Mangiavino n°9

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bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore ISSN 2283-7973

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MANGIAVINO

MANGIAVINO Rivista Unica dell'Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo

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Goccia di Carnia Srl, Forni Avoltri Udine, Friuli Venezia Giulia, Italia - gocciadicarnia.it


A new DomusGaia Project

The

Houses

Unicità, Eleganza, Semplicità: nate dalla natura, ancor prima che dal progetto. Architettura — senza Tempo

Una filosofia agricola e produttiva che privilegia il rapporto con la natura e il territorio. Si realizza l’incontro armonioso tra il mondo rurale e le nuove tecnologie del legno, fatto di passioni e autenticità, per recuperare un legame atavico con la natura e con le autentiche concezioni di una volta.

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DomusGaia è un’azienda accreditata APE FVG

DomusGaia srl Bioedilizia Sede operativa via IV Novembre n°47 33010 Feletto Umberto (Ud) Tel. 0432 855055 E–mail: info@domusgaia.it

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Certificazioni



MANGIAVINO

Editoriale Si assiste sempre più spesso al successo del “biologico” anche nella produzione dei

vini. In Francia sono molte le aziende importanti che hanno fatto senza indugio la scelta “naturale” e ciò dimostra che qualità e sostenibilità ambientale vanno perfettamente d’accordo. Non si tratta quindi più di un fenomeno alla moda che cavalca il fattore mediatico ed emozionale ma è una vera e propria scelta commerciale oltre che un aiuto concreto alla salute del pianeta. L’agricoltura biologica in Europa vale 18 miliardi di Euro l’anno e, in un decennio, ha aumentato la superficie coltivata del 166%. Filiera corta, consumi energetici contenuti, sviluppo sostenibile, sicurezza alimentare: sono temi consolidati anche nel mondo del vino. Possiamo affermare che anche in Friuli Venezia Giulia le aziende vitivinicole hanno fatto una scelta ecologica. Certo non tutte vantano una viticoltura biologia o biodinamica “certificata”, ma tutte, proprio tutte, in qualche modo hanno posto una grande attenzione al tema ambientale. Conviene! Il grande impegno che è stato messo in viticoltura, pensiamo al ruolo primario che l’agronomo ha assunto in questi ultimi anni, necessariamente ha portato a un utilizzo minimo o nullo dei costosi prodotti di sintesi, a una riduzione netta dell’inquinamento e dei metalli pesanti nei terreni coltivati. A tutto vantaggio della sicurezza dei prodotti finali. La sfida del “naturale” quindi è in piena corsa e non si fermerà. Fa piacere costatare che a bordo di questo treno veloce ci sono anche gli uomini e le donne delle vigne del Friuli Venezia Giulia!

Renzo Zorzi Direttore Responsabile Presidente Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia

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owner & winemaker

COLLIO - FARRA D’ISONZO - FRIULI


La Famiglia Puiatti con la Maison Villa Parens prosegue una lunga tradizione fatta di conquiste, primati ed innovazioni. Pioniera di una Filosofia della Purezza, dell’Essenziale ed Incontaminato, ha istituito il “Puiatti Concept”, eleggendolo ad autentico sinonimo di eleganza e semplicità. Per la sua attualità ed unicità, un cambiamento epocale nell’universo dell’estetica del mondo vinicolo, che esprime e valorizza storia, territorio, gusto, e piacere contemporaneo, in un inimitabile equilibrio.

DIVERSAMENTE COLLIO PER IL FUTURO DELLA TRADIZIONE Il futuro appartiene a chi ha il coraggio di essere differente e le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo. La creatività è la capacità di trasformare qualcosa che vive nell’astratto per renderla percepibile. Ciò che è piacevole immaginare da soli diventa stupendo se condiviso, attorno ad un consenso ci sono i sorrisi, c’è la gioia di tanti. Costruire qualcosa di veramente speciale è un’Arte, una sapiente miscela dove ogni elemento è una nota all’interno di una grande armonia. Con la devota passione di chi è nato, cresciuto e vissuto nel territorio, confrontandosi con lo stesso e la sua tradizione, rieccoci a fare ciò che più amiamo. Una nuova, contenuta, raffinata, esclusiva produzione, concepita secondo natura, con eleganza e semplicità, con purezza e genuinità, per sedurre ed emozionare con originalità e tipicità. Dal 1967, attraverso il 2014, Diversamente Collio, per il gusto di bere elegante. A voi scegliere, a noi stupirvi, perché il vino prima di essere una bevanda è un’idea.

Elegantemente Villa Parens Essenzialmente Puiatti il vino per passione e per lavoro

www.villaparens.com


MANGIAVINO

c o n t e n u Il Cabernet Franc di Renzo Zorzi /p. 12 La Nuova Doc di Renato Paglia /p. 18 L’Orsetto

di

I Ultins

di

Cjargne - Aldo

Riso

Paradiso di Raffaella Nardini /p. 28

da

Ricette

Carnia di Enrico Bertossi /p. 20

con il

di

Val di Marco Calzavara /p. 23

Nostro Vialone di Alessio Devidè /p. 30

Pestàt & Cjanor di Federico Magni /p. 32 L’oro

di

Château Minuty di Federico Magni /p. 34

BiscottoPordenone® di Giorgio Del Tedesco /p. 40 Il Collio

di

Zegla di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 42

La Ricetta di MangiaVino /p. 50

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MANGIAVINO

t i

Continuavano

a

In Copertina “Nuova Fiat 500, dal 1957 al 1975� Foto di Fabrice Gallina

Chiamarlo Tocai di Daniele Cernilli /p. 54

Dalla Sgnaperie

alla

Distilleria di Maria Franca Petraz /p. 56

Gli Extravergini Nostrani - Ottava Tappa di Alessandro Pareschi /p. 60 Nero

o

Capo

Il Rosso

in

delle

B? di Bruno Cataletto /p. 62 Rose di di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 64

Ancora Low Cost Il Bistrot La Rubrica

di

e

Soddisfatti di Giorgio C. Riva /p. 70

Emanuele di Giorgio C. Riva /p. 72

dei

Libri /p. 75

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MANGIAVINO Oche Selvatiche BOUTIQUE HOTEL

IL TARABUSINO LE VARVUOLE '... Le ha i dinti spuntìi e lunghi de rame, i cavili de fil de fero e vogi lustri e faliscusi de piera-bati-fogo, gambe de legno gropolose: 'le ze vistie de soto dute de stuora, co un capoto de reäto e co per butuni cortegae; brute che le fà spasemah 'nche i demuni. Cô 'le vien qua in päese co la so barca de vero longa longa (comò che me v'he dito) 'le riva zite dadrio 'l Reparo; e guai! Dio çe vardi e Gesù Maria! per duto Gravo, a fahj garghe insolensia, e che mamuli e mamole 'vessa de catahse fora de casa a stà ora despuo la 'Vemaria!...’

Così le descrive Menego Picolo in un suo scritto degli inizi del secolo scorso. Le Varvuole, sono, nelle antiche leggende, le streghe del mare che, nella sera che precede l’Epifania, vengono sulle loro barche di cristallo, si spargono in tutte le calli di Grado e rapiscono i bambini cattivi. La storia fa risalire questo fatto agli assalti degli Uscocchi, pirati balcanici che, ai tempi della dominazione veneta, arrivavano nelle lagune dell’Alto Adriatico per compiere le loro razzie. Come un esorcismo, ogni anno, il 5 gennaio, all’imbrunire, nel Porto Mandracchio di Grado, si assiste alla rievocazione storica, con l’arrivo delle ‘batele’ e delle streghe del mare. Il ‘giovanissimo’ Ristorante TARABUSINO, ha voluto dedicare alle ‘vecchie’ Varvuole l’ultima cena servita, prima della chiusura per un breve periodo di riposo. Il menù, rigorosamente a base del pesce che la laguna ci fornisce in questo ultimo periodo dell’anno, ed i vini in abbinamento, tutti del nostro territorio, hanno riscosso notevole interesse da parte dei numerosi amici austriaci e tedeschi, appassionati frequentatori di Grado, ospiti del BOUTIQUE HOTEL OCHE SELVATICHE, anche in una stagione che pochi nostri corregionari apprezzano. La ‘Cena delle Varvuole’, oltre alla degustazione di cibo e vini, è stata caratterizzata dalla lettura del testo di Menego Picolo (con libera traduzione in tedesco per una migliore comprensione da parte dell’uditorio). Tutti gli ospiti, pur estranei fra loro, sono stati rapidamente coinvolti nella vivace discussione che è seguita. È stato questo il primo di numerosi eventi che il TARABUSINO si propone di realizzare in futuro, dove la convivialità si sposi ad un momento di trasmissione della cultura, delle tradizioni e dell’anima (troppo schiva e riservata) di questo nostro territorio.

