Segantiniana: Studi e Ricerche vol.I

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Segantiniana 2015/I Segantini. Scritture d’alta quota Segantini, un gourmand d’alta quota Segantini: tecnica e significato delle immagini Carte d’archivio


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Studi e ricerche

A cura di Alessandra Tiddia

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Sommario

9 Segantiniana/I Alessandra Tiddia 13 Segantini. Scritture d’alta quota Atti della giornata di studio Arco, Galleria Civica G. Segantini, 18 aprile 2015 15 Ludwig Hevesi e Franz Servaes - Il caso Segantini Alexander Klee 21 Tre opere di Segantini per due imprenditori liguri: storie di collezionisti e di mercanti alle Raccolte Frugone di Genova Maria Flora Giubilei 33 La scultura e la suggestione segantiniana. Con qualche nota di verifica sul percorso espositivo e la fortuna visiva di una selezione di opere Giovanna Ginex 53 Illustrare la Bibbia. I disegni di Giovanni Segantini per un’edizione di Amsterdam Alessandro Botta 67 Segantini, Illica e i quadri del Nirvana Francesca Benini

83 Segantini, un gourmand d’alta quota Conferenza di Alessandra Tiddia Genova, Musei di Nervi, Raccolte Frugone, ciclo “Nutrimenti. Gusti dell’arte”, 17 ottobre 2015

95 Segantini: tecnica e significato delle immagini Conferenza di Annie-Paule Quinsac Arco, Galleria Civica G. Segantini, 21 ottobre 2015

107 Carte d’archivio Le lettere di Giovanni Segantini al Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto 7


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Segantiniana/I Alessandra Tiddia

Segantiniana è il nome scelto per la serie di quaderni dove raccogliere ogni anno gli esiti delle ricerche e degli studi condotti in seno al progetto Segantini e Arco, che ha preso avvio il 27 marzo 2015 con l’apertura del nuovo allestimento degli spazi di Palazzo dei Panni, ex manifattura tessile e poi ex teatro, riportati a una nuova funzione dalla sapiente rilettura architettonica di Michelangelo Lupo e del suo studio. Le sale dello storico palazzo ospitano oggi il progetto Segantini e Arco, nato dalla collaborazione fra il MAG e il Mart, che comprende l’esposizione permanente di opere di Segantini nella disponibilità delle due istituzioni, ma anche la messa a disposizione delle fonti documentarie conservate negli archivi dei due musei, attraverso un sistema interattivo che sfrutta le immagini digitali, la tecnologia informatica e le modalità multitouch per la consultazione. Al centro dello spazio espositivo e nel cuore del percorso, alcune postazioni ospitano una mappa interattiva con le immagini dei luoghi e delle istituzioni che nel mondo conservano opere di Giovanni Segantini (Segantini.map), mentre altri tavoli multitouch (Segantini.doc) offrono al visitatore la possibilità di navigare fra vari tipi di documenti, dalle lettere autografe di Segantini, alle cartoline antiche che riproducono le sue opere o Arco alla fine dell’800, o di sfogliare le pagine decorate della preziosa monografia di Franz Servaes conservata nella biblioteca di Arco insieme ad altri volumi pregiati dedicati a Segantini. Il percorso espositivo è quindi integrato da una sala dedicata ad una selezione della pittura e scultura coeve alla produzione segantiniana, con opere di Leonardo Bistolfi, Vittore Grubicy, Eugenio Prati, Domenico Induno, Bartolomeo Bezzi, Andrea Malfatti. 9


Il progetto Segantini e Arco non si declina esclusivamente sul fronte espositivo perché fra i suoi obiettivi primari rientra la costruzione di relazioni con enti, istituzioni e studiosi dell’artista nato a Arco. A questo scopo ad aprile si è svolta una giornata di studi intitolata Scritture d’alta quota, dove alcuni studiosi italiani ed esteri, hanno potuto incontrarsi e riferire dei loro studi più recenti su Segantini. Questa giornata di studio si è rivelata anche occasione fortunata per raccogliere intorno a un tavolo di lavoro idee e progetti, spunti per future ricerche segantiniane, grazie anche alla entusiasta presenza di Gioconda Segantini che ha salutato con orgoglio e soddisfazione l’orientamento del progetto Segantini e Arco. La giornata di studi ha visto alternarsi interventi con tagli diversi, ma tutti parimenti qualificati e stimolanti, da parte di studiosi di chiara fama come Giovanna Ginex che attraverso un ricco repertorio di immagini ha suggerito le coordinate per una ricerca sui confronti di tematiche segantiniane e la coeva produzione scultorea nell’arco italicosvizzero, o come quelli dei rappresentanti di due prestigiose istituzioni che conservano opere di Segantini: la Galleria del Belvedere di Vienna e i Musei Civici di Genova. Alexander Klee ha riferito su questioni di ricezione segantiniana a Vienna, in occasione delle mostre della Secessione e in riferimento al volume di Franz Servaes pubblicato nel 1902 dall’Impero asburgico; Maria Flora Giubilei invece ha concentrato il suo intervento su un episodio di collezionismo privato trasformato in collezionismo pubblico, ovvero quello che ha portato nelle raccolte pubbliche genovesi le note opere di Segantini. Alla giornata hanno preso parte anche due giovani studiosi: Alessandro Botta, ha proposto un’efficace lettura delle fonti visive per un’opera molto particolare di Segantini, le tavole per l’illustrazione della Bibbia di Amsterdam, mentre Francesca Eleonora Benini ha illustrato una nuova quanto rivoluzionaria modalità interpretativa per comprendere la genesi e il significato delle Cattive Madri e della concezione della maternità in Segantini. La giornata di studi è stata anche l’occasione per presentare al pubblico la traduzione, edita all’interno del progetto Segantini e Arco, della monografia scritta, nel 1902, in lingua tedesca da Franz Servaes su commissione dell’Impero asburgico, e tradotta per la prima volta in italiano da Andrea Pinotti, docente presso l’Università Statale di Milano, a cui si deve non solo un testo esemplare per la sua fedeltà ai concetti e allo stile dello scrittore tedesco, ma anche un intervento illuminato e illuminante, nel corso della giornata di studi, sul valore della luce nella pittura di Segantini attraverso le parole del suo biografo tedesco. 10


Il convegno di Arco ha ribadito l’importanza delle fonti nell’approccio storico critico e ha delineato alcune possibili tracce di ricerca per il futuro, come lo studio della fortuna critica di Segantini, attraverso l’analisi, il confronto e la catalogazione delle riproduzioni di opere segantiniane ampiamente diffuse ancora mentre lui era in vita, ma anche la necessità di un aggiornamento del catalogo dell’artista alla luce dei nuovi studi e dei nuovi metodi di indagine. Fra i vari input emersi in questa occasione anche quello di avviare una ricognizione mirata di tutta la corrispondenza autografa “di” e “con” Segantini, conservata negli archivi pubblici e privati, e la successiva condivisione dei dati raccolti attraverso una piattaforma informatica di catalogazione, accessibile agli studiosi e al pubblico, auspicabilmente promossa dal centro segantiniano di Arco, uno strumento che in futuro potrebbe fornire elementi per una rilettura di Giovanni Segantini, come artista e come uomo. La dimensione personale e umana di Segantini è stata oggetto di una conversazione tenuta dalla sottoscritta su invito dei Musei di Genova, in ottobre, nell’ambito della rassegna di conferenze abbinate a serate di degustazione intitolata Nutrimenti. Il gusto dell’arte, svoltasi in concomitanza con l’Expo di Milano. In questa occasione si è parlato di un Segantini gourmand, del rapporto di Segantini con il cibo, quello raffigurato nei suoi dipinti a partire dalle nature morte degli anni Ottanta, ma anche della sua attitudine al buon cibo e alle buone bevande, nello chalet sulle alture di Maloja, dove egli conduceva verso la fine degli anni Novanta uno stile di vita, definito dallo stesso Servaes, come quello di un “principe delle montagne”. Un altro contributo scientifico altamente qualificato è pervenuto al centro segantiniano attraverso la disponibilità di Annie-Paule Quinsac che ha intrattenuto il pubblico nel corso della sua conferenza, intitolata Segantini: tecnica e significato delle immagini, illustrando alcune opere di Giovanni Segantini attraverso l’analisi della tecnica usata poiché l’artista era solito scegliere il tipo di tecnica (pennellata, materiali, colori, tavolozza) a seconda del soggetto, dell’idea o dell’emozione che voleva trasmettere, subordinando sempre l’atto creativo all’immagine che ne doveva scaturire. La nota studiosa ha incoraggiato il centro a proseguire nel suo percorso di ricerca e di aggregazione di studi su Segantini, rinnovando la sua disponibilità a sostenerlo attraverso iniziative e future eventuali collaborazioni. 11


Accanto ai contenuti di questi interventi, di cui i Quaderni di Segantiniana intendono farsi memoria accessibile a sua volta a studi futuri, nel volume si apre uno spazio intitolato Carte d’archivio, permanentemente destinato alla pubblicazione di fondi documentari o di consistenze di archivi, a partire, ad esempio, dall’elenco delle lettere autografe segantiniane presenti presso l’Archivio del ’900 del Mart a Rovereto, oggi disponibili in forma digitale anche presso gli spazi Segantini di Arco, un’ulteriore testimonianza tangibile della collaborazione messa in atto tra Mart e MAG relativamente al progetto Segantini. L’auspicio per il futuro è che il progetto Segantini e Arco possa crescere e accrescere, grazie alle relazioni che saprà mettere in gioco, soprattutto la sua valenza di collettore di studi e ricerche dedicati al grande pittore.

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Segantini. Scritture d’alta quota tti della giornata di studio A Arco, Galleria Civica G. Segantini, 18 aprile 2015

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Ludwig Hevesi e Franz Servaes - Il caso Segantini Alexander Klee *

Il mio contributo verte non tanto su Segantini e sulla sua opera, quanto piuttosto sui diversi approcci interpretativi dei due critici dell’arte, Ludwig Hevesi1 (alias Ludwig Hirsch o Lajos Löwy, Heves/Ungheria 1843 - Vienna 1910) e Franz Servaes2 (Colonia 1862 - Vienna 1947). Le loro interpretazioni riflettono interessi e contesti culturali differenti, come pure diversa è la concezione artistica che caratterizza il loro punto di vista. Hevesi segue gli studi di filologia classica e medicina a Budapest e Vienna, mentre Servaes studia a Tubinga, Lipsia e Strasburgo ed esercita in seguito la professione di giornalista dapprima a Berlino e quindi, dal 1899, a Vienna. Hevesi inizia la propria carriera come redattore presso il quotidiano in lingua tedesca di Budapest, il “Pester Lloyd”, e nel 1875 si trasferisce a Vienna. Qui diventa uno dei più influenti critici d’arte e di teatro e segue particolarmente da vicino il fenomeno della Secessione viennese. Dopo l’improvvisa scomparsa di Segantini, Hevesi e Servaes pubblicano lunghi articoli su di lui e in occasione della mostra postuma presso la Secessione, nel 1901, Servaes rinnova l’attenzione verso questo artista: la risonanza positiva ottenuta dai suoi articoli gli frutta l’incarico, da parte dal Ministero dell’Istruzione austriaco, di scrivere un libro sulla figura di Segantini3. Per condurre le proprie ricerche, Servaes si reca nei luoghi nei quali ha vissuto Segantini e parla con le persone che l’hanno conosciuto. Hevesi apre il suo necrologio con un paragone tra Segantini e l’eroe nazionale altoatesino Andreas Hofer4, mentre Servaes nei suoi articoli sottolinea la natura mitica del talento segantiniano5: entrambi riconoscono in Segantini il forte legame con la natura. Se Servaes esalta la dimensione divina dell’artista, Hevesi ne riferisce con più iro15


Madame d’Ora Atelier Franz Servaes, 1908 Wien, Österreichische Nationalbibliothek Bildarchiv (n. inv. 204690-C)

nia affermando che “Analogamente alle bestie, che egli così tanto amava, seguiva spensieratamente i propri impulsi. Aveva l’arte delle api e delle formiche, del corallo che costruisce la potente scogliera. Questi animali aggiungono un pezzetto all’altro fino a erigere un’opera colossale; sono pointillisti o neoimpressionisti. (...)”. Quindi riporta le stesse parole di Segantini: “Amo la bontà, la bellezza, la salute, la forza e il lavoro, capacità e qualità che gli uomini hanno in comune con altri animali. Ma la superiorità dell’uomo inizia laddove finiscono il mero lavoro manuale e la mera attività fisica e comincia l’amore, il lavoro 16


realizzato con lo spirito”. Commentando queste parole Hevesi prosegue: “L’uomo accomunato agli ‘altri’ animali! Così parla un membro della grande famiglia universale che si governa in modo così assolutamente democratico e non conosce differenze di ceto, ma solo differenze di forza e di talento. Segantini ha osservato la vita degli animali e ha vissuto con loro. È stato pastore come Giotto e Führich [Joseph von Führich (1800-1876)]. Era un satiro con il corno sulla fronte e pelli di capra attorno alle gambe”6. Tuttavia è Servaes a sottolineare, fin dall’articolo apparso sulla “Neue Freie Presse” nel 1899, la propensione di Segantini per la solitudine: “Da sempre propenso alla solitudine e avverso alle chiacchiere e alle gozzoviglie rumorose dei suoi compagni, divenne in poco tempo il più solitario tra i solitari. Un uomo solitario dedito alla creazione artistica nell’aria pura dell’alta montagna; è come la realizzazione dell’ideale di Friedrich Nietzsche, che più di tutto ha amato proprio i luoghi in cui Segantini ha vissuto e dipinto. Ma per quanto Segantini volesse essere solo, per quanto guardasse dall’alto in basso molte miserie umane con un sorriso distaccato e un senso di superiorità, egli si sentiva pur sempre intimamente e indissolubilmente legato al fulcro dell’umanità. Viveva lassù in una semplice dimora contadina con la fedele consorte e i quattro figli che egli sognava di avvicinare tutti all’arte. E così, nel mezzo della passione per l’uomo e della pura passione per il paesaggio, ha portato a compimento la propria opera”7. L’amore per la vita solitaria è una costante nell’interpretazione di Servaes: ritorna, anche se ridimensionata, in un articolo del 19018 e nella famosa monografia9; essa corre di pari passo con un’altra caratteristica, quella della genialità, che il giornalista attribuisce a Segantini fin dall’articolo del 1899, attraverso la descrizione dell’Autoritratto (1895): “questo volto nobile e solenne, con la folta chioma di capelli neri e la lunga barba, e con gli occhi velati e trasognati che guardano così pieni di preoccupazioni. E dietro di lui, come un paesaggio di morte, oscuri ghiacciai avvolti da un pallido chiarore. Chi guarda il quadro, anche solo in una riproduzione xilografica, si sente subito come un osservatore silenzioso e si ritrae quindi impallidendo e pensando tra sé e sé: «Sapeva che sarebbe morto presto»”10. Servaes descrive la natura del genio artistico che si piega al proprio destino. “Parlando di Segantini non bisogna mai dimenticare il significato che rivestiva per la sua arte la visione interiore. La visione esteriore era per così dire una mera istanza di controllo, in certa misura un irrinunciabile strumento ausiliario tecnico per poter conseguire un effetto di illusione convincente”11. Per contro, Hevesi individua nella pratica e nell’esercitazione la possibilità di una crescita artistica, tanto che, proprio riguardo a Segantini scrive: “Non si apprende la pittura osservando le mani altrui, ma esercitandosi su ciò che sentono le proprie mani”12. Servaes insiste invece nel restituire un’immagine mitizzata di Segantini come 17


Franz Servaes Giovanni Segantini. Sein Leben und sein Werk Martin Gerlach & Co. Wien 1902 Arco, Biblioteca Civica B. Emmert

artista profondamente legato alla natura, a cui dedica anche le sue ultime parole, che suonano così: “Voglio vedere le mie montagne”13. Segantini viene raffigurato come un “padre di famiglia esemplare” e uomo semplice e non istruito, la cui istruzione viene supportata dalle letture fatte ad alta voce dalla moglie mentre lui dipinge all’aperto, nelle montagne incontaminate. Animato da una forma di sentimentalismo borghese, Servaes descrive dettagliatamente la casa di Segantini: dotata di un’eccellente biblioteca che custodisce anche una pregiata edizione tedesca di Goethe, acqueforti italiane, francesi e olandesi come anche di Max Liebermann e di una stanza della musica che ospita antichi e preziosi dipinti a olio14. Servaes, nei suoi scritti, inserisce anche una nota nazionale, forse nell’intento di suscitare la simpatia del pubblico tedesco nei confronti di Segantini, soprattutto quando scrive che Segantini “giudicava l’arte nordica superiore a quella italiana, alla quale lo vincolavano solo scarsi legami. Ammirava molto Israels; anche Liebermann gli sembrava molto valido. Nei confronti di Menzel e di Lenbach intratteneva un rapporto di tipo più platonico. (…) Com18


plessivamente, come pittore e come uomo, fu un caloroso ammiratore della razza tedesca, che definiva una «razza forte nel fatto e nello spirito»15. Ebbe a mostrarsi profondo estimatore anche di Bismarck, del quale apprezzava tanto le dichiarazioni quanto le gesta”16. Anche Hevesi alimenta l’immagine di uomo semplice: lo definisce un predicatore di montagna e parla di ingenuità tecnica17, intesa in senso positivo come la combinazione di una spontaneità primigenia, gelosamente custodita, associata a un modo di procedere empirico, molto ben descritto da Hevesi: “egli mette assieme sulla tela tutto il confuso brulichio di piccole forme dalle quali si sviluppano le grandi forme; o almeno dà l’impressione di farlo”18. Una modalità che, per Hevesi, è frutto del suo tempo e del nuovo approccio scientifico: “le scienze naturali hanno influenzato il nostro tempo al punto di sistematizzare anche il puro istinto artistico. È una tendenza dei nostri tempi, lo spirito diventa analitico. Tutto viene scomposto fin nei minimi elementi, dopodiché si passa alla sintesi, alla composizione in base alla propria percezione, alla personalità creativa”19. Nonostante alcune affinità, Hevesi e Servaes rappresentano due differenti possibilità interpretative dell’opera segantiniana: Hevesi è più vicino ai nuovi approcci delle scienze naturali, rappresentati ad esempio dal celebre filosofo e fisico austriaco Ernst Mach, mentre Servaes riconosce nel genio di Segantini valenze tipicamente nietzschiane e insiste su valori nazionalisti per assicurare un’accoglienza positiva dell’artista e della sua monografia in ambito germanico.

* Curatore presso la Österreichische Galerie Belvedere di Vienna. 1 I. Sármány-Parsons, The Criticism of Ludwig Hevesi in the age of Historicism, in “Austrian Studies. From Ausgleich to Jahrhundertwende. Literature und Culture 1867-1890”, 2008, vol. 16, p. 87. 2 O. Wichtl, Leben und Werk von Franz Servaes (1862-1947), in “Wiener Geschichtsblätter”, 1984, pp. 13-19. 3 K. Kraus, in “Die Fackel”, fascicolo 78, 5.1901, p. 28: “Allo ‘storico dell’arte Muther’ non dovrebbe certo arrecare danno ciò che è stato detto in “Die Fackel” in merito al rapporto del ‘critico dell’arte Muther’ con la Secessione viennese. (...) Certo, l’evoluzione della concezione della nuova arte austriaca di Muther non è da meno rispetto a quella del signor Servaes. Questi ha iniziato la propria attività a Vienna diffidandoci dal credere che qui avessimo già una grande arte moderna. Ma nel giro di un anno si è lasciato convincere dalla grandezza ineguagliabile dei nostri secessionisti. (...) Che si sia schierato per i giovani o i meno giovani è una questione di carattere, non di senso artistico. E quanto a carattere nelle questioni 19


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estetiche, il signor Servaes si colloca pur sempre al di sopra del signor Friedrich Stern del “Neues Wiener Tagblatt”, che critica la Secessione e in compenso elogia le inadeguatezze della Künstlerhaus, come anche di tutti quei signori che disapprovano le stravaganze di Klimt ma che mostrano ipocritamente di apprezzare la rispettabile noia di un soffitto dipinto da Matsch. Ma il signor Servaes non è un intenditore d’arte. Al massimo può essere considerato tale dal signor von Hartel, che adesso l’ha incaricato di scrivere una monografia su Segantini. Del resto, il signor Servaes non è certo meno capace di redigere il testo di un’opera su Segantini di quanto non lo sia il Ministero dell’Istruzione austriaco a pubblicarlo. È veramente buffo che adesso si voglia etichettare ufficialmente come artista austriaco proprio Segantini, che per tutta la vita non ha voluto sapere nulla di ‘Österreicherthum’ (austricità). Molto più logico sarebbe utilizzare i fondi statali per un’opera su Waldmüller o su Schwind. Ma forse è meglio che attualmente ciò non avvenga. Altrimenti il signor von Hartel, che ha fatto scrivere la storia del teatro viennese al signor Salten e che lascia che il signor Servaes scriva di pittura moderna, farebbe scrivere libri sugli artisti più cari a noi austriaci a un qualche giornalista improvvisato invece che a uno storico dell’arte”. L. Hevesi, Giovanni Segantini, in Acht Jahre Sezession (März 1897-Juni 1905): Kritik, Polemik, Chronik, Carl Konegen, Wien 1906, p. 183. E. Kris, O. Kurz, Die Legende vom Künstler. Ein geschichtlicher Versuch, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1980, p. 59. Hevesi 1906, pp. 184-185. F. Servaes, Giovanni Segantini, in “Neue Freie Presse”, 5 novembre 1899, n. 12646, pp. 32-33. F. Servaes, Auf den Spuren Segantini’s, in “Neue Freie Presse”, 22 agosto 1901, n. 13287, p. 2. F. Servaes, Giovanni Segantini. Sein Leben und sein Werk, Martin Gerlach, Wien 1902. Servaes 1899, p. 33. Servaes 1902, p. 54; per la versione italiana si fa riferimento all’edizione curata da Alessandra Tiddia e tradotta da Andrea Pinotti: Franz Servaes. Giovanni Segantini. La sua vita e le sue opere, a cura di A. Tiddia, trad. di A. Pinotti, MAG, Riva del Garda 2015, p. 94. Hevesi 1906, p. 186. In italiano nel testo; Servaes 1902, p. 117. Servaes 1901, p. 3. In italiano nel testo. Servaes 1902, p. 113; Pinotti 2015, p. 181. Hevesi 1906, p. 188. Hevesi 1906, p. 188. Hevesi 1906, p. 188.


