Mangiavino n 5

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MANGIAVINO

‘Commencez par mettre le plus beaux raisins dans vos cuves. Ensuite, ça ira tout seul’ (H.B.)

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MARE E MOURVÈDRE degustati a Bandol PATATIS O CARTUFULIS Regina e Popolare IL GRIGIO DEL GELSO IL PINOT NERO LO SCHIOPPET TINO, A CIALLA ANDREA BERTON

MV

Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo

MANGIAVINO

bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore

ISSN 2283-7973

Rivista Unica dell’Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

MV

Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo

MANGIAVINO Rivista Unica dell'Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

€ 8,00


MV

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Editoriale

SUGHERIFICIO FRIULANO

Dalla recente relazione “Il vino e cifre” del “Corriere Vinicolo”, organo d’informazione dell’Unione Italiana Vini, si legge che, in poco più di un decennio, sono scomparsi in Italia quasi 200mila ettari di vigneti. Si è passati, attraverso un calo costante, dagli 800mila ettari agli attuali 640mila. Il Bel Paese è terzo, dopo Spagna e Francia. Entrambe le nostre dirette concorrenti hanno mantenuto sostanzialmente intatto il loro vigneto. Varie sono le ragioni politiche che hanno portato a questo ridimensionamento. Una scelta voluta principalmente per far aumentare la domanda del vino italiano ma il mercato, di fatto, si è rivolto altrove. Non è stata quindi una buona idea. Fondi scarsi, progressivo invecchiamento degli operatori e dei vigneti, mancanza d’incentivi per inserire forze giovani, hanno contribuito a questo dimagrimento. Per contro, alcune regioni italiane del Nord Est hanno invece aumentato la loro superfice vitata. Tra queste il Friuli Venezia Giulia. Non è certo un caso. Qui si è voluto mantenere alta la qualità dei prodotti e questo ha pagato nonostante il periodo congiunturale. Quanto accaduto però merita una riflessione. Anzitutto che il mercato globale è sempre più agguerrito e gli spazi lasciati vuoti sono immediatamente riempiti da altri. Poi, che è arrivato il momento dove non si può più pensare che “piccoli e soli è bello”. Fare sistema, fare rete d’impresa è fondamentale per mantenere una qualità elevata che è l’unica possibilità che il Friuli Venezia Giulia enologico ha di sopravvivere nel lungo periodo. L’ultima considerazione che mi sento di fare è che le aree di manovra nel mercato globale sono ancora molto ampie. Gli spazi, per il vino di alta qualità, che la Cina, in particolare, può offrire al mercato italiano sono enormi visto che la Francia è, al momento, saldamente in testa in questo mercato. “Fare sistema” deve diventare il motto degli operatori regionali nei prossimi anni. La politica dovrà fare la sua parte. Renzo Zorzi Direttore Responsabile Presidente Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

foto di Fabrice Gallina

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di Giovanni Molinas via Stradalta, 31 S.S. Napoleonica - 33032 Bertiolo (UD) T. +39 0432 91.71.57 - F. +39 0432 91.77.76 mario@sugherificiofriulano.it - www.sugherificiofriulano.it

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Saremo presenti al VINITALY 2015 Pad. 6 Stand F8

IL CULTO DELLA QUALITÀ

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La vigna è una compagna molto esigente che sa ricambiare la tua dedizione con la dolcezza dei suoi colori, la forza del suo carattere, l’intelligenza del suo istinto.

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Il grappolo è intimità, è l’espressione più sincera della vigna. E il meglio lo dà solo quando si sente amata e protetta. Come tutti noi.


MV Sommario Mare

Mourvèdre di Giorgio C. Riva /p. 8

e

Degustati Patatis

Dal 1976 in viaggio tra vigne e vini.

Regina

o

a

Bandol di Bruno di Val d’Astier e Giorgio C. Riva /p. 10

Cartufulis di Alessandro Pareschi /p. 16 Popolare di Silvia Pajani /p. 18

e

Biscotti

a

Cormòns di Michele Paiano /p. 24

Formula Bistrot Emilio Le

e

alle

Nazioni di Giorgio C. Riva /p. 25

Rosa di Daniele Cernilli /p. 30

verdure di gigi ,

Contadino

di

Montagna di Renzo Zorzi /p. 36

La Ricetta di MangiaVino /p. 40 Il Grigio

del

Gelso di Renzo Zorzi e Gianni Ottogalli /p. 42

Splendidamente Affettate di Renato Paglia /p. 48 Gli

extravergini

Nostrani - Quarta Tappa di Alessandro Martin e Alessandro Pareschi /p. 50

Capriccioso, Introverso... Insuperabile Pinot Nero di Renzo Zorzi /p. 52 Tamai di Giorgio C. Riva /p. 60 Il Furetto

di

Lavariano di Enrico Bertossi /p. 64

Lo Schioppettino,

a

Cialla di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 66

Andrea Berton di Walter Filiputti /p. 70 Luna La

di

Miele

in

Carso di Bruno Cataletto /p. 76

rubrica dei libri

/p. 79

® In Copertina “Lumaca da corsa?” Creazione di Nena Nosalj Peršić Ultramarin Art, Veli Lošinj, HR Foto di Umberto Pellizon Ripres(in)a! Non basta. Bene però e … salute!

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MARE E MOURVÈDRE di Giorgio C. Riva

L’

uva mourvèdre è robusta, a bacca rossa, verosimilmente di origine iberica, diffusa soprattutto nella Spagna meridionale (dove è chiamata anche monastrell) e in Provenza, dove dà vini di carattere, strutturati, intensi, naturalmente predisposti all’invecchiamento. I “vecchi” dicono che ha bisogno del mare. I suoi tannini esigono una maturità lenta che è permessa, nelle zone calde che predilige, dalla “freschezza” del mare. “Questa zona è spazzata dai venti carichi di bruma che addolciscono il carattere spigoloso di questi vini rossi”, afferma l’amico Bruno Seignez, borgognone d’origine e di studi enologici, che ne è profondo conoscitore avendovi lavorato ben quattro anni, prima di divenire vigneron nei Mauri, e, prosegue “Bandol per i rossi è un’appellazione da sogno”. E spiega: esiste dal 1941 e, oltre a beneficiare di clima mediterraneo influenzato dal mare, la geologia dei terreni delle vigne degli otto comuni dell’appellazione è funzionale a grandi vini. Le viti di mourvèdre “vedono e respirano il mare” praticamente da tutti i vigneti che, sia nei villaggi sulla costa che in quelli appollaiati all’interno, danno sul Mediterraneo, disposti, come sono, “a semicerchio attorno alla baia del paese di Bandol”, tra Marsiglia e Tolone. Siamo nel Var, nella Provenza verde, e più di uno dei villaggi che compongono l’appellazione merita di essere visitato, soprattutto all’inizio e alla fine dell’estate. Si consigliano i villaggi medioevali di La Cadière d’Azur e di Le Castellet, tra i più belli di Provenza, ricchi di architettura, dove perdersi tra le stradine, anche per gli “indirizzi” per il soggiorno e per la ristorazione (a La Cadière d’Azur, il classico Hostellerie Bérard, con spa, ristorante gastronomico, e Le Bistrot de Jef -www.hotelberard.com-; vicino a Le Castellet, nei pressi del circuito Paul Ricard, l’hotel Grand Prix -www.grandprixhotel.fr-,

moderno, comodo, con, praticamente “in faccia”, l’Hotel du Castellet Relais&Chateau -www.hotelducastellet.fr-, col ristorante gastronomico bistellato Le Monte Cristo ove officia Christophe Bacquié, che cucina pure, in versione bistrot haute couture, nel vicino Le San Felice). Più di un produttore, anche tra coloro i cui vini abbiamo degustato, privilegia l’uva mourvèdre, addirittura nella percentuale massima del disciplinare, al fine di avere vini “tipici” e da invecchiamento, anche se negli ultimi anni, per avere, invece, dei vini di pronta beva, qualche altro ha incrementato gli apporti, consentiti dall’appellazione, di grenache (il cannonau di Sardegna, di origine catalana o aragonese) e di cinsaut. L’appellazione prevede, infatti, tre vitigni principali: mourvèdre, cinsaut e grenache e due vitigni accessori: carignan e syrah. La proporzione di mourvèdre deve essere compresa tra il 50% e il 95%, nel mentre la proporzione dell’insieme dei vitigni accessori non può essere superiore al 20%. È, comunque, l’uva mourvèdre che caratterizza i rossi di Bandol conferendo la grande capacità di invecchiamento. Qualche lettore ricorderà i vini di Château Vannières e il loro produttore, Eric Boisseaux, conosciuti nell’ambito di degustazione dell’AIS FVG a Udine nel settembre 2012. Qualche lettore, magari lo stesso, si ricorderà di aver conosciuto, sempre nell’ambito di recente degustazione AIS FVG, Bruno Seignez, ora produttore di Côtes de Provence. Con quest’ultimo, che, si ripete, prima di mettersi in proprio, ha lavorato nella zona, proprio a Château Vannières, abbiamo degustato qualche Bandol del 2011 e dei vecchi millesimi che ancora si trovano a Château Vannières, dove Eric e Charles-Eric, suo figlio, sono sempre pronti ad accogliere ogni visitatore appassionato e, soprattutto, chi viene dalla nostra Regione, i cui sommelier sono da loro ben conosciuti e apprezzati.

Alain Pascal

Foto di Françoise Spiekermeier

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MV

MV 2006

Vino di razza. “Aromatico” di timo, lavanda, chiodi di garofano e un accenno di cumino perfettamente fuso a note iodate, balsamiche e appena tostate. Bocca complessa e piena, dai tannini fini, quasi aerei, ottimamente imbrigliati da una succosa freschezza che connota tutto il sorso fino al lunghissimo finale. Quaglia lardellata allo spiedo.

2003

Eric e Charles-Eric Boisseaux Foto di Saint-Cyr Image

degustati a Bandol

L’anno della canicola. Dall’aspetto quasi porpora, è un’esplosione di profumi di frutta rossa in macerazione, lavanda essiccata, spezie scure, cioccolato fondente, grafite e sentori resinosi. Sorso corrispondente, potente e pieno, non privo di una vena di freschezza spiegabile solo con la vicinanza al mare. Sorprendente. Assiette di Banon (formaggio di capra a pasta molle affinato avvolto in foglie di castagno).

da Bruno di Val d’Astier e Giorgio C. Riva

2011

In una parola: sapido. A bicchiere fermo è la fragranza dei piccoli frutti a bacca rossa a farla da padrone. Basta attendere qualche secondo e il vino fiorisce in tutta la sua complessità di violetta, campo primaverile di lavanda, punte di caramella balsamica e una forte presenza minerale. Il sorso è quasi salato, fresco, in una parola, vivo. I tannini cominciano ora a far intravvedere quella che sarà una struttura imponenete. Chissà fino a dove potrà arrivare. Daube di piovra.

2009

BANDOL ROUGE

2007

2008

Colore rosso profondo con sfumature porpora. Paradigma del Bandol rouge dal naso di sottobosco, macchia mediterranea e torrefazione cui seguono sensazioni di grafite e leggera affumicatura. Avvolgente, ricco e al contempo assolutamente fine, con una nota boisée appena accennata che per nulla altera la tipicità. Anatra con le olive. 12

Veste granato profondo. Sentori inebrianti di piccoli frutti neri, cassis, mirtilli e floreali di violetta, sostenuti da fragranze di spezie orientali e pepe nero con una nota finale di cioccolato fondente. Potenza al servizio dell’eleganza con tannini fitti che iniziano a diventare setosi e avvolgenti. Freschezza sugli scudi a garantire un lunghissimo invecchiamento. Agnello all’aglio.

Uve: 95% mourvèdre e 5% grenache Gr tra 14% e 15% Prezzo medio enoteca: € 30

Intenso alla vista, all’olfatto e al gusto. Subito garrigue, pepe nero appena macinato e frutti rossi sotto spirito, poi sorprendenti sferzate fresco sapide. Ancora giovanissimo, capace di un’evoluzione di cui non si intravede la fine, svela una beva già piacevole in equilibrio tra acidità, sapidità e potenza. Coniglio arrosto profumato al timo.

1992

Ancora in crescita questo Bandol dal colore intensamente granato, dagli aromi di frutta secca, prugne disidratate, confettura di marasca, unguenti balsamici, sensazioni ferrose e, sempre presenti, folate sapide. Raffinato, superbo, pieno e al contempo ancora minerale, non da alcun segno di cedimento, anzi. Agnello arrosto alle erbe aromatiche.

2005

Granato scuro. Anima profondamente mediterranea con garrigue investita da folate sapide, sentori silvestri e aromi di cuoio con un finale quasi animale. Vino vellutato, saporito, dall’innegabile carattere, con una chiusura corrispondente dominata da salinità. Un ottimo Bandol considerato il non eccellente millesimo 2005. Tacchino farcito ai marroni.

1998

17 anni e non sentirli. Struttura piena ma ancora agile e fresca che all’olfatto si esplicita con un soave equilibrio tra mineralità e nota di sottobosco, muschio bianco soprattutto, fienagioni estive e bacche di ginepro. Sorso dalla nobile trama con tannini minuti e vellutati che carezzano il palato prima di garantire un finale potente e interminabile. Daube di manzo.

Foto di Saint-Cyr Image

1989

Il vecchietto della degustazione. Ma quanto grinta. Caratterizzato da profumi di tabacco in foglia, chicco di caffè in torrefazione e leggera speziatura dolce, senza trascurare note di confettura di frutti rossi spalmata su pane tostato. Tannino sontuoso, impressionante per struttura e delicatezza, il ricordo non finisce mai se non con un altro sorso. Da solo.

CHÂTEAU VANNIÈRES Chemin de St Antoine 83740 La Cadière d’Azur T. +33 494900808 info@vannieres.com www.vannieres.com

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MV BANDOL ROUGE 2011 Uve: mourvèdre 75%, grenache 10%, cinsaut 10%, carignan 5% - Gr 15% - € 30 Granato profondo. Franco nei suoi sentori di piccoli frutti neri cui seguono sventagliate di foglie di tabacco e tostatura di caffè e ancora grafite e cioccolato al liquore. Appena in bocca si allarga rivelando potenza e struttura invidiabili. Durante l’assaggio si dipana una matassa di fitti tannini che, appena saranno perfettamente integrati, potranno dare grandi soddisfazioni. Spiedini di agnello marinato alla provenzale.

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BANDOL ROUGE 2011 Uve: mourvèdre 70%, grenache 20%, syrah 10% - Gr 15% - € 30 Rosso granato con venature rubino. Inizialmente sulle sue, si apre con eleganza svelando un bagaglio di confettura di amarena e di macchia mediterranea rinvigorita da pepe verde e da delicate sensazioni di spezia dolce. All’assaggio ha la prepotenza dei vini di carattere dall’elevatissimo potenziale di invecchiamento. Non esitate a “scaraffare”. Risotto di beccacce.

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BANDOL ROUGE 2011 Uve: mourvèdre 75%, grenache 10%, carignan 10%, cinsaut 5% - Gr 14,5% - € 30 Potente rosso rubino. L’olfatto è intriso di mirtilli sotto spirito intervallati da rinfrescanti sbuffi salini. Poi note di spezie scure e tabacco da pipa attraversate da una caratteristico sentore, accennato ma ben presente, di tartufo nero. Struttura e potenza sugli scudi non senza un’ottima mineralità a equilibrare il sorso. Lungo. Cinghiale in peka. 14

BANDOL ROUGE 2011 Uve : mourvèdre 75%, grenache 25% - Gr 14,5% - € 30 Manto quasi purpureo. Le prime sensazioni sono di bastoncino di liquirizia, poi confettura di prugna, pepe nero macinato e baccello di vaniglia. Indugiando col naso sul bicchiere chiara si palesa una nota di mineralità ferrosa. L’assaggio, reso elegante da tannini già fusi, è generoso ma al contempo vivo e vibrante. Affronterà gli anni senza alcun timore. Cosciotto di montone.

Foto di Pascale Delafontaine

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Saremo presenti al Vinitaly dal 22 al 25 marzo - Pad.6 - Stand E2


Arbis: un nome antico per un vino giovane che parla di fiori

ed erbe aromatiche. In friulano il suo nome significa “erbe”, il modo più semplice e immediato per raccontarvi come lo produciamo: su terreni lasciati inerbiti con erbe spontanee che vengono periodicamente sfalciati. Ne esistono due versioni, Arbis Blanc e Arbis Ròs, che esprimono rispettivamente il nostro terroir in chiave bianca e rossa. Per entrambi l’affinamento viene lasciato al legno, in botti grandi per l’Arbis Blanc ed in botti di diverse dimensioni per l’Arbis Ròs. Mauro Mauri

GLI ARBI S D I B O R G O SA N DA N I ELE

ARBIS BLANC IGT Venezia Giulia 2013 Uve: 40% Sauvignon, 20% Chardonnay, 20% Friulano, 20% Pinot Bianco Paglierino lucente. Impatto olfattivo deciso. La complessità dei profumi spazia dalla resina di pino allo yogurt di mango, fioriture estive di malga con folate di erbe aromatiche e importanti note delicatamente speziate. Cenni d’idrocarburi. Ampio e articolato, esplode nel palato e vi rimane lungamente sostenuto dalla bella freschezza che permea l’elegante silhouette gustativa. Grande equilibrio evidenziato da assoluta corrispondenza gusto-olfattiva. Fermenta sui lieviti autoctoni. In rovere grande per 12 mesi. Raviolo aperto all’astice con tartufo di Muzzana.

ARBIS ROS IGT Venezia Giulia 2009 Uve: 100% Pignolo Rosso granato impenetrabile. Profumi inebrianti di amarena sotto spirito, confettura di mirtilli, macchia mediterranea e caffè. Si inseriscono continui richiami di note d’inchiostro, di grafite e una sottile sensazione ematica. Rotondo ed avvolgente grazie ai tannini piacevolmente vellutati. Una buona freschezza si propaga durante il sorso che perdura a lungo. Lieviti autoctoni. Nel rovere di diverse dimensioni per 20 mesi. Lombo d’agnello al timo. (testi tratti da Vitae–La Guida Vini 2015)

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PATATIS O CARTUFULIS di Alessandro Pareschi Foto di Umberto Pellizon

La tipicità delle patate della capitale della Piccola Patria è tutta racchiusa

in due villaggi alle porte della città: Ribis e Godia. Numerosi sono i ristoratori che impiegano i preziosi tuberi locali nelle loro innumerevoli preparazioni, sia dolci che salate. Attualmente sono tre le varietà più coltivate: le Desirèe, le patate Cojonariis e le Kennebek. Le prime sono una prelibatezza arrosto, in umido, fritte; buccia rossa e sottile, pasta di colore giallo chiaro, sapore neutro, per tutti gli usi (BC), medio tardive, di lunga conservabilità. Le seconde sono di piccole dimensioni, allungate, buccia giallo carico, pasta chiara, molto apprezzate dai professionisti, anche se la varietà è poco produttiva, come contorno agli arrosti (le piccole) o con gli spezzatini (le più grandi). Le ultime sono in assoluto le più coltivate; dimensioni generose, buccia biancogiallo, pasta bianca, occhiature evidenti. Resistenti alla cottura, adatte a numerose preparazioni (CB) ma perfette per gli gnocchi, i purè, le crocchette e anche per i dolci. La coltivazione delle patate in zona, ci racconta Ernesto Gentilini, storico coltivatore di patate a Godia, risale agli anni ’50; allora le patate da seme venivano acquistate in Carnia, dove si coltivavano cartufulis di varietà a pasta bianca. Il motivo della loro scelta stava nel fatto che erano molto resistenti alle malattie; in montagna, infatti, complice il freddo, gli afidi, insidiosi nemici del tubero, non si sviluppano. Durante il periodo bellico si pensi che le patate di Ribis e Godia, grazie alla continua richiesta data dalla qualità e dai sapori caratteristici raggiungeva ben 12.000 q.li di produzione. Negli anni ’70, con l’arrivo delle qualità certificate, il seme fu soppiantato dalla varietà Kennebek, sempre a pasta bianca, originaria del Canada. In assoluto la più coltivata. Nella pianura friulana le Kennebek hanno trovato il loro habitat ideale. I terreni di origine alluvionale formati dal fiume Torre, dal pH leggermente acido, buon contenuto in ferro e ottimo drenaggio, donano un carattere e un sapore inconfondibile al tubero. La produzione si effettua con le tradizionali tecniche colturali: semine manuali tra l’inizio e la metà di marzo, concimazioni e raccolte attorno a fine agosto e tutto settembre. Una volta raccolte, la cernita in base alla pezzatura e/o alla qualità, viene fatta manualmente così come il confezionamento. Durante la conservazione le patate non vengono refrigerate ma conservate in luoghi bui a una temperatura costante tra i 10° e i 15° senza alcun impiego di anti germoglianti. La caratteristica delle patate di Ribis e di Godia, ci evidenzia Aldo Bertossi, Presidente dell’Associazione Chei de lis Patatis di Ribis, oltre al sapore e ai profumi unici, è che sono tendenzialmente molto farinose e compatte. Ciò, in numerosi impasti, soprattutto negli gnocchi, aiuta a usare pochissima farina, così il gusto unico del tubero viene esaltato e si dà una consistenza più soffice e leggera alla preparazione. Altrettanto per crocchette e purè. Entrambi i villaggi hanno in comune una sagra per celebrare la riconosciuta e rinomata produzione delle patate, per mantenere vivi i ritmi e lo spirito dei borghi. Durante le manifestazioni, prestano la loro opera le signore dei paesi, preparando in diretta i meravigliosi gnocchi serviti con svariati condimenti. Siete invitati.

