Segantiniana. Studi e ricerche vol.II

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2016 II


Segantiniana 2016/II




Studi e ricerche

A cura di Alessandra Tiddia

2016 II



Sommario

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Segantiniana II/2016. Approfondimenti Alessandra Tiddia

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Il segno grafico nelle lettere di Giovanni Segantini Giornata di studio Arco, Galleria Civica G. Segantini, 7 ottobre 2016 Sara Gimona, Tatiana Marini

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Giovanni Segantini: il ciclo del Nirvana, fonti e significato Annie-Paule Quinsac Segantini e la Germania

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Archivio Gioconda Leykauf-Segantini: osservazioni a proposito di un tesoro culturale poco noto Gioconda Leykauf-Segantini, Daniel Kletke Segantini e la Svizzera

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Giovanni Segantini. Recensione del libro di Beat Stutzer Ilaria Cimonetti Esposizioni 2016

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Le opere di Giovanni Segantini esposte in Trentino Alto Adige Acquisizioni 2016

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Schede Annalisa Bonetti Segantini. Film 2016

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Magie della luce. Segantini al 64. Trento Film Festival Sergio Fant

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Segantini, ritorno alla natura. Dal film alla versione museale per il MAG Roberta Bonazza Antologia Segantiniana

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Brani scelti Ilaria Cimonetti


Ingresso della Galleria Civica G. Segantini presso Palazzo dei Panni

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Segantiniana II/2016. Approfondimenti Alessandra Tiddia

Segantiniana II/2016 raccoglie gli esiti delle ricerche e degli studi condotti nel corso del 2016 in seno al progetto Segantini e Arco, avviato nella primavera del 2014 negli spazi della Galleria Civica G. Segantini di Arco, nell’ambito del protocollo siglato dal MAG Museo Alto Garda con il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Siamo dunque al secondo anno di attività di un progetto complesso e variegato, che per sua natura comprende, oltre a iniziative espositive come le mostre temporanee e l’esposizione permanente, anche alcuni approfondimenti in vari ambiti di ricerca, da quello più propriamente storico-artistico alla riflessione cinematografica, includendo ricerche e studi su Segantini condotti anche fuori dal territorio provinciale. In questa direzione assume particolare rilievo il consolidamento, nel corso del 2016, di alcuni rapporti fondamentali per il progetto Segantini e Arco, come quello con Gioconda Leykauf-Segantini, nipote dell’artista e figlia di Gottardo Segantini, che nel suo contributo ci segnala l’avvio dello studio e della catalogazione dei documenti dell’archivio della famiglia Segantini, circa 5000 fogli provenienti dall’atelier di Maloja; oppure quello con Annie-Paule Quinsac, nota studiosa di Segantini che da oltreoceano contribuisce a mantenere vivo il dibattito critico sulla figura dell’artista e sulle sue opere, grazie anche alla precisazione sulla genesi di un’opera capitale come Le cattive madri. Il suo testo si configura infatti come una replica alla tesi interpretativa proposta da Francesca Eleonora Benini a proposito di questo capolavoro, riportata nel primo volume di questa collana, Segantiniana I/2015, all’interno degli atti della giornata di studio Segantini. Scritture d’alta quota, e rinnova la ricerca e il dibattito critico sulle modalità creative di Segantini. 9


A un approfondimento storico-artistico della produzione artistica segantiniana ha contribuito, nel corso del 2016, anche l’uscita del volume monografico, scritto per celebrare il termine del suo incarico pubblico, di uno degli studiosi più qualificati di Segantini, ovvero lo svizzero Beat Stutzer. Il libro, qui recensito da Ilaria Cimonetti, già tradotto in tre lingue (italiano, tedesco e inglese), offre una panoramica completa dei capolavori di Segantini con schede approfondite per ciascuna opera presa in esame. Annie-Paule Quinsac, Gioconda Leykauf-Segantini, Beat Stutzer e Diana Segantini – che ci auguriamo possa accogliere il nostro invito con un contributo per il prossimo numero di Segantinana III/2017 – sono per noi preziosi corrispondenti, dalla Germania come dalla Svizzera, quasi dei “testimonial” di quella rete di relazioni e di studi che è alla base del progetto Segantini e Arco. Il 2016 ha visto poi l’avvio di una nuova rete di studio, EPISTOLA, un vero e proprio network nel senso letterale del termine, dedicato allo studio e alla catalogazione delle lettere autografe di Giovanni Segantini, sorto con l’intento di raccogliere intorno a sé varie istituzioni e diversi approcci disciplinari, dall’archivistica all’informatica, fino allo studio del segno grafico. L’importanza dei documenti autografi – evidente per l’elevata capacità di rivelare elementi preziosi per lo studio dell’artista in una forma diretta, non sublimata dalle capacità interpretative dei vari biografi che si sono succeduti nel corso di più di un secolo di letteratura critica – era già molto chiara a Franz Servaes che fin dal 1902 era ricorso agli scritti autografi e alla corrispondenza di Segantini come base documentaria del suo lavoro. Per questo motivo il progetto Segantini e Arco, nato proprio a partire dalla biografia di Servaes, intende avviare una ricognizione mirata di tutta la corrispondenza autografa “di” e “con” Segantini, conservata negli archivi pubblici e privati, con l’obiettivo di restituire questi documenti in forma originale, sia nella versione trascritta sia in quella tradotta (dall’italiano al tedesco e viceversa), attraverso una piattaforma informatica di catalogazione, prima, e successivamente di consultazione e ricerca, accessibile agli studiosi e al pubblico. Si tratta di un progetto suddiviso in più fasi, raccolte sotto la sigla EPISTOLA: la mappatura dei documenti negli archivi italiani, condotta da Monica Vinardi, l’approccio diretto ai documenti autografi attraverso la scansione e infine la loro sistematizzazione attraverso il confronto e una lettura integrata, consentiranno in futuro la riscrittura di alcuni aspetti dell’arte segantiniana. 10


Segantini e Arco. Sala centrale con Segantini Map e Segantini Doc

Nel corso del 2016, EPISTOLA ha avviato la mappatura delle lettere di Segantini, a partire dai novanta documenti conservati negli archivi del Mart, resi accessibili tramite le postazioni interattive (Segantini Doc), a cui andranno ad aggiungersi nuove testimonianze, come auspicano anche le parole di Gioconda Leykauf-Segantini nel suo intervento ospitato nel presente volume. 11


Le lettere hanno costituito anche l’occasione per dimostrare la possibilità di una molteplicità di approcci nello studiare questo artista da vari punti di osservazione, in un’ottica interdisciplinare. Alcune corrispondenze autografe, provenienti dai fondi archivistici del Mart, sono state oggetto di un’indagine grafologica, condotta nel corso di una giornata di studio il 7 ottobre 2016 a Palazzo dei Panni, intitolata Epistola. Le lettere di Giovanni Segantini. Sara Gimona e Tatiana Marini, entrambe esperte dell’A.D.S.A.T. (Associazione Disturbi Specifici dell’Apprendimento, Trieste) e del Centro Ricerche della Scrittura di Milano hanno isolato alcuni segni nella scrittura di Segantini con l’obiettivo di presentare un’analisi degli aspetti cognitivi-temperamentali del suo gesto grafico, tenendo sullo sfondo la relazione con le sue opere pittoriche più rappresentative dei diversi periodi artistici e personali dell’artista. Alle carte d’archivio è dedicata anche la rubrica Antologia Segantiniana con una selezione di alcuni brani estratti dalla letteratura critica, coeva e postuma a Segantini, scelti da Ilaria Cimonetti, fra i quali spicca ad esempio l’annotazione di un giovane Boccioni sul suo diario: “II Sig. Chiattone m’ha prestato un libro su Segantini di Primo Levi! Non ho ancora finito ma non so cosa scrivere, tanto mi commuove l’opera, la vita, l’anima di quel grande! Trovo giustissimo – perché lo provo io nel mio piccolo – l’effetto che in Segantini produceva la solitudine – Beata solitudo sola beatitudo –!.” (U. Boccioni, dal suo terzo taccuino, 1 aprile 1908). L’accenno alla citazione boccioniana ricorre quasi d’obbligo a conclusione di un anno, il 2016, dedicato alla memoria del grande artista futurista nel centenario della sua morte, ricordato da una mostra a Palazzo Reale a Milano e al Mart a Rovereto, intitolata Umberto Boccioni. Genio e memoria, curata da Francesca Rossi con la collaborazione di Agostino Contò. L’esposizione era incentrata sulla ricognizione delle principali fonti ispiratrici, fra cui anche Segantini, come hanno dimostrato i fogli dell’Atlante boccioniano con i ritagli a stampa e le immagini tratte da pubblicazioni dell’epoca, rinvenuti nella Biblioteca Civica di Verona, e i Diari provenienti dagli archivi della Getty Foundation di Los Angeles. Per questo motivo, a Milano come a Rovereto, accanto alle opere di Boccioni, erano esposti anche alcuni dipinti di Segantini, come ad esempio Cavallo al galoppo, un quadro molto amato da Boccioni per il soggetto, inedito nella produzione segantiniana, ma ossessione ricorrente nell’artista futurista. La mostra di Boccioni al Mart di Rovereto non è stata la sola occasione espositiva per vedere le opere di Segantini in Trentino: sue opere erano presenti, ad esempio, nella mostra dedicata dal Castello del Buonconsiglio alla figura di Cesare Battisti, così come suoi capolavori erano ospitati nella rassegna dedicata al Divisionismo nella mo12


Segantini e Arco. Sala Segantini nella pagina seguente: Segantini e Arco. Opere di Giovanni Segantini e Andrea Malfatti Segantini e Arco. Sala con opere coeve a Segantini

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stra I pittori della luce organizzata al Mart e in quella a essa collegata, intitolata Divisionismi dopo il Divisionismo, ospitata nella sale della Galleria Civica G. Segantini. Infatti, se a Rovereto, la mostra I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo, curata da Beatrice Avanzi, Daniela Ferrari e Fernando Mazzocca, aveva focalizzato il ruolo assunto dalla luce dalle ricerche divisioniste sino alla genesi del Futurismo, ad Arco Divisionismi dopo il Divisionismo prolungava l’indagine divisionista addentrando la ricerca fino a tutto il Novecento, a partire proprio da Segantini in quanto maestro del Divisionismo italiano la cui pittura, magistralmente rappresentata da L’ora mesta, introduceva un percorso ricco di variazioni sia nei temi che nelle modalità espressive nell’ambito del Divisionismo. Quindi la mostra poneva all’attenzione del pubblico alcuni esempi di pittura divisa realizzati subito dopo l’esperienza divisionista e parzialmente compresi dalla stessa, ma anche opere meno note che curiosamente continuavano a rivolgersi a questa modalità negli anni Trenta e Quaranta, a partire dal trentino Luigi Bonazza o dal triestino Vito Timmel, entrambi artefici di opere contrassegnate da una sorta di puntinismo si potrebbe dire “post litteram”. La mostra è stata allestita nei nuovi spazi della Galleria Civica G. Segantini sede del progetto Segantini e Arco che nel 2016 ha raddoppiato la superficie espositiva e incrementato le raccolte con due dipinti in deposito a lungo termine, di cui riferisce Annalisa Bonetti nel presente volume (Acquisizioni 2016). L’ampliamento dello spazio ha consentito, una volta conclusa la mostra Divisionismi dopo il Divisionismo, di estendere il percorso espositivo ad altre opere segantiniane ma soprattutto ha permesso di includere uno spazio dedicato alla proiezione di un estratto dal film Segantini, ritorno alla natura, realizzato da Francesco Fei, Roberta Bonazza, Federica Masin con il supporto del Comune di Arco, di cui riferisce la stessa Bonazza. Questa produzione italiana è stata affiancata dall’uscita nelle sale cinematografiche italiane di un altro documentario su Segantini, Giovanni Segantini - Magia della luce, realizzato da Christian Labhart, e presentato a Trento in occasione del 64. Trento Film Festival, come ci resoconta il curatore della rassegna trentina Sergio Fant. Infine la figura di Segantini è stata nuovamente ricordata da chi scrive nel corso di una conferenza svolta presso la Galleria Ricci Oddi di Piacenza, le cui raccolte comprendono un dipinto poco noto di Segantini, La culla vuota. Questo incontro ha fornito l’occasione per consolidare e dare concretezza a una delle varie relazioni nate con l’avvio della Segantini Map e chissà foriere di ulteriori comuni progetti futuri sul tema Segantini. 15


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Divisionismi dopo il Divisionismo. Ingresso della mostra Divisionismi dopo il Divisionismo. Prima sala con L’ora mesta di Giovanni Segantini Divisionismi dopo il Divisionismo. Sala con opere di Luigi Bonazza e Antonio Camaur

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Divisionismi dopo il Divisionismo. Sala con opere di Vito Timmel Epistola. Le lettere di Giovanni Segantini Giornata di studio

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Lettera di Giovanni Segantini a Vittore Grubicy De Dragon 12 dicembre 1893 Rovereto, Mart, Archivio del ’900. Fondo Grubicy-Benvenuti Ben.V.8.61

