrimonio fuori dagli schemi di Daniela Puddu
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e stagioni più gettonate per i matrimoni, si sa, sono quelle primaverili ed estive. Complici le lunghe e belle giornate, i mesi che vanno da maggio a settembre rappresentano il sogno della maggior parte degli sposi. Anche il periodo invernale, però, offre molte possibilità per coronare il proprio sogno d'amore: il clima più rigido porta alla ricerca di ambienti caldi e accoglienti e favorisce la convivialità tra gli ospiti, dando luogo ad un ricevimento elegante ed intimo. Sposarsi in inverno è anche spesso segno di grande originalità e richiede maggior ricercatezza per garantire la massima riuscita dell'evento. Un “si” a 3446 metri
Quando pensiamo alla montagna, non può che venirci in mente il Monte Bianco: la cima per eccellenza. Sulla vetta più alta e famosa d'Italia è stata progettata e costruita la Skyway Monte Bianco, una funivia - incredibilmente moderna ed attenta all'ecosostenibilità, con cabine con visuale a 360°, dove lo Skynauta si eleva e diventa prima visitatore (a Courmayeur | TheValley), poi esploratore (a Pavillon | The Valley) ed in ultimo un pellegrino (a Punta Helbronner | The Sky). È proprio qui che, a ben 3466 metri di quota, in un contesto unico è possibile celebrare il proprio matrimonio, legalmente valido. Un luogo magico di incontro tra terra e cielo – The Sky, appunto - farà da sfondo ad un'unione d'amore come se ne vedono poche. Lo spazio, che per le sue forme ricorda un cristallo, è dotato di una terrazza panoramica che ospita un osservatorio naturale che permette di ammirare vette e ghiacciai perenni. La scelta di sposarsi nella “Cattedrale del Cielo” non è solamente rivolta a coppie di alpinisti ed amanti della montagna più in generale, ma a tutti quegli innamorati che vogliono dare al loro matrimonio un sapore simbolico ed in qualche modo spirituale. Completamente immersi nel cuore della natura e nel silenzio che solo la Montagna è capace di offrire, le vostre nozze saranno diverse da tutte le altre ed irripetibili.
Credit: Kakslauttanen Arctic Resort, Lapland, Finland #kakslauttanen | @kakslauttanen_arctic_resort www.kakslauttanen.fi 66
SOCIETY
Sulla Skyway Monte Bianco potrete accogliere i vostri ospiti con un ricevimento ad alta quota, durante il quale non verrà trascurato nessun particolare e dove non mancheranno nemmeno la musica e l'allestimento floreale. Su questa funivia niente è impossibile! La discesa sarà dolce e le tante strutture ricettive della Val d'Aosta sapranno accogliervi e coccolarvi per una luna di miele tra spa, sport invernali e ristoranti, all'insegna del relax e del divertimento.
La vetta maestosa del Montebianco. Le limpide acque dell'Oceano Indiano. Le luci dell'Aurora Boreale e di NYC. Un viaggio d'amore tra scoperta e meraviglia.
Lusso... In fondo al mar!
L'inverno non è solo neve e freddo. Potrete infatti inseguire il vostro sogno d'amore verso calde mete paradisiache. Prime fra tutte, le Maldive! A sud dell'Atollo di Ari, sorge il lussuosissimo Conrad Maldives Rangali Island Resort, diviso tra le meravigliose Isole di Rangali e Rangalifinolhu, collegate tra loro da un ponte sull'acqua lungo 500 metri. Definito “a celebration of design and human spirit”, il resort è stato inserito da TIME Magazine nel 2018 nella “Word's Top 100 Greatest Destination”. Con i suoi dieci ristoranti e bar pluripremiati e due spa, oltre a tutti i servizi che solo un resort di questo tipo può offrire, esso rappresenta il relax di lusso allo stato puro. Sposarsi in questo luogo, significa scambiarsi le promesse in un vero e proprio paradiso: potrete scegliere di sposarvi sulla spiaggia, con la sua incredibile finissima sabbia bianca, o sul bordo della infinity pool, con una vista mozzafiato sull'Oceano Indiano. O ancora all'Ithaa Undersea Restaurant, il primo nel suo genere, con una vista a 180° sulla meraviglia delle Maldive: un matrimonio “subacqueo” originale ed unico. Il personale del Resort potrà assistervi per realizzare ogni dettaglio del vostro sogno. Potrete poi proseguire la vostra luna di miele all'insegna del relax e della scoperta della fauna e della flora dai mille colori in una delle tante soluzioni offerte dalla struttura. Per chi può permetterselo, il resort propone poi un’esperienza unica nel suo genere: The Muraka. Un edificio a due piani che offre al visitatore una vista “sotto l'acqua”. “Muraka” nella lingua maldiviana Dhivehi significa “corallo” ed è un vero e proprio omaggio alla sorprendente natura delle Maldive.
