9 772283 797304
ISSN:22837973 20171
bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore ISSN 2283-7973
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MANGIAVINO
MANGIAVINO Rivista Unica dell'Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia
Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo
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Vigneti Castello
...dalla nostra terra, una dolina carsica in Caneva
www.lefavole-wines.com - info@lefavole.com
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COLLIO BIANCO “STARE BRAJDE” Vino autentico del territorio, prodotto esclusivamente con uve Tocai Friulano, Malvasia Istriana e Ribolla Gialla, provenienti dalle vigne più antiche della famiglia Muzic. Le uve vengono raccolte manualmente ed assemblate già in fase di vendemmia, nel rispetto delle più antiche tradizioni del Collio. Nasce così un’uvaggio perfetto, che matura nella nostra cantina per oltre venti mesi. Un vino capace di esprimere al meglio il territorio, e di sfidare il tempo. Prima annata prodotta: 2015
MUZIC Azienda Agricola Muzic • Località Bivio 4, 34070 • San Floriano del Collio (GO) • Tel. 0481 884201
www.cantinamuzic.it
Editoriale Molte le novità che hanno interessato il comparto vitivinicolo della nostra regione negli ultimi mesi. Anzitutto la continua crescita degli ettari coltivati che fa salire il Friuli Venezia Giulia nella classifica delle regioni italiane più produttive in termini percentuali. La richiesta invece di ettari per nuovi impianti destinati alla produzione viticola supera sensibilmente quelli in essere. Un boom senza precedenti. Il successo poi della Ribolla Gialla che non conosce soste tanto che la progressione di vendita è al primo posto in Italia con un volume di crescita che supera il 30%. Un’affermazione dovuta all’impegno di tutti nel promuovere questa eccellenza regionale che era rimasta un po’ in ombra e che finalmente trova il meritato riscontro. Da segnalare anche il lavoro di selezione di questo vitigno che, per i prossimi tre anni, interesserà l’Università di Udine e Il Consorzio delle Doc del Friuli Venezia Giulia. Va infine sottolineato il continuo incremento di presenze turistiche nella nostra regione. Non è frutto del caso ma di un lavoro costante e sinergico tra le amministrazioni e gli operatori. Il merito va anche a tutte quelle figure, che, giorno dopo giorno, con il loro lavoro e il loro entusiasmo, si adoperano perché questi visitatori si sentano, in Friuli Venezia Giulia, come a casa loro. Buona estate a tutti!
Renzo Zorzi Direttore Responsabile Presidente Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia
c o n t e n u I Ultins Di Cjargne di Marco Calzavara /p. 6 Refosco Dal Penduncolo Rosso di Renzo Zorzi /p. 8 Crozen - Hermitage Dei Combier di Federico Magni /p. 14 L’affumicato Di Carnia di Flavia Virilli /p. 20 La Storia
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Ritmo Di Shaker di Enrico Bertossi /p.22
L’olio Extravergine Di MangiaVino di Alessandro Pareschi /p. 26 Joško Gravner di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 32 Fare Allevamento In Laguna di Raffaella Nardini /p.42 Il Futuro Del Pignolo Sarà Come Quello Del Picolit? di Walter Filiputti /p. 44 Strawberry Fields Delle Nostre Parti di Raffaella Nardini /p. 50
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t i In Copertina “Aria di vacanza” Foto di Silvia Pajani
Il Mio Primo Picolit di Daniele Cernilli /p. 54 La Virtù Dell’Accoglienza di Renato Paglia /p. 58 La Ricetta di MangiaVino /p. 60 I Lauto di Giorgio C. Riva /p. 62 Cucina Mediterranea E Tradizione Mitteleuropa di Bruno Cataletto /p. 64 L’Osteria Di Mirko di Giorgio C. Riva /p. 68 Flor Di Floc Dal Contadino Al Fornaio A Gemona di Flavia Virilli /p. 76
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I ULTINS DI C JARGNE "I ULTINS" SONO "GLI ULTIMI" TESTIMONI DI UN MONDO CHE NON C'È PIÙ Testi e foto di Marco Calzavara
Per vivere Lucio fa il muratore ma è nato a Dierico, un paese della Val d’Incarojo, dove la tradizione la respiri nei muri delle case, lungo le strade, tra la gente. E allora, vent’anni fa, un vecchio del Paese gli ha insegnato a fare i geis, le gerle, di cui nessuna famiglia della Carnia, fino al secolo scorso, poteva fare a meno. Non è facile intrecciarlo un gei. Bisogna andare nel bosco “giusto”, durante la stagione “giusta” e scegliere il legno “giusto” fra nocciolo, sorbo e viburno. E poi pulire, sfilare, tagliare, intrecciare e oggi, che i geis non li sa fare quasi più nessuno, è Lucio che pulisce, sfila, taglia e intreccia. 8
concept: MumbleDesign.it
Elegance is an attitude. SINCE 1910
Il tocco elegante dei nostri vini bianchi è nella natura e nei profumi di questa terra, le Grave, di cui siamo interpreti fino dal 1910 con i nostri vini e i nosrtri valori: forza, tenacia, rispetto e difesa del territorio simboleggiati dalla spada, antico emblema della nostra famiglia.
“Botis� Ribolla Gialla.
REFOSCO DAL PEDUNCOLO ROSSO IL MIGLIORE di Renzo Zorzi 10
Quella dal peduncolo rosso è certamente la miglior espressione della vasta famiglia dei refosco. Generoso, docile, fedele. Aggettivi che gli si adattano bene in quanto la sua qualità non è mai in discussione. Dalla collina alla pianura riesce a soddisfare le esigenze del vignaiolo, in termini di produzione, quanto quelle del consumatore del grande vino rosso, che questo vitigno esprime, in virtù dei sui pregi costanti.
Diffuso in tutte le zone Doc del Friuli Venezia Giulia. I risultati sono eccellenti nelle produzioni sia di piano che di collina. Famoso è quello prodotto nella zona aquileiese. 758 sono gli ettari vitati. Il Refosco dal peduncolo rosso deve il suo nome al caratteristico colore scarlatto dai toni violacei intensi del pedicello che supporta l’acino al raspo. La foglia è grande, pentagonale tondeggiante, trilobata con lembo piano leggermente bolloso. Grappolo piuttosto grande, piramidale, con un’ala e leggermente spargolo. L’acino è medio, sferoidale. La buccia è spessa, resistente, di colore blunero e mediamente pruinosa. L’epoca di maturazione è medio-tardiva. La pianta ha una discreta resistenza alle malattie, è vigorosa e di produzione costante. Il vino che se ne ricava è rosso rubino scuro o granato con evidenti riflessi violacei. I profumi sono intensi e fruttati. Mora selvatica, sottobosco, lampone. Di ottimo corpo, leggermente tannico e fresco. Ben predisposto all’affinamento. Il nome sembra derivi da rafués che in friulano significa “propaggine della vite”. Alcuni attribuiscono anche l’origine al toponimo Riu Fosc (Rio Scuro). Altri ancora a rap scur (grappolo scuro). Molte anche le dizioni: Refosc, Rafosc, Rifosc. Le versioni del Refosco sono spesso molto diverse tra loro. Il Teran, o Refosco d’Istria, anzitutto. Il Refosco di Faedis, il Refoscone, il Refosco Gentile o Refosco di Rauscedo, il Refoschin o Refosco degli uccelli, il Refosco nostrano o di Faedis, il Refoscone, il Refosco del botton (pare essere il Tazzelenghe), il Refosco di Guarnieri, il Refosco di Scodavacca, il Refosco bianco. E altri ancora. Fuori dai nostri territori segnaliamo “altri” Refosco come la Cagnina di Romagna, la Mondeuse della Savoia, e … il Refosco californiano! Sulla “migrazione” del Refosco dal Friuli alla California ne è convinto il Poggi che ne tesse le lodi in una pubblicazione del 1935 ma Jancis Robinson nel suo Guida ai Vitigni del Mondo indica che il Refosco diffuso in California non è nient’altro che Mondeuse. Le prime tracce storiche di questo vino ci riportano al 1390 e riemergono da gli Annali del Friuli del Conte Francesco di Manzano che parlano di venti ingestariis (contenitori in terracotta) di vini terrani (probabilmente si trattava di Refosco) offerti in una cerimonia. Rimane qualche dubbio però sui primi dati storici. Infatti il temine “terrano”, indicava all’epoca, per lo più un vino locale e non identificava in modo preciso il vino né tantomeno il vitigno (La Vite nella Storia e nella cultura del Friuli – Costantini, Mattaloni, Petrussi)”. Solo più tardi, nell’elenco dei vini serviti in un banchetto avvenuto il 6 giugno 1409 in onore di Papa Gregorio XXII, viene citato anche un “Refosco di Albana”. Anche in questo caso non è chiaro del tutto se si tratti realmente di Refosco. Molti i documenti invece che, a partire dal 1452, segnalano in modo inconfutabile la presenza del Refosco in Friuli Venezia Giulia, almeno come vino. Molte anche le attribuzioni che furono fatte attorno al Refosco. La più conosciuta è la sua azione positiva circa la straordinaria longevità dell’Imperatrice Livia Augusta, che, si dice, era costante consumatrice del Pucinum, scambiato erroneamente come Refosco. Il professor Luigi Chiozza di Scodavacca, illustre studioso friulano, eseguì, attorno al 1860, una serie di studi rilevanti su Refosco coinvolgendo in questa passione, nientemeno che lo scienziato Louis Pasteur che per lunghi periodi visse in Friuli. Ai due, negli studi su questo vitigno, si accostò Alberto Levi, proprietario della Tenuta Villanova fondata nel 1499. Del “Rifosco” scriveva Levi, nel 1877, “…è la più pregevole delle uve nostrane, e ben a ragione fu qualificata regina delle uve friulane”. Il Levi suggerì anche nuovi sistemi di coltivazione e vinificazione del Refosco che sono tutt’oggi attuali.
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FORCHIR Refosco dal Peduncolo Rosso Refoscone 2013 Alc. 13% - euro 15 Rosso rubino carico, vivace e profondo. Olfatto esuberante con note speziate di chiodi di garofano cui fanno seguito sentori di succo di mirtillo, arancia sanguinella, bacche di ginepro e grafite. L’assaggio è ricco, sapido, avvolgente, sostenuto da tannini vivaci e progressivi che contribuiscono all’equilibrio e alla piacevolezza della beva. Acciaio e poi 18 mesi in botte grande. Stracotto di manzo.
BORGO CONVENTI Friuli Isonzo Refosco dal Peduncolo Rosso 2016 Alc. 13% - euro 10 Rosso rubino netto e luminoso. Balsamico ed erbaceo al primo naso con salvia, mentuccia, felce bianca e erbe mediterranee fresche. Poi sentori minerali e terrosi di humus, sottobosco, viola e muschio. Gustoso all’assaggio, morbido, avvolgente, con tannino ancora in divenire ma composto. Buona freschezza e finale piacevolmente sapido. Solo acciaio per 8 mesi. Stinco di maiale al forno con patate novelle.
LA RONCAIA Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso 2012 Alc. 15% - euro 35 Scintillante rosso rubino con riflessi purpurei. Al naso evidenzia note di fragoline di bosco e ciliegie sotto spirito subito seguite da sentori di tabacco biondo, cannella e noce moscata. Sorso esuberante, asciutto e avvolgente con ritorni olfattivi speziati e balsamici. Uve appassite in cassetta per 2 mesi. Acciaio poi 18 mesi in barrique di media tostatura. Pappardelle al ragù di lepre.
GIORGIO COLUTTA Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso 2014 Alc. 13,5% - euro 14 La bella tonalità del rosso rubino fitto è un gradito invito all’assaggio. L’approccio al naso è articolato con note di sottobosco, resine e spezie scure cui si aggiungono gradevoli sentori mentolati e sbuffi di confettura di piccoli frutti neri. In bocca è succoso, con tannini ben integrati che esaltano la beva dal finale morbido ed equilibrato. Acciaio e rovere. Pernice allo spiedo.
DARIO COOS Refosco dal Peduncolo Rosso 2013 Alc. 13,5% - euro 20 Colore rosso rubino fitto, granato sul bordo. All’olfatto note mature di prugne e amarene sotto spirito si combinano con sentori di spezie dolci, erbe provenzali, viole appassite e cioccolato. In bocca è morbido e ricco di sapore con un tannino ancora vivace che esalta la freschezza e regala un sorso esuberante e balsamico. Acciaio e legno. Sella d’agnello con olive nere.
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RONCO MARGHERITA Refosco dal Peduncolo Rosso 2015 Alc. 13% - euro 10 Rosso rubino fitto al centro e violaceo sul bordo. Il profumo è caratterizzato da note fruttate di more di rovo, ribes nero e mirtilli cui fanno seguito sentori di viola, felce, pepe nero e sottobosco. All’assaggio l’iniziale durezza è appianata da un richiamo morbido e vellutato che accompagna ad un finale gradevolmente fruttato. In acciaio per 5 mesi, poi altri 5 in bottiglia. Rognoni di vitello trifolati.
MEROI Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso Vigna Dominin 2011 Alc. 14% - euro 90 Rosso rubino con cuore cupo e bordo vivace. Note speziate di pepe nero e chiodi di garofano introducono l’olfatto subito seguite da sentori di tabacco, cioccolato fondente, visciole sotto spirito, liquirizia e grafite. Il sorso è pieno, ampio ed equilibrato. L’impatto è morbido, l’allungo fresco ed il finale lungo e saporito. Per 24 mesi in barrique e 12 in bottiglia. Spezzatino di cinghiale in umido. ZORZETTIG Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso Myò 2013 Alc. 13,5% - euro 17 Nota cromatica rosso rubino fitto con cuore cupo e bordo cangiante. Il profumo è caratterizzato da intriganti suggestioni di cioccolato fondente, tabacco, cuoio, legno di cedro, china, rabarbaro e polvere di caffè. Sorso pieno e suadente con comparto tannico vigoroso ma ben mitigato da avvolgenza glicerica e soave morbidezza. Per 12 mesi in barrique. Tournedos di maialino al pepe rosa.
TENUTA CA’ BOLANI Friuli Aquileia Refosco dal Peduncolo Rosso 2015 Alc. 13% - euro 11 Rosso granato fitto, vivace e profondo. Olfatto esuberante e articolato con note speziate cui fanno seguito sentori di tabacco, bacche di ginepro, sottobosco, mirto, eucalipto e grafite. L’assaggio è ricco, sapido, avvolgente, sostenuto da tannini vivaci e progressivi che contribuiscono all’equilibrio ed alla piacevolezza della beva. Acciaio e legno grande per 10 mesi. Carrè di maiale con le prugne.
VIGNETI PITTARO Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso Ronco Vieri 2014 Alc. 13% - euro 12 La bella tonalità del rosso rubino fitto favoriscono l’approccio. Al naso amarene e frutti di bosco aprono il percorso a note di sottobosco ed erbe officinali essiccate seguite da sentori minerali di gesso e grafite. Tannini ancora giovani contribuiscono alla vivacità ed alla freschezza del sorso. Il finale è sapido e gradevolmente balsamico. Acciaio e legno di Allier. Lepre in salmì.
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TENUTA FERNANDA CAPPELLO Friuli Grave Refosco dal Peduncolo Rosso 2013 Alc. 12,5% - euro 6 Colore rosso granato fitto e compatto. All’olfatto note croccanti di prugne e amarene sotto spirito si combinano con sentori di spezie, erbe provenzali, viole appassite e cioccolato con sfumature fumé. Un tannino smussato e morbido ma ancora vivace esalta la freschezza e regala un sorso esuberante e balsamico. Solo acciaio. Maltagliati al sugo di cinghiale.
REFOSCO
DAL PEDUNCOLO ROSSO
JACÙSS Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso 2012 Alc. 13% - euro 18
VALCHIARÒ Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso Riserva 2012 Alc. 13,5% - euro 14
Bella nota cromatica rosso granato con cuore cupo. Il profumo è caratterizzato da intriganti temi speziati dolci accompagnati da suggestioni di cioccolato fondente, tabacco, erbe officinali essiccate, cuoio e legno di cedro. All’assaggio offre ottima struttura ed equilibrio con tannini composti e accattivanti. Per 12 mesi in tonneau di rovere francese e 24 in acciaio. Agnello al forno.
Sfumature di rosso granato contornano un cuore ancora rubino. Deciso ed esuberante al naso, fruttato ed ematico, con note minerali e terrose di humus, sottobosco, funghi e muschio. Note di cannella e polvere di caffè completano l’olfatto. Gustoso all’assaggio, avvolgente, sostenuto, fresco, vellutato e balsamico. In barrique di Allier per 24 mesi. Scaloppa di cervo ai mirtilli. MATTEO BRAIDOT Friuli Grave Refosco dal Peduncolo Rosso 2015 Alc. 13% - euro15 La vivacità del rosso rubino intenso gli dona un aspetto invitante e prelude ai sentori fragranti che subito conquistano l’olfatto con note fruttate di more e di ciliegie selvatiche. Poi sbuffi minerali di gesso e grafite sotto un velo di spezie dolci. Il sorso, corrispondente e fruttato, chiude con una piacevole nota tannica e balsamica. Solo acciaio. Filetto di manzo con salsa al ginepro.
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refosco
PONTONI Friuli Colli Orientali Refosco dal Peduncolo Rosso 2015 Alc. 13% - euro 8 Bella tonalità di rosso rubino intenso e profondo. Il profumo è caratterizzato da note concentrate di piccola frutta rossa e nera, sottobosco, spezie scure, humus e viole. All’assaggio l’iniziale morbidezza è vivacizzata da un tannino deciso che ben si integra con la struttura. Ottima la persistenza e la corrispondenza olfattiva. Acciaio per 6 mesi. Petto d’anatra glassato con frutta secca.
I may not be perfect
But it scares me how close to it I am
D I L E N A R D O V I N E YA R D S F R I U L I - I TA L I A T +39.0432.928633 F +39.0432.923375 INFO@DILENARDO.IT W W W. D I L E N A R D O. I T
I CROZES-HERMITAGE DEI COMBIER di Federico Magni
Foto di Oliver Chomis
Laurent Combier è un uomo di cielo, apprezzato e appassionato aviatore, e di terra. La terra di Pontde-l’Isère e dei paesi vicini. La terra del Crozes-Hermitage ovvero di quanto di meglio la syrah possa universalmente produrre. Terra ricca di granito ormai decomposto e sabbioso nelle zone di Serves e Gervans, a nord, e di argilla e calcare sotto uno strato di galets roulés a Pont-de-l’Isère, la parte meridionale dell’appellazione Crozes-Hermitage.