T +39 (0)431 878918 | F +39 (0)431 81309 | Via Luseo, 1, Grado (GO) | info@ocheselvatiche.it | Seguici su: Facebook 10


LIVON

UN VINO DA COLLEZIONE PER I CINQUANT'ANNI DI STORIA NEL COLLIO La festosa vendemmia celebrativa si è svolta nei primi giorni di settembre 2014 a Ruttars di Dolegna, cuore del Collio. Ribolla Gialla e Friulano: sono le uve scelte per questo blend storico. E’ seguito l’oblio per lunghi mesi, tra le vasche d’acciaio e barrique di rovere ungherese, nelle cantine di Valneo e Tonino Livon. Poi, finalmente, la luce. È pronto! È il “50esimo LIVON 2014”! Realizzato in sole 3.059 bottiglie da 0,75 litri e 242 magnum. È un vino unico e irripetibile! Anche l’etichetta è in versione speciale per questo “ultimo nato” in casa Livon. Si distingue subito per l’artistica elaborazione della classica foggia che caratterizza il vestito dei vini aziendali: il “5” rovesciato del coreografo russo Ertè che simboleggia la “C” del Collio. L’aggiunta del “bollino dorato” celebra il momento storico. La presentazione ufficiale è avvenuta al Ceresio 7 di Milano il 25 febbraio con una degustazione memorabile di annate storiche del Braide Alte che rappresenta, più di ogni altro, il vino simbolo dell’azienda fondata da Dorino, papà dei titolari e indimenticato protagonista della nascita e del successo del Collio. Una verticale da brivido: dal 1996 al 2014!


Aziende Agricole Livon | Via Montarezza, 33 | Dolegnano 33048 (Udine) Italy | Tel. +39 0432 757173 info@livon.it | www.livon.it


Tra i protagonisti dell’evento c’erano alcuni volti noti come il friulano Bruno Pizzul e il famoso chef Simone Rugiati, oltre a numerosi esperti giornalisti nazionali del settore enogastronomico tra cui Davide Rampello. Lo stesso grande giornalista Pizzul e Claudio Fabbro, agronomo e già direttore del Consorzio Vini Doc Collio, si sono “spesi” in un piacevole, quanto qualificato e apprezzato, approfondimento storico sul territorio meraviglioso qual è il Collio.

Tra i relatori anche il giovane Matteo, terza generazione e figlio di Valneo, che ha illustrato, dimostrando grande conoscenza del territorio, gli aspetti vitivinicoli che stanno alla basedi questo grande vino che è da sempre realizzato con un blend di uve bianche quali chardonnay, sauvignon, picolit e moscato giallo. Un evento nell’evento, dunque! Il “50esimo LIVON 2014” è un vino da collezione che rende “concreta” la grande passione dei Livon per questa terra. Un vino che suggella i loro successi internazionali come testimoniamo anche gli accordi siglati con prestigiose compagnie aeree quali Emirates, Brussels Airlines e Viking Line, che hanno scelto il Braide Alte e altri vini Livon per le loro carte dei vini. Una storia che comincia nel lontano 1964, quando Dorino, con la lungimiranza che contraddistingue i grandi personaggi, acquistò quel piccolo vigneto nella collina friulana generando il grande progetto di quest’azienda-famiglia la quale, con orgoglio e pieno merito, festeggia oggi cinquant’anni di successi!


foto: pixabay.com

MANGIAVINO

IL CABERNET FRANC

PROFUMO DEL BOSCO di Renzo Zorzi

Fratello minore, così si dice, ma sono solo congetture, del più famoso e duttile Cabernet Sauvignon.


MANGIAVINO Tuttavia, come ebbi modo di scrivere nel MV n°8, il fratello più nobile è più vicino alla terra

coltivata, l’orto di casa nello specifico. Il Franc invece richiama fortemente il bosco. Terreno umido, a volte malagevole e selvatico in cui si ritrovano sensazioni odorose che possiedono ricchezze straordinarie. Il profumo della corteccia, della resina di pino, del sentore fumé che ne caratterizza il terreno, delle foglie bagnate, dei funghi. Il bosco offre anche profumi sorprendentemente delicati di piccoli frutti come il mirtillo o la fragolina. Questo vino possiede dunque un corredo olfattivo piuttosto austero e poco incline ai compromessi! Anche al gusto non fa sconti, è caratterizzato da durezze maschie che a volte lo rendono difficile al consumatore non abituale. Eppure in Friuli Venezia Giulia è amato al pari di altri vini che hanno fatto, e continuano a fare, la storia dell’enologia di questa terra. La produzione è tutt’altro che scarsa ma è in gran parte destinata all’autoconsumo. Nelle mescite quotidiane delle osterie, dove il “tajut” è un rito da sempre, questo vino è molto richiesto e gode di un vasto numero di estimatori. Questi “fan” nel chiedere all’oste il calice di questo rosso non si sognano nemmeno di pronunciarne il nome alla francese ma, evidenziandone inconsciamente il carattere locale, enfatizzano la “t” finale della parola, così, alla friulana! All’origine di tutto c’è un grosso equivoco dovuto probabilmente al nome o meglio alle similitudini del nome originale “cabernet”, un vitigno originario della Gironda che ha reso famoso il “taglio bordolese” realizzato dai due cabernet e dal merlot. Le date d’introduzione in Italia non sono certe ma pare che sia stato importato dal conte Manfredo di Sambuy nel 1820 nell’alessandrino. In Friuli Venezia Giulia entrò, parimenti agli altri rossi francesi, attorno al 1870. Dov’è l’inganno? Pare che in realtà, in Italia, e più precisamente nel nord-est, sia stato scambiato con il carmenère, vitigno del Medòc conosciuto fin dall’inizio del 1700 e la cui coltivazione cessò a favore del franc perché presentava difetti di colatura. Lapidaria la conclusione di Jansis Robinson a proposito del carmenère nel suo libro Guida ai vitigni del mondo 1996: “Il vitigno è stato in passato introdotto in Italia con il nome di cabernet franc, cosa che fa sì che in Italia vi sia una parte di cabernet franc che è in realtà carmenère”. Dello stesso parere anche Walter Filiputti che così scrive nel suo Il Friuli Venezia Giulia e i suoi Grandi Vini - 1997: “Si ripete per il Cabernet franc la medesima storia occorsa allo Chardonnay: confusione di vitigni. Proprio così: il Cabernet franc “friulano” non è quello bordolese: è invece carmènere, vecchio vitigno della Gironda… Portato in Friuli come Cabernet franc (errore che anche Giulio Ferrari perpetuò omologando il suo Carmenère come Cabernet franc clone Ferrari), trovò un ambiente a lui ideale a da qui si diffuse largamente, portando con sé il suo equivoco segreto. Il tono erbaceo che possiede, anche molto accentuato, piace ai friulani”. La responsabilità della confusione è senza dubbio imputabile anche alle sinonimie: “Gros Cabernet o Carmenet nel Medoc; Grosse Vidure, Carbonet, Petit fer in altre parti della Gironda… Molto probabilmente, anche per il Carmenet gros si tratta di una questione di sinonimia col Cabernet” (I vitigni stranieri da vino coltivati in Italia - Mondini - 1903). Interessante la nota che riguarda la III Mostra Mercato dei vini del Goriziano tenutasi a Cormòns il 21 aprile 1940: “La Giuria, inoltre, tenuto presente che in precedenti Mostre Enologiche sono state fatte animate discussioni sul vino Bordeaux Goriziano, è ritornata sull’argomento, facendo osservare che non esiste un vino denominato Bordeaux e che questo appellativo deve essere riservato esclusivamente ai vini rossi del Bordolese. Sembra che il vitigno dal quale deriva il vino che si suole chiamare Bordeaux sia il Carmenère” (La Vite nella storia e nella cultura del Friuli - Costantini, Mattaloni, Petrussi - 2007). Uva diffusa in tutte le aree Doc del Friuli Venezia Giulia. I risultati sono eccellenti. Complessivamente 1.328 sono gli ettari vitati e la sua produzione si colloca tra il Sauvignon Blanc e l’autoctono Refosco dal peduncolo rosso.È un vitigno a bacca nera. La foglia è di media grandezza, orbicolare, pentagonale. Lembo liscio con margini revoluti. Il grappolo è di medie dimensioni, cilindrico conico, abbastanza compatto. L’acino è medio piccolo, di forma sferoidale. La buccia è di colore nero bluastro, pruinosa, spessa e consistente. Il sapore è dolce ma erbaceo. Sensibile alla peronospora, all’oidio e alla botrite. Il vino è di color rubino carico. Il naso è intenso. Erbaceo e vinoso. Al gusto è ricco di acidità e il tannino si pone spesso in evidenza in particolare nelle produzioni di pronta beva. Da giovane è astringente ed erbaceo ma l’invecchiamento propone un bouquet raffinato, eleganza ed equilibrio nel gusto dimostrando tutta la sua fama.

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MANGIAVINO TENUTE TOMASELLA Friuli Grave Cabernet Franc 2014 Alc. 12,5% - € 8 Viva gradazione di rosso rubino intenso e fiammeggiante. Il profumo è caratterizzato da note fruttate di more di rovo e mirtilli cui fanno seguito sentori di viola, felce, pepe nero e sottobosco. All’assaggio l’iniziale durezza è appianata da un richiamo morbido e vellutato che accompagna il finale gradevole tipicamente erbaceo. Vinificato nell’acciaio. Spezzatino di cinghiale.

SCUBLA Friuli Colli Orientali Cabernet Franc 2013 Alc. 13% - € 14 Sfumature di rosso granato contornano un cuore ancora rubino. Balsamico e speziato, con note di china, caffè e cioccolato fondente. Poi sentori minerali e terrosi di humus, sottobosco, funghi e muschio. Gustoso all’assaggio. Morbido, avvolgente, con tannino composto. Buona freschezza e finale piacevolmente sapido. Per 10 mesi nel rovere francese. Lasagne ai porcini e cacciagione.