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SOCIETY TRAVEL
Courtesy moizhusein
Love in NYC
Nozze sotto l'Aurora Boreale
Alzi la mano chi non ha guardato almeno una puntata di “Sex and the City”. Le affollate strade della Grande Mela, con i taxi gialli e i grattaceli che si allungano per arrivare al cielo, i locali fashion e le gallerie d'arte: sembra di essere davvero in un film. Chi non avrebbe voluto infilarsi nelle scarpe di Carrie Bradshaw (e che scarpe!), per vivere una delle sue vicissitudini newyorchesi? Forse un modo c'è ed è quello di... sposarsi proprio a New York! Nella città che non dorme mai, l'inverno può essere davvero rigido, è vero, ma è innegabile che la città assuma una bellezza ancora più suggestiva sotto una coltre di neve. Central Park, uno dei luoghi simbolo della metropoli nel mondo, può essere un bellissimo sfondo ed incredibilmente originale dove ambientare la cerimonia di nozze. Con il silenzio del parco a suggellare le vostre promesse, potrete scegliere tra le diverse location a vostra disposizione, come ad esempio il Conservatory Garden. Se siete dei social-addicted, potrete condividere il vostro matrimonio con il Central Park Conservancy utilizzando il tag #marriedincentralpark su Twitter, Instagram e Facebook. Finita la cerimonia, correte subito al caldo a festeggiare con i vostri invitati in uno dei tanti eleganti ristoranti della zona – la scelta è davvero infinita – magari privilegiando un suggestivo locale con vista sui grattaceli di Manhattan. Per una conclusione tipicamente newyorkese, potreste portare i vostri ospiti a vivere l'esperienza di un musical a Broadway. Dopo il matrimonio, dedicatevi a qualche giorno di svago tra shopping e musei e poi partite per una luna di miele al caldo: per riscaldarvi un po', potrete infatti volare da NYC alla volta di caldi paradisi caraibici come Anguilla, Antigua o Turks and Caicos.
La Finlandia è uno dei Paesi nei quali, se si è fortunati, è possibile essere sorpresi dalle Northern Lights, un fenomeno ottico dell'atmosfera che dipinge il cielo di mutevoli lampi rossi, verdi e azzurri. Un avvenimento magico, al centro di antichi miti e leggende, sotto il quale è possibile scegliere di celebrare le proprie nozze! In Lapponia, a 250 chilometri dal Circolo Polare Artico, sorge il Kakslauttanen Artic Resort. L'Hotel, situato in una delle zone più incontaminate del pianeta e dotato di uno staff internazionale, vi aiuterà ad organizzare il vostro matrimonio scandinavo: oltre alla possibilità di scambiarvi le promesse nella magia dell'Aurora Boreale, la struttura dispone di due cappelle speciali, una di ghiaccio e neve ed un’altra di legno di Tieva nel mezzo della foresta, che possono essere raggiunte anche in slitta. Il Kakslauttanen Artic Resort offre un'ampia gamma di servizi studiati appositamente per realizzare il vostro sogno di un matrimonio invernale e di una luna di miele artica e dispone di alloggi confortevoli e romantici, alcuni dei quali studiati appositamente per l'osservazione dell'Aurora Boreale, come gli igloo di vetro ed i kelo cottage-igloo. Sono inoltre a disposizione molti servizi per farvi vivere appieno la vostra esperienza nordica, come la sauna di fumo più grande al mondo e slitte per un safari tra le nevi. Ultima suggestione: tra dicembre e gennaio c'è un periodo magico chiamato Kaamos, nel quale il sole non sorge mai. Nonostante questo, un fenomeno particolare, tipicamente artico, crea un meraviglioso effetto di luce che dura per circa cinque ore durante il quale il cielo appare blu se si guarda a nord e rosso se si guarda al sud. 68
SOCIETY Il “momento blu”, che si verifica per circa un quarto d'ora al giorno, rende tutto – sia cielo che neve – di tale colore. Sandbank Wedding a Zanzibar
Voliamo di nuovo verso il caldo, dove troviamo ad attenderci la meravigliosa Zanzibar: il paradiso tropicale del continente africano saprà accogliervi ed ammaliarvi con le sue spiagge bianchissime e la sua varietà multietnica unica nel suo genere, che si riflette sugli ospitali abitanti, sulla deliziosa cucina e naturalmente sull'architettura. Questa perla dell'Oceano Indiano è l'ideale per le coppie alla ricerca di un matrimonio in un clima rilassato da tutti i punti di vista. Un mare turchese dalle mille tonalità ed una sabbia finissima saranno lo sfondo del vostro matrimonio da sogno. Potrete alloggiare in uno dei bellissimi resort della penisola di Michamwi, dal quale partirete con un dhow, imbarcazione tipica zanzibarina, alla volta dei sandbanks, incantevoli lingue di terra che appaiono con la bassa marea non lontano dalla costa. In questi luoghi incantati e fuori dal mondo, con l'Oceano a farvi da testimone, potrete scambiarvi le vostre promesse d'amore. Zanzibar è conosciuta anche come l'Isola delle Spezie. Potrete richiamare questa caratteristica dell'Isola anche nel vostro matrimonio, regalando delle bellissime confezioni di spezie dai mille profumi come cadeaux de mariage o utilizzandole come segnaposto per il ricevimento. Una meta sola per due occasioni: matrimonio e viaggio di nozze da sogno. In poche parole, c'è solo l'imbarazzo della scelta: tra mare, neve e luci nordiche e cittadine, il vostro sogno d'amore potrà prendere forma anche nei mesi invernali.
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Courtesy Conrad Maldives Rangali Island
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Fiori a domicilio
Rose, ortensie, girasoli: fiorisce anche il web Dal campo a casa tua in ventiquattro ore: grazie a Colvin ora i fiori li ordini direttamente dal divano
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fare la differenza sono sempre i dettagli, che si parli di abbigliamento, di buon cibo o di design. Ogni particolare può contribuire a personalizzare uno spazio, che smetterà così di essere semplicemente una casa, per diventare la “nostra casa”. Nel mondo di oggi, dominato dagli e-commerce, è diventato sempre più semplice accedere a una miriade di possibilità diverse, legate all’home decor. Dal vaso di design, alla stampa di quell’illustratore famoso, al pouf di velluto. Non mancano neanche i fiori. Qui si inserisce Colvin, startup spagnola che ha portato anche in Italia la possibilità di acquistare bouquet online, che verranno consegnati tra le 24 e le 48 ore in tutta la penisola. Garofani, tulipani, gladioli e, ancora, rose rosse, gigli e anemoni. Sono solo alcune delle varietà di fiori freschi che possono essere acquistate sul sito thecolvinco.com. La startup irrompe in
un mercato ancora molto tradizionale, sfruttando la velocità del web e puntando su una filiera corta che mette in contatto coltivatore e acquirente: questo permette un maggiore controllo sulla qualità e genera un risparmio che può arrivare fino al 50% per il cliente finale. L’attenzione al design della composizione e al packaging completano e rendono unica l’esperienza d’acquisto. L’e-commerce, fondato a Barcellona alla fine del 2016 da tre ex compagni dell’Università ESADE, Sergi Bastardas, Andrés Cester e Marc Olmedillo Diaz, a soli due anni dalla sua costituzione aveva già raccolto 11 milioni di euro, dimostrando come un’idea vincente ottenga la fiducia degli investitori. Perché l’Italia?