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Il segno grafico nelle lettere di Giovanni Segantini Giornata di studio Arco, Galleria Civica G. Segantini, 7 ottobre 2016 Sara Gimona, Tatiana Marini *

Come diceva Johann Wolfgang Goethe “Un grande errore è quello di credersi più di ciò che si è e stimarsi meno di ciò che si vale” e un valido aiuto nell’acquisizione della consapevolezza del proprio esistere può essere fornito dalla grafologia, aggiungiamo noi. è questo lo spirito con cui si è svolta la giornata di totale immersione nello studio della grafia di Giovanni Segantini il 7 ottobre 2016 negli spazi della Galleria Civica G. Segantini di Arco, ovvero con la convinzione che studiare le potenzialità creative del suo segno grafico significa porre le basi per comprendere anche le dinamiche della scrittura di ognuno di noi. La scrittura, infatti, è un mezzo di comunicazione che, sottoposto a un’analisi accurata, svela il nostro temperamento, anche quello recintato nella zona d’ombra; è molto più di una comunicazione non verbale e offre, come e più del linguaggio del corpo, preziosi indicatori, alcuni dei quali sono stati svelati nel corso dell’incontro di Arco: nella relazione del mattino sono stati esaminati quelli riferiti alla grafia di Giovanni Segantini, nei workshop del pomeriggio, invece, i significati delle scritture di adulti e bambini che hanno partecipato ai laboratori organizzati negli spazi della Galleria Civica. I criteri per scoprire il “non detto” celato nella grafia sono stati desunti da Girolamo Moretti, padre francescano scomparso nel 1963: il grafologo ha classificato ottantuno segni grafologici (divisi in sostanziali, modificanti, accidentali) che vanno a indicare le qualità intellettive, affettivo-attive e somatiche e quattro temperamenti che delineano le peculiarità dello scrivente (assalto, attesa, resistenza, cessione). La grafologia morettiana evidenzia l’importanza del segno dominante che definisce le peculiarità del soggetto e che dà l’impronta a tutta la personalità. 21


Ogni segno poi può incidere maggiormente sulla volontà o sull’intelligenza, ma influisce comunque su tutti gli aspetti della persona. I segni sono quantificabili in decimi, ma per semplificare è anche possibile valutarli in maniera più generica (sotto media, sulla media o sopra media). Di notevole importanza è l’analisi del grafismo nel suo insieme, così come la disposizione dei segni nello spazio del foglio. Un segno grafologico, a seconda del suo grado e dell’interazione con gli altri segni della grafologia morettiana, può avere sia aspetti positivi che negativi; in gradi molto elevati del segno si vanno a verificare soprattutto gli aspetti negativi. Dipende infine sempre dai segni dominanti se il contesto della scrittura può essere positivo o negativo. Partendo da questi concetti la giornata di studio ha toccato alcuni aspetti particolari relativi ai segni ritrovati nelle lettere di Segantini, anche appartenenti a periodi diversi, e non ha 22

Alcuni momenti della giornata di studio


Firme di Giovanni Segantini nelle lettere conservate presso l’Archivio del Mart, Rovereto

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tralasciato l’analisi della firma e delle sue variazioni negli anni, tutti tratti e “ritratti” unici di Giovanni Segantini. Nelle lettere autografe del pittore, provenienti dal Fondo Grubicy-Benvenuti e conservate nell’Archivio del ’900 del Mart di Rovereto, così come nelle scritture dei partecipanti ai laboratori, sono stati individuati alcuni segni grafici fondamentali, come ad esempio la “curva dell’accoglienza” e, al suo opposto, “l’angolo della difesa”. Entrambi sono presenti nella scrittura di Segantini, una scrittura irripetibile e capace di gesti unici, come il tratto grafico che completa lettere e parole in un frammento di una sua missiva dove la lettera “e” si incastra dolcemente con la lettera “z” realizzata sulla riga precedente e nella riga successiva il taglio della “t” incontra, come fosse una fusione, l’allungo della medesima lettera “e”. Si tratta di gesti inconsci, difficilissimi da realizzare scientemente, ma che rivelano una mente creativa, raffinata, sensibile, precisa nei particolari, ma anche nella visione di insieme. 24

Alcuni momenti della giornata di studio


Un altro segno grafologico determinante è la presenza del “disuguale metodico”: tale segno indica la capacità di una comprensione ampia e dettagliata al contempo, come ha spiegato Lamberto Torbidoni, un allievo di Moretti: “L’intuitivo con un semplice sguardo abbraccia tutto un complesso di cose e vola alla parte conclusiva. Ma se lo si chiama ai minimi particolari, di tutto sa rendere conto”. Nel pomeriggio i laboratori per i bambini hanno consentito ai piccoli partecipanti di acquisire maggiore consapevolezza relativamente alla scrittura in corsivo, sempre più desueta nelle nostre classi, grazie a un’interattività ludica che li ha fatti scrivere con la schiuma da barba sui tavoli messi a disposizione che – come per magia – sono diventati lavagne orizzontali. Con le insegnanti, invece, sono state accennate alcune estensioni più problematiche della grafia, specie quelle che nei bambini possono essere individuate come precisi disturbi nell’apprendimento, grazie anche alla nostra esperienza in qualità di formatrici esperte dell’A.D.S.A.T. (Associazione Disturbi Specifici dell’Apprendimento, Trieste) e del Centro Ricerche della Scrittura di Milano.

* Sara Gimona è consulente grafologa e rieducatrice della scrittura. É socia fondatrice di A.D.S.A.T. (Associazione Disturbi Specifici dell’Apprendimento, Trieste) e socia ordinaria AGI (Associazione Grafologica Italiana) e ANGRIS (Associazione Nazionale Grafologi Rieducatori della Scrittura). Tatiana Marini è perita grafologa presso il Tribunale Civile e Penale di Trieste, consulente grafologa e rieducatrice della scrittura. É socia ordinaria A.D.S.A.T., AGI e ANGRIS. Sara Gimona: www.alberodikairos.it - Tatiana Marini: www.tatianamarini.altervista.org 25


Giovanni Segantini Le cattive madri (particolare), (1896-1897) sgraffito su cartone, 40 x 74 cm ZĂźrich, Kunsthaus

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Giovanni Segantini: il ciclo del Nirvana, fonti e significato Annie-Paule Quinsac *

Ringrazio Francesca Benini perché il suo saggio Segantini, Illica e i quadri del Nirvana, pubblicato nel primo numero di Segantiniana1, mi induce a ritornare alle mie ricerche su quel ciclo, uno dei più visionari del simbolismo europeo di fine secolo, dandomi l’occasione di riassumere, rielaborando anche alla luce di dati più recenti, le conclusioni che considero fondamentali per una comprensione profonda del rapporto tra immaginario e pittura in Segantini. Francesca Benini si è persuasa, contrariamente a quanto da me sostenuto2, che per la prima versione de Il castigo delle lussuriose 3, ultimata nel 1891 e dal 1893 alla Walker Art Gallery di Liverpool, Segantini non si sia ispirato al poema Nirvana di Luigi Illica – falsamente fatto passare dall’autore per traduzione da un originale sanscrito del misterioso Pandjavalli –, bensì che sia stato il poema a nascere dal dipinto, esplicitamente richiesto dall’artista a promozione della sua opera, non apprezzata come di dovere per il significato rivelatosi troppo oscuro. A riprova della tesi, Benini muove, peraltro isolandole dal contesto, da alcune lettere di Segantini, da me pubblicate nel 19854, e, basandosi in particolare su quelle a Illica del 20 aprile 1895 e al suo mercante Alberto Grubicy di fine maggio e 1 giugno 1895, desume che prima di quel 1895, appunto, il poema non esistesse. La conclusione tautologica sarebbe chiedersi perché, vista la pubblica incomprensione, se il poema ci fosse già stato, Segantini non l’avesse sfoderato prima del 1895. Ulteriore conferma, sempre secondo Benini, sarebbe l’assenza di traduzioni inglesi del testo di Illica. Si tenga conto che Il castigo delle lussuriose nel 1893 fu esposto ben due volte in Inghilterra e lì anche acquisito dal museo di Liverpool per la collezione permanente (esito a dir poco anomalo per un insuccesso bisognoso di rilancio). 27


L’argomento non va ignorato quale semplice trasposizione dell’annoso quesito se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma perché rimette in discussione il modus operandi di Segantini, i meccanismi profondi che hanno generato l’onirismo surrealista ante litteram di certe sue immagini. Le deduzioni di Francesca Benini sfociano, di fatto, in un’ambivalenza interpretativa: da un lato sostiene che il poema derivi dai dipinti e non viceversa, dall’altro che “quattro anni prima Illica potrebbe comunque aver avuto un’influenza sulla decisione di Segantini di legare i suoi dipinti alla tematica dei Nirvana indiani. Un legame che passa attraverso il titolo delle opere e non dal soggetto che più facilmente si lega all’immaginario dantesco e della Visio Alberici come è giustamente stato colto dalla critica”. Un riferimento, peraltro senza spiegazione, alla Visio Alberici, che rimanda al mio scritto del 1990, La madre, la morte e la tradizione cattolica5. Riandando agli inizi, il poema di Illica mi fu noto grazie a un foglio stampato con un testo intitolato Nirvana, datato 1889, che mi diede Maria Teresa Fiori nel lontano 1966, quando ancora stavo raccogliendo la più ampia documentazione possibile per quelle che sarebbero poi state la mia libera docenza e, a seguire, dal 1970 al 1982, l’impegnativa elaborazione del Catalogo 28

Giovanni Segantini Il castigo delle lussuriose, 1891 olio su tela, 99 x 172,8 cm Liverpool, Walker Art Gallery


Giovanni Segantini Le cattive madri, 1894 olio su tela, 105 x 200 cm Wien, Österreichische Galerie Belvedere

generale. Nel frattempo, il suddetto foglio passò a Maria Cristina Gozzoli, che stava lavorando al volume L’opera completa di Segantini, uscito per i Classici dell’arte della Rizzoli nel 1973, e che, come me, lo ripubblicò pari pari6. Francesca Benini nel suo articolo si riferisce a un altro foglio proveniente dal Fondo Illica della Biblioteca PasseriniLandi di Piacenza, che differisce da quello segnalato a suo tempo dalla Fiori in alcuni punti significativi: intanto è cambiato il titolo, da Nirvana a La mala madre – nella idea bouddistica; inoltre, è ancor più precisata la presunta fonte “dal ‘Pandjavalli’ di Maironpâda” con l’aggiunta “Sotto il regno di Prà Krama Bahou”, mentre non si riporta la data dell’altrettanto presunta traduzione dal sanscrito. A proposito del titolo, va detto come Nirvana fosse anche la scelta di Segantini per l’esposizione di Berlino del 18917, mentre nel febbraio 1893, alla mostra della Grafton Gallery di Londra, il quadro venne esposto con il titolo Punishment of Luxury, e poi, nello stesso anno, all’esposizione d’autunno alla Walker di Liverpool, come Punishment of Child Murder. La traduzione inglese, che cito nella scheda del dipinto8 e che qui pubblico, è un foglio stampato, conservato presso l’Ar29


The Wicked Mother Traduzione dal poema Nirvana di Luigi Illica Liverpool, Archivio Walker Art Gallery