LE MONDE Friuli Grave Cabernet Franc 2013 Alc. 13% - € 10 Rosso rubino fitto, vivace e profondo. Olfatto esuberante con note erbacee e speziate cui fanno seguito sentori di succo di mirtillo, arancia sanguinella, bacche di ginepro e grafite. L’assaggio è ricco, sapido, avvolgente, sostenuto da tannini vivaci e progressivi che contribuiscono all’equilibrio e alla piacevolezza della beva. Tagliatelle al ragù di cervo. Vinificato nell’acciaio per 12 mesi, poi affina in bottiglia per 6 mesi. TENUTA CA’ BOLANI Friuli Aquileia Cabernet Franc Superiore 2013 Alc. 12,5% - € 9 Rosso rubino fitto e compatto. Sottili toni fruttati di confettura di ribes ben amalgamati a note di viola, resina, grafite e liquirizia. Regala poi sbuffi di caffè, polvere di cacao, rabarbaro e piretro. Tannini vellutati e sentori speziati completano la piacevolezza del sorso che chiude fresco ed erbaceo. Lombata di agnello. Vinificato nell’acciaio, poi per 4 mesi nel rovere. VIGNE DEL MALINA Cabernet Franc 2011 - Alc. 14,5% - € 18 Rosso rubino con cuore cupo e bordo vivace. Note speziate di pepe nero e chiodi di garofano introducono l’olfatto seguite da sentori di tabacco, cioccolato fondente, visciole sotto spirito, liquirizia e grafite. Il sorso è ampio ed equilibrato. L’impatto è morbido, l’allungo fresco, il finale lungo e saporito. Carne di pezzata rossa alla brace. Vinificato nell’acciaio, poi 30 mesi nel rovere. DORIGO Cabernet Franc 2013 - Alc. 13,5% - € 12,5 Colore rosso rubino fitto, granato sul bordo. All’olfatto note mature di prugne e amarene sotto spirito si combinano con sentori di spezie dolci, erbe provenzali, viole appassite e cioccolato. In bocca è morbido e ricco di sapore con un tannino ancora vivace che esalta la freschezza e regala un sorso esuberante e balsamico. Barrique per 8 mesi. Brasato d’anatra. 16

TENUTA VILLANOVA Friuli Isonzo Cabernet Franc 2012 Alc. 12,5 % - € 10 Rosso rubino scuro e profondo. Impianto olfattivo con note di viole, more di rovo e ribes nero che accompagnano i sentori di tabacco biondo, sottobosco e una spolverata di cannella e noce moscata. Un vivace tannino esaltato dalla freschezza regala un sorso esuberante, delicatamente erbaceo, franco e promettente. Filetto di manzo al pepe verde. Vinificato nell’acciaio.


MANGIAVINO RONCO DELLE BETULLE Friuli Colli Orientali Cabernet Franc 2011 Alc. 13,5% - € 15 La bella tonalità del rosso rubino fitto è un gradito invito all’assaggio. Amarene e frutti di bosco aprono il percorso a note di tabacco e di tè verde seguite da intensi sentori balsamici di eucalipto. Tannini vivi contribuiscono alla vivacità e alla freschezza del sorso. Il finale è speziato e gradevolmente amarognolo. Legno grande per 20 mesi. Arista di maiale al forno.

RONCHI DI MANZANO Friuli Colli Orientali Cabernet Franc 2012 Alc. 12,5% - € 12 La vivacità del rosso rubino intenso dona un aspetto invitante e prelude ai sentori fragranti che subito conquistano l’olfatto con note fruttate di more e di ciliegie selvatiche. Poi sbuffi minerali di gesso e grafite sotto un velo di spezie dolci. Il sorso, caratterizzato dai tipici richiami erbacei, è succoso e corrispondente. Fagiano al forno. Botte grande per 6 mesi, poi 6 in bottiglia.

CASTELVECCHIO Carso Cabernet Franc 2012 Alc. 13% - € 20 Nota cromatica rosso rubino fitto con cuore cupo e bordo cangiante. Il profumo è caratterizzato da intriganti suggestioni di cioccolato fondente, tabacco, cuoio, legno di cedro, china, rabarbaro e polvere di caffè. Sorso pieno e suadente con comparto tannico vigoroso ma ben mitigato da soave morbidezza. Nel legno grande per 24 mesi. Costolette d’agnello al ginepro. 17


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PANT 7541 C RGB 217 225 226

PANT 686 C RGB 208 161 186

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MANGIAVINO

LA NUOVA DOC di Renato Paglia

foto di Dario Di Gallo

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l 23 marzo scorso si è svolta l’audizione pubblica obbligatoria finalizzata all'ultimo passaggio al Comitato Nazionale Vini per così consentire ai viticoltori del Friuli Venezia Giulia di apporre sulle etichette, forse già dalla prossima annata, la nuova denominazione che si affianca a quelle delle Doc esistenti. Audizione che ha permesso ai presenti di proporre osservazioni riguardanti il disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Friuli” o “Friuli Venezia Giulia”. Così si chiamerà infatti la nuova Doc. Erano molti i partecipanti all’incontro, soprattutto ben consapevoli di vivere un momento importante per il futuro enologico della regione. L'adesione alla nuova Doc è volontaria e i produttori potranno scegliere se adottarla o meno. Da svariati decenni si parla della Doc Friuli e c’è stato un momento in cui sembrava che arrivasse in porto. Ma le cose, si sa, devono maturare bene, come l’uva. Va comunque posto in evidenza, ed è un fatto molto positivo e benaugurante, l’apprezzamento da parte di entrambe le anime produttrici della nostra regione che sono sostanzialmente quelle che prediligono le basse rese e quelle più orientate alle produzioni più sostenute. D’altra parte è evidente che, se si cercano nuove prospettive commerciali, l’immobilismo è la peggior scelta e mantenere assetti nati decenni fa, che forse non rispondono più ai cambiamenti del mondo, non è più possibile. La scelta dunque è stata a favore dell’innovazione. Ci sono più aspetti positivi in questa nuova denominazione. Il più evidente riguarda l’occasione di rilancio e valorizzazione per tutta l’enologia regionale grazie a un brend forte e condiviso; è una possibilità di rafforzare tutta la filiera vitivinicola. Non si può dimenticare, infatti, che la produzione enologica totale del Friuli Venezia Giulia rappresenta poco più del 2% di quella italiana. È indispensabile quindi mantenere i riflettori accesi sui vini regionali affinché mantengano il meritato successo e che possibilmente incrementino la visibilità sul mercato internazionale. C’è anche la necessità di porre mano, fin da subito, alla questione Pinot Grigio e Ribolla Gialla che rappresentano una fetta per nulla secondaria della nostra produzione e che soprattutto non possono essere oggetto di svilimento qualitativo. Infine, la comunicazione di un brend forte qual è il nome Friuli e Friuli Venezia Giulia può estendersi ad aspetti più ampi ma sempre legati al mondo del vino, come dimostra il recente riconoscimento di Lonely Planet, quali il turismo, la ristorazione e l’accoglienza in genere. Non rimane che augurarsi che l’avvio della fase “operativa” di questa “Vitivinicoltura regionale 2.0” porti davvero a quella sinergia tra tutti che spesso ha latitato ma da cui ora nessuno può astenersi.

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CORTIULA HOSTARJA Via Sant’Antonio 7, Zampis 33010 Pagnacco (UD) T 0432.650571 rosticola@libero.it