Nel 2018 Colvin ha scelto l’Italia come primo Paese per la sua espansione in Europa. Il motivo va ricercato nei dati di mercato: gli italiani amano comprare e regalare i fiori e spendono mediamente più del doppio rispetto agli spagnoli, in un mercato che solo in Italia vale 2,7 miliardi di euro l’anno. I fiori vengono acquistati prevalentemente in negozi o chioschi dedicati, ma Internet è il canale che sta crescendo più rapidamente negli ultimi
Credit: Colvin
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SCONTO
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anni. Quello dei fiori è oggi un mercato che non sempre riesce a garantire al cliente finale un’adeguata qualità del prodotto e un prezzo vantaggioso, a causa di una filiera lunga e poco efficiente.
aggiuntivi, a sottolineare quanto Colvin sia attento all’esperienza del cliente. I bouquet possono essere personalizzati con messaggi e dediche per regali o occasioni speciali, la spedizione è gratuita. È possibile inoltre, a prezzi ancora più vantaggiosi, ricevere il proprio bouquet periodicamente grazie al servizio di abbonamento, per non rischiare mai di rimanere senza fiori freschi in casa o in ufficio. Da non sottovalutare poi l’attenzione che anche Colvin, come ormai molte altre aziende, riserva all’ambiente: i vasi venduti o regalati in abbinamento ai bouquet sono in vetro riciclato e anche il box che contiene e preserva i fiori consegnati a domicilio è composto al 100% da cartone riciclato. Un ottimo connubio di bellezza, profumi e sostenibilità, che permette di rendere la propria casa più accogliente e personale. Dalle ortensie alle rose, un fiore può contribuire a migliorarci la giornata, oppure essere un pensiero speciale per una persona cara. Il mondo del digitale, in questo caso, sembra riportarci a quanto di più tradizionale esista: un bouquet di fiori di campo.
Fiori appena colti dal campo
Ed è proprio la rete distributiva indiretta, in cui il cliente viene raggiunto attraverso diversi intermediari, la causa principale dei costi elevati e variabili e della scarsa freschezza dei fiori, che arrivano nei nostri vasi anche dopo sedici giorni dal raccolto. Proprio a partire da questa considerazione nasce l’idea dei tre startupper di Barcellona, che vantano già esperienze in grandi multinazionali. I fiori di Colvin vengono raccolti nel momento in cui viene effettuato l’ordine online e vengono consegnati entro 24 ore (o 48 ore se l’acquisto viene effettuato dopo le ore 17), direttamente al cliente finale. Accorciare la filiera ha permesso alla startup di assicurare ai consumatori fiori freschi e con prezzi molto vantaggiosi. Inoltre, la formula “soddisfatto o rimborsato”, permette di ricevere nuovamente il proprio bouquet, senza costi 74
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Tendenze a tavola
Il cibo si fa trendy, con un occhio per l'ambiente di Giorgia Sacchi
Dal chilometro zero al viaggio intorno al mondo, mangiare non è mai stato cosÏ cool 76
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capitato a tutti almeno una volta nella vita di andare a cercare sul web, sulle riviste o sui magazine le nuove tendenze in fatto di moda, beauty, tecnologia e design. Da qualche anno anche il cibo è diventato vittima delle tendenze, seguendone e subendone la moda. I nuovi trend in fatto di cibo sono sempre più all’insegna della salute e del benessere. Complice di ciò è stata sicuramente Gwyneth Paltrow che nel 2009 ha aperto il suo blog “Goop”, nel quale dispensa consigli soprattutto sull’alimentazione e su un corretto stile di vita. In un primo momento, la diffusione dei dettami dell’attrice si è limitata al mondo dello star-system americano; proprio le star di Hollywood, e non solo, hanno contribuito alla nascita di una maggiore consapevolezza in questo campo, dopo aver per anni diffuso un modello irraggiungibile di bellezza. Oggi il mangiar sano non è più legato all’ossessione di una forma fisica perfetta, ma è diventato sinonimo di benessere psico-fisico. Nell’ottica di un mondo sempre più frenetico, l’healthy food si dirama poi in un altro concetto: quello dello street food, oggi del tutto stravolto rispetto al classico “cibo da strada”. Comodo, veloce e (quasi sempre) economico; ogni anno più in voga. La novità è che ormai lo street food non è più associato ad un pasto consumato velocemente
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mentre si cammina per raggiungere l’ufficio, ma è diventato spesso, oltre che salutare, anche gourmet. Sempre più chef di fama internazionale, infatti, hanno accolto l’idea dello street food stellato; un esempio è Davide Oldani, che ha scelto di far diventare i suoi risotti “cibo da strada”. Anche lo stile di vita vegan è sempre più diffuso: che sia per etica personale, perché convinti che sia più salutare o anche solo per curiosità, sempre più persone si stanno avvicinando a questo mondo. Per seguire un’alimentazione a base vegetale, non sarà più necessario correre a casa all’ora dei pasti, poiché ormai praticamente ovunque è possibile trovare proposte ad hoc. L’ultima novità? L’eme, un estratto della soia, in grado di riprodurre perfettamente la carne degli hamburger, sangue compreso. Per la verdura invece, spazio ai prodotti del contadino, ancora meglio se a chilometro zero. A casa o al ristorante, sia per chi è vegano, vegetariano o semplicemente abbia a cuore una alimentazione sana e bilanciata, non possono mancare carote, finocchi e melanzane appena raccolte o, ancora, uova fresche di giornata. Se al supermercato ci hanno abituati a scegliere merce perfetta e senza difetti, oggi un’ammaccatura o un frutto più piccolo degli altri sono diventati sinonimi di genuinità. La ricerca scientifica non si è solo limitata a produrre