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MV REGINA E POPOLARE

MV di Silvia Pajani Foto di Alessandro Pareschi

L

a versatile patata, che tutti amano, in cucina è e stare meglio, è oggi raccomandato anche dai medici. Impiego l’aglio di Resia, di ottima al tempo stesso qualità e conservabilità, perché “friulano”, ora facilmente reperibile, anche se non in gran quantità, grazie alla diffusioneincredibilmente aristocratica, promossa dalla locale Associazione dei Produttori, che promuove e tutela lo Strok, e siccome, pur molto aromatico, tra i menofine, e stupendamente povera, “invasivi”, a mio parere e non solo. Le ultime due ricette sono per quattro persone. Quelle seguenti, sempre per quattro, con essenziale. Può essere robusto appetito. L’ultima, anche per sei. farinosa (C), media (B) e a pasta soda (A). Nelle ricette è previsto l’impiego delle varietà comunemente coltivate nelle campagne prossime alla città di Udine lungo il torrente Torre. In particolare Kennebec (CB) e Desirèe (BC).

Il consumo d’aglio, per preservarsi

SANDWICH CALDO DI PATATA AL FORMAGGIO E PROSCIUTTO (croque tartiflette con prosciutto) 4 belle patate Desirèe; 4 fette spesse di fontina o di montasio “grasso” e non troppo stagionato, se non avete del reblochon, delle dimensioni delle patate; 4 fette di prosciutto cotto; 80 gr di burro; fior di sale marino non raffinato, non macinato né iodato Appetitosa e divertente reinterpretazione familiare del classico toast. Lavate bene le patate senza sbucciarle e bollitele in acqua salata fino a che risulteranno cotte, ma “ferme”. Ci vorranno 35/40 minuti. Quando saranno fredde, pelatele, tagliatene, e eliminatene, le estremità nel senso della lunghezza, e poi dividetele in due, sempre nel senso della lunghezza. Tagliate le fette di prosciutto in modo che abbiano la dimensione delle patate. Tra le due parti di ciascuna patata mettete una fetta di prosciutto, una di formaggio e un’altra fetta di prosciutto. Legate ciascun sandwich con lo spago da cucina e salatelo leggermente in superficie. Fate scaldare e fondere il burro in una casseruola e fatevi dorare i “toast” per 4 minuti circa per ciascuno dei due lati. Quando risulteranno dorati, eliminate lo spago, poneteli su un piatto da forno e infornateli a 210 gradi per cinque minuti. Serviteli caldi.

DI LENARDO - Pinot Grigio 2013 - Gr 13,5% - € 10 Giallo paglierino brillante. Naso contraddistinto da note varietali di: pera williams, mela stark, glicine, erbe aromatiche e bergamotto. Toni erbacei e sbuffi minerali a significare ancora l’olfatto. Approccio morbido, bilanciato da una bella tensione sapida che domina il lungo finale accompagnata da sensazioni agrumate e freschezze erbacee. Vinificato nell’acciaio.

ZUPPA DI PATATE E PORRI (potage parmentier) 1 kg di patate Kennebec; la parte bianca di 4 porri; 1 piccola cipolla; 300 gr di burro; 1,5 lt di brodo di pollo; 80 gr di crostini di pane in cassetta; 1/4 di lt di panna e/o di latte; 1 cucchiaio di foglie di cerfoglio; fior di sale; pepe appena macinato Ricetta intramontabile che può essere utilizzata anche per preparare, sostituendo le patate, altri potage, con carote, rape, piselli. Con la patata, però, è un vero mito. Lavate bene i porri, pelate la cipolla, affettate finemente porri e cipolla e fateli cucinare per una decina di minuti in una casseruola dove avrete fatto fondere 150 gr di burro. Aggiungetevi le patate pelate, lavate, tagliate in quattro e, subito dopo, il brodo di pollo. Lasciate cucinare per 25 minuti. Fate friggere in 50 gr di burro il pane tagliato a dadini di 1 cm di lato e teneteli al caldo. Passate la zuppa nel passaverdura. Fate bollire in un’altra casseruola la panna e/o il latte. Unite alla zuppa, aggiungete il burro rimasto e frullate leggermente con un mixer perché tutto sia perfettamente amalgamato. “Aggiustate” di sale e di pepe e, al momento di andare in tavola, aggiungete le foglie di cerfoglio. Servite a parte i crostini. 20

FORCHIR - Friuli Grave Sauvignon Soresere 2013 - Gr 12,5% - € 10 Giallo paglierino luminoso. Olfatto intenso e varietale su percezioni di fiori di sambuco e mentuccia, frutta tropicale, mango, papaya. Delicati cenni minerali in sottofondo. Ingresso morbido e ben proporzionato. Il sapore deciso e la freschezza annunciano la bella chiusura dalle saporite note iodate. Vinificazione nell’acciaio con permanenza di 4 mesi sui lieviti.

PATATE GRATIN DEL DELFINATO 1 kg di patate Desirèe; 1 dl di panna liquida fresca; 9 dl di latte fresco; 50 gr di gruviera; 2 spicchi d’aglio; 50 gr di burro noce moscata; fior di sale; pepe macinato al momento Straordinario per accompagnare carni alla griglia o arrostite, ma anche un piatto di formaggio. In verità, delizioso anche da solo! Pelate e lavate le patate. Tagliatele sottili (3 mm circa) con una mandolina. Portate a ebollizione il latte mescolato alla panna, salate, pelate e grattatevi un po’ di noce moscata. Aggiungetevi le patate e cucinatele a fuoco lento per una ventina di minuti, mescolando di tanto in tanto per evitare che le patate si attacchino al fondo della pentola. Riscaldate il forno a 180 gradi. Pelate gli spicchi d’aglio e sfregateli energicamente sul fondo di una pirofila nella quale verserete le patate con il latte livellando il composto e “spolverizzandolo” con il gruviera grattugiato e qualche fiocchetto di burro. Infornate per un’ora o più, sino a che il gratin risulterà cremoso e ben dorato. Se necessario, abbassate il forno e coprite la pirofila con un foglio di alluminio. Servite rigorosamente nella pirofila che apparirà -e questo è il bello e il buono- bruciacchiata.

RUSSOLO - Friulano Jacot 2013 - Gr 12,5% - € 10 Paglierino con sfumature verdoline. Naso elegante e di toni varietali di mela golden e pera ruggine, albicocca, pompelmo e mandorla fresca. Fienagioni alpine e sentori minerali iodati. Al gusto è sapido, fresco e ben equilibrato dalla morbidezza che rende avvolgente il sorso. Finale piuttosto lento, fruttato e minerale. 8 mesi tra acciaio e barrique d’acacia.

COJONARIE IN CROSTA DI SALE 1,2 kg di patate cojonarie; 1 kg di sale grosso di mare; 2 cucchiai di farina; 1 bianco d’uovo; 3 cucchiai di erbe aromatiche (timo, rosmarino, salvia, menta, aneto, basilico) “Lis cartufulis cojonariis”, patate di piccole dimensioni dalla buccia sottile, da noi tradizionalmente impiegate col “goulash”, sono eccezionali consumate senza essere sbucciate. Dovrete quindi lavarle e asciugarle molto accuratamente. Tritate poi finemente le erbe aromatiche e mescolatele in una terrina con il sale grosso, la farina, il bianco d’uovo e un po’ d’acqua, a formare una “pasta”. Con circa metà di questo composto, coprite il fondo di una pirofila o di una cocotte da forno, adagiatevi sopra le cojonarie e ricopritele con la restante “pasta” di sale, cercando di saldare i bordi premendo sugli stessi. Mettete nel forno preriscaldato a 210 gradi per 45 minuti. Rompete la crosta di sale solo immediatamente prima di servire le patate.

MARCO SCOLARIS - Collio Pinot Grigio 2013 - Gr 13% - € 10 Giallo paglierino luminoso. Al naso una gamma di profumi netti: mela verde, pesca, pompelmo rosa, ananas sciroppato. Melissa, rosa, mughetto e giacinto su un tappeto di mineralità sassosa. Al gusto è sapido e la freschezza rende piacevole la beva. Si apre poi su porzioni morbide, gliceriche e si spegne sulle corrispondenze olfattive. Nell’acciaio per 5 mesi.

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PURÈ DI PATATE AL PROFUMO D’ARANCIA 1 kg di patate Kennebec; 200 gr di burro di ottima qualità; 2/3 dl di latte fresco; sale di mare grosso e, se necessario, fior di sale all’ultimo; 1 arancia non trattata Un classico purè, con la semplice aggiunta della buccia grattugiata di un’arancia, e, volendo, anche di un po’ di succo, diventa un raffinato e originale accompagnamento per un pesce al vapore o bollito o per una carne bianca al forno. Ognuno ha il suo modo di fare il purè: lessando le patate in acqua salata o non, sbucciate o con la buccia, aggiungendo alle patate schiacciate il latte caldo o freddo. Io vi dò la mia ricetta, senza pretendere che sia quella giusta, ma basterà aggiungere alla vostra il “nuovo” ingrediente. Scegliete, per una cottura perfetta, patate di uguale dimensione e lessatele in acqua salata. Scolatele, pelatele ancora tiepide e schiacciatele con lo schiacciapatate in una capiente casseruola. Aggiungetevi il burro a pezzetti e mescolate energicamente con un cucchiaio di legno. Quando il burro si sarà sciolto, incorporate alle patate il latte, a poco a poco. Il quantitativo necessario può essere variabile. L’ importante è che il composto sia spumoso e morbido, ma non liquido. Aggiustate, se necessario, il sale. Mettete la casseruola sul fuoco e, sempre mescolando, cucinate per qualche minuto. Poco prima di terminare la cottura, aggiungete la buccia dell’arancio finemente grattata e, se volete sentir meglio l’agrume, anche uno po’ di succo filtrato.

FOSSA MALA - Friuli Grave Chardonnay 2013 - Gr 13% - € 12 Giallo paglierino lucente. Ventaglio delicato di: arance, pesca bianca, ananas, mela annurca, susina gialla e fienagioni primaverili. Soffici note speziate, frutta secca, piccola pasticceria e leggera mineralità. Bocca fresca e piacevolmente beverina, incentrata sui riverberi agrumati che ben incontrano le note gliceriche. La chiusura si specchia sulle note varietali e speziate. Barrique e tonneau per 8 mesi.

INSALATA PANTESCA 600 gr di patate Desirèe; 3 cipolle rosse; 20 olive nere; 30 capperi di Pantelleria; 300 gr di pomodorini Pachino; qualche filetto di sgombro sott’olio; origano secco, olio extravergine di oliva, aceto di vino rosso, fior di sale, pepe macinato all’ultimo Questa saporita e fresca insalata racchiude i profumi e i sapori della bella isola siciliana. È facile e veloce da preparare ed è un’ottimo piatto unico per un pranzo a trenta gradi. Lavate e lessate le patate in acqua salata. Scolatele, sbucciatele e, quando non saranno più calde, tagliatele a fette di circa un centimetro di spessore. Sbucciate le cipolle, tagliatele ad anelli, mettetele a bagno nell’aceto per 30 minuti e poi scolatele ben bene. Lavate i pomodorini e tagliateli a metà, salateli leggermente e metteteli per una decina di minuti in un colino per eliminare il liquido di vegetazione. Sciacquate bene i capperi, snocciolate le olive, scolate i filetti di sgombro e tagliateli a pezzi non troppo piccoli. Io uso quelli di Angelo Parodi, davvero ottimi. Potete ora, pronti tutti gli ingredienti, comporre, su un grande piatto da portata o in una capiente terrina, l’insalata pantesca. Comincerete con il disporre sul fondo le patate. Sulle stesse distribuirete gli anelli di cipolla, i pomodorini, lo sgombro e infine i capperi e le olive. Condite con olio extravergine, sale, pepe e un generoso pizzico di origano fresco o secco.

LA VIARTE - COF Pinot bianco 2013 - Gr 13% - € 15 Giallo paglierino brillante. Olfatto iniziale su note fresche agrumate, pesca bianca e ananas. Poi ancora delicate note di mughetto. Infine su eleganti effluvi di erbe mediterranee e balsami marini. Beva invitante, fresca e sapida. Il proseguo è morbido e corposo. Si allontana con lentezza sulle piacevoli note varietali e sapide. Vinificato e maturato nell’acciaio per 7 mesi.

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CINQUANT'ANNI D'AMORE PER IL FRIULI! Foto di Matteo Favi

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na storia d’amore che compie cinquant’anni quella tra la famiglia Livon e il Friuli, in particolare l’area del Collio, dove possiede la maggior parte dei vigneti. Era il 1964 quando, Dorino Livon, imprenditore del legno di origini contadine, intuì l’enorme potenziale del Collio e acquistò le migliori posizioni dell’area vocata di Ruttars. Fu certamente, all’epoca, un progetto controcorrente, che forse poteva realizzarlo solo “un pazzo innamorato” di quelle terre, di quelle colline dove era cresciuto. Dorino vide giusto e su quella scelta lungimirante i figli Vaneo e Tonino hanno continuato a credere e a investire portando l’azienda sui più importanti mercati del mondo con i vini ottenuti dai 190 ettari tra le diverse Doc regionali. I vigneti di Ruttars, con le loro pendenze mozzafiato, sono davvero spettacolari, veri capolavori di restauro agrario e perfettamente aderenti all’ambiente circostante che possiede rara bellezza. TiareBlù, Braide Alte, Valbuins: sono i nomi dei vigneti da cui si ricavano vini dai medesimi nomi e che ogni appassionato al mondo ben conosce e apprezza per le emozioni che sanno sprigionare dal bicchiere. A questi vigneti si sono aggiunti altri che hanno originato l’azienda Villa Chiopris, sempre in Friuli, e poi Borgo Salcetino, con i suoi 15 ettari di vigna nel Chianti Classico. Anche nella bellissima Umbria, nei 20 ettari vitati di Fattoria Colsanto nella Docg Montefalco, i Livon producono splendidi vini rossi. Essere vignaioli per i Livon è una scelta di vita! Una vita dove il lavoro richiede una dedizione assoluta, giustificabile solo da una sconfinata passione per la vigna e per la cantina che li assorbe completamente. Anche la nuova generazione - la terza a occuparsi di vino - sta ereditando, da chi l’ha preceduta, la mentalità che “si può sempre migliorare”. Le generazioni si susseguono ma nulla è cambiato: il lavoro fin dall’alba in vigna, poi la cantina, l’imbottigliamento, i rapporti costanti con il cliente cui si deve rispetto perché ha scelto il prodotto del loro lavoro, della loro passione, della loro vita. Una passione che loro hanno trasmesso anche a ogni collaboratore. È il coraggio di investire nelle singole persone, come nei nuovi vigneti, nei nuovi mercati e nei nuovi progetti. Il bilancio di questi primi cinquant’anni dell’azienda è, per i Livon, ampiamente positivo. Hanno raggiunto traguardi che Dorino, all’epoca, non avrebbe nemmeno immaginato, ma che sanno essersi realizzati perché egli ha indicato la strada. Anni di fatica, di ricerche, d’intuiti, di ravvedimenti, di vittorie. Il segreto del successo di quest’azienda, in fondo, non è nemmeno un segreto perché è soltanto il frutto di una dedizione totale e costante a un progetto di famiglia e di vita. Il futuro sarà all’insegna della crescita, ulteriore. Nuove idee, nuovi mercati e la valorizzazione costante dei vitigni autoctoni friulani: ecco i progetti immediati per distinguersi e affrontare gli anni a venire. I Livon hanno sempre creduto nella loro terra, il Friuli. Sono passati solo cinquant’anni, la storia d’amore tra la famiglia Livon e la loro terra continua.

AZIENDE AGRICOLE LIVON Via Montarezza, 33 33048 Dolegnano (UD) Italy T. +39 0432.757173 info@livon.it - www.livon.it Livon

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BISCOT TI A CORMÒNS di Michele Paiano Foto di Maurizio Frullani

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utto ha inizio nel 1907, quando lo zio di Maria Carla decide di intraprendere, là dove il forno è ancora, l’attività di fornaio. In quegli anni molti erano i forni ma quello dello zio Boschi si distingue da subito per passione e per interesse particolare del fornaio per la materia prima. Negli anni cinquanta è il papà di Maria Carla a condurre l’azienda e il panificio assume il suo cognome, Turisani. Maria Carla lascia la scuola e si dedica all’impresa di famiglia col massimo impegno. Conosce Fausto, che la sposa e va a lavorare con lei. Il giovane sposo è curioso e ha tanta voglia di lavorare e di rubare il mestiere a Mario - il fornaio di tre generazioni della casa - di cui assimila velocemente insegnamenti e “trucchi”, guardandosi anche in giro e studiando e innovando, nella continuità della qualità e della tradizione, sempre. Dopo sei anni, nel 1981, il panificio diverrà Bonelli, come si chiama tuttora. Sempre con Mario, che andrà in pensione solo a ottant’anni compiuti, con cui Fausto ha continuato a condividere passione e ricerca. Fausto racconta che una volta le donne del paese venivano in forno a far cuocere gubane e pinze perché forni adeguati nelle case non ce n’erano. Gli vien da sorridere ricordando cosa dicevano, quasi immancabilmente, al momento del ritiro dei dolci appena sfornati: “tu m’as robat un dólz, i méi erin di plùi”. Il segreto del buon pane, prosegue Bonelli, sta soprattutto nell’amore per il proprio mestiere di chi lo fa. Nel seguitare a domandarsi perché il pane non è venuto come doveva o perché è riuscito in modo particolare senza “quel” lievito. Nel forno viene impiegato solo lievito di birra ma è la scelta delle farine e l’arte di miscelarle che fa la differenza e permette risultati eccellenti. Pane, dolci, biscotti. Sempre più apprezzati e richiesti. Buonissimi i biscotti, lavorati a mano come una volta, di ingredienti naturali di prima scelta, sfornati ogni giorno. Una volta li trovavi solo nella bottega del forno. Oggi, fatti ancora e sempre come una volta, non solo in Regione, ma in tutta Italia, contraddistinti dal marchio CHIAROSA. Così la zia chiamava la nipotina Chiara, la figlia dei Bonelli, che - confessano - non si sarebbero mai aspettati un tal successo dei loro biscotti. FRIULINI, ZIMUI e CLAPS (gemelli e sassi, rispettivamente, in friulano), “Duri fuori e morbidi dentro, come tutti i friulani”. Prediligo gli ultimi, friabili, alle mandorle finemente tritate, impastati senza uova, delizioso, squisito dopocena, che, malattia professionale, “accompagnati” danno il meglio. Mi accomiato dai Bonelli chiedendo chi seguirà le loro orme. Sempre noi, è la risposta. “Ho solo 65 anni”, dice Fausto, “e Mario é stato qui fino a 80! Chiara ha deciso di fare altro ma non siamo del tutto dispiaciuti. Tante le soddisfazioni ma tanti anche i sacrifici di un buon fornaio”.