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MANGIAVINO

L'ORSETTO DI CARNIA di Enrico Bertossi

foto di Stefano Peres

“F

igurarsi gli altri!”, era la classica battuta che Gianni Cosetti, l’orso di Carnia, uno dei più grandi cuochi friulani di tutti i tempi, faceva ogniqualvolta si presentava Daniele Cortiula come il più brillante e capace dei suoi allievi. Cosetti era rigoroso, maestro inflessibile che non ammetteva imperfezioni e che non si prodigava in complimenti. A modo suo la battuta serviva per confermare il talento dell’orsetto Cortiula senza esagerare troppo nei riconoscimenti. Bravo di suo Daniele Cortiula certamente lo è anche se non ha dimenticato gli insegnamenti del grande Gianni e dei lunghi anni trascorsi al Roma di Tolmezzo, ristorante che attirava i raffinati della tavola da tutta Europa quando i cuochi stavano in cucina e non in televisione, riscoprendo gli antichi sapori della Carnia in raffinate ricette la cui modernità è ancora oggi indiscussa. Ha vissuto fianco a fianco con lui gli anni della evoluzione dalla cucina carnica classica alle ricette rivisitate come quella dei cjalsons, simbolo della montagna friulana, resi meno dolci, improntati alle erbe e di conseguenza più leggeri. “Ancora oggi li cucino seguendo la sua ricetta - dice Cortiula - senza nessuna variante. I suoi cjalsons alle erbe sono un piatto perfetto.”Sul podio, insieme ai cjalsons, l’allievo di Cosetti mette il toc in braide che nel 1986 fu reinventato, raffinandolo e impreziosendolo, e la zuppa di orzo e porcini, piatto che non viene mai buono come quando lo faceva l’orso perché “quando si fanno le robe ci vuole amore”. Stimolato a dovere, emergono i ricordi di una vita passata insieme: “Gianni in realtà era splendido, faceva le battute non per colpire ma per sdrammatizzare. Ha creduto subito in me e mi diede carta bianca, lasciandomi sbagliare per imparare. Mi portava sempre in giro a conoscere il mondo dei cuochi, del vino, dei ristoranti, degli eventi. Non amava cucinare i dolci e li lasciava preparare a me, ma guai a non raggiungere la perfezione!” “All’inizio degli anni novanta andammo in giro per l’Italia, io e un altro suo aiutante, a provare da soli i ristoranti italiani più famosi, Gualtiero Marchesi in testa. Rientrati spiegai a Gianni quello che avevo imparato e visto e che cosa si poteva innovare al Roma di Tolmezzo. Lui ascoltò con attenzione e interesse e alla fine mi chiese le ricevute di ciò che avevamo pagato nei locali visitati. La richiesta era strana ma con pazienza raccolsi i conti. Dopo un paio di giorni mi ridiede la busta con le ricevute e i soldi che coprivano le spese sostenute. Rifiutando i soldi, gli chiesi il perché. “Siete stati per migliorare la nostra cucina e il nostro ristorante ed è giusto che paghi io”, disse perentorio con un tono che non ammetteva discussioni! Daniele Cortiula è un tipo allegro, simpatico, non incline alla nostalgia. Viene tradito dall’emozione solamente quando racconta un altro episodio: “Eravamo in un albergo a Monaco di Baviera e ci stavamo registrando alla reception. Il direttore dell’albergo chiese a Cosetti, indicando me, se fossi suo figlio. Magari, fu la sua pronta risposta, che mi lasciò senza parole.”Tanto bravo quanto irrequieto nei luoghi dove esprimersi, da qualche settimana ha iniziato la sua nuova avventura a Zampis di Pagnacco, in un locale che ha voluto chiamare Cortiula Hostarja, atmosfera informale, cucina e vini decisamente di grande qualità e, soprattutto, lo chef che sta in cucina a eseguire personalmente i piatti che lo hanno consacrato l’unico degno erede di Gianni Cosetti. Cucina seguendo diligentemente il ricettario degli anni d’oro del Roma di Tolmezzo senza rivisitazioni in quanto li considera piatti assolutamente perfetti. Alla ristampa di quel libro mi lega l’ultimo affettuoso ricordo personale di Gianni Cosetti. Nel 2000 presiedevo la Camera di Commercio di Udine e Cosetti mi chiese se potevo aiutarlo a ristampare il libro che era da tempo esaurito. Detto e fatto, iniziammo subito a recuperare il materiale per procedere alla ristampa. All’inizio del 2001 cucinava per una cena alla Casa della Contadinanza e, vedendomi, mollò tutti su due piedi e corse a chiedermi, con fare trepidante, notizie del libro che in realtà era in tipografia pronto per essere rilegato. “Caro Gianni – gli dissi orgoglioso – ormai ci siamo e dobbiamo solo organizzarci per la presentazione in pompa magna.” Ci lasciammo contenti e soddisfatti senza sospettare che da lì a pochi giorni la morte se lo sarebbe portato via….. Ritornando al presente di Cortiula, insisto con la domanda più volte posta: “C’è un piatto che consideri tuo, veramente tuo?” Con un lampo negli occhi, spara rapido: “La beccaccia, cotta a bassa temperatura, disossata e ripiena di foie gras!” Un’ ultima domanda, caro Daniele: “Se oggi Gianni fosse qui con noi, cosa gli diresti?” “Grazie! Solamente grazie!”.

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Il mosaico di Scubla

Via Rocca Bernarda, 22 | 33040 Ipplis di Premariacco | Udine | Tel. 0432.716258 - Cell. 335.6919043 info@scubla.com


MANGIAVINO

I ULTINS DI CJARGNE “I Ultins” sono “Gli Ultimi” testimoni di un mondo che non c’è più

Un mondo di tradizioni, di piccole cose, di quotidianità, in cui lo scambio fra gli uomini, gli animali e la terra era costante e diretto. Solidarietà, rispetto, culto delle tradizioni e temperanza sono il leitmotiv degli Ultimi che abbiamo incontrato nel nostro viaggio in Carnia, terra di montagna e di frontiera. 25


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ALDO DI VAL testi e foto di Marco Calzavara

La Val di Lauco sale dal torrente Degano attraverso una strada tutta ponti, tornanti e strettoie. Una strada che finisce a Val, quattro case sperdute dove vive Aldo. La strada termina dove iniziano i pascoli d’estate e dove, d’inverno, la neve ricopre “democraticamente” tutto, spesso isolando persone, animali e cose. Una vita dura quella di Aldo, del fratello Sandro e di tutta la famiglia; alle prese con le mucche, il latte, il formaggio, il burro, la raccolta del fieno, le galline e il purcit, che poi sarebbe il maiale. Del purcit una volta non si sprecava nulla, e la sua era una presenza importante in ogni famiglia contadina. Il purcit, infatti, rappresentava una delle fonti primarie di sostentamento. Il nutrimento del maiale poi, erano soprattutto avanzi di cucina e scarti di frutta e verdura… una forma ante litteram di raccolta differenziata e di riciclaggio dei rifiuti organici. Una volta all’anno, a novembre, il purcit si trasforma da fatica quotidiana prima in festa e poi in salsiccia, musetto, pancetta e salami. Insaccati, questi, che nella più genuina tradizione carnica vengono “fumati”, per dare quel gusto tipico dei prodotti di questa terra. Dopo l’affumicatura, la stagionatura, per affinarne sapore e consistenza. Il loro caratteristico e inimitabile aroma nasce solo in ambienti con una corretta umidità e temperatura e questo Aldo lo sa. I suoi salumi, come una “volta porcina”, ricoprono il soffitto di una stanza in un vecchio “stali” (malga), con le pareti di sasso spesse un metro. Ed è proprio qui che essi “riposano”, in attesa di rallegrare mense e deliziare palati. I prodotti di Aldo si possono trovare da Carniasapori di Edda Borta, a Ovaro.

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L'OT TIMO DI SAN DANIELE. TRADIZIONE E DELIZIA. Prosciutto di San Daniele Arbea, l'ottimo di San Daniele. Ecco la sintesi perfetta di un alimento eccezionale dalle profonde radici, universalmente conosciuto e legato indissolubilmente alla sua terra di origine. E la promessa di Arbea è rendere ogni fetta di San Daniele un'esperienza unica di delizia per i sensi. Arbea conosce e rispetta la tradizione del prosciutto crudo, pur sapendola sviluppare con modelli organizzativi avanzati. Il suo è un nuovo modo di rappresentare la secolare cura nella lavorazione, un quotidiano impegno per offrire solo la migliore qualità, nel rispetto dei rigorosi controlli del Consorzio Prosciutto di San Daniele. Gustare la dolce morbidezza del crudo di San Daniele Arbea diventa così un autentico piacere da assaporare da solo o in uno dei tanti abbinamenti proposti dalla migliore cucina. Arbea Srl Via Aonedis, 31 San Daniele del Friuli / Ud tel. +39 0432 953075 - info@arbea.eu - www.arbea.eu


DEGUSTARE LA QUALITÀ L'elegante Prosciutteria Arbea è uno spazio nuovo in cui si possono degustare le esclusive selezioni di prosciutto crudo abbinate ai vini delle più pregiate cantine friulane. Ampia e confortevole, è la soluzione ideale per una pausa di gusto e benessere, per colazioni di lavoro e feste private. Annessa ai laboratori, la Prosciutteria Arbea si affaccia sui locali di lavorazione esaltati da un'ampia parete in vetro che consente di immergersi in un mondo di fascino assoluto. E gli esperti Arbea sono sempre pronti a consigliare ogni scelta, illustrando le ragioni dell'unicità del prosciutto crudo di San Daniele. La Prosciutteria Arbea è perfetta per chi desidera portare a casa o regalare la bontà del crudo di San Daniele: sono disponibili diversi tagli e formati messi in sottovuoto, comodi da trasportare e pronti da gustare.


RISO DA PARADISO di Raffaella Nardini • foto di Domenico Fraccaroli


Non è proprio scontato trovarci di fronte,

nella seppur vasta pianura friulana, una risaia. Per antonomasia, la coltivazione del riso porta alla nostra mente immagini di ampie distese d’acqua, popolate da zanzare e da mondine ricurve a togliere le piantine infestanti che altrimenti andrebbero a competere con quelle del riso per il nutrimento. I nostri ricordi ci portano alla Lomellina, alla bassa provincia di Milano e al mantovano in Lombardia, al novarese e al vercellese in Piemonte, al veronese e al Polesine in Veneto, ma forse non tutti sanno che dalla metà del 1800 e fino agli anni ‘30 del ‘900 anche alcune zone della nostra Regione furono destinate alla coltivazione del riso, coltura poi abbandonata per le difficoltà di gestione delle risaie e soprattutto per la difficoltà di reperimento della manodopera. Da allora nessuno, per più di 70 anni, ebbe l’ardire di sfruttare le abbondanti risorse di acqua e i terreni pianeggianti del nostro Friuli per questo nobile scopo. Oltre al prodotto, di per sé fondamentale nella dieta italiana, le risaie furono infatti importantissime da un punto di vista naturalistico, in quanto ospitanti buona parte della popolazione europea di aironi, in aree di nidificazione denominate “garzaie”. Siamo nel 2010 quando l’Azienda Tiziano Fraccaroli ci riporta la risicoltura, in particolare in quell’angolo suggestivo della Bassa friulana che è Paradiso di Pocenia, esattamente al centro del quadrilatero che unisce Latisana, Codroipo,

Palmanova e il comprensorio di Aquileia e Cervignano, lungo la linea delle Risorgive. La famiglia Fraccaroli, nativa di Verona, si occupa da tre generazioni dell’azienda agricola qui situata, che da sempre produce vini bianchi e rossi. È dopo gli studi alla Facoltà di Agraria dell’Università di Udine, che Domenico, nipote dell’omonimo fondatore, decide di sfruttare le caratteristiche ambientali e climatiche di questo territorio e di diventare, dopo tanti e tanti anni, l’unico a investire nella completa filiera produttiva del riso. La scelta cade sul “Vialone Nano”, il più vocato all’ambiente friulano, un riso semifino, con chicchi di media lunghezza e dalla forma tondeggiante, ideale per risotti e per insalate di riso. Sulla base della lavorazione che il prodotto subisce dopo la raccolta, il Vialone Nano “Domenico Fraccaroli” dell’Azienda Fraccaroli, risulta essere una via di mezzo tra un semilavorato e un riso bianco, cioè un riso sulla cui superficie vengono mantenuti alcuni degli strati più esterni al fine di mantenere più alto il contenuto di proteine, vitamine e sali minerali che, come sappiamo, si trovano concentrati nei rivestimenti superficiali del chicco. Necessita di un periodo di cottura leggermente superiore a quello previsto per i risi a lavorazione classica, ma il sapore, e non solo l’apporto nutritivo, ne guadagna. Il chicco, infatti, rimane compatto e mantiene inalterato il contenuto vitaminico durante la cottura. Niente di meglio per un primo piatto gustoso e sano, che dona il sapore delle nostre terre friulane.