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surrogati della carne, ma ha pensato anche ad alcuni alimenti in grado, ad esempio, di incrementare le capacità di apprendimento: i cibi probiotici e quelli nootropi. I primi riguardano preparazioni perlopiù fermentate, che contengono micro-organismi vivi in grado di apportare benefici al nostro organismo. Via libera quindi a kimchi, miso e kefir, rispettivamente un piatto coreano di verdure fermentate, un piatto giapponese derivato dai semi della soia gialla, una bevanda originaria del Caucaso, ottenuta dal latte fermentato. A questi si aggiungono i più classici crauti, cipolle ed aglio. I cibi nootropi, invece, includono pesce fresco, uova, curcuma, tarassaco e patata messicana e vengono definiti anche “cibi intelligenti” perché contengono sostanze in grado di migliorare memoria e concentrazione. Quindi, se siete in sessione all’università, state attraversando un periodo stressante al lavoro o avete delle scadenze importanti da rispettare, il consumo di questi cibi è sicuramente consigliato. Le nuove tendenze non sono attente solo al benessere personale, ma anche a quello dell’ambiente: un patrimonio da preservare e tutelare. Per questo sempre di più si apprezza tutto ciò che è green ed eco-friendly, mentre si cerca di ridurre al minimo gli sprechi. Un trend che, proprio per questo motivo, sta prendendo piede è quella del doggybag: si tratta di un’usanza che prevede di portare a casa ciò che non si è riusciti a finire al ristorante. In questo modo vi sentirete meglio con voi stessi per non aver sprecato nulla e, aspetto assolutamente da non sottovalutare, avrete il pranzo pronto per il giorno dopo. A fare coppia con il tema della sostenibilità troviamo l’inclusività: ormai quando si parla di cibo, pur mantenendo saldi i legami con la tradizione, con la mente si viaggia oltreoceano verso cucine esotiche, diverse e tutte da scoprire. Le più gettonate sono quella hawaiana, quella sud americana — specialmente messicana, peruviana e
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brasiliana — e, come new entry, quella dell’Africa del Nord. Nella prima spiccano le poké bowls, ciotole di riso, pesce, frutta e verdura, alla base dell’alimentazione iperproteica dei surfisti; spostandosi in Sud America si possono gustare arepas, simili ai nostri panini e tamales, ovvero degli involtini di mais e patate dolci; tutto questo solo se si ha un palato ben allenato al gusto piccante. Continuando il viaggio nel continente africano, si troveranno platani fritti, uno stufato di carne, verdura e burro di arachidi — chiamato mafé — la polenta ghanese, conosciuta con il nome di fufu e il riz jollof, una versione africana della paella con carne e spezie. Spesso l’idea di moda e tendenze è associata a un’immagine di inclusione o esclusione: se non ce l’hai non sei nessuno, sei out. Per il cibo come per i vestiti non è necessario piegarsi a questa logica: il pesce crudo va di moda, non ti piace? Non importa. L’aspetto più bello di una globalizzazione sempre più marcata è proprio la varietà. Scegli secondo i tuoi gusti e i tuoi principi. Prendersi cura di se stessi è fondamentale, però togliersi qualche sfizio fa bene al cuore.
Il cibo è diventato vittima delle tendenze, seguendone e subendone la moda
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Amiche dell'ambiente
Per un mondo più green: la sfida tra acciaio e plastica
In un’ottica sempre più eco-friendly, Life Bottle con le sue borracce in
Credit: Life Bottle
#lifebottleofficial | @life.bottle.official www.lifebottle.it
acciaio si impegna a ridurre al minimo il consumo di plastica
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l problema della plastica è sempre più incalzante. Ogni giorno vengono utilizzate milioni di bottigliette d'acqua che nella maggior parte dei casi finiscono in mare o disperse nell'ambiente, provocando non pochi danni. Nell'Oceano Pacifico si trova un'isola galleggiante composta interamente di plastica le cui dimensioni, ad oggi imprecise, andrebbero da 700.000 a 10 milioni chilometri quadrati (approssimativamente le dimensioni della Penisola Iberica e degli Stati Uniti d'America). Molte sono state le campagne rivolte alla diminuzione dell'uso di plastica e al suo riciclaggio, ma le risposte da parte dei governi sono state blande. Sebbene sia un materiale versatile che ha cambiato le nostre vite, la plastica ha tempi di decomposizione troppo lunghi e pertanto l'unica soluzione è usarla in modo cauto e consapevole. All’avanguardia in Italia è l’azienda Life Bottle. Nata nei primi mesi del 2019 a Lecce per volontà dei fratelli Piergiorgio e Vincenzo Candito, questa azienda si occupa della produzione di bottigliette in Acciaio Inox. La loro missione è la diffusione capillare nelle case italiane, al fine di evitare continui sprechi di plastica. La tecnologia delle bottigliette è assolutamente innovativa: una doppia lastra di acciaio che permette di isolare la temperatura e non alterare le doti del liquido all'interno. La differenza principale rispetto alle bottiglie di plastiche a lunga durata è proprio l'isolamento che permette la conservazione della freschezza in estate e il calore in inverno. Disponibili in più varianti, i motivi che decorano
la superficie esterna traggono ispirazione dal paesaggio salentino: fenicotteri, cactus e minerali, per citarne solo alcuni. Particolarmente toccante è il riferimento a Italo Calvino, che nei suoi romanzi racconta come l'uomo stia pian piano rovinando il mondo. Mai come nel Barone Rampante si ha una visione tanto inquietante: deciso a vivere lontano dagli uomini, il protagonista si isola sugli alberi, proteggendoli e rendendoli rigogliosi; nel momento in cui il barone muore, la foresta scompare in seguito alla furia dell'ascia degli uomini. Il progetto è nato successivamente ad una serie di viaggi di Piergiorgio in Sud Africa. Entrato in contatto con realtà internazionali, ha notato che molti utilizzavano delle bottigliette in acciaio sconosciute in Italia. Una volta rientrato ha avuto subito l'appoggio di suo fratello Vincenzo. Ottenuta l'approvazione, il progetto è partito immediatamente. Nonostante i contrasti, lavorare in famiglia porta con sé maggior responsabilità e impegno da parte di tutti, trovando le soluzioni migliori ai problemi. Credere nel proprio lavoro è il vero motore di ogni successo. Riguardo al futuro della plastica i fratelli sono ottimisti. Escludendo che si arrivi a un futuro totalmente plastic free, essi confidano che l'utilizzo di plastiche monouso diminuirà sostanzialmente. Alla fine, è soltanto questione di cambiare le abitudini quotidiane. Nulla di impossibile.