FORMULA BISTROT alle Nazioni

di Giorgio C. Riva Foto di Paolo Canton

CHIAROSA, PANE E DOLCI

Via Gorizia, 7 - 34071 Cormons (GO) - T. 0481.630664 info@chiarosa.it - www.chiarosa.it

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attività della famiglia Canton a San Quirino ha 142 anni. Roberto, “l’innovatore”, sommelier -negli anni ’70 uno dei migliori del Friuli- ha, col figlio Andrea- in cucina dal 1980 dopo le esperienze da Gualtiero Marchesi, al San Domenico di Imola con Marcattilii e in Francia-, reso “stellata”, nel 1982, “La Primula”. Sono i suoi figli, Andrea, appunto, e Emanuela, col genero Pier Dal Mas -pure sommelier, oggi delegato AIS della vicina Pordenone-, che tutt’ora vi mantengono la stella Michelin, che da 33 anni seguita a brillare a San Quirino. Chapeau! Il locale nell’800 si chiamava “Osteria alle Nazioni” e della denominazione i Canton si ricordano quando, in anticipo con i tempi, la moda attuale e l’indirizzo odierno dei grandi chef, affiancano, già nel 1993, al ristorante gastronomico, “il bistrot”, nel caso un’osteria, una “formula” più accessibile, dove gustare piatti del territorio e di una volta, realizzati sempre con ingredienti di alta qualità, che escono sempre dalla cucina di Andrea, amorevolmente serviti da Emanuela con l’aiuto della zia Daniela. Tutto in famiglia. “cose di una volta... cucinate come si deve, con risorse del territorio, tenendo ferma la tradizione e concedendo qualche lieve alleggerimento” (Roberto Locatelli). Piatti, in carta e sull’ardesia, accompagnati dalle proposte, quotidianamente differenti in lavagna, di Pier, alla cui cantina di 20.000 bottiglie circa e di ben 1.600 etichette, tutte in carta con ricarichi onestissimi, si può “accedere” anche dall’“Osteria”. Andrea segue personalmente anche questa proposta di cucina “minore” e può farlo atteso che il ristorante “stellato” è aperto solo a cena con esclusione dei festivi. L’“Osteria”, animata, calda, è anche, come alle origini, il ritrovo del paese. Si è ben accolti da un arredo fresco e, fin dall’esterno, da opere d’arte; a partire dalle sagome di sei artisti sulla facciata ai quadri e alle sculture all’interno, realizzate da amici e avventori di professione artisti. Andateci quando volete, con chi volete, magari per poi “smaltire” con una passeggiata alla scoperta dei Magredi, tra Cellina e Meduna.

BORGO DELLE OCHE - Rosso Svuàl 2008 Uve: merlot 70%, cabernet sauvignon 30% - Gr 13% - € 20 Rosso rubino acceso con bagliori violacei. Piccola frutta rossa matura, sottobosco, funghi. Ventaglio elegante di spezie quali: chiodi di garofano, pepe lungo e noce moscata. Frutta secca e grafite. Avvolgente, dal tannino vellutato. Allungo sapido, caldo e ben bilanciato. Chiusura lenta e appagante. 24 mesi nel piccolo rovere francese. Reale di maialino salsa al mirto.

DEGUSTAZIONI

alle Nazioni

LE MONDE - Friuli Grave Cabernet Sauvignon 2012 - Gr 13% - € 11 Rosso rubino intenso. Profumi intriganti di macchia mediterranea e note fruttate di ciliegia e prugna, polvere di caffè e cuoio. Chiodi di garofano e pepe. La beva, scorrevole, riprende le note fruttate. Buona freschezza e sapidità che equilibrano il palato. Chiude con piacevoli sensazioni speziate, accenni lievemente erbacei e tocchi balsamici. Trippa in umido.

LA DELIZIA - Friuli Grave Merlot Sass Ter 2012 - Gr 12,5% - € 8 Rosso granato fitto. Bouquet delicato e gradevole, di rose e viole, apre la strada a prugna sotto spirito, sottobosco e sfalci d’erba per poi virare su saporose sensazioni balsamiche. Sorso di grande piacevolezza in cui un corpo sinuoso e ben equilibrato si concede una lunga chiusura che richiama le note floreali e fruttate. Matura in acciaio per 6 mesi. Carciofi ripieni di carne.

UN “CLASSICO” ALLE NAZIONI: FRICO AI FUNGHI PORCINI (x 4):

Tagliate 500 gr di funghi, i “manici” a piccoli cubetti e le “teste” a grossi spicchi. Rosolate i “manici” e impastateli con 150 gr di patate bollite e schiacciate e con 300 gr di formaggio di media stagionatura grattuggiato grossolanamente. Formate dei piccoli tortini del diametro di 5/6 cm, con uno spessore di circa 2 cm. Adagiate i tortini su carta antiaderente e lasciate raffreddare. Ripassateli in farina di mais e rosolateli in una padella antiaderente con un goccio di olio di semi. Serviteli con le teste passate al burro.

Abbinamento: LIVON Collio Sauvignon Valbuins 2013

ALLE NAZIONI Via San Rocco, 47/I 33080 San Quirino (PN) T. 0434.91005 info@ristorantelaprimula.it - www.ristorantelaprimula.it chiuso Domenica sera e Lunedì

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TENUTA FERNANDA CAPPELLO - Friuli Grave Friulano 2012 Gr 12,5% - € 8 Giallo paglierino luminoso. L’ impianto olfattivo riconduce a intense note fruttate quali pera e mela mature. Seguono la fresia gialla e la salvia che accompagnano le folate di fienagione e la mineralità gessosa. L’assaggio è di buona freschezza e sapidità. L’ allungo riprende le note fruttate e le fioriture. Chiude su temi sapidi. Gnocchi burro fuso e ricotta affumicata.

LIVON Collio Sauvignon Valbuins 2013 - Gr 13% - € 15 Paglierino intenso e lucente. Gran ventaglio di profumi varietali di grande eleganza e pulizia. Fiori di mughetto e sambuco, pesca bianca e pera gialla, scorza d’agrumi. Folate di mentolo e anice. Erbe mediterranee e intense folate marine. Ingresso appagante, sapido e fresco. L’allungo morbido a rendere il sorso equilibrato e molto piacevole. Chiusura lunga su raffinate note varietali e iodate. Vinificato nell’acciaio.

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Tenuta di Angoris:

a cominciare dal 1648

Parlare di Angoris significa parlare di un luogo che ha fatto la storia del nostro territorio. Significa entrare in uno spazio dove si può ammirare lo scorrere del tempo degli ultimi quattro secoli. Significa incontrare la storia dell’enologia di questa regione. Significa ricordare le centinaia di persone che qua hanno lavorato e vissuto nel corso di tutti questi decenni. Significa guardare con sicurezza al futuro. La famiglia Locatelli ha saputo capire il valore e le potenzialità della Tenuta di Angoris, e fin dagli anni ’70 ha innovato la cantina e la produzione, portando in azienda quello spirito imprenditoriale che da sempre la contraddistingue. D’altronde, ad Angoris si imbottigliava già negli anni ’80 del 1800! E nel 1973, grazie allo slancio d’avanguardia dei Locatelli, Angoris è stata una fra le prime aziende su tutto il territorio nazionale a produrre spumante: spumante che non ha mai smesso di creare sia con il Metodo Charmat (il Modolet!) sia con il Metodo Classico (il Sedici Quarantotto!). Se la storia ha molto da raccontare, anche il presente si presenta bene: l’azienda possiede vigneti in tre zone DOC di produzione che danno vita a due linee principali (una di pianura, DOC Isonzo, e una di collina, DOC Collio e DOC Friuli Colli Orientali) e a due linee di spumanti. La nostra carta dei vini spazia dai vitigni internazionali più classici come il Sauvignon, lo Chardonnay, il Merlot e il Cabernet Sauvignon, a quelli autoctoni che contraddistinguono la nostra regione: il Friulano, la Ribolla Gialla, lo Schioppettino, il Pignolo e il Picolit. E altri ancora. Voi potete scrivere il futuro di Angoris. Il modo migliore per conoscere la Tenuta è visitarla: cominciare con una passeggiata in vigna, continuare fra i segreti della cantina, proseguire nelle stanze di Villa Locatelli e concludere in sala degustazione con un calice in mano.

Tenuta di Angoris S.r.l. | Loc. Angoris 7 34071 Cormons (Go) | Tel 0481 60923 www.angoris.com | info@angoris.it


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E MILIO E ROSA

Scrivere degli amici è difficile, imbarazzante e spesso controproducente.

“Certo che scrivi di quello, è un tuo amico…”. E allora anche quando ci sarebbero storie belle da raccontare, ricche di particolari e di episodi che si conoscono proprio perché si è amici, si cerca di evitare, di glissare, per non incorrere in critiche o sospetti. Ma stavolta me ne frego. Lo dico chiaramente, Emilio e Rosa Rotolo sono miei amici. Sono persino il testimone di nozze di Rosa, quindi se qualcuno ha voglia di farsi prendere dai dubbi faccia pure. Però la loro storia è talmente bella che non si può non raccontare. Da anni vivono a Togliano, vicino Cividale del Friuli. Da quando Emilio ha acquistato la Volpe Pasini, storica azienda vitivinicola dei Colli Orientali che fu fondata addirittura nel 1586. La comprò quasi per caso, era immobiliarista e gli capitò di farlo, come aveva fatto per molte altre proprietà in precedenza. Ma aveva sottovalutato il fascino dei vigneti, del produrre vino. Emilio è di origine calabrese, nato a Tropea, figlio di un famoso pasticcere, laureato in medicina (fu proprio la professione di medico a portarlo in Friuli) e successivamente divenuto esperto in compravendita di immobili. Rosa è veneta, veneziana, anzi. È una donna bellissima, gentilissima ed elegantissima. Ha qualche anno più di Emilio ma sfido chiunque ad accorgersene, visto che ne dimostra molti meno di lui. Entrambi vengono da passate esperienze matrimoniali, hanno figli e vite precedenti al loro incontro. Ma come raramente accade, almeno così, a un certo punto del loro percorso si sono incontrati e hanno deciso che non avrebbero fatto più a meno l’uno dell’altra. È stata, ed è, una grande storia d’amore, di complicità, di tutto. Anche di vino. Perché da quando la Volpe Pasini è loro, il fare vino, il farlo meglio possibile, buonissimo, è diventato parte integrante della loro vita. Emilio è un perfezionista. Ha affrontato un mondo che conosceva poco, in una regione di grande prestigio, venendo da luoghi lontani, con il piglio di chi voleva dimostrare a chi lo commiserava (“ma cosa vuoi che combini quel calabrese che non ha mai visto un vigneto decente in vita sua…”) che il più forte era lui. Rosa lo ha seguito, sostenuto, incoraggiato solo come una donna innamorata sa e può fare. Oggi, dopo quasi vent’anni, quando Emilio nelle manifestazioni pubbliche prende la parola e dice “Noi, produttori friulani...” si può ridire solo sulla pronuncia della “o”, che è rimasta aperta, come in dialetto calabrese. Ma non sulle vigne, tenute come giardini, non su quei vini, Pinot Bianco e Sauvignon dello Zuc di Volpe su tutti, non sulle sue capacità imprenditoriali che oggi sono chiare a tutti e sulle quali non ironizza più nessuno. Da qualche anno è entrato in azienda anche suo figlio Francesco. È a lui che Emilio ha affidato i rapporti con la famiglia Schiopetto, con Maria Angela e con Carlo soprattutto. “Sono solo poco più grandi di te, vi capirete meglio di come potrei fare io”. Perché circa due anni fa Emilio ha acquistato anche quella leggendaria cantina, lasciando i figli di Mario Schiopetto nei loro ruoli, e riservandosi solo un compito di rilancio e di controllo amministrativo, ma non pretendendo cambiamenti di carattere viticolo o enologico. “Aveva impostato tutto Mario Schiopetto, c’è solo da imparare. Tu conosci la cantina: la dotazione tecnica, il modo di lavorare, sono ancora all’avanguardia, e i vigneti sono uno spettacolo”. Essere imprenditore significa saper valutare bene tutti gli aspetti, significa decidere sulla scorta di quelle valutazioni e non semplicemente comandare. Questa è una lezione che Emilio ha imparato bene e i successi che sta avendo gli danno ragione. Chi l’avrebbe detto solo due decenni fa circa, quando ha iniziato da perfetto neofita un’avventura come questa. Da calabrese trapiantato in Friuli, da medico che diventa viticoltore, da uomo che in età matura ha il coraggio di perdere la testa per una donna e reinventare una vita con lei. È vero, Emilio e Rosa sono miei amici, carissimi amici, ma, ditemi voi, ho fatto così male a raccontare la loro storia?

di Daniele Cernilli www.doctorwine.it Foto di Francesco Rotolo

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Se siete arrivati a San Daniele e vi trovate in Piazza Vittorio Emanuele I o Piazza del Duomo, (per i nativi la Place), avete di certo due obiettivi. ll primo (ma non è detto) rientra nel campo artistico-culturale e, allora, visitate la chiesa di Sant Antonio abate, con quella che può essere definita la Cappella Sistina del Friuli, cioè l’abside affrescata da Martino da Udine, noto come Pellegrino da San Daniele; proseguite con le affascinanti miniature dei codici conservati nella celebre Biblioteca Guarneriana, e, non tralasciando la pudica chiesa di S. Maria della Fratta, vi beate con gli splendidi panorami che si godono dall’alto della contigua scalinata panoramica e dal quieto parco del Castello. L’altro obiettivo è di natura più prosaica, ma non meno accattivante e formativo : gustare il più che celebrato prosciutto, potendo, magari, anche visitare uno dei posti in cui viene prodotto. Se è questo che vi aspettate, una volta che siete ai piedi dell’ampia scalinata del Duomo, non dovete far altro che scendere lungo via Garibaldi, oltrepassare il Portonat, la porta che s’affaccia sul Nord, e, continuando per la breve discesa di via Mazzini, arrivare all’inizio del Borgo di Sopracastello. Ed è in questa zona, detta ‘La Glacere’, in quanto un tempo si conservava il ghiaccio proveniente dal vicino Lago di Ragogna, che sorge l’omonimo prosciuttificio, che idealmente continua quanto fatto dalla famiglia di Andrea Natolino. All’inizio degli anni sessanta, il buon Dree diede il via ad un laboratorio familiare di stagionatura di alcuni prosciutti e, dopo alcuni anni, visto il successo dell’iniziativa, ampliò gli spazi produttivi, aggiungendo all’abitazione un corpo contenente i solai di stagionatura e le stanze di preparazione delle cosce. L’attività ebbe comunque sempre un carattere artigianale, che permise di conservare nel tempo l’iniziale favorevole accoglienza da parte dei consumatori. La Glacere, unica nel suo genere come posizione a metà collina, rivolta inoltre verso il Nord, può godere della frizzante ventilazione proveniente da Settentrione lungo il canale del Tagliamento, ventilazione che si caratterizza per il basso tasso di umidità che apporta nei solai di stagionatura e che si combina egregiamente con quella proveniente da Sud, più ricca di umidità e di sale. Dopo la chiusura dell’attività da parte della famiglia Natolino, dovuta a motivi di età, Domenico Molinaro, storico prosciuttaio sandanielese, con alle spalle diverse esperienze di produttore, sempre a carattere artigianale, ha riunito accanto a sé un gruppo di appassionati cultori del Sandaniele verace e ha dato il via a questa nuova esperienza. Dopo aver ristrutturato completamente i locali, con una progettazione degli spazi più attuale e più consona alle mutate esigenze, si è proceduto a creare un’ampia zona destinata alla degustazione hic et nunc e alla vendita diretta al pubblico. L’obiettivo della Glacere è quello di riuscire ad ottenere un prodotto con le caratteistiche classiche del Sandaniele, quelle che l’attuale produzione a scala industriale non sempre riesce a raggiungere. Si pensa quindi ad un prosciutto asciutto, di grossa pezzatura, profumato come era l’originario Sandaniele. Per rafforzare questo atteggiamento operativo ed esaltarne le qualità artigianali, si è intrapresa la strada di condividere la produzione con un allevatore locale, che possa garantire una crescita equlibrata e corretta dei maiali. Nello specifico si è aperta una collaborazione con l’Azienda agricola ZUALT di S. Vito di Fagagna, che cresce il suo bestiame con prodotti coltivati direttamente ed esclusivamente in proprio. Tutto ciò discende dalla convinzione che per avere una qualità significativa e stabile nel tempo, sia innanzitutto necessario puntare sulla sinergia tra allevatore e produttore per un controllo costante dei vari momenti operativi. Attualmente la Glacere sta lavorando con prodotti di pezzatura media, a coscia fresca, che si aggira intorno ai 16 Kg. e con un tempo di stagionatura minimo di 18 mesi. Come accennato in precedenza, uno spazio rilevante nello stabilimento lo ha la zona destinata alla degustazione e alla vendita al pubblico, momenti che hanno a supporto l’interessante visita agli spazi produttivi. In questa zona, creata con concetti moderni che si basano sulla semplicità e sulla funzionalità, ci si può soddisfare immediatamente con l’ottimo prosciutto accompagnato da appropriati vini friulani. A chiusura della visita si può scegliere di partire portando con sé o un trancio di prosciutto sottovuoto, o la classica scatola di affettato; o la busta sempre di affettato sottovuoto o la vaschetta con il prodotto in Atmosfera Modificata. Nei mesi estivi, all’esterno, all’ombra di graziose piante da frutto, in un’area appositamente attrezzata, si può gustare il sandaniele ammirando contemporaneamente lo splendido panorama delle Prealpi Carniche. La Glacere vi aspetta.

di San Daniele

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La Glacere Srl - Società Agricola - Via Osoppo,9 - 33038 San Daniele del Friuli (UD) T. 0432 954102 info@laglacere.it


GIAN - Merlot 100%

la storia continua...

VINIFICAZIONE Le uve diraspate e pigiate, vengono poste in vasche di cemento termocondizionate per la fermentazione ad una temperatura di 25-27 gradi, che viene accompagnata da una precisa tempistica di operazioni (rimontaggi e delestage) volte ad una estrazione delicata delle sostanze contenute nelle bucce. COLORE Rosso rubino intenso.

GURIUT - Chardonnay 100%

...le nostre etichette

VINIFICAZIONE Il mosto viene fatto decantare a freddo per 8-16 ore a circa 11-12 gradi. Una parte viene avviata alla fermentazione in botti di rovere, dove rimane sulle fecce nobili per 8-9 mesi, mentre la percentuale maggiore viene posta a fermentare in vasche di cemento, dove vi resta per 8-9 mesi prima del loro assemblaggio e imbottigliamento. COLORE Giallo paglierino con riflessi dorati.

SBILF - Friulano 100% VINIFICAZIONE Una parte delle uve viene pressata a grappolo intero ed il mosto fatto decantare a freddo per meno di 24 ore per poi essere travasato in vasche di cemento, mentre una parte viene fatta fermentare sulle bucce per 4/5 giorni in tinelli di rovere ed alla fine le due parti vengono unite. Dopo la fermentazione, il vino viene lasciato sulle fecce nobili per circa 20 mesi con battonage periodico, in vasche di cemento. COLORE Giallo oro.

BERGUL - Uvaggio rosso

Strada S.Anna, 66 33043 Spessa di Cividale (UD) T. / F. +39 0432 719510 info@lisfadis.com www.lisfadis.com

VINIFICAZIONE Le uve hanno maturazioni diverse, in base alla tipologia e vengono gestite separatamente, in fase di fermentazione e di macerazione.Per il refosco la fermentazione avviene in tinelli di legno di rovere da 10 q.li e follati a mano per circa 20/30 giorni con successiva torchiatura soffice. Per il merlot questa operazione avviene in vasche di cemento, per lo schioppettino si utilizzano sia i tinelli che le vasche in cemento. COLORE Rosso rubino con riflessi violacei.


LE VERDURE DI GIGI, CONTADINO DI MONTAGNA di Renzo Zorzi Foto di Fabrice Gallina

Fevrarùt piês di dut… recita un proverbio popolare friulano. La coda dell’inverno ci ha colto di sorpresa e l’appuntamento a Pontebba (near Tarvisio) con Luigi Faleschini, per tutti Gigi Verdura, si è trasformato in una sorta di inaspettata peripezia.