Tre opere di Segantini per due imprenditori liguri: storie di collezionisti e di mercanti alle Raccolte Frugone di Genova Maria Flora Giubilei *

“Non disperare. Gli amanti si avviano verso la vita liberi ardenti e pur casti com’egli li raffigurò, nudi, in un disegno a carbone che non ha epoca e potrebbe essere del Bellini o del Botticelli nella sua perfezione inattaccabile: intorno la natura si allarga in un canto di primavera lirico come quello della Walkiria ed eterno come lo spirito della pittura segantiniana. Si direbbe il testamento sommario tracciato per la posterità per gl’infiniti giovani che credono nell’amore, per i pochi artisti che credono nella spiritualità dell’arte”1. Queste le parole che il critico Raffaele Calzini dedica al grande carboncino su tela Gli amanti di Giovanni Segantini del 1896-1899, riportando anche il breve testo del Servaes, prima idea, come propone Quinsac, per un progetto sul tema del Paradiso terrestre, ispirato alla storia e al mito cui lo avevano avvicinato i lavori del 1898 per la “Bibbia di Amsterdam”. Quell’immagine di un “amore giocondo e spensierato della femmina” e di “un amore pensoso del maschio” - per dirla con Segantini - riecheggiava simili figure allacciate “assieme dall’impulso naturale della giovinezza e della primavera” e dipinte nel 1896, con bianche tuniche allusive a “gigli”, sullo sfondo di L’Amore alla fonte della vita2. Quella tela tratteggiata a carboncino e così particolare, dopo essere stata esposta col titolo Adamo ed Eva alla mostra commemorativa del 1899, era andata pubblicamente in vendita il 17 dicembre 1926 con altri 11 lavori dell’artista trentino, alcuni dei quali vere pietre miliari della sua carriera, come il celeberrimo Le due madri. Quest’ultimo dipinto e Gli amanti, erano già stati allestiti in quell’anno alla Biennale, insieme ad altre tre opere di proprietà di Germano Benzoni, nella mostra retrospettiva su Segantini presentata in catalogo da Nino Barbantini3. 21


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Giovanni Segantini Gli amanti, (1896-1899) Genova, Raccolte Furgone

Gli amanti erano inseriti nella seconda tornata dell’asta che la galleria Scopinich di Milano aveva dedicato alla collezione di Benzoni: 150 lavori, tra dipinti e sculture, legati ai nomi prestigiosi di Hayez, Induno, Palizzi, Signorini, Conconi, Cremona, Delleani, De Nittis, Bianchi, Fattori, Favretto, Fontanesi, Bistolfi, Previati, Troubetzkoy, Sorolla e Andreotti per citare solo i più significativi, molto vicina nei contenuti - tolte le opere di tono più Novecento di Andreotti - al patrimonio dei Frugone. L’opera non fu aggiudicata e tornò in asta tra gennaio e marzo del 1932, con circa 200 opere allora indicate come appartenenti agli “Eredi Benzoni”, per comparire nel 1936, nel volume che Enrico Somaré dedicò alla raccolta dell’imprenditore genovese Luigi Frugone. Alla data del 1932, Ferruccio Stefani (1857-1928), raffinato mercante d’arte di origini mantovane, ritratto in un olio su tela da Giacomo Grosso nel 1907 con tanto di dedica, cui si erano affidati i fratelli genovesi G. B. Lazzaro e Luigi Frugone nel percorso di formazione delle loro raccolte, era scomparso già da quattro anni. Morendo nel 1928, aveva tuttavia lasciato le collezioni dei due imprenditori liguri, gli allestimenti delle loro dimore, con scelta di arredi e ordinamento di opere d’arte, pressoché compiuti, dopo aver travasato nella loro proprietà, dal 1918 circa, buona parte dell’ingente ed eclettica raccolta di opere d’arte contemporanea e antica, di arredi e arti decorative antichi che aveva radunato nel grande appartamento di via San Paolo 8 a Milano, stabilmente abitato dal 1916 circa, prima di trasferirsi nella nuova casa più piccola, sempre nel capoluogo lombardo, in Bastioni Romana 21. Violinista in età giovanile a Calcutta, Stefani, come ricorda una breve ma stringente sua biografia, redatta dal pittore Lino Selvatico per la Biennale di Venezia nel 19074 e confermata da vari passaggi nelle 500 lettere autografe che gli eredi Frugone ancora conservano, fu pure disegnatore di copertine di spartiti per la Ricordi, nonché suo rappresentante in Sud America; fu lui stesso editore musicale a Buenos Aires negli anni Ot23


Giacomo Grosso Ritratto di Ferruccio Stefani 1907 Torino, Accademia Albertina di Belle Arti

tanta dell’Ottocento, per diventare, dal 1902 al 1914, gallerista d’arte tra la capitale porteña, Montevideo, Rio de Janeiro e Valparaìso dove, attraverso mostre di cui restano oggi piccoli cataloghi dalla curata veste grafica, commerciava opere acquistate in Italia presso gli studi degli artisti, alle principali esposizioni nazionali e internazionali e, in particolare, alle Biennali veneziane, suo riferimento, dal 1907, insieme al critico d’arte Vittorio Pica. Questi, dopo aver disapprovato dalle pagine di “Emporium” la modestia delle scelte artistiche presentate da Stefani nelle prime mostre, aveva poi, ma solo in parte, guidato nel mondo artistico del tempo quell’“italiano di buon gusto e di buona volontà” che si era proposto di risollevare all’estero le 24


Gigi Bassani Interno dell’abitazione di Ferruccio Stefani in via San Paolo 8 a Milano, 1918 Collezione privata

sorti del “buon nome dell’arte nostra”5, giungendo a introdurre la sua mostra sudamericana del 1905, per poi cedere il testimone della guida al più rassicurante Ugo Ojetti perfettamente in sintonia con quella sorta di “corporazione” di pittori e scultori - Morelli, Tito, Michetti, Carcano, Delleani, Ciardi, Sartorio, Fattori, Signorini, Trentacoste, Bistolfi, Calandra, Monteverde, lo stesso Segantini, per ricordarne solo alcuni - che dal gennaio 1899 tentavano di fare blocco alla Biennale per fronteggiare l’urto della grande Expo parigina del 19006. L’esperienza raggiunta dal mercante in ambito italiano ed internazionale fu tale che, nel 1926, per l’amicizia con Romolo Bazzoni e Giovanni Bordiga, ovvero col direttore amministrativo e col presidente della Biennale veneziana, Stefani vi assunse un ruolo di promotore delle vendite, vincendo le resistenze del segretario generale Pica e di Domenico Varagnolo, direttore dell’Archivio Storico della Biennale, e ricevendo una medaglia d’oro nel ’27 per l’impegno, gli acquisti e per aver spinto “amici suoi a divenire fedeli cospicui acquirenti”7. Gli “amici suoi” erano per certo proprio i fratelli Frugone, chiamati nel 1924 a Venezia da 25


Gianni Mari Interno dell’abitazione di Luigi Frugone a Genova, 1936 Collezione privata

Stefani per fare acquisti in Biennale e da Ettore Tito, e ancora coinvolti negli acquisti nel 1926 che valsero loro la medaglia d’oro. Stefani dovette conoscere dapprima Luigi Frugone, il più giovane, classe 1862, e il più longevo, o a una delle mostre organizzate dal mercante in Sud America, o a un Circolo degli Italiani a Buenos Aires, città nella quale il genovese avviò nel 1905 l’impresa del Riso Gallo con altri due soci, Rocco Piaggio e Cesare Preve - e la famiglia Preve gestisce tutt’oggi quel marchio tra Italia, Europa e Sud America. Solo nel febbraio 1918, Stefani incontrò G. B. Lazzaro, imprenditore nel settore della 26


lana grezza, di due anni più anziano di Luigi, che ricevette, insieme al fratello, nella sua sontuosa ed eclettica casa milanese, fissata in alcune immagini scattate dal noto fotografo milanese Gigi Bassani8. Era stato l’inizio di un sodalizio fortissimo fondato sulla stima, sulla trasparenza delle azioni e sulla fiducia: i due Frugone si erano affidati a Stefani per formare le rispettive collezioni e arredare le dimore. Stefani li aveva ripagati con onestà e competenza, entusiasta di apprendere, nell’aprile 1924, che i fratelli Frugone, privi di eredi diretti, avrebbero donato a Genova le loro collezioni, sollecitati a compiere quel gesto dalle notizie di stampa. Avevano, infatti, letto nei quotidiani dell’intenzione del nobile Giuseppe Ricci Oddi di regalare la propria raccolta alla città di Piacenza insieme alle risorse per costruire una galleria d’arte moderna aperta al pubblico. Da quel momento le preoccupazioni di Stefani, sempre orientato a garantire ai Frugone la qualità delle opere, furono, in parallelo, sostanzialmente due: convincerli a inserire vincoli testamentari affinché il Comune di Genova trovasse una degna collocazione per le due raccolte - Stefani scriveva “le mie cose”, mentre pensava a un “Museo Frugone”9 -, ovvero una soluzione tipo Poldi Pezzoli, suo riferimento per eccellenza; e garantire a quel patrimonio artistico - che avrebbe presto raggiunto le 284 unità tra dipinti, sculture e grafica di Otto e Novecento, oltre agli arredi, alle ceramiche, alle arti minori e ai dipinti antichi - tutti gli ingredienti artistici necessari che ancora mancavano attraverso una significativa rete di circa 50 antiquari, collezionisti italiani e stranieri, personali conoscenze di pittori e scultori frequentati negli atelier e alle mostre. Erano già in parte documentati Alebardi, Bistolfi (cui Stefani aveva commissionato la sepoltura dei genitori al Monumentale di Milano), Calandra, Canonica, Cassiers, Gaetano Cellini, Delaunois, Delleani, Fragiacomo, Gemito, Gignous, Grandi, Grosso, Mancini, Mentessi, Michetti, Miller, Morelli, Pasini, Pogliaghi, Ravasco, Rubino, Sartorelli, Scattola, Selvatico, Sezanne, forse Simon, Cesare Tallone, Tito, Trentacoste, Troubetzkoy, oltre a incisioni di Baertsoen, Brangwyn, Chahine, Dell’Orto, East, Pagliano, Pennell, Von Stuck e Turletti. Mancavano tuttavia ancora i nomi di Cremona, Bianchi, Boldini, De Nittis, Fattori, Favretto, Fontanesi, Signorini e, pure, di Segantini, ricordato nella corrispondenza di Stefani dal 1918, a dispetto delle esperienze divisioniste sporadicamente documentate nelle mostre argentine e del tutto assenti, col futurismo e con opere legate al Novecento, per volontà di collezionisti e mercante, nelle Raccolte Frugone. Molte lacune vennero colmate tra il ’24 e il ’28, altre, riguardanti quasi esclusivamente la collezione di Luigi, negli anni successivi. È proprio il caso degli Amanti di 27


Wilhelm Woernle Der Engel des Lebens (da Giovanni Segantini) (1899) Genova, Raccolte Furgone

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Segantini, che Luigi dovette considerare come una sorta di inaspettata fortuna, soprattutto alla luce di quanto, nel ’26, scriveva Stefani da Venezia, condannando “l’arte rivoluzionaria” protetta da Mussolini e gli acquisti fatti dalla commissione, guidata da Margherita Sarfatti, “antica amante” del Duce, per la Galleria nazionale d’arte moderna. “Qui si fanno onore i defunti [aveva raccontato Stefani dall’alto del suo nuovo incarico in Biennale]: Segantini sopra tutto, a grande irraggiungibile distanza, ma se pure qualcuno dei suoi quadri sarebbe cedibile, si tratta di centinaia e centinaia di migliaia di lire: le Due madri di proprietà del rag. Benzoni di Milano sono segnate, per la vendita, 1.500.000 lire”10, cifra impensabile anche per Luigi Frugone che, in quello stesso 1926, non aveva esitato ad acquistare, per 136.000 lire Miss Bell di Boldini, dipinto giunto dall’atelier dell’artista con la mediazione di Romolo Bazzoni11. In realtà, G. B. Lazzaro, che amava collezionare opere su carta e fruirle nell’intimità del suo studio di casa12 - al contrario del fratello Luigi, più disponibile a investire somme significative in opere di forte impatto visivo, come le immagini del suo appartamento nobiliare documentano nelle pagine del volume che Enrico Somaré gli dedicò nel 1936, era stato il primo a comprare da Stefani, per 500 lire, un foglio dello stampatore viennese Woernle con l’incisione L’angelo della vita dell’artista trentino, possedendo nella sua biblioteca già due monografie su Segantini: quella di Villari, in inglese, del 1901 e quella di Montandon, in tedesco, del 1904, a lui cedute dal mercante. Nel ’24, il gallerista mantovano segnalò a Gio Batta la vendita di opere appartenute all’amico Vittore Grubicy de Dragon, scomparso nel 1920, cui dedicò, con esplicite parole di apprezzamento, un bel disegno della campagna olandese intorno all’Aja datato 1885 e oggi conservato alle Raccolte Frugone. Nella vendita comparivano, per note ragioni storiche, diversi disegni di Segantini: Stefani ne segnalava uno in particolare, “il più semplice di tutti (...), il più genuino...”, che costava 5000 lire. Il mercante aveva, infatti, il sospetto che gli altri, “tormentati nel segno” e connotati da “certe tinterelle”, fossero stati ripassati da Vittore Grubicy. La titubanza di G. B. Frugone, in parte caratteriale, in parte legata forse a difficoltà per l’aumento del valore della sterlina e per la crisi del mercato nazionale e internazionale che avevano causato perdite di danaro all’imprenditore - con la somma persa avrebbe potuto permettersi un “piccolo Segantini”13, ricorda Stefani -, fece sì che l’opera Il pastore addormentato fosse intanto comprata dal celebre direttore d’orchestra Arturo Toscanini, appassionato collezionista, intimo amico di Grubicy e suo estimatore14 al punto da possederne più di 60 opere. L’unico Segantini che entrava, dunque, nella 29


collezione del direttore d’orchestra - composta, in totale, di 152 pezzi - era un disegno a carboncino su carta, ma ne usciva, in realtà, quasi subito, segnalando un limitato apprezzamento di Toscanini nei confronti di quel foglio. Quel Segantini lo aveva infatti già in parola con Benzoni per 5400 lire, la cui raccolta, benché ricca di capolavori firmati da Bianchi, Previati, Fattori, Signorini, Andreotti e soprattutto Segantini, sempre secondo il mercante, aveva solo un carattere “speculativo”. È noto peraltro che Toscanini, come molti collezionisti, Frugone inclusi, era dedito al piccolo commercio di opere d’arte, spesso per rinnovare la raccolta, per migliorarla. Con la disponibilità del collezionista genovese a riconoscere 6000 lire a Toscanini - una disponibilità che fruttò altri accordi commerciali tra la famiglia Toscanini e Gio Batta Frugone15 - lo splendido disegno di Segantini - intenso e fluido 30

Giovanni Segantini Il pastore addormentato, (1893) Genova, Raccolte Furgone


brano di poetica quotidianità pastorale trasferita nel regno del simbolo col segno morbidamente chiaroscurato del carboncino segantiniano - nei primi giorni di agosto del 1924 entrò infine nell’appartamento dell’ammezzato del coppedeiano Palazzo Pastorino a Genova, dove Gio Batta Frugone risiedeva e aveva allestito le sue opere d’arte. E il 23 agosto dello stesso anno, Stefani scriveva a Gio Batta dall’Hotel Lido di Venezia di aver incontrato Giuseppe Ricci Oddi, giunto in laguna per la contrattazione di un’opera di Spadini (con ogni probabilità il Lillo in culla, acquistato proprio in Biennale e oggi nella Galleria Ricci Oddi di Piacenza): il nobile piacentino, con cui Stefani intratteneva rapporti commerciali dal 1919, aveva saputo dell’acquisto del Segantini e non aveva potuto trattenere un moto d’invidia proprio per il nuovo fortunato possessore di quel Pastore addormentato.

* Direttrice dei Musei di Nervi (Galleria d’Arte Moderna di Genova, Raccolte Frugone, Museo Luxoro). 1 R. Calzini, La moderna pittura italiana nella Raccolta Benzoni, in Raccolta Benzoni, Esposizione e vendita all’asta, Milano, Galleria Scopinich, dicembre 1926, stabilimento di Arti Grafiche A. Rizzoli & C., Milano 1926, p. 18. 2 A.-P. Quinsac, Giovanni Segantini. Catalogo generale, Electa, Milano 1982, p. 505; R. Vitiello, in Raccolte Frugone. Catalogo generale delle opere, a cura di M. F. Giubilei, Musei e collezioni della città di Genova, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2004, p. 260; ancora in Segantini. Il ritorno a Milano, catalogo della mostra a cura di A.-P. Quinsac, D. Segantini, Milano, Palazzo Reale, 18 settembre 2014-18 gennaio 2015, Skira, Milano 2014, n. 119, ill. p. 259, scheda p. 298. 3 XV Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia 1926, catalogo, Venezia 1926 (4° ed.), pp. 19-22; Dea pagana, Cavallo al galoppo, Lavoratore dei campi, erano le altre opere della collezione Benzoni esposte alla mostra, pp. 23-24. 4 M. F. Giubilei, Una storia per le Raccolte Frugone, in Raccolte Frugone 2004, p. 33. 5 M. F. Giubilei, Ferruccio Stefani, un collezionista-mercante di “buon gusto e di buona volontà” al servizio dei fratelli Frugone. La vicenda di Miss Bell di Boldini, in “Bollettino dei Musei Civici Genovesi”, a. XVI, nn. 47-49, gennaio-dicembre 1994 (ma 1995), pp. 155-166. 6 Giubilei 2004, p. 40. 7 Giubilei 2004, p. 73. 8 Giubilei 2004, pp. 28, 51. 9 M. F. Giubilei, Due industriali genovesi e un mercante mantovano alle origini di un “Museo Frugone”, in Genova e il collezionismo tra XIX e XX secolo. Studi in memoria di Angelo Costa nel centenario della nascita, a cura di A. Orlando, Allemandi, Torino 2001, pp. 67-75. 10 Archivio Eredi Frugone (AEF) 1926/25, lettera di Stefani a G. B. Frugone, su carta della Biennale, 7 maggio 1926. 11 Giubilei 1994 (ma 1995), p. 158; Vitiello 2004, pp. 133-134. 31


12 M. F. Giubilei, I disegni delle Raccolte Frugone: note critiche, in “Bollettino dei Musei Civici Genovesi”, a. XV, nn. 43-45, gennaio-dicembre 1993 (ma 1994), pp. 77-86; della dimora di G. B. Lazzaro Frugone non è stata trovata documentazione fotografica, ma solo degli schizzi relativi alla disposizione degli arredi con le collezioni, in Giubilei 2004, nn. 66-70, pp. 60-61. 13 Giubilei 2004, p. 31. 14 La Musica Segreta del Maestro. La collezione d’Arte di Arturo Toscanini, catalogo della mostra a cura di R. Miracco, New York, New York Philarmonic, 7 gennaio-31 marzo 2007; Parma, Palazzo Bossi Bocchi, 15 aprile-10 giugno 2007; Pallanza Verbania, Villa Giulia, 8 luglio-5 agosto 2007; Livorno, Fondazione Cassa di Risparmio di Livorno, 20 settembre-28 ottobre 2007, Mazzotta editore, Milano 2007; Toscanini tra note e colori, catalogo della mostra a cura di E. Palminteri Matteucci, Milano, Fondazione Biblioteca di via del Senato, 31 marzo-7 ottobre 2007, Biblioteca di via del Senato Edizioni, Milano 2007. 15 Giubilei 1993 (ma 1994), p. 78.

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La scultura e la suggestione segantiniana. Con qualche nota di verifica sul percorso espositivo e la fortuna visiva di una selezione di opere Giovanna Ginex *

La fortuna visiva dell’opera di Segantini, prima e dopo la sua scomparsa, si può valutare anche dagli echi che ebbero le sue invenzioni iconografiche nell’ambito della produzione scultorea italiana e europea. Non mi riferisco ai monumenti commemorativi, Bistolfi in primis, bensì alle opere plastiche ispirate più o meno esplicitamente a dipinti e disegni segantiniani o più in generale al suo repertorio figurativo inteso nel senso più popolare del termine. Tra la fine del secolo e gli anni Venti del Novecento, inoltre, le suggestioni segantiniane sono frequenti specie nelle committenze funerarie, comprendendo diverse tipologie: dal gruppo scultoreo agli interventi di decorazione in policromia. Anche nell’ambito della plastica, dunque, l’adesione ai temi segantiniani offre un vasto ambito di ricerca, da condurre a prescindere dalla qualità del singolo manufatto e dall’artefice. In questa prima indagine se ne presentano solo alcuni esempi da cui emergono le diverse modalità con cui venne articolandosi il debito nei confronti dell’artista di Arco: da un’affinità di superficie e di forma all’omaggio esplicito, sino a una più profonda condivisione della poetica simbolista. Specularmente, inoltre, si vedrà come Segantini mutuò alcuni suggestioni dalla coeva produzione scultorea. L’opera riprodotta La conoscenza visiva dell’opera segantiniana è sempre stata strettamente legata 33


alla sua riproduzione, effettuata con gli strumenti offerti dalle tecniche incisorie e fotomeccaniche ampiamente disponibili già dagli anni Ottanta dell’Ottocento. Lo stesso pittore era attento protagonista nella gestione seriale del suo lavoro, della cui circolazione furono accorti amministratori Vittore Grubicy prima, in seguito il fratello Alberto, e successivamente i figli Gottardo e Mario Segantini1. Ben prima della morte del pittore riviste d’arte e cultura illustrate italiane e estere - queste ultime specie di ambito austriaco, tedesco e elvetico - diffusero con ampiezza immagini di disegni e dipinti segantiniani; a tali canali si affiancheranno come vedremo serie di cartoline illustrate, mentre alcuni soggetti pittorici furono tradotti in incisioni fotomeccaniche di formato maggiore. A ogni traduzione fotomeccanica e seriale, così come a ogni singolo mezzo di diffusione, corrispondeva una differente resa visiva dell’opera originale, con esiti talvolta molto distanti gli uni dagli altri. Ognuna di queste tipologie e ognuna di queste immagini rappresentavano possibili fonti dirette (anche) per gli scultori. Per ogni riproduzione di dipinto o disegno è dunque di speciale rilevanza ricostruire l’esatto percorso cronologico, tecnico e bibliografico, acquisendo tutte le informazioni riferite alla produzione e diffusione dell’immagine seriale. Corrispondenze Davide Calandra A segnare una svolta breve ma significativa nella produzione giovanile dello scultore torinese Davide Calandra fu l’adesione, intorno al 1885, a un verismo legato a temi rustici e campestri di cui è principale testimonianza Il primo solco. Il bronzo fu esposto alla Promotrice di Torino del 1888, inaugurata il 1° maggio nel Palazzo Sociale, e riprodotto nell’Album ricordo della mostra2. Con il titolo L’aratro fu riproposto alla Triennale di Milano del 1891, e a fine anno all’Esposizione Nazionale di Palermo. A chiusura della mostra, nel 1892, l’opera fu acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione per la costituenda Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Aratura (prima versione) di Segantini, è esposta a Londra nel maggio 1888, e riprodotta in catalogo. Stagliano e Ramponi Nel primo decennio del Novecento ritroviamo il tema segantiniano nei bronzi 34


Giovanni Segantini Aratura, (1888, prima versione) riprodotto in Illustrated catalogue of Alberto Grubicy’s picture Gallery in the italian exhibition in London, 1888 Davide Calandra Il primo solco, 1888 Roma, Galleria nazionale d’arte moderna

di Arturo Stagliano, Musa alpina (1905 circa) e di Ferdinando Ramponi, Aratura aspra (1907 circa, Collezione Città di Lugano). Ramponi, volendo in qualche misura ripercorrere l’itinerario artistico-esistenziale di Segantini, lasciò Milano e si trasferì in Alta Valtellina, a Bormio e poi a Oga, dove si fermò per sei anni (1907-1912). Pietro Canonica Il fortunato soggetto intitolato Pastorale fu declinato da Segantini in diverse versioni e con differenti tecniche pittoriche3. Tra queste, il carboncino e gesso su carta per un disegno databile 1886-1888, poi scelto da Alberto Grubicy per la diffusione in formato cartolina postale. La cartolina fa parte di una serie numerata firmata “A. Grubicy edit. Milano” dedicata a opere di Segantini e di altri artisti trattati dal mercante4. La serie, di cui Pastorale è il sogget35


to numero 22, è caratterizzata dalle riproduzioni in tinta seppia con una tecnica fotomeccanica - fotocollografia, nello specifico fotolitografia o fototipia - su cartoncino avorio di formato 140 x 90 mm. Questa serie è certamente successiva alla morte dell’artista, così come le riproduzioni a acquaforte, tricromia e altre tecniche, di diverse dimensioni, di decine di opere di Segantini, realizzate o commissionate dai figli Gottardo e Mario e inizialmente commercializzate tramite Alberto Grubicy. Nel 1895 lo scultore Pietro Canonica realizza il gruppo in marmo Stella boara, commissionatogli dalla famiglia Nobel per una fontana destinata alla loro residenza di San Pietroburgo. Eugenio Pellini Fonte iconografica primaria comune al disegno di Segantini Il seminatore (La propaganda) del 1897 e al più tardo bassorilievo di Eugenio Pellini intitolato Il giusto seminatore è l’olio su tela Le Semeur di Jean-François Millet (1849-1850). 36

Pietro Canonica Stella boara, 1895 San Pietroburgo State Museum Pavlovsk Riproduzione tipografica su cartolina di Pastorale (1886-1888) (da Giovanni Segantini) Collezione privata