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Nomadi digitali
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Come è cambiata negli ultimi anni l’idea di viaggio, e quali sono i fattori che hanno contribuito a questo mutamento
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di Priscilla Lucifora
uante volte avete preso un aereo quest’anno? E di queste, quante volte lo avete fatto per piacere? I vostri nonni e i vostri genitori, d’altro canto, quante volte lo hanno fatto? Durante gran parte del secolo scorso viaggiare, soprattutto per piacere, era considerato un lusso. Un vezzo da ricchi da sottolineare al ritorno con abbronzature estreme sintomo di benessere e con un abbigliamento vacanziero che rigettava le norme del vestire da città. Negli anni 50, negli Stati Uniti d’America, decine, centinaia di rampanti professionisti della pubblicità cercavano un modo per rendere l’aereo meno estraneo al cittadino comune, che ne era quasi spaventato. Più familiare. Nascevano così campagne emozionali che richiamavano all’idea di famiglia e di normalità del mezzo e di chi ci lavorava dentro. (Pensiamo ad esempio all’annuncio pubblicitario ideato da Bill Bernbach per El Al, compagnia di bandiera israeliana, intitolata appunto My Son, The Pilot) Secondo i dati Istat sul turismo rilasciati nel 2010 la presenza di turisti, italiani o stranieri, negli hotel nazionali si è praticamente quintuplicata dal 1956 al 2008, e il mezzo di trasporto principale, che nel 1985 era ancora il treno, solo nel 1998 è diventato l’aereo. Basta guardarsi attorno per capire che tutto è cambiato, e che l’idea di viaggio che abbiamo noi contemporanei è completamente diversa da quella che hanno i nostri genitori e i nostri nonni. Certo, il viaggio ha ancora quella patina di fortuna, prestigio, ricchezza, ma questa patina è stata estremamente assottigliata dal fatto che viaggiare non è mai stato più facile di così.
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Le compagnie low cost fanno a gara per offrire ai passeggeri viaggi sempre meno costosi per tratte sempre più lunghe. Servizi come Airbnb e simili rendono semplice e intuitiva la ricerca di un alloggio, anche oltreoceano, senza barriere. Non solo, offrono un’esperienza di ospitalità che si allontana da quella dell’hotel tradizionale, che seppur rendendosi sempre più accogliente non si è mai voluto sostituire all’idea di casa, facendo anzi di questa netta distinzione il suo punto forte, e si avvicina di più a quella di rifugio, di casa fuori casa, di appartamentino personale e personalizzato concesso in gestione da un amico che si trova in quel momento da qualche altra parte. Una finzione, certo, che però implica un concetto di alloggio completamente diverso. Infine, i social network, soprattutto Instagram, forniscono quasi tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno sulle mete da visitare e da inserire nel nostro itinerario. Luoghi d’interesse che non sono per forza quelli tradizionali e rappresentativi dei posti in cui vogliamo recarci, anzi spesso si vantano di non essere turistici affatto, idea che attira il turista esperto, quello più furbo degli altri, che, cullato dalla consapevolezza di poter tornare e ritornare quante volte vuole, può anche decidere di bypassare le attrazioni tradizionali e recarsi in quelle più ricercate, meno conosciute, più belle da fotografare. Tutto, naturalmente, Instagram alla mano. Booking.com, una piattaforma di viaggio internazionale, ha rilevato nel 2018 che ormai l’80% dei clienti preferisce
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servirsi da sé per ottenere le informazioni di cui ha bisogno. Inoltre, secondo i Google Consumer Insights (2018) oltre il 70% dei viaggiatori provenienti dagli USA utilizza sempre lo smartphone in viaggio, un dato in aumento rispetto al 41% registrato nel 2015. È sempre Google a dirci che negli ultimi anni le ricerche relative ai viaggi a brevissimo termine (parole chiave “stasera” e “oggi”) sono aumentate di più del 150% da dispositivi mobili. Questi dati si collegano alla perfezione con quelli fornitici da PhocusWright del 2017 secondo i quali ben il 38% delle prenotazioni viene effettuato massimo due giorni prima di partire per un viaggio e solo il 19% viene effettuato in più largo anticipo. Un dato che fino a vent’anni fa sarebbe risultato quasi inverosimile. I tempi organizzativi, dunque, che prima coinvolgevano agenzie, guide cartacee, mappe da spiegare, segnare e ripiegare, non
I nomadi digitali sono coloro che viaggiano e lavorano ovunque si trovino grazie a internet. La loro missione è diffondere una nuova filosofia di vita e di lavoro
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TRAVEL sono mai stati così brevi. Le compagnie lo sanno, e plasmano le loro strategie di marketing e pubblicità su una velocità di decisione e organizzazione che è reale. Tutto cambia, e cambia anche il modo in cui il turista fa i conti con l’atto stesso del viaggiare. Molti ormai, considerando il viaggio a portata di pollice, si spostano durante tutto l’anno, non solo nei periodi considerati “di vacanza” e anche per tempi brevissimi. Nel giro di un weekend si può giungere in una capitale europea, fare colazione in un bar tipico, respirare l’atmosfera del luogo, parlare coi nativi, fare un brunch, passeggiare e tornare in ufficio pimpanti e arricchiti il lunedì mattina, con la consapevolezza che tra un mese o una settimana si potrà fare di nuovo la stessa identica cosa. Consapevolezza che