FALESCHINI LUIGI Via Zardini, 15 33016 Pontebba (UD) T. 0428.91005 M. 328.7633563 faleschinibio@gmail.com www.azagrfaleschini.valcanale.org

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abrice ed io sembriamo, nostro malgrado, figure epiche uscite da un racconto di Sgorlon. Nevica che dio la manda e le intense folate di tramontana non rassicurano l’incedere lento del nostro mezzo di trasporto che vanta un numero ragguardevole di certificate revisioni biennali. Anche Gigi potrebbe sbucare da una pagina del grande romanziere di Cassacco. Classe 1965. Appartiene, con orgoglio e piena consapevolezza, a quella razza antica, scomparsa per lo più, definita “contadini di montagna”. Fare attività agricola a Pontebba, nel bel mezzo delle Alpi Giulie, non è facile. Lo troviamo intento, con i suoi aiutanti, nel tecnologico laboratorio ricavato nella vecchia casa di famiglia, a pulire la radice delle crepis (vegetale simile al tarassaco) per farne una preparazione sott’olio. “E le foglie?” “Madre Terra mi ha insegnato che non si butta via niente, - mi risponde ridendo - farò una composta, sarà perfetta per il pesce al forno”. Gigi, sorriso perennemente stampato sul volto, occhi vivi e mobilissimi, è vissuto da ragazzo, al seguito del padre ingegnere minerario, a Bologna e poi a Milano. Qui si diploma perito agrario e, per hobby, coltiva un minuscolo orto ricavato nel piccolo giardino di casa in …centro, all’ombra del Pirellone. Si è poi trasferito a Pontebba, nella terra dei padri e nel 1990, recuperando alcuni terreni incolti presi in affitto, inizia l’attività di ortolano dapprima e di trasformatore poi. È stata fin dall’inizio la scelta biologica. “Ero una mosca bianca e mi considero un pioniere in Friuli – Gigi continua con il coltellino a ritagliare le foglie di quelle piantine selvatiche e tardive che già immagina trasformate a valorizzare il piatto - Fare impresa in montagna è difficile, figuriamoci fare agricoltura, biologica poi!”. L’ attività si è, negli anni, consolidata e le soddisfazioni non mancano. Oltre l’attività del fresco nella bella stagione, è la sua grande esperienza nella trasformazione che rende Gigi uno specialista dei conservati. L’ Orto Bio in Conserva, assieme a Savôrs di Cjase sono marchi ben conosciuti dalla ristorazione di qualità. Faleschini, oltre al Friuli Venezia Giulia, accontenta clientele esigenti nelle regioni limitrofe ma anche in Austria e Germania. È dall’inventiva e dalla sensibilità di Gigi che nascono verdure sott’olio, ottime per antipasti, o quelle in agrodolce per carni lesse e salumi. Anche gli sciroppi di fiori di sambuco, quelli di melissa ed erba luisa e i succhi di mela sono realizzati con genuina artigianalità. Le creme, le composte e le confetture sono le produzioni di maggior successo e impreziosiscono, con le insuperabili qualità organolettiche, i piatti più raffinati. Mela zenzero o mela cannella: fantastica sui formaggi freschi. Pera e peperoncino per formaggi e ricotte. Crema di mela e zenzero: con formaggi pecorini o sui formaggi di fossa. Crema di mela e lampone: sulla ricotta affumicata o sul formadi frant. Crema di melanzane per la preparazione di omelette con ricotta. Crema di radicchio rosso: per risotti o per condire gnocchi di patate o semplicemente spalmata su un crostino caldo con lardo. E poi ancora: crema di erbette rosse al pino mugo, crema piccante di pomodorini datterini e melanzane, crema di melanzane, crema di cipolle, crema di scuntic e sclopit, crema di radic di mont, crema di aglio orsino, crema di ortiche. Chutney di mela e cipolla con zenzero, pepe e scorze d’arancia candite. Chutney di mela e cipolla con ginepro, chiodi di garofano e pepe nero. Naturalmente anche le classiche preparazioni sott’olio offrono una ricca scelta: zucchinette e pomodori verdi sott’olio, peperoni sott’olio, ratatuia di verdure estive, radicchio rosso tardivo sott’olio, tarassaco sott’olio e in agrodolce. È infinita la lista di confetture. Credo che non esista pianta edibile che Luigi Faleschini non sia riuscito a trasformare in una eccellente specialità gastronomica. Solare, disponibile con tutti e sempre pronto alla battuta. Gigi è una persona semplice e vera, in perfetta sintonia con la natura e il fatto che realizzi tutte quelle straordinarie preparazioni è solo uno dei motivi per andare a trovarlo fin su, a Pontebba, nel bel mezzo delle Alpi Giulie. Ne vale la pena.


“ Naturalmente Vino” Ogni vino è una storia da raccontare, una famiglia, una terra, la sua tradizione, un album di fotografie sbiadite con volti segnati dal tempo e dalla fatica e occhi colmi di aneddoti da tramandare e con pagine bianche da riempire con le vendemmie future. La bottiglia di vino è lo specchio del produttore! Ognuno a suo modo è l'unico vero testimone di una vita dedicata all'agricoltura. Ognuno a suo modo è interprete di un mondo quello del vino,di cui non si trovano i confini, dove la Natura detta i ritmi. A Le Monde la Natura ci guida, ci insegna, ci emoziona e ci sorprende. La rispettiamo e la ascoltiamo tutti i giorni. Ogni gesto ogni decisione ogni risultato derivano da ciò che la Natura ci ha suggerito e a volte ,imposto. Sacrificio, presente, passione , ambizione, passato rispetto, futuro,persone... tutto ciò è... "Naturalmente Vino "... a Le Monde...

Soc. Agr. Vigneti Le Monde | Località Le Monde | Via Garibaldi, 2 | 33080 Prata di Pordenone PN | T. 0434 622087 info@lemondewine.com www.lemondewine.com


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I VINI IN ABBINAMENTO - La

La Ricetta di

MangiaVino

scelta del Patron Guido Lanzellotti

LE VIGNE DI ZAMÒ COF Rosazzo Ronco dei Roseti 2009 Uve: merlot 60%, cabernet sauvignon 20%, cabernet franc 15%, pignolo 5% - Gr 13% - € 26 Granato cupo. Profumi intensi ed eleganti. Confettura di prugne, cacao, pepe nero, chiodi di garofano, tabacco, china, folate di erbe alpine e fiori secchi. Corpo pieno. Tannino rotondo sostenuto da sapida freschezza. Lunga persistenza balsamica. Vinificazione in botti grandi, maturazione per 24 mesi in barrique e altrettanti in bottiglia.

SELLA DI LEPRE, GRUE DI CACAO, PURÈ DI ZUCCA E POLENTA DORATA Chef: Alessio Devidè Per 4 persone 700 gr di sella di lepre 50 gr di graniglia grue cacao 30 gr di cioccolato fondente Guanaya 70% 300 gr di burro 300 ml di vino rosso 500 gr di zucca ferrarese 250 gr di farina di mais gialla l’albume di un uovo erbe aromatiche e spezie: timo, rosmarino, cannella, salvia, alloro, chiodi di garofano, pepe nero in grani sedano verde, carota, cipolla, uno spicchio d’aglio, gambi di prezzemolo, buccia d’arancia

SPECOGNA FCO Oltre 2011 Uve: refosco dal peduncolo rosso 80%, pignolo 10%, schioppettino 10% - Gr 14% - € 35 Rubino fitto. Sentori olfattivi intensi e penetranti. Successione di piccola frutta rossa matura, cioccolato fondente, chicco di caffè e spezie dolci e scure. Sorso robusto, equilibrato da freschezza, con tannino setoso, dolce ed elegante, ottima corrispondenza e lungo finale speziato. 24 mesi in legno di rovere.

BORGO SAN DANIELE Arbis Ròs 2008 Uve: pignolo 100% - Gr 14% - € 22 Rosso granato impenetrabile. Profumi decisi di: amarena sotto spirito, confettura di mirtilli, macchia mediterranea e caffè. Inchiostro, grafite e una sottile sensazione ferrosa. Avvolgente grazie ai tannini elegantemente vellutati. L’ intensa freschezza sorregge il sorso che perdura a lungo. Lieviti autoctoni. Per 20 mesi nel rovere di varie dimensioni.

Foto di Ennio Calice LIS FADIS FCO Rosso Bergul 2010 Uve: refosco dal peduncolo rosso 40%, schioppettino 40%, merlot 20% - Gr 13,5% - € 26 Rubino impenetrabile. Olfatto complesso di note ferrose, foglie secche, terra bagnata, confettura di prugne e ciliegie, erbe officinali, china e mentolo. Ingresso vellutato e caldo. Tannino ben articolato. La freschezza balsamica a equilibrare. Finale che richiama il frutto. Vinifica separatamente con successiva maturazione in botti di varie capacità per 20 mesi.

Disossare una sella di lepre e ricavare due filetti ben pareggiati. Marinarli 24 ore sottovuoto in olio extravergine di oliva, timo, rosmarino, alloro, uno spicchio d’aglio, chiodi di garofano, una stecca di cannella, pepe nero in grani, grue di cacao e alcune gocce di aceto balsamico tradizionale. Con le ossa della sella, a piccoli pezzi, preparare un fondo: rosolarle nel burro, aggiungere abbondanti verdure ed erbe aromatiche, bagnare con vino rosso corposo, evaporare. Aggiungere acqua e far consumare per un’ora. Filtrare e continuare a restringere fino a ottenere una salsa densa e profumata; filtrare a maglia fine e tenere in caldo. Cuocere in forno la zucca tagliata a pezzi finché non risulterà tenera; passare al setaccio per ottenere un purè fine, mantecare con burro fresco e buccia di arancia. Salare e pepare. Tenere al caldo. Preparare una polenta classica, lasciarla raffreddare. Tagliarla a cubetti regolari, spennellarli con albume d’uovo e passarli nella farina di mais. Togliere dalla marinatura i filetti di lepre, salare e pepare. Scottare velocemente la carne in padella rovente con lo spicchio d’aglio e timo fresco, raffreddare velocemente. Mettere sottovuoto i filetti e immergerli in bagno termostatico a 57*C per 120 minuti. Estrarre i filetti, asciugarli, spennellarli con albume d’uovo e panare con grue di cacao; passarli quindi in padella con del burro di cacao in maniera di rosolare la carne e tostare allo stesso tempo la graniglia di cacao che sprigionerà così i suoi aromi. Far riposare la carne alcuni minuti. Nel frattempo preparare il piatto. Adagiare una cucchiaiata di purè di zucca e con una paletta ottenere una striscia; appoggiarci due cubetti di polenta fritta al momento, il filetto di lepre tagliato in tre pezzi; decorare con erbe aromatiche a piacere e nappare la carne con la salsa calda legata all’ultimo momento con burro fresco e cioccolato fondente (almeno al 70%). 42

RONCO SEVERO FCO Merlot Artiùl Riserva 2009 Gr. 14,5% - € 30 Granato fitto e impenetrabile. Naso complesso e scuro. Fico glassato, china, erbe aromatiche secche. Intense folate di tartufo nero, goudron, spezie orientali e grafite. Perfetto l’equilibrio gustativo. Beva saporosa e calda. I tannini fitti e morbidi. Il finale è lunghissimo con richiami balsamici e speziati. Lunga macerazione sulle bucce e 36 mesi in barrique.

OSTERIA ALTRAN Cortona, 19 33050 Ruda (UD) T. 0431.969402 - osteria.altran@libero.it


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È ancora il grande albero che campeggia rigoglioso

IL GRIGIO DEL GELSO di Renzo Zorzi e Gianni Ottogalli Foto di Massimo Crivellari

e solenne all’ingresso dell’azienda. È molto di più di un simbolo aziendale, ricorda una stagione storica del Friuli, mai troppo lontana, che attraverso la coltivazione del baco da seta cercava di dare sostegno alle magre risorse dell’economia rurale. Troviamo Giorgio indaffarato nelle operazioni di cantina. È un ragazzone alto, dai tratti e dai modi che richiamano, nell’immaginario collettivo, lo stereotipo del friulano. Serioso, a modo, concentrato, concreto. Si, a chi non lo conosce può apparire così, un po’ burbero. Niente paura, è solo la “scorza friulana”. Noi lo conosciamo e lo stimiamo, da quando, ancora ragazzino, decise che l’azienda agricola familiare doveva concentrare i suoi sforzi nei vigneti e non più nei seminativi e nella zootecnia. Era il 1988, quando per la prima volta imbottigliò il vino prodotto. Furono 3.000 le bottiglie di quell’anno e gli ettari vitati erano solo 2. Oggi sono 25 e le bottiglie superano le 150.000. Si trovano nella migliore ristorazione e nelle vinoteche più importanti di tutti i continenti. Una buona parte di quelle bottiglie sono realizzate con le uve di un vitigno che ha in Friuli la terra di elezione: è il pinot grigio. “È il tuo vino Giorgio! -gli dissi in una delle tante occasioni di ritrovo- so che hai qualche annata messa da parte. Cosa ne dici? Sarebbe bello parlare su MangiaVino del Pinot Grigio friulano!”. Non mi diede neanche il tempo di finire la frase, la risposta fu un “si” entusiasta. Oggi siamo qui, le bottiglie allineate, così i calici. Giorgio racconta la sua filosofia del “fare” vino. Di quei 25 ettari vitati ben 8 sono dedicati al pinot grigio. I terreni appartengono all’area più vocata della piana isontina che ha la denominazione di Rive Alte. “Nel realizzare il mio Pinot Grigio -racconta Giorgio mentre lo aiutiamo a stappare le bottiglie- cerco di

trovare la combinazione perfetta tra la pianta e la tecnologia, non invasiva, della cantina che valorizza la potenzialità del frutto. Questo vino tende a migliorare negli anni e io l’ho pensato non solo per la pronta beva, ma soprattutto per l’abbinamento con i piatti sui quali è particolarmente duttile”. “Sei in netto contrasto con l’immagine che attualmente il Pinot Grigio ha nel mondo -rimarco prontamente- dove viene considerato poco più di un vino da aperitivo”. “Si è vero -Giorgio si ferma quasi per fissare l’importanza di quello che sta per dire- ma il Friuli produce quasi certamente il più grande Pinot Grigio al mondo e deve farlo sapere. Soprattutto la parte collinare della regione e anche la parte destra dell’Isonzo, producono, non da ieri, una qualità altissima di questo vino. Recentemente Stephen Brook ha dedicato a questi Pinot Grigio friulani un bellissimo servizio sulla rivista americana più importante del settore che è Decanter mettendone proprio in evidenza la qualità eccellente. Questi prodotti sono molto diversi da ciò che il mercato di massa offre e se questo famoso giornalista ne riconosce il valore è un fatto importantissimo e gratificante”. Badin cura moltissimo i suoi vini che sono il frutto delle sue convinzioni enologiche (in particolare la tecnica dell’iper ossigenazione) e delle sue esperienze concrete in vigna. I terreni e i climi imprimono ai prodotti un naturale equilibrio e una delicata aromaticità che valorizza la presenza del frutto. Tutto questo rende i vini di Ronco del Gelso adatti all’invecchiamento. Nove sono i calici sul grande tavolo della sala di degustazione. La mescita già rivela segreti, piccole sfumature del colore, crea aspettative importanti. Si, c’è anche chi dice che il Pinot Grigio è solo un vino da pronta beva. Non di certo quello di Ronco del Gelso!

Vigneti di proprietà: Cormòns, località Sot Lis Rivis. Pianura, altitudine 60 s.l.m. Tipo di terreno: ghiaioso Varietà: pinot grigio R6 Produzione a ceppo: 1,0 – 1,2 kg circa Densità d’impianto: 5700 piante/ha Forma di allevamento: guyot Epoca vendemmiale: settembre Bottiglie prodotte: 5700 (annata 2013) Prezzo medio enoteca: € 16 RONCO DEL GELSO Via Isonzo, 117 34071 Cormòns (GO) T. 0481.61310 info@roncodelgelso.com - www.roncodelgelso.com

Vendemmia manuale in cassetta con selezione delle uve. Vinificazione in bianco senza macerazione. Pressatura soffice di uva intera. Fermentazione a temperatura controllata di 19°C con lieviti selezionati. Conservazione e stoccaggio in botti in rovere da 25 hl per un anno e successivamente imbottigliato. Non svolge la fermentazione malolattica. Ultima annata messa in commercio: 2013. 45


Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2013 - Gr 13,5% - Punteggio: 89/100 Andamento climatico: annata buona. Splendido colore giallo paglierino brillante con riflessi dorati. Delizia l’olfatto con profumi di fiori d’acacia, kiwi, mela golden, pera ruggine e scorza di cedro per poi regalare suggestioni di mineralità ghiaiosa e rocciosa. Il sorso è fresco e succoso, vitale, dinamico, ricco di sapore e di sfumature aromatiche. Salmone marinato alle erbe. Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2012 - Gr 14,5% - Punteggio: 92/100 Andamento climatico: annata mediamente buona. Un sottile ma elegantissimo riflesso ramato impreziosisce i bagliori dorati che illuminano il bicchiere. Intense note di erbe officinali invadono l’olfatto seguite da sbuffi floreali e dalla confettura di frutti gialli. Al palato è deciso, cremoso, potente, muscoloso ma al tempo stesso sapido e rinfrescante. Branzino al sale di Pirano.

Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2011 - Gr 14% - Punteggio: 88/100 Andamento climatico: annata buona, tendenzialmente calda. L’ ottima concentrazione del colore giallo paglierino non limita la limpidezza ma la valorizza. Al naso è intrigante e coinvolgente con un intreccio di frutta tropicale, fieno fiorito e frutta secca in continua alternanza. Il sorso è immediato, morbido, caldo e avvolgente, ricco e dall’allungo medio. Quiche di porcini.

Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2010 - Gr 13,5% - Punteggio: 91/100 Andamento climatico: annata mediamente fredda e in parte piovosa. La fittezza e la lucentezza del colore ricordano l’oro zecchino. L’ olfatto apre con un cocktail aromatico originale, quasi alsaziano, fruttato e speziato con risvolti salini e sentori balsamici. L’ assaggio è secco, diretto, verticale. Soddisfa il palato lasciandolo intriso di sfumature aromatiche indelebili. Trenette all’astice. Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2009 - Gr 14% - Punteggio: 93/100 Andamento climatico: annata buona per la maturazione perfetta delle uve. Inusuali riflessi di gioventù rendono la brillantezza del colore sorprendente, fantastica, e lanciano un chiaro messaggio sulla delicatezza e la fragranza del profumo, fruttato e ancora floreale di sambuco e gelsomino, con sfumature minerali che in bocca esplodono regalando un sorso vivace e corrispondente. Dentice con crema di topinambur e pomodorini confit.

Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2008 - Gr 14,5% - Punteggio: 86/100 Andamento climatico: annata calda e difficile per la cultivar. Bellissimo vestito di seta giallo intenso che suscita interesse e curiosità. L’ evoluzione dei profumi regala sentori di frutta matura, candita e caramellata, con un delizioso sottofondo di succo di pera cotta. Il sorso è caldo, cremoso, simmetrico, largo e lungo, maturo al punto giusto. Crespelle di formadi frant. Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2007 - Gr 14,5% - Punteggio: 89/100 Andamento climatico: annata buona e piuttosto lunga. Riflessi dorati impreziosiscono la già bella tonalità di giallo paglierino e vivacizzano l’aspetto. L’ olfatto è invaso da intense folate di frutta esotica matura in alternanza a sentori di fienagione estiva e frutta secca. In bocca è caldo, morbido, avvolgente, cremoso ma estremamente scorrevole e rinfrescante. Terrina di pesce e pistilli di zafferano.

Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2006 - Gr 14% - Punteggio: 93/100 Andamento climatico: annata calda, perfetta, una delle migliori del decennio. Stupefacente per l’aspetto giovanile e la lucentezza del colore. Un’eleganza che si riflette sui profumi, intensi e fragranti, che lo caratterizzano e lo rendono estremamente gradevole al naso. Ma l’apoteosi è nell’assaggio, lineare, pulitissimo, completo, coinvolgente, soddisfacente, praticamente perfetto. Tagliolini con asparagi e zafferano. Friuli Isonzo Rive Alte Pinot Grigio Sot Lis Rivis 2004 - Gr13,5% - Punteggio: 88/100 Andamento climatico: annata buona, molto produttiva. Nell’ invecchiamento il colore ha perso un po’ di smalto ma ha mantenuto una bella tonalità di giallo dorato. Anche i profumi sono evoluti e ricordano la frutta secca, il fieno e il frumento avvolti in un velo immaginario di spezie dolci. Il sorso è ricco, avvolgente, maturo, ancora integro anche se forse al limite. Lumache di mare e polenta gialla.

UNA FAMIGLIA CON LA PASSIONE DEL VINO La sede aziendale è immersa nella piana friulana che, a dispetto dei pochi chilometri che la separano dal capoluogo, offre un paesaggio naturalistico e architettonico davvero ricco e sorprendente.