Il seminatore di Segantini fu esposto a Milano nel 1899 alla mostra postuma aperta a novembre alla Permanente di Milano, e riprodotto in catalogo5. Giuseppe Chiattone. Omaggi e pastiches Nel 1919 lo scultore ticinese Giuseppe Chiattone6 scrive in una sua memoria: “(...) tre nomi rappresentano per me grande predilezione ed amore: Segantini, per la verginità serena della sua visione di pittore in perfetto accordo colla giocondità indefinita della natura. Previati (...) Puvis de Chavannes”7. Ritorno all’ovile Il tema del ritorno all’ovile, ricorrente nella produzione pittorica europea dalla seconda metà dell’Ottocento nella versione verista, e a seguire in quella simbolista, è declinato e ripreso da Segantini in diverse opere degli anni Ottanta. La sua fortuna e diffusione visiva sono inoltre testimoniate, anche per questo soggetto, dalle riproduzioni fotomeccaniche e dalle cartoline diffuse in diverse serie. Vediamo, anche in questo caso, l’intreccio. Il disegno intitolato Rückkehr in den Stall del 1886-1888 è esposto nel 1898 alla I mostra della Secessione di Vienna in un’altra versione, non firmata8. Nel 1900 è riprodotto in “Die Kunst unserer Zeit”9. Anche un dipinto con lo stesso soggetto è esposto alla mostra di Vienna10 e poi a Parigi nel 190011. In Italia, l’olio è presente a Milano alla monografica del 1894 organizzata da Alberto Grubicy, con ben novanta opere e apposito catalogo, in due sale dedicate all’interno degli spazi appena riaperti del Castello Sforzesco12, e ancora alla rassegna postuma del 1899. Nel 1896, inoltre, era stato riprodotto nel monacense “Die Kunst für Alle: Malerei, Plastik, Graphik, Architektur”13. Nel 1898 Giuseppe Chiattone espone a Basilea il modello in gesso Ave Maria, tradotto in bronzo nel 1899 in almeno due fusioni di diverso formato, esposte a Monaco (1899) e a Parigi (1900), la maggiore delle quali (265 x 245 x 55 cm) fu acquistata dalla Confederazione Svizzera. Un bacio alla croce Il pastello di Segantini corrispondente a una delle versioni a olio del soggetto, è esposto a Milano alla monografica del 1894 e nel 1899 alla postuma “Onoranze”. Un disegno, anch’esso riferito alla stessa versione a olio del soggetto, è esposto a Parigi nel 1900, e pubblicato nello stesso anno nell’ampia rassegna illustrata edita da Vallardi14. 37


Giovanni Segantini Ritorno all’ovile (Rückkehr in den Stall), (1886-1888) riprodotto in “Die Kunst unserer Zeit”, 1900 Giuseppe Chiattone Ave Maria, 1899 Bellinzona, Palazzo Civico

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La stampa fotocalcografica edita da Alberto Grubicy è tratta invece da un’altra versione del soggetto, ora conservata a Amsterdam, pubblicata nella monografia su Segantini che William Ritter firma nel 1904 con lo pseudonimo di “Marcel Montandon”15. Nel 1907 Giuseppe Chiattone colloca al cimitero monumentale di Lugano il gruppo scultoreo Ave Maria. Figurazioni femminili: allegorie, angeli e spiriti malvagi Puvis de Chavannes espone L’Espérance al Salon di Parigi del 1872. Propongo una riflessione su questa opera quale possibile fonte, quanto meno iconografica e compositiva, per il soggetto segantiniano L’Amore alla fonte della Vita, tra i più noti dell’artista, di cui ripercorro e verifico in queste note alcune tappe della storia espositiva e della fortuna visiva delle diverse versioni. Ricordo inoltre negli anni Novanta, specie in ambito scultoreo di cadenza Liberty, la diffusione di raffigurazioni femminili angeliche dalle grandi ali, di cui è esemplare l’allora molto noto monumento funerario L’angelo del dolore di Eugenio Pellini, collocato al Cimitero Monumentale di Milano nel 1894. Giuseppe Chiattone. L’Ange de la Foi Il modello in gesso L’Ange de la Foi di Chiattone è all’Exposition nationale suisse di Ginevra nel maggio 1896, subito pubblicato nei fascicoli del bernese Moderne Kunst16. Un disegno di Segantini intitolato Liebespaar am Brunnen. Idyll [Amanti alla fonte. Idillio, N.d.A] era comparso nel catalogo della Secessione di Monaco della primavera del 1896, in vendita17. Un altro disegno datato 1897 è esposto nel 1899 alla Permanente di Milano18; un disegno privo in catalogo di datazione, ma forse identificabile con quello visto a Milano, è presente a Parigi nel 190019. Il dipinto è invece esposto per la prima volta nel dicembre 1896 a Firenze (artista invitato e dipinto in vendita per Lire 10.000)20; nel gennaio 1901 è a Vienna alla mostra della Secessione che ospita una personale in omaggio al pittore defunto con ben cinquantasei opere e più sale dedicate. Il dipinto è indicato in collezione privata, con ogni probabilità proveniente dalla collezione Yusupov di San Pietroburgo21. Alla stessa rassegna è esposto anche un disegno a sanguigna con lo stesso titolo, che ritengo sia identificabile con il disegno sopra citato esposto nel 1899 a Milano, datato “Maloja 1897”22. Il soggetto è nuovamente replicato in una sanguigna a forma di ventaglio datata 189923. Il dipinto è riprodotto per la prima volta nel 1897 con il titolo Die Liebe am Lebens-quell (Jugendbrunnen) nel saggio monografico di William Ritter comparso nel pe39


riodico viennese “Die Graphischen Künste”24. A chiusura del testo, l’autore accosta il nome di Segantini a quello di Puvis de Chavannes. Nel 1900 il dipinto ricompare nel testo di S. C. von Soissons pubblicato in “Die Kunst unserer Zeit”25, con il titolo, che risulta incoerente, di Frühlingsnacht [Notte di primavera N.d.A.]. Giuseppe Chiattone. Mater amabilis Alla già citata mostra postuma del 1899 è esposto il trittico L’evocazione creatrice della musica - come da iscrizione originale sulla cornice - un’opera a pastello su tela datata 1897, riprodotta in catalogo con il titolo di Allegoria musicale26. Concepito dal pittore come un omaggio a Donizetti del quale ricorreva il centenario della nascita, il trittico sarà interpretato soprattutto come brano esemplare di quella tendenza idealizzante nelle arti che 40

Giovanni Segantini Bacio alla croce, (1881-1882) St. Moritz, Segantini Museum (Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung) Giuseppe Chiattone Ave Maria. Monumento Famiglia Pietro Molinari, 1907 Lugano, cimitero monumentale


Giuseppe Chiattone L’Ange de la Foi, 1896 riprodotto in “Illustrirte Zeitung”, 1903 Giovanni Segantini L’Amore alla fonte della vita, 1896 Milano, Galleria d’Arte Moderna

in quegli anni ebbe in Italia tra i massimi teorici e divulgatori il critico Vittorio Pica. A livello internazionale, nell’ottobre 1900 fu pubblicato su doppia pagina dalla rivista monacense “Jugend”27 in un fascicolo dedicato a Richard Wagner, e ancora nel 1904 compare nella monografia a firma William Ritter28. Fluttuanti nel pannello a sinistra del trittico segantiniano, gli amanti abbracciati e sollevati dal suolo “in ritmico abbandono”29 sono tema iconografico caro alla produzione simbolista italiana e internazionale. La coppia è ripresa in uno dei bassorilievi ideati attorno al 1904 dall’amico Leonardo Bistolfi per base del Monumento a Garibaldi, sul quale ritornerò in seguito. Le Muse che nel pannello di destra “ascoltano il loro figlio che crea”30 si trasformano in angeli nel pastiche di elementi iconografici segantiniani ricomposti nel 1899 da Giuseppe Chiattone nel pannello funerario Mater amabilis, strutturato come un trittico, realizzato per un committente francese. Al centro, lo scultore ticinese inserisce una personale rilettura di un motivo iconografico dominante in due composizioni segantiniane di straordinaria fortuna visiva: Il frutto dell’amore - olio esposto a Parigi nel 1889 con il titolo di Une Fleur des Alpes, non riprodotto in catalogo - e L’Angelo della vita, datato 1894. Quest’ultimo grande dipinto fu esposto in quell’anno alla personale di Se41


gantini organizzata al Castello Sforzesco da Alberto Grubicy31. L’occasione era offerta dalle Esposizioni Riunite di Milano raccolte appunto al Castello, dove eccezionalmente per quell’anno si svolgeva in contemporanea anche la seconda Triennale di Brera, cui Segantini partecipa con altre due grandi tele, Pascoli alpini e Per le cattive madri (Nirvana). Con il titolo Da un fiore delle Alpi (Frutto della vita), l’olio del 1889 è esposto nel 1894 alla monografica al Castello32; nell’uscita del 15 settembre 1896 del periodico monacense “Die Kunst für Alle” è invece riprodotto con il titolo di Der göttliche Knabe (Il figlio dell’amore) in una tavola a piena pagina in bianco e nero33. Con il titolo Il frutto dell’amore è poi esposto a Firenze dal dicembre 1896 al marzo 1897, illustrato in bianco e nero nel catalogo della mostra34. Nel 1897, sempre in bianco nero e con il titolo di Das Kind der Liebe, il dipinto è riprodotto nel saggio di William Ritter pubblicato nel periodico viennese “Die Graphi42

Giuseppe Chiattone Mater amabilis, 1899 Ubicazione sconosciuta Giovanni Segantini L’evocazione creatrice della musica (pannello di destra), 1897 Zurich, Kunsthaus


Giovanni Segantini Il frutto dell’amore, 1889 Leipzig, Museum der bildenden Künste Giuseppe Chiattone Familienfriede, 1906 riprodotto in “Illustrirte Zeitung”, 1906

schen Künste”35. Nel 1898 è alla I mostra della Secessione di Vienna36 e nel 1899 a Milano alla rassegna postuma “Onoranze”. Con il titolo di Fruit de l’amour, è quindi esposto a Parigi nel 190037, non riprodotto in catalogo. Un disegno - “Zeichnung” - intitolato e datato in catalogo Die Frucht der Liebe. 1892 è invece presentato alla mostra della Secessione viennese del 190138, anch’esso non riprodotto in catalogo. Rispetto invece alle versioni a olio di ridotte dimensioni e ai disegni aventi come soggetto L’angelo della vita, alla personale del 1894 al Castello di Milano abbiamo il “dipinto ad olio per decorazione”39 L’Angelo dell’amore e il disegno L’Angelo dell’amore (studio), “prestato da Alberto Grubicy. Negoziante d’arte”, nella sala A della stessa mostra40. Un disegno intitolato Der Engel des Lebens fu quindi esposto nel 1898 a Vienna41; ed è del 1899, certamente successiva 43


alla morte del pittore, l’acquaforte con lo stesso titolo realizzata dall’incisore viennese Wilhelm Woernle42 utilizzando con ogni probabilità per il procedimento incisorio un cliché fotografico o una riproduzione fotomeccanica dell’olio su carta commissionato a Segantini da Leopoldo Albini e presente alla monografica tenutasi a Milano nel 1894 nell’ambito delle Esposizioni Riunite43. Alla stessa rassegna era esposto anche il grande olio con lo stesso soggetto, ora conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano. A tale sovraesposizione del soggetto iconografico attraverso i canali selettivi delle mostre, dei periodici d’arte e delle incisioni a bassa tiratura, si aggiungano le alte tirature delle riproduzioni in formato cartolina edite come già ricordato nella serie promossa da Alberto Grubicy, e almeno dal 1902 le tricromie in varie dimensioni realizzate dalla Photographisce Union Bruckmann di Monaco. Non stupisce, dunque, ritrovare nella produzione dell’elvetico Chiattone, a pochi anni di distanza dalla sua Mater amabilis, una citazione ancora più esplicita del soggetto segantiniano. Giuseppe Chiattone. Pace domestica Familienfriede, ovvero “Pace domestica”, è il titolo del grande modello originale in gesso realizzato per il monumento funerario della famiglia Fedele di Lugano, pubblicato in copertina dalla raffinata rivista di Lipsia “Illustrirte Zeitung” nel novembre 190644. La scrittrice Sofie Frank descrive la scultura in un ampio articolo al suo interno, precisando che il modello era appena stato tradotto in marmo bianco - il gruppo della maternità e lo sfondo in stiacciato con un paesaggio alpino del Cantone Ticino - e in bronzo per l’albero di olivo su cui siede la madre45. Nessun accenno, invece, all’evidente matrice segantiniana dell’opera. Giuseppe Chiattone. Fragilità della vita Giuseppe Chiattone accoglie nuovamente una suggestione segantiniana nell’albero spezzato del gruppo plastico Fragilità della vita, inserito contro uno sfondo paesaggistico a stiacciato dipinto in un monumento funerario commissionatogli per il recinto luganese. In occasione dell’esposizione del gesso alla VIIIme Exposition Nationale Suisse des Beaux-Arts di Losanna del 1904 anche questa opera è riprodotta e commentata da Sofie Frank nel periodico di Lipsia “Illustrirte Zeitung”46. Le cattive madri Vs La gioia La monumentale tela Per le cattive madri (Nirvana) è esposta alla Triennale di Brera del 1894, e riproposta nel 1895 alla mostra della Secessione di Monaco con il titolo 44


Giuseppe Chiattone Fragilità della vita. Monumento Famiglia D’Ambrogio-Camenzind, 1905 Lugano, cimitero monumentale

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Gestalten der Kindsmörderinnen [sic]47, riprodotta in bianco e nero in catalogo. In occasione della mostra monacense, l’opera è pubblicata, ancora in bianco e nero, priva di didascalia con il titolo, nella rivista berlinese “Pan”48, cui segue con il titolo di Die Gestalten der Kindesmörderinnen un’ulteriore riproduzione in “Die Kunst für Alle”, edito a Monaco49. Alla mostra della Secessione viennese del 190150 la grande tela fu acquistata dalla Società degli artisti per la futura “Moderne Galerie”. Con il titolo di Die schlechten Mütter sarà quindi riprodotta nella monografia a firma Montandon del 1904, e come The unnatural Mothers nel volume di Christian Brinton edito a New York nel 190851. L’olio su cartone a variazione del tema e di formato minore ora conservato al Kunsthaus di Zurigo52, è invece riprodotto per la prima volta e con il titolo di Nachtstück: Die Schlechten Mütter all’interno del saggio monografico di William Ritter pubblicato nel 1897 nel periodico viennese “Die Graphischen Künste”53; compare poi nel 1900 come Kindsmörderinnen [Le infanticide N.d.A.] nel monacense “Die Kunst unserer Zeit”54. Il soggetto ebbe inoltre una buona diffusione anche con il disegno intitolato Schlechte Mütter, esposto a Vienna nel 189855, a Milano nel 1899 come Le cattive madri, “graffite”, datato in catalogo 189656, e a Parigi nel 1900 con il disegno Mauvaises mères57. Le voci di gioia, nudi femminili fluttuanti entro lo sfondo di una catena montuosa, protagonisti di uno dei bassorilievi di Leonardo Bistolfi per il già ricordato Monumento a Garibaldi, riprendono e traducono plasticamente, rovesciandone il significato, le sagome tragiche del tema segantiniano. Dalla scultura a Segantini Rodo e Segantini L’artista svizzero Auguste de Niederhäusern, detto Rodo (Vevey, 1863 - Monaco di Baviera, 1913), una vita trascorsa a Parigi, nel 1891 presenta all’Exposition nationale des Beaux-Arts il gesso Génie de l’Avalanche (partie d’un ensemble)58, dove la trasposizione simbolica è affidata a una figura femminile. L’opera, riprodotta nel catalogo della mostra, è recensita da “Intransigeant” il 28 maggio. Quando una parte del Salon è trasferita a Bruxelles, vi è esposta nuovamente anche l’Avalanche. L’11 maggio 1891, qualche giorno prima dell’inaugurazione a Parigi, Joséphin Péladan visita le sale della mostra restando impressionato dall’Avalanche. Entrato subito in contatto con Rodo, Péladan lo invita a partecipare al primo Salon de la Rose Croix, che aprirà il 10 marzo 1892. Rodo sconterà la sua reputazione di rosacrociano, occultista e teosofo: condan46


Giovanni Segantini Le cattive madri, (1895-1897) Zurich, Kunsthaus

nato dall’etichetta di artista enigmatico, incomprensibile a un

Leonardo Bistolfi Le voci di gioia. Bassorilievo per il monumento a Garibaldi (1905-1908) Sanremo, giardini di corso Imperatrice

mercato.

pubblico non-iniziato, sarà stigmatizzato dalla critica e dal Pur non avendo riscontri documentari diretti che confermino la conoscenza da parte di Segantini dell’opera di Rodo, la sua pubblicazione nel catalogo parigino del 1891 cui si aggiunge l’immagine di un disegno preparatorio nel catalogo della rassegna rosacrociana dell’anno seguente59, non può essere sfuggita a Vittore Grubicy, il quale già nel settembre 1891 pub47


blica in “Cronaca d’arte” un primo articolo sulla futura mostra di Péladan60, lodandone ancora nel dicembre 1891 “l’impresa artistica originalissima”61. Sarà Grubicy, inoltre, a convincere Previati a inviare la sua monumentale Maternità alla mostra Rosa Croce. Nell’ambito di questi scambi e suggestioni iconografiche appare dunque corretto l’accostamento tra il gesso di Rodo e La Valanga, studio di Segantini del 1899, in cui la figura allegorica è però tradotta con un nudo maschile. Segantini e Rodin, Vienna 1901 La mostra della Secessione, visitata secondo quanto annunciato da “Ver Sacrum” - forse con un pizzico di ottimismo - da 100.000 persone62, ospitava come è noto anche un’ampia selezione dell’opera di Segantini, accostato a Auguste Rodin nell’esemplare e rigoroso allestimento curato da Alfred Roller. Il bianco assoluto dei quattordici gessi di Rodin posti a contatto e a contrasto con i toni alti delle cromie segantiniane creava senza dubbio un effetto visivo in perfetta sintonia con i canoni formali e le teorie estetiche dei Secessionisti63. Ciò che qui mi interessa rievocare è però un precedente tardo ottocentesco dell’accostamento tra i due artisti, che si affaccia già nel 1892 in un articolo su Leonardo Bistolfi pubblicato nella rivista milanese d’avanguardia “Vita Moderna”: “Le più alte manifestazioni artistiche saranno nel nostro tempo, complesse. Ed ecco sorgere spontanee le opere di impronta novatrice, frutto dell’ambiente in lenta, continua modificazione. Sono, tra le altre, le tele di Tranquillo Cremona (...); quelle di Segantini che recano la comprensione cosmica del paesaggio, la meditazione d’un significato delle cose, le sculture di Rodin (...) ed anche la statua della Morte di Bistolfi che rappresenta l’attuale tendenza all’astrazione, l’indagine dei problemi insoluti”64.

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* Storica dell’arte e curatrice indipendente, saggista. 1 Mancano ancora un recupero e un’analisi critica completi dei materiali iconografici seriali, i quali sono di fondamentale importanza per lo studio della diffusione e della conoscenza dell’opera segantiniana, prima e dopo la morte del pittore. Sul tema delle riproduzioni seriali incisorie, fotografiche e fotomeccaniche dell’opera segantiniana si vedano, entrambi a cura di Alessandra Tiddia, Segantini. La memoria delle immagini, brochure della mostra, Arco, Galleria Civica G. Segantini, 24 marzo-9 giugno 2013, MAG-Mart 2013, e Segantini e Arco, MAG, Riva del Garda 2015 (in particolare il capitolo “Album Segantini”, pp. 44-58, comprendente l’elenco delle riproduzioni conservate nelle raccolte del Mart). Inoltre D. Segantini, Lettere da Casa Segantini, in Segantini. Ritorno a Milano, catalogo della mostra a cura di A.-P. Quinsac, D. Segantini, Milano, Palazzo Reale, 18 settembre 2014-18 gennaio 2015, Skira, Milano 2014, pp. 67-77. 2 Società promotrice di Belle Arti in Torino. Ricordo della XLVII esposizione 1888, Torino 1888. Il bronzo è riprodotto in una cromolitografia dell’incisore torinese Carlo Chessa. 3 Nel catalogo generale del pittore ne sono documentate quattro, tra il 1882-1883 e il 1886-1888 (si veda A.P. Quinsac, Segantini. Catalogo generale, Electa, Milano 1982, nn. 259-262, pp. 208-209, ill.). 4 Oltre alle opere di Segantini, al numero 141 della stessa serie si segnala Sera d’aprile di Carlo Fornara. 5 Comitato per le Onoranze a G. Segantini. Catalogo delle opere esposte, catalogo della mostra, Milano, Palazzo della Permanente, novembre-dicembre 1899, Capriolo e Massimino tipografi, Milano 1899, n. 65, p. 28, ill. s.p. 6 Su Giuseppe Chiattone (Lugano, 1863-1954) si veda Antonio e Giuseppe Chiattone. “Scultori che godono meritata fama fra noi e all’estero, sono gli intelligenti e distinti fratelli Chiattone”, a cura di G. Ginex, Cornèr Banca, Lugano; Skira, Milano 2016 (in corso di stampa). 7 Il testo è riportato in M. Zendralli, Un numero unico che poi non si è fatto con autodichiarazioni d’arte, in “Quaderni Grigioni Italiani. Rivista trimestrale del Grigioni Italiano”, a. V, n. 1, Editori A. Salvioni & Co., Bellinzona 1935, p. 25. 8 Katalog der I Kunstausstellung der Vereinigung Bildender Künstler Österreichs, catalogo della mostra, Wien 1898, n. 483, p. 52 (con il titolo di Rückkehr zum Schafstall). 9 S. C. von Soissons, Giovanni Segantini, in “Die Kunst unserer Zeit. Eine Chronik des modernen Kunstlebens”, XI, I semestre, München 1900, p. 57, ill. 10 Katalog der I Kunstausstellung 1898, n. 388, p. 46 (Rückkehr zum Shafstall). 11 Exposition internationale universelle de 1900. Catalogue général officiel, catalogo della mostra, Imprimeries Lemercier, Paris; L. Daniel, Lille 1900, t. 2, n. 98, p. 457 (Retour au bercail). 12 Belle Arti. Catalogo ufficiale di 90 opere del pittore G. Segantini. Quadri ad olio. Disegni e pastelli di diverse epoche gentilmente prestati dai singoli proprietari, catalogo della mostra, Milano, Castello Sforzesco, maggio-ottobre 1894, Esposizioni Riunite, Milano 1894. 13 F. Haack, Giovanni Segantini, in “Die Kunst für Alle”, fasc. 24, 15 settembre, München 1896, ill. p. 373 (Rückkehr in den Schafstall). 14 G. Berri, C. Hanau, L’esposizione mondiale del 1900 in Parigi descritta da Giovanni Berri e Cesare Hanau, in “Il Secolo XIX nella vita e nella cultura dei popoli”, Vallardi, Milano 1900, ill. p. 115. 15 M. Montandon, Segantini, Velhagen & Klasing, Bielefeld-Leipzig 1904, p. 103, ill. p. 20. 16 Moderne Kunst. Genf 1896, M. Girardet, Bern; Fréd. Boissonnas, Genf 1896, s.p., ill. 17 Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-Ausstellung des Vereines bildender Künstler Münchens (A.V.) “Secession” 1896, catalogo della mostra, primavera-estate 1896, Bruckmann, München 1896, n. 507, p. 40. 18 Comitato per le Onoranze a G. Segantini 1899, n. 63, p. 28. L’opera è identificabile con il disegno in Quinsac 1982, n. 595, p. 506. 19 L’amour à la source de la vie, in Exposition internationale universelle 1900, t. 2, n. 108, p. 457. A Parigi Segantini è tra i protagonisti, presente con sedici opere; è inoltre osservato che La morte, terzo pannello del Trittico, già esposto a Milano, a Parigi risulta di maggiore effetto “perché si può ammirare da una distanza maggiore” (Berri-Hanau 1900). 20 Festa dell’Arte e dei Fiori. 1896-1897. Catalogo della Esposizione di Belle Arti, catalogo della mostra, Firenze, 19 dicembre 1896-31 marzo 1897, Tipografia di Salvadore Landi, Firenze 1896, n. 566, p. 77.