cambia tutto, che è influenzata dai cambiamenti appena citati ma che li influenza a sua volta, in un ciclo di continuo e velocissimo cambiamento. Alcuni esperti per spiegare questo slittamento nel modo di vivere il viaggio hanno parlato di un passaggio da turismo di massa a turismo centrato su scelte di consumo vocazionale, sostenute dalla logica partecipativa dei social network. Non è difficile capire il perché. Ai social network e alla necessità di rimanere sempre connessi ovunque ci si trovi e in qualsiasi condizioni si viaggi si collega il concetto, relativamente nuovo, di nomadismo digitale. Con qualche fondamentale differenza dal turismo contemporaneo vero e proprio, di cui conserva qualche tendenza. I nomadi digitali sono coloro che viaggiano e lavorano ovunque si trovino grazie a internet. La loro missione è diffondere una nuova filosofia di vita e di lavoro, sostenibile e alternativa ai modelli tradizionali, basata sulle aspirazioni personali e sul desiderio di indipendenza e di mobilità, creando un punto di riferimento in Italia per chi vuole cambiare il proprio stile di vita. Ma questo cambiamento non sarebbe possibile senza una facilità di viaggio mai sperimentata prima e senza la fruizione del web tramite dispositivi mobili, come tablet computer, telefoni cellulari o smartphone. È forse questo lo stile di vita del giovane professionista del futuro? Viaggiare per il mondo lavorando da remoto ovunque egli si trovi, l’unico concetto di casa collegato a doppio filo ai dispositivi elettronici? Non lo diremo, ma certo è che i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni lo renderebbero estremamente semplice.
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Viaggiare rilassati
La crociera perfetta ora è a prova di click
Con Ticketcrociere, agenzia leader in Italia nella vendita di crociere online, dovrete pensare solo a partire
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pesso organizzare un viaggio è il passaggio più complicato del viaggio stesso. Bisogna innanzitutto scegliere dove andare, poi pensare al mezzo di trasporto e alla sistemazione. Ma non è finita qui: quali attrazioni dovremmo vedere? Quanto costerà spostarsi? Quali musei sono davvero imperdibili? Inizierà quindi una corsa disperata ai vari siti che ci dicono cosa fare, dove andare, quanto stare: un planning quasi militaresco che probabilmente ci farà impazzire ancora prima di partire. Ognuno di noi, in questi casi, non desidera altro che qualcuno organizzi tutto ciò al posto suo, lasciandoci solo l’onere di preparare la valigia. Se poi si è così pigri e confusi da non riuscire a decidere neppure la meta del vostro viaggio, una scelta intelligente potrebbe essere quella di optare per una crociera: non bisognerà pensare a nulla e soprattutto si potranno vedere luoghi diversi in una sola vacanza, che siano città affacciate sul Mediterraneo o spiagge caraibiche. Per non parlare poi della quantità e varietà di cibo a disposizione, delle attività e dell’intrattenimento che garantiranno una buona dose di divertimento e svago. Ma non è finita qui. Non soltanto potrete avere una vacanza che vi porterà in giro, per il Mondo o per l’Europa, senza fare un passo, ma anche qualcuno che la organizza per voi, senza tralasciare alcun dettaglio. È con questo scopo che nasce Taoticket, l’agenzia di viaggi leader in Italia nella vendita di crociere online. Nata nel 2008 e con sede a Genova, la società è sul mercato italiano con il brand Ticketcrociere. Attraverso lo sviluppo di strumenti e app all’avanguardia e con un sito web in sei lingue – oltre all’italiano, c’è la versione inglese, spagnola, francese, tedesca e la new entry cinese - la mission dell’azienda è consolidare il primato in Italia ed espandersi all’estero anche grazie ad un’ottima conoscenza del mercato italiano. La crociera ben si
Credit:Ticketcrociere #Ticketcrociere | @Ticketcrociere www.ticketcrociere.it
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presta a essere pacchettizzata: rispetto alla biglietteria aerea o alla prenotazione di un hotel, presenta un alto numero di variabili e di servizi collegati. La figura di un referente diretto che segue il cliente costantemente con discrezione e competenza rappresenta un tratto distintivo dell’azienda. Punti di forza di Taoticket sono velocità, dinamicità, approccio pionieristico alla tecnologia, soluzioni innovative, trasparenza e una visibilità capillare e di alta qualità del network. L’agenzia di viaggi si rivolge a un target ampio e trasversale, che va dal cliente che richiede tutti i comfort delle crociere extralusso a chi invece prenota last minute a prezzi competitivi. Tra i prodotti più venduti, figurano la World Cruise (giro del mondo) e lo Yacht Club, che hanno portato Taoticket a essere premiata dalle compagnie di navigazione come migliore agenzia online per il mercato italiano tutti gli anni dal 2009 a oggi. In Italia il brand Ticketcrociere ha stretto partnership commerciali e promozionali con le principali compagnie di crociera nazionali e internazionali, con la possibilità di fornire prezzi, prodotti e servizi speciali e talvolta esclusivi. Tutto comincia dal Village, che era il nome di una società di consulenza informatica che operava a Genova per conto terzi. Nel 2004 i soci decidono di fare un test e realizzano un progetto proprio legato al turismo. Sul portale generalista semplice.it inseriscono anche hotel, pacchetti viaggio, attrazioni come l’Acquario, lavorando in particolar modo sull’incoming.