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chivio del museo di Liverpool. Il testo è fedele a quello di Piacenza, ha lo stesso titolo The Wicked Mother. In the Buddhistic Idea e non porta date. Precisa, però, che si tratta di una traduzione “from the Italian Poem of Luigi Illica” e conclude con la firma stessa “Luigi Illica (From the ‘Pandjavalli of Maironpâda’)” e quattro righe a precisare come dal poema sia nata l’idea del quadro. Non risulta chiaro se Illica ne fosse stato a sua volta il traduttore dal sanscrito; il che giustificherebbe l’allarmismo di Segantini nella lettera ad Alberto Grubicy di fine maggio 1895, in cui, per ribadire il pastiche dell’apocrifo, scrive: “bada alla firma giache deve passare per Indiano…”9. E tornando dal testo al quadro, sempre sul foglio inglese, oltre al nuovo titolo, Punishment of Child Murder, by G. Segantini, si nota il numero 1043, che corrisponde al catalogo della mostra alla Walker, a testimonianza che, almeno dal 1893, era noto all’estero il connubio tra il dipinto e il presunto poema buddhista. Si può dedurre che il foglio sciolto, aggiunto al catalogo quale addendum, fosse stato anche esposto a parete, a destra dell’opera, come accadeva spesso in Inghilterra sin dagli anni Trenta dell’Ottocento, secondo una pratica resa comune da Turner, che era solito affiancare ai quadri descrizioni e persino suoi versi per chiarirne l’iconografia. Tant’è che, due anni dopo, Segantini, visto il buon esito dell’esperienza, intende riproporre l’abbinamento dipinto/poema anche alla presentazione della seconda versione, ultimata nel 1894, e scrive ad Alberto (sempre fine maggio 1895, cit.): “Ne potrai mandare una [copia] al comitato dell’Esposizione da appendersi di fianco al dipinto…”. Se è vera l’amarezza di Segantini per l’insoddisfacente reazione a Berlino nel 1891 di fronte a un’opera che per sé riteneva una svolta epocale, non va certo ignorata, al contrario, la rispondenza alla prima rassegna internazionale londinese della Grafton Gallery, che nel febbraio 1893 celebrava il trasferimento della già ben nota galleria da Liverpool alla capitale. E ancora più prestigioso, per un pittore trentunenne, è il successivo acquisto da parte del museo di Liverpool. La cittadina inglese, i cui fasti risalivano alla tratta degli schiavi nel Settecento, era allora il più importante porto d’Europa e uno dei centri più ricchi dell’impero britannico. Da tempo vi trionfavano i Preraffaelliti e, non a caso, la Walker è ricordata come “l’unico museo britannico ad acquisire opere contemporanee straniere con una certa consistenza”10. Comunque, viste anche le recensioni11, sta di fatto che già alla Grafton la tela segantiniana destò scalpore e attrasse l’attenzione dell’allora celeberrima pittrice Henrietta Rae e di Philip Henry Rathbone, influente uomo d’affari, membro del City Council e forza trainante della vita artistica di Liverpool12. Sia la Rae che Rathbone facevano parte del comitato d’allestimento per la mostra di 31


quell’autunno alla Walker e, come tali, sollecitarono l’esposizione del dipinto e ne pianificarono l’acquisto. Così, a pochi mesi dalla chiusura londinese, la città di Liverpool pagò a Segantini le spese del ritorno in Inghilterra del quadro da Savognino e il museo lo comprò per 315 sterline auree (non poco, se si pensa che a tale cifra ammontava nel 1893 l’intera rendita annuale della tenuta di John Joyce, padre di James13). Presso l’Archivio della Walker è conservata la lettera d’accettazione di Segantini, su carta intestata di Alberto Grubicy e datata “Milan Sept 26th 1893”14, nella quale, per altro, si mantiene il titolo londinese Punishment of Luxury, come se l’artista non sapesse del cambiamento in Punishment of Child Murder, riportato dal foglio con traduzione e in certo contrasto con la sua idea, che non poneva l’accento sul fatto ma sulle donne: “… le Lossuriose che io castigo a un nirvana di nevi e ghiacci”15. Il passaggio a Liverpool da Punishment of Luxury a Punishment of Child Murder va probabilmente associato al tema dell’aborto, argomento molto discusso in quel periodo d’imperante puritanesimo e che, “punito”, poteva fare buon gioco per l’acquisto, infatti sostenuto dal clero e, pare, in parte finanziato con il contributo di un’associazione antiabortista. Dunque, nel 1895, la prima versione del ciclo non era certo più un’opera sconosciuta, non aveva bisogno di essere spiegata né tanto meno imposta, anzi, il suo collocamento in una delle più prestigiose sedi d’arte contemporanea dell’epoca aveva segnato una tappa decisiva nell’inarrestabile cammino di Segantini verso la gloria internazionale. Nel 1894 aveva terminato la seconda versione, mal accettata alle Esposizioni Riunite di Milano, ma con cui si preparava a riaffrontare i Paesi di lingua tedesca: “L’Imperatore d’Austria desiderava avere dei schiarimenti sul soggetto del quadro le cattive madri se tu per tuo conto vuoi mandarci Quella d’Illica, stampata sintende su altra carta, e in due fogli unendovi nel secondo la fotografia del quadro”16. Una mossa che apriva la fase di rimpossesso dell’identità nazionale di Segantini da parte dell’Austria: il quadro, esposto a Vienna nell’estate 1896 alla personale dedicatagli dalla Secessione, fu poi acquisito, purtroppo dopo la morte dell’artista, per la futura Staatliche Moderne Galerie in occasione della retrospettiva alla nona Secessione del gennaio-febbraio 1901. Fa eccezione l’Italia, dove il ciclo, visibile ormai solo oltre confine, e neppure insieme, sarebbe stato rifiutato dalla critica con feroce incomprensione, destinata a durare, sotto una forma o l’altra, sino agli anni Settanta e, mi sia permesso, sino ai miei lavori. Nel 1889, o giù di lì, quando s’inventa Nirvana, Luigi Illica (Castell’Arquato, 1857 – Castell’Arquato, Colombarone, 1919) è figura minore della tarda Scapigliatura, con l’aureola di avventuriero per aver combattuto contro i turchi a Pleven nel 1877. Cro32


nista, poeta e commediografo, ha già iniziato a scrivere quei libretti d’opera cui dovrà la fama, sancita ufficialmente con La Wally di Catalani, in elaborazione proprio dal 1889. Come testimoniano anche le prime prove di librettista, in questi anni Illica è immerso nella fascinazione per le dottrine indianiste e buddiste che, sull’onda lunga dell’influenza di Schopenhauer, coinvolge la cultura europea di fine Ottocento. Un esempio per tutti, anche se non andato a buon fine: sempre presso la Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza (Fondo Illica, cart. 6) è conservato il manoscritto, non messo in versi, di un’opera dal titolo Il Budda e destinato a Puccini, che difatti ne parla come di un progetto in una lettera al fratello del 5 gennaio 189017. Poi, l’interesse di Illica si sposterà dal buddismo all’estremo oriente, con le ben più note Iris per Mascagni, cui lavora almeno dal 1896, e Madama Butterfly per Puccini, in sodalizio con Giacosa. È evidente comunque che il pur modesto Nirvana, nobilitato da Segantini, non viene dal nulla (forse proposto a qualche compositore?), anche se non so di una pubblicazione, ammesso e non concesso che non fosse il fatidico foglio di Maria Teresa Fiori datato 1889. Sin dall’inizio mi fu chiaro, però, che sia Illica che Segantini (dal canto suo per nulla sconvolto dal sotteso imbroglio) non fossero grandi conoscitori di buddismo (Illica un po’ approfondirà per il Budda pucciniano) e che neppure esistesse il misterioso Pandjavalli18. L’effettiva fonte di Illica (questa probabilmente ignorata da Segantini) mi si rivelò più tardi con il pionieristico libro di Jacques Le Goff La naissance du Purgatoire19, in cui il medievalista francese, analizzando il passaggio da un’eternità binaria (inferno/paradiso) a quella tripartita, oggi riconosciuta dalla chiesa cattolica, e sulla base dei testi che avevano avuto il maggior peso nelle decisioni del periodo, fa risalire al dodicesimo secolo il concetto di purgatorio. Uno di questi, appunto, è la visione di un viaggio nell’oltretomba, che il monaco di Montecassino Alberico di Settefrati narrò di aver avuto a dieci anni, mettendola per iscritto con l’aiuto, fra gli altri, di Pietro Diacono, intorno al 1127-1137. La Visione di Alberico20 era stata ed era molto discussa quale possibile ispirazione per Dante. Sicuramente lo fu per Illica. Nel quarto dei quarantaquattro capitoletti, Alberico descrive una valle ghiacciata, luogo di espiazione, dove, sospese ad alberi spinosi e con il seno morso da serpenti, sono punite le donne che hanno finto di allattare bambini senza madre, facendoli invece morire di fame. Nello stesso paesaggio di ghiaccio, appese ai rami per i capelli, sono castigate le adultere. È senza dubbio questa la scena che Illica trasla in una saga di purgatorio, dove gli infanti defraudati dell’amore materno, uscendo dalle radici delle piante, ritrovano il seno negato e, mordendolo, in33


fliggono alla mala madre la tortura redentrice. Nell’ambiente an-

Giovanni Segantini

ticlericale della tarda Scapigliatura, purgatorio divenne nirvana

(1896-1897)

e si ammantò di buddismo. Eppure, la teoria della “mitica” fonte indo-buddista del ciclo segantiniano è difficile da sradicare e alcuni studiosi svizzeri insistono nell’accettarla21. Il ciclo segantiniano, risultante di un susseguirsi di ripensamenti a partire dal poema, si compone di sei opere, realizzate tra il 1891 e il 1897: la versione di Liverpool, poi ripresa in un disegno (da me rinvenuto a Washington) e reinterpretata in uno sgraffito22, e la versione di Vienna, anch’essa rivisitata in uno sgraffito e in un disegno a tutt’oggi smarrito23. Nei due sgraffiti l’atmosfera si fa lunare, ma, mentre in quello legato alla versione di Vienna il paesaggio è come nel quadro, in quello tratto dalla versione di Liverpool si trasforma in uno scenario più vicino alla tradizione cinese Sung che a qualsivoglia scorcio di Alpi innevate. Per fortuna, quando Segantini rimedita il soggetto, cruciale nel suo immaginario, la prima versione è già acquisita e collocata. Altrimenti, pensando all’abitudine di sovrapporre a un’opera, pure già nota a critica e pubblico, un altro dipinto, più consono alla propria evoluzione spirituale e formale, viene 34

Il castigo delle lussuriose sgraffito su cartone, 40 x 74 cm Zürich, Kunsthaus


Giovanni Segantini Le cattive madri (1896-1897) sgraffito su cartone, 40 x 74 cm Zürich, Kunsthaus

spontaneo pensare che nel 1894 l’artista avrebbe annullato la prima idea dipingendoci sopra la versione di Vienna24. Comunque, le rimeditazioni a distanza di anni testimoniano quanto Segantini avesse fatto suo il contenuto del carme di Illica, quanto vi abbia immesso le proprie pulsioni più profonde, traducendole in un flusso d’immagini. Il rapporto con il testo è pressoché letterale. Il dipinto di Liverpool, lo sgraffito e il disegno che ne derivano muovono dai diciassette versi sulla mala madre in attesa di redenzione: al centro, i due corpi femminili, allacciati e speculari, levitano nella “vallea livida per ghiacci eterni”, trattenuti per i capelli ai tronchi, dalle cui radici emerge una piccola testa. Sulla sinistra, in lontananza, altre creature paiono allontanarsi con un bimbo in grembo (particolare di sinistra). Nello sgraffito, oltre la drammatica metamorfosi del paesaggio, le figure, decentrate, si iterano all’orizzonte, quasi in un ideale percorso di salvezza. La versione di Vienna, invece, dà forma all’intero poema, ma è la violenza liberatrice dell’unione persecutoria a dominare la composizione, l’allucinato amplesso punitivo fra il figlio e la madre, con la chioma avvinta all’albero scheletrico che ruota e la spinge verso l’alto, con il ramo35


cordone ombelicale a sorreggere il bambino mentre le morde

Giovanni Segantini

il seno. Ancora sulla sinistra, altre “redente” si dileguano con

(particolare), 1891

i piccoli in braccio (particolare di sinistra). Lo sgraffito segue la stessa struttura, cui, però, Segantini aggiunge due sagome e le ombre portate, quasi che, pur in quell’universo dal tempo sospeso, le leggi prospettiche rivelassero un vissuto ancora umano. Del resto, nei due dipinti il naturalismo del paesaggio è così poderoso da avere una valenza fisica nel trasmettere il freddo del ghiaccio e la magica presenza della luce cristallina del crepuscolo, e, all’opposto di quanto solitamente accade, la metafora trasla il sogno nella realtà. Un nesso che, invece, si affievolisce negli sgraffiti, suggerendo un oltretomba reso ancora più ostile dal notturno lunare e dalla tecnica creata per dematerializzare le forme. Non si può parlare di illustrazione, perché il potere onirico e visionario di Segantini va ben al di là della narrativa di Illica. Eppure, senza quel testo, non sarebbero nate le opere tra le più magiche ed emotivamente pregnanti del simbolismo europeo. Le vite di Illica e Segantini sono accomunate dal tragico esordio della perdita della madre in tenera età, con la conseguenza di 36

Il castigo delle lussuriose olio su tela, 99 x 172,8 cm Liverpool, Walker Art Gallery


Giovanni Segantini Le cattive madri (particolare), 1894 olio su tela, 105 x 200 cm Wien, Österreichische Galerie Belvedere

due storie esistenziali complicate. Forse Illica, inconsciamente memore di sé, si fa catalizzatore dell’ambivalenza segantiniana verso la figura della madre, che, come concordano i tentativi di analisi psicoanalitica, avrebbe radice nel sofferto rapporto dell’artista con la giovane donna, malata e morta proprio negli anni dell’infanzia, lasciando un trauma irrisolto, divenuto col tempo pressoché ossessione25. La maternità è cardine del simbolismo di Segantini, con un lirismo e un’intensità che non trovano confronto nei coevi. Sin dagli anni Ottanta si era venuta progressivamente sviluppando l’equazione madre-natura, in parallelo con il panteismo che unificava la sua visione del mondo. Anticlericale (visse, per scelta, in libera unione con la madre dei suoi quattro figli, mai battezzati), panteista sin da quando riuscì ad articolare una filosofia di vita, aveva tuttavia un concetto della donna legato alla tradizione giudaico-cristiana, che, per altro, si ritrova nell’iconografia dei simbolisti europei della sua generazione, nelle arti visive come in poesia, ma che in lui assurge a un’epicità senza equivalente. La missione primaria della donna è la maternità. L’idea, anatema per la cultura post-femminista odierna, è pre37


messa indispensabile per entrare nel mondo visivo del Segantini dell’ultima stagione. Perciò, è riduttivo collegare la versione di Liverpool alla prostituzione, come scrive Michael Zimmermann, che, comunque, vede il dipinto di Vienna connesso al poema indiano26. Segantini non è Morbelli; le problematiche sociali non lo interessano e non lo si può incanalare in un’interpretazione marxista della storia dell’arte. Per lui, il piacere erotico non orientato alla perpetuazione della specie è lussuria, e va castigato perché significa tradire una missione sacra. In tal senso, l’intero ciclo è antitetico all’Albero della vita, non senza motivo titolato anche Dea cristiana. A prescindere dal tema in discussione, va ricordato il magico disegno L’agonia di Comala. L’idea gli si dilatò27 mentre ascoltava il poema sinfonico di Nicolò Celega su libretto sempre di Illica, Il cuore di Fingal, una delle numerose riproposte tardive dell’Ossian di Macpherson (guarda caso un altro celebre esempio di presunta traduzione, qui di saga gaelica). Per Segantini non è una novità. A parte Nirvana, ancor prima dell’evoluzione simbolista, la stessa Raccolta delle zucche, degli anni 1883-1884, pur scena dal vero, rimanda pressoché testualmente al carme La strada ferrata dello scapigliato Emilio Praga (pubblicato nella raccolta postuma Trasparenze del 1878), recuperandone il controverso rapporto con il progresso, beneficio sociale ma anche rischio per la natura. Per Segantini letteratura e musica, in cui si immedesimava per istinto, se vogliamo acritico, parevano far riaffiorare temi inconsci e diventare fonte di trasposizioni visive. Senza riconoscere l’importanza di tale rapporto e transfert, non si può intuire la specificità del suo simbolismo.