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21 Katalog der IX Kunst-Ausstellung der Vereinigung Bildender Kunstler Österreichs Secession, catalogo della mostra, Wien, Wiener Secessionsgebäude, gennaio-febbraio 1901, Wien 1901, n. 18, p. 20. 22 Katalog der IX Kunst-Ausstellung 1901, n. 11, p. 19. Identifico il disegno con l’opera in Quinsac 1982, n. 595, p. 506, anche se nella scheda dell’opera non è citata la presenza alla mostra viennese. 23 Si tratta del disegno in Quinsac 1982, n. 596, p. 508, con indicazione nella scheda della presenza alla mostra di Vienna del 1901, che tuttavia ritengo di poter escludere, a favore del disegno alla scheda n. 595, prima ricordato. 24 W. Ritter, Giovanni Segantini, in “Die Graphischen Künste”, band XX, Wien 1897, tavola prima di p. 118. Il dipinto, cui segue l’indicazione “Nationalgalerie in Florenz”, è riprodotto senza la centina. L’articolo è datato in calce “febbraio 1897” con l’indicazione “tradotto dal francese”. 25 Von Soissons 1900, tav. dopo p. 48. Il dipinto è riprodotto con la centina. 26 Comitato per le Onoranze a G. Segantini 1899, n. 61, p. 28, ill. s.p. 27 “Jugend”, n. 41, 8 ottobre 1900, tav. pp. 684-685. 28 Montandon 1904, p. 103, ill. p. 105 (Allegorie der Musik). 29 Traggo dalla descrizione dell’opera fornita da Segantini a Domenico Tumiati in una lettera del 6 luglio 1897 (ora in Quinsac 1982, n. 599, p. 510). 30 Quinsac 1982, n. 599, p. 510. 31 Belle Arti. Catalogo ufficiale di 90 opere del pittore G. Segantini 1894, sala B, n. 56, p. 16, ill. sp. (L’Angelo della vita, dipinto ad olio per decorazione. Commissione del sig. cav. Leopoldo Albini). Tra le opere elencate nel catalogo della monografica, oltre a quelle esplicitamente citate in questo intervento, ricordo anche per attinenza agli argomenti e soggetti qui trattati il “dipinto ad olio” Per le cattive madri (prima del Nirvana) (sala B, n. 66, p. 17), del quale non ho trovato uno specifico riscontro documentario fra tutti gli elementi bibliografici e espositivi in Quinsac 1982. 32 Belle Arti. Catalogo ufficiale di 90 opere del pittore G. Segantini 1894, sala B, n. 60, p. 16 (“dipinto ad olio. Prestato dal sig. Angelo Marozzi”). 33 Haack 1896, tav. alla p. precedente p. 379. 34 Festa dell’Arte e dei Fiori 1896, n. 683, p. 90, ill. s.p. Alla mostra fiorentina Segantini è inoltre presente con un terzo dipinto, Il dolore confortato dalla fede (n. 565, p. 77. In vendita per Lire 20.000). 35 Ritter 1897, p. 115. 36 Katalog der I Kunstausstellung 1898, n. 393, p. 46 (Die Frucht del Liebe). 37 Exposition internationale universelle 1900, t. 2, n. 99, p. 457. 38 Katalog der IX Kunst-Ausstellung 1901, n. 12, p. 19. 39 Belle Arti. Catalogo ufficiale di 90 opere del pittore G. Segantini 1894, sala B, n. 54, p. 16 (“commissione del sig. cav. Leopoldo Albini”). 40 Belle Arti. Catalogo ufficiale di 90 opere del pittore G. Segantini 1894, sala A, n. 42, p. 14. 41 “Der Engel des Lebens. Originalzeichnung”, in Katalog der I Kunstausstellung 1898, n. 499, p. 53. La specifica indicazione nel catalogo viennese di “Originalzeichnung”, ovvero “disegno originale” mi fa supporre che l’opera esposta si possa identificare con il disegno ora in Quinsac 1982, n. 569, p. 475, piuttosto che con l’olio su carta indicato dalla studiosa (Quinsac 1982, n. 567, p. 474). 42 W. Woernle, Der Engel des Lebens, da Giovanni Segantini, 1899, acquaforte, 564 x 453 mm. Tampone a secco “Wien. Gesellschaft für vervielfält.[igende] Kunst”. Tiratura in 100 esemplari. Una copia si trova presso il Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. 43 Quinsac 1982, n. 567, p. 474, ill. 44 S. Frank, Familienfriede. Grabdenkmal von Giuseppe Chiattone in Lugano, in “Illustrirte Zeitung”, n. 3305, 1 novembre, Leipzig 1906, vol. 127, p. 700. 45 Il monumento funerario è tuttora collocato nel cimitero di Lugano, mutilo, purtroppo, della parte in bronzo. 46 S. Frank, Aus der Nationalen Schweizerischen Kunstausstellung in Lausanne, in “Illustrirte Zeitung”, n. 3197, 6 ottobre, Leipzig 1904, pp. 496-498, ill. con il titolo di Die Hinfälligkeit des Lebens. 47 Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-Ausstellung des Vereins bildender Künstler Münchens (A.V.). “Secession”. 1895, catalogo della mostra, Bruckmann, München 1895, sala 10, n. 297, p. 31, ill, s.p. In catalogo è specificato che il dipinto è in vendita. 50


48 Giovanni Segantini, in “Pan”, III trimestre, Berlin 1895, p. 193, ill. 49 G. Fuchs, Friedrich Nietzche und die bildende Kunst, in “Die Kunst für Alle”, München, 1 novembre 1895, ill. p. 35. 50 La tela è certamente identificabile con Die bösen Mutter. 1894, così indicata in Katalog der IX Kunst-Ausstellung 1901, n. 32, p. 23. Alla stessa mostra compare in catalogo anche un Die bösen Mutter (n. 89, p. 43), forse identificabile con l’olio su cartone a variazione del tema e di formato minore, ora conservato al Kunsthaus di Zurigo (Quinsac 1982, n. 576, p. 485, ill.). 51 C. Brinton, Modern artists, Baker & Taylor Co., New York 1908, p. 202. 52 Si veda anche la nota 50. 53 Ritter 1897, p. 113, ill. La didascalia dell’immagine riporta come titolo del dipinto Nachtstück: Die Schlechten Mütter, seguito dalla tecnica, Ölbild. 54 Von Soissons 1900, tav. p. 48. 55 Katalog der I Kunstausstellung 1898, n. 487, p. 52. 56 Comitato per le Onoranze a G. Segantini 1899, n. 59, p. 27. È questo, con ogni probabilità, uno dei tre disegni del ciclo delle “cattive madri” che l’artista aveva intenzione di inviare alla mostra di Firenze del 1896 intitolandone due Fantasia notturna e il terzo Fantasia d’amore. Segantini esplicita questa intenzione in una lettera inviata il 12 novembre 1896 a Domenico Tumiati, tuttavia, è possibile che i tre disegni non siano mai giunti a Firenze, non risultando tra le opere di Segantini indicate in catalogo (per la lettera Tumiati, si veda Segantini. Trent’anni di vita artistica europea nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi mecenati, a cura di A.-P. Quinsac, Cattaneo, Oggiono 1985, n. 867, pp. 719-720). 57 Exposition internationale universelle 1900, t. 2, n. 107, p. 457. 58 Société nationale des beaux-arts. Exposition nationale des beaux-arts. Catalogue Illustré des ouvrages de peinture, sculpture et gravure exposés au Champ-de-Mars, catalogo della mostra, Paris, Champ-de-Mars, 15 maggio 1891, A. Lemercier, Paris 1891, n. 1349, p. 29, ill. p. 265. 59 Con il titolo di Le Torrent, Geste esthétique. Catalogue du Salon de la Rose + Croix, catalogo della mostra, Paris, Galeries Durand-Ruel, 10 marzo-10 aprile 1892, Imprimerie Arrault, Tours 1892, p. 55, ill. 60 [V. Grubicy De Dragon], Josephin Peladan e la sua esposizione artistica, in “Cronaca d’arte”, 6 settembre, a. I, n. 38, Milano 1891, p. LXXXV. 61 [V. Grubicy De Dragon], L’esposizione Peladan a Parigi, in “Cronaca d’arte”, 5 dicembre, a. I, n. 51, Milano 1891, pp. 418-419. 62 Mittheilungen, in “Ver Sacrum. Mitteilungen der Vereinigung Bildender Künstler Österreichs”, n. 11, Wien 1901, p. 183. 63 Si veda “Ver Sacrum. Mitteilungen der Vereinigung Bildender Künstler Österreichs”, n. 4, Wien 1901 (con fotografie delle sale). 64 C. Sobrero, Artisti moderni. Leonardo Bistolfi, in “Vita moderna”, n. 45, 6 novembre, Milano 1892, p. 357.

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Illustrare la Bibbia. I disegni di Giovanni Segantini per un’edizione di Amsterdam Alessandro Botta *

L’illustrazione a carattere storico e letterario rappresenta per Segantini un’attività piuttosto marginale rispetto alla sua più nota produzione pittorica e grafica, intrapresa e perseguita a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta dell’Ottocento. Si tratta di sporadici - ma significativi - episodi, nel contesto dei quali trovano una particolare rilevanza le tre tavole realizzate poco prima della sua scomparsa, destinate a quella che all’epoca viene definita come la “Bibbia di Amsterdam”1. L’ambizioso progetto editoriale, avviato in Olanda nel 1895, vede impegnati ventisei artisti affermati - sia europei che statunitensi2 -, che vengono coinvolti nell’operazione dalla società “de Geïllustreerde Bijbel” di Amsterdam, incaricati di realizzare le tavole per una monumentale edizione del testo sacro, immaginato per essere commercializzato con dispense settimanali e tradotto in più lingue a partire dal 19003. Sono questi gli anni in cui, anche in Italia, gli artisti incominciano a ragionare sull’importanza dell’illustrazione e a trovare soluzioni al difficile rapporto tra testo scritto ed immagine, sostenuti in questo da alcune iniziative editoriali, anche di rilievo4. Segantini non è completamente estraneo a tale dibattito. Il suo pensiero in merito, seppur confinato entro la sfera della corrispondenza privata, si rende evidente nel 1898, nel vivo del lavoro per l’edizione della Bibbia5. In una lettera del 2 gennaio alla scrittrice Neera sostiene il ruolo delle illustrazioni, immaginandole non come espressioni figurative isolate, ma legate da uno stretto rapporto semantico con il testo: “Le

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illustrazioni di un libro, per avere un perché d’essere, debbono mantenere i tipi costanti caratterizzandoli nell’ambiente in cui vivono, precisandone le azioni in modo che chi legge, o le osserva, provi la sensazione di guardare a persone o silouette (sic) di persone che conosce intimamente. Allora le illustrazioni ottengono il loro scopo preciso. E per mé (sic) questo scopo sarebbe che, riguardando le sole vignette, dopo un mese un anno, due, dieci, si possano rievocare le sensazioni provate alla lettura, ricostruendo il sentimento del libro”6. Le prime esperienze da illustratore sono legate ai suoi contatti con gli amici scrittori. È nel 1887 che realizza il suo primo disegno destinato alla copertina del racconto Frate Gaudenzio di Eugenio Bermani7. La successiva occasione arriva qualche anno dopo, nel 1893, con un’illustrazione per la novella di Neera, Nel sogno8. Si tratta, in entrambi i casi, di lavori molto affini ai soggetti e alle ambientazioni già sperimentati in pittura e nel disegno. L’impaginazione, invece, interpreta il gusto e le consuetudini grafiche dell’editoria popolare dell’epoca, senza particolari sorprese: se l’illustrazione per Neera appare come una tradizionale “testata” figurata di capitolo, quella per Bermani recupera nella composizione espedienti narrativi tipici dei giornali illustrati. La “Bibbia di Amsterdam” rappresenta invece un momento piuttosto unico ed anomalo nella produzione di Segantini illustratore, che vede l’artista approcciarsi a tematiche di ricostruzione storica totalmente estranee alla sua attività sia di pittore che di disegnatore. Sicuramente la spinta a sviluppare e realizzare le illustrazioni nasce fondamentalmente da due esigenze che Segantini ha in quel momento: la partecipazione ad un progetto internazionale così importante e di larga diffusione non può che giovare all’artista e legittimare ulteriormente il suo valore nell’ambito del disegno, tecnica particolarmente presente nelle occasioni espositive coordinate dalla galleria Grubicy; nel medesimo tempo, sopperire a motivazioni banalmente più contingenti. Le illustrazioni, ben pagate, fanno fronte al continuo bisogno di denaro dell’artista, una necessità per niente sottaciuta, che diventa evidente dalla lettura della corrispondenza personale di quegli anni. In questo progetto Segantini è presente con tre tavole, tutte relative all’Antico Testamento, che illustrano altrettanti episodi dei libri del Levitico, dei Numeri e di Giosuè: passaggi della storia - va sottolineato subito - non così comuni e nemmeno fortunati da un punto di vista dei precedenti iconografici. I disegni sono realizzati verosimilmente a partire dal 1897 e conclusi tutti entro l’anno successivo, come indicano le datazioni autografe apposte sui disegni stessi, accanto alla firma9. È da far risalire al febbraio 1898 la prima menzione diretta che Segantini fa di questo suo nuovo progetto di illustra54


zione: in una lettera ad Alberto Grubicy, gallerista di riferimento e corrispondente in quegli anni, l’artista dichiara di aver spedito il disegno de Il capro espiatorio alla “Società per la Bibbia Illustrata”10. Qualche tempo dopo, precisamente il 4 aprile, Segantini torna a scrivere a Grubicy comunicandogli che il disegno è piaciuto molto ai committenti olandesi e che, proprio per questo motivo, gli propongono di realizzare altri 5 disegni per un compenso totale di 10 mila franchi in oro11. L’artista, impegnato in quel momento alla progettazione del polittico L’Engadina a St. Moritz, si trova costretto a limitare la propria partecipazione al progetto, accettando l’incarico per altre due illustrazioni soltanto. Segantini non sembra attendere molto. Agevolato da una condizione meteorologica avversa che lo costringe a rimanere chiuso in casa, si cimenta immediatamente nel disegno, come conferma una lettera del 17 aprile spedita a Vittore Grubicy, nella quale comunica di essere impegnato nell’edizione della Bibbia12. Osservando i tre disegni ci si trova di fronte a modalità operative piuttosto inattese rispetto a quelle che solitamente si è abituati a riconoscere per Segantini. Il carattere storico dei soggetti impone una nuova organizzazione del lavoro, un’attenzione che sicuramente costa all’artista fatica e profonda dedizione: l’approccio ad un testo così importante e noto lo obbliga a doversi accuratamente documentare al fine di tradurre graficamente al meglio, e con indiscutibile rigore sia religioso che filologico, i vari episodi oggetto delle illustrazioni. Si aggiunga poi che lo stesso testo biblico, in sé, non possiede quel carattere descrittivo puntuale e moderno da permettere una ricostruzione univoca e particolareggiata dei vari elementi e delle diverse ambientazioni. Segantini è ben conscio di queste difficoltà; decide infatti di rivolgersi ad una giovane studiosa, Lina Sala, chiedendole di mettere insieme la documentazione necessaria alla restituzione grafica degli episodi assegnatigli. Scorrendo la corrispondenza della fine degli anni Trenta tra Romeo Boldori, che fu il maestro dei figli di Segantini e poi marito di Lina Sala, con l’appassionato d’arte Angelo Brighenti, ci si imbatte in interessanti informazioni relative proprio a questa collaborazione. In una lettera del 19 settembre 1940, scrive a proposito di Lina Sala: “La signorina Lina era la mia corrispondente da Milano. Studiosa e colta aveva già fatto ricerche alla Braidense e all’Ambrosiana per Segantini quando questi aveva avuto la commissione dei disegni per la Bibbia di Amsterdam”13. Entrando ancor più nel merito, in una successiva lettera specifica come le modalità di ricerca non si limitassero a riportare testi e descrizioni degli episodi biblici, ma si spingessero a fornire indicazioni iconografiche precise: “La 55


Signorina aveva anche fatto ricerche in biblioteca d’informazioni d’usi e costumi ebraici quando il Maestro doveva fare due disegni per la Bibbia di Amsterdam, e gli aveva spediti diversi calchi di figure e di lustri del Tempio, dell’Arca Santa, etc. etc.”14. Risulta particolarmente interessante l’indicazione di un invio di alcuni “calchi” di elementi e particolari legati all’iconografia del culto ebraico. In questo caso il “calco” è da intendersi come una pratica del disegno e non della scultura, che consiste nel ricalcare, trascrivere un tracciato o un’immagine su un nuovo foglio, sfruttando la trasparenza di quest’ultimo. La prima tavola realizzata e presente nel volume della Bibbia è intitolata Il capro espiatorio15 ed illustra il capitolo XVI del Levitico. Il disegno si preoccupa di descrivere il rito ebraico compiuto nel giorno dell’espiazione, che prevede che il sacerdote - qui Aronne -, per espiare i peccati del popolo d’Israele scelga due capri e tiri a sorte il loro destino immolando poi il primo sull’altare e scacciando invece il secondo nel deserto. L’illustrazione coglie l’immediatezza del versetto 21, che recita: “E poste sul capo di lui ambe le mani, confessi tutte le iniquità de’ figliuoli d’Israele, e tutti i loro delitti e peccati; i quali scaricando sulla testa del capro per mezzo di un uomo a ciò destinato, lo manderà nel deserto”16. La precisione dei dettagli, dei costumi, degli elementi che compongono la scena, porta immediatamente ad immaginare l’importanza e l’entità di questo aiuto di ricerca, effettivamente fondamentale per la costruzione di una simile composizione che, oltre ad apparire equilibrata e studiata secondo il gusto e l’interpretazione del pittore, si dimostra particolarmente rigorosa nella ricostruzione storica. Ritornando sui passi della giovane Lina Sala, risulta utile verificare alcune presenze di volumi, soprattutto illustrati, disponibili nelle biblioteche milanesi della Braidense e dell’Ambrosiana, tenendo come termine ante quem proprio la data di realizzazione dei disegni. Il panorama di pubblicazioni a disposizione non è così sconfinato quanto si possa immaginare. Utile al confronto, in particolare, è la Storia dell’antico e nuovo testamento e degli ebrei di Agostino Calmet del 182117, fondamentale soprattutto per la sua chiarezza e per il ricco apparato illustrativo: le numerose tavole ospitate mostrano un segno grafico molto netto, particolarmente adatto ad essere ricopiato. È probabile che alcune delle illustrazioni del volume siano state riprodotte in copia, ricalcate e spedite a Segantini, come dimostrerebbe la coerenza e la vicinanza di alcuni elementi presenti nel disegno, come il tabernacolo coperto, o l’altare degli olocausti, restituito da Segantini al centro della composizione nella sua caratteristica foggia con i quattro corni ai lati18. Ma la funzione di queste tavole non si limita ai particolari ma assume anche un valore più generale: una ricostruzione del campo d’Israele può essere servita a misu56


Giovanni Segantini Il capro espiatorio, 1898 Collezione privata

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rare e dimensionare gli spazi d’insieme e recuperare ulteriori elementi utili, come dimostra la ripresa letterale della forma e dei pennacchi delle tende, collocate oltre il confine dell’area sacra19. La stessa montagna sullo sfondo non è frutto di una casuale invenzione ma - anche in questo caso - di un recupero filologicamente rigoroso. Sfogliando infatti il dizionario biblico di Eduard Riehm disponibile in quegli anni, alla voce Sinai si ritrova la riproduzione del monte20, descritto con lo stesso profilo ed interpretato con la medesima frontalità adottata poi da Segantini, che, per conferire maggiore sacralità ed equilibrio alla composizione ricopre la sommità destra con una nuvola. A differenza della prima illustrazione, le due successive permettono, grazie all’entità degli episodi biblici trattati, una maggiore libertà d’interpretazione e realizzazione, meno vincolata ad una ricostruzione storica. Il disegno Maria nel deserto21 illustra il capitolo XII del libro dei Numeri, descrivendo l’episodio in cui Miriam, sorella di Mosè ed Aronne, viene allontanata per sette giorni dall’accampamento degli israeliti perché colpita dalla lebbra. 58

Tabernacolo coperto e Altare degli Olocausti in Storia dell’antico e nuovo testamento e degli ebrei, 1821


Campo d’Israele attorno al Tabernacolo in Storia dell’antico e nuovo testamento e degli ebrei, 1821 Sinai in Handwörterbuch des Biblischen Altertums, 1894

La disposizione della figura in primo piano, resa di profilo, rimanda in maniera diffusa - com’è stato giustamente suggerito - a modelli del primo Ottocento vicini ad alcune soluzioni adottate dai Nazareni tedeschi22. Pare evidente che, proprio per il suo impianto compositivo tutto giocato su equilibri formali che dialogano tra paesaggio esotico sullo sfondo e la figura che si staglia in primo piano, l’illustrazione di Segantini trovi riscontro con alcune soluzioni adottate da Gustave Doré nei suoi disegni per la Bibbia, in particolare nel caso piuttosto sintomatico del profeta Isaia. L’artista francese è l’autore di una fortunatissima edizione illustrata del testo sacro, ampiamente diffusa in Italia a partire dal 1869 e stampata dall’editore Treves di Milano23, opera verosimilmente conosciuta - se non addirittura posseduta - dallo stesso Segantini, che dispone sicuramente invece, nella sua biblioteca, dell’edizione dell’Orlando furioso24. Nel disegno Rahab e gli esploratori25 l’artista interpreta il capitolo II del libro di Giosuè, nel quale un episodio narra come Rahab, una prostituta, nasconda sul tetto della propria abitazione due spie d’Israele inviate per esplorare la città di Gerico. Il disegno di Segantini segue fedelmente il testo: dagli steli di 59


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Giovanni Segantini Maria nel deserto, 1898 Collezione privata Gustav Doré Isaia illustrazione per La Sacra Bibbia. Vecchio e Nuovo Testamento, 1869

lino ammucchiati per nascondere i due, alla corda tenuta in mano dalla donna, utilizzata poi per calare gli esploratori dalla stessa terrazza. In questo caso l’artista non sembra richiamare alcun modello storico né alcuna iconografia biblica preesistente, adottando una ripresa eterodossa della scena vista dall’alto. Osservando la figura di Rahab, però, incuriosisce la postura di tre quarti ed il suo volto di profilo, la schiena fortemente arcuata quasi parallela al paesaggio e la tensione della gamba destra che cerca un equilibrio. Si tratta, in questo caso, di una soluzione che richiama in maniera eloquente la Circe di Edward Burne-Jones, ampiamente riprodotta e nota all’epoca, 61


sia su volumi a stampa che su riviste intercettate e possedute dall’artista26. Secondo un procedimento di ribaltamento della figura, già individuato per Segantini in altri disegni e ricondotto operativamente al suo apprendistato da fotografo presso il fratellastro Napoleone27, l’artista potrebbe essersi servito di questo modello, utile a risolvergli formalmente la figura di Rahab, proponendone la sagoma in modo speculare, ritagliata nel paesaggio della pianura di Gerico. L’attenzione è poi qui tutta concentrata sulla resa delle acconciature dei due esploratori, finemente descritte nei particolari con rigore storico. Non è forse un caso che sulla rivista “Emporium” compaia nel 1895 l’articolo La barba e i capelli nell’antichità che, oltre a soffermarsi a lungo nel testo sulle pettinature del popolo d’Israele, ne fornisca ulteriore saggio con 62

Giovanni Segantini Rahab e gli esploratori, 1898 Litoměřice, The North Bohemian Gallery of Fine Arts


E. Burne-Jones Il Vino di Circe, 1869 riprodotto in “Emporium”, 1895

una riproduzione, che illustra sinteticamente il profilo di una persona acconciata con la capigliatura di quel tempo28, vicina alle soluzioni proposte nel disegno. La medesima rivista, sicuramente familiare all’artista, ospiterà l’anno successivo il noto contributo di Neera consacrato proprio a Segantini29. Le fattezze dei volti e le acconciature si scontrano con la postura classica dei corpi, che fanno sembrare i due esploratori come appartenenti ad un gruppo statuario antico. Una caratteristica che viene immediatamente colta e recepita dal critico del settimanale cattolico inglese “The Tablet”, che in una lunga recensione del 1901 dedicata alla “Bibbia di Amsterdam”, segnala questa illustrazione come la meglio riuscita dell’intera impresa editoriale: “To his ‘Rahab and the Two Spies’ he has given the mistery of ancient statues of stone worn by weather, and the landscape seen from 63


the roof of the little house has a profound solemnity. (…) Turning from the original drawings to the pages of the book, we find the reproduction of the Rahab drawing to be one of the most successful where all are good”30.