è ancora grigio e una leggera foschia ovatta l’orizzonte ma Iperlè cielo solo il preludio a una bella, limpida giornata. L’appuntamento è la mattina, sul presto, come si usa tra persone che conoscono

il valore del tempo. La cantina dalle linee geometriche, realizzata dall’illustre architetto Gino Valle, conferma che qui tutto è pensato, e puntualmente realizzato, fin nei dettagli. Trovo Roberto Pighin nel suo studio intento a programmare – come la definisce lui - “l’ennesima uscita per il mondo”. Cordiale e loquace come sempre, mi racconta della sua famiglia e dell’azienda che sono entità e valori inscindibili tra loro; così come la terra! I fratelli Luigi, Ercole e Fernando Pighin l’hanno comprata nel 1963. Il pezzo più grande è a Risano e circonda l’efficientissima cantina. “Operarono subito la conversione e la modernizzazione dell’azienda da mezzadria a nuove forme di produzione, soprattutto vigna e in parte frutteto - mi dice Roberto ricordando gli inizi – e fu mio padre Fernando a credere fortemente in questo progetto. È stato lui anche l’artefice del lungimirante rilancio avvenuto alla fine degli anni Settanta”. Fernando ancora oggi, in barba alla sua veneranda età, è ogni giorno operativo in azienda e, assieme ai figli Roberto e Raffaella segue, con piglio giovanile, ogni scelta aziendale! La famiglia, originaria della destra Tagliamento, era impegnata in attività imprenditoriali diverse dal mondo agricolo ma le origini contadine e la passione per la terra hanno reso fattibile un sogno che oggi conta ben 180 ettari a vigna, la produzione di un milione di bottiglie e l’impiego di decine di addetti! Da più di cinquant’anni Pighin porta le sue bottiglie, con scritto “Friuli” in etichetta, in ogni angolo del pianeta. L’azienda di Risano è stata una vera e propria apripista nel commercio internazionale e tutt’ora è autentico punto di riferimento per l’enologia regionale e non solo. Pighin possiede anche una grande vocazione alla qualità. I vigneti di Pinot Grigio che circondano l’azienda, curatissimi, sono stati portati dai classici 1800 ceppi ettaro iniziali agli attuali quasi 5000. La velocità di raccolta delle uve, data la vicinanza dei vigneti alla cantina, permette di vendemmiare ben 90 ettari in soli 5 giorni a tutto vantaggio di una sana vinificazione e della successiva qualità del prodotto. Decidiamo di andare a visitare i vigneti di proprietà situati in Collio. L’anfiteatro, vitato a Guyot, di Spessa di Capriva offre uno scenario unico al mondo e dal forte impatto visivo ed emotivo. Il ronco, acquistato dalla Pighin nel 1968, ha un’esposizione a mezzogiorno invidiabile. Lo skyline illuminato dalla tersa giornata, che sa di primavera, è bellissimo. In mezzo al vigneto è situata la cantina per la vinificazione e le successive fasi di maturazione. Tutto è curato con la perfezione che solo la passione consente. Nel breve tragitto di ritorno si parla di vini, di futuro, del Friuli vitivinicolo e di mercati. “La solidità e la cultura vitivinicola regionale permettono una visibilità mondiale ormai consolidata ma che noi, produttori friulani, non dobbiamo sprecare. Che proponiamo il vino ottenuto da vitigno internazionale o da autoctono non ha molta importanza – dice Roberto – quello che conta è che sia veramente frutto del territorio e che questo lo si senta nel bicchiere. L’internalizzazione del mercato privilegia l’identità del prodotto, oggi più che mai”. “Non c’è il rischio – ribatto io - che la frammentazione della produzione così come quello delle aziende regionali, unite alla poca quantità di vino che il Friuli offre al mercato - facciamo solo il 2% del vino che ogni anno l’Italia produce - possa essere un ostacolo?”. “Dobbiamo continuare a lavorare per rafforzare sempre più il brand Friuli, – risponde deciso – abbiamo una lunghissima tradizione e siamo una grande terra del vino. Questi sono valori, anche con possibili ricadute commerciali, che nessuno potrà toglierci. In questi decenni appena trascorsi, la qualità del vino del Friuli Venezia Giulia è cresciuta moltissimo e, cosa che conta di più, continuerà a farlo anche negli anni a venire. Non c’è altra strada e ciò vale per la collina e anche per la nostra pianura”. La determinazione di Roberto e la sua positività fanno davvero piacere ma non mi sorprendono affatto poiché l’azienda della famiglia Pighin è una delle bellissime realtà che questa regione del vino offre al mondo. Ha il gallo, come segno distintivo, non a caso. Campeggia sull’etichetta di ogni bottiglia e rappresenta fertilità e solarità, terra e coraggio. di Renzo zoRzi

Viale Grado, 11/1 Frazione Risano 33050 Pavia di Udine (UD) T 0432.675.444 Fax 0432.675.999 info@pighin.com www.pighin.com


SPLENDIDAMENTE AFFETTATE

di Renato Paglia Foto di Karin Snaidero

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irco Snaidero, classe 1960, figlio di agricoltori con il pallino per la meccanica, ha la necessità, per problemi di salute, di abbandonare il lavoro all’aperto di conducente di macchine per movimento terra e di trovare un’occupazione alternativa che gli permetta di mantenere la famiglia con due figli piccoli, Gary e Karin. Agli inizi degli anni ‘80, mettendo a frutto la propria passione, da autodidatta inizia a smontare, riparare e rimontare motorini di tutte le marche e modelli. Lavora molto e bene e il suo nome inizia a circolare tra gli appassionati di due ruote della zona. Certo nemmeno lui si sarebbe mai aspettato un giorno di vedere entrare nella piccola officina una vecchia Guzzi accompagnata dal proprietario che gli chiede di smontarla, rimetterla in sesto e rimontarla. Mirco, da uomo umile e intelligente qual’è, sa che riparare motorini è una cosa, tutt’altra cosa è rimettere a nuovo una moto senza avere specifiche nozioni tecniche. Lavorare, però, bisogna e, in fondo, le sfide quasi disperate lo hanno sempre affascinato. Il restauro della prima Guzzi è pieno di incognite, difficile e lungo, tanto che Mirco si ripromette di non accettare mai più una commessa simile. Ma il lavoro è stato talmente apprezzato e il passaparola tra gli appassionati tanto rapido che, di lì a poco, ecco una seconda moto, poi una terza, poi la richiesta di ricostruirne una ex novo partendo dalla vecchia targa e dalla carta di circolazione e, nel 1994, la “nomina” a restauratore qualificato con l’incarico, da parte della Casa Madre di Mandello, del restauro, per il museo della fabbrica, della Normale Numero 51 -il primo modello Guzzi venduto al pubblico-. Niente male per chi solo una decina di anni prima riparava motorini per la gente di Mels. La grande passione per la meccanica conduce Mirco a cimentarsi anche su altri oggetti oltre che sulle moto. Oggetti che, come le moto, possono essere smontati, riparati e rimontati, o addirittura fabbricati ex novo, sono le affettatrici. Le affettatrici, poi, sono più piccole, più “semplici” e, quindi, più veloci da riparare e il loro numero nei dintorni è di gran lunga superiore a quello di moto Guzzi e, poi, non si può dire di no a chi arriva in officina, che sia con una vecchia monocilindrica o con una lama arrugginita. Tra Mirco e gli ingranaggi delle affettatrici è amore a prima vista. Dapprima ripara vecchi modelli portati dagli abitanti della zona o scovati nei mercati e nelle macellerie di mezza Italia.

Ben presto, però, si accorge che, per le attuali esigenze, le vecchie affettatrici sono troppo grandi e ingombranti fino a risultare quasi inservibili nelle case moderne, dei giorni nostri. L’ idea prende forma sempre più nitida nella mente e tra le mani di Mirco; se sono stato capace di costruire moto, cosa mi impedisce di costruire affettatrici? I primi quattro modelli, tre di taglia ridotta, uno più grande, made in Mels, sono frutto di un lavoro appassionato, meticoloso e preciso, con un’attenzione particolare alla precisione del taglio grazie a un “avanzamento” del carrello di un decimo di millimetro a ogni scatto. Mels è quasi confinante con San Daniele, la nostra cittadina dei prosciutti, ed è con questi che vengono effettuate le “prove di taglio” con risultati ogni volta eccellenti (nella foto affettatrice realizzata per il Prosciuttificio Prolongo di San Daniele - www.prolongo.it). Le fette sono sempre sottilissime, sempre dello stesso spessore, così viene esaltato il grande prosciutto della regione. Tutte le fasi della lavorazione -per sentirsi e essere totalmente responsabili-, dalla tornitura alla sabbiatura, dalla smerigliatura alla verniciatura alla personalizzazione con disegni e decori sono fatti in casa. Solo il bagno per la cromatura è “esternalizzato”. Agli inizi del 2000, in occasione di una visita a un amico macellaio di Parma, Mirco rimane folgorato da una affettatrice imponente, diversa da quelle su cui è abituato a lavorare. Si tratta di una VDF, casa fondata a Bruxelles sul finire del XIX secolo. Ad affascinare Mirco, oltre all’oggettiva bellezza della macchina, è la sua meccanica, geniale e straordinaria, che consente al carrello di muoversi su un perno secondo un moto semicircolare e non su binari come per le affettatrici “classiche”, garantendo una leggerezza e una precisione uniche. Mirco non sta più nella pelle, rientra a Mels e, oltre a gettarsi a capofitto nella riproduzione della VDF, ne acquisisce il marchio diventandone l’unico titolare. Con il passare degli anni e il costante aumento delle commesse -circa 12 “macchine” all’anno- , non più solo locali, ma anche e soprattutto estere, dalla Germania al Belgio, all’Austria, alla Svizzera, alla Spagna, agli Stati Uniti, Mirco è affiancato in officina dal figlio Gary e, da pochi mesi, anche dalla figlia Karin, che si occupa dell’amministrazione e dei rapporti con i clienti. Niente male per chi solo qualche decina di anni fa riparava motorini per la gente di Mels.

OFFICINA MECCANICA SNAIDERO MIRCO Via dai Faris, 2 33010 Mels (UD) T. 0432.889041 - mircosnaidero@libero.it Officina Meccanica Snaidero Mirco


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Foto di Alessandro Martin

GLI EXTRAVERGINI NOSTRANI

Foto di Stefania Moret

IV TAPPA

di Alessandro Martin e Alessandro Pareschi

Quassù, ai margini dell’altopiano del Cansiglio, zona di confine tra Friuli Venezia Giulia e Veneto, lo sguardo si perde nella

pianura sottostante, fino a riconoscere in lontananza il mare, la laguna veneta, la sagoma della città di Venezia. Da qui, scendendo lungo la strada che porta al castello di Caneva, piccolo e suggestivo borgo della pedemontana pordenonese, si raggiungono in poco tempo, attraverso una fitta vegetazione, delle strette colline alle pendici delle montagne. Il paesaggio intorno emoziona: uliveti, vigneti e alberi da frutto si alternano a piccoli terrazzamenti, ruscelli e boschi rigogliosi. Non stupisce il fatto che nobili e mercanti veneziani si fossero innamorati di questo territorio e dei suoi eccellenti prodotti! Tra questi pendii, riparati dai venti freddi settentrionali e vocati alla produzione di olive, uva e fichi (FigoMoro), spicca un colle sinuoso, armonioso nel susseguirsi ordinato di filari di ulivi e viti, e in cima ad esso alcuni fabbricati, un frantoio e una casa padronale: insieme formano l’Az. Ag. Bruno Casagrande. La storia inizia circa 20 anni fa quando Bruno Casagrande, noto imprenditore della zona, sedotto da queste terre, recuperò una vecchia cava di calce e trasformò quella che era una ruvida collina in un luogo ideale per la coltivazione dell’ulivo e della vite. Nata come hobby, l’azienda negli anni è cresciuta grazie a interventi mirati, passione e ricerca della qualità, e oggi, passata di mano ai figli (Daniele, Mauro e Simone) in seguito alla scomparsa del fondatore, si estende su un’area di circa 42 ettari di cui 15 coltivati a oliveto e 17 a vigneto. Fiore all’occhiello di questa realtà agricola è la produzione di olio, denominato a ragione “olio dei Dogi”, perché, durante i periodi più prosperi della Serenissima, alcuni dogi, fra i quali Alvise III di Mocenigo, si fornivano di olio in questa zona, per fini alimentari e scopi industriali. Nonostante ci si trovi in una zona climaticamente e geograficamente difficile, gli ulivi e le viti trovano delle condizioni ambientali ideali di sviluppo, come l’esposizione a sud e la lieve ventilazione costante, fattori che limitano le malattie e favoriscono l’adozione di una coltivazione di tipo biologico. Utilizzando pratiche rigorose (potatura rispettosa della pianta, concimazione organica, assenza di prodotti di sintesi e lotta integrata), l’azienda ha intrapreso nel 2007 un percorso che l’ha portata alla certificazione BIO nel 2010. Su questa collina, che raggiunge i 280 metri e che non ha subito frane negli anni, caratterizzata da un tipo di terra, rossa e ferrosa, tipica della zona, sono coltivate circa 9000 piante di ulivo di età media tra i 15 e i 20 anni. Le principali varietà presenti sono Bianchera (autoctona), Gorgazzo, Casaliva, Grignano, Frantoio, Leccino, Maurino, Pendolino, Picholine, Coratina, e Moraiolo, cultivar che producono mediamente tra i 7000 e 10000 litri annui. Grazie anche all’attenzione in tutte le fasi di lavorazione, dalla raccolta all’estrazione (rese olio/oliva tra 11% e 14%), si ottiene un olio dalle caratteristiche uniche: freschezza, bassissima acidità in acido oleico (compreso tra 0.08% e 0.18%), contenuto vitaminico inalterato rispetto al frutto, pulizia all’olfatto e al gusto, con sentori di mandorla ed erbe di campo, equilibrio tra le note verdi e quelle mature, e giusto bilanciamento di dolce, amaro, piccante. Ne deriva una gamma formata da tre prodotti: l’olio tradizionale ‘BLEND’, miscela di oli di cultivar differenti; l’olio ‘BIANCHERA’, varietà in purezza; l’olio ‘SELEZIONE ORO’, miscela originale con poche e rare cultivar. Apprezzate da ristoratori, consumatori e critici, le virtù di questi oli hanno permesso di conseguire importanti riconoscimenti di portata internazionale (BIOL, AIPO d’Argento, L’Oro d’Italia) in pochi ma ben selezionati concorsi, aumentando di fatto il prestigio dell’azienda. Per non rovinare questa buona reputazione, si continua a porre attenzione a ogni dettaglio: utilizzo esclusivo di olivi e viti aziendali, produzione biologica di olio e vino da frutti perfettamente sani, cura nel confezionamento dei prodotti (da sottolineare la bottiglia d’olio con tappatura speciale) e soprattutto divulgazione agroalimentare. Nel suo piccolo l’Az. Ag. Casagrande, sulle orme di quegli antichi veneziani arrivati fin qui, curiosi e attratti dall’eccellenza, produce qualità e trasmette cultura, viva e competente, con un lavoro quotidiano fatto di piccoli ma significativi gesti, portato avanti da persone umili e appassionate, nel rispetto della natura, del consumatore, di sé stessa.

BLEND: personalità e appartenenza territoriale caratterizzano questo blend. Di un bel verde brillante, denso e suadente, offre profumi accattivanti che ricordano erbe mediterranee, cedro, sfalcio d’erba, mandorla e cardo. Quindi la mela e il pepe bianco accompagnano l’ingresso in bocca dolce, subito seguito da garbate note di amarfluido, articolato sui toni vegetali e agrumati, con amaro e piccante in perfetto equilibrio tra loro. Coscia d’oca bollita con mostarda di cipolle e kren. SELEZIONE ORO: si apre al naso con sentori di oliva verde e mela renetta arricchito da note di erbe campestri e foglia di pomodoro. Il gusto, inizialmente dolce, vira sull’amaro e piccante, con quest’ultimo a sostenere il persistente finale con ritorni di mandorla fresca. Minestra di orzo e fagioli con salsiccia affumicata. BIANCHERA: si presenta con un leggero fruttato e con note di rucola, pomodoro verde e erbe aromatiche fresche. Al palato si scoprono equilibrio e una pasta avvolgente e fine spalleggiata da piacevole sapidità. Pulito il finale, caratterizzato da mallo di noce e peperone grigliato a sigillo. Costata di manzo Dry Aged Beef e patate in tecia.

BRUNO CASAGRANDE Via Pasubio, 19 33070 Fiaschetti di Caneva (PN) T. 0434.779066 oliodeidogi@libero.it

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CAPRICCIOSO, INTROVERSO... INSUPERABILE PINOT NERO di Renzo Zorzi

Foto di Giuseppe Ghedina

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ono molte le aspettative che si creano davanti al calice di questo vino. Le altisonanti (spesso irriverenti) analogie con la Bourgogne, ci rovinano, di solito, il piacere dell’assaggio. Che diamine! Siamo in Friuli e questo Pinot Nero è friulano, piaccia o no, anche se è impossibile non richiamare alla memoria, magari solo per un attimo, gli assaggi d’oltralpe. Raramente accade che un vino crei attese quante il Pinot Nero. Il vitigno da cui si produce, che rimane punto di riferimento nei vini rossi mondiali, è difficile da coltivare ed è forse per questo motivo che esprime enormemente il territorio su cui è coltivato senza mai omologarsi a esso. Sembra una contraddizione, ma è così. 54

Il Pinot Nero va oltre ogni territorio poiché è in grado di esaltarlo senza perdere l’identità. Ha carattere da vendere. Coltivato in quasi tutte le regioni vitivinicole del mondo, eccetto quelle calde, è il genitore della famiglia dei pinots e dallo stesso, per mutazione, si sono ricavati il bianco, il grigio e il meunier. Originario della Borgogna, pare sia l’Elvanacea piccola descritta da Plinio. Utilizzato anche nella produzione dello Champagne. “È una varietà particolarmente vecchia, con ogni probabilità una selezione di viti selvatiche creata dall’uomo almeno duemila anni orsono”. (Guida ai vitigni del mondo Jancis Robinson, 1998). Quasi a sottolineare l’estrema facilità a interpretare il territorio, anzi la singola località in cui viene piantato, sempre la Robinson, aggiunge: “Il professor Galet osserva che ben 46 cloni di pinot Noir, contro i 34 del molto più diffuso Cabernet Sauvignon, sono riconosciuti ufficialmente in Francia”. Anche in Friuli Venezia Giulia, non si astiene da questa sua vocazione a esprimersi nei vari territori. È diffuso nelle zone Doc: Collio, Friuli Colli Orientali, Friuli Grave, Friuli Isonzo, Friuli Latisana e Lison-Pramaggiore per un totale di 190 ettari. Si colloca al quindicesimo posto per numero di ettari coltivati, dopo la malvasia istriana e prima dello schioppettino. I risultati sono ottimi. Uva nera, germogliamento medio-precoce, matura nella prima epoca. Grappolo piccolo, cilindrico, spesso alato, serrato. Acino di medie dimensioni, sferoidale o ovoidale, pruinoso. Buccia spessa. Foglia media, trilobata, seno pezioidale a U. Nei vini giovani si hanno sentori di violetta, fragola, lampone e ciliegia. Nell’invecchiamento acquista note autunnali, speziate, fino a evoluzioni eteree e animali. In bocca è sottile, elegante, sensuale e persistente. A introdurre il pinot nero nell’area goriziana fu Theodor Karl Leopold Anton de La Tour sul finire dell’Ottocento direttamente dalla Borgogna. Pare che usasse nascondere le barbatelle, poiché ne era vietata l’esportazione, tra i grandi mazzi di fiori che al ritorno dei viaggi in Francia, portava alla moglie Elvine. Nell’area udinese è stato introdotto dal Senatore Luigi Pecile. Così ricorda il Mondini (I vitigni stranieri in Italia,1903): “Nel 1863 egli [il Pecile] aveva ritirata una grossa partita di 22 mila maglioli di Pinot che distribuì fra i suoi amici della provincia di Udine, dandone a ciascuno qualche migliaio, in modo che gli esperimenti potessero riuscire di una certa importanza… In Borgogna, e precisamente a Chalon, egli aveva trovato delle località in condizioni identiche a quelle della provincia di Udine e ciò lo incoraggiò a ritirare i vitigni per trapiantarli nelle sue tenute di Fagagna e di San Giorgio. Ottenne buoni raccolti, ma troppo precoci e mai vino serbevole…”. “Nel 1893 il Pinot (si suppone il nero) è elencato tra le viti che godono di una certa diffusione nel Cividalese, nel maniaghese, nel Sacilese e nella Bassa pianura friulana,… (Bullettino 1893,3-4)” (La Vite nella storia e nella cultura del Friuli - Costantini, Mattaloni, Petrussi, 2007). Gli stessi autori, nell’opera riportano una citazione del Poggi tratta dall’Atlante ampelografico, 1939: “Sono [i Pinot] varietà che meriterebbero, a mio avviso, una più ampia diffusione nella nostra Provincia, perché sono capaci di dare splendidi vini che potrebbero gareggiare con quelli famosi della Borgogna …. I Pinot, ripeto, sono degni della massima considerazione. Il nero e il grigio, coltivati in collina, danno prodotti ottimi; risentono però forse un po’ troppo dell’andamento dell’annata”. È questa sua difficoltà nella coltivazione che spesso compare nei commenti e nelle considerazioni di così illustri esperti a rendere questo vino “difficile, a volte introverso” (Il Friuli Venezia Giulia e i suoi Grandi Vini – Filiputti, 1997). La qualità indiscussa e la sua possibilità di invecchiare sono elementi riscontrabili nella produzione regionale. Il Pinot Nero dunque richiede grande attenzione e cura. “Se il Cabernet produce vini che incantano la mente, il Pinot Nero ha un fascino decisamente più sensuale e trasparente” (Guida ai vitigni del mondo – Jancis Robinson, 1998). Esigente, scorbutico, ma impareggiabile nelle emozioni sensoriali che si provano accostando le espressioni più riuscite di quest’uva difficile, capricciosa, introversa. Foto di Umberto Pellizon

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MV ANTONUTTI Friuli Grave Pinot Nero 2013 Gr 13% - € 8 Rosso rubino lucente contornato da un’aureola che sfuma sul granato. Olfatto intenso con note fruttate di ribes e lamponi, seguite da sentori di tabacco dolce, lavanda e scorza di agrumi. Sorso piacevole, morbido, coerente con le indicazioni dell’olfatto, di buona freschezza e con tannino ben cesellato.