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* Storica dell’arte, specialista dell’Ottocento italiano e maggior esperta di Giovanni Segantini. Professor Emerita dell’University of South Carolina. 1 Segantiniana I/2015. Studi e ricerche, a cura di A. Tiddia, MAG/Mart, Riva del Garda 2015, pp. 67-81. 2 Sin dal saggio Il ciclo del Nirvana, in A.-P. Quinsac, Segantini. Catalogo generale, Electa, Milano 1982, vol. 2, nn. 571-576, pp. 476-485. 3 Si usa qui il titolo corrente oggi in Italia, dopo i numerosi cambiamenti, dei quali a seguire il testo darà conto. 4 Lettere ad Alberto Grubicy del 28 marzo 1891, n. 274; a Vittore Grubicy del 21 maggio 1891, n. 94; a Luigi Illica del 30 aprile 1895, n. 864; ancora ad Alberto Grubicy di fine maggio 1895, n. 428; del 1 giugno 1895, n. 429; dell’aprile 1896, n. 496. In Segantini. Trent’anni di vita artistica europea nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi mecenati, a cura di A.-P. Quinsac, Cattaneo Editore, Oggiono 1985. 5 Die Mutter, der Tod und die katholische Tradition im Werk von Giovanni Segantini, in Giovanni Segantini 1858-1899, catalogo della mostra (Zürich, Kunsthaus, 9 novembre 1990-3 febbraio 1991), Kunsthaus Zürich, Zürich 1990, pp. 47-61. 6 Archivi del Divisionismo, a cura di M.T. Fiori, Officina Edizioni, Roma 1968, vol. 1, p. 339; L’opera completa di Segantini, a cura di M.C. Gozzoli, Rizzoli, Milano 1973, n. 67, p. 318; Quinsac 1982, p. 476. 7 G. Segantini, Nirvana, n. 2865, nel catalogo Internationale Kunst-Ausstellung veranstaltet vom Verein Berliner Künstler, estate 1891. 8 Quinsac 1982, n. 571, p. 476. 9 Quinsac 1985, n. 428, p. 346. 10 Cfr. qui nota 12. 11 Alla Grafton, Punishment of Luxury fu molto discusso. Nella “Saturday Review” del 4 marzo 1893 (col. 75, p. 235), un anonimo critico parlò di “… strange work of a realist turned to mysticism” e azzardò un parallelo tra “Melancoly Time [Ora mesta, pure esposto] decidedly less fascinating that the singular purgatorial scene, named the Punishment of Luxury in the next gallery”. “The Artist”, 1 aprile 1893, p. 125, scrisse: “In this vision of figures floating with closed eyes as in a trance of levitation, there is something unearthly and dreamlike in the beauty and serenity of the low and level snowfield and snowy mountains under the sun and the blue of the most freezing sky”. 12 Si veda E. Morris, Philip Henry Rathbone and the purchase of contemporary Foreign Paintings for the Walker Art Gallery, Liverpool 1871-1914, in Walker Art Gallery Liverpool Annual Report and Bulletin, 1975-76, vol. 6, pp. 58-80. Morris apre il saggio sottolineando appunto: “Between 1871 and 1914 the Walker Art Gallery achieved the distinction of being the only british public gallery to purchase on any scale contemporary foreign paintings”. Per Henrietta Rae rimando a Women’s Works, a cura di J. Sellars, catalogo della mostra (Liverpool, Walker Art Gallery; Port Sunlight, Lady Lever Art Gallery; Liverpool, Sudley Art Gallery), National Museums and Galleries on Merseyside, Liverpool 1988. 13 R. Ellmann, James Joyce, a biography, Oxford University Press, New York 1959. 14 Quinsac 1985, n. 894, p. 747. Segantini ribadisce “your offer accepted” per telegramma alla proposta del 21 e concede il copyright per la riproduzione: “I suppose that the Copyright shall not have the purpose of a speculation and in consideration to this I accepted the offer”. 15 Lettera a Vittore Grubicy, 21 maggio 1891; Quinsac 1985, n. 94, p. 139. 16 Lettera ad Alberto Grubicy, aprile 1896; Quinsac 1985, n. 496, p. 394. 17 Si veda a riguardo il puntuale saggio di C. Giovannelli, Tra poesia e pittura. Il Nirvana di Luigi Illica e Le cattive madri di Giovanni Segantini, in “Otto/Novecento”, n. 2, 2014, pp. 153-161. Inoltre, sempre relativo a Illica: G. Olivero, Un Buddha insolito e la percezione della sua figura nella cultura italiana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in AA.VV., Studi linguistici e filologici online 5.2. Atti del XII Convegno dell’Associazione Italiana di Studi Sanscriti, Parma, settembre 2004, pp. 37-61. 18 Per i buddisti nirvana non è certamente un luogo. Significa liberazione dagli affetti terreni, dal dolore, dal piacere. Dopo la morte nirvana è la fine delle reincarnazioni, l’unione dell’anima con l’universo, il totale annichilimento dell’io, che soltanto alcuni grandi maestri, come il Buddha, possono raggiungere. Nulla di più lontano dal concetto di redenzione e purgatorio.

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19 J. Le Goff, La naissance du Purgatoire, NRF, Editions Gallimard, Paris 1981, pp. 251-256; edizione italiana, La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 1982. 20 Il testo originale della Visione, in latino, conservato a Montecassino, fu riportato nel Codice Cassinese 257, una copia del quale si trova presso la Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma. 21 V. Anker, Le symbolisme suisse. Destins croisés avec l’art européen, Benteli, Salenstein 2009, pp. 259-260. 22 Quinsac 1982, nn. 571, 572, 573. 23 Quinsac 1982, nn. 574, 575, 576. 24 Sin dagli anni Settanta era nota la sovrapposizione di A messa prima al dipinto Non assolta o I commenti maligni, giudicato da Segantini troppo autobiografico dopo la nascita del primo figlio Gottardo. In occasione dell’ultima mostra al Palazzo Reale di Milano, lavori di restauro e analisi non invasive hanno evidenziato la trasformazione di Temporale sulle Alpi in Dopo il temporale, più efficace nella risoluzione compositiva, e di Tisi galoppante in Petalo di rosa. Si veda G. Poldi, Segantini durante e dopo il temporale. Soluzioni tecniche di un pittore perfezionista, in Segantini. Ritorno a Milano, a cura di A.-P. Quinsac, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 18 settembre 2014-18 gennaio 2015), Skira, Milano 2014, pp. 277-280. Inoltre, Segantini. Petalo di rosa, indagini e scoperte, a cura di A.-P. Quinsac, catalogo della mostra (Milano, Gallerie Maspes, 18 settembre-17 ottobre 2015), Gallerie Maspes, Milano 2015. 25 In particolare, K. Abraham, Giovanni Segantini. Ein psychoanalytischer Versuch, in Schriften zur augewandten Seelenkunde, 11, Franz Deuticke, Leipzig-Wien 1911; Giovanni Segantini. Essai psychanalytique, in K. Abraham, Oeuvres complètes, Payot, Paris 1965. Inoltre, J. Clair, Les mauvaises mères de Segantini, in “Nouvelle Revue de Psychanalyse”, 45, 1992, pp. 49-58; D. Widlocher, Un peintre et son psychanalyste. Giovanni Segantini et Karl Abraham, in “Psychanalyse à l’université”, III, 9, 1977, pp. 55-68. 26 M.F. Zimmermann, Industrialisierung der Phantasie. Der Aufbau des modernen Italien und das Mediensystem der Künste 1875-1900, Deutscher Kunstverlag, München-Berlin 2006. 27 Lettera a Illica del 30 aprile 1895; Quinsac 1985, n. 864, p. 717.

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Segantini e la Germania


Lettera di Bice Segantini al PodestĂ di Arco 29 settembre 1899 Archivio privato Gioconda Leykauf-Segantini Doc. n. 1273

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Archivio Gioconda Leykauf-Segantini: osservazioni a proposito di un tesoro culturale poco noto Gioconda Leykauf-Segantini, Daniel Kletke*

Maloja, Engadina, 28 dicembre 1894 Dunque, volete sapere di me, della mia famiglia, dei miei monti? Qui si vive a 1890 metri sopra il mare, e a 15 e sino 30 gradi a freddo, in una casetta tutta di legno, molto comoda e molto bene riscaldata, con mia moglie e tre figli. Ho anche una bambina, ma la tengo in collegio. Il luogo dove abito non è un paese veramente, giacchè in tutta la sua estenisione, che non è poca, è abitato da sole quattro famiglie, compresa la nostra. Da queste parti non passa ancora il fischio livellatore della macchina, nè mai si ode tocco di campana; silenzio sempre, solo interrotto dai fischi dei venti e dall’abbaiare dei cani. È da qui, caro Pellizza, che Vi mando i più sinceri auguri a Voi ed a tutta la Vostra famiglia. Ricordatevi sempre del Vostro amico. G. Segantini 1 Sono nata e cresciuta in questa casa, dove le tracce lasciate dai miei nonni Bice e Giovanni erano ancora vive e presenti. Alle pareti erano appesi i quadri di mio nonno, nel cosiddetto atelier dipingeva mio padre Gottardo, circondato dalla preziosa biblioteca che Giovanni aveva amorevolmente composto. Mio padre raccontava spesso dei suoi genitori e della famiglia, riferiva dell’arte di suo padre e diceva che fu qui, a Maloja, che egli entrò nel cerchio della morte, cosa che, da bambina, ancora faticavo a comprendere. Di sotto, al piano inferiore della casa, si trovava una stanza piena di “carte”, come le chiamavo allora. Erano riviste e pubblicazioni su Giovanni Segantini, a lui contemporanee, ma erano soprattutto innumerevoli lettere di mio nonno, di Bice e di molte altre persone. La stanza aveva un odore del tutto particolare, che amavo. 43


Da allora sono trascorsi molti anni, la casa in cui sono cresciuta è abitata oggi da Ragnhild Segantini e dalla sua famiglia. Tutte le “carte” (in verità un tesoro prezioso) e il contenuto dell’atelier (benché purtroppo buona parte dei libri fosse stata alienata) entrarono invece in mio possesso. Da alcuni anni collaboro con Daniel Kletke, storico dell’arte e archivista tedesco, al riordino e allo studio di questo patrimonio. Il lavoro è altamente interessante e pieno di fascino perché quasi tutti i documenti sono completamente sconosciuti e consentono di gettare un nuovo sguardo sul mondo e sul tempo di Giovanni Segantini. Gioconda Leykauf-Segantini L’archivio documentale di Gioconda Leykauf-Segantini comprende circa 5000 documenti, dei quali finora ne sono stati catalogati circa 3500, conservati secondo le più rigide norme archivistiche al riparo dalla luce, in teche di pergamena organizzate su scaffali di metallo. 44

Scorcio della biblioteca di Casa Segantini a Maloja Archivio privato Gioconda Leykauf-Segantini


Screenshot della maschera di inserimento Archivio privato Gioconda Leykauf-Segantini