I Combier vengono dall’Ardèche. È Camille, nonno di Laurent, a acquistare, alla fine degli anni ’30, qualche ettaro di vigna e di frutteto, che Maurice, suo figlio, fin dai primissimi anni ’70 conduce in regime di agricoltura biologica. Una scelta decisamente controcorrente per quegli anni che pone i Combier tra i pionieri dell’agricoltura biologica in Francia. L’idea che sta alla base di questa scelta è un rapporto estremamente stretto, quasi familiare, con la terra intesa come suolo vivo, da preservare e valorizzare. Laurent cresce impregnandosi di questo amore viscerale per la terra. Ne conosce conformazioni e composizioni, si può dire di ogni paese della Valle del Rodano. A partire dal 1989 è lui a occuparsi del Domaine e la prima decisione presa è quella di vinificare e imbottigliare “in casa” tutti gli ettari vitati di proprietà. Questi vanno man mano aumentando e dai 4 del 1939 sono oggi 25, cui se ne affiancano altrettanti a frutteto. Vigneti distribuiti tra vari comuni dell’appellazione Crozes-Hermitage fino a sconfinare nell’appellazione Saint-Joseph a Saint Jean de Muzol. La selezione massale è praticata ormai da molti anni e ogni intervento svolto in vigna segue la conformazione del suolo oltre che il calendario lunare e l’età delle viti. L’approccio ai vini di Laurent, e ormai di Julien e David, la nuova generazione, è, si può dire, immediato. Il frutto è sempre presente, insieme alla speziatura tipica del vitigno. Poco è concesso al legno, che è utilizzato in misura ridotta proprio per non snaturare le caratteristiche della syrah. La gamma dei vini proposti permette di avere una panoramica esaustiva di quelle che sono le caratteristiche e le tipicità dell’appellazione. Si passa dalla più “facile” Cuvée L, fresca, fruttata, al Domain Combier di maggior struttura e profondità, per poi spostarsi nella parte nord del Crozes e godere, con il Cap Nord, dei terreni granitici e delle forti escursioni termiche che si manifestano nel nerbo e nella persistenza aromatica. Il vino più “importante” e conosciuto del Domaine rimane senz’altro il Clos des Grives. Una vera e propria referenza, come dicono in Francia. Cioè un vino che bisogna assaggiare assolutamente quando si vuole avere un’idea delle potenzialità di un vitigno in una determinata zona. Le vigne del Clos des Grives si trovano interamente nel comune di Pont de l’Isère e sono vecchie di più di 50 anni. L’ampiezza, la profondità, la finezza di questo vino, fina dalla sua giovane età, sono impressionanti. Accanto ai più noti rossi da syarh, il Domaine produce bianchi, tra cui la versione in bianco del Clos de Grives, da uve roussanne e marsanne. La grande abilità dei Combier non risiede solo nella coltivazione della vite, ma anche nel saper trovare le forme di vinificazione e affinamento più adatte per ogni vino. In cantina si usano cemento, acciaio, legno, grande e piccolo, a testimonianza di una elasticità mentale e capacità di adattamento per nulla scontata. L’idea, se si vuole, è semplice, almeno per Laurent “trovo magica la finezza dei grandi pinot neri di Borgogna. È proprio la finezza che voglio trasmettere nei miei vini”. Sembra non ci sia altro da aggiungere.
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LA CUVÉE L. ROUGE 2015 Uve: syrah 100% Alc. 12,5% - euro 16
La Cuvée Laurent Combier è il prodotto d’ingresso del domaine. Le uve provengono da vigne relativamente giovani nei paesi di Pont de l’Isère e di Serves s/ Rhône su terreni ricchi di argilla e calcare. Le rese sono di 45ha per ettaro. La vinificazione è fatta in cemento così come l’élevage. Il rosso è scuro, intenso, ma solcato da riflessi rubino che ne evidenziano l’esuberante giovinezza. Sentori giocati tutti sulla frutta rossa in leggera macerazione. Fragoline di bosco, lamponi, cassis si alternano rapidamente lasciando intravvedere profumi di violetta e una leggera nota di chicco di caffè con una spruzzata di pepe nero. Rimandi fruttati ancor più evidenti all’assaggio, che è pieno, profondo, ma al contempo facile e immediato come ci si aspetta da un entrée de gamme di lusso. Paté in crosta di coniglio e animelle di vitello.
DOMAINE COMBIER ROUGE 2015
Uve: syrah 100% Alc. 13% - euro 22
I villaggi di provenienza delle uve sono tre. A Pont de l’Isère e a Serves s/ Rhône si aggiunge Gervans con la sua terra ricca di granito. Vinificazione in acciaio per 25 giorni cui segue un passaggio in legno per 12 mesi prima dell’assemblaggio dei tre differenti terreni. Le rese diminuiscono fino a 42 ha per ettaro. Se il frutto resta presente e immediato, è la nota speziata a prendere il sopravvento non appena aerato il bicchiere che è di un rosso quasi impenetrabile. Al pepe nero macinato si aggiunge quello verde in grani accompagnato da apporti ferrosi e delicatamente balsamici. Il legno relativamente nuovo si sente ancora leggermente, ma è in rapida fase d’integrazione. Bocca complessa, ampia e verticale in egual misura. Non stupiscono i richiami speziati e la lunghezza davvero notevole. Fricassea di rognoni di vitello e purea di patate all’olio d’oliva.
CAP NORD CROZES ROUGE 2015 Uve: syrah 100% Alc. 13% - euro 30
Rese di 35 ha ettaro. Vigne più vecchie e componente di granito decomposto e leggermente sabbioso danno origine a questo vino che, come indica il nome, è quello che rappresenta la parte più a nord della proprietà nell’appellazione Crozes-Hermitage. Il colore è lievemente più luminoso, meno intenso. Sapori salini impreziosiscono la componente fruttata di fragolina di bosco e speziata di pepe lungo insieme a erbe aromatiche e a fienagioni secche. Il legno vecchio utilizzato per l’affinamento non intacca il nervosismo e le note aromatiche proprie del vitigno. Sorso pulito e preciso, improntato su freschezza e dinamismo, in cui spiccano nitide note di bacca di ginepro e di rosmarino fino al finale, di rara persistenza, in cui tornano folate sapide. Anatra della Dombes arrosto con la sua pelle e riduzione di spezie.
CLOS DES GRIVES ROUGE 2015
Uve: syrah 100% Alc. 13,5% - euro 40
All’opposto del Cap Nord, il Clos des Grives è composto dalle uve provenienti dalla parte più meridionale dell’appellazione CrozesHermitage, in comune di Pont de l’Isère. La componente argillosa è qui leggermente superiore e fanno la loro apparizione i galets roulés tipici dell’altipiano di Châteauneuf-du-Pape. L’età delle vigne supera i cinquant’anni e le rese restano molto basse. L’affinamento è di 12 mesi in legno grande e recente. Il frutto si fa più maturo, quasi sottospirito. Si avverte chiaramente la viola appena macerata. I chiodi di garofano si mescolano al caffè in torrefazione e alla grafite insieme a richiami resinosi. I tannini sono già eleganti anche se hanno bisogno di qualche tempo per affinarsi. Beva ampia, profonda, fruttata fino alla speziatura che chiude il sorso ingentilendolo. Agnello pres salés in cocotte e funghi morilles alla panna.
CAP NORD SAINT JOSEPH ROUGE 2015 Uve: syrah 100% Alc. 13% - euro 30
Da Crozes-Hermitage a Saint-Joseph. Il cambio di appellazione si sente. Vigne vecchie nel paese di Tournon. Rese di 30 ha per ettaro. Terreno granitico e roccioso che lascia poco spazio all’argilla. Esposizione nord-est. Tutti elementi che si riflettono nel vino a partire dal colore, che è rubino con bordi appena violacei. Le note sapide e gessose prevalgono su quelle fruttate di mora e amarena. Compare il bastoncino di liquirizia insieme a profumi di sottobosco e a un tocco ematico. Pepe verde e rosa e sapori alpestri completano lo spettro olfattivo. Se il Clos des Grives spicca per ampiezza, il Cap Nord di Saint-Joseph è immediatamente riconoscibile per verticalità e elegante finezza senza rinunciare a corrispondente complessità. Una facilità di beva fin dalla giovane età che lascia presagire un’ottima capacità di sfidare il tempo. Cosce di rana in padella con chips d’aglio e patate schiacciate.
DOMAINE COMBIER Route Nationale 7 26600 Pont-De-L’Isère T. +33 475846156 www.domaine-combier.com
L’Azienda Agricola Roberto Scubla è stata costituita nel 1991, da alcune vecchie vigne esistenti cui si sono aggiunti nuovi impianti, fino ad arrivare a 12 ettari vitati. Le vigne si trovano tutte sui fianchi di una dolce collina completamente soleggiata, nella zona meridionale dei Colli Orientali del Friuli, luogo d’elezione per vini dalle straordinarie armonie di aromi e sapori. La limitata produzione permette una cura molto attenta delle uve vendemmiate a mano e dei vini; ciò ha fatto sì che negli ultimi anni le principali Guide dei Vini siano state particolarmente generose nell’assegnare ottime valutazioni ad anche di massimo livello per alcuni vini. Questo è senz’altro di sprone per cercare di migliorare sempre con nuove esperienze, nella cura, principalmente, della vigna, il cui prodotto è la vera base per un’attenta elaborazione del valore del frutto e quindi del vino.
Via Rocca Bernarda, 22 | 33040 Ipplis di Premariacco | Udine Tel. 0432.716258 - Cell. 335.6919043 info@scubla.com - www.scubla.com
L'AFFUMICATO DI CARNIA di Flavia Virilli
Foto fornite da Macelleria Lazzara
"La becjarie come una volte", ovvero la macelleria come quelle di un tempo. Così, in due parole, Piergiorgio Lazzara descrive la sua bottega artigiana di Paluzza, in provincia di Udine. È lì che dal 1885 si sono alternate quattro generazioni di macellai e norcini, che nella zona - ma non solo, dato che la loro fama si è ben presto spinta oltre la Carnia - si sono affermati per la qualità dei loro prodotti, in particolar modo di quelli affumicati. Ed è proprio dell’affumicatura che Piergiorgio è un maestro. Se volete carpire i suoi segreti - impresa che non vi sarà per nulla facile - vi sconsiglio di cercarlo dietro al banco del negozio: le pubbliche relazioni non fanno per lui, quello è il regno della vulcanica mamma Giovanna Ortis che, oltre ad avergli insegnato molti trucchi del mestiere, è tutt’ora presente a consigliare i clienti con la sua rinomata esperienza. Come per tutti coloro che fanno del proprio lavoro un’arte, la voglia di creare spinge Piergiorgio tra le mura del laboratorio o nella penombra dell’affumicatoio. In questi luoghi prendono silenziosamente forma le sue creazioni, frutto di lunghi anni di studio, di sperimentazione e di una selezione quasi maniacale della materia prima. Lazzara sceglie di persona i capi suini e bovini che utilizza per i suoi prodotti. Essi provengono da aziende agricole friulane e sono tutti di primissima qualità. Anche se in macelleria c’è spazio per un’ampia scelta di carne fresca e per golose proposte gastronomiche, preparate ogni giorno sulla base delle ricette più note della tradizione carnica, i prodotti affumicati sono la punta di diamante del banco della salumeria. Quando Piergiorgio dice che la sua è “una macelleria come una volta”, non invoca la tradizione quale facile richiamo per nostalgici turisti del gusto, alla spasmodica ricerca di qualche chicca gastronomica da sfoggiare con gli amici. No, qui le cose si fanno come i nonni e i bisnonni hanno insegnato, secondo la propria esperienza personale e in funzione dei tempi e dei gusti che ovviamente mutano, ma rispettando proprio quel modus operandi che ha reso famosa la norcineria friulana in tutta la Mitteleuropa. In questo settore gioco in casa, provengo da una famiglia di norcini e, quando ho fatto assaggiare a mio nonno, classe 1929, il salame di Lazzara, il commento è stato: “chel chi sì che al è un salam!” (questo sì che è un salame!). Per il friulano medio, notoriamente poco loquace, con questa espressione si è praticamente raggiunto il massimo indice di gradimento. A ragion veduta, perché Piergiorgio non violenta la materia prima con antiossidanti, conservanti, coloranti, esaltatori di sapidità, che ormai si sono insinuati, pur se in diversa misura, anche nei laboratori di alcuni artigiani, alterando irreparabilmente la percezione dei sapori e portandoci spesso a rimpiangere i profumi e i gusti di un tempo ormai quasi perduto. Lazzara, comunque, non ha scoperto la formula per la pietra filosofale, si è semplicemente limitato a usare gli ingredienti base che da secoli si impiegano per produrre i salumi: carne, sale, spezie. Aggiunge un po’ di vino bianco al salame, ma tutto da lui è “secondo natura”. Apparentemente nulla di complicato, eppure un pizzico di magia c’è e ha luogo proprio nell’oscurità dell’affumicatoio, squarciata solo dalla lenta fiamma che consuma il legno di faggio. È con questo processo che le carni, disidratandosi al punto giusto, possono essere conservate più a lungo ed è grazie a questi fumi che il bouquet olfattivo e gustativo dei prodotti si arricchisce di note riconoscibili ma mai stucchevoli. Il salame tradizionale, nel cui impasto, insieme al lardo, vengono impiegate le carni più pregiate del suino, viene amalgamato, insaccato, legato - il tutto esclusivamente a mano - e affumicato per due o tre giorni, prima di essere posto a stagionare per circa tre mesi nelle loro cantine. Piergiorgio propone ai suoi clienti anche il salame a punta di coltello il quale, grazie al taglio a mano, valorizza al meglio le proprietà della carne, che non viene stressata e scaldata dalla macinatura. Altro prodotto storico di questa famiglia di affumicatori è la salsiccia “fumade”, preparata come la salsiccia fresca ma legata “a occhio”, secondo un metodo che si tramanda da generazioni e che le conferisce la caratteristica forma ovale. Si può consumare cruda, cotta oppure quale ingrediente per un risotto di carattere. Tra i prodotti affumicati che hanno fatto la storia dei Lazzara non mancano poi la pancetta, lo speck, il guanciale e il cotechino. Deliziosa la “stole”, un filone ricavato dalla lonza, salato e aromatizzato con un mix segreto di erbe e bacche raccolte ed essiccate in proprio, sottoposto a una leggera affumicatura e a una stagionatura di circa sei mesi. Suprema, infine, la bresaola, che grazie alla peculiare nota affumicata ha già conquistato il palato di molti gourmet.
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ANTICA MACELLERIA LAZZARA Via Roma, 133 33026 Paluzza UD T. 0433 775152
BAR LIBERTY Viale Ledra 56/b 33100 Udine T. 333 1602131 www.libertyudine.it
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LA STORIA A RITMO DI SHAKER di Enrico Bertossi
Foto di Umberto Pellizon
Lasciando il Liberty, affascinante lounge bar in viale Ledra a Udine, cammini insieme a piacevoli ricordi e qualche rimpianto se hai amato e ami ancora veramente questa città. Siamo nella palazzina di quella che fu a inizio secolo scorso la portineria della Distilleria Canciani & Cremese insieme a Fausto Liani, uno dei più grandi professionisti del buon bere che abbiano mai operato in Friuli e che si riconferma puntualmente nella sua ultima creatura. Opera del 1905 dell’arch. Silvio Piccini (1887-1955), la palazzina del Liberty è di forma angolare e rappresenta ciò che resta di un ampio complesso “Art Nouveau” che si può ammirare solamente in una magnifica foto custodita all’interno visto che l’edificio è stato demolito negli anni sessanta, dopo essere sopravvissuto a due guerre mondiali (sulle targhe storiche dovremmo mettere anche i nomi dei responsabili delle demolizioni oltre che degli architetti che le hanno progettate). Le Distillerie Canciani nascono a Plaino di Pagnacco nel 1896, inizialmente come distilleria artigianale. I titolari, Canciani e Cremese, successivamente trasferiscono la sede a Udine, dove ampliano la gamma della produzione, aggiungendo, primi in Italia, le bagne per il mercato dolciario italiano dell’epoca. Nel 1949 avviene il trasferimento a Gorizia, dove tuttora l’azienda opera. In questo pezzo di storia della città, restaurato su sue indicazioni, nel 2007 Fausto Liani ha aperto un locale di riferimento per la qualità dei prodotti utilizzati e la sua maestria nel proporli. Il cursus honorum di Fausto è lungo ma i più lo ricordano come mitico barman al Savio dei fratelli Corazza in piazza XX settembre, nel periodo d’oro udinese, dal 1978 al 1985. Di seguito al Pierrot in via Mantica e chissà se aprendo nel 1985 il suo nuovo locale aveva in mente i famosi versi della canzone di Patty Pravo: “Come un Pierrot se sei tu che lo chiedi io salto io danzo mi muovo soltanto per te”, con lo shaker da cocktail in mano ovviamente... E Pierrot fu! Locale molto amato dal popolo della notte di quegli anni ha segnato la storia del bere di qualità udinese fino alla fine del 2001. La politica negli anni ottanta e novanta si faceva in lunghe e fumose riunioni serali (non in televisione come oggi) e i direttori chiudevano i loro giornali a mezzanotte. Va da sé che la fine della giornata per loro terminasse in qualche locale del centro dove peraltro si consumavano strategie e fortune politiche con gran rapidità. Due erano i sacerdoti indiscussi di quegli anni: Fausto (al Savio prima e al Pierrot poi) e Martino all’Italia (l’albergo Astoria). Ospiti fissi il sindaco Angelo Candolini, noto per il lavoro notturno, e il direttore del Messaggero Veneto Vittorino Meloni, potente e influente giornalista a cui molti rendevano deferente omaggio proprio in questi locali. Alla domanda secca su quali personaggi (lui che ne ha conosciuti a centinaia) ricordi con affetto, Fausto Liani risponde senza esitazioni: “Candolini e Meloni, due veri signori”. Il nostro barman ha fondamenti solidi e idee chiare sulla professione che svolge con tanto amore e qualità da oltre quarant’anni: “Il mio mestiere è stato rovinato da gente impreparata e improvvisata. Bisogna studiare e soprattutto fare pratica da grandi maestri che ti devono insegnare i segreti. Se la base di un distillato è buona viene fuori tutto buono, per questo è fondamentale utilizzare sempre prodotti di ottima qualità”. Parlando con lui ci vengono in mente due grandi della storia: Giuseppe Cipriani, un barman che ha fatto dell’eccellenza e della fantasia il proprio stile di lavoro, che nel 1931 fondò a Venezia l’Harry’s Bar, e Perico Chicote (Madrid, 1899-1977) che fu il barman delle stelle nella capitale spagnola, proprietario del Museo Chicote, conosciuto come Bar Chicote, nella Gran Via. Lo stuzzico, ma l’uomo è preparato: se entrasse qui Ernest Hemingway cosa gli servirebbe? Risposta fulminea: “Alla mattina presto pompelmo con maraschino e rum (l’Ernest), a ora di pranzo il Martini Hemingway. Alla sera arrivava talmente ubriaco ....”. Grande Fausto! Tornando al presente il discorso si fa più serio e complesso: la trasformazione di Udine, le abitudini cambiate, la crisi economica e la perdita di fascino del centro storico sono elementi che vengono puntualmente fuori ogniqualvolta gli udinesi parlano con affetto e amore della loro città. È parlando con persone così che ti viene voglia di lottare per cambiare le cose: dedizione al lavoro, esperienza, professionalità e l’energia dei tempi migliori non gli mancano. E anche una parola di speranza sui giovani: “Vedo attenzione, ricerca della qualità, buoni prodotti italiani anche artigianali, la ricerca del gusto non solo su cravatte, vestiti e orologi ma anche su quello che si beve nei momenti giusti e in quantità limitate”.
Anni fa spinsi per un premio speciale della Camera di commercio ai personaggi storici udinesi. Fu così che premiammo, tra applausi scroscianti, le sorelle Toldo della gelateria del gas e il pasticcere De Liva del Laboratorio del dolce di vicolo Sottomonte. Credo che anche Fausto Liani si meriti questo riconoscimento. Chissà...