* Storico dell’arte torinese. 1 Con questo titolo i tre disegni sono presentati, insieme a quelli di Domenico Morelli e Francesco Paolo Michetti, alla Ia Esposizione Internazionale di “Bianco e Nero” del 1902; cfr. Catalogo della Ia Esposizione Internazionale di “Bianco e Nero”, catalogo della mostra, Roma, Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, aprile-maggio 1902, D. Squarci, Roma 1902, p. 48. 2 Jean-Joseph Constant, Jean-Léon Gérôme, Jean-Paul Laurens, Pierre Puvis de Chavannes, Georges-Antoine Rochegrosse, James Tissot (Francia); Edward Burne-Jones, Walter Crane, Frank Dicksee, Lawrence Alma-Tadema, Briton Rivière, John Macallan Swan (Regno Unito); Max Liebermann, Sascha Schneider, Fritz Von Uhde, Arthur Kampf (Germania); Francesco Paolo Michetti, Domenico Morelli, Giovanni Segantini (Italia); Juliaan De Vriendt (Belgio); Albert Edelfelt (Finlandia); Jozef Israëls (Olanda); Ilya Répin (Russia); Jose Villegas (Spagna); Edwin Austin Abbey (Stati Uniti); Vaclav de Brozik (Ungheria). 3 Relativamente al progetto editoriale, alla pubblicazione e alla sua diffusione, si veda il contributo molto completo e documentato di Alba Irollo, pubblicato nel volume Domenico Morelli e il suo tempo. 1823-1901 dal romanticismo al simbolismo, catalogo della mostra a cura di L. Martorelli, Napoli, Castel Sant’Elmo, 29 ottobre 2005-29 gennaio 2006, Electa, Napoli 2005, pp. 269-274. 4 Sull’argomento si vedano i contributi di G. Bacci, Le illustrazioni in Italia tra Otto e Novecento. Libri a figure, dinamiche culturali e visive, Olschki, Firenze 2009, e P. Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana, Usher Arte, Firenze 2010. 64


5 Il primo disegno per la Bibbia, intitolato Il capro espiatorio, è terminato e spedito alla società editrice nel febbraio del medesimo anno. Lo si apprende da una lettera che Segantini invia al gallerista Alberto Grubicy; cfr. qui nota 10. 6 Lettera di Segantini ad Anna Zuccari Radius [Neera] del 2 gennaio 1898, in Segantini. Trent’anni di vita artistica europea nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi mecenati, a cura di A.-P. Quinsac, Cattaneo, Oggiono 1985, p. 705, [855]; ora anche in Al caro illustre amico dall’egregia signora. Carteggio Neera-Segantini 1891-1899, a cura di S. Sala Massari, Cattaneo, Oggiono 2014, p. 80. 7 E. Bermani, Frate Gaudenzio, G. Galli, Milano 1888. 8 Neera [A. Zuccari Radius], Nel sogno, con disegno di G. Segantini, Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano 1893. 9 Si vedano le indicazioni tecniche fornite nelle schede del catalogo generale (527, 528, 529); cfr. A.-P. Quinsac, Segantini. Catalogo generale, Electa, Milano 1982. Da qui in poi indicato come (Quinsac). 10 “Oggi ho spedito in olanda alla socetà per la bibia Illustrata il disegno del capro ispiatorio” (lettera s.d. [ma febbraio 1898] di Segantini ad Alberto Grubicy; in Quinsac 1985, p. 522, [655]). 11 “La soceta della Bibia illustrata ma cometono ancora 5 disegni per 10 mile franchi in oro essendo stati contenti dell’altro non ne potro accettare che un paio non avendo tempo dopo l’impegno preso per l’opera di St. Moritz” (lettera s.d. [ma 4 aprile 1898] di Segantini ad Alberto Grubicy; in Quinsac 1985, p. 532, [666]). 12 “Io sono qui sepolto sotto la neve, è quasi un mese che nevica, e ancora nevica. Lavoro a dei disegni per ‘La Bible Illustre’ e compongo delle armonie per nuove opere” (lettera del 17 aprile 1898 di Segantini a Vittore Grubicy; in Quinsac 1985, p. 153, [108]). 13 Lettera di Romeo Boldori ad Angelo Brighenti del 19 settembre 1940. Il testo è riportato integralmente in Quinsac 1982, pp. 551-554, qui p. 552. 14 Cartolina di Romeo Boldori ad Angelo Brighenti dell’11 settembre 1941. Il testo è riportato integralmente in T. Fait, Un disegno di Segantini nella Biblioteca Civica di Rovereto, in “Atti della Accademia Roveretana degli Agiati”, serie VI, vol. IV, 1964, pp. 103-105, qui p. 104. 15 (Quinsac 527). 16 Per quanto riguarda il passo citato, è stata adottata l’edizione delle Bibbia vulgata tradotta in italiano da Antonio Martini Arcivescovo di Firenze. Si tratta di una versione del testo sacro molto diffusa e conosciuta all’epoca. 17 A. Calmet, Storia dell’antico e nuovo testamento e degli ebrei, 12 voll., Giuseppe Battaggia, Venezia 1821. 18 Calmet 1821, vol. II, tavv. VI, VIII. 19 Calmet 1821, vol. II, tav. VII. 20 E. Riehm, Handwörterbuch des Biblischen Altertums, vol. II, Velhagen & Klasing, Leipzig 1894, p. 1493. 21 (Quinsac 528). L’illustrazione gode di una certa notorietà già all’epoca, riprodotta sulla rivista inglese “The Studio” (A. L. B., Religious art at the holland fine art gallery, in “The Studio”, vol. 23, n. 101, 1901, pp. 174185, qui p. 180) in occasione dell’esposizione dei disegni per la ‘Bibbia di Amsterdam’ a Londra (The Artists of the Illustrated Bible and their works, Holland Fine Art Gallery, London, [luglio] 1901), è l’unica di questo ciclo ad essere ricordata da Franz Servaes nel suo volume dedicato alla vita e all’opera di Giovanni Segantini; cfr. Franz Servaes. Giovanni Segantini. La sua vita e le sue opere, a cura di A. Tiddia, trad. di A. Pinotti, MAG, Riva del Garda 2015, p. 152. 22 Cfr. (Quinsac 528), p. 437. 23 La Sacra Bibbia. Vecchio e Nuovo Testamento, traduzione secondo la vulgata di Antonio Martini, disegni di Gustavo Doré e fregi di Enrico Giacomelli, Treves, Milano 1869. 24 Richiesta verso la fine del 1898, l’edizione illustrata è pubblicata dalla casa editrice Treves di Milano in quattro volumi con una prefazione di Giosuè Carducci; sarà ricevuta da Segantini all’inizio dell’anno successivo. Cfr. Quinsac 1985, p. 563, [714] e p. 570, [723]. 25 (Quinsac 529). 26 Oltre all’articolo sulla rivista “Emporium” (G. B., Artisti contemporanei. Sir Edward Burne-Jones, in “Emporium”, vol. II, n. 12, dicembre 1895, pp. 445-465; il dipinto è riprodotto a p. 464), mensile di ampia diffusione negli ambiti artistici e letterari nazionali, l’opera è riprodotta nel volume dello studioso e critico tedesco Richard Muther, dedicato alla pittura europea ed internazionale dell’Ottocento (Geschichte der 65


Malerei im XIX. Jahrhundert, G. Hirth’s Kunstverlag, München 1894, vol. 3, p. 488). Lo studio di Muther, che affronta inoltre - seppur limitatamente - la produzione pittorica segantiniana, è conosciuto e molto probabilmente posseduto dallo stesso artista, come si apprende da una lettera indirizzata ad Alberto Grubicy del 10 luglio 1895; cfr. Quinsac 1985, p. 357, [438]. 27 Si veda in particolare A.-P. Quinsac, Immagine mediata in Segantini. Dal dipinto al disegno, un lento cammino verso il Simbolismo, in Segantini. La vita, la natura, la morte, catalogo della mostra a cura di G. Belli, A.-P. Quinsac, Trento, Palazzo delle Albere, 3 dicembre 1999-19 marzo 2000, Skira, Milano 1999, pp. 41-55; sull’argomento anche B. Stutzer, Giovanni Segantini. Zeichnungen, Scheidegger & Spiess, Zurich 2004. 28 L’archeologo, La barba e i capelli nell’antichità, in “Emporium”, vol. I, n. 3, marzo 1895, pp. 192-204, qui p. 193. 29 Neera, Artisti contemporanei. Giovanni Segantini, in “Emporium”, vol. III, n. 15, marzo 1896, pp. 163-178. 30 “Ai suoi” Rahab e gli esploratori” ha donato il mistero di antiche statue di pietra erose dalle intemperie, e il paesaggio visto dal tetto della piccola casa possiede una profonda solennità. (…) Passando dai disegni originali alle pagine del libro, tra tutte le buone illustrazioni presenti, la riproduzione del disegno di Rahab è una delle migliori.” The new Bible illustrations, in “The Tablet”, vol. 98, n. 3193, 20 luglio 1901, p. 88.

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Segantini, Illica e i quadri del “Nirvana” Francesca Eleonora Benini *

All’inizio degli anni Novanta Giovanni Segantini, che fino ad allora aveva affrontato tematiche legate al naturalismo panteistico per il quale tutt’oggi è soprattutto conosciuto, comincia ad esplorare nuovi soggetti allontanandosi dal dato reale, verso un simbolismo più vicino al gusto nordico fin de siècle. Tra i primi dipinti che rivelano soggetti immaginari troviamo i due quadri cosiddetti del Nirvana: il Castigo delle lussuriose, realizzato nel 1891 e oggi conservato alla Liverpool Walker Gallery, e Le cattive madri, realizzato nel 1894 e conservato al Belvedere di Vienna. I due dipinti, proprio grazie ai soggetti irrealistici, si distinguono dalla maggior parte delle opere di Segantini e fecero discutere molto la critica a lui contemporanea. La nuova sorprendente tematica affrontata da Segantini fu, sin dai primi anni, giustificata con una leggenda buddista che secondo la critica ispirò l’artista e, ancora oggi, il testo è considerato alla base dei due dipinti1. Si tratta di un poemetto scritto da Luigi Illica, un librettista milanese conosciuto soprattutto per la collaborazione con Giacomo Puccini, di cui si conserva il manoscritto e una versione a stampa nell’archivio della biblioteca Passerini-Landi di Piacenza2. Là su, ne l’infinito spazio ceruleo, – Nirvana irradia! – Là, dietro a li aspri monti e a balze grigie, – splende Nirvana! – Là tutto è azzurro, è eterno, è riso, è cantico! – È la Nirvana! – Là gran spemi de li umani adergono, – dove è Nirvana! – e chi soffrì e peccò ha pace e oblio. – Tale è Nirvana, 67


Giovanni Segantini Il castigo delle lussuriose, 1891 Liverpool, National Museums and Galleries on Merseyside Walker Gallery Giovanni Segantini Le cattive madri, 1894 Wien, Ă–sterreichische Galerie Belvedere

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Oh, umana questa Fede che dimentica – e che perdona! – Pur chi ha peccato, pira di quel dolcissimo – riso di Luce, de la Natura dee soffrir le angosce – e con Lei piangere. Le cose a guisa degli umani han lacrime – ed hanno colpe. Così la Mala Madre in vallea livida – per ghiacci eterni dove non ramo inversa o fiore sboccia – gira sospinta. Non ebbe un riso, un sol bacio il tuo figlio, – o invano madre? Non diè germogli di tuoi baci l’anima, – o invano madre? Così te la tormenta del silenzio – mena e sospinge gelida larva con ne li occhi lacrime – fatte di ghiaccio! Vedetela! Affannosamente vagola – come una foglia!. . . E intorno al suo dolor tutto è silenzio; – taccion le cose. Or ecco fuori della vallea livida – appaino alberi! – Là da ogni ramo chiama forte un’anima – che pena ed ama; ed il silenzio è vinto e la umanissima – voce che dice: – Vieni! A me vieni, o madre! Vieni e porgimi – il sen, la vita. Vien, madre!... Ho perdonato!... La fantasima – al dolce grido vola disiosa e porge al ramo tremulo – il seno, l’anima. – Oh, portento! – Guardate! Il ramo palpita! – Il ramo ha vita! Ecco! È il viso di un bimbo, e il seno succhia – avido e bacia! – Poi bimbo e madre il grigio albero lascia – cadere avvinti. . . Là su Nirvana irradia! Là su il figlio – con seco tragge la perdonata Madre. . . I monti varcano – le due fantasime!. . . Varcan l’angoscia de le nubi e volano – dove è Nirvana. – Oh, umana questa fede che dimentica – e che perdona. Come si legge nella versione a stampa, Illica intitola il suo poema La mala madre (nella idea buddistica) e aggiunge un appunto a piè di pagina che dice: “(dal “Pandjavalli” di Maironpâda/ Sotto il regno di Prà Krama Bahou.)”, lasciando dunque intendere che lui fosse soltanto il traduttore di una saga buddista più estesa. Per moltissimi anni lo scritto fu ritenuto un autentico testo indiano finché nel 1982 Annie-Paule Quinsac ne svelò la natura apocrifa, scoperta attraverso lo studio del carteggio di Segantini da lei curato e pubblicato nel 19853. Analizzando da vicino il contesto in cui furono realizzati i dipinti e la relazione tra 69


Foglio a stampa del poemetto di Illica (s. d.), Biblioteca Comunale Passerini-Landi, Fondo Illica, cart. 53 (La biblioteca comunale Passerini Landi di Piacenza ha autorizzato pubblicazione della riproduzione del documento)

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questi e il poema ritenuto la loro fonte letteraria, ci si confronta con fatti e documenti che rimettono in discussione le certezze sinora riconosciute. Se si valuta l’iniziale ricezione, prima del Castigo delle Lussuriose e poi delle Cattive madri, leggendo gli articoli dell’epoca, appare evidente non solo che all’inizio degli anni Novanta il poema pseudobuddista ancora non circolasse ma che il pubblico addirittura faticasse a comprendere il contenuto dei quadri di Segantini. Tornando all’anno 1891, quando Segantini concluse il primo dipinto del Nirvana, dalle lettere che l’artista scrisse al suo commerciante, Alberto Grubicy, si estrapola che il quadro delle Lussuriose fu esposto per la prima volta all’esposizione internazionale di Berlino, organizzata dal comitato degli artisti berlinesi, che si tenne da maggio a giugno del 1891. Nel catalogo della mostra il quadro è intitolato semplicemente “Nirwana”4, il cambiamento del titolo potrebbe risalire ad un scelta di Segantini stesso, che infatti nominava spesso i suoi quadri, nelle lettere ma anche nelle notificazioni ufficiali delle mostre, con vari titoli diversi. A fine marzo il quadro è sicuramente concluso come si può dedurre dalla lettera, datata 28 marzo 1891, che Segantini scrive ad Alberto: “Domani spedisco le Lussuriose, di questo dipinto mi preme sapere quale ne sarà limpressione, quindi ti prego di volermi tenere informato quanto e possibbile”5. L’artista è consapevole di aver preso una nuova direzione e si sentiva piuttosto sicuro della forza espressiva che avevano i suoi soggetti simbolico-immaginari. Leggendo ciò che scrive in quei mesi all’amico Vittore Grubicy, si comprende inoltre come fosse convinto che in Germania avrebbero accolto senz’altro entusiasticamente soluzioni di questo genere. “(…) godo di sentire che hai mandato i quadretti buoni a Brera, io non posso dire altretanto, quel poco di buono che avevo lo mandato a Berlino”6. “(…) finalmente questano tentai più coraggiosamente e mandai a Berlino un quadro di crica 2 Metri le Lossuriose che io castigo a un nirvana di nevi e ghiacci. Sono figure lanciate nel’vuoto senza alli dolorosamente rasegniate, ese sinnalzano verso il sole che tramonta e questo e il senso della forma, il colore è una zinfonia di bianchi e azuri, argento e oro”7.

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Contrariamente alle sue aspettative, a Berlino il dipinto non ebbe l’atteso successo. Segantini fu premiato soltanto con una “menzione onorevole”, un riconoscimento di second’ordine, che offese oltremodo l’artista8. Anche la stampa non dedicò particolare attenzione alle opere di Segantini: in “Die Kunst für Alle” Jano Springer, tra giugno e agosto, scrisse tre articoli sull’esposizione berlinese, concentrandosi tuttavia soprattutto sull’arte tedesca e accennando soltanto velocemente le opere internazionali nell’ultimo articolo del primo agosto, nel quale Segantini è nominato brevemente accanto al quadro Pflügen in Engadin, mentre sul Castigo delle lussuriose non si legge nessun commento. Nelle lettere pervenuteci, scritte da Segantini ai due fratelli Grubicy tra la fine di luglio e l’inizio di settembre 1891, si comprende chiaramente il malumore e lo sconforto che la giuria tedesca provocò all’artista. Da allora Segantini si mosse con maggior prudenza, discutendo accuratamente con il suo commerciante se le città in cui avevano intenzione di esporre Il castigo delle lussuriose sarebbero state pronte ad accoglierlo. Dopo Berlino il quadro fu esposto, insieme alle altre opere provenienti dalle città tedesche, nella galleria di Alberto Grubicy a Milano9. Nonostante una migliore accoglienza delle novità di Segantini da parte del pubblico italiano, nelle recensioni scritte relative alla mostra non vi è traccia del poema di Illica. Della mostra milanese scrivono ad esempio Alberto Sormani e Luigi Chirtani; il primo, che scriveva soprattutto di politica, era critico d’arte soltanto occasionalmente e nel primo numero della rivista “Vita Moderna” pubblicò un articolo, Un pittore poeta. Giovanni Segantini, che commentava le opere esposte alla fine dell’anno precedente, incoraggiando l’evoluzione idealista dimostrata da Segantini con Il castigo delle lussuriose: “Infine, un quadro di notevoli dimensioni, Nirvâna, ci offre una concezione nuova e direi quasi trascendentale del paesaggio poetico. L’impressione artistica diventa così permanente ed invadente, arriva ad uno stato tale di acuità, ch’essa assume una forma, si fa carne e persona. Ecco la visione, l’allegoria fantastica. In un magnifico, in un divino paesaggio di monti nevosi, in una regione pura ed iperborea, l’artista, il poeta, sente sorgere dentro di sé un fantasma che anima quella della natura deserta e silenziosa, che ne dà quasi il significato e la ragione. Delle donne assopite, assiderate in un sonno eterno, in bianchi veli, passano ondeggiando in questa fredda solitudine. È un castigo? È semplicemente un sogno? Certo, il fascino è completo, e se le figure ondeggianti formassero nel quadro una linea armonica ed intonata come è il loro sentimento e il loro colore, avremmo qualche cosa di perfetto, come abbiamo già qualche cosa di imponente e di 72


Ernesto Mancastropa Il castigo delle lussuriose (da Giovanni Segantini) xilografia riprodotta in “Natura ed Arte”, 1892

infinitamente suggestivo. Io oso incoraggiare il fortissimo artista in tale indirizzo che la sana critica non esiterà a tacciare di morboso. Morboso, anzi letale, per cui non sia artista grande, per chi alla manualità esercitata non sappia unire un’anima di poeta. Ma Segantini non ha nulla da temere”10. Quasi contemporaneamente anche Luigi Chirtani scrisse un articolo sulla mostra dell’artista a Milano, pubblicato in “Natura e Arte”, accompagnato da una xilografia delle Lussuriose di Ernesto Mancastropa11. Chirtani esprime un giudizio piuttosto positivo, avvertendo tuttavia il pubblico della difficoltà che avrebbe potuto incontrare nella comprensione dell’opera: “Tra gli altri quadri ne ha uno del color della sera in un breve altipiano, tutto neve. È un dipinto che, come certe sinfonie di Beethoven in una tonalità che pare uniforme, piace più la seconda volta che la prima, più la terza che la seconda; si sente l’alta poesia più addentro quanto più se ne odono ripetizioni. (...) Per l’incisione abbiamo scelto il suo ultimo dipinto, nel quale alla sua alta poesia dell’ambiente delle giogaie alpine ha armonizzato una variante di sua fantasia sul tema dei Nir73


vani indiani, pel quale l’ultima incarnazione dell’uomo sarà la più etera, ridotta alla realtà della parvenza senza la materialità della carne, conservando la sensibilità e tutte le altre funzioni della vita materiale e psichica, ognuno in quella parte dell’universo che avrà meritato di abitare colla esistenza antecedente. Il quadro rappresenta il Nirvana delle lussuriose condannate per l’eternità a galleggiare sdraiate nel vuoto, vaganti come le nuvolette che passano sospese sopra la linea delle boscaglie nelle regioni alpine più crudamente fredde per nevi e geli sempiterni”12. Un anno dopo, a febbraio del 1893, la tela fu esposta alla First exhibition, consisting of paintings and sculpture, by British and foreign artists of the present day organizzata dalle Grafton Galleries di Londra. Subito dopo è esposto alla Walker Gallery Autumn Exhibition tenutasi in settembre, dove fu acquistato direttamente dalla galleria della città. Per quanto riguarda invece le informazioni relative alla realizzazione delle Cattive madri, bisogna confrontarsi con una grave lacuna epistolare. Esistono infatti pochissime lettere conosciute scritte nella prima metà del 1894. Il quadro era probabilmente già concluso nei primi mesi dell’anno e fu presentato insieme a molte altre opere in occasione delle Esposizioni Riunite di Milano, in una sezione personale dedicata a Segantini, che il comitato esecutivo permise di allestire al primo piano del Castello Sforzesco13. Le Esposizioni Riunite si inaugurarono nel Castello Sforzesco e nel parco Sempione a inizio maggio 1894 e continuarono fino ad ottobre dello stesso anno14. Come si può constatare sfogliando il piccolo Catalogo Ufficiale dell’esposizione di Segantini, negli spazi a lui dedicati erano presenti ben novanta opere, suddivise in tre sale; Le Cattive madri sono esposte nella sala dei dipinti “dell’ultimo periodo”, intitolate Per le cattive madri (prima del Nirvana). Nella stessa sezione si potevano vedere anche L’angelo della vita e la grande tela dei Pascoli alpini, a cui il pittore avrebbe lavorato ancora fino al 1895. Si è visto che nel 1891 Il castigo delle lussuriose fu poco apprezzato all’estero e risollevato poi in parte dalla critica italiana. La reazione rispetto alle Cattive madri, esposto per la prima volta in Italia a Milano, fu invece meno positiva. Nelle recensioni delle Esposizioni Riunite, i critici che si occuparono di commentare la mostra dedicata all’opera segantiniana lodarono soprattutto i Pascoli alpini, esposti in quell’occasione con il titolo Laghetto alpino, mentre dai commenti riservati alle Cattive madri si intuisce che il quadro non fu compreso. Ad esempio Anna Radius Zuccari, amica di Segantini meglio conosciuta con lo pseudonimo Neera, descrive l’opera come una: 74