CASTELLO SI SPESSA Collio Pinot Nero Casanova 2009 Gr 14% - € 25 Elegante nell’aspetto, rosso granato compatto e luminoso, ma soprattutto al naso ove regala intriganti intrecci di note speziate, balsamiche e fruttate di rara raffinatezza e complessità. Suggestioni di liquirizia, inchiostro e tabacco completano l’olfatto per poi esaltarsi nell’assaggio e nel finale di bocca.

COLUTTA GIANPAOLO FCO Pinot Nero 2011 Gr 13,5% - € 16 La delicatezza del colore, rosso rubino tenue, si riflette nei profumi. Si percepiscono fresche note fruttate di ribes, more e lamponi seguite da sentori di muschio e sottobosco, il tutto avvolto in un velo di vaniglia e gradevole fumè. Al palato è scorrevole, composto, con tannino leggero e vellutato.

LA TUNELLA FCO Pinot Nero 2012 Gr 12,5% - € 12 Il rosso rubino del centro del calice sfuma sul bordo con riflessi di rosso granato. Il profumo è delicato ma deciso, intrigante, molto caratteristico, con suggestioni di succo di lamponi e frutti di bosco. L’assaggio è vellutato, composto, caratterizzato da una leggera aromaticità e da una sottile nota amarognola.

TORRE ROSAZZA FCO Pinot Nero Ronco del Palazzo 2009 - Gr 14% - € 15 Rosso granato compatto e di grande limpidezza. Gratifica l’olfatto con intense folate di sciroppo di lamponi, erbe officinali essiccate, fave di cacao, spezie dolci e resina di pino. In bocca è setoso, morbido, avvolgente, con tannino aggraziato e finale piacevolmente affumicato e balsamico.

LE DUE TERRE FCO Pinot Nero 2012 Gr 13% - € 28 Cuore rubino con sfumature di rosso granato sul contorno. Un variegato bagaglio olfattivo invade le narici con note di frutta rossa, erbe spontanee di macchia mediterranea, scorza di agrumi, pepe bianco e grafite. Tannini superbi vivacizzano l’assaggio, esaltano la freschezza e garantiscono longevità.

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PIZZULIN DENIS FCO Pinot Nero 2011 Gr 13,5% - € 20 Classica tonalità di colore rosso, rubino al centro e granato sul contorno, tenue ma luminoso. All’olfatto emergono profumi varietali di piccoli frutti rossi, fieno fiorito dei pascoli montani, tabacco biondo e delicate note fumé. Sorso piacevole, vellutato, asciutto, perfettamente simmetrico ed equilibrato.

ISOLA AUGUSTA Friuli Latisana Pinot Nero 2013 Gr 12,5% - € 9 Rosso rubino tenue, limpido e trasparente. Un’immagine che preannuncia profumi delicati di fragoline e lamponi con note di sottobosco, spezie dolci e tabacco biondo. In bocca è lineare, scorrevole, con nota tannica appena accennata che accompagna a un finale leggermente amarognolo e balsamico.

MASUT DA RIVE Friuli Isonzo Pinot Nero Maurus 2011 - Gr 13,5% - € 38 Bella tonalità di rosso rubino scarico ma vivace. Si presenta con note fruttate di melograno, marasca e prugna seguite da un delizioso fumè e sentori di rosmarino e tabacco. La fragranza olfattiva si ripercuote sul palato ove si spalma e permane a lungo per poi chiudere con sfumature balsamiche e speziate.

TIARE Collio Pinot Nero 2012 Gr 13,5% - € 12 Interpreta alla perfezione le peculiarità del vitigno distinguendosi per la tipicità del colore, rosso granato vivace e luminoso, e per la raffinatezza del profumo che conquista l’olfatto con note di frutta a bacca rossa, ginepro, tabacco e anice stellato. Il sorso è fresco e caratterizzato da note balsamiche di mentolo.

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GIORGIO MASCARIN, “pADRINO” NObILE DEL MEtODO GANIMEDE®

Semplicemente, un vino migliore! Nato in Friuli nel 1997, il rivoluzionario sistema di vinificazione brevettato ha conquistato il mondo con risultati di grande qualità!

intervista all’allora direttore teCniCo del GRUPPO SANTA MARGHERITA Che tenne a battesimo l’innovativa teCnologia

Scopri di più su www.ganimede.com

la forza della natura: come funziona Ganimede®? Bypass chiuso

Giorgio Mascarin (a destra nella foto) con l’amico Francesco Marin

È il 1997 quando un’idea semplice ma geniale attraversa la mente dell’enologo friulano Francesco Marin: “Se per ogni litro di mosto si sviluppano circa 50/60 litri di anidride carbonica, perchè disperdere tutto questo potenziale naturale e gratuito invece di utilizzarlo per risolvere i classici problemi della vinificazione?” È da questa intuizione che nasce, a Spilimbergo (PN), il Metodo Ganimede®, un prezioso strumento che prende dalla Natura quell’immenso potenziale energetico dato dalla fermentazione, per trasformarlo in un vino migliore e più salubre, attraverso un processo naturale, economico, semplice e straordinariamente efficace. Nato per i vini rossi, si è subito dimostrato straordinario anche per quelli bianchi, raggiungendo un successo mondiale.

FRANCESCO MARIN: L’INvENtORE MADE IN FRIULI DI UN SUCCESSO MONDIALE una grande idea per un vino nuovo

d mma a d ia f r a im b u t o

Francesco Marin, da cosa nasce la sua idea? “Da enologo conoscevo il duro lavoro per ottenere un buon vino. Da tempo sognavo un sistema di vinificazione che rispettasse il lavoro fatto in vigna, salvaguardando al massimo le uve in lavorazione, esaltandone le caratteristiche. Un vero strumento in mano all’enologo che consentisse di gestire le varie fasi in modo controllato ed efficace, come fa oggi Ganimede®” Ma in cosa consiste l’innovazione? “L’innovazione del Metodo Ganimede® si basa sul diaframma ad imbuto posto all’interno del fermentatore per creare un’intercapedine nella quale l’enorme massa naturale di gas di fermentazione si accumula spontaneamente fino a traboccare in grosse bolle attraverso il collo dell’imbuto, rimescolando costantemente e delicatamente il cappello di vinacce che, in questo modo, resta sgranato e bagnato dal mosto, cedendo molte più sostanze nobili rispetto ad un sistema tradizionale. Altri sistemi sono costretti ad utilizzare mezzi meccanici e pompe di rimontaggio, aggredendo le vinacce: Ganimede® risolve tutte queste criticità, con meno costi e più qualità finale.” Un successo che è stato premiato dalle Cantine? “Ganimede® si è diffuso in ben 35 Paesi. Ad ogni latitudine, con ogni tipologia di vitigno, ha dato sempre risultati importanti. Già nel 1998 avevamo superato la “prova del nove” con la complessa vinificazione dell’Amarone presso Tommasi Viticoltori in Valpolicella: enormi masse di vinacce che Ganimede® lavorò con estrema efficacia. Poi il successo fu rapido: da Alois Lageder, Kettmeir e Abbazia di Novacella in Alto Adige alle tante cantine friulane, da Venica a Ronco dei Tassi, fino a metter piede nella cantina Frescobaldi in Toscana. E poi Francia, Spagna, Sud Africa... l’innovazione friulana ha contagiato il mondo con oltre 3.000 fermentatori Ganimede®! Una grande soddisfazione.”

Vendemmia 1997: è l’allora direttore tecnico del Gruppo Santa Margherita, Giorgio Mascarin a tenere a battesimo il nuovo sistema nelle cantine del Gruppo a Fossalta di Portogruaro e a Lamole in Chianti, sperimentando per primo al mondo gli effetti della vinificazione con Metodo Ganimede®. Dott. Mascarin, lei fu il primo a sperimentare il Metodo Ganimede®: come ricorda quel momento? “L’idea mi affascinò subito, la curiosità di testare i risultati di un sistema di vinificazione del tutto nuovo era grande: il fermentatore Ganimede® permise di effettuare un rimescolamento omogeneo del prodotto senza l’impiego di mezzi meccanici, agendo delicatamente sulle bucce e mantenendo ben disgregata la vinaccia.” Quali sono stati i vantaggi più evidenti di questo tipo di azione sulle vinacce? “Il Metodo Ganimede® interviene in modo energico ma delicato al tempo stesso: ciò influisce positivamente sull’estrazione selettiva degli antociani, dei tannini e degli aromi, senza azioni che aggrediscano la massa, evitando inoltre la produzione di feccia.” Come ha inciso questo processo sulla qualità dei vini ottenuti? “Procedendo nell’analisi sensoriale, confortata anche dall’analisi chimica, si evidenziò subito l’ottenimento di vini più ricchi in colore, con una struttura fenolica più robusta grazie ad una maggiore presenza di fenoli totali e di tannini “morbidi”: il tutto senza conferire eccessiva durezza al vino!” Insomma, al suo primo esame il Metodo Ganimede® venne promosso a pieni voti? “Sì, la soddisfazione per i risultati fu notevole, la qualità dei vini, per colore e struttura fenolica, si presentava particolarmente adatta all’invecchiamento. Inoltre l’intero sistema funzionava quasi senza utilizzo di energia elettrica, in ambiente protetto dall’ossidazione indiscriminata, consentendo la caduta per gravità sul fondo della maggior parte dei vinaccioli che potevano essere eventualmente estratti con facilità ed esclusi dal processo di vinificazione.” Dopo la sperimentazione, utilizzaste ancora i fermentatori Metodo Ganimede®? “Certo: confermammo subito l’acquisto di una decina di fermentatori e continuammo ad utilizzare questo sistema.”

BYPASS APERTO

1. SATURAZIONE INTERCAPEDINE In fase di riempimento, il mosto risale e l’intercapedine fra l’involucro esterno e il diaframma ad imbuto resta vuota in quanto l’aria presente, non potendo fuoriuscire attraverso il by-pass chiuso, ne impedisce l’allagamento. Le vinacce si raccolgono in superficie a formare il cappello. L’aria nell’intercapedine cede rapidamente il posto all’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione: l’eccesso di gas sfoga in grosse bolle attraverso il collo del diaframma, rimescolando delicatamente le sovrastanti vinacce, evitando che si compattino.

2. APERTURA BY-PASS Per un’azione più massiccia, l’apertura del by-pass libera l’enorme quantità di gas accumulato nell’intercapedine direttamente sulle vinacce che verranno inondate e rimescolate intimamente, disgregando il cappello in modo morbido, evitando azioni meccaniche generino feccia. La turbolenza del sistema fa precipitare i vinaccioli in grande quantità sul fondo del fermentatore. È in questa fase che l’Enologo potrà decidere se escluderli dal processo di vinificazione, estraendoli comodamente dalla valvola di scarico.

BYPASS ChIUSO

3. DÉlESTAGE Fuoriuscito tutto il gas, l’intercapedine viene allagata dal mosto provocando un repentino abbassamento di livello. Le vinacce sature di liquido e non più sollecitate, cedono le sostanze nobili estratte dalle bucce, riproducendo così la tipica fase dello sgrondo statico del «délestage alla francese», in ambiente controllato e senza utilizzo di pompe.

BYPASS ChIUSO

4. lISCIVIAZIONE E SGRONDO STATICO Chiuso il by-pass, l’anidride carbonica di fermentazione riprende ad accumularsi rapidamente nell’intercapedine provocando un nuovo innalzamento di livello che, sospingendo verso l’alto le vinacce, determina un’ulteriore fase di sgrondo statico, continuando il processo di lisciviazione che le porta a cedere sempre più sostanze preziose al mosto. Il gas satura nuovamente l’intercapedine e l’intera sequenza può essere ripetuta ogni volta che lo si ritiene opportuno.

METODO GANIMEDE® è UNA “fIRMA DI qUAlITà” SUllE ETIChETTE DI MOlTE CANTINE NEl MONDO



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TAMAI di Giorgio C. Riva Foto di Federico Copetti

É una bella giornata e avete voglia di godervi il sole, di respirare un po’ di aria buona, di fare un po’ di movimento, e, perché no, di pranzare, meglio se bene, e bere meglio, all’aperto? Raggiungete Sutrio, a meno di 70 chilometri, quasi tutti di autostrada,

da Udine e a una quindicina da Tolmezzo. Seguite le indicazioni per il Monte Zoncolan, quello della “tappa” del Giro d’Italia. Se siete nella stagione invernale, parcheggiate l’auto nel piazzale antistante la seggiovia, che prenderete. Pochi minuti e sarete in cima. Lasciate vagare il vostro sguardo a 360 gradi, ne vale la pena. Respirate a pieni polmoni, stiratevi e avviatevi, a piedi, in salita. Comunque in un quarto d’ora al massimo –tutti sapranno indicarvi il percorso da fare- sarete al rifugio Tamai, d’inverno tra le piste da sci dello Zoncolan. Queste le indicazioni per chi non scia o chi, come me, non scia più. Gli sciatori sapranno arrivarci.

Motto del patron, Federico Copetti, da Forni: “abbiamo gusti molto semplici, ci piace il meglio”, in occasione della mia recente visita “aggiornato”, nell’ultima parte, in “ci piace solo il meglio!” Il motto la dice tutta. Arrivano subito i calici e il Pinot Bianco 2013 di Sandro Princic, e il formaggio salato, strepitoso, dell’amico Luciano di Forni di Sotto, servito con polenta di mais di Socchieve dal giusto “sapore di fumo” appena scodellata dal paiolo. Ancora polenta e, con mostarda di fichi piccante, un formaggio 70% capra e 30% vacca, capolavoro di ex emigrante in Francia, ex casaro, rientrato in Carnia, che “tiene” 15 capre e una mucca. In attesa degli scampi (avete letto bene) in busara, ecco il Friulano di Raccaro, Vigna del Rolat, 2013 e burrata pugliese, acciughe del Cantabrico, pomodorini semi secchi, olive taggiasche, capperi e origano di Pantelleria, con un filo di extravergine pure di qualità. Federico ha affiancato ai piatti che ci si attende di trovare in un rifugio, ciò che gli piace, “carne e pesce”, esposto ben in vista, nel ghiaccio, e, quindi, fiorentine mitiche, cappelunghe e scampi, ma anche astici e ostriche, tartufi (quelli ipogei), a richiesta e in stagione. Anche in cantina c’è di tutto e per i massimi: Darmagi Gaja, Barolo Conterno, Masseto, Solaia, Vega Sicilia, più di un premier cru di Borgogna, Château d’Yquem, e non poche bottiglie e pochi millesimi. Ci siamo anche sulle “bolle” dai Roederer e Pol Roger “base” ai Cristal e Sir Winston Churchill, e poi Bollinger, Krug, etc. Vasta la selezione dei friulani, oltre ai citati, quasi “tutto”: Miani, Manferrari, Vie di Romans, etc. C’è anche Alto Adige, molto Hofstätter. Terminati gli scampi, ottimi, portati in tavola da Cristina, sempre sorridente -“anche col mal di denti” dice Federico del suo braccio destro-, arrivano “due” spaghettini Garofalo per finire il “sugo” della busara. Cottura perfetta. Scappo dopo la seconda grappa. Sorprendentemente (sic) per il ritorno alla seggiovia ci vuole una mezzoretta. Non l’ho scritto prima, ma d’estate, al Tamai, ci si arriva in auto. È praticamente all’arrivo della “tappa”. RIFUGIO TAMAI Monte Zoncolan 33020 Sutrio (UD) M. 340.3705301

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VILLA RUSSIZ

Le Novità nella linea della Tradizione

La vocazione alla cura della produzione ha un’origine lontana: già nel 1868 Villa Russiz è stata la prima, nel Collio friulano, a impiantare vitigni francesi, selezionando con attenzione i terreni più adatti alla viticoltura. Fu infatti il lungimirante perito agronomo, il conte Theodor de La Tour ad intuire che le colline di Capriva, portate in dote dalla moglie Elvine Ritter, erano una zona straordinariamente vocata per la viticoltura di alta qualità grazie al particolare terreno e allo straordinario microclima del luogo, punto d’incontro di venti freddi alpini e delle miti brezze marine. Villa Russiz ha sede proprio qui, nel cuore del Collio, circondata da verdeggianti colline nel piccolo centro di Capriva del Friuli; con la sua tenuta di quasi 100 ettari di proprietà, di cui 50 vitati, il suo suggestivo parco secolare, il suo castello sede degli uffici e una bellissima cantina completamente interrata. E’ qui che il conte fece prosperare la cantina i cui vini furono apprezzati in tutto l’Impero asburgico. Oggi come allora, la tradizione si conserva nell’impegno a produrre vini di alta qualità il cui livello di eccellenza esige passione, professionalità e paziente attesa. La dedizione dell’affiatato e qualificato team aziendale e il suo costante impegno lungo tutta la filiera, si traducono nella produzione di grandi vini tra i quali le sue punte di diamante, i cru: Merlot Graf de La Tour, Sauvignon de La Tour, Chardonnay Gräfin de La Tour e Cabernet Sauvignon Défi de La Tour. A fine 2013, l’ultima etichetta nata in casa Villa Russiz è il Sauvignon Bleu, complice il 2011che si è dimostrata un’annata eccezionale per questo vitigno. Viene proposta questa nuova e unica gemma enologica: il Sauvignon Bleu Limited Edition custodito in sole 1150 bottiglie renane, in confezione singola. Questo vino “da invecchiamento” porta sull’etichetta lo stemma aziendale di una bella tonalità azzurra, stemma che richiama le nobili origini dei suoi fondatori sul cui blasone spiccava il profilo del leone rampante. In linea con le attenzioni che la Fondazione ha sempre rivolto alla produzione vitivinicola, da quest’anno ha deciso di posticipare l’uscita commerciale dei vini dell’annata 2014 a settembre 2015. Benché decisamente controcorrente, si è ritenuto di privilegiare la qualità del prodotto e la soddisfazione del cliente a scapito di logiche distributive e di mercato. Queste scelte sono così evidenziate dagli enologi aziendali Giovanni Genio e Peter Fabian Moessner: “Riteniamo che posticipare la commercializzazione dei vini di almeno 12 mesi dalla vendemmia sia un’azione necessaria per valorizzare adeguatamente i nostri prodotti le cui caratteristiche organolettiche aumentano così in eleganza, finezza, mineralità e grande piacevolezza anno dopo anno. Questa importante decisione è stata oggetto di discussione da molti anni, non solo per Villa Russiz, ma per tutto il territorio del Collio. Oggi abbiamo deciso di compiere questo passo, per offrire ai nostri clienti ancora maggiore qualità e per dare al Collio l’importanza che merita”. Fondamentale, per seguire la nuova scelta aziendale, è proseguire, con ancora maggior determinazione, nella cura della vigna che a Villa Russiz è sempre stata al centro del progetto enologico. Ecco il commento che Giordano Figheli, agronomo, sottolinea con passione. “Proteggere il vigneto e le sue potenzialità, salvaguardare la vite nel suo correre verso la vendemmia, capire e rispettare la natura; è il contributo che vogliamo dare per valorizzare queste produzioni d’eccellenza, che si esprimono in vini di territorio, sostenibili e di alto valore qualitativo”. villa russiz

Via Russiz n. 4/6 - 34070 Capriva del Friuli (GO) ITALIA T. 0481.80047 www.villarussiz.it


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IL FURETTO DI LAVARIANO di Enrico Bertossi Foto di Tommaso Iorio

Faith Willinger -simpatica e colta critica gastronomica

americana, ma anche chef e scrittrice di importanti libri sulla cucina italiana, che da anni vive a Firenze e coltiva la passione per l’Italia- a proposito dell’Officina della Bistecca di Dario Cecchini, poeta macellaio di Panzano in Chianti, descrive mirabilmente “the convivial chaos orchestrated by host Dante Bernardis”. Avete capito bene. È proprio il mitico Dante “Blasut”, il ristoratore morteglianese che negli anni ottanta e novanta ha dato vita a uno dei locali più piacevoli e apprezzati del Friuli, conosciuto dai pionieri della prima ora come “Gnam Gnam” (era il 1981) e successivamente passato alla storia come Trattoria Blasut di Lavariano. Uomo di sala come pochi ce ne sono al mondo, Dante sapeva creare una atmosfera di simpatia e puro divertimento, che si coniugava perfettamente alla qualità dei piatti e dei prodotti che proponeva mirabilmente. Chi non lo ricorda recitare a memoria il menu con la famosa “minestra della banda GpuntoVerdi di Lavariano”, il “riso fatto col riso” oppure il famoso piatto “quellochevolete” sempre presente in lista? I più fortunati lo hanno visto sfrecciare dentro le sale del ristorante pedalando in bicicletta, tenere la scena con storielle eterne ma spassosissime, versare il vino dentro un numero impressionante di bicchieri tenuti tra le dita di una sola mano o farsi coccolare da turiste austriache estasiate e ampiamente ricambiate. Tutti hanno potuto gustare piatti indimenticabili legati al territorio e godersi il piacere di una tavola che assicurava l’appagamento del palato e della curiosità gastronomica. Come dimenticare la coscia dell’oca fatta al forno, gli antipasti, il risotto tostato al forno con pollo e peperone, i rognoni, le paste, la ricerca sui primi grandi vini friulani e italiani che si affacciavano alla ribalta internazionale! La consacrazione definitiva si ha con la stella Michelin del 1996. Scrive infatti il Corriere della Sera: “Le nuove stelle singole sono 31 quasi tutte assegnate a piccoli centri e con innovazione importantissima: tre esercizi fanno parte del gruppo di 139 locali indicati con la qualifica “pasti accurati a prezzo contenuto”. Sono “Il Cafragna” di Collecchio, “Il Giardinetto” di Cormons, “Il Blasut” di Lavariano (Udine). Onesti ritrovi, dove, pagando dalle 25 alle 50 mila lire, si possono avere finalmente i vecchi piatti della cucina regionale, dagli antipasti di salumi della casa agli anolini in brodo, dal coniglio in tegame alla sempre trionfante pasta e fagioli.”