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Ăˆ tutta questione di equilibrio Dal 1499 www.tenutavillanova.com
L'OLIO EXTRAVERGINE DI MANGIAVINO di Alessandro Pareschi
LA DEGUSTAZIONE DELL’OLIO
Degustare significa assaggiare, assaporare e gustare, dal latino “gustus”, (gusto, sapore). Anche l’olio
si degusta, non in veste di bevanda, bensì di condimento. Attraverso l’analisi sensoriale si può cogliere la personalità olfattiva e gusto-olfattiva di un olio, a partire dalla frangitura, che è il momento della sua massima espressione di integrità e freschezza, e seguendone l’evoluzione. Pur non possedendo l’appeal descrittivo e degustativo proprio del vino o di altre bevande, l’esame organolettico di un olio consente di descriverne le sfaccettature in maniera gradevole e comprensibile a tutti; anzi, alcuni passaggi dell’indagine sono un cardine irrinunciabile per determinare il suo impegno corretto in cucina. L’olio impreziosisce un piatto con il suo sapore, può assecondarne la personalità, arricchirla in profumi e sensazioni, creare una particolare connotazione sensoriale o contrastarla. Può trasformare un alimento quando è utilizzato per la cottura o impiegato come conservante nelle preparazioni sott’olio. Pertanto, occorre orchestrare le diverse sfaccettature del gusto nella sua combinazione con il cibo. Lo scopo della degustazione è fornire risultati confrontabili tra loro, anche se le azioni sono eseguite in tempi diversi e da attori differenti. Per questo motivo è indispensabile mettere a disposizione del degustatore parametri di valutazione, regole precise per analizzare e valutare i singoli parametri, nonché una terminologia descrittiva da assegnare a ogni parametro attraverso un linguaggio comune. Dalla descrizione 140x50 dell’olio si posso estrapolare gli elementi utili per comprendere se e come quell’olio possa essere in sintonia QUADRICROMIA + ORO A CALDO con un cibo. (Olio, Degustazione e Abbinamento – Associazione Italiana Sommelier – 2017). 140x50 ORO A CALDO
LA FERULA MOSCHIONI Via Martiri della libertà, 24 Località Gagliano, 34079 Staranzano (GO), Via Doria, 30 T. 0481 722174 33043Cividale del Friuli (UD) www.laferula.it T. 0432 730210 www.michelemoschioni.it
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GRINOVERO Località Colle Druga 33043 Cividale del Friuli (UD) T. 3479665363 www.grinovero.it
FACHIN FERNANDA Via P. Amalteo, 5 33013 Gemona del Friuli (UD) T. 0432-982112
RINO LIZZI Via Pellegrino da San Daniele, 3 33030 Fraz. Pignano, Ragogna (UD) T. 043 2957464
LA COLLINA DELLE MIGNOLE Via Mazzanins, 2 33030 Moruzzo (UD) T. 0432 672923 www.lacollinadellemignole.it
LA FERULA
OLIO DELLE ROSSARE (BLEND) Al naso mostra franchezza e freschezza; tenue e dolce nei sentori fruttati di mandorla, pinolo, goccia d’oro e più incisivo in quelli di mela verde ed erbe campestri. In bocca, a una pasta cremosa e vellutata, dove l’amaro è appena accennato, si associano richiami di frutta secca e mela. Lievemente piccante il finale. A crudo su branzino in vasocottura con spuma di patate e timo. Varietà coltivate: bianchera, maurino, leccino, pendolino, leccio del corno. Oli prodotti: blend. Ettari coltivati: 1. Età media delle piante: 4/10 anni. Numero piante: 500. Produzione 2016: 250 lt. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 10.
MOSCHIONI OLIO BLEND
L’olfatto è complesso e fine; invitanti e nitide note di erbe aromatiche fresche, foglia di pomodoro, rucola e zenzero si aggiungono con eleganza al fruttato di oliva. Al gusto si distinguono note erbacee e speziate; l’ingresso decisamente amaro viene smorzato da un piccante abbastanza intenso e persistente mentre le sensazioni olfattive vengono confermate nell’interminabile finale. A crudo su costata di pezzata rossa alla brace. Varietà coltivate: bianchera, leccio del corno, pendolino, maurino, carbona, leccino, coratina. Oli prodotti: blend. Ettari coltivati: 1. Età media delle piante: 22 anni. Numero di piante: 1200. Produzione 2016: 150 lt. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 15.
GRINOVERO OLIO BLEND
Profumi intensi di frutta croccante e oliva matura lasciano spazio a sentori erbacei e agrumati che ne aumentano la complessità. Il gusto è decisamente persistente e presenta un’ottima armonia tra dolce e amaro. Il finale è gratificato da una leggera nota piccante. A questo si aggiungono una buona struttura e una chiusura di bocca pulita, con richiami di mandorla secca. A crudo su guazzetto di scorfano e rombo con pomodori e olive. Azienda certificata Bio. Oli prodotti: bianchera, blend. Varietà coltivate: frantoio, moraiolo, pendolino, leccino, bianchera. Ettari coltivati: 3. Età media delle piante: 15 anni. Numero di piante: 1000. Produzione 2016: 500 lt. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,25: euro 10; bottiglia litri 0,50: euro 15
FACHIN FERNANDA Concorrono diverse sensazioni olfattive ove si evidenziano frutta bianca, mandorla verde erbe aromatiche, trifoglio e carciofo. In bocca dimostra carattere e corpo pieno; il gusto amalgama l’amaro, tipico di alcune erbe officinali, a un intenso piccante che dà progressione. Nel finale ritornano i sentori percepiti al naso arricchiti da note di carciofo e pomodoro verde. A crudo su petto d’anatra glassato al miele e aceto di lamponi con purea di piselli e menta. Azienda certificata BIO. Oli prodotti: Bianchera, Gorgazzo, Blend. Varietà coltivate: frantoio, maurino, pendolino, leccino, grignan, bianchera, gorgazzo. Frantoio: aziendale. Ettari coltivati: 1. Età media delle piante: 15 anni. Numero di piante: 400. Produzione 2016: 300 lt. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 14.
RINO LIZZI OLIO BLEND
Al naso comunica note verdi di oliva, sentori di foglia di pomodoro, peperone friggitello, cardo ed erba falciata di fresco. Al palato si caratterizza per la pasta di media densità, l’amaro in evidenza e uno sviluppo orientato verso un piccante intenso che ricorda il pepe verde. Finale lungo accompagnato da un ricordo di erbe e foglia di limone. A crudo su crema di fagioli di Resia, aglio orsino e salsiccia affumicata croccante. Oli prodotti: Blend. Varietà coltivate: 18 varietà locali e del Nord Italia. Frantoio: aziendale. Ettari coltivati: 0,5. Età media delle piante: 25 anni. Numero di piante: 200. Produzione 2016: 300 lt. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 9.
LA COLLINA DELLE MIGNOLE
OLIO BLEND
Emergono dal ventaglio olfattivo tonalità fruttate lievemente mature di mandorla e mela integrate da rinfrescanti e suggestive note vegetali di cardo e tè verde. All’assaggio l’impatto è dolce, ben sostenuto da una discreta vena amarognola e sferzate piccanti nel finale con ritorni fruttati. Extravergine versatile in cucina. A crudo su risotto con fiori di zucca e pesto al basilico. Oli prodotti: blend. Varietà coltivate: frantoio, maturino, pendolino, leccino, bianchera, gorgazzo. Ettari coltivati: 3,5. Età media delle piante: 13 anni. Numero di piante: 1000. Produzione 2016: 380 lt. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 10. 29
Via della Tomba Antica | 33050 Zugliano Pozzuolo del Friuli | UD | T: 0432 561264 www.grandicucineblm.com
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NAONIS una questione di bollicine
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aonis, o meglio il Prosecco Naonis rappresenta sempre più le bollicine prodotte dai Viticoltori friulani la Delizia, cantina di Casarsa la quale, visti i numeri crescenti in quantità di uva prodotta e bottiglie di spumante vendute, si annovera a pieno titolo fra le aziende leader nella produzione di spumanti italiani. Ma Naonis non è solo Prosecco (nella versione Brut ed Extra Dry) ma è anzi una gamma completa di spumanti che comprende anche Ribolla gialla, Moscato, Rosé e soprattutto la sempre più richiesta Cuvée Jadér. Abbiamo chiesto al direttore commerciale Mirko Bellini i segreti di questa importante realtà friulana e come siano passati da 150.000 bottiglie di Naonis prodotte nel 2014 a 1.200.000 bottiglie del 2016, dedicate interamente solo al canale HORECA. Via Udine, 24 33072 Casarsa della Delizia (PN) Italy T. +39 0434 869564 www.ladelizia.com
QUALI SONO I SEGRETI DEL MARCHIO NAONIS?
Spesso il bere Prosecco è definito come un bere semplice ma, attenzione, questo non vuol dire che sia banale, anzi: nella semplicità della sua bollicina c’è già una attenta selezione del consumatore su ciò che sceglie e beve. In tal senso, sono cinque i nostri punti di forza che ci permettono di essere apprezzati dal consumatore: qualità del prodotto, capacità produttiva, immagine, rete vendita forte e capillare, strategie commerciali QUINDI CON QUESTI PUNTI FORTI IL PERCORSO È SEMPRE PIÙ FACILE PER LA DELIZIA CON LA LINEA NAONIS?
Facile e difficile contemporaneamente. Difficile perché all’inizio abbiamo dovuto guadagnarci i nostri spazi. Infatti La Delizia è arrivata nel mondo del Prosecco e degli spumanti in genere in ritardo rispetto ai maggior competitor, quindi ritagliarci il nostro mercato non è stato facile: nessuno ci ha srotolato il tappeto rosso e abbiamo dovuto sottrarre con impegno quote ad altri. Facile perché il sistema creato dal Consorzio del Prosecco Doc e dalla Regione Veneto è una macchina che funziona bene, molto concreta e che pone il mercato al centro del gioco: sta raggiungendo ogni anno gli obiettivi programmati. IL PROSECCO PUÒ RAPPRESENTARE UNA MARCIA IN PIÙ PER IL FRIULI ?
Lo rappresenta già, fosse non solo per il valore delle uve. Il Friuli è la terra dei vini bianchi fermi per eccellenza e su questo punto non si transige, però il Prosecco e le bollicine in genere possono essere un’ottima alternativa anche per la viticoltura friulana. Basta considerare quante bollicine produce oggi il Friuli e quante ad esempio si consumano nella regione stessa. Spazi per un metodo Charmat e un metodo Martinotti qui ci sono, teniamo anche presente che i flussi commerciali degli spumanti sono più veloci che non per i vini fermi e quindi c’è grande fermento. Una politica vitivinicola attenta al mercato e che vede il futuro nel lungo periodo non può prescindere da un’analisi seria e completa in materie di spumanti. Per qualche soggetto infine, il Prosecco è anche una specie di “aggiusta bilancio aziendale”, se mi passate il termine. COSA C’È DA ASPETTARSI NEL FUTURO DA PARTE DEL MERCATO NEI CONFRONTI DEL PROSECCO?
Il Prosecco ormai non può essere considerato solamente un fenomeno: è una certezza che si è consolidata sul mercato, i consumatori lo cercano e lo apprezzano. Non avrà una durata limitata nel tempo anche perché all’orizzonte non vi sono prodotti in grado di sostituirlo o contrastarlo sul rapporto prezzo-qualità. In tal senso un tentativo è stato fatto dai produttori dell’astigiano che hanno puntato sull’Astisecco come alternativa al Prosecco ma con scarsi risultati. Sui mercati esteri una possibilità potrebbe venire dalla zona di produzione del Cava spagnolo, che viste le potenzialità produttive e la tradizione in materia di bollicine, nonché il fatto di avere alle spalle una regione autonoma con una forte propensione turistica come la Catalogna, potrebbero avere dei validi elementi per immaginarsi quale rivale tra le bollicine Charmat. Un mix di prezzo, capacità produttiva e forza comunicativa in grado di costruire un ipotetico prodotto di successo... per ora però dormiamo sonni tranquilli. IL PROSECCO È SEMPRE PIÙ IN MANO AL MONDO COOPERATIVO?
Sicuramente il sistema cooperativo detiene una quota notevole di materia prima. Adesso la grande sfida per le cooperative vitivinicole in generale è acquisire sempre più quota di mercato con il prodotto imbottigliato. Non è un processo casuale e credo si possa realizzare. Il Prosecco ha infatti una propensione per essere un prodotto adatto al mondo della cooperazione. E QUALI SONO I MERCATI PRINCIPALI PER GLI SPUMANTI NAONIS?
L’Italia rappresenta il mercato primario e di riferimento. A differenza dell’estero è un mercato vivo che ti parla e dà indicazioni costanti sull’andamento del prodotto, sulle tendenze, sulle richieste e sulle mode. Il mercato estero è importante per volume e numeri, però arriva al mondo del Prosecco trainato dall’onda e dalla moda del mercato italiano. Dobbiamo sempre tenere a mente inoltre che oggi la parolina magica è Prosecco, non il nome della singola azienda. MA VOI NON AVETE SOLO PROSECCO. LO JADÉR È INFATTI UNA CUVÉE CHE PIACE.
Ci sta dando grandi soddisfazioni al punto di diventare un secondo punto di forza della linea Naonis. Le Cuvée in generale stanno acquisendo sempre maggiore importanza all’interno del bilancio vendite delle aziende, rappresentando di fatto la personalizzazione dello stile spumantistico aziendale in un prodotto non varietale. In tale contesto si è inserito lo Jadér, un blend di Glera e Ribolla particolarmente versatile da utilizzare come base per aperitivi o da consumo tout court. Attualmente rappresenta di fatto la firma d’autore, una sorta di griffe della nostra azienda: La Delizia oggi è identificata sempre più dai nomi Naonis e Jadér DULCIS IN FUNDO... LA RIBOLLA GIALLA SPUMANTE CHE PROSPETTIVE HA?
Per capacità produttiva e qualità La delizia è pronta a inserirsi sul mercato anche con questo prodotto. C’è da capire l’impostazione strategica e commerciale che verrà data a questo spumante friulano. Mi spiego: le alternative sono il lancio come progetto di singole aziende oppure un progetto coordinato con una strategia comune sotto una regia unica applicata da tutte le aziende, cioè in sostanza e con le debite proporzioni, quello che il Veneto ha fatto con il Prosecco. Vedremo cosa accadrà e quali saranno le strategie future, di certo in questo momento se ne parla di più di quanto se ne vende.
JO�KO GRAVNER di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano
Foto di Fabrice Gallina
“Tu sei più bella di ieri vita che a tutti ci fai battere il cuore ed è proprio questo che mi piace tanto ma non so scrivere e non so dire non so chinare la testa che non si china la testa e non si regala l’intelligenza e la compagnia e non è il caso di aspettare non è il caso di aspettare mai più”. Appartiene al testo struggente de “La disciplina della Terra”, una canzone dell’omonimo album pubblicato nel 2000 da Ivano Fossati, poeta e musicista di rara intelligenza ed emotività. 34
Ho risentito alla radio questa canzone. Ero in auto e rientravo dall’incontro a casa Gravner. Il caso? Certo, è il caso.
Tuttavia penso che la sensibilità nel vivere alcune emozioni avvicini, come cita il testo, all’essenziale. E l’essenziale è il vivere presente, l’interazione tra il personale e il resto. E il resto è la Terra. La terra che a volte è madre, in altre è matrigna. Chiede tanto ma da tanto, anzi tutto. Chiede di vivere bene il presente per poter contare sul futuro. “Avere o Essere?” Il sociologo tedesco Erich Fromm pubblicò questo saggio per Mondadori nel 1977. Fu un best seller mondiale poiché ripropose temi sociali ed etici in quegli anni complicati e ancora percorsi dai fremiti sessantottini che avevano, allo stesso tempo, illuso e disilluso le giovani generazioni di tutto il mondo. Quarant’anni dopo le cose sono ancora lì. Nulla si è mosso se non per retrocedere. A pagare le conseguenze peggiori è la Terra. La mattina è luminosissima. Oslavia è vestita a festa e indossa l’abito colorato dell’estate e non le si può chiedere di più! Mateja, che ci accoglie con la sua consueta gentilezza, ha già allineato le bottiglie sul tavolo della piccola accogliente sala da degustazione. I calici di Lunardon sono pronti. “Papà è in vigna, ora lo chiamo. Non abbiamo mai fatto una verticale di Ribolla Gialla così completa e anche lui è molto curioso”. Noi invece siamo semplicemente emozionati e i pochi minuti che trascorrono dall’arrivo di Joško lo testimoniano. Stiamo in silenzio, quasi timidi, cosa del tutto inusuale per noi. Guardiamo ammirati, come fossero reliquie, le bottiglie più datate. Le aspettative sono a mille. Non solo è la prima volta che si mettono in fila annate di «Ribolla Gravner» che vanno dal 1983 al 2009 ma soprattutto non si sono mai accostati tra loro gli stili diversi che si sono succeduti in questi 26 anni di vendemmie. La degustazione comprende anche la straordinaria, emozionante Ribolla 8,9,1, una selezione di tre annate (2008, 2009, 2010), ottenuta da sole uve botrytizzate. Questa verticale forse è un po’ una sintesi del percorso di vignaiolo di Gravner ma anche di quella personale. Una strada non semplice, fatta di studi, fiflessioni, viaggi e prove infinite. Un tragito fatto di scelte radicali, di dolori familiari irreparabili e di incessante ricerca di serenità. Joško è vestito da lavoro, come si conviene per un uomo della vigna. Il saluto è cordiale, semplice e diretto. Le chiacchiere iniziali inducono al tempo atmosferico che “fa quello che vuole - dice scherzando e aggiunge - la mia è un’azienda senza tetto e quindi non posso pretendere che le cose vadano sempre come vorrei. Non c’è da piangere quando capita qualche imprevisto. Fa parte del gioco”. È un uomo di poche parole. Non è quello che si potrebbe definire un “comunicatore” nel senso stretto che la modernità identifica questa figura, tuttavia le parole le sa usare, eccome. Le usa e non le spreca, come fa il contadino con le sementi o con il tempo che scandisce le stagioni. Segue la filosofia di Rudolf Steiner, non cede a compromessi quando questi limitano la naturalità dei suoi vini e una vita salutare. Tuttavia non disconosce quanto fatto in passato. Ha abbondonato vie che aveva percorso per primo e da primo della classe. Era il punto di riferimento. Dice con semplicità e schiettezza: “ho superato la fase dei vini di quegli anni ma io non rinnego niente. Se devo essere sincero tutte queste direzioni che ho scelto mi hanno complicato la vita ma io ho voluto cercare strade che mi hanno dato nuove soddisfazioni anche se è stato difficile”. Gravner ricorda perfettamente le date dei trattamenti, delle vendemmie, delle grandinate, delle gelate, di tutti i raccolti, quelli difficili e quelli meno complicati. In questo si intravede non solo la passione estrema del vignaiolo per il suo lavoro ma anche la testimonianza di un percorso mai casuale o subalterno agli eventi. È invece il frutto di una ricerca continua, incessante verso un progetto che deve tenere conto della natura perché è da lì che esso proviene ed è al suo interno che si sviluppa e vive.
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slavia, terra di vino e di ciliegie. Terra indifferente ai confini mutanti e alle loro leggi ma salda alle tradizioni che hanno sempre garantito per secoli l’esistenza delle anime che vi hanno abitato. “Da sempre facevamo vino. Mio padre Jožef – spiega Joško - coltivava la vigna secondo le conoscenze antiche, tramandate forse da secoli. Quando sono nato, lui era già un uomo adulto e io, appena uscito dalla scuola, ho subito scelto di dargli una mano. Lui in vigna, io, fresco di scuola enologica e con una gran voglia di applicare quanto studiato, in cantina. La prima vendemmia fu per me indimenticabile. Solo uva sana! Era questo il concetto che avevo imparato e quindi eliminavo tutta quella con la botrytis. - Josko - stiamo buttando l’uva migliore - mi disse mio padre -. Papà - risposi - sei vecchio, non capisci niente -. Molti anni dopo ho realizzato che aveva ragione e gli ho chiesto scusa. Nel 1998 ho ripreso a fare i vini con la muffa nobile. È stato Marco Simonit che mi ha dato una mano in campagna per realizzare questo progetto”. La storia è breve e affascinante. Il giovane Gravner va per la sua strada e nel 1973 mette in commercio le prime bottiglie che riscontrano subito un buon successo commerciale e tutto sembra procedere per il meglio. Ma Joško è uno sperimentatore e presto diventa il punto di riferimento per i vignaioli di Oslavia e non solo. Assieme a lui, personaggi come Stanko Radikon, i fratelli Bensa, Edi Kante e pochi altri, cominciano a pensare a un’enologia diversa, più naturale. Negli anni ‘90 diventa paladino della barrique quando questo contenitore era visto con diffidenza in Friuli e in Italia, specialmente nei vini bianchi. È un successo formidabile. Tutti vogliono assaggiare Gravner! Ma lui, da ricercatore, non si ferma. Alcune situazioni, come la devastante grandinata del 1996, gli fanno capire che forse è tutto più semplice, più naturale di quanto si crede e che non si può andare contro la natura. Sperimenta la macerazione, trova la capacità di attendere con umiltà ogni fase della stagione. Si convince che è meglio “non aggiungere, anzi togliere. Non fare è più difficile che fare, ma se entri in questa filosofia non torni più indietro”. Poi la scoperta delle anfore, forse casuale, forse voluta. “Ho scelto le anfore perché lì è tutto più semplice. Sono un contenitore ideale per le fermentazioni. Finita l’alcolica inizia spontaneamente quella malolattica. Quest’ultima la considero fondamentale per i vini. Senza di essa il vino per me rimane incompiuto”.