La catalogazione avviene tramite una maschera basata su FileMaker-Pro, la quale risponde complessivamente a domande su contenuto, supporto, stato di conservazione, provenienza, ecc., e comprende anche lo spazio per la scansione del documento. In tempi di virtualità e di digitalizzazione si tratta di un complemento adeguato del fondo, che ne garantisce l’accesso e la ricerca senza la necessità di dover consultare in una prima fase i documenti originali. L’archivio non è praticamente mai stato pubblicato e riveste un valore inestimabile per la scienza e la ricerca. Il documento più antico data agli anni Settanta dell’Ottocento, mentre i più recenti risalgono all’incirca a un secolo più tardi: si tratta di un corpus esteso, appartenente all’intera famiglia di Giovanni Segantini e di sua moglie Bice, nata Bugatti, nonché al contesto familiare e sociale più allargato. Oltre al rapporto di Giovanni con i suoi contemporanei, tra i quali altri artisti (come Leonardo Bistolfi, Rembrandt Bugatti, Giovanni Giacometti, Francesco Gioli, Guido Martinelli, Giuseppe Pellizza, 45


Neera Radius, Paolo Troubetzkoy), commercianti (primo fra

Lettera di Giovanni Segantini

tutti Grubicy), collezionisti (Felix e Elise Koenigs a titolo di

1 febbraio 1898

a Bice Segantini

esempio) e critici/scrittori (Marcel Montandon, William Ritter,

Archivio privato Gioconda

Franz Servaes), esso comprende una documentazione comple-

Doc. n. 0657

ta dell’intera famiglia Segantini, che mette in luce i loro complessi rapporti interpersonali. Accanto a lettere e cartoline più ordinarie, nel fondo si trovano anche contratti, fatture, telegrammi e attestati, oltre a registri di cassa e brogliacci con bozze di lettere commerciali. Questo vasto materiale originale, qui svelato per la prima volta, pone inedite modalità di lettura per opere centrali dell’artista ma anche per quanto riguarda il suo stato di apolide e la sua appartenenza nazionale. Sebbene, come ci si può aspettare, buona parte dei documenti sia in italiano, quasi il 50% è re46

Leykauf-Segantini


Cartolina di Rembrandt Bugatti alla cugina Bianca Segantini

datta in altre lingue, principalmente tedesco e francese, condi-

16 luglio 1904

zione che sottolinea ulteriormente il rango europeo di questa

Archivio privato Gioconda

collezione.

Leykauf-Segantini Doc. n. 0831

Grazie alla creazione della banca dati è possibile interrogare agevolmente e sistematicamente il fondo, cui sono state assegnate delle parole chiave. Alcuni specifici campi di dati 47


consentono, inoltre, di creare rapidamente delle cronologie e

Attestato dell’Accademia di Belle

quindi di proporre analisi differenziate, in particolare in rela-

31 ottobre 1879

Arti di Milano

zione alla complessa genesi delle opere, come è ad esempio il

Archivio privato Gioconda

previsto contributo di Segantini all’Esposizione Universale di

Doc. n. 0644

Parigi del 1900. Sulla base delle misure archivistiche finora adottate si profilano diverse possibili opportunitĂ di lavorare con il materiale e di interpretarlo. Un progetto concreto, a cui stiamo attualmente lavorando insieme alla Alte Nationalgalerie di Berlino 48

Leykauf-Segantini


(Stiftung Preußischer Kulturbesitz), è la pubblicazione e divulgazione dello scambio di documenti tra il collezionista e mecenate Felix Koenigs e Giovanni Segantini, che risultò dall’acquisto dell’opera Ritorno al paese natio. Solamente a questo fondo possiamo ricondurre circa cinquanta fonti finora sconosciute e quindi mai pubblicate. Scopo di questo primo breve articolo in Segantiniana, oltre naturalmente a richiamare l’attenzione in generale sul tema dei documenti, è quello di suscitare la curiosità di studiosi, ricercatori e altri interessati attorno a questo archivio, affinché da loro possano provenire future istanze di ricerca e nuovi quesiti su Segantini e sul suo contesto artistico e intellettuale, oltre che familiare e sociale. In ultimo, si auspica che a medio termine questo fondo storico-artistico unico riesca a raggiungere una maggiore attenzione pubblica, assicurandosi un’efficiente valorizzazione, un adeguato sostegno economico e una collocazione permanente. Daniel Kletke

* Gioconda Leykauf-Segantini è la nipote di Giovanni Segantini. Figlia di Gottardo, primo dei quattro figli di Giovanni Segantini e Bice Bugatti, da molti anni si dedica alla valorizzazione del patrimonio artistico e documentario del nonno. Daniel Kletke è storico dell’arte e archivista. Si occupa con Gioconda Leykauf-Segantini del progetto di ricerca, studio e digitalizzazione dell’archivio della famiglia Segantini. 1 Giovanni Segantini (1858-1899). Aus Schriften und Briefen / Da scritti e lettere, a cura di G. Leykauf-Segantini, Innquell, Hof und Maloja 1999, pp. 106-107. 49



Segantini e la Svizzera


B. Stutzer, Giovanni Segantini, Verlag Scheidegger & Spiess AG, ZĂźrich 2016, copertina

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Giovanni Segantini. Recensione del libro di Beat Stutzer Ilaria Cimonetti *

Alla vasta bibliografia dedicata al grande artista trentino si è aggiunto, nel 2016, un nuovo tassello: la Fondazione Segantini di St. Moritz, attraverso la penna di Beat Stutzer, ha infatti promosso la pubblicazione del volume monografico Giovanni Segantini, edito dalla casa svizzera Scheidegger & Spiess in tre lingue, tedesco, italiano e inglese. Stutzer, affermato studioso che nel corso della sua carriera si è già più volte occupato della figura di Segantini, ha voluto rendere un nuovo omaggio al pittore di Arco proprio nell’anno del suo congedo come sovrintendente del Segantini Museum di St. Moritz, ruolo occupato fin dal 1998. Nel saggio d’apertura, Stutzer ripercorre la vita e la carriera artistica di Segantini, dagli esordi milanesi fino alla morte sullo Schafberg, spingendosi poi ad analizzare le alterne vicende che, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, hanno segnato la fortuna critica dell’artista e della sua opera presso la critica e il grande pubblico. Dopo il successo ottenuto quand’era ancora in vita e le numerose celebrazioni che seguirono la sua morte, Stutzer segue la caduta nell’oblio attorno agli anni Venti e il rinnovato interesse per Segantini nel dopoguerra, fino alle grandi mostre monografiche degli ultimi anni che hanno aiutato a collocare la sua figura tra i “precursori della modernità”, affianco a Van Gogh, Gauguin, Munch e Cézanne. La narrazione chiara, che non tralascia aspetti curiosi della sua vita – come il rapporto con Baba Uffer, governante e modella di molti dipinti, o l’amore per il lusso e lo stile di vita da “principe degli artisti” – unita alla presenza di numerose illustrazioni di alta qualità, permettono a questo volume di superare la cerchia ristretta degli “addetti ai lavori”, per suscitare l’interesse di un pubblico più vasto. Stutzer ha inoltre colto l’occasione per inserire numerosi spunti di riflessione che, già sviluppati nei suoi studi precedenti, vanno a toccare alcune questioni da lui stesso definite “lacune, 53


[…] risposte mancanti da parte della storia dell’arte e delle idee” (p. 43) nell’ambito della ricerca e dell’interpretazione dell’arte di Segantini: questi nodi critici riguardano, per esempio, lo studio delle fonti della sua formazione, e in particolare il diverso peso che, nella costruzione del suo universo poetico, hanno avuto il romanticismo tedesco, la Scuola dell’Aja e la lezione di Jean-François Millet. Il cuore del volume è composto dalle schede critiche di sessanta dipinti, ordinate cronologicamente, che illustrano in maniera esemplare la carriera artistica di Segantini, l’evoluzione tecnica e stilistica, l’interesse ripetuto per alcuni soggetti: la natura, la montagna, le figure agresti, il ciclo delle stagioni, della vita e della morte. Il panorama viene arricchito da numerosi confronti con altre opere di Segantini, con i relativi disegni e con interessante materiale fotografico che documenta dipinti dispersi o versioni precedenti di opere a noi note. La selezione delle sessanta opere, provenienti sia da raccolte pubbliche che da collezioni private, alterna i più noti capolavori dell’artista, come Alla stanga, Ave Maria a trasbordo o Le due madri, a dipinti meno conosciuti, ma comunque emblematici per ricostruire il percorso che portò Segantini dal Coro di Sant’Antonio (1879) al monumentale trittico La Vita - La Natura - La Morte (1896-1899). L’insieme di queste opere dà vita a una sorta di mostra “ideale”, perché completa, esaustiva, affascinante, ma anche perché irrealizzabile nella pratica; come sottolinea nella premessa il professor Franz Zelger, membro del Consiglio della Fondazione Segantini, difficilmente nei numerosi cataloghi di mostre dedicate all’artista trentino troveremo accostati uno a fianco all’altro questi capolavori, che con notevoli difficoltà vengono concessi in prestito. Anche attraverso il sostegno documentario di lettere e scritti dell’artista, l’analisi di questi dipinti si sofferma sulla storia della loro realizzazione, sulle scelte tecniche e compositive di Segantini, sul significato simbolico e poetico dei soggetti. Stutzer propone, inoltre, nella maggior parte delle schede, confronti con opere di altri artisti. Attraverso questi accostamenti, che grazie alla ricchezza delle illustrazioni sono visivi oltre che concettuali, vengono rese evidenti, da un lato, alcune delle probabili fonti pittoriche di Segantini (primo fra tutti Millet, ma anche Max Liebermann), dall’altro, la vitalità della lezione segantiniana nell’arte degli suoi successori, da Umberto Boccioni fino ai più contemporanei Joseph Beuys o Kurt Sigrist: questione che è stata al centro degli interessi e delle ricerche di Stutzer anche in passato, come testimonia, ad esempio, il volume Giovanni Segantini. Im Dialog mit Symbolismus und Futurismus, Ferdinand Hodler una Joseph Beuys (Scheidegger & Spiess, Zürich 2014). 54


Chiude la sequenza una scheda, particolarmente dettagliata e corredata di grandi illustrazioni, su doppie pagine ripiegate, del capolavoro incompiuto di Segantini: con le tre tele del colossale trittico La Vita - La Natura - La Morte, esposto permanentemente proprio nel museo di St. Moritz, l’artista ci regala “una delle ultime immagini programmatiche e dense di significato dell’epoca […] un’immagine dell’esistenza umana in armonioso accordo con la natura” (p. 194).

* Assistente curatrice presso il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. 55



Esposizioni 2016



Le opere di Giovanni Segantini esposte in Trentino Alto Adige

ROVERETO Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo Mostra a cura di B. Avanzi, D. Ferrari, F. Mazzocca 25 giugno - 9 ottobre 2016 La raccolta del fieno, 1891 olio su tela, 56,5 x 33,2 cm Tortona, Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio Pascoli di primavera, 1896 olio su tela, 97,5 x 155,5 cm Milano, Pinacoteca di Brera Ritorno dal bosco, 1890 olio su tela, 64 x 95 cm St. Moritz, Segantini Museum Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung L’ora mesta, 1892 olio su tela, 27,5 x 46 cm Collezione Sacerdoti-Ferrario L’amore alla fonte della vita, 1896 olio su tela, 70 x 98 cm Milano, Galleria d’Arte Moderna

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Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto Umberto Boccioni. Genio e memoria Mostra a cura di F. Rossi con A. Contò 5 novembre 2016 - 19 febbraio 2017 Cavallo al galoppo, (1887-1889) olio su tela, 82,5 x 97 cm Milano, Galleria d’Arte Moderna

ARCO Galleria Civica G. Segantini Divisionismi dopo il Divisionismo Mostra a cura di A. Tiddia 26 giugno - 16 ottobre 2016 L’ora mesta, (1892) olio su tela, 45,5 x 83 cm Collezione privata [ora in deposito permanente presso la Galleria Civica G. Segantini di Arco]

TRENTO Castello del Buonconsiglio Tempi della storia, tempi dell’arte. Cesare Battisti tra Vienna e Roma Mostra a cura di L. Dalprà 12 luglio - 6 novembre 2016 Il lavoratore della terra, 1886 carboncino e biacca su carta applicata su tela, 159,5 x 96,5 cm Milano, Fondazione Cariplo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala

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Acquisizioni 2016



Schede Annalisa Bonetti *

Avviato nel 2014 dalla stretta collaborazione fra il MAG Museo Alto Garda e il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, il progetto espositivo e di ricerca Segantini e Arco ha visto in una prima fase il rinnovo dell’allestimento della Galleria Civica G. Segantini di Arco. Una sala all’interno degli spazi espositivi, riaperti al pubblico a marzo 2015, ospita una raccolta selezionata di dipinti e di opere su carta originali di Giovanni Segantini, provenienti dalle collezioni del Comune di Arco, del Mart e della Provincia autonoma di Trento: sono in buona parte opere giovanili dell’artista, che offrono un saggio esauriente della varietà tematica di questi primi anni, dall’Autoritratto all’età di vent’anni del 1879-1880, alle nature morte eseguite su commissione, al soggetto religioso del Campanaro, opera dei primi anni nella quale già si fa strada una nuova sensibilità nel trattamento della luce, che guiderà il pittore fino agli esiti più maturi della luce rarefatta e cristallina d’alta quota. Nel corso del 2016, lo spazio riservato agli originali di Segantini si è arricchito di due prestiti importanti: si tratta di due dipinti, entrambi di proprietà privata, concessi in deposito temporaneo a lungo termine al MAG. I due depositi rispondono pienamente alla mission del progetto Segantini e Arco, che è quella di porre la città natale dell’artista al centro di una fitta rete di relazioni con le istituzioni pubbliche e i soggetti privati che conservano opere di Segantini e con gli studiosi che a vario titolo si occupano del pittore. La scelta di questi due privati di valorizzare le proprie opere collocandole nello spazio espositivo della Galleria Civica è, dunque, un importante riconoscimento della validità di questo progetto, che aspira a intrecciare quante più relazioni possibili con i luoghi e i soggetti legati all’artista.