“(…) concezione ardita che ci obbliga a piegare il capo riverenti, se anche non persuasi. Siamo davanti ad una di quelle forme oscure, forse transitorie, attraverso le quali l’artista che ha un avvenire dinanzi passa nelle ore tormentose della ricerca”15. Leone Fortis, un drammaturgo triestino, che si occupò, su commissione del Ministero della Pubblica Istruzione, di recensire le mostre artistiche delle Esposizioni Riunite, definì l’opera di “grandissimo effetto”, ma pose comunque l’accento sulle difficoltà che il pubblico incontrava a comprenderne il soggetto: “Il primo è un quadro del Segantini intitolato Per le cattive madri (Nirvana). Davanti a questo quadro stranissimo moltissimi visitatori si sono fermati atteggiandosi a punto interrogativo. E diffatti, anche ad una persona colta, riesce difficile sciogliere l’enigma del titolo, e più ancora, quello della pittura - e il comprendere il simbolo, l’allegoria del quadro (…) ciò che riesce incomprensibile al pubblico è il concetto che il pittore ha voluto esprimere. Che quello sia il supplizio di una madre cattiva lo si capisce solo perché è il titolo che usa la cortesia di dirlo al volgo profano - ma è certo che se il quadro fosse stato esposto senza titolo, nessuno sarebbe riescito a comprendere di che si trattasse, ed il quadro sarebbe restato un geroglifico pittorico, decifrabile solo da chi lo ha ideato”16. Carlo Tedeschi, che per sua stessa ammissione si sentiva più vicino al verismo, scrisse nella rivista “Le Esposizioni riunite di Milano”: “Il Nirvana è un po’ nebuloso per concetto, e forse così a me sembra perché sono sempre stato nemico della pittura simbolica; ma il paesaggio entro cui si svolge la scena è degno di uno studioso, di un mago della luce qual è il Segantini”17. Leggendo i commenti rivolti al secondo quadro del “Nirvana” è chiaro non solo che il poema di Illica nel 1894 ancora non circolasse ma anche, più in generale, che il pubblico faticasse ad interpretare il contenuto del dipinto. Da lì a poco però le cose sarebbero cambiate, proprio grazie al discusso poemetto di Illica. Il primo articolo in cui si riconosce l’influenza del testo indiano apocrifo è un articolo di Luigi Chirtani, pubblicato nel 1896 sulla rivista “Natura ed Arte”. È chiaro che il critico possedesse una copia del poema, non solo perché lo nomina ma anche perché ne cita delle parti: “(…) altro quadro simbolico del Segantini è quello delle Male madri, che risponde al tema di un poemetto indiano. Le madri che abbandonano i figli secondo quella leggenda, devono soffrire 75


angosce in una valle livida, tra catene di orride montagne, ove regna il silenzio della natura. Portate in aria, come foglie morte e sospinte dalla tormenta, vagolano, affannose e gelide larve con negli occhi lagrime fatte di ghiaccio. Quando la punizione delle male madri è compita, da fuor della valle livida vengono chiamate con dolci gridi, esse accorrono e trovano alberi che germogliano dalla neve. In quelli aspettavano l’anime dei figli loro; il silenzio è vinto, e da ogni ramo chiama forte una voce che pena ed ama”18. Lo stesso Chirtani, soltanto qualche anno prima, scrisse a proposito del primo quadro del “Nirvana” che Segantini “ha armonizzato una variante di sua fantasia sul tema dei Nirvani indiani”19. In ogni modo, da quel momento i quadri del Nirvana furono spesso associati e interpretati, in modo diretto o meno, con il poema indiano di Illica il quale, come già precisato, fino ad oggi è considerato la fonte letteraria di entrambi i quadri. Dal 1895 possiamo notare che sarà Segantini stesso a promuovere in prima linea il collegamento tra il testo e i suoi quadri simbolico-immaginari, preoccupandosi che la presentazione, dal vivo o in riproduzione, delle Cattive madri fosse accompagnata anche dal poemetto della Mala madre. In una lettera ad Alberto databile tra maggio e giugno del 1896 si legge ad esempio che l’artista invita il suo commerciante ad inviare il poema di Illica all’imperatore d’Austria per spiegare il soggetto del dipinto: “L’Imperatore d’Austria desiderava avere dei schiarimenti sul soggetto del quadro le cattive madri se tu per tuo conto voi mandarci Quella d’Illica, stampata sintende su altra carta, e in due fogli unendovi nel secondo la fotografia del quadro”20. Alla luce dei fatti anzidetti e accettando l’ipotesi unanimemente promossa dalla critica sino ad oggi che Segantini si basò sul testo di Illica già nel 1891, è legittimo chiedersi perché, nonostante i suoi dipinti non furono compresi, non li accompagnò già prima del 1895 con lo scritto del librettista. Se cerchiamo delle risposte nel carteggio conosciuto tra l’artista e Luigi Illica purtroppo non troviamo quasi documenti. Non sappiamo neppure quando i due strinsero amicizia; Luigi Illica viveva a Milano, faceva parte degli intellettuali legati al gruppo della scapigliatura, e guadagnò una certa fama soprattutto per la sua collaborazione con Giacosa alla realizzazione dei libretti per Puccini. 76


Forse i due, che avevano quasi la stessa età, si conobbero già all’inizio degli anni Ottanta quando Segantini si trovava ancora a Milano. Oppure potrebbero essere venuti in contatto all’inizio degli anni Novanta, un periodo in cui Segantini, spinto da Vittore Grubicy, si avvicinò al mondo della musica e del teatro, come possiamo leggere nelle lettere intercorse tra i due in quegli anni, tra le quali riscontriamo addirittura due bozze di libretto che Vittore avrebbe voluto far musicare a Franco Leoni21. L’unica lettera conosciuta tra Segantini e Illica in cui c’è un riferimento all’argomento è quella scritta da Segantini il 30 aprile 1895: “Ho ricevuto la lettera tua e dell’amico Celega. Ho leto e meditato l’argomento. Quando Celega mi fece udire la sua musica mi sentii trasportato dagli arpegiamenti che accompagnano l’agonia di Comàla alpunto che trovai questa parte troppo corta. Perciò l’idea mi si dilatò su questa parte xxxxxxx punto. Appena avrò fatto il disegno tel manderò. Ciao Saluta l’amico Celega. Il tuo Segantini Pensi al mio Nirvana? L’avrai in settimana. (Il Disegno)”22. Dal modo in cui Segantini si rivolge al librettista si può dedurre che tra i due c’era già un rapporto di amicizia. Un anno dopo Segantini racconta inoltre alla compagna Bice, in una lettera inviata durante uno dei suoi soggiorni a Milano, di aver visitato l’amico letterato: “Ieri fui da Illica a pranzo”23. Purtroppo non troviamo altre informazioni, tuttavia leggendo i documenti che Segantini scrisse al suo commerciante, è chiaro che l’artista inviò per la prima volta il poema ad Alberto soltanto nel 1895: “Ti acludo il Nirvana d’Illica che magnifico. Una copia potrai mandarla a quel tal giornale che riproduce il quadro [Il terzo numero del Pan di Berlino]24. Ne potrai mandare una al comitato dell’Esposizione [L’esposizione dei secessionisti a Monaco] da appendersi di fianco al dipinto, una tenerla perté e questo originale rimandarmelo a mé. bada alla firma giache deve passare per Indiano”25. Leggendo questa lettera si può dedurre che Segantini invia ad Alberto il poema per la prima volta, gli invia infatti lo scritto originale assicurandosi che ne realizzi delle copie per poi ritornarglielo. Precisa inoltre che la firma di Illica non doveva comparire poiché voleva che il testo circolasse come autentico indiano.

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Inoltre poco dopo, il primo giugno, Segantini scriverà ancora ad Alberto, per spiegare meglio come utilizzare il poema: “Il scritto di Illica va publicato sul giornale che porta l’Inlustrazione del quadro. per facilitare la comprensione del sogetto e non su altro giornale dove non ha niente a che vedere. Il nome d’Illica non deve figurare, neanche come traduttore essendo ché questo poema non esiste (…)”26. Considerando che anche Alberto riceve per la prima volta il poema soltanto nel 1895 è legittimo chiedersi se il poema di Illica, che fino ad oggi è considerato il testo dal quale Segantini ideò i due quadri, non sia invece stato scritto dopo di questi che così diventerebbero la fonte visiva da cui è nato il testo. In tal caso quel “pensi al mio Nirvana?” della lettera scritta da Segantini a Illica a fine aprile potrebbe essere proprio una richiesta, come se Segantini, confrontandosi con le reazioni di incomprensione, volesse fornire un testo, per di più un testo antico indiano, che legittimasse e chiarisse i suoi soggetti simbolico-immaginari. L’ipotesi non esclude che, quattro anni prima, Illica potrebbe comunque aver avuto un’influenza sulla decisione di Segantini di legare i sui dipinti alla tematica dei “Nirvana indiani”. Un legame, è bene precisarlo, che passa soprattutto attraverso il titolo delle opere, e non dal soggetto che più facilmente si lega all’immaginario dantesco o della Visio Alberici, com’è giustamente già stato colto dalla critica27. Infatti negli anni in cui, come visto su spinta di Grubicy, Segantini si avvicina al mondo della musica e del teatro si può già riscontrare un interesse generale per gli orientalismi e, all’inizio degli anni Novanta, in particolare proprio verso l’India. Lo dimostra ad esempio il grande successo che ebbe l’opera lirica di Isidore De Lara, The Light of Asia, andata in scena nel 1892 a Londra28, che si basava sull’omonimo libro di Edwin Arnold, pubblicato nel 1879 che riscontrò un ancor maggior successo e diventò il testo canonico del buddismo europeo. In ogni modo tra gli intellettuali che sicuramente si interessarono all’India e al buddismo possiamo contare Illica stesso, grazie ad un documento rinvenuto nelle carte del suo archivio. Si tratta di un abbozzo di libretto intitolato Budda, a cui lo scrittore lavorò tra il 1889 e il 1890 per Giacomo Puccini, come possiamo dedurre da una lettera che quest’ultimo scrisse al fratello il 5 gennaio 1890. L’opera non fu poi portata a conclusione, ma leggendo le cinque pagine manoscritte da Illica si comprende che il librettista fosse già allora familiare con la dottrina buddista29. 78


Alla luce dei fatti analizzati non sarebbe perciò difficile immaginarsi che Segantini, avvicinandosi all’ambito della musica e del teatro, fosse venuto in contatto con la moda indiana indipendentemente dal poema, che a quella data sembrerebbe non esistere ancora. Forse proprio spinto da Illica, che come visto in quel periodo sicuramente si interessò al buddismo, spiegando così anche perché nel 1895, quando i suoi quadri non ebbero il successo sperato, si rivolse nuovamente all’amico letterato per un testo che li spiegasse, che li innalzasse letterariamente, seguendo allo stesso tempo anche i gusti e le mode del suo tempo.

* Storica dell’arte e curatrice presso il Museo Mecrì di Minusio (CH). 1 La pubblicazione più recente che dichiara tale legame è il catalogo a corredo della mostra milanese conclusasi a gennaio del 2015. Quinsac scrisse già nel catalogo generale (1982) che le opere avessero come fonte letteraria certa il poema di Illica, presumendo, sulle orme della critica precedente, che l’artista conoscesse il testo già prima del 1891. La curatrice del catalogo scrive inoltre che il testo di Illica fu pubblicato nel 1889 (A.-P. Quinsac, Segantini: catalogo generale, 2 voll., Electa, Milano 1982, p. 476). Non sono reperibili fonti che confermino tale datazione, anche la dottoressa Gabriella Olivero, che si è occupata di altri scritti del librettista, dichiara di non conoscere pubblicazioni del testo in questione (ringrazio la dottoressa Olivero per avermi fornito tale informazione in data 4 ottobre 2012). Nel foglio a stampa del poema, conservato all’archivio di Piacenza, non vi è alcuna data e Quinsac non dichiara le fonti che stanno alla base della sua affermazione. La storica dell’arte scrive, inoltre, sempre nella scheda del catalogo generale, che il poema di Illica fu tradotto in inglese e pubblicato nel catalogo della Grafton Galleries in occasione della First Exhibition del 1893; quest’informazione non è corretta, nel catalogo risulta solamente il titolo del dipinto (First Exhibition, consisting of Paintings and Sculptures, by British and foreign artists of the present day, catalogo della mostra, Londra, The Grafton Galleries, febbraio 1893, Grafton Galleries, Londra 1893, p. 30. Da notare che al posto di G. Segantini hanno scritto A. Segantini, forse sbagliandosi con l’iniziale di Alberto Grubicy, che allora era il commerciante dell’artista). Le informazioni fornite nel 1982 da Quinsac sono poi state unanimemente accettate dalla critica successiva, l’unica voce fuori dal coro è quella di Michael F. Zimmermann: secondo lo storico dell’arte tedesco soltanto il secondo dipinto, Le cattive madri, si sviluppò precisamente sulla base della poesia pseudo-indiana, mentre il primo quadro del cosiddetto ciclo del Nirvana si legò solo posteriormente all’argomento. Zimmermann fa notare che il primo ‘Nirvana’ aveva originariamente come soggetto la lussuria e quindi, piuttosto che col poema indiano, vede un legame con il complesso contesto contemporaneo della prostituzione nella società capitalista (M. F. Zimmermann, Industrialisierung der Phantasie: der Aufbau des modernen Italien und das Mediensystem der Künste 1875-1900, Deutscher Kunstverlag, München 2006, p. 112). 2 I documenti sono conservati nel fondo Illica, cartella 53, della Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza. Il poemetto è stato ripubblicato in: Archivi del divisionismo, a cura di T. Fiori, Officina edizioni, Roma 1969, vol. II, p. 339, nota 4; M. C. Gozzoli, L’opera completa di Segantini, Rizzoli, Milano 1973, p. 114; Quinsac 1982, p. 476; Segantini. Trent’anni di vita artistica europea nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi mecenati, a cura di A.-P. Quinsac, Cattaneo, Oggiono 1985, n. 428, pp. 346 e sg., nota 1. Tradotto in tedesco parzialmente in D. Hammer-Tugenhat, Zur Ambivalenz von Thematik und Darstellungsweise am Beispiel von Segantinis‚ “Die 79


Bösen Mütter”, in “Kritische Berichte”, n. 13, Jonas Verlag, Marburg 1985, p. 16 e integralmente in Giovanni Segantini, catalogo della mostra a cura di B. Stutzer, St. Gallen, Kunstmuseum, 13 marzo-30 maggio 1999; St. Moritz, Segantini Museum, 12 giugno-20 ottobre 1999, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern 1999, pp. 51 e sg.; Zimmermann 2006, p. 112. Tradotto integralmente in francese in J. Clair, Une volée de bois mort. Les Mauvaises mères de Segantini, in “Nouvelle Revue de Psychanalyse”, n. 45, 1992, pp. 49 e sg. In tutte queste ripubblicazioni il testo presenta alcune differenze da quello del foglio a stampa conservato nell’archivio (il quale segue invece quasi fedelmente il manoscritto). Sembra giusto far risalire questa discrepanza filologica alla trascrizione negli Archivi del divisionismo del 1969, da cui derivano quelli posteriori (tutte le pubblicazioni posteriori al 1982 dichiarano come fonte uno dei testi suddetti di Quinsac, che a sua volta dichiara come fonte Fiori. Gozzoli, invece, non dichiara nessuna fonte, ma dai commenti al testo è chiaro che anche in questo caso la fonte è la nota di Fiori, poiché ne sono riprese alcune frasi). Non è stato possibile rilevare se si trattasse di un errore oppure se Teresa Fiori avesse attinto il poemetto da un’altra fonte che tuttavia non dichiara. In questa sede si riportano entrambi i testi, trascritto quello di Fiori e in fotografia quello conservato nel fondo Illica. 3 Quinsac 1982; Quinsac 1985. 4 Internationale Kunst-Ausstellung veranstaltet vom Verein Berliner Künstler anlässlich seines fünfzigjährigen Bestehens 1841-1891, catalogo della mostra, Verlag des Vereins Berliner Künstler, Berlin 1891, p. 173. 5 Quinsac 1985, n. 274, pp. 249 e sg. 6 Cartolina a Vittore, 19 aprile 1891 (C. Dal Cin, Lettere inedite di Giovanni Segantini a Vittore Grubicy e altri importanti scritti, in Segantini: la vita, la natura, la morte: disegni e dipinti, catalogo della mostra a cura di G. Belli, A.-P. Quinsac, Trento, Palazzo delle Albere, 3 dicembre 1999-19 marzo 2000, Skira, Milano 1999, n. 58, p. 185). 7 Lettera a Vittore del 21 maggio 1891 (Quinsac 1985, n. 94, pp. 139 e sg.). 8 Varie sono le lettere in cui Segantini si lamenta con i Grubicy a riguardo dell’insuccesso tedesco, qui di seguito si segnala la testimonianza più rappresentativa. In una cartolina pubblicata da Primo Levi nel suo articolo L’ultimo Segantini e datata 5 agosto 1891 si legge infatti: “Ho ricevuto la tua cartolina, e ti ringrazio. Io non ho atteso un solo istante a rifiutare la Menzione; nel momento stesso in cui ricevetti la notizia, cioè il 29, spedii subito a Berlino questo telegramma: ‘Berlino - Presidenza Giuria Internazionale Esposizione Artistica. In nessuna Esposizione mondiale, dal primo giorno che esposi sino ad oggi, non vi fu mai nessuna Commissione, che si sia creduta in dovere di offendermi, all’infuori di questa di Berlino. Vi chieggo un solo favore: di cancellarmi publicamente dalla lista dei vostri premiati. Giovanni Segantini’ Nota bene che ho messo risposta pagata e quei ma . . . non si sono nemmeno degnati di rispondermi: crepa” (P. Levi, L’ultimo Segantini, in “Rivista d’Italia”, vol. III, fascicolo 12, dicembre 1899, p. 656). 9 Nel 1891 Segantini espose a Stoccarda alla Internationale Gemäldeausstellung che si tenne tra marzo e aprile, a Berlino, intorno a maggio giugno, alla Internationale Kunstausstellung e infine a Monaco in occasione delle Münchener Jahresausstellung che ebbe inizio a fine luglio. 10 A. Sormani, Un pittore poeta, Giovanni Segantini, in “Vita Moderna”, a. I, n. 1, 3 gennaio 1892. 11 Zimmermann 2006, p. 115. 12 L. Chirtani [Archinti], Giovanni Segantini e la sua esposizione, in “Natura ed Arte”, a. I, n. 5, 1 febbraio 1892, pp. 352-354. 13 Belle Arti. Catalogo ufficiale di 90 opere del pittore G. Segantini: quadri ad olio, disegni e pastelli di diverse epoche gentilmente prestati dai singoli proprietari, catalogo della mostra, Milano, Castello Sforzesco, maggio-ottobre 1894, Editori Riuniti, Milano 1894. 14 Cfr. Milano 1894. Le Esposizioni Riunite, a cura di R. Pavoni, O. Selvafolta, Amilcare Pizzi, Milano 1994, pp. 7-9. 15 Neera [A. Radius Zuccari], All’esposizione di Pittura. «I sentimentali», in “L’Idea Liberale”, n. 28, Milano, 15 luglio 1894. 16 L. Fortis, L’arte alle Esposizioni riunite di Milano, Fratelli Dumolard, Milano 1895, pp. 86 e sg. 17 C. Tedeschi, L’Esposizione Segantini in Le Esposizioni riunite di Milano: unica pubblicazione illustrata autorizzata dal comitato, Milano 1894, pp. 183-184. 18 L. Chirtani [Archinti], Giovanni Segantini II, in “Natura ed Arte”, n. 6, Milano, 1896-1897. 19 Chirtani [Archinti] 1892, pp. 352-354. 20 Lettera di Segantini ad Alberto [maggio-giugno 1896] (Quinsac 1985, n. 496, pp. 394 e sg.). 80


21 Tra il 1890 e il 1891 Segantini esprime in più lettere a Vittore le sue idee sui generi e sulla musica teatrale, tra queste carte vi si trovano anche due tentativi di sceneggiatura che Segantini affronta un po’ maldestramente come racconti divisi in scene. I testi l’artista li scrisse probabilmente su commissione di Vittore che, come leggiamo in una lettere del 2 gennaio 1891, voleva farli musicare al giovane compositore milanese Franco (Francesco) Leoni: “per l’incarico che mai dato per il maestro Leoni ci penso e qualche cosa ti scriverò” (Dal Cin 1999, n. 55, p. 185). Anche Primo Levi scrive a proposito di quegli anni: “Ma era principalmente sulla musica, che Vittore richiamava l’attenzione dell’amico (…) gli poteva far presente ogni applicazione artistica dell’idealità, e tener quindi in maggior conto quelle dell’ideografia; sia perché, dovendo essere, specialmente in teatro, determinata in parti di misura, di tempo, di luogo, ben definite, poteva riuscire un utile esercizio disciplinare. Lo invita quindi a ideare ed a svolgere un soggetto per scene musicali (…)” pubblicando in seguito i due atti teatrali sopra discussi (Levi 1899, p. 649). Dopo Levi i testi furono pubblicati in parte anche da Servaes (F. Servaes, Giovanni Segantini. Sein Leben und sein Werk, Klinkhardt und Biermann, Leipzig 1920, pp. 144-146); nel carteggio curato dalla figlia Bianca (Scritti e lettere di Giovanni Segantini, a cura di B. Segantini, Fratelli Bocca, Torino 1910, pp. 176-179) e Gozzoli 1973, p. 85. 22 Lettera di Segantini a Luigi Illica del 30 aprile 1895 (Quinsac 1985, n. 864, p. 717). 23 Lettera da Milano di Segantini a Bice, maggio 1896 (Quinsac 1985, n. 785, p. 619). 24 Probabilmente per l’articolo uscito ad agosto sulla rivista tedesca: Giovanni Segantini, in “Pan”, a. I, n. 3 [agosto-settembre], Berlin 1895. 25 Lettera ad Alberto [fine maggio 1895], Quinsac 1985, n. 428, p. 346. 26 Quinsac 1985, n. 429, p. 347. 27 Come ha suggerito per la prima volta Quinsac in un saggio del 1990 (A.-P. Quinsac, Die Mutter, der Tod und die katholische Tradition im Werk von Giovanni Segantini, in Giovanni Segantini. 1858-1899, catalogo della mostra, a cura di D. Tobler, Zurich, Kunsthaus, 9 novembre 1990-3 febbraio 1991, Kunsthaus ed., Zurich 1990, p. 54), è giusto segnalare che anche il poema di Illica presenta dei chiari richiami agli scenari della Divina Commedia come pure al terzo e al quarto capitolo della Visio Alberici. Per un approfondimento sulle relazioni con i testi antichi si rimanda a: F. Benini, Riflessioni sul Simbolismo in Segantini, tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 2011/2012, pp. 121-127. 28 The Light of Asia. A sacre Legend, adapted from sir Edwin Arnold’s poem by W. Beatty Kingston, the music by Isidore de Lara, B. Mocatta and Co., London 1891; fu rappresentata la prima volta l’11 giugno 1892. Può essere interessante che, poiché la parte del baritono fu assegnata a Victor Maurel, il quale era uno specialista del repertorio francese e italiano, il libretto di William Beatty Kingston fu tradotto in italiano da Gianandrea Mazzucato (G. Olivero, Un buddha insolito e la percezione della sua figura nella cultura italiana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in Studi Linguistici e Filologici Online 5.2. Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004, p. 48). Suo padre, Alberto, era un musicista esponente della scapigliatura, insegnava al conservatorio di Milano (fu maestro tra altri di Arrigo Boito) e nel 1859 diventò direttore d’orchestra alla Scala. Si può perciò rilevare un contatto tra il librettista inglese e l’ambiente della scapigliatura lombarda della quale faceva parte Illica e alla quale, proprio in quegli anni, si era avvicinato pure Segantini. 29 Olivero 2004, pp. 39 e sg.