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La degustazione parte. Si inizia dalle annate recenti, come succede
quasi sempre, per arrivare alle prime prodotte. Un percorso a ritroso formidabile. Ad ogni assaggio, ad ogni vino, c’è un commento. Un riferimento, un piccolo aneddoto, un accenno a qualcosa che serve a capire meglio il vino a cui ci si accosta. “L’annata 1996 fu decimata da una doppia grandinata. Quella del 2011 è stata lunghissima. Mi ricordo che ho mangiato le ultime ciliegie dell’albero qui fuori dalla nostra casa il 15 agosto. Le vendemmie rispecchiamo l’andamento di maturazione delle ciliegie. Gianluca, nel bel mezzo degli assaggi, pianta lì un bel: “Josko, cosa cerca lei nel vino?”. “Io divido il vino - risponde - in due categorie: quello vivo e quello morto. Interventi in campagna e in cantina che snaturano e appiattiscono il vino non gli permettono di rimanere vivo. Io sento la differenza dal punto di vista organolettico. È come per il formaggio fatto con il latte in polvere o il gelato fatto con i concentrati e i coloranti. Nel vino, meno fai, meglio è. Bisogna partire però da uva buona. L’anno scorso è stata una annata difficile e la vendemmia, iniziata ai primi di ottobre è andata avanti per tutto il mese. Bisognava selezionare severamente. Chicco per chicco, come raccogliere le ciliegie”. Si prosegue assaggiando e parlando del tema della naturalità e Gravner spiega: “dal 2001 e cioè da quando metto il vino nelle anfore non controllo più nessun dato, né nelle uve tantomeno nel vino. Le potature le eseguo secondo il calendario di Maria Thun. Lascio in pianta 6 o 7 grappoli tagliati a metà, vendemmio in ottobre in modo che l’uva maturi bene e possieda ciò che serve. La tecnica di vinificazione è antica di millenni. Io non aggiungo né tolgo nulla. È solo così che il vino rispecchia l’annata. L’unica cosa che aggiungo è una piccola percentuale di zolfo senza il quale, continuo a dirlo ormai da anni, è impossibile fare il vino poiché il prodotto naturale dell’uva non è il vino ma l’aceto. Negli anni ’90 andavo ripetendo che volevo fare il vino senza aggiunta di zolfo. Ma poi ho capito che così non poteva andare e ho chiesto scusa, mi ero sbagliato”. La degustazione prosegue e nascono spontanee alcune considerazioni. Si osserva come l’azione del tannino sia fondamentale per questi vini, non solo per la sua azione conservante ma anche per l’effetto rallentante che essi svolgono durante la fase gustativa sul palato. Mantengono, quasi perpetuano le sensazioni gusto olfattive a tutto vantaggio della piacevolezza. Emoziona la cromaticità dei vini. Joško sbotta: “gli americani chiamano questi vini «orange» ma io dico invece che il mio è «ambra» perché se fosse davvero color arancio se ne sarebbe già scappato”. Dalla vendemmia 2007 tutti i vini bianchi maturano 7 anni prima di essere imbottigliati. Gravner spiega il motivo: “Steniner identifica in 7 anni ogni ciclo che racchiude le fasi vitali e quindi a questo mi sono ispirato quando ho deciso il periodo di sosta dei vini in cantina”. La scelta “minimalista” non è soltanto in campagna ma anche in cantina e Joško ha agito di conseguenza. “La mia produzione di vino attualmente richiede solo 4 kilowatt di energia elettrica. Mi sono accorto strada facendo che molti macchinari non mi servono. Ho eliminato tutto quello che non era necessario. Ho venduto la pressa, il frigorifero per raffreddare i mosti, tutto l’inox, le barrique e ho tenuto solo un torchio a mano, le botti di rovere e naturalmente le anfore. Il resto lo fa la natura e quello che ti offre lo devi accettare. Non puoi farne a meno. Ricordo che in un’estate capitò una grandinata violenta che rovinò gran parte del raccolto. Io ero molto arrabbiato e imprecavo contro il tempo. Un vecchio contadino che mi dava una mano in vigna mi disse che la natura è così e che se accettavo le annate buone dovevo farlo anche per quelle cattive. Fu per me una grande lezione che mi fece riflettere”.
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Denominazione: IGT Venezia Giulia Zona di produzione: vigneti collinari, altitudine metri 150-250 slm., esposti a Sud/Ovest: vigneti di Hum e Runk nell’area del Collio/Brda, lungo il confine sloveno. Terreno: ponca (marne ed arenarie stratificate, di origine eocenica. Viticoltura biologica. Età delle vigne: 30 anni. Metodo di allevamento: alberello in fila, guyot. Resa per ettaro: 3 t di uva con densità di 6-8.000 ceppi /ettaro. Uve: ribolla gialla. Epoca raccolta delle uve: ottobre e oltre. Vendemmia manuale, in più passaggi. Vinificazione dall’annata 2001: fermentazione con lunga macerazione in anfore georgiane, con lieviti indigeni senza controllo delle temperature. Maturazione dall’annata 2003: dopo la svinatura e la torchiatura il vino torna in anfora per alcuni mesi prima di iniziare la maturazione in grandi botti di rovere dove rimane per alcuni anni (inizialmente 3, dalle ultime vendemmie 6). Imbottigliato senza chiarifiche né filtrazioni ove rimane per 7 mesi. Prima annata prodotta: in bottiglia dal 1973, prima sfuso Bottiglie prodotte: circa 18.000 anno. Temperatura ottimale di servizio: 16-18°C in calici Gravner realizzati dal maestro Lunardon o in alternativa in calici ampi (Riedel Vinum Extreme Chardonnay). Prezzo medio al pubblico in enoteca: euro 70.
2007
È una delle due anteprime della verticale, l’uscita in commercio e ormai prossima. Annata bella e solare, con qualche precipitazione in autunno che ha permesso lo sviluppo di un modesto quantitativo di muffa nobile. Vendemmia che termina il 12 novembre con la raccolta delle sole uve botritizzate. Alla vista la splendida tonalità ambrata apre le porte a un assetto olfattivo molto complesso e suadente, fatto di profumate resine e sciroppo d’agave. Un deciso timbro floreale si mescola perfettamente con un ventaglio d’erbe mentolate, anice stellato, incenso e sottili richiami al fico disidratato. Poi miele millefiori, lavanda, pera glassata, chips di banana e burro d’arachidi. Entrata al palato graduale, sofficemente glicerico all’inizio e di vitalizzante freschezza salina il proseguo. Splendido per equilibrio ma soprattutto per il suo lunghissimo sviluppo aromatico, che ricorda il caramello salato. Il tempo, siamo sicuri, confermerà il suo assoluto valore.
RIBOLLA GIALLA ANFORA Alc.12,5% - Punteggio 94/100 Una delle annate preferite da Josko. Un vino che segna un punto di svolta: la prima Ribolla messa in commercio dopo ben 7 anni di affinamento. L’ideale andamento climatico, con lunghi periodi asciutti intervallati da piogge leggere, ha permesso la raccolta di uve sane e mature, senza sviluppo di botrite. Vendemmia che termina il 25 settembre. La veste ambra, ricca di riflessi, sembra voler ricordare l’eccezionale luminosità dell’annata. Profilo ricco e maturo; polpa di albicocca, fiori secchi, favo di miele sono solo i precursori di una trama olfattiva decisamente complessa, che si svela lentamente richiamando anche tabacco biondo, cuoio e sbuffi fumé. Palato sostanzioso e splendidamente proporzionato tra la maturità del frutto e l’eleganza del binomio acido-sapido. Filo conduttore tra naso e bocca è il tratto minerale “di ponca” di decisa persistenza. Entusiamente la sottile trama tannica, capace di rendere la beva lenta e riflessiva, in una parola: inesauribile.
Annata culto per gli amanti della Ribolla “gravneriana”. L’andamento climatico si è diviso tra l’equilibrio di una stagione estiva, dalle precipitazioni moderate, e un autunno decisamente più bagnato, che ha permesso la raccolta di un generoso quantitativo di uve attaccate dalla tanto amata botrite cinerea. Ambra che si tinge di lampi rossi. Stordente complessità, in cui l’affascinante défilé aromatico conferito dalla muffa nobile, si interseca con una maturità evolutiva altrettanto coinvolgete. Difficile elencare la miriade di riconoscimenti. I più in vista parlano di fava tonka, abbamele, resine, incenso, anice stellato, agrumi canditi, torba e molti, molti altri. L’assaggio mostra una coesione e una simmetria tra le componenti di rara perfezione. Ogni elemento è perfettamente proporzionato. Acidi, sali, alcoli e glicerine sono un tutt’uno che apporta, senza alcuna sbavatura, complessità alla beva. Impeccabile sincronia aromatica che scopre in fondo al sorso caramella d’orzo, menta e indelebile sapidità. Da annoverare tra i migliori della verticale.
2005
RIBOLLA GIALLA ANFORA Alc.12,5% - Punteggio 97/100
2003
2009
RIBOLLA GIALLA ANFORA Alc.14% - Punteggio 95/100
RIBOLLA GIALLA ANFORA RISERVA ALC.13% - Punteggio 96/100 Seconda e attesa anteprima. L’annata 2003 è tra le più calde e siccitose che si ricordino in Friuli. La limitata quantità di uve prodotte ha regalato un sorprendete equilibrio ai vini, dall’evoluzione molto lenta e progressiva, senza presenza di botrite in vendemmia. Ci sono voluti ben 14 anni di affinamento, equamente divisi tra botte e bottiglia. Nasce dalle viti più vecchie dei vigneti Hum e Runk, quest’ultimo alla sua ultima vendemmia prima dell’espianto. Ambra tra i più intensi riscontrati fino a ora. Naso possente, di evidente impronta solare. Inonda il naso di scure note di erbe secche, corteccia, sbuffi eterei e polvere da sparo, a cui si uniscono dopo lunghi minuti sentori più ghiotti di uva passa, tè alla pesca e incenso. Al sorso la sua ricchezza estrattiva è splendidamente modulata. La salda struttura sembra scolpita nella roccia, sempre affiancata da una solerte acidità. Profondità gustativa tridimensionale dove l’azione tannica non solo rallenta la beva, ma conferisce straordinaria grandezza gustativa.
2001
RIBOLLA GIALLA ANFORA Alc.13% - Punteggio 93/100 Dopo le prime sperimentazioni iniziate con l’anno 1997 nella casa di Hum, ecco la prima annata in commercio utilizzando la vinificazione in anfora georgiana. Estate piuttosto piovosa, che ha risparmiato per fortuna i vigneti aziendali, permettendo una raccolta di uve sane, con percentuali di botrite piuttosto basse. Vendemmia che termina sotto un bel sole di inizio ottobre. Ambra dai bellissimi riflessi rossi. Naso nitido e di ottima complessità. Un tratto di frutta secca è inizialmente affiancato e successivamente sovrastato da note di caramelle al malto, albicocche disidratate, ginestre appassite e tutta una serie di note balsamiche prima e terziarie poi, che vanno dall’eucalipto all’incenso, per poi stazionarsi su richiami di pece e tabacco fermentato. L’onda gustativa che colpisce il palato non ha le dimensioni dello tsunami della ribolla 2003, preferendo esprimersi su una struttura proporzionata, un’acidità bilanciata e dalla consueta salinità acuminata che incide nel sorso. Persistenza lenta in cui si riaffacciano le note balsamiche e ritornano quelle decisamente più speziate.
1999
Ultima annata in cui la macerazione (durata 12 giorni) viene effettuata in tini di legno. Annata da inserire tra quelle belle, ma che tuttavia racconta Joško, non ha generato vini particolarmente qualitativi. Vendemmia che termina giovedì 23 settembre con la raccolta di un modesto quantitativo di uve botritizzate. Ambra in linea con gli altri millesimi. L’apertura aromatica si esprime su note decisamente più estroverse. Compaiono sulla scena ricordi di crusca, carte da gioco usate e guizzi decisamente eterei, che fanno ricordare alcune birre lambic del Pajotteland. Di più facile lettura il proseguo che recita essenza di arancia, fienagioni estive, spezie dolci ed effluvi boschivi. Sorso composto e di buona complessità. Si offre con schiettezza mostrandosi ancora pimpante nell’acidità e dalla beva scorrevole, ben proporzionata. Il finale si esprime su versanti speziati ed eterei che esaltano la consueta forza sapida. RIBOLLA GIALLA Alc.13,5% - Punteggio 98/100
Un’annata che Joško fa capire di essere di grande valore, da sempre tra le sue preferite. Ribolla gialla che nasce da una macerazione sulle bucce durata 10 giorni in botti troncoconiche, senza l’utilizzo di nessuna moderna tecnologia di cantina. Annata asciutta, con uno splendido equilibrio di maturazione. Vendemmia che termina il 25 settembre senza nessuna presenza di botrite. Ambra scuro nel cuore, trasparente al bordo. Pur in un contesto di evoluzione, si respirano profumi in un impressionante stato di freschezza e conservazione. Appaiono per primi sentori di sciroppo d’agave ed eucalipto, immediatamente rincorsi da buccia di kumquat e geleè di bergamotto. La canna da zucchero e un folto gruppo di altri riconoscimenti distribuiti tra spezie orientali, resine e cesti di frutta tropicale matura riportano all’essenza garbata di un grande rum. Al sorso è davvero un campione. Scandisce un ritmo solenne e cadenzato dove ogni elemento è al suo posto. Acidi, sali, glicerine, tannini creano una sofisticata quanto articolata trama gustativa, che sa trasmettere tutta l’emozione possibile.
L’annata che non c’è! Una doppia quanto violenta grandinata si abbatte sui vigneti aziendali il 19 e 20 giugno, portandosi via quasi tutto il raccolto. Il proseguo della stagione è segnato da piogge e temperature miti. La vendemmia ottobrina è da bollettino di guerra: 20 quintali di uva su 18 ettari totali! Benché fosse presente una piccola quantità di botrite, Joško decide di utilizzarla solo a partire dal 1998. La scheda tecnica recita: fermentazione spontanea e affinamento in piccole botti da 130 litri. Colore ambra intenso. Si respira al naso qualcosa di diverso, un timbro serrato di confettura d’albicocche e frutta tropicale surmatura. Si affianca una deriva speziata dolce, di vaniglia e cardamomo. Prosegue sulla stessa ostinata scia aromatica con offici sentori di melassa, frutta secca e cedro candito. All’assaggio è decisamente vellutato. Il corpo tonico e proporzionato, segna la presenza del legno, figlia dei canini di quel periodo. Finale lungo e coerente ritmato da splendidi scintillii sapidi.
1996
RIBOLLA GIALLA Alc.13% - Punteggio 92/100
1990
2000
RIBOLLA GIALLA Alc.13,5% - Punteggio 91/100
RIBOLLA GIALLA Alc.13% - Punteggio 96/100 Sole, luce, temperature ideali e precipitazioni contenute, sono stati gli elementi di una delle annate più qualitativamente positive che il Friuli Venezia Giulia ricordi. Ribolla vendemmiata tra fine settembre e inizio ottobre e posta ad affinare in barrique di rovere francese per l’80% nuove. Oro luminosissimo che comunica già alla vista grande integrità. Il profumo è nitido di fiori ed erbe aromatiche, che spaziano tra fieno d’alpeggio, il tiglio e la camomilla. Suggestivi aromi di limone candito emergono sullo splendido sottofondo di miele millefiori, creando un ideale abbinamento aromatico. Sorso stupefacente non solo per la splendida forma con cui porta i suoi 27 anni, ma soprattutto per tensione fresca e sapida di ottima proporzione. Mostra un’alchimia salina che spazia dalla pietra al ferro, tasselli indelebili dello stesso mosaico gustativo. Lunghissimo e preciso il finale, per un vino che dimostra di avere davanti a sé ancora un lungo percorso di vita.
Annata difficile segnata da un’estate fredda e decisamente piovosa. Più che una rarità e un’unicità, infatti è l’ultima bottiglia della riserva personale della famiglia Gravner. Annata un po’ misteriosa per tutti, compreso lo stesso Joško, che ci confida di non assaggiare questo millesimo da ormai molti anni. Vendemmia settembrina e vinificazione coerente con l’innovazione tecnologica degli anni ‘80 fatta di botti in acciaio e barrique. Colore dorato lucente. Naso che lascia percepire una maturità di fondo ancora in divenire. Tuttavia questo non distrae i sensi da aggraziati profumi di timo serpillo, gardenia, albedo di limone e gelatina di cedro, mentre una componente terziaria di incenso e resine appare delicatamente. Sorso che non può vantarsi del peso e della complessità aromatica di altri vini fin qui degustati, ma che sa sfilare senza frizioni tra splendide volute floreali e disinvolte componenti fresche e sapide, congedandosi in un finale di ottima tenuta, ricco di reminiscenze agrumate e minerali.
1987
RIBOLLA GIALLA Alc.13% - Punteggio 91/100
1983
RIBOLLA GIALLA Alc.13,5% - Punteggio 97/100 L’annata contraddistinta da un’estate soleggiata intermezzata da brevi scrosci a carattere prevalente temporalesco, ha permesso la raccolta di uve sane e con un’ottima componente acida, grazie a una vendemmia che in quegli anni si effettuava intorno a metà settembre. Il colore lascia semplicemente sbigottiti, a distanza di 34 anni si mostra nel calice con un sottile giallo paglierino intarsiato finemente di riverberi verdi. Pare che il tempo si sia fermato! Naso che con gli anni si e spogliato completamente di tutto il peso del frutto. Gli aromi che si percepiscono sono sottilissimi e sembrano più il ricordo di essenze, sottratti dal tempo, fino ad arrivare all’essenzialità. Note inconfondibili d’idrocarburo, seguite da eucalipto, erbe mediterranee e altre decisamente più alpine; e ancora goudron, sali termali, zenzero e torba. L’assaggio incredibilmente è ancora nervoso, grazie soprattutto all’acidità che risulta essere ben presente. Struttura sottile ma perfettamente salda, integra, senza nessuna incertezza. Il ritmo sapido con cui si svolge nel lungo finale porta dietro una serie di splendidi riconoscimenti balsamici, indimenticabili.
RIBOLLA GIALLA Alc.13,5% - Punteggio 100/100 Ribolla gialla con botrytis cinerea di tre annate: 1988. 1989, 2000.