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La prima opera a essere stata depositata è Testa di vecchio, dipinto su tavola degli anni giovanili di Segantini, giunto al MAG nel febbraio 2016. L’opera descrive un tipico pastore brianzolo a mezzo busto, con una prevalenza dei toni scuri dai quali emerge il volto accigliato dell’anziano uomo. L’opera si contestualizza bene nella sala espositiva, sia per l’affinità cronologica con gli altri dipinti giovanili dell’artista, sia per il dialogo che va a instaurare con i ritratti esposti, tutti accomunati dalla volontà di resa espressiva dei soggetti descritti. È invece in occasione della mostra temporanea Divisionismi dopo il Divisionismo, inaugurata il 25 giugno 2016, che giunge al MAG il dipinto L’ora mesta, olio del 1892 donato dall’artista all’editore trentino Vittorio Zippel, il quale si era adoperato per un possibile ritorno di Segantini ad Arco, mai avvenuto. Lo stesso Segantini in una lettera del 1896 lo identifica come un bozzetto per l’omonimo quadro allora alla Galleria Nazionale di Berlino, con il quale l’opera trentina condivide soggetto e atmosfere, così descritte da Franz Servaes, primo biografo di Segantini, con riferimento all’opera di Berlino: “Di sera, davanti a un piccolo paiolo fumante, sotto il quale arde un fuoco rosso, una giovane contadina siede su un campo pietroso; rabbrividisce, immersa in pensieri cupi. Di fronte a lei si trova una mucca pezzata, che stende il collo muggendo. Il sole è tramontato; ma un bagliore giallastro permane ancora nel cielo, diffondendo il suo chiarore per tutto il firmamento, già invaso da una leggera foschia. Sui campi stanno aumentando le ombre. Solo un lieve riflesso di luce ancora resiste, penetrato dalle deboli lingue di fuoco che si propagano da sotto il paiolo” (Franz Servaes. Giovanni Segantini. La sua vita e le sue opere, a cura di A. Tiddia, trad. di A. Pinotti, MAG/Mart, Riva del Garda 2015, p. 106). Al termine della mostra, il dipinto è rimasto in deposito alla Galleria Civica, dove è attualmente esposto accanto a Testa di vacca, opera di proprietà del Comune di Arco che Annie-Paule Quinsac identifica come uno studio dal vero per la mucca de L’ora mesta.

* Referente per il MAG Museo Alto Garda del progetto Segantini e Arco. 64


Giovanni Segantini Testa di vecchio, (1882-1883) olio su tavola, 55 x 38 cm MAG Museo Alto Garda Deposito collezione privata Collocato nello Studio Blei di Milano fino al 1972, e poi passato in proprietà privata, il dipinto ritrae un anziano pastore brianzolo, nel tipico abbigliamento di fine Ottocento con cappello a falda larga, gilet su camicia bianca e giacca scura. Come riferito da Annie-Paule Quinsac nel catalogo generale dell’artista, l’opera era probabilmente firmata e dedicata con una calligrafia diversa da quella di Segantini, iscrizioni che oggi sono entrambe illeggibili. Il dipinto non è datato, ma risale con tutta probabilità agli anni trascorsi da Segantini in Brianza, cronologia che sembra essere confermata, oltre che dalla scelta del soggetto, dalle prime importanti sperimentazioni sulla luce, compiute all’interno di una tavolozza dai toni ancora prevalentemente scuri, dal particolare del bianco cangiante della camicia che emerge dal panciotto, alla fonte di luce esterna che mette in risalto parte del volto dell’uomo, contribuendone alla resa espressiva. Sempre Quinsac ipotizza non si tratti di un ritratto su commissione, ma piuttosto della reazione spontanea dell’artista a un tipo interessante incontrato nelle campagne della Brianza, che poteva eventualmente essere adoperato come spunto per un’altra composizione. Il pittore riesce a rendere con grande potenza l’espressione dell’uomo, tutta concentrata nello sguardo, restituendo l’immagine di un anziano maturo, segnato dalle fatiche della vita, riservato e arguto, attento e impenetrabile. Questi elementi confermano la volontà di Segantini, più volte dichiarata nei ritratti, di oltrepassare in questo genere la dimensione fisica del soggetto raffigurato per restituirne personalità, sentimenti, psicologia.

Bibliografia “Burlington Magazine”, n. 833, vol. 114, agosto 1972, p. XV; A.-P. Quinsac, Segantini. Catalogo generale, Electa, Milano 1982, vol. 1, p. 96, n. 121.

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Giovanni Segantini L’ora mesta, (1892) olio su tela, 45,5 x 83 cm MAG Museo Alto Garda Deposito collezione privata L’opera fu donata da Giovanni Segantini a Vittorio Zippel, editore trentino e poi podestà di Trento, con il quale l’artista intrecciò a partire dal 1890 una fitta corrispondenza epistolare. Rimasto per molti anni nella disponibilità degli eredi di Zippel, il dipinto è stato ritrovato durante l’allestimento della mostra antologica sull’artista ospitata a Palazzo delle Albere a Trento nel 1987 ed è attualmente di proprietà privata. Si tratta della versione precedente del grande dipinto di analogo soggetto, noto anche come Ora Triste, donato nel 1896 allo Staatliche Museum di Berlino e oggi in proprietà privata. Conferma di ciò è data dallo stesso Segantini in una lettera a Zippel dell’ottobre 1896, nella quale riferisce “che a Berlino si è acquistato per il Museo Nazionale L’ora mesta, che trovasi ora esposta a Monaco, e delle quale Ella ha il bozzetto”. Il dipinto, siglato e datato in basso a destra “G. S. 1892”, descrive un paesaggio rurale al tramonto: sulla destra un contadino è impegnato a far rientrare il bestiame nella piccola stalla, mentre in primo piano una contadina è rannicchiata attorno al focolare; accanto a lei una mucca muggisce tendendo il collo verso l’alto. Contadina e mucca

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sono entrambe ugualmente partecipi del freddo, della malinconia e della solitudine che caratterizzano la natura al calar della sera, nella visione panteistica di un’ora mesta che accomuna natura, uomini e animali. Il sentimento della natura, reale protagonista della tela, è raccontato e amplificato attraverso le due figure, che guidano a un’interpretazione simbolista dell’opera, dalla contadina che riscalda le mani al braciere quasi a voler rassicurare i pensieri più cupi del suo animo, alla mucca il cui verso diventa quasi un lamento. Ovunque domina la solitudine e la natura appare inesorabile nella sua indifferenza. In ottimo stato di conservazione, il dipinto è una piena testimonianza dell’adesione di Segantini ai principi di un Divisionismo dai puri timbri cromatici.

Bibliografia F. Servaes, Giovanni Segantini. Sein Leben und sein Werk, Martin Gerlach, Wien 1902, n. 101; M. Belzoni, Giovanni Segantini, in “Trentino: rivista della legione trentina”, XI, n. 12, dicembre 1935, p. 553; A.-P. Quinsac, Segantini. Catalogo generale, Electa, Milano 1982, vol. 2, p. 427, n. 522; Segantini, a cura di G. Belli, catalogo della mostra (Trento, Palazzo delle Albere, 9 maggio-30 giugno 1987), Electa, Milano 1987, p. 216, n. 102; Arco e il Trentino per Giovanni Segantini (1899-1999), a cura di S. Ioppi, R. Turrini, Il Sommolago, Arco 1999, pp. 87, 90; Segantini. La vita, la natura, la morte. Disegni e dipinti, a cura di G. Belli, A.-P. Quinsac, catalogo della mostra (Trento, Palazzo delle Albere, 3 dicembre 1999-19 marzo 2000), Skira, Milano 1999, tav. IV; Divisionismi dopo il Divisionismo, a cura di A. Tiddia, catalogo della mostra (Arco, Galleria Civica G. Segantini, 25 giugno-16 ottobre 2016), MAG/Mart, Riva del Garda 2016, pp. 50-51.

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Segantini. Film 2016


Nel corso del 2016, nell'ambito del progetto espositivo e di ricerca Segantini e Arco, la città natale dell’artista ha ospitato le proiezioni di due film dedicati alla figura di Giovanni Segantini. Giovanni Segantini - Magia della luce di Christian Labhart, arrivato per la prima volta in Italia in occasione del 64. Trento Film Festival, è stato presentato in anteprima nazionale il 3 maggio 2016 al Supercinema Vittoria di Trento. A essa sono seguite altre due proiezioni il 4 e 5 maggio 2016 all’Auditorium Melotti di Rovereto e all’Auditorium Giovanni Paolo II di Arco. Da una co-produzione con la Provincia autonoma di Trento e il Comune di Arco, ha visto la luce Segantini, ritorno alla natura, scritto a sei mani da Francesco Fei, Roberta Bonazza e Federica Masin. Dopo un primo passaggio al Biografilm Festival di Bologna, il film è stato presentato in anteprima nazionale il 20 novembre 2016 ad Arco. Una versione museale ridotta del film è visibile oggi negli spazi espositivi della Galleria Civica G. Segantini di Arco.

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Giovanni Segantini - Magia della luce Christian Labhart Svizzera (2015) Genere: Biografico Durata: 82' Voce: Bruno Ganz, (versione tedesca), Teco Celio (versione italiana) Musiche: Paul Giger, Marie-Louise Dähler Montaggio: Annette Brütsch Produzione: Labhart Filmproduktion Distribuzione: Lab 80 Film

Segantini, ritorno alla natura Francesco Fei Italia (2016) Genere: Documentario Durata: 75’ Scritto e prodotto da: Francesco Fei, Roberta Bonazza, Federica Masin Con: Filippo Timi, Alice Raffaelli, Lorenzo Sartorelli Con la partecipazione di: Gioconda Leykauf-Segantini, Franco Marrocco, Annie-Paule Quinsac, Romano Turrini Musiche: Alberto Turra Montaggio: Claudio Bonafede Produzione: Apnea Film e Diaviva in collaborazione con Sky Arte Distribuzione: Nexo Digital 71


Giovanni Segantini - Magia della luce Frame dal film

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Magie della luce. Segantini al 64. Trento Film Festival Sergio Fant*

Programmare un festival cinematografico è come sviluppare un teorema, o preparare un esperimento scientifico: si ipotizzano i passaggi, si predispongono gli elementi, ma solo alla prova dei fatti, quando si innesca la reazione aggiungendo l’ingrediente del pubblico e spegnendo le luci in sala, si scopre se la formula che si è immaginata durante mesi di lavoro è finalmente efficace o meno. È in quel momento che si distinguono le opere dotate di una caratteristica ulteriore e diversa rispetto alla pura qualità visiva, alla forza di un tema o di uno sguardo, ovvero quelle in grado di innescare una dimensione di magica sospensione, quando lo schermo si trasforma da parete in finestra, e il sonoro diventa ascolto. Proprio questo è successo al 64. Trento Film Festival, lo scorso maggio 2016, in occasione della proiezione di Giovanni Segantini - Magia della luce in un affollatissimo Supercinema Vittoria, anteprima italiana del documentario di Christian Labhart già uscito con successo nei mesi precedenti nelle sale elvetiche e tedesche. Un festival come il nostro che da ben 64 anni esplora il mondo e le suggestioni della montagna attraverso il cinema, la letteratura e l’arte, non poteva certo lasciarsi sfuggire l’occasione di ospitare un film (finalmente) dedicato a Segantini, e di rendere omaggio, a modo nostro, a un artista le cui opere e sensibilità per ambienti, temi e soggetti, rispecchiano le passioni che hanno fatto nascere e nutrono tuttora la vitalità della manifestazione, e indirettamente continuano a ispirarci. A fianco di tanti alpinisti ed esploratori, nel nostro Pantheon c’è anche Segantini, visionario avventuriero dell’arte, che osservava e dipingeva le vette “nella speranza di conquistarle”. Fin dalle prime inquadrature del documentario, accompagnate dalla voce del grande attore ticinese Teco Celio (a Trento è stata proiettata la versione italiana, in 73


quella tedesca le parole di Segantini sono lette da Bruno Ganz),

Giovanni Segantini -

sentiamo parlare di “materia che si dissolve”, principio segan-

Frame dal film

tiniano fedelmente adottato dal film: dai quadri, esplorati fin nelle crepe del colore, passiamo senza soluzione di continuità ai paesaggi e dettagli ambientali, mentre le voci fuori campo tessono una densa trama sonora che a tratti, grazie soprattutto all’intensità delle lettere e dei diari di Segantini, trasforma l’esperienza della visione del film quasi in quella di un concentrato ascolto, accompagnato dalle immagini e non viceversa, paradossalmente permesso proprio da un luogo per eccellenza dello sguardo come la sala cinematografica. Fin dal primo “movimento” di Magia della luce, incentrato sugli anni dell’infanzia ad Arco e Milano, è evidente anche l’altro convincente stratagemma del film, ovvero la definizione di una temporalità diffusa in cui i piani distinti della biografia, delle creazioni e delle parole di Segantini coesistono, e sfruttando gli slittamenti tra dipinti, immagini d’archivio e riprese contemporanee, si aprono continui punti di contatto e passaggio tra vita e opera. Se esperienza, espressione artistica e riflessione erano non certo distinti, mai in Segantini, ma al74