AZIENDA TIZIANO FRACCAROLI Vialone Nano “Domenico Fraccaroli” Via Ippolito Nievo 1, Paradiso 33050 Pocenia (UD) T 0432.777242

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Ricette con il nostro vialone Chef Alessio Devidè - Osteria Altran di Ruda

RISOT TO ALLE "PEVERASSE" E ALGHE

1,5 kg di peverasse, 400 gr di Vialone Nano friulano, 200 gr di lattuga di mare, aglio, scalogno, vino bianco, limone, olio extra vergine di oliva, salicornie, sale, pepe Soffriggere in olio evo uno spicchio d’aglio tritato finemente; aggiungere le peverasse e acqua fredda a ricoprire il tutto; portare ad ebollizione, raffreddare. Seccare in forno la lattuga di mare per una notte a bassa temperatura, quindi frullarla e passare al settaccio fine, ritirare e conservare. Sgusciare le peverasse, salvandone alcune con il guscio per la guarnizione. Frullare la polpa delle peverasse con olio extravergine di oliva fino a ottenere un composto fine e vellutato. Ritirare e conservare. Imbiondire dello scalogno con olio extravergine di oliva, versare il riso, tostare, sfumare con vino bianco secco, e aggiungere poco alla volta l’acqua delle vongole. A metà cottura, aggiungere il composto di vongole e portare a compimento la cottura. Aggiustare di sale e pepe, aggiungere della scorza di limone grattugiata finemente e mantecare fuori dal fuoco con olio evo. Versare il risotto nel piatto, stenderlo a velo, spolverare con la polvere di alghe, aggiungere le peverasse con il guscio, riscaldate nella loro acqua, e guarnire con della salicornia.

RENATA PIZZULIN

Friuli Isonzo Chardonnay Paladis 2013 Alc. 14% - € 16 Paglierino luminoso. Impianto olfattivo complesso ed elegante. Fioriture estive, pesca gialla, banana, spezie dolci. Frutta secca e vaniglia. Ben integrata la mineralità marina. Avvolgente e caldo, ben proporzionato nel rapporto fresco glicerico. Chiude con spinta sapida e richiami minerali. Acciaio, poi nei piccoli legni per 7 mesi.

RÖSTI DI RISOT TO AI FUNGHI PORCINI E QUAGLIA FARCITA

1 quaglia, 1 fetta di pancetta nostrana, 100 gr di spinaci novelli, 100 gr di fondo di carne, 300 gr di funghi porcini, erbe aromatiche (rosmarino, salvia, prezzemolo), aglio, 30 gr di formaggio di capra (facoltativo) 200 gr di riso di Paradiso, 200 gr di burro, 25 gr di Parmigiano Reggiano, 150 gr di buon brodo, 50 gr di scalogno, olio extravergine di oliva, sale, pepe. Disossare completamente la quaglia dalla schiena, foderarla con la pancetta e farcirla con gli spinaci novelli saltati con olio evo e aglio e una noce di formaggio di capra oppure di burro fresco a piacere. Legare con uno spago la quaglia. Preparare un risotto ai porcini rosolando dello scalogno e aglio tritato, aggiungere i funghi, salare, pepare, tostare il riso e bagnare con vino bianco e cuocerlo al dente con del buon brodo; mantecare con burro e Parmigiano; raffreddare. Rosolare la quaglia con le erbe aromatiche e l’aglio, spumeggiare con del burro e portare a cottura in forno caldo. Nel frattempo, dorare nel burro il risotto precedentemente raffreddato, tagliato a disco, e saltare dei funghi porcini con olio extravergine, sale, pepe e un profumo d’aglio. I porcini devono risultare ben croccanti. Sgrassare il fondo della quaglia, glassando con il fondo di carne. Sistemare al centro del piatto il rösti di riso, adagiarvi la quaglia, napparla con il fondo, circondarla di porcini croccanti e di foglie di prezzemolo fritte. Guarnire con un mazzetto di erbe aromatiche.

RACCARO

Collio Malvasia 2014 Alc. 13,5% - € 23 Giallo paglierino lucente. Complessità e raffinatezza evidenziano il naso che richiama subito la ponca del Collio. Seguono note fruttate, erbe aromatiche mediterranee, rintocchi resinosi e sbuffi salini. Equilibrato e avvolgente a conferma dell’ottima struttura. Il finale è lunghissimo e dai continui richiami al territorio. Solo acciaio.

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MANGIAVINO RISOT TO ALL'AGLIO ORSINO, RAPANELLI MARINATI E SPUGNOLE AL PORTO 300 gr Vialone Nano “Domenico Fraccaroli”, 1 scalogno, 1 spicchio d’ aglio, 100 gr aglio orsino, brodo vegetale, vino bianco, Parmigiano Reggiano, burro, olio extravergine di oliva, aceto di vino bianco invecchiato, 4 rapanelli, 20 gr di spugnole secche, ½ bicchiere di Porto Ruby, sale, pepe. Scottare alcuni secondi l’aglio orsino in acqua bollente salata. Rosolare in olio extra vergine di oliva mezzo spicchio di aglio, aggiungere le foglie di aglio orsino, pepare e raffreddare con del ghiaccio. Frullare ad alta velocità le foglie e il ghiaccio fino ad ottenere una crema liscia e vellutata, di un intenso verde smeraldo. Tenere da parte. Ammorbidire per 3/6 ore in acqua tiepida le spugnole secche,rigirandole spesso di modo che si liberino di terra e impurità. Strizzarle e tagliarle a pezzi regolari. Filtrare l’acqua di ammollo. Rosolare con burro e olio extra vergine di oliva mezzo spicchio di aglio, aggiungere le spugnole e insaporire con sale e pepe, aggiungere l’acqua filtrata e ridurre a fuoco lento. Rafforzare il sapore aggiungendo il porto e cuocere ancora per alcuni minuti. Legare con del burro. Tagliare a rondelle fini i rapanelli e marinare con sale, pepe, olio extravergine di oliva e alcune gocce di aceto di vino bianco invecchiato. Soffriggere in olio evo lo scalogno tritato finemente, aggiungere il riso e tostarlo. Sfumare con vino bianco. Portare a cottura con brodo vegetale. A pochi minuti dal termine della cottura aggiungere la crema di aglio orsino. Mantecare il risotto con Parmigiano Reggiano e burro ghiacciato. Versare il risotto nei piatti , stendere a velo e guarnire con le fette di rap anello e i pezzetti di spugnola. Decorare il piatto con gocce del fondo di cottura delle spugnole.

PETRUSSA

Friuli Colli Orientali Sauvignon 2014 Alc. 12,5% - € 15 Giallo paglierino. Profumi varietali caratterizzano le prime note. Fiori di sambuco, agrumi, erbe officinali, pesca bianca, litchi, ortica e felce. Delicati sentori fumé. La freschezza iniziale determina la succosa beva che richiama il naso con pompelmo e frutta a pasta bianca. Finale su delicati temi sapidi e su sensazioni minerali citrine. Acciaio.

RISOT TO ALLA STRACCIATELLA DI BURRATA E ZAFFERANO

300 gr riso di Paradiso, 3 scalogni, 180 gr di stracciatella di burrata, 100 gr di panna fresca, latte, 2 dl di vino bianco, ½ dl di aceto bianco, brodo vegetale, 25 gr di amido mais, Parmigiano Reggiano, burro, olio evo, cristallo di liquirizia, pistilli di zafferano, sale, pepe. Ridurre di 2/3 un dl di vino bianco e ½ dl di aceto con tre scalogni tritati finemente, a fuoco basso. Aggiungere dello zafferano e 2 dl di brodo vegetale, portare a bollitura e legare con l’amido. Salare e pepare. Lasciare lo zafferano in infusione fino a raffreddamento poi filtrare la salsa ottenuta. Frullare la stracciatella con la panna ad alta velocità. Poi portarla lentamente a 58°C in modo da sciogliere completamente il formaggio senza che fili. Ritirare e tenere al caldo. Polverizzare il cristallo di liquirizia. Soffriggere dello scalogno tritato in olio extravergine di oliva, aggiungere il riso e tostarlo alcuni secondi, sfumare con il vino bianco. Evaporato il vino, aggiungere un presa di Parmigiano e una parte di stracciatella, portare a cottura con del latte tiepido. A cottura quasi raggiunta unire la restante stracciatella, correggere di sale e di pepe. Togliere dal fuoco e mantecare con del burro ghiacciato. Il risotto deve risultare cremoso ma compatto. Con l’apposito stampo circolare disporre il risotto al cento dei piatti. Con l’aiuto di un cucchiaio creare una depressione sopra il risotto e versarvi la salsa di zafferano appena tiepida. Guarnire con dei fili di zafferano e spolverare, tutto attorno il risotto, con la polvere di liquirizia. Togliere lo stampo circolare e servire.