JOŠKO GRAVNER Via del Lenzuolo Bianco, 9 34070 Oslavia (GO) T. 0481 30882 www.gravner.it
8.9.1
“Se chiedi al cuoco quale è il piatto più difficile ti risponderà che è il dolce”. Così Joško presenta quello che consideriamo il capolavoro massimo di questa verticale. Vino che nasce dalla raccolta meticolosa dei singoli grappoli di sola ribolla colpita da botrytis cinerea, avvenuta il 23 novembre 2008, il 12 novembre 2009 e il 15 novembre 2010. Lunga macerazione (non solo sulle bucce, ma anche sui raspi) in anfora interrata e successivo affinamento in piccole botti di rovere. Giallo ambra così intenso e luminoso che pare brillare di luce propria. Naso fittissimo e suadente che comunica pura emozione. Un labirinto aromatico profondo e incessante. Zafferano, carrube, zucchero muscovado, tè alla pesca, caramelle toffee e miele di melata. È così complesso e articolato che tocca registri imprevedibili: dall’incenso palo santo al tabacco orientale, dalla fava tonka alla noce moscata. L’assaggio seduce e affascina, senza lasciare alcun punto di riferimento. Il percorso gustativo apre soffice e cremoso grazie alla componente zuccherina perfettamente calibrata che si bilancia perfettamente alla freschezza. L’allungo racchiude e amplifica tutta la ricchezza olfattiva mentre la dolcezza si assottiglia a favore di un’intensa, inebriante mineralità. Inutile tentare di valutare la persistenza poiché semplicemente inesauribile. Uno dei vini italiani più importanti di sempre.
FARE ALLEVAMENTO IN LAGUNA di Raffaella Nardini
Fossalon di Grado è la parte di laguna bonificata nei primi del ‘900. Arrivando da Fiumicello, si costeggia la Valle Cavanata, oasi naturalistica prediletta da molte specie di uccelli migratori sia come zona di permanenza estiva, sia come zona di riposo durante la migrazione. L’inverno è un periodo inusuale quanto meraviglioso per la natura un po’ selvaggia di questa frazione dell’Isola d’oro.
aziendale, e, tenendo conto dei parametri di attenzione al benessere animale che sono l’aria, l’acqua e la luce disponibili, lo spazio pro capo e la pulizia degli ambienti di ricovero. Le vacche sono per la maggior parte di razza pezzata rossa, adatta alla produzione di latte di ottima qualità. Ogni animale produce in media 28 kg di latte al giorno, e viene munto due volte nell’arco delle 24 ore.
La famiglia Sain inizia la sua attività intorno al 1957, con 5 ettari di terra e 3 vacche da latte, ad anticipare quello che sarà il sogno, o come dice lui “la follia”, di Maurizio che, insieme a sua moglie Sabrina e ad alcuni collaboratori, conduce quest’azienda agricola che produce e vende latte fresco, formaggi e latticini di vario genere, di propria produzione. Nel 1976 l’azienda si amplia e viene costruita la prima stalla che accoglie 50 vacche, dedicandosi esclusivamente alla produzione di latte ma non alla sua trasformazione. La seconda stalla arriva nel 2001 con ulteriori ampliamenti successivi fino a raggiungere i 200 capi e i 70 ettari di proprietà. Il sogno del caseificio e l’inizio dell’avventura arrivano nel 2006, con la decisione del giovane imprenditore di continuare la tradizione di famiglia e di dare valore aggiunto al latte delle sue vacche con la trasformazione.
Per Maurizio la giornata inizia presto, con la prima mungitura alle 4.30 del mattino; ci vogliono due ore per mungere tutte le mucche, poi via in caseificio per la trasformazione e infine c’è la campagna. Una vita dura ed impegnativa, ma ricca di soddisfazione. Anche in campagna le scelte sono precise, per fertilizzare i campi vengono utilizzati soprattutto il letame ed i liquami prodotti degli animali dell’azienda. Inoltre, anche è attivo un impianto termo-fotovoltaico che fornisce energia elettrica ed acqua calda.
Prima di parlare dei prodotti, è doveroso richiamare l’attenzione su quella che è la filosofia di quest’azienda che ha fatto scelte di rispetto dell’ambiente e degli animali che alleva. Aderisce infatti ad un gruppo di produttori chiamati “Liberi ed Indipendenti” del Friuli Venezia Giulia, che si caratterizzano per una grande sensibilità all’ambiente, per il rispetto della natura e delle tradizioni. Le vacche vengono nutrite con foraggi esclusivamente prodotti nei terreni di proprietà
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Maurizio e Sabrina propongono i loro prodotti nel punto vendita adiacente al caseificio e nei mercati settimanali. I loro formaggi sono anche presenti in alcune gastronomie e agriturismi che li scelgono nei loro menù per la qualità e freschezza indiscusse. Nel loro accogliente punto vendita si possono trovare i prodotti freschi come latte e yogurt ma anche gelati e budini. Ricotta fresca, vari tipi di “latteria”, il “frant” e molte tipologie di formaggi stagionati. Non mancano lo stracchino, il primo sale, la robiola e una mozzarella saporita, succosa e di perfetta consistenza. “La Bonifica” è un luogo in cui si percepisce l’entusiasmo per il lavoro. Unisce l’allevamento bovino sostenibile con la produzione di qualità a km zero, la ricerca di nuove produzioni con lo sguardo alla tradizione. È un luogo dove l’uomo e la natura sanno convivere bene.
LA BONIFICA Via della Bonifica 34073 Fossalon di Grado (GO) T. 0431 88145 maurizio.sain@gmail.com
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IL FUTURO DEL PIGNOLO SARÀ COME QUELLO DEL PICOLIT? di Walter Filiputti
Foto di Fabrice Gallina
È una domanda, quella del titolo, assai seria e che ci eravamo posti al termine del servizio apparso, sempre sul Pignolo, su MangiaVino di aprile 2017. Chi scrive è pienamente convinto che per comprendere i fatti e le azioni del passato sia necessario calarsi nel periodo che li ha prodotti. La nostra vitivinicoltura moderna nasce nel 1891 a Gorizia, dove si tenne il IV congresso enologico austriaco. Lì furono gettate le basi di quello che poi sarebbe diventato il Rinascimento del vino del Friuli Venezia Giulia, a partire dal 1970 circa. Alla fine dell’Ottocento, la viticoltura europea era in ginocchio, distrutta dalla fillossera. Il congresso di Gorizia fu convocato per studiare come superare quella tragedia e, allo stesso tempo, tracciare il futuro per una nuova viticoltura, come avvenne. La soluzione fu d’innestare su piede americano le varietà europee. Decisione che si trasformò, per noi, in una grandissima opportunità, poiché la produzione delle barbatelle venne fatta nell’agro aquileiese, dove clima e terreni erano i più adatti. Scelta che dette il via al vivaismo, che da allora è sempre cresciuto, fino a farci diventare leader mondiali, con una quota di circa il 25%. 46
Della secolare dominazione asburgica avevamo fatto nostre diverse varietà di viti, che si aggiungevano alle numerose autoctone. Il matrimonio di Napoleone Bonaparte con Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, figlia dell’Imperatore austriaco Francesco I, celebrato nel 1810, contribuì a unire tra loro la nobiltà austriaca a quella francese. Alcuni suoi esponenti vennero a produrre vini in Collio, introducendo le loro varietà, che erano, già allora, considerate le migliori al mondo. Fu quindi naturale che, fin dalle prime due Doc del Friuli Venezia Giulia - il Collio nel 1968 e i Colli orientali nel 1970 –, i relativi disciplinari si basassero su quelle uve, che poi definimmo internazionali. Va osservato che le scelte compiute allora, ovvero introdurre le varietà francesi, contribuirono a fare la fortuna dei nostri vignaioli: Pinot grigio in primis e poi Chardonnay, Sauvignon, Pinot bianco, Merlot. Quel successo, però, ci portò a sederci sugli allori. Dopo trent’anni di crescita, ci saremmo dovuti porre il problema di come gli stessi si potessero conservare, anche perché stavano cambiando molti dei parametri che quella crescita avevano creato. Il primo problema che emerse, verso la metà degli anni Novanta dello scorso secolo, fu quello di aver chiamato il vino col nome del vitigno, di proprietà del mondo. La conseguenza fu che ci trovammo, da allora, a combattere con armi impari rispetto ai produttori dei Paesi emergenti, che potevano produrre a costi di molto inferiori. Ciò sta causando un calo dei prezzi, come non è difficile immaginare. Restano due opzioni: o rafforzare il brand aziendale (come alcune aziende hanno deciso di fare, ma sono solo quelle di una certa stazza) o lavorare sul territorio, che però non ha un punto di riferimento. Come diretta conseguenza, ora accade che non possiamo difendere il nostro vero patrimonio viticolo: quello legato alle varietà autoctone. Non serviva andare in Francia per intuire la strada da seguire; bastava guardare all’Italia, dove i vini di maggior successo – e i cui vigneti aumentano costantemente di valore – sono quelli ancorati al luogo: Barolo e Barbaresco in Piemonte; Chianti Classico, Brunello e Bolgheri in Toscana; Trento Doc e Franciacorta per lo spumante; Soave, Amarone, Valpolicella, Lugana in Veneto, oltre al celeberrimo Prosecco, “salvato” dall’omonima località del Friuli Venezia Giulia, fino all’Etna in Sicilia. Come scriveva il grande sociologo Giampaolo Fabris in “Societing”, la nuova era ci obbliga a cambiare occhiali, se vogliamo guardare e comprendere correttamente la realtà odierna. Siamo arrivati al nostro tanto amato – almeno da chi scrive – Pignolo, sperando non incorra in quanto accaduto al Picolit. Chi non ricorda le convinte e accorate battaglie, sulla rivista Il Vino, di Isi Benini che lo definì “L’araba fenice del vino friulano”? O a quanto scrisse Luigi Veronelli: “Il Picolit può diventare lo Chateau d’Yquem italiano”. Vino, pur grandissimo, il Picolit, ma che non ha inciso sulla nostra immagine, perché non siamo stati capaci di trasformarlo in un prodotto simbolo, anche se da anni si fregia della Docg. Accadrà così anche per il Pignolo? Ci sono indizi che lo fanno pensare. Il primo è dato dal fatto che le quantità sono esigue, sia nelle singole aziende sia nel totale degli ettari vitati che ammontano, in tutta la regione, a non più di sessanta, quarantanove dei quali nella Doc dove è nato, la Friuli Colli orientali. Il Pignolo è un vino che ha in sé un potenziale enorme per diventare capace di attrarre consensi ovunque, potendo entrare nel novero dei grandi rossi autoctoni italiani. Il Pignolo è vino che va interpretato in una sola maniera: da lungo invecchiamento, poiché é questa la sua vocazione. Capace com’è di superare tranquillamente i quindici-vent’anni e, nelle grandi annate, i trenta. Dev’essere piantato solo in collina, in terreni marnosi, asciutti e ben esposti, altrimenti i suoi tannini non arrivano a maturazione perfetta. È vino che si colloca nella fascia alta del mercato e non potrebbe essere altrimenti. Non vorremmo che si stesse, silenziosamente, abbandonando il concetto di vino di alta qualità – che, come detto, ha fatto la fortuna del “Vigneto chiamato Friuli” e che richiede una visione di lungo periodo – a favore dell’omologazione, per appiattirsi alle regole del mercato di massa. Sarebbe un errore colossale, per una regione che produce meno del 2% dell’Italia. Noi siamo “condannati” all’alta qualità, per sostenere la quale è necessario investire in quelle azioni che definiamo “immateriali” e che non stanno “nel vino”, ma “attorno al vino”: comunicazione, posizionamento, linguaggio, marketing e strategie di lungo periodo, immagine, pubbliche relazioni, sinergie col territorio. Il che non significa non porre attenzione al mercato, ci mancherebbe, ma starci “borderline”, per ritagliarsi un proprio stile, una propria personalità, una propria immagine. Lavorare per imporsi al mercato, anziché subirlo in maniera rassegnata. Chi subisce esce sconfitto.
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La storia di un grande sogno... ...che ha dato vita ad una azienda vitivinicola costruita dal nulla con pala e piccone. È l’inizio di un viaggio meraviglioso: la storia di Severino, il padre di Enzo Lorenzon. Originario di Negrisia di Ponte di Piave, in provincia di Treviso, arriva in Friuli nei primi anni ‘50 assieme ad altri due fratelli a cercare appezzamenti buoni da coltivare. Qui scavano nella nuda terra che era stata abbandonata da chi era emigrato all’estero a cercare fortuna e sulla quale nessuno avrebbe mai scommesso. Invece Severino decide che quella sarebbe stata la sua terra. Pianta le sue vigne migliori che crescono forti e sane baciate dal sole che dai colli orientali si alza e irradia di vita i preziosi grappoli, protette dall’altipiano aspro del Carso goriziano e cullate dalle acque smeraldine del fiume Isonzo. La flora rigogliosa e i continui affioramenti di pietrisco dovuti alle frequenti deviazioni del corso d’acqua rendono questo terroir unico regalando uve ricche di gusto e aromi. All’epoca fu un pioniere. Ci vorranno anni prima che la piccola cantina messa in piedi da Severino con l’aiuto della moglie Maria all’inizio, e successivamente anche del figlio Enzo e dalla nuora Silvana, diventi in una delle più rinomate aziende viticole della regione che oggi esporta i suoi vini in tutto il mondo raggiungendo ben 23 Paesi. Un sogno che diventa realtà. Nel ’74 quando nasce l’Azienda Agricola Lorenzon Enzo le proprietà erano un casolare e cinque ettari di vigneto. Nel ‘77 vengono comprati i primi 7 ettari a Cassegliano, in seguito, con grande intuizione qualitativa, vengono acquistati nuovi terreni e vigneti a San Canzian d’Isonzo e Romans d’Isonzo. Enzo Lorenzon, con grande passione e una tenacia non comune, riesce a ritagliarsi un posto in prima fila nel mondo del vino partendo proprio da quella terra che suo padre Severino Lorenzon acquistò negli anni ’50. Oggi, insieme ai figli Davide e Nicola dirige e gestisce 70 ettari di vigneto nel cuore della DOC Friuli Isonzo. Negli anni la cantina viene costantemente ampliata e rimodernata di pari passo con l’acquisizione di nuovi ettari di proprietà. Fin da piccoli Davide e Nicola trascorrono le vacanze in campagna tra il profumo del mosto, i giri sul trattore e i salti sulle vinacce pressate e stoccate in balle rotonde. Nel ’91 viene acquistato il vigneto “I Feudi di Romans”; le prime bottiglie vengono messe in commercio nel ’97. Nel ’92 entrano in azienda Davide e Nicola e viene costruita la nuova ala. Nel 2014 viene completamente rinnovata la linea di imbottigliamento. Enzo ha trasmesso ai figli la sua grande passione per la cucina che nasce dal focolare domestico. Ai fornelli da quando aveva 12 anni, visto che la mamma Maria era spesso impegnata nei campi, oggi delizia i palati dei suoi ospiti con squisite preparazioni. Enzo Lorenzon, oltre ad essere il fondatore e il titolare dell’azienda, è anche il presidente del Consorzio di Bonifica Pianura Isontina. Davide si è formato all’estero maturando esperienze in California e in Australia. Ricopre il ruolo di enologo e responsabile di produzione. Nicola è il direttore commerciale e marketing della società ed ha saputo in questi anni promuovere l’immagine aziendale anticipando i cambiamenti di un mercato in continua evoluzione. Nel 2003 ha conseguito il Master in Business Administration of Wine al MIB di Trieste. Lorenzon è anche una grande famiglia allargata formata da dipendenti e collaboratori, ma prima di tutto da persone. Donne e uomini che lavorano con entusiasmo affinché il sogno diventi ancora più ambizioso.
AZIENDA AGRICOLA LORENZON SRL Via Ca’ del Bosco, 16 - loc. Pieris - 34075 San Canzian D’Isonzo (GO) | Tel. +39 0481 76445 Fax +39 0481 470000 www.ifeudidiromans.it | info@ifeudidiromans.it
L
à dove c’era il mare ora c’è’ il Collio. A 250 metri slm si trova la Tenuta RoncAlto, questa gemma preziosa in cui si producono vini bianchi conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Dolci colline forgiate dall’uomo e dai vigneti ondeggianti, è qui, in questa terra di origine oceanica ricca di sali minerali che affondano le radici di autentici e antichi vitigni come la Ribolla Gialla RoncAlto. In questo Paradiso terrestre nasce un vino solare, come i suoi grappoli dorati. Fresco come la rugiada che bagna nei mattini d’estate le verdi foglie. Carezzevole come la brezza che dall’Adriatico sale fin quassù a rinfrescare i dolci rilievi. Luminoso come le giornate terse dai venti di Bora. È la Ribolla Gialla RoncAlto, lucente, dai nitidi profumi floreali e fruttati, fresca, elegante, avvolgente, indimenticabile.
Azienda Agricola LIVON Via Montarezza, 33 33048 Dolegnano (UD) Italy T. +39 0432 757173 - info@livon.it www.livon.it
STRAWBERRY FIELDS DELLE NOSTRE PARTI di Raffaella Nardini
Rossa e succosa, profumata e decisamente “amazing”, la fragola fa pensare alla calda
primavera che lascia il posto all’estate, alla torta del compleanno con la gelatina trasparente che cattura i frutti golosi, al profumo della marmellata fatta in casa che porterà per tutto l’inverno il ricordo della bella stagione. In attesa di assaporarne un bel cestino, vado a trovare Federico Lora, l’ideatore, perché dire proprietario è riduttivo, de “L’orto di Fede” che, su una superficie di 5 ettari, ricrea il concetto di un orto familiare, in cui a comandare sono la terra, la pioggia, il sole, gli insetti e in cui l’uomo osserva, aspetta e interviene grazie alle sue conoscenze sfruttando ciò che in un ecosistema naturale fa funzionare le cose al meglio. A Variano di Basiliano, Federico ha portato un connubio perfetto di tecnica vivaistica e rispetto ecologico, proponendo un’agricoltura “naturale”, che si avvale di tutti quei meccanismi che la natura ha per difendersi. Dei 5 ettari aziendali, 5000 metri vengono dedicati alla coltivazione della fragola, un frutto molto delicato che teme la pioggia quando è maturo, teme gli insetti, ghiotti quanto noi della sua dolcezza e naturalmente teme le malattie fungine che in una zona umida come la nostra regione sicuramente non mancano. Per la necessità di proteggerla quindi e anche per la necessità di anticiparne il periodo di produzione, la maggior parte della produzione avviene in serra. Le piantine vengono messe a dimora alla fine dell’estate precedente, formano l’apparato radicale che permette loro di nutrirsi e di idratarsi e prendono il freddo dell’inverno di cui hanno bisogno per produrre frutti di ottima qualità. Protette dal “tessuto non tessuto” e da un piccolo tunnel di plastica trasparente, all’interno della serra giungono al momento della fioritura e solo quando essa è completata vengono liberate in modo da ottenere un’impollinazione uniforme e contemporanea da parte delle api e da parte dei simpatici bombi che ho scoperto essere dei lavoratori instancabili. Federico sceglie per il suo orto due varietà di fragole, la “Clery” e la storica “Mara de Bois”, molto amata dalla regina Maria Antonietta. La Clery fa una prima fioritura, cui segue abbondante produzione di frutti di medie dimensioni, poi rifiorisce nuovamente, producendo però molto di meno. Di questa varietà una parte cresce all’aperto, per ritardarne la produzione di circa un mese e proporla fino alla fine dell’estate. La Mara de Bois, invece, è una varietà rifiorente, con diverse fioriture che arrivano fino alle prime gelate che danno produzioni ugualmente abbondanti di un frutto di dimensioni più piccole, derivando infatti da un incrocio con la fragolina di bosco. E come la mettiamo con gli insetti dannosi che non aspettano altro che gustare il frutto ormai maturo? Come mi ha spiegato Fede, il problema potrebbe essere in parte risolto usando gli insetticidi ma questi prodotti di sintesi rimarrebbero nel frutto, nostro malgrado. Nel suo orto si usano reti anti-insetto che proteggono la pianta e il frutto. Si adopera anche la capacità dei così chiamati insetti utili che sono naturali antagonisti di quelli dannosi, e, prendendone il sopravvento, ne limitano la diffusione e la moltiplicazione”. Non usare gli insetticidi significa anche rispettare gli insetti impollinatori che diventano quindi stanziali e preziosi alleati del lavoro dell’uomo. No anche al diserbo, sostituito dallo sfalcio che crea un ambiente ideale per gli insetti buoni, no all’utilizzo di concimi di sintesi, con rigenerazione dei terreni, invece, da parte di batteri che si nutrono di sostanza organica vegetale.