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Segantini, un gourmand d’alta quota Conferenza di Alessandra Tiddia Genova, Musei di Nervi, Raccolte Frugone, ciclo “Nutrimenti. Gusti dell’arte”, 17 ottobre 2015

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Giovanni Segantini Natura morta con cacciagione (1880-1881) Rovereto, Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto Giovanni Segantini Natura morta con uova e pollame, (1886) Collezione privata

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Segantini, un gourmand d’alta quota Alessandra Tiddia *

“Nell’abbigliamento e nell’alimentazione sceglieva il meglio; quando viaggiava per la valle, erano cinque i cavalli che trainavano la sua carrozza. Per la sua casa acquistò del mobilio pregiato, e fra le altre cose si fece fare dalla ditta Berndorf di Vienna un servizio di posate in argento riccamente assortito, che venne realizzato appositamente per lui”1. Questo è quanto ci riferisce Franz Servaes nel 1902 a proposito dello stile di vita di Giovanni Segantini, principe della montagna, e pittore di un simbolismo fatto di luce d’alta quota, ma prima ancora, negli anni della sua giovinezza, efficace artista di nature morte con frutti, funghi e cacciagione. Il contributo odierno intende offrire alcuni spunti e accennare al suo rapporto con il cibo, inteso sia come soggetto raffigurato nei suoi dipinti, sia come elemento che testimonia l’agio e il benessere faticosamente conquistati attraverso la costruzione del suo successo personale. Le nature morte Negli anni Ottanta, all’inizio della sua attività di pittore a Milano, Segantini aveva potuto provvedere al suo mantenimento grazie alla realizzazione di numerose nature morte, destinate al mercato della borghesia milanese: si trattava di dipinti che mostravano già una notevole abilità tecnica e senso della composizione, come rivela la sapiente alternanza cromatica, di bruni e neri, presente nella Cacciagione (1880-1881) acquisita al Mart nel 2004 attraverso una sottoscrizione pubblica indetta dall’Associazione Arte per il Mart, o per converso il virtuosismo dei bianchi delle piume e delle uova della Natura morta con uova e pollame. Da lì a poco il tema della natura morta trova poi una declinazione ancora più ve85


rista nella Ninetta del Verzée o Pescivendola, l’olio del 1882 dove Segantini unisce alla raffigurazione di una straripante natura morta in primo piano, fatta di pesci grandi e piccoli, il ritratto a figura intera della pescivendola, con le mani ben piantate sui fianchi. Si tratta di un’opera di svolta nella produzione segantiniana, per l’introduzione della figura anche se la natura morta in primo piano ha ancora un ruolo preponderante nell’economia del dipinto e come notò al tempo anche Grubicy, è forse la parte meglio riuscita dal punto di vista pittorico. Con quest’opera di palese ispirazione verista Segantini si presenta all’Esposizione di Belle Arti di Roma nel 1883, e l’opera vien pubblicata sulle pagine de “L’Illustrazione Italiana” del 1882, dove peraltro era pubblicata anche un’altra Pescivendola, quella di Giulio Carlini esposta a Milano nel 18812. Nel catalogo dell’importante rassegna nazionale del 1883, Segantini, risulta residente in via San Marco 18 a Milano, e viene citato come pittore di Ala (sic): espone ben cinque lavori, anche se in sale diverse: Al guado, La ninetta del Verzé, Tisi galoppante, Impressione di vento e un dittico intitolato Pittura sacra (da identificarsi con I Pittori dell’oggi e I pittori di una volta). 86

Giovanni Segantini La pescivendola o La Ninetta del Verzée, (1882) Collezione privata Vincenzo Campi Cristo nella casa di Maria e Marta (La pescivendola), (1580) Modena, Galleria Estense


La scelta da parte di Segantini di introdurre nella sua produzione questo soggetto indica un nuovo orientamento impresso alla sua pittura, che da una fase realista matura un accento più marcatamente verista, aggiornato alle istanze più contemporanee, come indica l’avvicinamento iconografico al coevo dipinto di Carlini, anche se rispetto a questo il dipinto di Segantini rivela dei riferimenti più espliciti ai modelli antichi, e fra tutti le grandi composizioni cinquecentesche di Vincenzo Campi, una cui Pescivendola è appunto conservata nelle raccolte braidensi e quindi disponibile dal vero al giovane allievo d’accademia. La lettura verista di questo quadro, oggi in collezione privata, trova conferma nell’individuazione della fonte letteraria, a cui Segantini sembra ricorrere, ovvero un componimento in dialetto milanese scritto da Carlo Porta nel 1814, la Ninetta del Verzee, appunto, di cui la Pescivendola segantiniana sembra essere la parafrasi visiva. L’utilizzo delle fonti letterarie come motivo di ispirazione per i suoi soggetti pittorici, già noto nello studio delle sue opere simboliste, si conferma come pratica in uso fin dai dipinti di impostazione verista come questo. Un aspetto ben compreso dall’anonimo recensore de “L’Illustrazione Italiana” (n. 19, 1882) che così ce ne scrive: “Pescivendola. È una Ninetta del Verziere di Milano: l’autore vorrebbe intitolarla: Ei lee! per prendere il titolo, dove ha preso la figura, ma non c’è bisogno di queste due parole milanesi per capire il tema. La bella trecca è proprio nata e cresciuta dove le acri emanazioni del pesce di mare e delle alghe saline si mischiano all’odore delle carni macellate e dei tacchini sgozzati; è un richiamo appetitoso per la sua mostra di tonno fresco, d’alici, di cefali, di bronzini (sic!), di sardine: la pezzuola di seta bianca e rosea le inquadra il viso e ne fa risaltare il lustro e la freschezza. Il Segantini, l’autore del quadro, è un giovane disertore di Brera, già noto per altri lavori che hanno dato di lui le più belle speranze. Questo quadro è una buona conferma: non l’ho veduto terminato, mancavano di compimento le braccia e il busto, ma l’insieme era ben intonato, il viso della pescivendola, vivo, fresco, animato e la mostra del pesce dipinta da maestro in quel genere di pittura virile che condurrà questo giovane artista assai lontano. Il dipinto è stato mandato a Parigi per l’Esposizione del Salon sotto gli auspici del Goupil e rischia forse di non essere ricevuto se predominano nel giurì delle idee analoghe a quelle nel cui nome si sono rifiutate per tanti anni le opere di Courbet. Le qualità del Segantini, affatto diverse da quelle di Courbet, benché non del tutto sviluppate, non sono meno energiche per un giovane che è alle prime prove, ed hanno un carattere di risolutezza che non può non riuscire antipatico a qualsiasi arte ufficiale”3. Segantini traduce dunque nei termini di un palpitante realismo sociale, paragonato dalla critica a quello del maestro del Realismo, Gustave Courbet le suggestioni 87


derivanti dalla lettura del testo del Porta, che, parimenti, attraverso un linguaggio violentemente realistico, aveva messo a nudo una sordida realtà, senza una luce di speranza, ovvero la storia di una prostituta, le vicende scabrose della sua seduzione e poi della sua perdizione a opera dell’uomo amato, che l’aveva spogliata di tutto, sfruttandola prima nel suo lavoro di pescivendola, poi nel commercio che essa aveva fatto di se stessa. Nel restituirci la figura della Ninetta Segantini sembra avere ben presente i versi del poeta milanese, ad esempio quando scrive: “Con cà pientada, e con quij pocch danee,/ fresca, giovena e grassa come sera,/gh’aveva semper gent innanz indree/alla mia banca mej che né a ona fera;/de coeugh poeù gh’en vegneva di vivee,/e a quist bastadomà che ghe fass ciera,/se gh’avess anch venduu merda per pess/sti facc de porca even content l’istess” (Con la casa allestita, e con quei pochi quattrini,/ fresca, giovane e grassa com’ero, avevo un continuo andirivieni di gente al mio/banco in Verziere più che a una fiera; i cuochi/poi venivano in folla, e a costoro bastava/ soltanto che facessi bella cera, e se anche/avessi loro venduto merda per pesce,/queste facce di porca erano contenti ugualmente). Del resto le biografie di Segantini non fanno mistero delle misere condizioni di vita del giovane artista a Milano, che negli anni della sua gioventù frequentava gli ambienti della Scapigliatura e i Bois, locali popolari dove pittori e poeti all’ora dei pasti sostavano, ben descritti da Paolo Valera nella Milano sconosciuta4. Fra questi anche Segantini che con quindici centesimi di “polenta vedova”, ovvero polenta con polenta riusciva a cibarsi nei giorni di bolletta5. Giulio Bertoni, suo amico e sostenitore in questi anni di povertà, ricorda come Segantini provasse a quei tempi una singolare attrazione per gli studi d’ambiente svolti dal vivo: “Alle volte tutto solo si prendeva il gusto di girare pei quartieri, i più infimi della città e sobborghi, penetrando nelle peggiori osteriacce, veri covi di pezzenti e malviventi d’ambo i sessi; si truccava bene così da passare per uno di loro, senza dare sospetto, assistendo così alle loro danze sguaiate, ai lazzi, ai canti, alle liti infernali. Egli vi studiava; ci vorrebbe la sua forza descrittiva per ripeterti qui le scene emozionanti che talvolta ebbe a descrivermi”6. Segantini gourmand Molti anni dopo il suo stile di vita muterà radicalmente tanto che il suo principale biografo, Franz Servaes, lo chiamerà “principe della montagna” non solo in riferimento all’amore e all’empatia che Segantini nutriva nei confronti della montagna, ma anche per il tipo di vita che l’artista aveva deciso di condurre con la sua famiglia, nello chalet Kuoni a Maloja, nelle Alpi svizzere. 88


È Servaes a spiegarci le motivazioni che avevano indotto l’artista a stabilirsi in alta quota: “viveva in questa terra come un principe delle montagne, immerso in un paesaggio stupendo anche se aspro, lontanissimo dal brusio mondano eppure più vicino che mai al grande mondo moderno. In questa valle luminosa e magnifica, in mezzo ai monti luccicanti di neve, venivano praticamente da ogni parte del mondo tutti i privilegiati, i più ricchi, i più eleganti, i più viziati, i più potenti; e molti anche appartenenti all’élite della cultura: artisti e scrittori, scienziati e musicisti, direttori di teatro e primedonne. Come un’immagine in miniatura del grande mondo, nello scorcio di pochi mesi estivi andava in scena dinnanzi agli occhi limpidi e incorruttibili dell’artista l’andirivieni di questa schiatta, lambendolo anche da vicino in qualche sporadico caso. Nella stessa Maloja c’è un enorme hotel di lusso - il direttore fece amicizia con Segantini, e l’America e Parigi si davano appuntamento nelle sue sale (naturalmente parliamo dei ceti più abbienti). Era inevitabile che Segantini allacciasse in tutti questi luoghi relazioni e amicizie. Furono proprio le persone migliori di quell’ambiente ad accostarsi con calorosità e ammirazione a quell’uomo retto e schietto, ingenuo e insieme solenne. D’altra parte fra gli ospiti estivi non poteva certo mancare anche chi, immerso in quella natura possente, si ricordasse dell’artista che tanto la venerava, e desiderasse fare la sua conoscenza. Segantini riceveva tutti con grande gentilezza e una sorprendente naturale signorilità. Volentieri faceva anche le veci del padrone di casa, e ordinava champagne per rallegrare gli invitati. In queste occasioni viveva piuttosto dispendiosamente: non doveva più darsi dei limiti. Nell’abbigliamento e nell’alimentazione sceglieva il meglio; quando viaggiava per la valle, erano cinque i cavalli che trainavano la sua carrozza. Per la sua casa acquistò del mobilio pregiato, e fra le altre cose si fece fare dalla ditta Berndorf di Vienna un servizio di posate in argento riccamente assortito, che venne realizzato appositamente per lui. Non erano tuttavia sintomi di una boria incipiente. Piuttosto, si trattava di un modo di vivere orgoglioso, nella gioia dei sensi, proprio di un artista che pensava in maniera principesca. E tuttavia quanto ancora appariva modesto al confronto di altri principi dell’arte, che spendono e spandono allegramente!”7 Servaes prosegue nella descrizione della casa di Segantini ricordando che: “un piccolo corridoio (su una parete del quale erano appesi disegni e incisioni di Liebermann) conduceva dallo studio alla casa vera e propria: gli spazi al piano inferiore erano destinati a ricevere gli ospiti e alle faccende quotidiane, mentre quelli ai piani superiori erano riservati alla più intima vita famigliare. Al piano terra, oltre alla cucina, vi erano solo due stanze, una delle quali molto piccola, ma graziosa e accogliente: la sala da pranzo, quasi interamente occupata dal grande tavolo con le sedie dalle alte spalliere e la credenza imponente. Alle pareti rivestite in legno erano appese riproduzioni di quadri italiani, olandesi e francesi. Un poco più grande era il soggiorno adiacente: vi si trovava un’ampia scrivania e anche un pianoforte. Le pareti erano ornate da antichi dipinti a 89


olio, uno dei quali, attribuito a Tiziano, era stato completato da un intervento dello stesso Segantini. (…) Ma Segantini se ne stava soprattutto a casa sua. Si costruì innanzitutto uno «studio» rotondo, non tanto un atelier (per questo gli bastava la natura), quanto piuttosto una stanza per la lettura e la quieta contemplazione, per il disegno serale e per la scrittura. Lì vi raccolse il suo patrimonio librario: amava infatti i libri come immagini, essi erano per lui oggetti decorativi, che venerava con rispetto, anche se non era in grado di leggerli. Così collezionava antichi volumi in-folio in latino rilegati in pelle di porco; edizioni rare, stampate con bei caratteri tipografici su una buona carta; classici del pensiero e della poesia, nomi davanti ai quali egli si inchinava. Questa biblioteca si trovava subito dietro alla sua scrivania, che dominava la stanza come fosse un pulpito. L’edizione più agevole da raggiungere era quella delle opere di Goethe, l’ultima licenziata in vita dallo stesso poeta. Non la poteva leggere, perché non conosceva il tedesco; l’aveva acquistata per i suoi figli, ma la voleva presso di sé, perché lo faceva sentire bene”8. Ogni dettaglio, come ha rilevato Heinz Adamek, nel catalogo della mostra di Trento del 1987, contribuisce a sottoline90

Chalet Kuoni a Maloja, servizio di bicchieri con il monogramma GS Chalet Kuoni a Maloja, veduta della sala da pranzo con i mobili Bugatti


Giovanni Segantini La Falconiera, (1879-1880) Pavia, Musei Civici

are l’impressione di esclusività: “la stupenda argenteria della ditta

Hans Makart La falconiera, (1880) München, Neue Pinakothek

1.6.1898, la ragguardevole soma di 2217 franchi svizzeri, corrisponden-

Berndorf di Vienna che costa a Segantini, come prova la fattura del ti circa a 22170 franchi svizzeri di oggi; un servizio di delicati bicchieri di vetro soffiato color giallo oro, dai riflessi iridati, nei quali si riflette la luce dei candelabri da tavolo in stile Liberty; vasi di porcellana cinese con il classico motivo a draghi in cui trionfano stupende composizioni di fiori; e al di sopra, di tutto, tre putti che aleggiando sopra il tavolo, reggono il lampadario”9. Straordinario doveva apparire, in mezzo a questo mondo di montanari, lo stravagante arredamento della sala da pranzo, proveniente dalla bottega di Carlo Bugatti, fratello di Bice (Beatrice), la compagna della sua vita e la madre dei suoi figli, di cui Segantini si innamorò mentre la ritraeva come Falconiera a casa Bugatti, fra il 1879 e il 1880. Il suo nome vero era Luigia, ma rimarrà a noi per sempre nota con il nome di Bice, senza 91


mai smettere di indossare i panni indossati per il ritratto destinato all’Esposizione di Brera del 188010, quelli di una innamorata Bice del Balzo, protagonista del romanzo Marco Visconti di Tommaso Grossi, a cui il dipinto si riferisce nella scelta del soggetto. Nelle prove giovanili, destinate al suo esordio espositivo, nella Falconiera come nella Ninetta del Verzée, Segantini ricorre a temi riferibili alla letteratura storica, trasposti in palpitanti ritratti che nel caso della Falconiera trovano un confronto significativo con la coeva Falconiera di Hans Makart, artista imperiale, oggi nelle raccolte della Neue Pinakothek di Monaco. Ella seguì il giovane artista da subito, lasciando l’agio della casa milanese assecondando le scelte di libertà dell’artista, nel suo percorso artistico e esistenziale, e condividendo il suo amore per la natura e per la montagna. Infatti, come ricorda il Servaes, “per quanto fosse confortevole rimanere in casa e ricevere piacevolmente gli amici, Segantini conduceva la sua vita più autentica all’esterno, in mezzo alla natura, dove dipingeva. Di regola aveva in cantiere più di un dipinto, e a seconda dell’ora del giorno e dell’illuminazione passava dall’uno all’altro, talvolta anche dall’alba al tramonto. Gli rimanevano così libere sì e no un paio d’ore nel pomeriggio. Per i quadri si era fatto approntare delle grandi ceste richiudibili, in modo da poterli lasciare tranquillamente fuori quando non ci stava lavorando, senza dover temere i danni provocati dalle intemperie. Durante queste sedute di pittura Baba era la sua fedele accompagnatrice. Gli portava la cassetta degli strumenti, e quando non posava da modella si accoccolava ai suoi piedi e gli allungava i colori. Spesso si univa anche la signora Segantini, si sedeva e leggeva a voce alta: opere di poesia, ma anche seriose trattazioni scientifiche. Così, ascoltando e seguendo la lettura, Segantini dipingeva”11.

* Curatrice presso il Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Coordinatrice del progetto Segantini e Arco. 1 Franz Servaes. Giovanni Segantini. La sua vita e le sue opere, a cura di A. Tiddia, trad. di A. Pinotti, MAG, Riva del Garda 2015, pp. 135-136. 2 Giulio Carlini, La pescivendola, in Catalogo ufficiale dell’esposizione nazionale del 1881 in Milano. Belle arti, Sonzogno, Milano 1881, n. 24, p. 82 dove anche Antonio Rinaldo (pittore veneziano) esponeva un’altra Pescivendola. 92


3 Cfr. “L’Illustrazione Italiana”, a. IX, n. 19, 7 maggio 1882, copertina e p. 327. Sulla questione di realismo e verismo si veda anche La coscienza del vero. Capolavori dell’Ottocento da Courbet a Segantini, catalogo della mostra a cura di A. Tiddia, Rovereto, Mart, 5 dicembre 2015-3 aprile 2016, Electa, Milano 2015. 4 Citato da E. Gara, F. Piazzi, Serata all’osteria della Scapigliatura, Bietti, Milano 1946, p. 169. 5 Gara-Piazzi 1946, p. 174. 6 G. Bertoni, Diario della giovinezza di Segantini, memoriale inedito di chi lo ospitò ragazzo, in “Arte Club”, n. 2, 1959 citato da H. Adamek, La messa in scena della vita di Giovanni Segantini, in Segantini, catalogo della mostra a cura di G. Belli, Trento, Palazzo delle Albere, 9 maggio-30 giugno 1987, Electa, Milano 1987, pp. 25-42, ivi p. 37. 7 Pinotti 2015, pp. 135-136. 8 Pinotti 2015, p. 136. 9 Adamek 1987, p. 27. 10 Dove Segantini, ancora allievo di Accademia, si presenta con la Falconiera e L’eroe morto. Cfr L. Chirtani (Luigi Archinti), L’Esposizione di Brera, in “L’Illustrazione Italiana”, n. 39, 1880, p. 206. 11 Pinotti 2015, pp. 136-137.

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Segantini: tecnica e significato delle immagini Conferenza di Annie-Paule Quinsac Arco, Galleria Civica G. Segantini, 21 ottobre 2015

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Giovanni Segantini Autoritratto all’età di vent’anni (1879-1880) Arco, Comune di Arco

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Segantini: tecnica e significato delle immagini Annie-Paule Quinsac *

Analizzando alcune opere celeberrime di Giovanni Segantini, mi sono proposta di dimostrare: 1. che Segantini è stato l’artista italiano della sua generazione che più ha diversificato i mezzi pittorici (colori, pennellate, supporti, modi di porsi di fronte alla natura); 2. che il suo percorso evolutivo non è lineare, perché forza motrice delle scelte tecniche è il significato che, di volta in volta, intende dare al singolo dipinto. A introdurre l’argomento, meglio di ogni altra considerazione varrebbe una riflessione sull’autoritratto. Sin dagli esordi, Segantini non ha considerato l’autoritratto come esplorazione del proprio io, bensì quale tramite per imporre al suo pubblico una determinata immagine di sé. E per far ciò, ha dovuto crearsi modi e maniere. Unico autoritratto realista, se pur di taglio legato alla tradizione romantica, è quello a vent’anni, oggi alla Galleria Civica G. Segantini di Arco (Autoritratto all’età di vent’anni, (1879-1880), olio su tela, 35 x 26 cm, Comune di Arco). Nel 1882 realizza, in toni cupi su preparazione al bitume, questo volto allucinato in cui lo sguardo, gli zigomi scavati e il naso marcato si stagliano sul verdastro del fondo e una spada pare trafiggere la gola: sarà l’ultimo autoritratto a olio (Autoritratto, 1882, olio su tela, 52 x 38,5 cm, St. Moritz, Segantini Museum, Depositum der Gottfried Keller Stiftung; dopo la morte ne sono comparsi alcuni apocrifi). In sintonia con il concetto dell’artista vate - immolato alla propria arte e profeta di una nuova religione che la vede come potenza redentrice -, comune a molti artisti nelle 97


Giovanni Segantini Autoritratto, 1882 St. Moritz, Segantini Museum (Depositum der Gottfried Keller Stiftung)

cerchie simboliste internazionali, Segantini allunga sempre più il volto e il naso, sino a trascendere la somiglianza in un’effigie bizantineggiante da Cristo Pantocratore. Per infondere all’immagine una valenza ancor più iconica, rifiuta il colore e adotta il carboncino, talora rialzato a gesso bianco o polvere d’oro. Nell’autoritratto con sfondo di catena montuosa del 1895 (Autoritratto, 1895, carboncino con tocchi d’oro e gesso bianco su tela, 59 x 50 cm, St. Moritz, Segantini Museum), anche il formato e il supporto sconvolgono le regole: quasi orizzontale, e dunque più da paesaggio, e su tela, e dunque più da olio. Dopo il temporale (1883-1885, olio su tela, 180 x 123 cm, 98


Giovanni Segantini Autoritratto, 1895 St. Moritz, Segantini Museum

collezione privata) risale agli ultimi anni della permanenza in Brianza fra il 1883 e il 1885. È un’opera puramente tonale e, paragonata a Il Naviglio a Ponte San Marco, datato 1880, sembra d’esecuzione anteriore. Quel senso di natura satura di pioggia, la fisicità dell’erba bagnata, la percezione di freddo e di umido, che permeano la scena, sono ottenuti giocando sulle armonie di verdi, bianchi e grigi argentei, in una tavolozza volutamente ristretta, in cui la gradazione dei toni determina gli effetti tattili e luministici. In Naviglio a Ponte San Marco (1880, olio su tela, 76 x 62,5 cm, Mandello del Lario, collezione privata), al contrario, gli azzurri, rossi, gialli e bianchi, persino l’accostamento 99


Giovanni Segantini Dopo il temporale, (1883-1885) Collezione privata

in pennellate larghe di rossi arancio con il blu dei riflessi del cielo e delle case nell’acqua, la sovrapposizione dei colori nella resa degli intonaci dei muri, rimandano a una volontà di comunicare la gioia di un pomeriggio primaverile, a partire dal suo cromatismo. Il dipinto è costruito sulla ricchezza del colore, che è luce e insieme resa dello spazio. 100


Giovanni Segantini Il Naviglio a Ponte San Marco 1880 Collezione privata

All’epoca Segantini era un giovane appena uscito dall’Accademia. Aveva assimilato la lezione della tarda Scapigliatura e intendeva affermarsi nella schiera dei luministi. La scelta della Brianza come terra da dipingere e il desiderio di proseguire nella tradizione della pittura contadina di stampo francese, conosciuta attraverso le riproduzioni di Jean-François Millet, 101


si concretizzano in un’affettività quasi crepuscolare, che non si addice a toni accesi. Di conseguenza, le opere briantee sono prevalentemente tonali. In alcuni casi l’artista ripristina anche l’uso del bitume come pellicola su cui stendere i colori: una preparazione della tela che donava maggior intensità ai verdi e alle tinte scure nel momento dell’esecuzione, ma che si sarebbe rivelata deleteria decenni dopo, annerendo al punto da impedirne la leggibilità alcuni - per fortuna, pochi - dipinti giovanili. La luce tersa e rarefatta di Savognino, il paese dei Grigioni sulla sponda del Passo Julier, a 1200 metri di altezza, dove Segantini si stabilisce sin dalla fine dell’estate 1886, doveva originare la svolta divisionista. Tuttavia, definire Segantini un divisionista, a significare che avesse trovato nell’adozione dei colori puri a pennellate segnate il linguaggio caratterizzante la sua evoluzione, sarebbe un fraintendimento. In lui lo sviluppo della tecnica non è mai lineare; sono il soggetto e l’emozione da suscitare nello spettatore a determinare la scelta del medium e, quindi, risoluzioni diverse, ad hoc per il singolo dipinto. Ave Maria a trasbordo del 1886 (olio su tela, 120 x 90 cm, St. Moritz, Segantini Museum, Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung) è la prima tela nella quale, alla presenza del mentore, mercante e amico Vittore Grubicy, Segantini sperimenta la tecnica divisionista, riprendendo il paesaggio brianteo del lago di Pusiano e l’immagine, quasi un’icona, che aveva ottenuto la medaglia d’oro ad Amsterdam nel 1882. Volendo tradurre la luce di Savognino, che scandisce linee e forme invece di velarle come quella delle Prealpi lombarde, Segantini trasforma il crepuscolo della preghiera in un’aurora solare e i filamenti di colori puri, che s’irradiano concentrici intorno alla barca, assumono un significato di trascendenza mistica. Negli anni a seguire, l’applicazione dei colori puri dovrà coesistere con la tecnica a impasti stratificati, “grasso sopra magro”, anche dominante all’interno di un dipinto che lo richiedesse. Ad esempio, in Vacche aggiogate del 1888 (olio su tela, 83 x 139,5 cm, Basel, Kunstmuseum), il cielo e i monti innevati seguono un procedimento prettamente divisionista, mentre nel resto dell’opera si alternano impasti stratificati. Altri dipinti, invece, sono resi in un divisionismo più puro, a pennellate che descrivono la forma con un’intensità che allude al tempo sospeso, come Mezzogiorno sulle Alpi del 1891 (olio su tela, 77,5 x 71,5 cm, St. Moritz, Segantini Museum, Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung) o Riposo all’ombra (1892). Il naturalismo simbolista di Segantini, unico e inimitato, è frutto della totale identificazione emotiva con il paesaggio eletto. Le letture e i contatti con gli ambien102