PIGHIN

Collio Pinot Grigio 2014 Alc. 13% - € 13 Bella veste paglierino intenso. Fioriture estive, pesca a pasta bianca, mela stark e polpa di agrumi. Perfetta amalgama con le sensazioni minerali lievemente iodate. Buon corpo e beva morbida che equilibra le freschezze e le mineralità che rendono succoso il sorso. Finale corrispondente e piacevolmente amarognolo. Solo acciaio.

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PESTÀT & CJANOR di Federico Magni

foto di Ulderica Da Pozzo


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In una vecchia casa, a Casali Lini, nella campagna fuori Fagagna, un CASALE CJANOR Via Casali Lini, 9 33034 Fagagna (UD) T 0432.801810 www.casalecjanor.com

ramo della famiglia Missana, dal 1400 in loco, conduce, con autentica passione per i lavori connessi all’agricoltura, l’azienda agricola agrituristica Casale Cjanor. Cjanor, che pare derivi dal friulano cjan, cane, è il nomignolo qui affibbiato ai Missana, antica stirpe di armaioli, da sempre. La casa è quella abitata dai nonni delle 4 sorelle Missana, dove già il papà Italo coltivava la sua passione di allevatore di animali. Quando fa caldo, all’aperto, in giardino, sotto la pergola; all’interno, altrimenti, avanti al fogolar o al caminetto d’inverno; tutti i fine settimana, a pranzo e a cena, si fa ristorazione agrituristica. D’estate, la domenica, sono servite colazioni all’inglese e all’italiana. Son proposti corsi di cucina e, nell’ambito di visite scolastiche, percorsi di fattoria didattica per ragazzi: “Gli animali della fattoria” e “Dalla terra alla tavola”. In alcuni periodi, si possono acquistare i petti stagionati e le cicciole delle oche dei Missana. Ma l’attività che impegna, con ottimi, riconosciuti, risultati, gli addetti al Casale, è la produzione di sughi, creme, sottovetro, confetture e di pestàt, tipico di Fagagna. Il pestàt, lardo fresco, amalgamato a crudo a verdure invernali -cipolla, sedano, carota, porro-, a spezie, a erbe aromatiche finemente tritate, e a sale, è insaccato nel budello naturale e stagionato da un minimo di un mese fino a un anno. Il periodo di produzione coincide, ovviamente, con quello di macellazione del maiale. Una volta, in assenza, nella zona, di olio e sale, era questo il miglior modo di conservare le verdure e il pestàt veniva utilizzato, alla bisogna, a mo’ di soffritto o come “insaporitore” di cibi. Ancora oggi è questa la sua principale funzione oltre che, ovviamente, esser consumato, una volta scaldato, su un crostino, o, ancora meglio, su una fetta di polenta abbrustolita. Casale Cjanor ne propone anche una versione con salsa al pomodoro che può diventare splendido condimento per la pasta. Le sorelle Missana, la più grande, Luigina, le gemelle Margherita e Emanuela, e, da ultimo, la minore, Carolina, con il fidanzato, ciascuno con dei compiti ben precisi all’interno dell’“azienda”, da più di venti anni hanno ripreso la tradizionale produzione del pestàt di Fagagna. Missana è uno dei due produttori, oggi unitisi in associazione con un disciplinare estremamente rigido, a poter produrre il pestàt riconosciuto dal Presidio Slow Food. Tutti gli ingredienti sono di casa, dai maiali, che, se non di proprietà, provengono da allevamenti vicini, per il lardo, alle verdure dell’orto, alle erbe aromatiche, alle spezie. Non solo pestàt, si diceva, ma anche altri prodotti fatti in casa. Dai più tradizionali, come la confettura di uva fragola, a quelli più particolari e “aromatici”, come il pesto di portulaca (infestante di cui si utilizzano le foglioline) e i peperoni sciroppati. Con il passare dagli anni, la produzione, dapprima utilizzata esclusivamente all’interno del ristorante e per la vendita diretta alla gente di Fagagna, si è piano piano allargata fino a comprendere, ora, negozi specializzati di épicerie fine in tutta Italia. La successione, qui lo sperano, è per il momento assicurata da Riccardo, anni 8, figlio di Manuela e dal piccolo Oliviero, di appena un anno e mezzo, figlio di Carolina.

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Jean-Etienne Matton 36


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L'ORO DI

CHÂTEAU MINUTY di Federico Magni • Foto di Umberto Pellizon

Sulla strada che da Port Grimaud, a due passi da Saint-Tropez, porta a Ramatuelle, splendido

villaggio “perché”, cioè “appollaiato” su un’altura, in comune di Gassin, Château Minuty lo trovate sulla destra, a circa metà strada, ben segnalato da una serie di pannelli che indicano dove svoltare. La cantina, splendida costruzione tra i vigneti, perfettamente integrata nella macchia mediterranea circostante, con ampie e luminose vetrate e uno splendido pergolato, non la si vede subito, leggermente nascosta com’è da una curva quasi a gomito prima del lungo viale d’accesso all’azienda, pure fiancheggiato da vigne. Tutt’intorno, vigne, appunto, rigorosamente a alberello che, in questo periodo, riprendono vita aiutate dal clima favorevole della zona con le brezze marine a spazzare l’aria e le colline di Gassin e di Ramatuelle a fare da riparo naturale. Lo Château è circondato da un unico appezzamento di 45 ettari, esposto a sud-est, adagiato sulle lievi pendenze di Gassin e di Ramatuelle, dal terreno prevalentemente scistoso. Altri due appezzamenti, rispettivamente di 20 ettari su suoli ricchi di calcare e di altri 15 ettari, interamente nel comune di Ramatuelle, completano la proprietà. I terreni vengono arricchiti con materiali organici di origine animale, capra e montone soprattutto. I suoli sono lavorati periodicamente per permetterne una miglior areazione. Pesticidi e diserbanti sono banditi. La raccolta dell’uva è fatta rigorosamente a mano, caso raro nell’appellazione. Il grenache, da cui, da sempre, in Provenza si ricava il rosé, è il vitigno maggiormente presente. Non manca, impiegato per i rosati, il tibouren o rossese di dolceacqua. Per i bianchi si utilizza il vermentino -rolle-, mentre nei rossi syrah e mourvèdre la fanno da padrone. La creazione di Château Minuty viene fatta risalire all’epoca di Napoleone III, anche se lo Château come lo conosciamo oggi è frutto dell’opera di razionalizzazione iniziata dalla famiglia Matton negli anni trenta, che porterà, nel 1955, all’inserimento di Château Minuty tra le 23 proprietà classificate Cru Classée des Côtes de Provence. L’attuale gestione, assicurata dai fratelli Jean-Etienne e François Matton, terza generazione, è caratterizzata dalla ricerca della maggiore qualità possibile attraverso l’utilizzo dei vitigni più adatti alla tipologia dei terreni di proprietà e la diminuzione delle rese per ettaro. Alla maggiore attenzione in vigna, è affiancata una vera e propria rivoluzione nelle strutture che costituiscono la cantina che ha portato alla creazione nel 2009 dell’attuale costruzione, all’avanguardia per tecnologia e per rispetto dell’ambiente circostante. L’affinamento dei rosé si fa in acciaio, con grande attenzione all’estrazione della componente aromatica fruttata, mentre i rossi sostano in barrique per circa un anno. I vini di Château Minuty su cui si concentrerà la degustazione sono tre, tutti inseriti nella AOP Côtes de Provence. Il Rosé et Or, da grenache, per il 90%, e tibouren, il Rouge et Or, da mourvèdre, per il 90%, e grenache, e il 281, selezione clonale di grenache provenienti da vigne di almeno 30 anni e maggiormente esposte alle brezze marine, per il 90%, e da syrah e cinsault per il restante 10%. Costituiscono l’alto di gamma della produzione e si inseriscono di diritto tra le più grandi espressioni della AOP Côtes de Provence. Accanto ai 75 ettari che costituiscono la proprietà di Château Minuty, la famiglia Matton svolge un’importante attività di “negoce”, per un totale di circa 5 milioni di bottiglie, “marchiate” SA Minuty, attraverso l’acquisto di uve per la produzione soprattutto di vino rosé di pronta beva, perfetto per le assolate giornate estive della Costa Azzurra, ma anche di sempre maggior successo nei mercati esteri, soprattutto statunitense. Un’ultima annotazione. Lo Château è visitabile durante tutto l’anno. Per trovarlo, oltre le indicazioni già fornite, inserire nel navigatore l’indirizzo 2491, Route de la Berle, 83580 Gassin.

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ROSE ET OR 2015 Uve: grenache 90%, tibouren 10% - Alc. 12,5% - € 22 Rosa tenue dai riflessi cristallini che non deve trarre in inganno. I profumi sono infatti decisi e ben delineati. Sa di fragoline di bosco e fiori di magnolia cui lentamente si affiancano sapori agrumati di polpa di pompelmo e sfalci primaverili. Da ultimo folate intensamente sapide. Affascinante l’assaggio che, inizialmente rinfrescante, spiazza per profondità e lunghezza. Nota caratteristica, la sapidità che netta il palato e invoglia al secondo sorso. Scampi crudi.