Federico non ha nel suo curriculum un percorso di studi specifico in materia, ma è un attento osservatore del sistema che lo circonda e un instancabile ricercatore di ciò che gli può venire in aiuto senza andare contro la sua idea di “naturale”. Ecco dunque comparire l’olio di semi di pompelmo che ha una funzione antibiotica sia sulle piante che sull’uomo, ben venga anche l’olio di soia che, abbinato alla polvere di brassica, crea una patina che infastidisce gli insetti e non danneggia l’uomo. Ben venga il bicarbonato contro l’oidio e l’alga marina contro la botrytis. Anche la semplice nebulizzazione di acqua crea problemi agli insetti dannosi. Sono queste le semplici regole di Federico che salvano l’ambiente e la salute dei consumatori. I prodotti coltivati in questo orto naturale non sono solo fragole, ma anche meloni e angurie, 30 varietà di pomodori, 10 varietà di zucchine, peperoni, fagiolini, insalate, bieta e vari prodotti di origine esotica che ben si adattano anche alle nostre zone come la batata e il daikon.
L’ORTO DI FEDE Via Luigi Magrini 35, 33031 Variano di Basiliano UD T 349 448 0705
LE RICET TE CON LE NOSTRE FRAGOLE Chef Andrea Canton
Ristorante La Primula a San Quirino (PN)
CREMOSO AL CIOCCOLATO BIANCO E FRAGOLE INGREDIENTI: 250 g di cioccolato bianco, 250 g di latte, 250 g di panna fresca, 100 g di tuorlo d’uovo, 70 g di zucchero, 3 g di colla di pesce, 2 cestini di fragole, 50 g di mandorle a filetti, 30 g di zucchero, 77 g di farina, 7 g di burro morbido, 25 g di chiara d’uovo, q.b. di vaniglia (in bacca). PREPARAZIONE: Tritate finemente il cioccolato bianco e mettete a bagno la colla di pesce in acqua fredda. Mettete a bollire il latte. A parte, in un’altra pentola, lavorate i tuorli con lo zucchero e un pizzico di sale. Quando il latte sarà pronto, versatelo nei tuorli e lavorate il tutto con una spatola a fuoco moderato finché la crema comincia a addensarsi leggermente. Togliete dal fuoco e unite la vaniglia. Strizzate bene la colla di pesce e versatela nella crema mescolando l’insieme. In un frullatore mettete tutta la cioccolata e versate circa un terzo della crema calda. Attendete qualche istante che la cioccolata si sciolga e poi iniziate a frullare per 1 minuto circa. Versate, a fuoco spento, un altro terzo di crema e poi riaccendete. Ripetete l’operazione con la crema rimasta e poi versate in un recipiente e lasciate riposare in frigo per 24 ore. Impastate in una terrina il burro con lo zucchero, unitevi la farina, poi le mandorle e la chiara d’uovo. Mescolate il tutto e fate riposare 5 minuti. Stendete vari mucchietti di impasto (8) con le dita bagnate su di una teglia imburrata e infarinata e cuocete le cialde per 12 minuti circa in forno a 150° C. Dopodiché, ancora calde, toglietele e lasciatele raffreddare. Tagliate le fragole, già lavate, a pezzettini e disponetele su una coppa e servitele con un bel “ciuffo” di crema e le due cialde di mandorla.
GELATO ALLA FRAGOLA INGREDIENTI: 500 g d’ acqua, 300 g di zucchero semolato, 100 g di zucchero invertito-destrosio, 100 g di glucosio, 10 g di stabilizzante, 2 kg di fragole, il succo di 2 limoni grandi, q.b. buccia di limone PREPARAZIONE: Unire l’acqua con gli zuccheri e la buccia di limone e, mescolando, portare a 80° C alla consistenza di uno sciroppo. Mondare le fragole e frullarle, un po’ alla volta, con lo sciroppo tiepido e poi far maturare in frigo per 24 ore circa. Mantecare. Servire in coppette o abbinare a piatti.
SPUMA DI FRAGOLE INGREDIENTI: 350 g. di mele, 250 g. d’acqua, 250 g. di fragole, 80 g. di zucchero, 6 g. di colla di pesce, il succo di 1 lime PREPARAZIONE: Cuocere le mele a fettine con l’acqua e lo zucchero, far evaporare quasi tutta (200 gr.) l’acqua, aggiungere la colla di pesce e, infine, le fragole frullate con il succo di lime e poi filtrare. Versare nei sifoni e far raffreddare.
JERMANN Collio Picolit Vino dolce della casa 2012 Alc. 12,5% - euro 31 Giallo d’ambra finissima e lucente. Ventaglio olfattivo prezioso. Delicata e suggestiva freschezza floreale iniziale. Frutta candita, scorza d’agrumi essiccata, caramella d’orzo, polvere sottile di spezie e lievi tostature di mandorle e nocciole. Insospettabile progressione al palato che, fin dall’esordio, dolce e carezzevole avvicina una presa fresca e sapida che regala uno stupefacente equilibrio. Lunghissimo. Appassimento dell’uva in piante e poi sui graticci. Vinificazione in acciaio e legno. Matura nelle botticelle di rovere per 24 mesi.
GIGANTE Dogc Colli Orientali del Friuli Picolit 2009 Alc. 13% - euro 25 Veste di oro purissimo. Profumi carezzevoli e di estrema eleganza. Caramella d’orzo, miele millefiori, albicocche disidratate e pera poché. Fioriture di gelsomino, tiglio e magnolia. Delicato cocktail di agrumi, pompelmo rosa e lievi sentori di frutta esotica fresca. Salsedine e resine a completare un quadro olfattivo perfetto. Ingresso vellutato. L’avvolgenza si compensa con grande precisione alla freschezza intensa che rende la beva succosa e appagante. Da uve appassite, lunga fermentazione. Per 24 mesi in barrique e 12 in bottiglia.Parte in acciaio e parte in tonneau.
TORRE ROSAZZA Dogc Colli Orientali del Friuli Picolit 2013 Alc. 14,5% - euro 28 Oro brillante con nuance ambrate. Corredo odoroso ampio, fitto e delicato. Melata, pesca sciroppata, crema pasticcera, chips di banana, ananas, agrumi canditi, resine, leggere note di zafferano e spezie dolci. Polvere di erbe mediterranee e salsedine si alternano alle note fruttate e arricchiscono l’olfatto. Inizio cremoso e materico al gusto. Procede sapido, sorretto da adeguata freschezza minerale. Uve appassite e successivamente diraspate e pigiate. Vinifica parte in inox e parte nel piccolo rovere francese. Per 18 mesi in bottiglia.
RISTORANTE LA PRIMULA Via S. Rocco, 47 33080 San Quirino PN T. 0434 91005 www. ristorantelaprimula.it
IL MIO PRIMO PICOLIT di Daniele Cernilli Foto di: Fabrice Gallina 56
www.doctorwine.it
A metà degli anni Settanta, quando ero ventenne, a Roma iniziarono ad aprire i primi “wine bar”. Ce n’era uno in via di Ripetta, forse il primo, realizzato nell’enoteca Buccone, che ancora esiste, e che serviva bicchieri di grandi vini a prezzi ragionevoli. Si trovava a due passi dalla fermata di un autobus che arrivava anche vicino alla mia casa dell’epoca, così potevo raggiungerla facilmente, comprare e caricarmi bottiglie che poi potevo trasportare comodamente a casa senza troppa fatica. E potevo anche assaggiare qualche vino del quale non potevo permettermi l’acquisto di una bottiglia intera. Tra questi c’era il Picolit della Rocca Bernarda, una vera leggenda, che aveva un punteggio stratosferico sul Catalogo Bolaffi dei Vini d’Italia di Veronelli, con commenti che sfioravano il componimento poetico. All’epoca la cantina, che è un pezzo di storia della vitienologia friulana, era ancora di proprietà del conte Gaetano Perusini, che di lì a breve sarebbe scomparso tragicamente, lasciando tutto al Sovrano Militare Ordine di Malta.
Ricordo che un bicchiere di quel Picolit costava mille lire, circa dieci biglietti dell’autobus, più o meno 15 euro di oggi, tanto per dare un’idea, e una bottiglia circa 12mila lire. Erano un sacco di soldi, soprattutto per uno studente, e per metterli insieme ricorrevo a lavoretti vari, dai volantinaggi pubblicitari a qualche lezione privata di filosofia data a qualche liceale un po’ duro di comprendonio. Poi organizzavo anche qualche gita turistica insieme a un paio di vecchi compagni di liceo. Qualche lira entrava, insomma, ma la spendevo prevalentemente nell’acquisto di vino con grande stupore dei miei amici. Senza rendermene conto stavo mettendo le basi per la mia futura professione. Quel bicchiere di Picolit, però, costava davvero tanto. La curiosità era enorme, ma mille lire erano una cifra notevole. Però un giorno, mi pare nel 1978, avevo incassato una bella cifretta per aver collaborato all’organizzazione di una grande mostra di mobili alla Fiera di Roma, e allora andai da Buccone e mi feci servire un bicchiere di Picolit del ’76. Bottiglia renana verde, etichetta bianca con disegnata sopra la silhouette della Rocca Bernarda, il nome Picolit in corsivo. Ero fortunato, mi aprirono davanti la bottiglia, ero il primo cliente di quel giorno che chiedeva un bicchiere di quel vino. Ricordo ancora come il liquido scivolò nel bicchiere, il colore, giallo dorato chiaro, meno carico di quanto mi sarei aspettato, e i profumi che cominciarono a inondare la sala, prima ancora di accostare il vino al naso. Miele, mandorla, forse anche pesca e fiori di campo. Deliziosi, accattivanti, non eccessivamente “passiti”. Ne assaggiai molto meno di un normale sorso, quasi per abituare le papille gustative a quel meraviglioso vino. Veronelli scriveva “dolce non dolce”, e finalmente compresi bene a cosa si riferisse. Iniziava leggermente dolce, ma non troppo. Quasi delicato, composto. Poi, nel corso dell’assaggio, quelle note zuccherine lasciavano il posto a sensazioni più fresche, di acidità, e infine a un retrogusto più che amarognolo “ammandorlato”, che mi ricordava le caramelle di zucchero d’orzo che mi dava mia nonna da bambino. Dolci, eppure un po’ amare alla fine. Ci misi mezz’ora buona a finirmi tutto il bicchiere, e a ogni sorso mi veniva in mente qualcosa, un sapore, ovviamente, ma anche un episodio, un momento della vita, un ricordo. Ho capito molto del potere evocativo e simbolico del vino quella volta, e mi sono reso conto che non ero davanti a una semplice “cosa da bere”, ma a un liquido che aveva lo stesso potere d’impatto di un’immagine artistica o di un brano musicale. E la riprova di tutto questo è proprio nelle righe che ho appena scritto, ricordandomi tutto e quasi riprovando le stesse sensazioni di tanti anni fa. Ho continuato a berlo in seguito quel Picolit. Sono riuscito ad andare a visitare l’azienda, su quella meravigliosa collina di Ipplis, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli. Conobbi il mitico cantiniere, Carletti, che ne era la memoria storica, e sua figlia Eleonora che era bellissima. Ai tempi del Gambero Rosso con Giulio Colomba riuscimmo, battagliando non poco, a farne premiare con i “tre bicchieri” un paio di versioni. Ma i ricordi di quella mattina del ’78 restano stampati nella mente e nel cuore.
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foto di: Umberto Pelizzon
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IL FORNO di riccardo flaborea
il pane ha il compito di accompagnare nella valorizzazione del cibo e dei vini.
“il pane deve avere un’anima”
Concordia Sagittaria (VE) Piazza Matteotti, 31 T. 0421 270262
LA VIRTÙ DELL'ACCOGLIENZA di Renato Paglia
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Operare in un ristorante, in un bar, in un negozio, o in qualunque attività che preveda un’intensa relazione con il pubblico, non è certo facile. La sola “naturale predisposizione personale” non è sufficiente e se poi non c’è neanche quella è davvero meglio cambiare mestiere. Si dice che un tempo, non troppo lontano, la sala rappresentasse ben oltre il 60% della qualità del ristorante. Oggi sembra non essere più così, ma è un grave errore sottovalutare una componente così importante di questa attività. Gli chef “televisivi” hanno spostato l’attenzione verso la cucina tanto che non c’è più una sola trattoria, anche la più modesta, che non cerchi di esaltare le proprie doti culinarie e le proprie proposte creative che, a dire il vero, sono a volte molto interessanti. Tutto ciò è lodevole oltre che legittimo ma accade spesso che, varcata la soglia della cucina, tanta dedizione venga vanificata dal cameriere, dal maitre o dal sommelier incapace o impreparato. Purtroppo egli è l’anello di congiunzione insostituibile tra la cucina e il cliente. Recentemente Massimo Buttura ha sottolineato l’importanza di questa figura: “per far crescere la sala bisogna trasmettere la propria passione, coinvolgerla, anche farla lavorare in cucina, creare un team affiatato. Una grande sala salva un piatto modesto, una cattiva sala rovina anche un grande piatto”. Come dargli torto. Marchesi, il grande Gualtiero Marchesi, in un dibattito nel quale si discuteva se per rivalutare la professione del cameriere bisognasse cambiargli nome disse: “un cuoco, anche se lo chiamiamo chef, resta sempre un cuoco e la stessa cosa varrà anche per il cameriere. Bisogna che il cameriere sia una persona che sta bene in sala e se nobilitiamo la professione non c’è bisogno di cambiare il nome». Non si sottolinea mai abbastanza quanto sia importante l’intesa fra sala e cucina dunque. Non solo ci deve essere l’affiatamento tra le persone e la ricerca del risultato comune, ma è anche fondamentale che chi lavora in sala sappia fin nei dettagli come funziona la cucina. Conoscere in modo approfondito quanto accade oltre la porta della sala permetterà di accogliere il cliente con passione e competenza e questo aiuterà il cameriere a lavorare meglio. Non solo potrà essere esaustivo con il cliente nella descrizione del menu ma soprattutto potrà gestire, prevenire e accompagnare le esigenze di quest’ultimo. In questo lavoro ho avuto dei grandi maestri e tra tutti ricordo con affetto Giovanni Gallinaro, un vero signore, insuperabile in fatto di mettere a suo agio anche il cliente più difficile. La sua attenzione anche ai piccoli dettagli aveva la capacità di fare sentire ogni singolo avventore come il preferito, il più importante della sala. In lui era innata l’arte dell’ospitalità. È vero, la ristorazione è cambiata e oggi tende a operare con un servizio più veloce, più informale ma questo non giustifica ommettere le più semplici regole dell’accoglienza. La liberalizzazione delle licenze ha evitato certamente le fastidiose corporazioni ma, per contro, ha prodotto una miriade di realtà mediocri che spinte dalla forte concorrenza tendono a posizionarsi sempre più verso il basso a discapito della qualità del servizio e aimè, a volte, anche in quella del prodotto offerto. Ho notato, e ne sono contento, che anche la grande distribuzione e il cosiddetto “fast food” guardano con interesse alle produzioni del territorio in cui sono inseriti. Prodotti locali e il cosiddetto km zero sono tra le nuove offerte di questo settore della nuova ristorazione. Ma gli addetti al servizio sono preparati a spiegarle alla clientela per valorizzarle al meglio? C’è bisogno di una scuola, non necessariamente formalizzata dalle Istituzioni, che possa formare chi lavora a contatto con il pubblico. Proporre una pietanza, un vino, un semplice caffè, impone che si conosca quello che si sta offrendo, soprattutto se appartiene al territorio. Quando ciò accade, il cameriere non è più soltanto un semplice portapiatti ma è l’ambasciatore del luogo in cui vive e appartiene. È lo storico, il promoter, il comunicatore del suo paese. Che bello sarebbe se, in un tempo non troppo lontano, preferire il Friuli Venezia Giulia tra le mete turistiche, fosse dettato anche dalla capacità di accogliere che questa piccola regione possiede. So che si sta lavorando molto per questo, lo apprezzo. Farò la mia parte.
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La ricetta di MangiaVino TONNO AI PISTACCHI Chef: Luca Morgan
Foto di Umberto Pellizon
Ingredienti: 220 g di tonno pinna gialla o tonno rosso, 20 g di granella di pistacchi. Ingredienti per la maionese: 250 g di patate precedentemente bollite, 100 g di rosso d’uovo, 250 g di olio extravergine d’oliva. Ricavare dal tonno un pezzo unico, passarlo nella granella di pistacchio, lasciarlo riposare per una decina di minuti. Rosolare il tonno in una padella con olio extravergine d’oliva su tutti e quattro i lati per 1 minuto. Infornare a 180° per 3 minuti. Nel frattempo mettere patate, olio extravergine d’oliva e rosso d’uovo nel frullatore e frullare per 1 minuto. Correggere di sale e di pepe. A piacere, qualche goccia di succo di limone.
CHIMERA DI BACCO Via del Pane, 2 34121 Trieste T.040 364023
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www.chimeradibacco.com
I VINI IN ABBINAMENTO PIGHIN
Collio Malvasia 2015 Alc. 13,5% - euro 14
Giallo paglierino con riflessi luminosi. Profumi intensi e netti di timo, salvia, maggiorana e mentuccia. Note agrumate di pompelmo e kiwi, sentori leggermente tropicali, fioriture estive e frutta a pasta bianca. Ingresso succoso, fresco e di ottimo corpo. L’avvolgenza glicerica segna l’allungo che bilancia la beva. Chiude lento, dai ricordi fruttati e sapidi. Vinificato nell’acciaio, dove rimane per 6 mesi.
SKERLJ
TOROS Collio Pinot Grigio 2016
Malvasia 2012 Alc. 12% - euro 15
Alc. 15% - euro 20
Giallo paglierino carico e lucente. Ventaglio odoroso ricchissimo e d’impatto. Agrumi canditi, frutta a pasta bianca, frutta secca, frollino al limone. Profumi terrosi di ponca. Salsedine e balsami di erbe mediterranee. Avvolgente, perfettamente equilibrato da freschezza iodata e agrumata. Interminabile al palato grazie al possente corpo che rende lunghissimo il sorso. Non smette di richiamare il naso. Nell’acciaio per 7 mesi.
m a l v
Giallo dorato e luminoso. Profumi netti e incisivi. Fiori di campo, nespole, goccia d’oro, erbe officinali essiccate, rintocchi resinosi, cocktail di agrumi, effluvi salmastri e iodati. L’ingresso manifesta una beva decisa, sapida e fresca. Poi si allarga sui temi morbidi che riportano a note tropicali e lievemente speziate. La chiusura è sapida e dai ricordi mediterranei e balsamici. Lunga macerazione.
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RONCO BLANCHIS
VENICA & VENICA
Collio Chardonnay 2016 Alc. 13,5% - euro 20
Collio Pinot Grigio Jasera 2016 Alc. 13,5% - euro 18
Paglierino dai riflessi brillanti. Subito erbe officinali e mentolate. Menta piperita, basilico, salvia, melissa e timo si fondono tra loro per lasciare spazio a sentori di agrumi canditi, di mela gialla, frutta tropicale e fioriture estive. Al palato è fresco, agrumato e l’avvolgenza è impreziosita dai richiami fruttati che nel finale si sposano a erbe aromatiche fresche. Riposa per 8 mesi nell’acciaio.