Come tutte le cose della vita, che certamente non è mai stata generosa con Dante Bernardis colpendolo più volte negli affetti familiari e nella professione, anche l’avventura del mitico Blasut termina con la definitiva chiusura nell’ ormai fortunatamente lontano 2004. Ma il furetto di Lavariano non si perde d’animo. Sa che può contare su un patrimonio prezioso fatto di tanti amici e di una invidiabile, sia pur pittoresca, professionalità. Gli propongono mille cose da fare, a volte anche improbabili gestioni di locali da riaprire. Fortunatamente non si lascia prendere dalla “saudade“ in salsa friulana e guarda più lontano, a un vecchio amico che pur essendo fisicamente il doppio di lui gli assomiglia molto con quella vena di estro e follia che i grandi artisti devono possedere: Dario Cecchini. Poco sotto Firenze regna incontrastato il vate della “ciccia”, intesa come carne in infinite declinazioni, che ha fatto della Antica Macelleria Cecchini un punto di ritrovo internazionale, meta di pellegrinaggio di appassionati da tutto il mondo e negozio dove vieni servito bevendo vino dal fiasco e mangiando leccornie indimenticabili. Dario Cecchini ha grandi progetti e la sua classica macelleria diventa “Macelleria con Cucina” articolata in “Solociccia”, “Dario Doc” e “Officina della Bistecca”. L’ Officina della Bistecca è una maniera molto conviviale di affrontare la terribile questione della perfetta cottura di Sua Maestà La Bistecca alla Fiorentina e delle Sue Sorelle, La Costata e La Panzanese. È consentito di portarsi il proprio vino senza spesa. Gli ospiti sono pregati di presentarsi puntuali e digiuni. L’ Officina è sconsigliata alle genti di poco appetito. Indovinate un po’ chi poteva diventare “capofficina”, con tanto di occhiali da saldatore, se non Dante (un nome e una garanzia per chi come Dario Cecchini recita a memoria la Divina Commedia) detto “Blasut”, geniale e instancabile friulano doc! Ed ecco una delle coppie più formidabili che un luogo dove si deve mangiare bene e fare festa può schierare: Dante Bernardis, la simpatia fatta persona, cultore di piatti e prodotti legati alla terra da cui proviene, il Friuli, ma anche aperto al mondo e a quello che di buono può offrire, e Dario Cecchini, macellaio da otto generazioni, di padre in figlio, che cerca di mantenere alto il valore del suo lavoro e la tradizione della sua famiglia, un macellaio dal naso alla coda. Provare per credere!

DANTE BERNARDIS Officina della Bistecca Via XX luglio, 11 50022 Panzano in Chianti (FI) T. 055.852176 - www.dariocecchini.com

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LO SCHIOPPETTINO, A CIALLA di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano

“Mi sono perso!”. Rispondo così, candidamente, a Gianluca che si lamenta al telefono del mio (ennesimo) ritardo. Arrivare a Cialla non è certo difficile ma se ti lasci distrarre dal suggestivo paesaggio che le colline cividalesi offrono è facile imboccare una delle tante stradine che solcano questo territorio e… perderti. Tutto intorno è perfettamente scolpito dalla mano esperta del vignaiolo. Filari ben allineati sembrano pettinare le colline, a volte dolci, a volte ruvide. Si alternano a fitti boschi di faggio che segnano l’ambiente selvaggio e austero in cui l’uomo si è inserito da più di un millennio. Oltre Cialla c’è la Slovenia e centinaia di kmq di foresta che proteggono la fauna rarissima. È l’orso, l’attore più famoso. I vigneti di Cialla appartengono a questo ambiente unico. Microclima e terreni particolari, difficili da confrontare con il resto dei colli posti a Est di Udine. Cialla è un Cru! Insolito esempio in Italia di una sottozona corrispondente, di fatto, un’unica azienda poiché lo spazio utile della valle è limitatissimo.

MV Arrivo e le bottiglie sono già allineate sul tavolo dell’intimo, grazioso soggiorno. Sono tante! Inizia il rito della stappatura. Approfitto per chiedere ai fratelli Pierpaolo e Ivan Rapuzzi qualche notizia sull’azienda. “I nostri genitori, Paolo e Dina, decisero di acquistare queste terre per una scelta di vita. Era il 1970. Poco sapevano della viticoltura locale e quindi si confrontarono con i vecchi vignaioli del luogo. Refosco, Tocai, Verduzzo. Uscì anche quel nome, magico, sonoro e allegro: Schioppettino. Uva antica, non inserita nemmeno nei disciplinari di produzione. Pressoché inesistente, i vigneti abbandonati e arcaici nelle forme. Subito capirono che sotto c’era grande sostanza. Piantarono le prime barbatelle e due anni dopo arrivarono a 3500 piante. Fu per loro un aiuto formidabile quello della famiglia Nonino che li premiò, nel 1975, con il “Risit d’aur” per aver salvato dall’estinzione certa questo vitigno. La prima vendemmia si fece il 18 ottobre 1977 e si ricavarono 35 hl. Quest’annata è ancora nel nostro catalogo di vendita, come così come tutte le altre prodotte dall’azienda e questo vale anche per gli altri prodotti”. Fu un cambio di passo, una rivincita incredibile per un vino che aveva sofferto le angherie del tempo e degli uomini. Dopo quella vendemmia nulla fu più uguale per lo Schioppettino. Da quel momento, il riferimento per tutti fu “quello dei Rapuzzi di Cialla”. Siamo pronti, ecco le 12 annate di Schioppettino di Cialla. Forse è la prima volta che la fila delle bottiglie è così lunga su quel bel tavolo di “legno vissuto” della famiglia Rapuzzi. La professionalità non deve lasciare il posto all’emozione. Gianluca ed io incociamo lo sguardo soddisfatto, ma nemmeno lontanamente immaginiamo cosa sta per capitarci nelle due ore successive. Anche Pierpaolo, Ivan e la signora Dina percepiscono la solennità del momento. Il sole di metà mattina di una tiepida giornata di fine inverno filtra dalla finestra e accende il rubino vivo dei calici ed è il filo conduttore in tutti i vini che ci apprestiamo a degustare. Stiamo per ripercorrere trent’anni di vitivinicoltura friulana! Fin dal primo sorso appare chiaro che ogni attimo di queste ore rimarrà vivo a lungo per tutti noi, nel cuore.

Vigneti di proprietà: Cjastenet ha 3.00; esposizione SSW, 150-200 s.l.m. Roncjs; ha 0.56, esposizione SSE; 165-180 s.l.m. Entrambi situati nella Valle di Cialla nel comune di Prepotto Tipo di terreno: giacitura di collina, marna eocenica Vitigno: schioppettino 100%. Le prime testimonianze storiche di questo vino si trovano in documenti che risalgono al 1282 tratti dall’archivio del Castello di Albana situato nel territorio di Prepotto. Il nome del vitigno lo si ritrova come sclopetìn (friulano) pocàlza (sloveno) schioppettino (italiano) e ribolla nera (riferito al solo vitigno dall’Ampelografo Rovasenda). Vitigno autoctono friulano localizzato nel territorio collinare del Comune di Prepotto con due tradizionali Cru di eccellenza: Cialla ed Albana Ceppi per ettaro: 4.000 Resa per ettaro: 4 t Forma di allevamento: cappuccina Epoca vendemmiale: metà ottobre Bottiglie prodotte: 7.000 (annata 2010) Prezzo medio enoteca: 30 € Vendemmia manuale in cassette con rigorosa selezione delle uve. Macerazione (condotta con l’utilizzo dei soli lieviti indigeni) sulle bucce per circa quattro settimane con due delestages al giorno per la prima settimana, seguono delestage e rimontaggio quotidiani. Fermentazione malolattica in coda alla fermentazione alcolica in barrique. Maturazione in legno per 18 mesi, rovere francese (Nevers, Allier, Tronçais), tostatura medio-leggera. 50% barriques nuove, 50% al secondo utilizzo. Permanenza sui lieviti per 14 mesi o più. Bâtonnage all’occorrenza (da 0 a 2 volte al mese), vinificazione sulle fecce in totale assenza di solforosa fino al mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia. Affinamento nella cantina di Cialla, bottiglie coricate, per 12 mesi. Ultima annata messa in commercio: 2010.

FCO Schioppettino di Cialla 2010 Gr 12,5% - Punteggio: 88/100 Andamento climatico: estate fresca, in parte piovosa. Rubino brillante e trasparente. Esuberante percezione di peonia accompagnata da fitte note di timo e alloro a imprimere una fresca e piacevole nota mediterranea. Il mix di pepe nero in grani e bacche di ginepro offre un tono serioso e profondo. Bocca agile e reattiva, con freschezza tartarica a innervare un sorso dal timbro ancora giovane ma con tanta energia e prospettive future. Chiusura dai precisi richiami speziati. Tortelli di taleggio e intingolo di pernici in umido.

FCO Schioppettino di Cialla 2007 Gr 12,5% - Punteggio: 92/100 Andamento climatico: annata equilibrata.Veste rubino dai riflessi amaranto. All’olfatto potente ma leggero. Amarene di montagna, petali di rosa e lavanda essiccata che si fondono perfettamente con le tipiche note speziate e i definiti richiami di sottobosco umido. Assaggio che sale in progressione allargandosi in un corpo vitale e fresco che avvolge il palato. La vibrante trama tannica conferisce al sorso decisa personalità che sfocia in una lunga persistenza balsamica. Sfodera una grande prestazione gusto-olfattiva. Carré d’agnello alla provenzale.

RONCHI DI CIALLA Cialla, 47 33040 Prepotto (UD) T. 0432.731679 info@ronchidicialla.it - www.ronchidicialla.it

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Foto di Fabrice Gallina

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MV FCO Schioppettino di Cialla 2004 Gr 13%- Punteggio: 94/100 Andamento climatico: annata fresca. Rosso rubino di lieve opalescenza. Scorza d’arancio, marmellata d’agrumi ed eucalipto dominano il primo naso. Segue, e si sviluppa nel calice poi, un carattere decisamente più orientale con netti richiami di pepe cubebe e macis, impreziositi dallo splendido aroma delle violette essiccate. Tannini fitti e morbidi, supportati da vitale freschezza, sono la chiave di una fase gustativa grintosa e compiuta, capace di richiamare ininterrottamente le variopinte sensazioni olfattive. Petto di piccione glassato alla mostarda.

FCO Schioppettino di Cialla 2003 Gr. 13,5% - Punteggio: 88/100 Andamento climatico: annata calda, siccitosa. Rubino dal cuore fitto. Emana aromi densi e serrati. Marasche in confettura e prugne disidratate dichiarano subito il millesimo particolarmente caldo. A conferma di ciò si aggiungono, in un abbraccio stretto, note di timo e mirto essiccato, viole appassite e spezie scure in grani su cui emerge, spinto dalla sensazione calorica, un richiamo al ginepro. L’ assaggio caldo con le sue polpose note di frutta svela una trama tannica drenante. L’ acidità è sempre all’altezza. Spezzatino di manzo in salsa allo Schioppettino.

FCO Schioppettino di Cialla 1996 Gr 12,5% - Punteggio: 95/100 Andamento climatico: annata fresca, sufficientemente equilibrata. Fantastica tenuta cromatica rubino trasparente con riverberi lievemente aranciati sul bordo. Decisi profumi finissimi e di rara bellezza. Si aprono a ventaglio: mostarda d’agrumi, arance tarocco e confettura di ribes nero. Emozionante fusione aromatica: anice stellato, china e tabacco dolce. In bocca è sbalorditivo. Sfoggia perfetta integrità e setosa sfericità. Tannini succosi, texture cremosa che avvolge il palato riportando, nella lentissima chiusura, le intense ed eleganti note botaniche dei ricchi boschi di Cialla. Pernice rossa in crosta e spezie.

FCO Schioppettino di Cialla 1995 Gr 12,5% - Punteggio: 94/100 Andamento climatico: annata fresca e piovosa. Il colore rubino aranciato, vivissimo e trasparente racconta i suoi 20 anni di vita. Intriganti percezioni olfattive spingono sull’acceleratore delle emozioni. Invitanti effluvi di cioccolatino boero, confettura con scorzette d’arancio e piccoli frutti rossi sotto spirito. Seguono note di carrube e intensi soffi iodati. Impianto gustativo simile al millesimo 1996 ma con trama tannica incisiva e timbro al palato davvero vibrante. Legato da un filo conduttore indissolubile, recita un finale meravigliosamente territoriale. Petto di fagiano, foie gras e tartufo nero.

FCO Schioppettino di Cialla 1993 Gr 12,5% - Punteggio: 93/100 Andamento climatico: annata difficile e piovosa. Seducente aspetto rubino luminoso, intarsiato da splendidi e vivaci lampi mattonati. Quadro olfattivo dalle sfumature “ascetiche”. Si percepiscono fumi d’incenso e d’essenze esotiche. Suggestive e fascinose sequenze di: santoreggia essiccata, tabacco da fiuto, funghi disidratati e note di tè alla frutta. La bocca sfoggia interezza con freschezze decise, tannini ben fusi e verve minerale nell’allungo. Appagante il finale, lungo e ricco di agrumi affumicati. Trancio di salmone selvaggio affumicato Red King, salsa d’agrumi e senape in grani.

FCO Schioppettino di Cialla 1992 Gr 12,5% - Punteggio: 92/100 Andamento climatico: annata mediamente calda. Splendido ventaglio cromatico rubino dal cuore granato e con sottile trama mattonata. Ingresso olfattivo etereo, poi visciole di montagna sotto spirito accompagnate da kumquat e nutrita sequela di spezie in infusione idroalcolica. L’ indelebile timbro del territorio è confermato dalla luminosa freschezza. Tannini elegantissimi e struttura perfettamente integra. S’incammina, senza fretta, verso un lungo finale intarsiato da profondi respiri minerali e d’erbe boschive lasciando che, oltre al palato, scaldi anche il cuore. Ortolani all’armagnac. Foto di Ivan Rapuzzi

FCO Schioppettino di Cialla 2001 Gr 13,5% - Punteggio: 90/100 Andamento climatico: annata buona, equilibrata. Manto rubino spesso e cupo. Vasta gamma olfattiva con forte legame tra vitigno e territorio. Apre sulle classiche tonalità speziate dal timbro scuro. Funghi disidratati e sottobosco umido a cui si aggiungono suadenti note di liquirizia e tabacco Kentucky che completano un naso dall’evidente carica autunnale. La fase gustativa è di sostanza. Freschezza tartarica subito evidente, tannini di razza. Corpo che si allunga verso un trionfale epilogo ricco di aroma e di spiccata mineralità. Darà ancora molto in futuro. Beccaccia al forno e le sue interiora.

FCO Schioppettino di Cialla 1998 Gr 12,5% - Punteggio: 89/100 Andamento climatico: annata mite e clemente. Rubino fitto, vivo e trasparente. Quadro aromatico accattivante e multicolore con rimandi alla prugna damaschina in confettura, scorze d’arancio, verbena e felce essiccata. Puntuale all’appuntamento è la nutrita batteria di spezie, con pepe di Sichuan, chiodi di garofano in polvere, noce moscata e una flebile ma percettibile nota di liquirizia in chiusura. Inizio gustativo grintoso con acidità sorprendentemente vivace, tannini ben registrati e succosi. Buona persistenza. Lascia sfilare, in un elegante e preciso finale, le note olfattive. Agnello al tegame.

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FCO Schioppettino di Cialla 1984 Gr 12% - Punteggio: 96/100 Andamento climatico: annata fredda. La tonalità rubina lascia spazio a quella aranciata. Ha appena compiuto 30 anni e l’età porta in dote una cornucopia di profumi. In lentissima sequenza: tisana alle erbe, tabacco scuro, china, anice stellato, rabarbaro, liquirizia, arance affumicate e una infinità di descrittori che rendono il ventaglio di delicati profumi di rara, emozionante fattura. L’ assaggio è vibrante, espressivo. Il tannino è setoso, dolcemente caldo. Grazie al tempo, come in una lenta metamorfosi, si è alleggerito del frutto, inondando il palato di ricca sapidità. Da gustare con amicizie preziose.

FCO Schioppettino di Cialla 1983 Gr 12,5% - Punteggio: 90/100 Andamento climatico: annata mediamente calda. Rubino lieve con riflessi ruggine. Mostra una tenuta davvero esemplare e sorprendente. Il frutto è solo un lontano ricordo che lascia dietro di sè una profonda, calda e raffinata scia di spezie ed erbe aromatiche. Spiccano: timo, rosmarino, santoreggia, pepe nero in grani e ginepro pestato. Le evidenti note empireumatiche di caffè torrefatto e carbone confermano i toni caldi. Le piante vigorose e giovani dell’epoca evidenziano, ancora oggi, i tannini incredibilmente graffianti al palato e non ancora domati da questi lunghi 32 anni di evoluzione. Gulash all’ungherese.