Giovanni Segantini Ave Maria a trasbordo (1886, seconda versione) St. Moritz, Segantini Museum (Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung)

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ti letterari idealisti milanesi e fiorentini lo avrebbero aiutato a trasfigurare in proiezione panteista il paesaggio magico nel quale si era immerso. La progressiva evoluzione iconografica lo avrebbe spinto a ripristinare l’uso rinascimentale dell’oro in polvere e in foglia, per la prima volta in Petalo di rosa (1890, olio e tempera su tela con ritocchi oro e argento, 64 x 50 cm, collezione privata), un ritratto simbolista in cui il risveglio dell’amata compagna Bice, dal volto roseo, vorrebbe evocare lo sboccio del fiore. Per inciso, l’opera fu ridipinta, cancellandone per sempre il motivo originario, sopra “Tisi galoppante”, dove la giovane fidanzata era modella della tragica scena di genere. In Petalo di rosa, lo sfondo di tappezzeria presenta una stesura di foglia d’oro, mentre i capelli e l’ombra della mano sono cosparsi di oro in polvere. L’effetto è senza dubbio più tattile rispetto alle sole pennellate a olio e le vibrazioni del metallo accentrano la luce dell’ambiente con maggior intensità dei complementari. Dal 1890 la pratica dei metalli sarà parte dell’arsenale tecnico segantiniano per gli esiti più visionari, da L’Angelo della Vita ai pannelli del Trittico dell’Engadina, il testamento spirituale. 104

Giovanni Segantini Vacche aggiogate, 1888 Basel, Kunstmuseum


Giovanni Segantini Mezzogiorno sulle Alpi, 1891 St. Moritz, Segantini Museum (Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung)

E sicuramente tra le vette più alte del simbolismo europeo fine secolo è il Ciclo delle cattive madri, le quattro opere, allucinate e allucinanti, sul soggetto, divenuto pressoché ossessivo, dell’espiazione delle donne che hanno rifiutato la maternità, immerse in un universo di ghiaccio e redente dalla riunione con il figlio negato. Ispirato da un poema dell’amico librettista Luigi Illica, che lo fece passare per traduzione dal sanscrito, il ciclo fu compiuto in un arco di sei anni (1891-1897) e illustra 105


in modo palese quanto Segantini assoggettasse i mezzi pittorici al messaggio dell’immagine. Mentre le due prime tele, del 1891 (Il castigo delle lussuriose, 1891, olio su tela, 99 x 173 cm, Liverpool, Walker Gallery) e del 1894 (Le cattive madri, 1894, olio su tela, 120 x 225 cm, Wien, Österreichische Galerie Belvedere), propongono un divisionismo puro di pennellate giustapposte, lunghe e profonde, rinforzate da tocchi d’oro, i due ripensamenti su cartone (Il castigo delle lussuriose, (1896-1897), sgraffito, olio e tempera su cartone, 40 x 74 cm, Zurich, Kunsthaus; Le cattive madri, (1895-1897), sgraffito, olio e tempera su cartone, 40 x 74 cm, Zurich, Kunsthaus), che riprendono l’uno la versione di Liverpool e l’altro quella di Vienna, danno un’interpretazione notturna, meno ancorata alla fisicità del paesaggio. Sono i soli esempi nel corpus segantiniano in cui l’inverno di ghiaccio diventa dato astratto, più vicino alle montagne immaginarie della pittura cinese del periodo Sung che al mondo alpino. Per ottenere tale dematerializzazione e l’effetto etereo ton sur ton di azzurri cupi sopra un fondo bianco, Segantini adotta la tecnica artigianale dello sgraffito, utilizzata in Engadina per gli affreschi esterni sulle facciate delle case e che consiste nel graffiare l’intonaco per far affiorare un colore sottostante. Così Segantini: graffiando lo strato di azzurri fa riaffiorare il bianco dell’imprimitura del cartone, accrescendo quell’impatto da gelido purgatorio già presente nelle due tele precedenti, ma accentuandone la valenza onirica.

* Storica dell’arte, specialista dell’Ottocento italiano e maggior esperta di Giovanni Segantini. Professor Emerita dell’University of South Carolina. 106


Carte d’archivio

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Le lettere di Giovanni Segantini al Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

L’Archivio del ‘900 al Mart custodisce una sessantina di fondi documentari e biblioteche di artisti, architetti, critici d’arte. Costituitosi in un virtuoso processo di crescita a partire dalla fine degli anni Ottanta, comprende tipologie di materiali tipiche degli archivi personali e professionali: carteggi, manoscritti, materiali fotografici e a stampa, elaborati grafici, registrazioni visive o sonore, oggetti. All’interno di questo variegato panorama, emergono i due fondi - inscindibili - di Vittore Grubicy e del suo erede pittore Benvenuto Benvenuti: il loro arrivo al Mart, fra il 1998 e il 1999, seguiva le tante indagini condotte dal museo sul rapporto fra pittura, natura e luce, e le esposizioni dedicate al Divisionismo italiano e ad alcuni suoi protagonisti. I fondi rappresentano un caso di particolare rilevanza per la precoce datazione, che arricchisce l’Archivio con molti documenti del XIX secolo, e per la loro consistenza, che testimonia l’abbondanza dei legami intrattenuti da Grubicy e Benvenuti con artisti, mercanti, collezionisti, uomini di cultura italiani e stranieri. Spicca fra le relazioni intercorse quella di Vittore con Giovanni Segantini, testimoniata in particolare da una cartella - «Lettere di Segantini e vertenza VittoreAlberto», 1882-1912 (56 lettere, 32 cartoline, 9 biglietti, 1 telegramma, 1 ritaglio stampa, 1 fotografia, 9 documenti vari), Ben.V.8 - che comprende le numerose lettere e cartoline inviate dal pittore ai fratelli Grubicy, in primis all’amico Vittore, nel corso degli anni ’80 e ’90 del XIX secolo. I contenuti delle lettere rivelano informazioni relative all’esecuzione di quadri o

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all’invio di materiali d’artista, quali colori e pennelli, o riflessioni sulla tecnica pittorica utilizzata da Segantini. La maggior parte delle lettere segantiniane conservate al Mart è stata pubblicata da Cosetta Dal Cin in Segantini. La vita, la natura, la morte. Disegni e dipinti, catalogo della mostra a cura di G. Belli, A.-P. Quinsac, Trento, Palazzo delle Albere, 3 dicembre 199919 marzo 2000, Skira, Milano 1999. Gli archivi di Grubicy e di Benvenuti sono stati riordinati da Francesca Velardita, curatrice dell’inventario a stampa del Fondo Vittore Grubicy (Mart-Nicolodi, Rovereto 2005). L’inventario dei fondi, che dà conto di altra ricca documentazione inerente Giovanni Segantini, è inoltre consultabile in rete, all’interno del sistema informativo degli archivi storici del Mart all’indirizzo http://cim.mart.tn.it Paola Pettenella responsabile dell’Archivio del ‘900

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Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1882 maggio 22, da Pusiano a s.l. 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.1 Informazioni relative all’esecuzione di quadri.

Lettera di [Giovanni] Segantini a [Vittore Grubicy De Dragon] [1882] 4 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.2 Lettera di incoraggiamento. Informazioni relative all’esecuzione di quadri. Si cita Emilio Longoni. Lettera di [Giovanni] Segantini a Alberto [Grubicy De Dragon] [1882] 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.3 Richiesta urgente di denaro. In verso intenzione di chiedere un prestito per inviarlo a G. Segantini. Lettera di [Giovanni] Segantini a Alberto [Grubicy De Dragon] [1882] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.4 Richiesta di denaro. Accenno a questioni economiche. Lettera di [Giovanni] Segantini a Alberto [Grubicy De Dragon], [1882] 3 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.5 Riferimento a questioni economiche. In verso alla prima c. si informa V. Grubicy delle condizioni di G. Segantini. Lettera di [Giovanni Segantini] a Vittore [Grubicy De Dragon] [1882] 1 pagina, 1 carta, ms. Scritta su carta intestata «V. Grubicy, Salon de Beaux Arts [...]» Ben.V.8.6 Informazioni sull’invio di acquarelli. 111


Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1887 maggio 18, da Savognin a s.l. 2 pagine, 1 carta, ms. Ben.V.8.7 Apprezzamento per gli articoli di V. Grubicy su “La Riforma” relativi all’esposizione veneziana. Si cita P. Levi.

Lettera di [Giovanni] Segantini a Alberto [Grubicy De Dragon] 1887 dicembre 28 3 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.8 Riferimento al soggiorno in montagna. Ringraziamento per regali. Invio di auguri.

Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore e Alberto [Grubicy De Dragon] [1888] 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.9 Riferimento all’organizzazione di una mostra per il trentesimo anno di G. Segantini. Accenno a questioni economiche.

Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1888 gennaio 6-7] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.10 Ringraziamento per l’invio di “La Riforma”. Accenno al disegno Ritorno all’ovile.

Lettera di [Giovanni] Segantini a Alberto [Grubicy De Dragon] [1888 marzo] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.11 Riferimento a questioni economiche. Accenno all’esecuzione di Ave Maria. Si cita V. Grubicy.

Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1888 aprile 23 4 pagine, 2 carte, ms. 112


Ben.V.8.12 Riferimento al soggiorno in montagna. Informazioni relative ai dipinti. Si citano il fratello e la madre di Vittore, Alberto Grubicy e Antonietta Mola Grubicy. Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1888 agosto] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.14 Apprezzamento per gli articoli di V. Grubicy in “La Riforma” relativi all’esposizione di Londra. Accenno a un dipinto esposto a Bologna, probabilmente si tratta di Alla stanga. Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1888 agosto ?] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.15 Informazioni sull’esecuzione di un quadro richiesto da V. Grubicy. Lettera di R. Faccioli a [Giovanni] Segantini 1888 dicembre 6, da Bologna a Milano 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.16 Si comunica a G. Segantini elezione a socio onorario dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Accenno al dipinto Alla stanga. Lettera di [Giovanni] Segantini a [Vittore e Alberto Grubicy De Dragon] 1888 dicembre 23, da Savognino a s.l. 4 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.17 Riferimento ai dipinti spediti. Informazioni di carattere personale e professionale. Lettera di [Giovanni Segantini] a Alberto [Grubicy De Dragon] [1888] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.18 Apprezzamento per Illustrated catalogue of Alberto Grubicy’s. Il testo è scritto sulla riproduzione di Maggio proveniente dal catalogo segnalato. 113


Lettera di Segante [Giovanni Segantini] a Alberto e Vittore [Grubicy De Dragon] [1888] 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.19 Riferimento a questioni economiche. Probabile accenno al dipinto Vacche aggiogate. Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1888] 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.20 Riferimento alla prossima esposizione in Olanda. Accenno all’esecuzione di Ave Maria. Cartolina postale di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1889 gennaio 3, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.21 Informazioni relative l’invio di quadri. Si cita Leopoldina Grubicy, sorella di Vittore. Cartolina postale di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1889 gennaio 31, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.22 Informazioni relative all’invio di quadri e spiegazione del ritardo. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1889 aprile], s.l. a s.l. 6 pagine, 3 carte, ms. Ben.V.8.23 Riferimento ad un articolo di V. Grubicy relativo all’insegnamento del disegno. Commento di G. Segantini e citazioni da Herbert Spencer. Si cita Alberto Grubicy. Lettera di Segante [Giovanni Segantini] a Vittore [Grubicy De Dragon] [1889 aprile], s.l. a s.l. 3 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.24 114


Riferimento all’articolo segnalato di V. Grubicy. Considerazioni sullo studio del disegno. Si cita L. Grubicy. Cartolina postale di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1889 giugno 10, da Savognin a Paris 1 carta, ms. Ben.V.8.25 Invio di saluti. Si cita Alberto Grubicy. Cartolina postale di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1889 luglio 3, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.26 Riferimento al dipinto Due madri, studio. Cartolina postale di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1889 luglio 19, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.27 Apprezzamento per l’articolo di V. Grubicy. Accenno al dipinto Due madri, studio. Cartolina postale di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1889 ottobre 15, da Savognin a Schilpario 1 carta, ms. Ben.V.8.28 Accenno a un dipinto di G. Segantini esposto all’esposizione universale di Parigi. Lettera Les XX a [Giovanni Segantini] 1889 dicembre 17, da Bruxelles a Milano 2 pagine, 1 carta, ms. Scritta su carta intestata Ben.V.8.29 Richiesta dei titoli delle opere di G. Segantini da esporre nel prossimo Salon du groupe des XX firmata da Octave Maus. Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1889] 2 pagine, 2 carte, ms. 115


Ben.V.8.30 Riferimento a questioni economiche. Accenno all’esecuzione dei quadri Aratura e Saggio. Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1890 gennaio 17 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.31 Ringraziamento per la dedica nel catalogo Daniele Ranzoni 1843-1889. Cartolina postale di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1890 febbraio 19, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.32 Informazioni relative ai dipinti spediti e in esecuzione. Cartolina postale di Segante [Giovanni Segantini] a V. Grubicy [De Dragon] 1890 marzo 11, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.33 Accenno a Petalo di rosa. Ringraziamento per lettera. Cartolina postale di Segante [Giovanni Segantini] a V. Grubicy [De Dragon] 1890 marzo 24, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.34 Apprezzamento per l’articolo di V. Grubicy. Informazioni sull’invio di opere. Cartolina postale di Segante [Giovanni Segantini] a V. Grubicy [De Dragon] 1890 aprile 12, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.35 Richiesta informazioni sull’esposizione di L’Aja. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1890 luglio 20, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.36 Riferimento all’articolo di V. Grubicy L’avvenire della scultura. 116


Lettera di Segante [Giovanni Segantini] a Vittore [Grubicy De Dragon] [1890 agosto] 8 pagine, 4 carte, ms. Ben.V.8.37 Riferimento alla controversia tra V. e A. Grubicy. Informazioni sul rapporto Grubicy/G. Segantini. Si cita Antonietta Mola Grubicy. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1890] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.38 Si informa dell’incontro con l’avvocato Alberighi per la controversia tra V. e A. Grubicy. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 gennaio 2, da [Savognin ?] a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.39 Invio di auguri. Si cita Primo Levi. Biglietto di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1891 gennaio 11, da Savognino a s.l. 1 carta, ms. Ben.V.8.40 Si accetta l’invito della società “In arte libertas” a partecipare all’esposizione. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 gennaio 18, da Cunters a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.41 Si annuncia la mancata partecipazione all’esposizione di Roma per disguidi nella spedizione dei quadri. Si cita Alberto Grubicy. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 aprile 19, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.42 Ringraziamento per l’invio di lettere e di un opuscolo. Accenno all’invio di opere all’esposizione di Berlino e Brera. 117


Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 luglio 2, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.43 Informazioni di carattere familiare. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 luglio 9, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.44 Si autorizza la firma di un dipinto. Informazioni di carattere familiare. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 luglio 29, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.45 Apprezzamento per le considerazioni di V. Grubicy e Silvio Domenico Paoletti. Si cita l’articolo di Primo Levi sui premi dell’esposizione di Berlino. Biglietto di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1891 ottobre 25, da Savognin a s.l. 1 carta, ms. Ben.V.8.46 Riferimenti ad una persona non identificata. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 novembre 1, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.47 Invio di un pacco. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1891 novembre 5, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.48 Apprezzamento per gli articoli di V. Grubicy relativa alla facciata del Duomo di Milano.

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Biglietto di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1891 dicembre], s.l. a s.l. 1 carta, ms. Ben.V.8.49 Riferimento alla preparazione dell’esposizione Segantini alla Galleria Grubicy. Si cita Alberto Grubicy. Lettera di [Giovanni Segantini] a Vittore [Grubicy De Dragon] 1891 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.50 Richiesta di informazioni relative a Alberto Grubicy. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1892 gennaio 31, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.51 Riferimento ad un dipinto firmato e a corrispondenza richiesta da V. Grubicy. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1892 novembre 12, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.52 Ringraziamento dell’invio di articoli di V. Grubicy. Si cita il mercante d’arte olandese Oldenzeel. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1892 novembre 23, da Savognin a s.l. 4 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.53 Riferimento alla vendita di un quadro all’industriale milanese Ernesto De Angeli. Accenno agli accordi tra G. Segantini e Alberto Grubicy. Biglietto postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1892 dicembre 18, da Milano a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.54 Accenno all’esposizione alla Famiglia artistica. Si rinnova l’invito a una visita.

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Biglietto postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1892 dicembre, da Milano a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.55 Invito ad una visita per vedere un nuovo quadro. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1893 gennaio 28, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.56 Riferimento alla conferenza Un po’ d’arte per tutti di V. Grubicy. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1893 maggio 1, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.57 Considerazioni tecniche sul fissativo Vibert. Accenno a Il calvario. Cartolina postale di G. Segantini a Vittore Grubicy [De Dragon] 1893 giugno 22, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.58 Apprezzamento per l’articolo di V. Grubicy L’ombra di Fontanesi. Si cita Alberto Grubicy. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1893 ottobre 30, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.59 Riferimento all’esecuzione di alcune foto di dipinti. Si cita la figlia dell’artista, Bianca Segantini. Cartolina postale di G. Segantini a V. Grubicy [De Dragon] 1893 novembre 10, da Savognin a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.60 Apprezzamento per l’articolo di V. Grubicy Visita al cimitero Monumentale.

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Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1893 dicembre12, da Savognin a Milano 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.61 Informazioni di carattere personale. Invio di disegno. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1893 dicembre 24, da Savognin a Milano 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.62 Richiesta di spiegazioni sull’ultimo articolo di V. Grubicy sull’educazione estetica. Invio di auguri. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1894 febbraio 14, da Savognin a Milano 4 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.63 Riferimento all’articolo di Mario Pilo e V. Grubicy in “Idea liberale”. Trascrizione di appunti su Jules Michelet relativi all’amore. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1894 aprile 6, da Savognin a s.l. 3 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.64 Informazioni relative a Bianca Segantini. Si annuncia l’arrivo a Milano di due dipinti per l’esposizione. Richiesta di informazioni per la richiesta della cittadinanza italiana. Biglietto di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1894 ottobre 7, da Maloja a Milano 1 carta, ms. Scritto su carta intestata «G. Segantini, Maloja-Engadina» Ben.V.8.65 Richiesta di notizie. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1894 novembre 5, da Maloja a Rotterdam 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.66 Richiesta di materiale dall’Olanda 121


Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1895 gennaio 4, da Maloja a Milano 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.67 Ringraziamento per il materiale inviato. Biglietto di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1895 febbraio 1, da Maloja a Milano 1 carta, ms. Scritto su carta intestata «G. Segantini, Maloja-Engadina» Ben.V.8.68 Informazioni sugli scambi di opere tra G. Segantini e V. Grubicy. Riferimento al soggiorno a Maloja. Cartolina postale di G. Segantini a Vittore Grubicy [De Dragon] 1895 febbraio 19, da Maloja a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.69 Informazioni sull’attività artistica di G. Segantini. Riferimento al soggiorno a Maloja. Accenno ad un’esposizione di Milano. Cartolina postale di G. Segantini a Vittore Grubicy [De Dragon] 1895 settembre 13, da Maloja a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.70 Ringraziamento per la cartolina. Cartolina postale di G. Segantini a Vittore Grubicy [De Dragon] 1895 settembre 24, da Maloja a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.71 Apprezzamento per l’ultimo articolo di V. Grubicy. Biglietto di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1895 novembre 23, da Maloja a Miazzina 1 carta, ms. Scritto su carta intestata «G. Segantini, Maloja-Engadina» Ben.V.8.72 Si rimanda visita a Milano.

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Riproduzione fotografica di una concessione di G. Segantini [post 16 maggio 1896] 1 fotografia b.n.; 74 x 109 mm Ben.V.8.73 Riproduzione fotografica della concessione in cui G. Segantini permette la pubblicazione del dipinto Il dolore confortato dalla fede in “La Triennale” (p. 89). Cartolina postale di G. Segantini a Vittore Grubicy [De Dragon] 1896 agosto 7, da Maloja a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.74 Apprezzamento per l’articolo di V. Grubicy La suggestione delle arti figurative e per la riproduzione del dipinto Il dolore confortato dalla fede di G. Segantini (“La Triennale” p. 89). Cartolina postale di G. Segantini a Vittore Grubicy [De Dragon] 1896 novembre 6, da Promontogno a Milano 1 carta, ms. Ben.V.8.75 Informazioni sull’invio di materiale fotografico. Riferimento al soggiorno a Promontogno. Cartolina postale di G. Segantini a Vittore Grubicy [De Dragon] 1897 maggio 11, da Soglio Berghel a Miazzina 1 carta, ms. Ben.V.8.76 Riferimento ai dipinti di G. Segantini esposti a Venezia. Si cita Alberto Grubicy Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1897 settembre 16, da Maloja a Meina 3 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.77 Accenno al dipinto La vanità e l’insidia. Informazioni di carattere personale. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1897 novembre 30, da Soglio di Val Bregaglia a Intra 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.78 123


Apprezzamento per l’articolo, segnalato, di V. Grubicy in “La Sera”. Richiesta degli scritti pubblicati di G. Segantini. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1899 gennaio 4, da Maloja a Milano 4 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.79 Condizioni di salute di V. Grubicy. Invio di auguri. Si cita Antonietta Mola Grubicy. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1899 agosto 29, da Maloja a Milano 3 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.80 Richiesta informazioni di opere esposte in Germania. Si citano il gallerista e mercante d’arte Eduard Schulte, il suo collaboratore Adolf Paulus e il pittore Ettore Tito. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1890 settembre ?] 3 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.81 Riferimento agli articoli di V. Grubicy in “Cronaca d’arte” e in “La Riforma”, in particolare a quello relativo al rapporto tra pubblico e arte. Si citano Leopoldina Grubicy e Antonietta Mola Grubicy. Lettera di [Giovanni] Segantini a Alberto [Grubicy De Dragon] [1882 ?] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.82 Riferimento a questioni economiche. Si cita V. Grubicy. Lettera di Segante [Giovanni Segantini] a Vittore [Grubicy De Dragon] [1882 ?] 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.83 Riferimento a questioni economiche. Si cita Alberto Grubicy.

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Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [ante 1899] 2 pagine, 1 carta, ms. Ben.V.8.84 Accenno a questioni economiche. Invio di saluti. Si citano Leopoldina e Antonietta Mola Grubicy. Lettera di [Giovanni] Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [1888-1889 ?] 2 pagine, 1 carta, ms. Ben.V.8.85 Riferimento a un’esposizione volante progettata da V. Grubicy. Si citano Alberto e Antonietta Mola Grubicy. Lettera di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] [ante 1899] 2 pagine, 2 carte, ms. Ben.V.8.86 Informazioni relative all’invio di materiale. Telegramma di [Giovanni] Segantini a V. Grubicy [De Dragon] [ante 1899], da Savogny a [Milano] 1 pagina, 1 carta, ms. Ben.V.8.87 Si sollecita un invio. Biglietto di G. Segantini a Vittore [Grubicy De Dragon] 1895 luglio 14, da Maloja a Milano 1 carta, ms. Scritto su carta intestata Ben.V.8.95 Riferimento al debito non saldato nei confronti di Teresa, domestica di casa Grubicy.

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SEGANTINI E ARCO MAG Museo Alto Garda Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

Comune di Riva del Garda Comune di Arco Provincia autonoma di Trento Riva del Garda | Museo Arco | Galleria Civica G. Segantini Comune di Riva del Garda Adalberto Mosaner Sindaco Renza Bollettin Assessore alla Cultura Anna Cattoi Dirigente Area Servizi alla Persona e alla Comunità

SEGANTINIANA I/2015 Studi e ricerche

A cura di Alessandra Tiddia Mart Coordinamento Giovanni Pellegrini Annalisa Bonetti Redazione Annalisa Bonetti Ilaria Cimonetti

Comune di Arco Alessandro Betta Sindaco

Progetto grafico della copertina Headline

Stefano Miori Assessore alla Cultura

Impaginazione Grafica5

Giovanni Pellegrini Responsabile MAG Museo Alto Garda

Comunicazione Claudia Gelmi con la collaborazione di Ufficio comunicazione Mart

© 2015 by MAG L’editore è a disposizione degli aventi diritto per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. ISBN 978-88-6686-056-3

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2015 da Grafica 5, Arco TN

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www.museoaltogarda.it


ISBN 978-88-6686-056-3

Euro 10,00


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