Giallo paglierino netto e lucente. Olfatto complesso e articolato che riporta profumi di burro d’alpeggio, fienagione di montagna ed erbe officinali come il mirto e la salvia. Fioriture estive, pera Kaiser e mela golden si intrecciano con delicate note fumé. L’assaggio è sostanzioso, sapido e ottimamente proporzionato dalla morbidezza che apporta eleganza e persistenza. Acciaio. Sui lieviti per 5 mesi. 63
I LAUTO di Giorgio C. Riva
Foto di Umberto Pellizon
Il loro stabilimento balneare -crazy beach- si trova al centro della spiaggia Costa Azzurra, la spiaggia vecja come dicono i graisani, d'accesso libero, la più occidentale dell'isola, la più frequentata dai giovani, e dai locali. Sulla parte retrostante la spiaggia, posto al di là della passeggiata, si affaccia il loro ristorante, omonimo dello stabilimento, Tivoli, aperto, e sempre assai frequentato, anche la sera. Ovviamente in stagione. Stabilimento e ristorante son gestiti da loro, mamma Rosanna Dovier, “un sergente di ferro”, papà Antonio, e dai tre figli, Marco, Bruno e Stefano, insomma dalla famiglia Lauto. Marco, il maggiore, d’inverno maestro di sci in Val Badia, a Colfosco, si occupa, con il più giovane, Stefano, dello stabilimento balneare, della spiaggia in particolare l’uno, del food & beverage l’altro. Bruno, il fratello di mezzo, ex calciatore -fino in serie B-, dai piedi finissimi e cattivo il giusto, Redondo (così lo chiamava Mauro Vidiak, oggi gestore del Ritz di Monfalcone e già allenatore dell’’undici locale, che lo metteva in squadra, quand’era alla Gradese, anche dopo una “notolada”, perché comunque in grado di risolvere la partita), gran tombeur de femmes almeno fino al matrimonio che l’ha reso padre dell’amatissimo Leonardo, si occupa del ristorante e delle pubbliche relazioni. Ovvio che, anche “maestro” di gin & tonic, è presente, e lo si “avverte”, alle feste in spiaggia (crazy beach!) organizzate in stabilimento. La mamma sta ai fornelli, con uno chef della vecchia scuola graisana, e cucina il pesce come le hanno insegnato fin da piccola. E papà Antonio ogni mattina lo sceglie, il pesce, innanzitutto dai “suoi” pescatori. Il meglio che offre in stagione il mare di Grado. Sempre il più mattiniero. Sempre il primo a scegliere! Il meglio, appunto. Ecco i non segreti del successo dei Lauto. Sempre full. Riservare. Famiglia Lauto. Ristorante Tivoli. Cucina del pesce. Tutto chiaro fin dall’insegna. Il look del ristorante è Adriatico Nazional Pop. Ma che sapori! E la vista mi riporta ai tempi del mare della mia adolescenza. Cominciate con un baccalà come piace ad Antonio, gusto alla vicentina, ma molto, molto più leggero e meno invasivo. Potrete così proseguire con un assaggio, solo un assaggio mi raccomando, se volete proseguire, di seppiolina in rosso, saporita, di giusta consistenza, con un sughetto fresco. E poi, il mio piatto preferito: una bella, alta così, appagante, sogliola di Grado perfettamente preparata, come richiesto, alla mugnaia. Ho chiesto, e ottenuto, anche del riso bollito, per accompagnarla. Non potrete pretenderlo in piena stagione, ma se potranno prepararvelo, lascerete nel piatto solo la lisca perfettamente ripulita. Altro? Spaghetti con le capelunghe o moscardini piccantini e riso. Sardoni in savor delicato o panati. Fritto misto imperiale. Boreto, neanche dirlo, di rombo, al top. Pochi piatti, come va, per garantire l’offerta. Qualche bollicina e qualche buona bottiglia. Meroi, Castello di Buttrio, Castelvecchio, tra i preferiti. Lo sfuso del compare di nozze di Bruno, Lorenzon dei Feudi. Per finire in dolcezza, frutti rossi e crema al mascarpone come a casa, ad esempio. Quindi, in relax, non appesantiti, di fronte alla spiaggia con sullo sfondo il mare, purtroppo tra le sbarre della recinzione del locale, con un gin & tonic - base Miller, of course -, concluderete una bella esperienza di mare.
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RISTORANTE TIVOLI Via Milano - 34073 Grado (GO) tel. 0431 80353
CUCINA MEDITERRANEA E TRADIZIONE MIT TELEUROPEA di Bruno Cataletto
foto di Fabrice Gallina
A volte è sufficiente osservare un oggetto o un’opera d’arte da un diverso punto di vista per scoprire particolari che fino a quel momento non eravamo riusciti a cogliere. Un vento teso e costante gonfia le vele della nostra barca spingendoci pigramente attraverso il Golfo di Trieste in una tranquilla giornata estiva. Ed è proprio da questa posizione privilegiata, in mezzo al mare, che, osservando il panorama che si apre dinanzi ai nostri occhi, ci rendiamo conto delle diverse anime di Trieste. Sovrastata dal Carso, situata al vertice di un triangolo che, oltre al mare, ha come lati la costa adriatica e quella dalmata e con le Alpi austriache sullo sfondo, la città ci svela la sua vera natura, un crocevia di genti e culture diverse da cui ha fortemente attinto anche la tradizione culinaria triestina. Il lento scorrere del tempo ha consentito a influenze austroungariche, boeme, slave, dalmate, istriane, greche, turche, ebraiche di essere assorbite ed elaborate nei piatti presenti nelle trattorie e nei ristoranti della città, fino a diventare una presenza costante e immancabile sulle nostre tavole. I colori del cielo, prima aranciati e poi rosati, che si riflettono sulla superficie appena increspata del mare, ci ricordano che è ora di cena e quindi, come per magia, dalla cambusa cominciano a uscire i primi piatti. Le prime delizie che ci vengono offerte sono delle tartine di baccalà mantecato, fette di pane tostato su cui è stata spalmata una soffice e spumosa crema bianca. A Trieste viene chiamato baccalà quello che in realtà è lo “stoccafisso”, cioè il merluzzo artico essiccato di origine norvegese, mentre il vero “baccalà” è il merluzzo salato. La preparazione di questo apparentemente semplice e gustoso piatto è laboriosa e richiede di sottoporre lo stoccafisso a diversi giorni di ammollo con frequenti cambi d’acqua, cui fanno seguito alcune ore di cottura, sempre in acqua, e infine una mantecatura vera e propria con una frusta, versando a filo dell’olio extravergine di oliva, sale, pepe e del prezzemolo tritato. Prima dell’avvento della cosiddetta globalizzazione, le trattorie della città offrivano questa prelibatezza soprattutto il venerdì, quando gli avventori la consumavano come merenda a metà mattinata accompagnata da un buon bicchiere di Malvasia o di Vitovska. In realtà a Trieste, soprattutto nei mesi più freddi, lo stoccafisso viene utilizzato anche per un’altra ricetta: “il baccalà in rosso”, rigorosamente servito con la polenta, che si contrappone al famoso “baccalà alla vicentina” detto anche baccalà in bianco in quanto non prevede l’uso del pomodoro. 66
Il profilo della città si fa sempre più nitido e diverse aree diventano chiaramente riconoscibili fra cui la pineta di Barcola. Immediatamente associamo a questo nome le alici, chiamati qui “sardoni barcolani”, pesciolini a pasta bianca che in questa zona del golfo trovano il loro habitat naturale e che qui vengono pescati in prevalenza dalla primavera all’autunno. I palcoscenici dove troviamo questi pesci sono molteplici, dalle sagre estive alle tavole casalinghe e ogni volta il loro aspetto muta. Infarinati, fritti in olio e messi a marinare con cipolle rosolate, aglio, foglie d’alloro, pepe nero e aceto bianco come “sardoni in savòr”, o fatti marinare nel limone e olio extravergine d’oliva, o semplicemente fritti, o trasformati in “sardoni panai o impanadi” dopo essere stati infarinati, passati nell’uovo, poi nel pan grattato e infine tuffati nell’olio bollente. Anche sulla nostra tavola barcaiola ha fatto il suo ingresso una terrina ripiena di sardoni in savòr preparati il giorno prima per esaltare ancora di più i profumi e i sapori della marinatura, rigorosamente accompagnati da un tenero radicchio di primo taglio. Un nostro compagno di navigazione ci ricorda che un piatto in cui l’estetica si sposa con il sapore è la granseola o granzievola, un crostaceo simile al granchio, dalla polpa dolce e delicata, che viene lessata e servita nel suo guscio con olio extravergine d’oliva e pepe. La cottura alla griglia, simbolo delle serate estive trascorse in compagnia
degli amici, ci consente di apprezzare altri prodotti pescati nelle nostre acque quali gli sgombri o gli scampi provenienti dal vicino Golfo del Quarnero, la cui notorietà è legata soprattutto a una nota ricetta istro-dalmata, “gli scampi in busara”. Se gli amici a tavola sono numerosi, non è raro veder uscire dal forno grosse orate, scarpene e rombi serviti su un letto di patate o un branzino che viene lentamente e quasi religiosamente liberato dalla crosta di sale in cui era stato imprigionato durante la sua cottura. L’oscurità ci sorprende mentre ci stiamo preparando a ormeggiare la nostra barca, dopo aver liberato la tavola dai piatti ormai vuoti. Voci dalle imbarcazioni vicine ci invitano a salire a bordo per condividere delle capesante gratinate o una zuppa di cozze. Non potendo rifiutare il cortese invito ci risediamo a tavola e volgendo lo sguardo alla città avvolta dalla notte estiva ripensiamo per l’ultima volta alle sue mille anime che ci accolgono sempre con immutata generosità.
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cantina produt tori
C ORMÒNS Oltre centocinquanta viticoltori Vi danno il benvenuto nel cuore d’Europa, all’estremo lembo nord orientale d’Italia,in quel Friuli Venezia Giulia dalle zone vitivinicole più pregiate del mondo. Vi invitano a conoscere la Cantina Produttori Cormòns, nata alla fine degli anni Sessanta per la lungimiranza di alcuni viticoltori cormonesi, che hanno voluto fare tesoro di tradizioni secolari. Ezio Dalla Pozza, Aldo Moretti, Adriano Drius, Stefano Gregorat: Presidenti appassionati che, sostennero da principio che il futuro della vite e del vino non era legato a effimere mode, ma alla tenace valorizzazione del proprio territorio. Nacque così una Cantina unica al mondo, per la qualità dei vini e per le sue molteplici iniziative.
Il buon vino nasce in campagna: la Cantina Produttori Cormòns ha fatto proprio il vecchio detto contadino ed ha puntato gran parte del suo progetto produttivo sulla cura della vigna, redigendo uno Statuto, supportato da un Quaderno di campagna, un minuzioso codice di comportamento al quale tutti i Soci devono ottemperare. Vi vengono annotati tutti i particolari e le date della potatura invernale, delle pratiche agronomiche e delle operazioni colturali, specificando prodotti e dosi. Ogni Socio riporta le date di inizio e fine delle fasi fenologiche delle varietà coltivate, in modo da ottenere un omogeneo ed elevato standard qualitativo delle uve. Il Quaderno di campagna è mirato a ottenere un prodotto affidabile dal punto di vista organolettico e di altissimo pregio; così, la lotta contro i parassiti prevede un impiego minimo di anticrittogamici, puntando sul monitoraggio costante degli oltre 400 ettari di vigneti. Otto attrezzate centraline meteorologiche, disseminate in vari punti microclimatici del territorio, registrano qualsiasi mutamento climatico, della temperatura, dell’umidità, dell’irraggiamento solare, della quantità di pioggia caduta. I dati raccolti arrivano in tempo reale nella centrale computerizzata della Cantina Produttori Cormòns, dove sono attentamente vagliati per prevenire ogni minima anomalia. Tecnologia nel vero rispetto delle antiche usanze, un perfetto mix di tradizione e di alta tecnologia che permette alla Cantina Produttori Cormòns di tenere sotto controllo la zona, ottenendo uve di qualità eccezionale e quindi ottimi vini.
Lungo il corso del fiume Isonzo, non lungi da Gorizia, protetta a Nord dalle Alpi Giulie e riscaldata dal benefico influsso del mare Adriatico, pochi chilometri più a Sud, si estende una terra fertile e rigogliosa. Ospitò l’uomo e la coltura della vite sin dai tempi delle prime civiltà mediterranee. Produsse e produce vini superbi, nel segno migliore delle culture da cui ebbe origine e di cui visse e vive. Dal loro retaggio, nel 1983 cominciò a mettere le prime tenere radici un simbolo di fratellanza umana: la Vigna del Mondo. Nato nel cuore di tutti i soci della Cantina Produttori Cormòns, giorno dopo giorno e con la collaborazione di uomini altrettanto generosi di tutta la Terra, ha visto mettere a dimora alcune centinaia di vitigni provenienti da ogni Paese ove la vite alligna e rallegra l’uomo con il suo generoso liquore. Altri continuano ad aggiungersi, al punto che già oggi può essere considerato una delle più belle collezioni varietali del mondo intero. Dai loro grappoli non poteva che scaturire un vino altrettanto unico sia per le caratteristiche naturali sia per il messaggio che gli si volle affidare, quello di essere il Vino della Pace. Un vino simbolicamente capace di affratellare gli uomini, proprio come le viti venute da ogni continente si affratellano nella vendemmia, nella spremitura dei loro grappoli, nella fermentazione, nell’unico vino che, appunto, ne nasce. Il 1985 vide la prima vendemmia. Più di 500 donne, uomini e fanciulli, colsero, in grande festa, i grappoli tanto attesi. Il Vino della Pace era così nato. Ornato con il tratto di grandi artisti – Baj, Music e Pomodoro -, il 9 aprile del 1986 prese il suo primo volo per recare a ogni Capo di Stato civile e religioso il suo messaggio di Pace, vettore ufficiale Alitalia. Così cominciò la storia della Vigna del Mondo e del Vino della Pace: un messaggio di fraternità e di pace che, puntualmente, ogni anno si sta rinnovando
Via Vino della Pace, 31 | 34071 Cormòns (GO) Italia | T. + 39 (0) 481 62471 | F. + 39 (0) 481 630031
L'OSTERIA DI MIRKO di Giorgio C. Riva
foto di Umberto Pelizzon
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esce. Solo pesce. Fresco. Arriva due volte al giorno. Da fornitori di fiducia. Da Marano, dal litorale veneziano, dalla “nostra” Croazia, dalla Sicilia, dalla Sardegna. Anche qualcosa dall’estero (ostriche, granchio reale, salmone selvaggio). Una grande scelta di antipasti, crudi, marinati, sempre freschi, non banali anche negli accostamenti, solo un paio di richiami alla tradizione. Qualche suggerimento: insalatina di castraure e schie, scampetti “nostrani” crudi e bottarga di tonno, sfiziosa e appagante, oppure una sostanziosa e gustosa tartare di ricciola “nostrana”, avocado e pepe nero. Ampia anche la scelta tra i primi piatti proposti: suggerirei una vellutata di asparagi bianchi, briciole d’uovo, scampetti e gamberi rossi crudi e, tra l’offerta di paste di semola di grano duro, di Gragnano, da me predilette, i mezzi paccheri, fiori di zucchino e pistacchi. In carta anche un paio di paste ripiene che credo valga la pena di assaggiare. Pescato, secondo mercato, “pezzi grossi”, per quattro/sei persone, per due/quattro, qualche pesce da porzione, mormore, sogliole, soasi di Marano, piovra e mazzancolle “ai ferri”, che son state le mie scelte per secondo. Molti piatti, deliziosamente realizzati e serviti tutti, per pochi, però. Solo nove tavoli all’interno, infatti. Sempre full. Prenotare, rigorosamente, e farlo con un certo anticipo. Il successo ormai costante di questo localino, chouette direbbero i nostri cugini transalpini -che apprezzerebbero molto la grazia “veneta” dell’insieme e i curati particolari del decoro, raffinato ma non freddo, le “loro” bottiglie e gli champagne (assai numerosi e ben selezionati) in carta- non ha fuorviato lo chef patron Mirko Naibo, sempre in cucina, sempre con un gran sorriso sotto il suo cappellone, nero, da cuoco, quando si affaccia in ristorante. Mirko è di Fontanafredda e ha colto al volo l’occasione di tornare a casa quando, realizzato Borgo Ronche, le grandi famiglie “locali”, suoi Clienti, gli hanno proposto questo gioiellino. È felice come non mai qui e si dedica a fondo alla sua cucina, in serenità. Ben coadiuvato anche in sala. Il personale di servizio, distinto ma gentile e non pretenzioso, è di livello, spesso sorridente, come Mirko. Io ho particolarmente apprezzato la presenza di quasi tutti i friulani d’obbligo in carta dei vini ma, soprattutto, di più di un ottimo pinot nero di Borgogna che, fresco, col pesce ci sta da Dio! E di tutti quasi i distillati di un bel bar in un ristorante per di più con spazi così ristretti. D’estate l’Osteria ha uno sfogo all’aperto, in un grazioso giardinetto. Il “quadro” può esser esaustivo. Eventuali mie omissioni, saranno le vostre scoperte! P.S. per una cena “intimissima”, prenotate la saletta con un solo tavolo!
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OSTERIA BORGO RONCHE Via Silvio Pellico, 54/E 33074 Ronche di Fontanafredda (PN) T. 0434.565016
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I vini in abbinamento alla cucina di MIRKO ASCEVI LUWA Collio Chardonnay Rupis 2016 Alc. 13% - euro 12 Giallo paglierino tenue, luminoso. Olfatto complesso con note varietali, sentori di agrumi freschi, fioriture estive e frutta tropicale. Pesca, pera ruggine e mela gialla sostengono la mineralità terrosa. Il sorso è inizialmente morbido. La beva è succosa e piacevole, regolata dalla giusta proporzione tra freschezza e struttura glicerica. Il finale è delicatamente sapido e da richiami fruttati e floreali. Basse rese in vigna e vinificazione in acciaio. CANTINA DI RAUSCEDO Metodo Classico Villa Manin Brut Uve: chardonnay 90%, pinot nero 10% Alc. 12,5% - euro 13 Giallo paglierino carico che evidenzia il fine perlage. Impianto olfattivo complesso ed esplicito. Ventaglio speziato, di crosta di pane e frutta secca si fonde con pesca bianca, mela renetta, goccia d’oro e note di salsedine. Buona avvolgenza iniziale accompagnata da una piacevole freschezza. Ottimo l’equilibrio e la corrispondenza. Si spegne lentamente con richiami fruttati di agrumi e di fioriture estive. Sosta per 32 mesi sui lieviti.