Magia della luce


meno non sincroni, il montaggio di Labhart esalta per lo spettatore certe illuminanti corrispondenze facendole convivere, e le usa come privilegiate porte di accesso all’universo del pittore. Dopo “Il divenire”, le transizioni agli altri capitoli del film, “L’essere” dedicato agli anni in Brianza e “Il trapasso” a quelli a Maloja, sono marcate da lunghe sequenze in camera car sulle moderne autostrade e statali alpine odierne, così diverse dalle strade percorse dalla famiglia Segantini a fine Ottocento. Un film su un apolide come Segantini, figlio senza patria del suo tempo, non poteva che diventare anche un racconto di (tante) case e di viaggi, fino all’ultimo dalla capanna in alta quota dove si ammalerà, al capezzale casalingo, al cimitero di Maloja, in pochi giorni. Alla fine del viaggio, alla fine del film, le luci si riaccendono e riemergiamo dal mondo di Segantini al contesto del festival: applausi per Labhart, domande dal pubblico, commenti, congratulazioni e saluti fuori della sala. Per noi, che a questa serata siamo arrivati dopo mesi di lavoro e 64 anni di storia, che corriamo verso la prossima proiezione, e presto inizieremo a pensare alla successiva edizione del festival, resta impresso il monito segantiniano che “a valle i pensieri si adeguano alle forme dominanti”, e la convinzione che la sua esperienza di oltre un secolo fa resta una perfetta bussola per navigare immagini e suggestioni contemporanee, nella speranza di continuare a raccontare la montagna con la stessa “luce, aria, verità” dei suoi dipinti.

* Responsabile del programma cinematografico del Trento Film Festival. 75


Segantini, ritorno alla natura Frame dal film

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Segantini, ritorno alla natura. Dal film alla versione museale per il MAG Roberta Bonazza*

La vita di Giovanni Segantini presenta caratteristiche di tale peculiarità da renderla affine a certe narrazioni cinematografiche del grande schermo. Gli elementi di eccezionalità che hanno segnato il suo percorso esistenziale e artistico, rendono l’idea di farne un film impresa non semplice. Come procedere nella scrittura del soggetto e nell’approccio di regia per evitare la facile sottolineatura dei momenti sublimi e tragici di una vita che contiene in sé gli elementi cardine del vivere e del morire? Questa la domanda che da subito ci siamo posti con Francesco Fei e Federica Masin nel lavoro per la realizzazione del film Segantini, ritorno alla natura. Ciò che ci appassionava era la fascinazione di un percorso insolito, i luoghi che avevano nutrito lo sguardo di Segantini – a partire da Arco –, il modo di sentire la natura come fonte d’ispirazione artistica e la volontà di guardare alla sua pittura con la corretta prospettiva critica di chi ha usato il paesaggio come base per una ricerca artistica fortemente simbolica e moderna. Una vita vissuta nella continua sperimentazione e nell’incessante desiderio di trovare la luce, temi cari a Segantini, di cui sono dense le sue lettere. La scelta di rispettarne il pensiero e di farne la voce narrante nelle parti di fiction, vuole rendere omaggio a quelle parole che evocano il suo sentire profondo, senza nulla aggiungere o interpretare. Vasilij Kandinskij lo definì “il pittore più spirituale mai esistito”, e proprio nel rinforzo di quello spirito noi volevamo camminare. Dopo la scelta delle lettere si rendeva palese l’importanza di una presenza attoriale che ben restituisse la pregnanza delle parole, l’intensità dell’espressione e la forte personalità di Segantini, compito affidato e ben interpretato dall’attore Filippo Timi. È con lui che il viaggio a ritroso nella vita del pittore prende forma, a partire 77


dallo sguardo meravigliato di un bambino che spazia e indaga l’intricata bellezza dell’olivaia di Arco e l’andamento delle nuvole, in un ritorno alla natura che sarà il tema di tutta la sua vita. Un legame originario, un sentire fusionale e di ispirazione che attraversa la narrazione cinematografica: nelle riprese di boschi muschiosi, di cieli mutevoli, di cime innevate e di infiniti orizzonti. Una poesia e un’indagine alla ricerca dello spirito di Segantini corrisposte da tutto il gruppo di lavoro, come sottolinea il regista Francesco Fei: “Ci siamo immaginati un artista solitario, consapevole delle sue capacità, ma anche tormentato e complesso a livello espressivo. Nei suoi dipinti si percepisce l’energia della natura nella sua più intima essenza e la presenza dell’uomo è colta nel confronto totalizzante con essa. Il suo messaggio è al tempo stesso classico ed estremamente contemporaneo”. Di umili origini e protagonista di un tortuoso percorso di vita che ne farà uno dei pittori simbolisti più importanti dell’Ottocento, Giovanni Segantini nel film è raccontato attraverso una polifonia di voci che a diverso titolo compongono 78

Segantini, ritorno alla natura Frame dal film


un ritratto, nelle intenzioni preciso e completo, del suo percorso biografico e artistico. Il racconto familiare è narrato dalla nipote Gioconda Leykauf-Segantini, mentre le parti storico-artistiche da Annie-Paule Quinsac, una delle massime esperte dell’arte segantiniana. Romano Turrini, storico di Arco, riannoda i fatti legati all’infanzia di Segantini, mentre Franco Marrocco, direttore dell’Accademia di Brera, si occupa dei risvolti formativi del giovane Segantini a Milano. Ogni voce apporta un frammento di conoscenza, e tutto ciò che le parole cercano di dire si trasforma infine in pura comprensione davanti alla visione delle opere di Segantini. Le riprese di dettaglio e d’insieme delle tele presenti nei musei di tutto il mondo catturano lo sguardo, che può perdersi così nella grandezza del mistero della pittura. Per noi, che abbiamo lavorato al progetto con la passione, la determinazione e i timori di un obiettivo ambizioso e tutt’altro che semplice, vedere la bellezza dell’arte di Giovanni Segantini sul grande schermo e immaginarla in duecentottanta sale italiane a raggiungere lo sguardo e l’animo di tanti spettatori, è stato il più alto risultato. Il film, premiato dalla giuria del pubblico al Biografilm Festival di Bologna, si affianca al lavoro culturale che il Museo Alto Garda sta svolgendo da tempo con attenta progettualità, e una riduzione appositamente realizzata è visibile in una sala a lui dedicata nel percorso Segantini e Arco della Galleria Civica G. Segantini, nell’antico Palazzo dei Panni ad Arco. Una presenza audiovisiva che si può ritrovare a piacimento, a pochi metri in linea d’aria dal luogo in cui sorgeva la casa, oggi non più esistente, dove Segantini venne alla luce e dove il suo spirito ancora pare di cogliersi, in certe giornate di particolare azzurro.

* Co-sceneggiatrice del film Segantini, ritorno alla natura. 79



Antologia Segantiniana



Brani scelti Ilaria Cimonetti

Nella vasta letteratura dedicata a Giovanni Segantini, le voci che si avvicendano nel tentativo di raccontare l’artista e la sua pittura sono diversissime e le testimonianze attraverso le quali possiamo oggi ricostruire la sua fortuna critica mostrano intenzioni e punti di vista estremamente variegati. La rubrica inaugurata nel presente numero di Segantiniana intende dar conto proprio di questo ricco panorama, e lo fa attraverso una selezione di brani scelti in particolare tra i testi e le carte conservati nell’Archivio del ’900 e nella Biblioteca del Mart: le voci amiche si alternano a brani di pura critica, le testimonianze private agli interventi commemorativi, gli sguardi coevi alle riletture postume. Nell’anno dedicato alle celebrazioni per il centenario della morte di Umberto Boccioni, particolarmente significativi sono sembrate le due annotazioni, da cui traspare una sincera ammirazione, che l’artista appunta sul suo diario tra il 1907 e il 1908. Molti anni dopo, l’amico Carlo Carrà, terminata ormai da tempo l’avventura futurista, torna sull’arte di Segantini dalle pagine de “Il primato artistico italiano” prima, e de “L’Ambrosiano” poi, riconoscendone il ruolo fondamentale avuto nella loro formazione.

1896 Neera, Artisti contemporanei: Giovanni Segantini, in “Emporium”, vol. III, n. 15, marzo 1896, pp. 163-178. Con un progresso identico a quello del giovinetto che diventa uomo, che alla elegante gracilità delle forme sostituisce l’energia dei muscoli esercitati e della prepotente virilità è visibile nell’ultima produzione di Segantini lo scopo di impadronirsi della 83


natura. Egli non è dinanzi ad essa il timido amante che sospira, prega e aspetta, ma il conquistatore violento per cui l’amore è sinonimo di vittorioso dominio. E non è nemmeno, lui nato di umil gente e fra umili genti vissuto, l’apostolo delle nuove ribellioni; anima aperta alla bellezza in tutto ciò che essa contiene di elevato e di puro quella vide, quella studiò, quella offerse sempre riscaldata dal suo affetto in tutti i suoi quadri.

1899 R. de La Sizeranne, In memoriam Giovanni Segantini, le peintre de l’Engadine, in “La Revue de l’art ancien et moderne”, luglio-dicembre 1899, pp. 353-369 (ivi 360-361). Nous sommes à 2000 ou à 2500 mètres d’altitude. L’air est sans humidité, l’atmosphère est raréfiée. Aussi loin que l’œil peut voir, il pénètre ce qu’il voit. Ces sommets que voici sont séparés de nous par des abîmes, et cependant ils s’imposent et s’installent avec toute leur densité dans le tableau et avec l’éclat cru et sonore qu’ont des mélèzes, des gentianes, des renoncules, de doronics et des rhododendrons sous nos pieds. Il n’y a plus les brumes et les lointains de rêve de la Suisse d’en bas. Il y a un éblouissement de clartés pénétrant jusqu’aux moindres recoins du paysage: toutes les couleurs chantent et les ombres elles-mêmes sont des sœurs pauvres, mais sont des sœurs de la lumière. C’est la définition même de l’Impressionnisme. Et l’on ne doit pas s’étonner que sans connaître les recherches des Monet et des Signac, Segantini ait parallèlement été conduit à la même technique. La nature seule, dans la haute Engadine, se chargeait de les lui enseigner. On voit, dans les défilés de l’Albula, des eaux vertes, orangées, lilas, comme M. Besnard n’en a jamais osé peindre. On voit sur les sommets du Scahfberg, le soir, des incendies comme M. Monet n’en a jamais allumé. Les fanfares les plus éclatantes de nos luministes sont dépassées, là-haut, à certains instants, par la lumière elle-même. L’Engadine venge la Suisse des anciennes banalités. Ci troviamo a 2000 o 2500 metri d’altitudine. L’aria è secca, l’atmosfera è rarefatta. Per quanto l’occhio riesca a spingersi lontano, penetra tutto ciò che scorge. E queste cime: abissi le separano da noi, eppure s’impongono, entrano nel dipinto con tutta la loro densità e con lo splendore crudo e sonoro che hanno i larici, le genziane, i ranuncoli, i doronici e i rododendri sotto i nostri piedi. Non ci sono più le brume e gli orizzonti di sogno della Svizzera. C’è invece un abbaglio di chiarità penetranti in ogni angolo del paesaggio: tutti i colori cantano e pure le ombre sono sorelle povere, ma pur sempre sorelle della luce. 84


È la definizione stessa dell’Impressionismo. E non ci si deve stupire che, senza conoscere le ricerche dei Monet e dei Signac, Segantini sia stato parallelamente condotto alla medesima tecnica; la natura dell’alta Engadina, essa sola si è incaricata di insegnargliela. Si scorgono, nelle gole dell’Albula, acque verdi, aranciate, lillà, come Besnard non ha mai avuto il coraggio di dipingerne. Sulle cime dello Schafberg, di sera, si vedono incendi come Monet non ne ha accesi mai. Lassù, le fanfare più splendenti dei nostri luministi vengono subissate, in certi momenti, dalla stessa luce naturale. L’Engadina vendica la Svizzera delle vecchie banalità.