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All’inizio delegano la parte commerciale a un’agenzia esterna, finché decidono di dotarsi di una struttura autonoma e nel 2007 diventano Semplice Viaggi S.r.l. L’operatività avviene nel 2008 e l’anno dopo arriva l’intuizione dei quattro soci – Nicola Lorusso, Andrea Barbaro, Matteo Lorusso e Marina Delfino – di non offrire viaggi vacanze a tutto tondo, ma verticalizzarsi nella vendita online di crociere con il brand Ticketcrociere. Semplice.it diventa così ticketcrociere.it. Nonostante il tradizionale scetticismo italiano nei confronti delle transazioni online, i risultati danno ragione alla scelta fatta. La società cresce e il mercato italiano comincia a star stretto alle ambizioni dell’azienda, che da Semplice Viaggi si trasforma in Taoticket, nome più facilmente spendibile all’estero. Pioniere anche a livello tecnologico, con l’uscita del primo iPhone vede il futuro nel mobile e comincia a sviluppare applicazioni. Nel 2011 Taoticket lancia la app Ticketcrociere per l’acquisto in e-commerce di crociere in collaborazione con Msc: è la prima volta che una crociera si può prenotare tramite applicazione mobile.
Le app diventano il cavallo di battaglia dell’azienda, ancora oggi leader nello sviluppo sia per iOS che per Android. Il nuovo pubblico degli smartphone apre maggiormente lo scenario internazionale e Taoticket si espande con circa 20 domini geografici esteri ad hoc e la possibilità di pagare con una cinquantina di valute differenti. In questi anni la società è cresciuta anche numericamente e conta oggi circa 30 dipendenti tra la sede principale e storica di Genova e gli uffici di Sanremo. Ultime novità targate 2019 sono la skill Ticketcrociere per Alexa di Amazon e l’apertura alla Cina con l’esplorazione di un mercato attualmente in espansione e la conseguente versione del sito mobile in cinese. In qualunque parte del mondo vogliate andare e qualsiasi budget voi abbiate a disposizione, sembra che la crociera possa essere la scelta adatta a voi. Ticketcrociere è riuscito a unire l’efficienza del web e della tecnologia con una delle vacanze più tradizionali che esistano e che, tuttavia, sembra non passare mai di moda.
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Lusso alla francese
uida il futuro con classe 92
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Con DS3 Crossback l’auto di lusso diventa alla portata di tutti di Francesco Ippolito
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no stile unico ed innovativo che si coniuga con un'eleganza distintiva. DS3 Crossback colpisce al primo impatto per le linee sinuose, per l'unicità e la cura dei dettagli, per la qualità di materiali. Un frontale dall'impronta unica e personale, grazie ai proiettori LED a matrice dell’impronta futuristica. Gli interni sono, invece, la miglior rappresentazione del lusso alla francese, specialmente nella scelta della pelle per i sedili, che viene selezionata grazie alla collaborazione di grandi marchi e di artigiani della moda. DS nasce nel 2015 e vuole rappresentare l'eccellenza motoristica dell'industria francese, partendo da una sigla che ha segnato profondamente la storia dell'automobile — la favolosa DS degli anni 50 — e che oggi invece è un brand premium vero e proprio all'interno della galassia Psa. La sua mission è ben precisa: quella di offrire auto eleganti e dal design innovativo, con equipaggiamenti di sicurezza ai massimi livelli e motorizzazioni di prim'ordine. Tra i dispositivi di sicurezza citiamo ad esempio il DS Drive Assist, un aiuto alla guida innovativo che apre la strada alla guida autonoma di secondo livello; il sistema di frenata di emergenza automatica fino a 140 km/h (Active Safety Brake), o i fari Matrix LED Vision. Tre i motori a benzina: i puretech 3 cilindri da 1200 cc declinati nelle potenze di 100, 130 e 155 cavalli abbinati ad un cambio manuale sei rapporti o al nuovo automatico Eat 8 a otto rapporti. Anche il diesel trova spazio sotto il cofano di DS3, si tratta del
Credit: Paolo Ambrosi #paoloambrosi | @paoloa062
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BlueHDi da 100 cavalli e da 130 cavalli, il primo è abbinato ad un cambio manuale, mentre il secondo è dotato di cambio automatico EAT8. Sotto il profilo del comfort e del design dobbiamo dire che, al pari dell’esterno, l'abitacolo abbina eleganza, ricercatezza e funzionalità con un trionfo di inserti in pelle e cuciture a vista sul cruscotto e sui pannelli delle porte, oltre alla selleria in pelle nappa con una lavorazione originale a cinturino d'orologio. Il quadro strumenti è digitale, il volante multifunzione comprende i principali controlli: dal volume, al computer di bordo, a quelli del telefono. Non ci sono interruttori e tutti i comandi sulla plancia sono a sfioramento; sono a disposizione inoltre comandi vocali che consentono di impostare la stazione radio, di effettuare una chiamata e di impostare la destinazione sul navigatore. Il comfort di marcia è davvero elevato, con un silenzio avvolgente che accompagna il guidatore e rende
Credit: Paolo Ambrosi #paoloambrosi | @paoloa062
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davvero confortevole gli spostamenti. I motori sono brillanti ma economici nei consumi al tempo stesso. Come scegliere la propria DS3? Tre gli allestimenti disponibili: So Chic per chi cerca la raffinatezza e l’eleganza prima di ogni altra cosa; Performance Line per chi possiede un’indole più sportiva, e infine Business, che unisce le due anime di sportività e praticità. DS3 in definitiva ha l'ambizione di proporsi in alternativa ai marchi tedeschi premium di riferimento proponendo però l'eleganza, la ricercatezza e il savoir-faire tipici del gusto e dello stile transalpino: un'auto di lusso e dall'elevata tecnologia alla portata di molti. Nove le combinazioni proposte abbinando motorizzazioni e allestimenti differenti; ma Ds3 non si ferma qui: forte dell'esperienza e dei successi nel campionato del mondo di Formula E, il marchio francese già dal 2020 proporrà la versione elettrica, la E-Tense, che garantirà un’autonomia effettiva di almeno 300 chilometri e una ricarica dell’80% in soli trenta minuti.