ROSE ET OR 2014 Uve: grenache 90%, tibouren 10% - Alc. 12,5% - € 25 Il colore rimane molto simile a quello del 2014; solo, il rosa è leggermente più marcato. Rispetto all’anno successivo iniziano a percepirsi la polpa di pesca bianca e il mandarino e delle sottilissime note lattiche. Rimangono in tutta evidenza i sapori floreali e la sapidità marina e si percepisce nettamente il rosmarino fresco. Ingresso verticale, piacevole, che non scivola via, ma anzi persiste a lungo su sensazioni floreali e fruttate. Bouillabaisse.

ROSE ET OR 2013 Uve: grenache 90%, tibouren 10% - Alc. 12,5% - € 28 Due anni e più di vita, per un rosé provenzale, possono essere troppi. Il Rosé et Or 2013, ma lo si era già intuito assaggiando il 2015 e il 2014, è ancora nel pieno della fase evolutiva. Mazzetti freschi di salvia, rosmarino, citronella e poi macedonia di mela e pesca bianca, yogurt agli agrumi e, immancabile, la sapidità che è qui ancora più accentuata. Caratterizzato da un allungo quasi elettrico, è insieme fresco e avvolgente intriso com’è di sensazioni aromatiche. Grand aïoli.

281 2014 Uve: grenache 90%, syrah 5%, cinsault 5% - Alc. 12,5% - € 45 Prima annata prodotta e fino a ora l’unica in commercio. Il rosa è cerasuolo. I sapori sono pieni e intensi, alla “cieca” lo si direbbe rosso, tali, tante e immediate, sono le sensazioni di macchia mediterranea e di piccoli frutti rossi, ribes in primis. A ricondurci sulla retta via concorrono la polpa di pera williams, la mela golden e la buccia leggermente dolce del mandarino. La pienezza e la complessità del gusto è di nuovo spiazzante. Profondo, ricco, al contempo minerale. Dotato di una materia che avrà bisogno di tempo per amalgamarsi al meglio. Risotto alle capesante.


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ROUGE ET OR 2013 Uve: mourvèdre 90%, grenache 10% - Alc. 13,5% - € 22 Si presenta di un rosso intenso, quasi cupo. Da subito è la spezia a farla da padrone con un’intensa nota di cumino, subito seguita da pepe nero. Pian piano si fanno strada nitide sensazioni floreali di violetta e piccoli frutti rossi, mirtillo in primis. Sapori di grafite donano potenza ed eleganza. Il tannino è ancora in fase di assestamento ma già se ne riconosce la stoffa. Il finale ha lunghezza e persistenza non comuni. Magret d’anatra con riduzione di fichi.

ROUGE ET OR 2012 Uve: mourvèdre 90%, grenache 10% - Alc. 13,5% - € 25 Un anno di bottiglia in più non può che giovare a un vino fatto per il 90% di mourvèdre. L’olfatto è inebriato da sfumatore di sottobosco, macchia mediterranea e ribes nero. Velature balsamiche donano eleganza e profondità mentre il sale aiuta ad armonizzare il tutto. Pieno, avvolgente, con una sapidità che sorprende solo chi non è avvezzo al vitigno. La chiusura è lenta, tutta giocata su garrigue e frutta scura. Guancette di agnello profumate all’aglio.

ROUGE ET OR 2011 Uve: mourvèdre 90%, grenache 10% - Alc. 13,5% - € 28 Potente, vigoroso, intenso. Lo si capisce subito versandolo nel bicchiere. I riflessi violacei che solcano il rosso scuro danno ulteriore conferma. Timo e lavanda essiccati aprono il ventaglio di profumi. Torna poi il cumino così ben percepito nel 2013, qui seguito da cioccolato fondente e sensazioni resinose. Ingresso ampio e verticale insieme, con tannino ormai perfettamente svolto e un equilibrio di rara eleganza. Crostino di quaglia.

ROUGE ET OR 2010 Uve: mourvèdre 90%, grenache 10% - Alc. 13,5% - € 35 Sensazioni aromatiche di chiodi di garofano, pepe nero in grani, mirto e rosmarino perfettamente fuse a note sia iodate che balsamiche. A chiudere, una leggera presenza di chicchi di caffè in torrefazione, di frutta sottospirito e di bastoncino di liquirizia. In bocca è velluto, avvolgente e intenso, generoso senza esagerare, vibrante per piacevolezza di beva e per corrispondenza di spezie e caffè. Piccolo cinghiale cotto in peka con verdure.

ROUGE ET OR 2009 Uve: mourvèdre 90%, grenache 10% - Alc. 13,5% - € 40 Manto quasi purpureo cui corrispondono profumi di confettura di prugna, pepe verde, grafite, foglie di tabacco e di tè nero. Poi cioccolato al liquore e un balsamico che è quasi resina. La macchia mediterranea si fa fitta e scura ed è cosparsa di sale. Il tannino, ormai maturo, è fitto ed elegante. Solo gli anni diranno quale sarà il suo reale potenziale di invecchiamento che pare, al momento, solo lontanamente ipotizzabile. Capretto allo spiedo ripieno di erbe aromatiche. 39


MANGIAVINO

MINUTY 2491, Route de la Berle 83580 GASSIN T +33494561209 www.minuty.com 40


I may not be perfect

But it scares me how close to it I am

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MANGIAVINO

B iscot to P ordenone

®

di Giorgio Del Tedesco

foto di Elisa Caldana

F

acciamo un salto indietro nel tempo, torniamo nel 1994, nella Pordenone di ventidue anni fa. Nel caldo di quell’estate si parlava del rigore di Baggio durante gli sfortunati mondiali USA, al cinema irrompeva Quentin Tarantino con il suo “Pulp Fiction”, uno sconosciuto Andrea Bocelli vinceva le “Nuove Proposte” a Sanremo, un espresso al bar costava 1200 lire, 1500 un quotidiano, per un gelato, uno buono, un cono con due palline, ce ne volevano 2400. Se per gustare quel gelato, avessimo scelto la “Montereale”, dietro al bancone oltre a trovarci le stesse persone che ci troviamo oggi, ci avremmo trovato anche i primi abbozzi di quello che qualche anno dopo sarebbe diventato il BiscottoPordenone®. Ne ho parlato con Gianmaria, che oggi gestisce assieme alla famiglia quella che è una realtà, come ama dire lui stesso, particolare, del territorio; particolare perché piccola era e piccola è rimasta, una microazienda di nicchia, moderna per il suo voler essere all’avanguardia, ma ancora scandita dai ritmi di quell’artigianalità, cercata e voluta, che diventa un modo di offrire qualità. La prima confezione del BiscottoPordenone®, con il marchio registrato, dopo un processo di scelta lungo alcuni anni, piacevolmente feroci come mi dice, fervidi di attività e lavoro, di prove ed esperimenti, va in vetrina nel 1998.Ci vogliono pochi anni perché la scelta si riveli giusta; infatti rapidamente conquista uno spazio fra i prodotti regionali di punta e questa ascesa viene suggellata nel 2004, con l’attribuzione del marchio “Prodotto friulano tipico” con decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali. Pordenone in etichetta, per identificare per la città qualcosa di collegabile, unico ma versatile, trasportabile nel senso di prodotto che può viaggiare, da consumare dal mattino alla sera. Pordenone perché nasce dalla ricerca degli ingredienti presenti nel passato della città e che storicamente passavano per il porto romano e per le vie del commercio, simboli anch’essi, presenti nello stemma del comune, la trifora, aperta, con il fiume che scorre. Il porto iniziò a cadere progressivamente in disuso a metà del 1800, con l’arrivo della ferrovia che mutò la città. Nacquero le prime fabbriche attorno agli scali ferroviari, la velocità delle merci portò anche a un mutamento dei ritmi della vita. Capire il prodotto è capire quel periodo, riappropriarsi di una tradizione, forse sarà per gli studi in filosofia, ma Gianmaria davvero vuole trasmettere una parte del suo pensare, attraverso il cibo. Per questo le materie prime erano e sono rimaste del territorio, farina di frumento e di mais, uova, burro, mandorle che una volta erano piantumate nella pedemontana, latte, il sale stiriano che arrivava dall’ultimo lembo della strada antica del sale, un po’ di grappa per dare fragranza. Chiaramente oggi non vengono più scaricate sulle banchine del porto sul fiume, arrivano da appena poco più lontano: le farine dal molino di Pordenone, il latte e il burro dalla Latteria di Soligo, uova da allevamenti locali, zucchero italiano, mandorle italiane, ovunque filiere corte e controllate. La produzione stessa rimane manuale, biscotti formati, stampati, uno ad uno, manualmente, nel laboratorio che si trova al piano sopra la pasticceria, sfornati in piccole quantità, quasi ogni giorno, confezionati in modo da offrirli sempre fragranti, senza accumulare eccedenze di magazzino. Al gusto il BiscottoPordenone® colpisce per i suoi contrasti, la dolcezza, mai invadente, e la sapidità che si percepisce con lo schiudersi dei cristallini di sale in superficie, sensazioni che lo rendono plasmabile a mille abbinamenti, una possibilità di sperimentare anche per i produttori stessi, dal miele e dal montasio stravecchio, alle marmellate della colazione, ai salumi di Sauris e di Cormons, al gelato e ai sorbetti con la frutta di stagione, combinazioni sempre nuove e stimolanti che giungono ad abbinamenti quasi arditi con la trota fil di fumo e con l’accoppiata formaggio e tabacco di sigaro toscano, il tutto magari accompagnato da un bello spumante metodo classico o da L’Amaro BiscottoPordenone®, ottenuto dalla macerazione alcolica del biscotto stesso con l’aggiunta di grappa, erbe aromatiche e arancio amaro. Come le merci di quel porto che ha fatto da nucleo aggregante della città, oggi il BiscottoPordenone® va altrettanto distante, viaggia e viene consumato ben oltre i confini della provincia, portando con sè un pezzo della nostra tradizione. La giornata e la chiacchierata vanno verso la loro conclusione, i lampioni fuori già sono accesi da un pezzo, gli ultimi clienti della “Montereale” sono appena usciti, il locale sta per chiudere, faccio però in tempo a leggere qualche riga de “Il talento di Andrea”, scritta sul biglietto che accompagna il biscotto, che recita così: “Esistono milioni di modi in cui è possibile combinare quegli ingredienti, pochi permettono di cucinare qualcosa di commestibile e uno solo è il modo giusto. La nostra è una caccia al tesoro: siamo alla ricerca della ricetta perduta...”