P. Levi, L’ultimo Segantini, in “Rivista d’Italia”, A. II, vol. III, fasc. 12°, 16 dicembre 1899, pp. 639-676 (ripubblicato in P. Levi L’Italico, Segantini, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 1900, pp. 38-40). Quella squisita sensibilità del sistema nervoso, che dava a Segantini il dono di afferrare e di rendere le più sottili delicatezze del bello naturale, era la causa stessa di una irritabilità, divenuta, non più occasionale, ma organica. La difficoltà dei primi passi, l’ostilità palese o tacita con cui egli veniva accolto dalle nullità boriose, dai mediocri fortunati, dai buoni istessi, a cui egli inspirava più ripulsione che simpatia, causa le stesse, conformi, espressioni dell’indole e dell’arte, mentre davano alle sue opere un senso di combattività, che a prima vista le rendeva meno attraenti, lo teneva personalmente in una specie di effervescenza spirituale, che era essa pure come uno stato di guerra permanente. Ogni giorno, ogni quadro, erano per lui una battaglia; ed era tale il commuovimento interno che lo agitava lavorando, tale la lotta che, dipingendo, egli immaginava di durare con gli avversari suoi e dell’arte sua, che, se non riusciva a distrarne il pensiero, era costretto a buttare i pennelli. Egli stesso avvertiva il pericolo di questa auto-suggestione; ed era appunto per sottrarvisi che aveva adottato l’espediente di farsi leggere, mentre lavorava, i libri che andavano poco a poco formando, così, la sua coltura, disordinata, ma geniale. Il che però non tolse che una tale predisposizione non si riflettesse nell’opera sua; al punto da provocare a tutta prima negli osservatori anche più intelligenti e meglio disposti un senso di disagio, a cui non tardava a succedere un’ammirazione convinta, un godimento più che semplicemente estetico. Chè, il risultato di quella lotta imaginaria era sempre, caso per caso, una vittoria per l’artista unico, singolare. 85


Dato ciò, data la funzione di stimolante che questo atteggiamento del carattere esercitava, data l’intensità derivantene nell’intenzione artistica e nella produzione – ove alla prima concezione, dal movente puramente estetico, tosto si accoppiava l’idea della lotta che l’opera avrebbe affrontato; data la solitudine, epperò la generale, consuetudinaria esagerazione teoretica dell’esercizio del proprio io e delle proprie ragioni, era naturale che ai primi, e tanto più ai rinnovati successi, la coscienza della propria personalità andasse ampliandosi, con una quantità di nuovi elementi men naturali e meno assimilati, sicché si alterassero nel suo pensiero le proporzioni del vero intellettuale, mentre rimaneva meravigliosa la sua percettibilità del vero fisico. È naturale che poco a poco al primitivo concetto organico della uguaglianza dell’uomo con tutte le cose create, si andasse sostituendo un criterio, certo nobilissimo, ma eccessivo, della missione umana, sia di fronte alla umanità stessa, sia di fronte alle altre cose create. Questa specie di sovranità quasi, dirò così, magica, che per lui si andava incarnando nell’uomo, nobilitava bensì la sua concezione della esistenza, ma gli imponeva anche di legiferare, nuovo Mosè, nuove leggi. Le quali, però, non avendo un fondamento abbastanza solido in tutto un sistema organico, innato e acquisito, ei non riusciva ad esprimere con esatta efficacia di propaganda. Così, egli aveva ben potuto salire, salire sulla montagna, per avvicinarsi alla fonte della luce; non era meno per questo costretto alla terra. Ora io non so se quelle letture, pure in parte propizie, perché giovavano a sedare nel suo cervello la battaglia delle idee, che nell’opera d’arte in corso di esecuzione non potevano tutte essere utilizzate ed espresse, non sieno anche riuscite, insieme, dannose, e se meglio non gli avrebbe giovato quella felice ignoranza, che lo avrebbe lasciato immune da ogni influsso non naturale, e non lo avrebbe portato in quelle regioni dell’iperbole, ove, a chi lo avvicinò negli ultimi anni, egli parve considerare e sè stesso, e la funzione e la missione della sua vita, in un grado e in un modo che non erano più in rapporto diretto con la realtà della vita stessa e col vero suo compito nell’arte.

1907 U. Boccioni, dal suo primo taccuino, 30 marzo 1907 (ora in U. Boccioni, Diari, a cura di G. Di Milia, Abscondita, Milano 2003, p. 18). Ho veduto volare un piccione e come sempre mi è venuta l’idea che nell’arte moderna si sia obliata la poesia che io chiamerei dell’attimo. Pochi quadri moderni che 86


esprimano modernamente (nel senso più assoluto) il cadere d’una foglia, il volo d’un uccello, l’intimità d’un piccolo angolo vivente, l’armonia di una nuvoletta sul profilo delle cose ecc. e tutte quelle sfumature particolari del grande insieme universale che commuove nei quadri passati. Mi sembra che si creda che tutto questo nuoccia alla abilità e alla impronta di abilità che si vuole ostentare nei quadri. Aveva ragione Segantini di dire di ritornare all’umile margherita del prato, lasciando le arie di abili artistoni.

1908 U. Boccioni, dal suo terzo taccuino, 1 aprile 1908 (ora in U. Boccioni, Diari, a cura di G. Di Milia, Abscondita, Milano 2003, p. 101). II Sig. Chiattone m’ha prestato un libro su Segantini di Primo Levi! Non ho ancora finito ma non so cosa scrivere, tanto mi commuove l’opera, la vita, l’anima di quel grande! Trovo giustissimo – perché lo provo io nel mio piccolo – l’effetto che in Segantini produceva la solitudine – Beata solitudo sola beatitudo –!.

1920 C. Carrà, Vittore Grubicy, in “II primato artistico italiano”, A. II, n. 6, 15 agosto-15 settembre 1920, pp. 4-5. Noi, non siamo affatto fanatici ammiratori della pittura segantiniana, anzi sono molte le ragioni che ce la fanno apparire inaccettabile in tutte le sue parti, e quindi possiamo anche riconoscere giusti i rimproveri che al Segantini muoveva il Grubicy; sia per quel che riguarda la poca sorveglianza ch’egli metteva nel suo lavoro, sia anche per quel miscuglio di bambineria e di epicità da cui tutta l’opera è pervasa. Ma il credere che un artista rude e fiero, quasi allo stato selvaggio, quale era il pittore di Arco, si correggesse dei suoi errori di direzione pel tramite di parole altrui, ci è sempre parsa cosa insensata e sommamente pretenziosa. Qui sta forse l’errore psicologico più grave in cui è scivolato l’attento critico. La pretesa è profondamente ridicola, per il fatto semplicissimo che l’opera di Segantini trova appunto in questo curioso miscuglio la sua più alta ragione di essere. Tutto questo potrà sorprendere coloro i quali cercano nell’opera del celebrato trentino ciò 87


che non v’è, vale a dire l’unità e la bellezza, non noi che di quella pittura panoramica e contraddittoria, modestia a parte, conosciamo tutte le vibrazioni…

1926 N. Barbantini, Mostra individuale di Giovanni Segantini (1858-1899), in XVa Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia 1926, catalogo della mostra, Ferrari, Venezia 1926, pp. 19-22 (ivi 20-21). In generale, chi ha scritto di lui lo ha frainteso. Alcuni hanno creduto di doverlo classificare ed esaltare soprattutto, per quei quadri fantastici e simbolici, che si lasciò andare a dipingere contro la propria natura, turbato dall’esempio di Gaetano Previati. Ma quei quadri eludono col proprio sentimentalismo la schietta sanità del pittore, ed esprimono vagamente attraverso il giro vizioso dell’immagine, ciò che Segantini aveva espresso e doveva esprimere con semplicità virtuosa. Qualcuno, d’altra parte, è andato troppo in là nel valutare appunto il suo naturalismo. Considerando le sue abitudini di lavoro e di vita, il suo spregio per l’insegnamento scolastico e per il manierismo idiota di molti suoi connazionali, le sue parole più che le sue opere, la sua umiltà di fronte al vero: non ha capito che, ad onta di ciò, Segantini fu in sostanza e nella misura comportata al suo genio, dalla sua passione e dal suo tempo, un pittore idealista, e precisamente un pittore classico. È chiaro che quando si parla dell’idealismo di Segantini ci si riferisce ai mezzi specifici del suo mestiere di pittore, cioè al disegno al colore e alla composizione, contemplati nelle sue opere maggiori. Ora dagli ultimi anni a Brianza e dai primi a Savognino fino a quelli della perfezione, il disegno, il colore e la composizione si svolsero progressivamente nelle opere di Segantini secondo una legge unica e costante. Da principio la composizione fu subordinata all’azione del protagonista del quadro, tutta rivolta ad assecondarla pateticamente senza preoccupazione alcuna di equilibrio e di costruzione; il disegno fu anedottico, inteso a fissare l’aspetto delle cose e specie della figura umana in atteggiamenti transitorii, elastico, senza disciplina; il colore fu destinato a ribadire gli effetti col chiaro scuro e a comunicare degli stati d’anima. Tutti i quadri di Segantini anteriori all’86 presentano più o meno i caratteri esposti, e si capisce che devono avere un aspetto relativo, frammentario e casuale; vi si incarna lo spirito dell’artista, arbitro delle proprie sensazioni, fragile e piccolo come ogni spirito umano. 88


Ma più tardi il colore – il verde del prato, l’azzurro del firmamento, il bianco lattiginoso di una casa, i candore della neve, l’ombra portata dell’albero secco – diventa nella pittura di Segantini cristallino; il disegno stabilisce il contorno, determina la plastica di ogni oggetto con una chiarezza statuaria; la composizione è spaziosa e monumentale, conforme a un’ordine (sic) prestabilito, costruita secondo i canoni dell’armonia. Non si incarna più nell’opera di cotesto uomo la sua umanità fievole, vi si riflette e vi si stampa la natura solida, positiva e assoluta. L’idealismo, il classicismo della pittura di Segantini consiste precisamente in ciò: che non interpreta tanto la coscienza – relativa – dell’uomo, quanto l’essenza – assoluta – delle cose.

1935 C. Carrà, Revisioni critiche: Giovanni Segantini, in “L’Ambrosiano”, 12 agosto 1935. Giovanni Segantini ha diritto a un posto durevole nella nostra memoria. È stato, a parte la teoria del divisionismo e ogni questione di tendenza, per molti anni il centro di attrazione della gioventù italiana alla quale noi appartenevamo; è stato l’eroe, l’idolo della nostra fanciullezza. Si giurava sulla sua arte come il vangelo della vera pittura moderna. Ma se ebbe ammiratori entusiasti ebbe anche avversari irriducibili. Sul principio del nuovo secolo, le sue tele sollevavano ancora clamori. Ora, possiamo anche sorridere di quel tempo lontano. Passati sono gli anni della fanciullezza incauta. Ma la vita di Segantini resta egualmente tipica, esemplare.

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SEGANTINI e arco MAG Museo Alto Garda Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

Comune di Riva del Garda Comune di Arco Provincia autonoma di Trento

SEGANTINIANA II/2016 Studi e ricerche

Riva del Garda | Museo Arco | Galleria Civica G. Segantini

A cura di Alessandra Tiddia, Mart

Comune di Riva del Garda Adalberto Mosaner Sindaco

Coordinamento Annalisa Bonetti, MAG Giovanni Pellegrini, MAG

Renza Bollettin Assessore alla Cultura

Redazione Annalisa Bonetti, MAG Ilaria Cimonetti, Mart

Anna Cattoi Dirigente Area Servizi alla Persona e alla Comunità

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Comune di Arco Alessandro Betta Sindaco Stefano Miori Assessore alla Cultura Giovanni Pellegrini Responsabile MAG Museo Alto Garda Claudia Gelmi Coordinatrice MAG Museo Alto Garda

Crediti fotografici © Archivio privato Gioconda Leykauf-Segantini © Belvedere, Vienna © Francesco Fei © Labhart Filmproduktion © MAG Museo Alto Garda, Pierluigi Faggion © MAG Museo Alto Garda, Michele Miorelli © Mart - Archivio fotografico e Mediateca © National Museums Liverpool, Walker Art Gallery © Verlag Scheidegger & Spiess, Zürich © Kunsthaus Zürich

© 2017 by MAG L’editore è a disposizione degli aventi diritto per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. ISBN 978-88-6686-063-1


Finito di stampare nel mese di aprile 2017 da Stampalith, Trento


Segantiniana collana diretta da Alessandra Tiddia Segantiniana, 2015/1 Segantiniana, 2016/II — Vita nascente. Da Giovanni Segantini a Vanessa Beecroft. Immagini della maternità nelle collezioni del Mart, 2014 — Segantini e Arco, 2015 — Franz Servaes. Giovanni Segantini. La sua vita e le sue opere. Trad. in italiano del testo originale, 2015 — Divisionismi dopo il Divisionismo. La pittura divisa da Segantini a Bonazza, 2016

www.museoaltogarda.it


ISBN 978-88-6686-063-1

Euro 10,00


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