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Home Staging
Un primato per il design italiano: bello, funzionale e… di cartone
L’Italia è tra i primi produttori europei di packaging. Con la nascita di Deseda ora è anche l’unico paese al mondo a produrre mobili di design in cartone
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l design è uno dei principali vanti italiani. Il suo stile elegante, ma al contempo funzionale, è da tempo universalmente riconosciuto in tutto il mondo, spesso preso come punto di riferimento per lo sviluppo di nuovi progetti. In Europa, ad esempio, l’Italia è tra i principali produttori di packaging, facilmente riconoscibili dagli altri per le linee studiate e le grafiche ricercate. Ora il nostro paese sta registrando un altro primato del settore: con il lancio sul mercato di Deseda, la collezione di arredo realistico in cartone di design, prodotta dall’azienda RE.DA in collaborazione con il designer Gianmarco Toscano, l’Italia è diventata l’unico paese al mondo a realizzare mobili in cartone per l’home staging di design. Questa soluzione innovativa sta riscontrando una nuova e atipica collocazione sul mercato, attirando l’attenzione anche delle nazioni estere che ne chiedono a gran voce l’esportazione.
L’home staging, letteralmente, è la “messa in scena della casa”. Uno strumento di marketing immobiliare che valorizza le case per metterle in vendita al meglio delle potenzialità. Nei casi in cui manchino i mobili veri e propri, si possono utilizzare queste soluzioni in cartone, o altro materiale leggero. Fino ad oggi, questi prodotti venivano realizzati con delle linee standard, utilizzando gli stessi modelli a prescindere dal tipo di casa o appartamento, che si trattasse di un piccolo monolocale o di un superattico. RE.DA, azienda italiana che realizza di mobili in cartone per l’home staging, è stata la prima al mondo a lanciare una collezione di design, che comprendesse non solo mobili come cucine, tavoli, sedie o divani, ma anche complementi di arredo, quali quadri, statue e vasi. Proprio per garantire la qualità e uno stile unico, la sua ideazione è stata affidata al noto designer e home stager Gianmarco Toscano. “L’home staging può trasformare in una casa accogliente quattro mura spoglie” ha dichiarato Fabiano Gollo, fondatore di RE.DA. “Secondo recenti ricerche di settore, le case restano sul mercato una media di circa 6 mesi, per essere vendute poi ad un prezzo inferiore del 14% rispetto a quanto richiesto inizialmente.
Credit: Re.da
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L’home staging aiuta proprietari e agenti a presentare l’immobile al meglio, come se fosse già la casa di chi lo visita, riuscendo a concludere la vendita in meno di 2 mesi e con uno sconto di appena il 4%. Sin dalla nascita di RE.DA, ci siamo chiesti fin dove potessimo spingerci, quali fossero le reali potenzialità di questi prodotti e se fosse possibile coniugare il design con gli arredi realistici in cartone. Bene, dopo aver lanciato Deseda, possiamo dire che la risposta è assolutamente sì! E i risultati sono davvero eccellenti”. “Spesso le persone hanno poca immaginazione ed entrando in uno spazio vuoto, non riescono ad immaginarlo con un bel mobilio”, ha commentato invece Gianmarco Toscano. “La mia collaborazione con RE.DA. è nata in modo del tutto casuale, avevo visto una loro campagna di crowdfunding e avevo intuito le potenzialità dei prodotti. Ho deciso quindi di acquistarne qualcuno per studiarlo meglio e da lì ho preso i primi contatti, per poi proporre loro di lanciare una nuova linea di design. Per la sua ideazione, mi sono ispirato al celebre Bruno Munari, il primo a produrre sculture da viaggio.
Il risultato sono mobili leggeri, che possono essere piegati e facilmente trasportati in auto o su per le scale. Solitamente i mobili per l’home staging tendono ad essere il più ‘universali’ possibile; Deseda, invece, è molto personalizzabile, nei colori e nella modulazione, riuscendo a dare davvero un tocco raffinato e ricercato ad una casa. Stiamo iniziando a ricevere ordini per questa linea non soltanto da agenzie immobiliari, ma anche da privati, che le vogliono per le loro abitazioni. A differenza di quanto si possa pensare, infatti, il cartone è un materiale piuttosto resistente. Le testiere del letto, ad esempio, possono abbellire una stanza da letto banale. Le statue e i vasi possono essere riposti comodamente in un armadio e tirati fuori quando si hanno ospiti o una cena speciale, e si vuole creare un ambiente accogliente, bello e di design. Spesso, infatti, soprattutto chi ha una casa con una metratura non molto importante, tende ad evitare di acquistare questi oggetti, che occuperebbero troppo spazio nella quotidianità. Deseda, invece, consente di metterli in mostra solo all’occorrenza”.
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ZUP DESIGN
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