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MV Incontrando Andrea Berton nel suo nuovo ristorante. Così ricorda i suoi inizi. “Gualtiero Marchesi non

solo ha rivoluzionato la cucina italiana, ma ha cambiato anche il ruolo dello chef, che fino ad allora era relegato in cucina, lasciando la comunicazione delle sue creazioni alla sala. Con Gualtiero il cuoco diventa attore protagonista. In quel periodo avevamo la sensazione che la cucina italiana sarebbe diventata una delle grandi del mondo, come poi è accaduto. La brigata della quale facevo parte credo sia stata una delle più “forti” – in termini calcistici – mai avuta dal Maestro: era composta da Davide Oldani, Enrico Crippa, Carlo Cracco, oltre che da me”. Andrea Berton, di San Daniele, che lascia il Friuli nel 1989 – aveva 19 anni – per approdare in via Bonvesin della Riva, a Milano, dove officiava il sommo Marchesi. Allora massima aspirazione di ogni giovane cuoco che volesse fare carriera. A Milano resta quasi tre anni, per poi continuare il suo apprendistato a Montecarlo, da Alain Ducasse - altro genio planetario della cucina - dove lavorò per quattro anni, per poi tornare da Marchesi all’Albereta, in Franciacorta, come executive chef. Rientra in Friuli, alla Taverna di Colloredo di Monte Albano, dove, col suo apporto, il ristorante di Piero Zanini, di rara bellezza e charme, ottiene la sua prima stella Michelin. Era il 1997. Dopo queste esperienze di altissimo livello, Andrea era pronto per un impegno più ampio. Propone un’idea, coraggiosa e innovativa, alla famiglia Trussardi. Che lo segue. Nel 2005 aprirà in piazza della Scala il ristorante Trussardi, al primo piano, sopra la boutique. A fianco della quale trova posto anche l’accogliente bar-bistrot con veranda. Ben presto il locale diventa punto d’incontro privilegiato della città. Nel 2008 ottiene la prima stella Michelin e l’anno successivo la seconda. Il Trussardi va che è una meraviglia. Andrea non è più solo chef, ma chefmanager. Nel dicembre del 2013 si avvera il sogno di aprire in proprio: “Ristorante Berton, Milano”, in viale della Liberazione 13, nell’avveniristico quartiere di Porta Nuova Varesine. “Invece di comprare la Ferrari, ho fatto questa cucina”, mi dice orgoglioso, mentre sorseggio l’ultimo calice assieme al comune amico, Davide Rampello. Cucina che ha pure un tavolo con due posti per i clienti più fortunati. Vi lavorano dieci persone. Lui, come un direttore d’orchestra, coordina e controlla ogni piatto al pass. In ristorante i piatti arrivano a cadenza perfetta. Locale arredato con gusto raffinato e rigoroso. Tavoli tondi, tra loro distanti, in legno nero, senza tovaglie. Indovinato il bordo a 45° che permette l’appoggio ideale delle braccia. Servizio impeccabile. A nemmeno un anno dall’apertura, il 4 novembre 2014, gli viene assegnata la stella Michelin! La cucina di Andrea è essenziale, italiana nei prodotti e nello stile, semplice ed efficace, come i quadri di Fontana. “Cerco di esaltare i prodotti. Spesso li lascio nella loro forma originale, come le puntarelle o i broccoli di montagna. La forma diventa invito: fa immaginare il gusto”. Quale il segreto… segreto di uno chef? “La curiosità. Senza la quale poco può accadere. Indagare, osservare. Cogliere esigenze e tendenze del cliente. Da qui nascono, assieme all’impegno, alla creatività e alla preparazione professionale, nuovi stimoli, nuove proposte. È la vera spinta all’innovazione”. “La cucina è cambiata molto. Una delle prime esigenze è che i piatti debbano essere digeribili, sani, oltre che buoni. Diventa quindi fondamentale la scelta degli artigiani del gusto i quali, oltre alla qualità, debbono avere una profonda etica produttiva. È una filiera che non può interrompersi e il cuoco ne è l’anima alla quale dà valore. Siamo allo stesso tempo acquirenti, interpreti e testimonial dei prodotti. Certamente la tecnologia aiuta, eccome, ma se non abbiamo il prodotto come Iddio comanda, tutto sarebbe inutile. Un po’ come un vino messo in legno: deve essere già buono di per sé. Botte o barrique che siano, è solo una tecnica applicata. Non basterebbero da sole”. La sintesi del racconto di uno chef sta nel menu. Ecco alcune suggestioni di ciò che propone Andrea in questa seconda parte dell’inverno. Tra gli antipasti segnaliamo lo strepitoso broccolo, crema di nocciola e acetosella: tanto semplice quanto emozionante. Da non perdere l’animella di vitello al pepe con scalogno al sale. Tra i primi. Un piatto che una volta assaggiato non si scorda più: il brodo di crostacei alle erbe, risotto con code di gamberi. Tra i secondi, superlativo il San Pietro, puntarelle, capperi e olive taggiasche. Perfetta la nocetta di capriolo con crema di cavolo cappuccio e sedano. I dessert sono da standing ovation, come l’uovo di yogurt e mango e la cassata. Non potremmo, infine, non citare uno dei menu degustazione che Berton chiama “Tutto brodo”. “L’ho voluto fare, spiega, per valorizzare il brodo, per farlo diventare protagonista”. Il menu prevede otto tipi di brodo, che vanno ad accompagnarsi ad altrettante pietanze.

ANDREA BERTON Orgoglio friulano a Milano di Walter Filiputti Foto di Canio Romaniello

RISTORANTE BERTON Viale della Liberazione, 13 - 20124 Milano (MI) all’interno del nuovo complesso Porta Nuova Varesine T. 02.67075801 info@ristoranteberton.com Orari di apertura Pranzo: dalle 12.00 alle 14.30 Cena: dalle 20.00 alle 22.30 Chiuso il Sabato a pranzo, Domenica, Lunedì a pranzo

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I may not be perfect

But it scares me how close to it I am

LA RICET TA

di

ANDREA BERTON

BRODO DI CROSTACEI ALLE ERBE RISOTTO CON CODE DI GAMBERI Per la polvere di pane: 100 gr di pancarrè (solo la parte bianca) 1 spicchio di aglio Lasciare tostare il pane a 130° per 15 minuti in forno. Strofinare il pane con l’aglio e lasciare tostare in forno per altri 15 minuti. Raffreddare e frullare riducendolo in polvere. Per la polvere di carapaci: 20 gamberetti rosa Pulire i gamberetti rosa, dividerli a meta e riporli su un vassoio espositore in frigo a +3°. Scottarli direttamente in padella con un filo di olio al momento del servizio. Sbollentare i carapaci in acqua bollente. Asciugarli su carta assorbente e sistemarli su una gastronorm e disidratare in forno a 60° per 7 ore. Polverizzare e passare a un setaccio a maglia fine. Riporre in un contenitore. Per il brodo di gamberi 30 gamberi 30 gr di finocchio 1 spicchio aglio 50 gr di cipolla 50 gr di carota 50 gr di sedano 100 gr di pomodori ramati 3 dl di olio extra vergine 200 gr di albume 10 gr di iota 10 gr di germogli di coriandolo e lime 10 gr di germogli di liquirizia 10 gr di germogli di cipollina 30 gr di lemongrass Pulire i gamberi e recuperare le teste per fare la bisque. Rosolare le teste con olio, aggiungere le verdure e i pomodori tagliati a pezzi piccoli; lasciar stufare per qualche minuto e bagnare con acqua fredda fino a coprire i carapaci. Lasciar cuocere per 15 minuti. Passare il tutto al colino fine e raffreddare immediatamente. Frullare i gamberi con l’albume, quindi mettere tutto in una casseruola capiente e iniziare la chiarificazione facendo in modo che la spinta di calore dal basso sia molto forte all’inizio per spingere tutte le impurità in superfice. Quando inizia a bollire, abbassare il calore e lasciar sobbollire per circa 1 ora. Filtrare il tutto e aggiungere i germogli e la lemongrass lasciando in infusione per 3 ore. Filtrare con un foglio di tamina e aggiungere 5 gr per litro di iota; portare a bollore e raffreddare. Scaldare al momento del servizio.

W W W. D I L E N A R D O. I T


Esistono delle cose di cui il tempo e la cura dettano ogni regola: ne scandiscono la nascita, ne determinano la bellezza, ne definiscono la bontà, ne regolano l’estetica, e ne decidono gli elementi fondanti. Il risultato degli equilibri di percentuali e tempi di maturazione e appassimento, il saper attendere, il saper dosare producono questo nettare da uve passite di merlot e pignolo che abbiamo chiamato Poppone per rimandare ad una storica nobilità di territorio, il nostro, di gusto e di naso, quello del nostro nuovo vino. Poppone, è il patriarca illuminato di Aquileia che annette nel 1031 Clauiano nei possedimenti sotto il diretto controllo al capitolo aquileiese. Clauiano oggi è un borgo medievale di rara bellezza ed evoluzione storica dove sorgono, in terreni adatti a uve rosse, parte dei nostri vigneti. Uve di merlot in perfetta maturazione fenolica, adagiate a mano in apposite cassette per l’appassimento, fermentate, macerate, poi pressate dolcemente hanno donato un vino messo in seguito a maturare in acciaio per più di un anno. Tutto diviene un nettare perchè abbiamo voluto sposarlo in percentuale equilibrata al pignolo, raro vitigno autoctono e storico friulano, dal carattere austero e deciso che, con la sua fitta trama di tannini, favorisce lunghe evoluzioni nel tempo. Antonutti : vini dal 1921, quasi cento anni di storia e amore nella cura dei vigneti storicamente nel cuore del Friuli, una terra lontana da riflettori ma ricca di natura, profumi, colori e interminabili tramonti.

www.antonuttivini.it

Nettare ottenuto da uve passite di merlot e pignolo


MV I

LUNA DI MIELE IN CARSO

deboli raggi di sole invernale sembrano ravvivare i colori, sbiaditi dal tempo, di decine di arnie che, simili a condomini miniaturizzati, si ergono in mezzo al prato, incuranti della bassa temperatura e della bora, il vento proveniente da est-nordest che ci accoglie con tutta la sua esuberanza al nostro arrivo a Trebiciano, sul Carso Triestino. Ci troviamo all’interno di un’azienda apistica a conduzione familiare, L’ Azienda Agricola Settimi & Ziani Apicoltori, una delle numerose fattorie didattiche del Friuli Venezia Giulia, premiata nel 2005 come produttrice del Miglior Miele d’Italia. Il sorriso franco e sincero, incorniciato dalla folta barba grigia, di Fausto Settimi sarà il nostro fedele compagno di viaggio alla scoperta di un alimento dolcissimo: il miele. La parola miele sembra derivare dall’ittita melit e le prime tracce di arnie costruite dall’uomo risalgono al VI millennio a.C. circa. In una tomba egizia è stato scoperto un barattolo di miele vecchio di 3300 anni, perfettamente conservato e ancora commestibile, mentre i Greci lo consideravano “il cibo degli dei” attribuendogli un ruolo primario nei riti che prevedevano offerte votive. Nell’alimentazione medievale il miele era usato principalmente come agente conservante oltre che dolcificante fino a essere, nei secoli successivi, soppiantato dallo zucchero raffinato industrialmente. Per produrre il miele, le api (Apis mellifera) utilizzano, come principali fonti di approvvigionamento, il nettare presente nelle piante da fiori e la melata, una secrezione zuccherina emessa da un insetto (Metcalfa pruinosa) che si nutre della linfa degli alberi. Il nostro amico apicoltore sottolinea che il miele di melata ha un sapore molto meno dolce di quelli prodotti a partire dal nettare, non cristallizza e si presenta particolarmente scuro, aromatico e denso. Muovendoci con circospezione fra alcune delle circa 100 arnie di cui si compone l’azienda, dalle parole di Fausto veniamo a conoscenza che ciascun “condominio” è abitato durante i periodi di massima produzione da circa 60 mila individui: quasi esclusivamente api operaie governate da un’unica regina. La produzione del miele è strettamente correlata ai diversi periodi di fioritura e questo fattore condiziona anche la vita delle api in quanto, durante la stagione primaverile, a causa dell’incessante lavoro le api vivono mediamente 40 giorni, mentre quelle nate alla fine dell’estate riescono a sopravvivere anche cinque o sei mesi grazie a ritmi lavorativi decisamente più bassi! Le api bottinatrici, deputate alla raccolta del nettare, devono visitare da sette a otto milioni di fiori per produrre un solo chilogrammo di miele. Derivato dalla trasformazione biochimica del nettare o della melata, il miele è in grado di svolgere una notevole azione antibatterica grazie alla sua elevata concentrazione zuccherina e al pH acido. Inoltre, possiede anche proprietà farmacologiche più specifiche legate all’estrema diversità della flora nettarifera visitata dalle api. Questi operosissimi insetti, oltre al miele, producono anche pappa reale, polline e propoli. La pappa reale deriva dalle secrezioni delle ghiandole ipofaringee e mandibolari delle giovani api operaie e rappresenta il nutrimento principale delle api regine, mentre il polline raccolto dai fiori costituisce l’unica fonte di proteine utilizzata per il mantenimento della regina e per l’alimentazione delle lave. Il propoli, invece, è un insieme di resine che le api raccolgono dalle gemme e dai germogli, e che poi elaborano attraverso particolari ghiandole ricche di enzimi. Mentre Fausto sta finendo di elencare le proprietà terapeutiche dei prodotti che le sue api sono in grado di produrre, esibendo l’orgoglio che ciascun padre ha nei confronti dei propri figli, la nostra attenzione viene attratta da alcune bottiglie contenenti un liquido ambrato. Si tratta del famoso idromele, prodotto dalla fermentazione del miele, e considerato da alcuni il fermentato più antico del mondo, più ancora della birra, in quanto non era necessaria la coltivazione per poterlo produrre. È nota l’esistenza di un idromele dell’antico Egitto, quello dell’antica Grecia, uno dell’Inghilterra celtica, l’idromele della Scandinavia vichinga, quello degli antichi slavi e probabilmente ne esistono e ne sono esistiti molti prodotti anche in altri luoghi. Era tradizione, in molte parti d’Europa, che alle coppie appena sposate fosse regalato idromele sufficiente per la durata di “circa un mese”. È stato detto “circa” perché ai tempi della nascita di questa bevanda lo scandire del tempo non era regolato dai mesi come li conosciamo noi oggi ma dalle fasi lunari. Una luna, corrisponde infatti a un periodo di tempo di quasi un mese. Il termine “luna di miele”, deriva proprio dal fatto che, per la durata di una luna, la coppia si godrà il consumo di questa deliziosa bevanda. Prima di congedarci, per tornare a occuparsi delle sue amate “operaie”, Fausto ci ricorda quanto sia fondamentale il ruolo delle “fattorie didattiche” per far conoscere il mondo rurale, la sua cultura, le sue tradizioni, attraverso un approccio interattivo e piacevole sulle tematiche dell’alimentazione di qualità, del consumo consapevole, dello sviluppo sostenibile e dell’ambiente, affinché la “luna di miele” fra l’uomo e la natura non abbia mai fine. APICOLTORI SETTIMI & ZIANI Trebiciano, 237 34012 Trieste T. 040.2158246 M. 349.2325415 fausto.settimi@libero.it

di Bruno Cataletto Foto di Fabrice Gallina

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LA RUBRICA DEI LIBRI MV

SCARELLO

di Emanuele Scarello

“Scoprire i valori e i sapori racchiusi in antichi vigneti attraverso la degustazione”

Dopo il successo di “Fritture”, lo Chef stellato, si cimenta in un nuovo libro, punto di riferimento per ogni gourmet. Inaugura così la collana “Cuochi” che la nota casa editrice milanese dedica ai grandi Chef italiani. Emanuele Scarello, classe 1970, già presidente dei Jeunes Restaurateurs d’Europe e insignito della stella Michelin nel 1999, solo un anno dopo aver preso le redini, dalle mani esperte della mamma Ivonne, della cucina del Ristorante di famiglia “Agli Amici” a Godia (UD). Scarello ha raccolto 68 ricette che meglio rappresentano la sua cucina, frutto della combinazione tra 120 anni di tradizione familiare nella ristorazione, uno sguardo attento e affettuoso alla sua terra e la passione per l’evoluzione dei sapori, per la sintesi degli ingredienti e la perfezione delle cotture. Oltre alla presentazione delle ricette, parla di sè stesso e del suo locale attraverso un racconto dal taglio leggero e moderno. Fantastiche le fotografie di Gianni Antoniali. Il libro è in lingua italiana e inglese. 69 - 240 pagine - ITALIAN GOURMET

CHAMPAGNE, IL SOGNO FRAGILE di Samuel Cogliati

Azienda agricola Roncus Via Mazzini n° 26 34070 Capriva del Friuli (Go) Italia T +39 0481 809349 F +39 0481 808535 info@roncus.it www.roncus.it

Cinque anni dopo “Champagne. Il sacrificio di un terroir”, nella continuità del tema, l’autore mette in discussione numerosi luoghi comuni e propone un punto di vista originale. Alla fine di una lunga indagine, con la partecipazione dell’esperto giornalista Jean-Marc Gatteron, affronta diversi aspetti chiave della mescita, dell’evoluzione e della degustazione del mitico vino. Un capitolo, molto curato ed esaustivo, è dedicato alla degustazione analitica di molti champagne prodotti da ben 45 aziende artigianali. È un libro che si rivolge ai professionisti ma anche agli appassionati. Realizzato per fornire strumenti efficaci per comprendere il consolidato ma fragile mondo dello champagne. Samuel Cogliati, italo-francese, è nato a Lione nel 1976. Editore, giornalista e consulente. Si occupa di vino da più di un decennio, con particolare interesse per quello francese. Autore di numerosi libri, tra cui “La natura del vino” è anche traduttore di molti testi e curatore di altri volumi. € 25 - 335 pagine - POSSIBILIA EDITORE

LE PAROLE DEL VINO di Fabio Rizzari

Prontuario laico di smontaggio dei luoghi comuni sul vino. Fabio Rizzari, blogger e curatore della Guida ai vini de L’Espresso, ha realizzato questo vademecum per districarsi indenni nei luoghi comuni, negli stereotipi, nelle leggende metropolitane e nelle esagerazioni talebane che circolano attorno al mondo del vino. Un libro realizzato per “demolirli senza pietà e vivere sereni”. Come scegliere un buon vino? Sono più buoni i vini italiani o quelli francesi? Quale l’abbinamento ideale con il cibo? A queste domande l’autore risponde con un linguaggio semplice e scherzoso. Un tascabile diviso in brevi capitoli raggruppati per argomento dove il lettore trova ottimi consigli su come avvicinarsi alle bottiglie, all’uso dei bicchieri, come creare una propria cantina, come imparare tecniche e piccoli trucchi per far bella figura con gli amici ma soprattutto per introdursi, senza pericoli, nel mondo del vino. Nello stile ironico del libro anche la prefazione di Armando Castagno, sommelier, docente AIS, scrittore e giornalista. € 10 - 128 pagine - GIUNTI EDITORE

VINAZZA! VINAZZA!

di Laura Borghi Mestroni La storia di Trieste attraverso il vino e il cibo. È il sottotitolo che l’autrice ha voluto dare a questo volumetto tascabile, arguto, pieno di “morbin” e spensierato al tempo stesso. Il libro è pieno di citazioni storiche e popolane, poesie dialettali, aspetti della vita quotidiana riferiti dalle cronache locali e tutte hanno sempre come oggetto il vino. Una passione quasi viscerale quella dei triestini per il vino. Una passione che, come scrive l‘autrice, “troviamo nella storia, non in quella fatta di guerre e di tratatti, ma in quella minore legata all’economia, non per questo meno importante. E a Trieste, fino alla concessione del Porto Franco, il vino è stato fonte di benessere e soprattutto di gloria e prestigio. Una bevanda che ben si accompagna al cibo, a quel cibo particolare che va dai gustosi piatti di pesce, alla robusta cucina carsica, a quella cosmopolita”. Il libro è corredato da belle foto in bianco e nero, insegne, ritagli di giornale e pubblicità d’epoca. € 10 - 135 pagine - LUGLIO EDITORE

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MANGIAVINO ™

Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo Anno II, Numero 5, Gen/Feb/Mar 2015 Direttore Responsabile Renzo Zorzi zorzi@mangiavino.com Direttore Editoriale Renato Paglia Vice Direttore Editoriale Giorgio C. Riva Editore e Concessionario per la Pubblicità b.m. srl bmeditore@mangiavino.com; redazionemangiavino@libero.it Via Caccia 35, 33100 Udine tel. 0432 500468 338 8776489 - ufficio commerciale - Stefano Sanna

PEZZETTA S.r.l. Via Spilimbergo, 220 - Fagagna (UD) T. +39 0432 810827 F. +39 0432 810825 info@pezzetta.it www.pezzetta.it

Responsabile di Redazione Giorgio C. Riva riva@mangiavino.com Hanno Collaborato a Questo Numero Enrico Bertossi, Gianluca Castellano, Bruno Cataletto, Walter Filiputti, Alessandro Martin, Silvia Pajani, Michele Paiano, Alessandro Pareschi Immagini di Massimo Crivellari, Maurizio Frullani, Fabrice Gallina, Umberto Pellizon, e di chi citato Se non diversamente indicato, sono dovute alla cortesia degli autori dei testi e/o degli intervistati e/o delle persone e/o degli enti di riferimento/provenienza Art Director Daniele Bressan

Gusti e sapori Friulani

Impaginazione Grafica Martina Madrisan, Kevin Bisiacco Stampa La Tipografica Srl Basaldella di Campoformido (UD) Prezzo di Vendita € 8,00 Rivista Unica di Proprietà dell’Associazione Italiana Sommelier del Friuli Venezia Giulia Presidente Renzo Zorzi renzo.zorzi@aisfvg.it Responsabile Stampa ed Editoria Giorgio C. Riva stampaeditoria@aisfvg.com Registrata presso il Tribunale di Udine il 17/09/2013, n. 8/2013, ISSN 2283-7973 Ringraziamenti a Giorgio Badin, Andrea Berton, Dario Cecchini srl, Daniele Cernilli, Château Vannieres, Alessio Devidè, Domaine de Cagueloup, Domaine du Gros’ Noré, Domaine Souviou, Domaines Bunan, Guido Lanzellotti, Famiglia Rapuzzi, Bruno Seignez Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o parziale di testi, fotografie, marchi e loghi non è consentita Degustazioni Gianni Ottogalli, ove non altrimenti precisato Abbinamenti ai Piatti Alessandro Pareschi o chi specificato I prezzi dei vini delle schede sono quelli medi d’enoteca

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33035 Faugnacco di Martignacco (ud) Via San Quirino T. 0432 660371 www.osteriacamarian.it gian.lavia@gmail.com dalle 9.30 in poi Chiuso lunedì. Ferie, variabili, a agosto e gennaio


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PICOLIT DOCG Come un istante da regalarsi. Giallo, come il Picolit. Come il sole, che appassisce le loro uve, le addolcisce e ne esalta l’essenza. Come le cose più preziose richiedono, piccole bottiglie ospitano questi vini. 375 cl di puro nettare. Il microclima del colle di Rosazzo è particolare, molto favorevole alla vite e alla riuscita di questi vini dolci, perché molto ventilato e asciutto.

www.ronchidimanzano.com 84


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