MARCO FELLUGA Collio Friulano 2016 Alc. 13% - euro 15 Giallo paglierino luminoso. Il profilo olfattivo è intenso e ben definito da sentori di erbe officinali secche, ricordi di tè al gelsomino, pesca bianca e fioriture primaverili. Intensa mineralità, che si declina sui toni fumé della ponka e su note marine di salsedine. Al gusto è inizialmente fresco e sapido poi avvolgente in virtù della buona struttura. I richiami minerali e sapidi guidano il lento finale. In acciaio, sui lieviti, per 6 mesi. RONCÙS Pinot Bianco 2015 Alc. 14% - euro 20 Paglierino smagliante. La mineralità gessosa accompagna note di kumquat, di gelée di agrumi, di fioriture estive, di morbide note di frutta tropicale e di dolci sentori di miele. Ottimo l’equilibrio della beva, fresca, sapida e dalla perfetta proporzione glicerica. La chiusura è minerale, gessosa e delicatamente fumé accompagnata da nette corrispondenze fruttate. Breve sosta in grandi botti di rovere e 12 mesi di affinamento in bottiglia. TENUTA VILLANOVA Collio Sauvignon Ronco Cucco 2016 Alc. 13% - euro 20 Giallo paglierino brillante e solare. Al naso si susseguono piacevoli fioriture di magnolia, biancospino, acacia e sambuco. Poi mela stark, pesca bianca e tè al bergamotto. Sottile e preziosa nota marina raccoglie l’olfazione. La bocca è ben equilibrata, diretta e sostenuta nel proseguo della beva dalla grassezza clicerica. Buona lunghezza e dai continui richiami finali di natura varietale e agrumata. Breve macerazione e per 6 mesi nell’acciaio. 72
«In occasione dell’anteprima dello Spìule Chardonnay DOC FCO 2015, (dopo l’incontro del 2015 incentrato sullo Chardonnay, e quello dell’anno scorso dedicato ai vini rossi autoctoni da invecchiamento) quest’anno abbiamo organizzato una degustazione dedicata ad alcuni vitigni bianchi autoctoni prodotti lungo il 45° parallelo, partendo dalla Valle d’Aosta per arrivare alla Georgia, la culla della vite. – ha dichiarato Marta Locatelli, titolare della Tenuta di Angoris – Abbiamo scelto per questa degustazione dei vini ottenuti da uve autoctone che fossero riconosciuti nella tradizione viticola dei Paesi dove vengono prodotti».
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Prima della degustazione, Stefano Cosma (degustatore professionista, scrittore di settore e storico del vino), ha spiegato il criterio con cui sono stati scelti questi vini. «Un dato di fatto importante che ci ha spinto verso questi territori per arrivare fino alla Georgia, riguarda la presenza storica delle scuole di viticultura ed enologia che a cominciare dal 1870 sono state fondate nel Regno d’Italia e nell’Impero Asburgico: Alba (1881), Asti (1872), Conegliano (1876), San Michele all’Adige (1874), Parenzo (1875), senza dimenticare quelle minori come Vipacco (1873) e, dall’altro lato, la Società agraria di Gorizia che risale al lontano 1765. Queste scuole testimoniano il fatto che a questa latitudine si
producevano i vini più apprezzati d’Europa, e qua gli studenti e i docenti arrivavano anche da zone lontane dell’Impero! Inoltre, sebbene la latitudine scelta sia più o meno la stessa, la terra (lungo questi 3500 chilometri) è certamente diversa: questo dato di fatto, però non ha frenato (fin dalla seconda metà del XIX secolo) il desiderio di sperimentare impiantando proprio nel Goriziano i vitigni Aleatico, Mosler, Pinot grigio, Frontignan, Riesling, Alicante e Isabella (di cui si analizzarono i mosti nel 1847), e nel 1872 a Cormons si impiantarono Carmenet, Gros-bi-dure e Gros-verdot da Bordeaux, Czerlienak dalla Dalmazia, Kadarka dall'Ungheria ed altre varietà provenienti dal Reno, dal Piemonte,
dall'Istria ecc. Dimostrando non solo la vocazione di questa terra per la viticoltura, ma anche il profondo interesse dell’uomo verso questo tipo di conoscenza. Anche il fatto che le fiere si siano sviluppate in quel periodo, e che alla Fiera di Trieste nel 1888 fossero presenti i vini più importanti prodotti in tutto l’Impero, testimonia l’enorme interesse e importanza che le famiglie nobili avessero per questo tipo di produzione agricola». Anche i Locatelli portarono i loro vini prodotti ad Angoris nell'annata 1887, ottenendo menzioni onorevoli. Significativa la citazione che Cosma ha letto da un libro romeno del 1962, in cui si riporta una frase del medico del Doge Loredan che nel 1502 si trovò nella
rinomata zona vinicola di Cotnari (Moldavia) e da lì, il 7 dicembre di quell’anno, scrisse ai suoi a Venezia: “In agosto e in settembre qui hanno fatto dei vini del genere di quelli del Friuli”. «Il fatto che i due vini friulani in degustazione (un Friulano e una Ribolla Gialla) siano stati due dei vini più apprezzati, accerta il fatto che il Friuli Venezia Giulia rimanga un punto di riferimento per la produzione di vini bianchi. Mentre i dati storici presentati dimostrano che questa regione sia da sempre territorio di studi e sperimentazioni che hanno portato nei secoli al rispetto e alla valorizzazione dei vitigni e della terra stessa», ha concluso Marta Locatelli.
Questo l’ordine dei vini bianchi degustati: Blanc de Morgex et de la Salle 2015 DOC Valle d’Aosta (Cave Mont Blanc De Morgex et la Salle Soc. Coop. a Morgex – Ao), Roero Arneis 2015 DOCG (Vietti Srl a Castiglione Falletto - CN), Nosiola IGT (Az. Agr. Pojer e Sandri di Faedo - TN), Friulano 2015 DOC Friuli Colli Orientali (Tenuta di Angoris), Ribolla Gialla DOC Collio 2015 (Carlo di Pradis a Cormons), Zelen 2015 Vipavska Dolina (Vinska Klet Guerila a Ajdovščina - SLO), Žlahtina 2015 (Vinogorje Krk di P.Z. Vrbnik a Vrbnik HR), Grasă De Cotnari 2015 DOC C.T. (Cotnari a Castel Vladoianu - RO), Aligotè DOC Podgoria Sarica Niculiţel (La Sapata a Loc. Somova Jud. Tulcea – RO), Feteaskă Alba 2014 (Purcari Chateaux a Purcari – MD), Tsinandali 2015 (Binekhi a Tbilisi - GE) e Tsinandali 2013 (Badagoni a Village Zemo Khodasheni - GE). Il panel di degustatori comprendeva Marta Locatelli, Alessandro Dal Zovo, Stefano Cosma, Michael Loos, Gianni Ottogalli, Mario Busso, Carlo Petrussi, Bepi Pucciarelli, Adriano Del Fabro e Gianluca Castellano. La giornata si è sviluppata in tre momenti particolari: la degustazione in azienda durante la mattina e la lezione ampelografica del professor Carlo Petrussi, l’aperitivo presso l’Istituto Agrario Brignoli a Gradisca d’Isonzo (dove è stato presentato agli ospiti il progetto “Emopoli”: lo Spumante Metodo Classico che gli studenti di enologia e viticoltura producono già da 5 anni, in collaborazione con la Tenuta di Angoris) e il pranzo a Villa Locatelli.
TENUTA DI ANGORIS S.r.l.
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Loc. Angoris 7 | 34071 Cormons (Go) | Tel. +39 0481 60923 | Fax +39 0481 60925 | info@angoris.it www.angoris.com
FLOR DI FLOC DAL CONTADINO AL FORNAIO A GEMOMA di Flavia Virilli
foto di Flavia Virilli
Sans pain, sans vin, amour n’est rien” (senza pane, senza vino, l’amore non è nulla), così recita un proverbio francese e, di fronte alle spighe di grano mosse dalla timida brezza primaverile, il significato profondo di questa frase si coglie in tutta la sua appassionata semplicità. In fondo cosa, se non l’amore, può spingere tre gemonesi a scommettere su un progetto, il “Floc di flor”, che ha dato vita a un pane d’eccezione, impiegando una farina prodotta a un passo dal forno, secondo i dettami della biodinamica e completamente a km 0? Amore per il proprio territorio, amore per le tradizioni tramandate di padre in figlio, amore per le cose buone e autentiche. Ci sono tutti ad animare la voglia di fare di Fabiano Floreani, Davis Gubiani ed Enzo Cragnolini. Ai primi due si deve una farina di altissima qualità, al secondo un pane che sa parlare della terra che lo ha generato. Davis è il titolare dell’azienda agricola “Sella Sant’Agnese” di Gemona del Friuli, che gestisce insieme a Fabiano, il quale al lavoro nei campi unisce quello di insegnante di laboratorio al corso di Agroalimentare dell’Isis “Solari” di Tolmezzo. Entrambi portano avanti una tradizione di famiglia, dedita all’agricoltura in quel di Gemona già da prima dell’Ottocento.
Il frumento dal quale si ricava la farina di grano tenero tipo 0, che ha fatto innamorare il fornaio Cragnolini, viene coltivata senza l’impiego di sostanze chimiche, applicando la rotazione pluriennale delle colture e utilizzando il concime prodotto dagli animali allevati in proprio, che a loro volta sono alimentati con i prodotti coltivati in azienda. Qualità, dunque, non di certo quantità. È da questo enorme rispetto per la natura che si genera un terreno ricco di sostanze preziose, che si riconosce tutto nel sapore e nel profumo del grano sapientemente trasformato dal panificatore. Chicchi dalle qualità uniche, frutto di sementi selezionate da genetica austriaca, là dove il microclima è più simile a quello del Gemonese. La macinazione avviene con mulino a pietra, il che permette di preservare buona parte della crusca e del germe di grano e di ottenere una farina ricca di fibre e di sali minerali. L’azienda “Sella Sant’Agnese” propone anche altri tipi di farine, ottenute dai cereali di propria produzione, che appartengono tutte alla linea “Farine di Glemone”: si spazia dalla classica farina per polenta 100% mais, a quella che oltre al mais contiene il 20% di grano saraceno, per arrivare alla bramata e alla “Cinquantin”, una pregiata varietà locale di mais dal chicco molto piccolo, di colore rosso intenso, dal quale si ottiene una polenta molto profumata, per veri intenditori. Ma a folgorare Enzo Cragnolini è stato proprio quel grano tenero prodotto alle porte di Gemona, non lontano dal forno della sua famiglia, fondato nel 1920 dal nonno Alfonso, passato nelle mani del padre Walter e oggi gestito da lui e dalla sorella Antonella. Il sogno di Enzo era quello di produrre un pane che fosse strettamente legato al suo paese e alla sua tradizione contadina. Un’idea che è subito piaciuta a Fabiano e Davis e che ha portato al sodalizio dal quale è nato il pane di Gemona “Floc di flor”, facente parte della linea di prodotti da forno etichettata come “Il buono di Gemona”. Per Enzo il pane ha un valore simbolico e morale potentissimo. “Il “Floc di flor” - afferma - porta con sé tutta l’energia della nostra terra e la mantiene vitale, cosa che è possibile solo con ingredienti a km 0”. Come dargli torto, di fronte a un frumento che non subisce alcuno stress e trattamento e che passa direttamente dalla terra alla tavola con tutto il suo carico di nutrienti, profumi e sapori? A enfatizzare tali proprietà c’è la maestria di Cragnolini, che per produrre questo pane utilizza un lievito naturale che ha ben 70 anni. Una creatura vivente che gli è stata donata da uno dei suoi maestri, di origine valdostana, e che lui preserva ogni giorno con cura estrema. Gli allenatissimi sensi di Enzo gli hanno permesso di studiare un processo di produzione capace di esaltare al massimo una farina tanto preziosa. L’impasto viene lavorato lentamente, per circa una mezz’ora, così da raggiungere una consistenza setosa anche con una materia prima che, in quanto non estremamente raffinata, potrebbe farlo “cedere” a causa dell’irreparabile rottura della maglia glutinica. Il lievito naturale gioca anch’esso un ruolo di prim’ordine, permettendo di ottenere un prodotto dalla lievitazione importante senza l’impiego di un lievito classico. Il risultato è un pane che esprime tutto il carico di sensazioni del frumento appena raccolto. Una vera gioia per i sensi, poiché, come ha sottolineato Floreani, un prodotto così è davvero in grado di coinvolgerli tutti: rievoca la vista delle spighe che ondeggiano, il profumo dei chicchi mietuti di fresco per finire con un gusto capace di esprimere un ricco bagaglio di note olfattive e sapori, che solo un lievito unico, come quello di Enzo, riesce a valorizzare.
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SELLA SANT’AGNESE Via Corrado del Greco, 5 33013 Gemona del Friuli (UD) PANIFICIO CRAGNOLINI W. & C. Via Osoppo, 5 - 33013 Gemona del Friuli (UD) T. 0432 981534 www.panificiogragnolini.it
LA RUBRICA DEI LIBRI
ANDANDO VERSO EST DIARIO DI VENDEMMIE IN FRIULI di Andrea Zanfi Andrea Zanfi da molti anni percorre il suolo italico raccontando le zone vitivinicole del belpaese. A volte gli capita di ritornare sugli stessi sentieri già percorsi. Lo fa attraverso un diario che descrive le strade già battute molti anni addietro tra gli uomini e le donne delle vigne del Friuli Venezia Giulia. L’autore così riscopre sensazioni antiche ma anche nuovi punti di vista di una terra immutata per certi versi ma che è in continua e rapida evoluzione. Porzioni di umanità contadina ritratta tra gli strumenti di lavoro e spicchi di paesaggi familiari e ancestrali. Una raccolta di essenze, di sintesi materiche dei vari incontri e della terra a essi legata. Inserti con poesie e liriche inframezzano gli incontri. Sono inserimenti discreti, profondi, che simulano il respiro cadenzato di cui il moderno viandante necessita per affrontare il viaggio. Il libro ha un’impaginazione davvero accattivante ed è corredato da fotografie di bella fattura. euro 50 – 272 pagine – Andrea Zanfi – ZE EDITORIA DIFFUSA
BAROLO MGA di Alessandro Masnaghetti Alessandro Masnaghetti, un ingegnere nucleare rapito dalla passione per il vino, ha dato alle stampe il libro più documentato e completo sulle Menzioni Geografiche Aggiuntive del Barolo. Si tratta di una vera e propria enciclopedia delle grandi vigne di questo straordinario vino che si è conquistato un posto in prima fila nel panorama enologico internazionale. Bricco Manzoni, Cannubi, Serradenari, vigne leggendarie figlie di un territorio unico come le Langhe, ci svelano i loro più intimi segreti attraverso precise statistiche di produzione, dettagliate carte geologiche delle denominazioni, immagini 3D, planimetrie aggiornate, i nomi dei proprietari e dei vinificatori. L’opera consente al lettore di compiere un viaggio virtuale in uno dei “terroir” più affascinanti del nostro paese e, soprattutto, di ottenere preziose informazioni utili alla comprensione dei risvolti emozionali di un grande vino come il Barolo. euro 65 – 408 pagine – GIUNTI EDITORE
LA CUCINA DEL DELITTO di Floreana Nativo Floreana Nativo, studiosa di mitologie e di religioni, ha pubblicato vari saggi sul tema. Appassionata di cucina e di noir, si è spesa nella composizione di quest’opera che è un’unione di queste due passioni. Il libro è costruito come un reality televisivo che sfrutta un concorso indetto dalla RAI per giovani scrittori emergenti che dovranno presentare dei racconti in cui il protagonista è il cibo. I racconti vincitori faranno da base per delle serate in cui lo chef di un famoso ristorante presenterà un menù ispirato ai tre racconti di turno scelti dalla giuria. Le rivalità tra i grandi cuochi innescherà, dietro le quinte della diretta televisiva, i sentimenti più disparati come amori, antichi rancori e odi. Il libro, avvincente sin dalle prime battute, mostra il parallelo che esiste tra la finzione televisiva e la vita reale, la cura maniacale che accomuna il grande cuoco al criminale. Alla fine del libro le quindici ricette realizzate dai sei cuochi del concorso. euro 13,90 – 244 pagine – PANDA EDIZIONI
VINO, AMORE e POESIA di Rosinella Celeste Lucas Nel periodo estivo ci si concede sovente qualche meritata pausa dalle attività lavorative frenetiche. Un’occasione per rilassarsi e riconciliarsi con la nostra parte interiore. Quale migliore occasione quindi è la lettura (o rilettura) di questo piccolo tomo, un vero best seller, una raccolta di poesie in cui la scrittrice goriziana presenta quindici composizioni poetiche il cui unico protagonista è il vino. Ogni verso è un turbinio di colori e sensazioni che arricchiscono l’anima. Ogni vino descritto è l’occasione per percorrere un tratto di strada della vita. La poetessa, molto stimata dallo scrittore Fulvio Tomizza che l’ha paragonata a grandi poeti quali Saba, Stuparich e Slataper, gode in quest’opera, della prefazione di due personaggi di primo piano della cultura nazionale quali Piero Fortuna e Paolo Maurensig. I testi sono inoltre impreziositi dalle illustrazioni del pittore friulano Arrigo Poz che contribuiscono al valore dell’opera. euro 8 – 48 pagine – EDIZIONI DELLA LAGUNA 81
MANGIAVINO
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Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo Anno III, Numero 14 Direttore Responsabile - Renzo Zorzi, zorzi@mangiavino.com Direttore Editoriale - Renato Paglia, paglia@mangiavino.com Vice Direttore Editoriale - Giorgio C. Riva, riva@mangiavino.com Editore e Concessionario per la Pubblicità
Direzione commerciale e amministrazione Via Mantica 38, 33100 Udine tel. 0432 500468 grafica@bmeditore.com ; redazionemangiavino@libero.it Direttore Artistico Daniele Bressan Hanno Collaborato a Questo Numero Enrico Bertossi, Marco Calzavara, Gianluca Castellano, Bruno Cataletto, Walter Filiputti, Federico Magni, Raffaella Nardini, Alessandro Pareschi, Flavia Virilli Immagini di Flavia Virilli, Enrico Bertossi, Fabrice Gallina, Marco Calzavara, Silvia Pajani, Umberto Pellizon, e di chi citato. Se non diversamente indicato, sono dovute alla cortesia degli autori dei testi e/o degli intervistati e/o delle persone e/o degli enti di riferimento/provenienza e/o della redazione Impaginazione Grafica - Martina Madrisan, Kevin Bisiacco Stampa La Tipografica Srl Basaldella di Campoformido (UD) Prezzo di Vendita euro 8,00 Rivista Unica di Proprietà dell’Associazione Italiana Sommelier del Friuli Venezia Giulia Presidente Renzo Zorzi renzo.zorzi@aisfvg.it Registrata presso il Tribunale di Udine il 17/09/2013, n. 8/2013, ISSN 2283-7973 Degustazioni - Gianni Ottogalli, ove non altrimenti precisato Abbinamenti ai Piatti - Alessandro Pareschi o chi specificato I prezzi dei vini delle schede sono quelli medi d’enoteca indicati dai produttori Ringraziamenti a Andrea Canton, Daniele Cernilli, Domaine Cambier, Famiglia Gravner, Luca Morgan Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o parziale di testi, fotografie, marchi e loghi non è consentita
ERRATA CORRIGE MANGIAVINO N°13 PAG. 68 “Paglierino luminoso. Delicati sentori agrumati aprono l’olfatto. Seguono intense folate di frutta tropicale, melone invernale, fresia, erbe mediterranee e note iodate di salsedine. Fresco inizialmente, ma subito la morbidezza apporta perfetto equilibrio a suggellare la straordinaria eleganza di beva. Continui, incessanti richiami agli agrumi e delicatissime spezie in sottofondo. Acciaio e legno grande per lunghi mesi.”
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VIGNAIOLI IN GRAMOGLIANO I nostri vini – tutti DOC Friuli Colli Orientali – sono prodotti con la massima cura. Ciò che ci sta a cuore non sono i grandi numeri, e non lo sarà mai. La qualità è al primo posto, sempre.
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Unicità, Eleganza, Semplicità: nate dalla natura, ancor prima che dal progetto. Architettura — senza Tempo
Una filosofia agricola e produttiva che privilegia il rapporto con la natura e il territorio. Si realizza l’incontro armonioso tra il mondo rurale e le nuove tecnologie del legno, fatto di passioni e autenticità, per recuperare un legame atavico con la natura e con le autentiche concezioni di una volta.
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