GELATERIA PASTICCERIA MONTEREALE Via Montereale, 23 33170 Pordenone T 0434.365107 www.biscottopordenone.it 43


MANGIAVINO

IL COLLIO DI ZEGLA

di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano foto di Fabrice Gallina con la collaborazione di

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MANGIAVINO L

a limpida giornata primaverile evidenzia l’unicità dello skyline. Decido così di abbandonare la statale e di percorrere le piccole strade interne che introducono, a successioni rapide, boschi e vigneti. Inconfondibile Collio! Ogni volta mi sorprende! Una prospettiva, un colore, o un piccolo dettaglio, regala nuove emozioni. Lonely Planet, nell’eleggere le colline vitate del Friuli Venezia Giulia tra le quattro mete turistiche più importanti al mondo per l’anno 2016, ha visto proprio giusto! Ecco l’ultimo piccolo dosso, la breve discesa di Zegla e poi, subito a destra, la ripida salita che conduce da Edi e Kristian Keber. Il complesso delle caratteristiche case che ospita l’azienda offre anche un delizioso agriturismo immerso nel verde dei vigneti e curato da Silvana, moglie di Edi, e dalla figlia Veronika. Qui la vista spazia lontano. Dietro c’è Cormòns, a lato Capriva e San Floriano, in Italia. Davanti c’è il Brda con Medana, Kosana, Castel Dobra e Vedrignano, in Slovenia. Una mano incapace e insensibile ha tracciato un confine e diviso case, stalle, orti, campi e vigneti separando così quello che la natura da secoli aveva reso comune. “La mia famiglia – racconta Edi – è sempre stata fermamente ancorata al territorio, siamo qui dal 1700. Quello che è cambiato sono le bandiere per volontà del destino e degli uomini. Mio nonno è nato sotto l’Austria, mio padre è nato a Medana che allora era in Italia ma oggi è in Slovenia. Io sono nato a Cormons, in Italia, così i miei figli che sono cittadini europei!”. Edi ha sempre creduto nella potenzialità del Collio tanto da essere costantemente in prima linea quale promotore di iniziative a favore dello stesso. Ha puntato tutto su un’unica produzione: il Collio bianco che lui chiama semplicemente Collio. “Un progetto - ci dice con grande convinzione – che guarda fortemente al territorio e alla tradizione. Quest’ultima era stata quasi dimenticata forse perché il mercato imponeva altre scelte al produttore. Molti all’inizio ci hanno dato dei pazzi poiché andavamo controcorrente nel realizzare un unico vino fatto con le uve bianche tradizionali ma fin da subito si è manifestata una scelta vincente. Da qui è nata anche l’idea di una veste nuova per una bottiglia e, a partire dal 2009, io e molti altri colleghi produttori abbiamo presentato il vino realizzato in Collio con quella novità”. Edi, da qualche anno, è coadiuvato in azienda dal figlio Kristian che si è aggregato, nel frattempo, a noi e ci fa da cicerone nella visita alla storica cantina scavata nella ponka. Qui riposano le bottiglie storiche dei Keber. Ci avviamo nella sala di degustazione ricavata in un lato dell’abitazione e in cui troneggia un grande camino. Le bottiglie sono lì, tante, sul lungo tavolo di legno scuro al centro della sala, messe in ordine d’annata. Tra di esse notiamo subito alcune renane che mostrano l’etichetta piuttosto vissuta. “Sono state prodotte da mio nonno Pepi - dice Kristian mentre inizia il rito della stappatura - e sono le ultime rimaste ma ci sembrava l’occasione ideale per avere una panoramica storica del Collio e dei Keber”. Edi è un libro aperto: climi, annate, passione e amore per le vigne e per il territorio. Racconta di come il nonno e il papà gli hanno trasmesso i valori del mestiere e che lui, pur ancora in forze, ha lasciato spazio a Kristian affinché possa seguire la sua strada di vignaiolo. Il tempo scorre, sfugge di mano ed è segnato dagli assaggi e, per ogni vino c’è un racconto, un aneddoto, un legame stretto con il territorio. Raramente capita di scendere in una degustazione di vini bianchi italiani agli anni ’60! Quello che tutti notiamo, durante la degustazione, è che, man mano che gli anni di affinamento salgono, si fanno meno incisive nei vini le caratteristiche sensoriali dei vitigni e sale prorompente ed elegante il territorio! Sorprendente, inconfondibile Collio!

Denominazione: DOC COLLIO BIANCO Zona di produzione: terreni collinari siti nel Comune di Cormòns di marne e arenarie (Flysh di Cormons)

ubicati nelle colline di Zegla su terrazzamenti a 100 m s.l.m. esposti a sud - sud/ovest. Viticoltura biologica certificata.

Vigneti: 30 anni medi d’età. Allevamento a guyot e cappuccina, sesto d’impianto di 5000 piante/h. Resa: 50 q.li per ettaro. Uve: tocai friulano 70%, malvasia istriana 15%, ribolla gialla 15% (percentuali variano a seconda dell’annata). Epoca raccolta delle uve: settembre. Selezione dei grappoli e vendemmia manuale. Vinificazione: pressatura a uva intera, decantazione statica a freddo, fermentazione e maturazione nelle tradizionali vasche in cemento ove rimane per 7 mesi sui lieviti. Breve affinamento in bottiglia. Bottiglie prodotte: 50.000 /anno circa, da litri 0,75. Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 17. Prima annata prodotta: vino storico.

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COLLIO BIANCO

2012

COLLIO BIANCO

2010

Alc. 13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata calda. Paglierino intenso con riflessi verdi. Eccellente panorama olfattivo. Richiama: pera kaiser, tarassaco, fienagioni primaverili ed erbe spontanee. Tutto splendidamente inserito in una coltre minerale che evoca la ponca umida. Al palato sfodera una salinità grintosa e di grande carattere. Struttura salda e buona spinta fresca accompagnano il lungo finale rimarcato da inebrianti profumi silvestri e marini. Filetto di trota affumicata su vellutata di cannellini.

Alc. 13,5% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata fresca. Paglierino marcato da bagliori verdolini. Si apre su note di scorze d’agrumi, mandorla, erbe mediterranee essiccate e delicati richiami di biscotto al malto. Elegante deviazione balsamica, affiancata da una lieve sensazione d’idrocarburi. Vibrante, svela presto uno scheletro minerale di grande solidità. Nessuna accomodante morbidezza, ma grande equilibrio e proporzione che sfociano in una lunga persistenza ricca di sfumature marine. Ombrina, zenzero e finocchietto selvatico.

COLLIO BIANCO

COLLIO BIANCO

2003

Alc. 13% - Punteggio 91/100 Andamento climatico: annata molto calda. Sfavillante veste dorata. Quadro olfattivo che lascia percepire il millesimo eccezionalmente caldo. Esuberanti riconoscimenti di marzapane, crema al caffè, mele e pere cotte al forno, fiori secchi, resina e nocciole in cui trova spazio anche una pungente mineralità fumosa. In bocca mostra un’espansione calda e decisa. Ottimo bilanciamento affidato alla lunga azione sapida. Un lungo finale rimarcato da sensazioni affumicate mostra il lato muscolare del Collio. Gallo in tecia.

COLLIO BIANCO

2002

Alc. 13 % - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata abbondantemente piovosa. Trama oro verde. Attraente silhouette marina incentrata su profumi di: cappero in salamoia, alghe, salicornia, scorza di cedro e camomilla. Incessanti richiami di resine ed erbe aromatiche proiettano i sensi tra la sempreverde macchia mediterranea. Non c’è niente che disturbi la grintosa beva, con mineralità ed essenze balsamiche protagoniste di una dinamica gustativa vitale e persistente. Spaghettoni, colatura d’alici, pistacchi e limone.

2006

Alc. 14% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata molto calda. Lampi dorati impreziosiscono un cuore paglierino carico. Attraente profilo autunnale di nocciola, pera decana, fieno, fiori di tiglio essiccati e resina. Leggera speziatura di pepe bianco affiancata da sensazioni di roccia calda. Libera una materia ricca e densa che si allarga in modo tentacolare su tutto il palato. Rimane sempre in tensione grazie alla vigorosa dotazione sapida. Epilogo lunghissimo grazie alla gentile azione rallentante delle ruvidità gustative. Coq au vin.

COLLIO BIANCO

2005

Alc. 13% - Punteggio 95/100 Andamento climatico: annata fresca e piovosa. Delicata tonalità dorata. Comparto aromatico fitto e serrato. Tappeto balsamico di eucalipto. Resina ed erbe officinali fanno da sfondo a una complessa trama di pompelmo e lime essiccati. Grande l’impronta territoriale dettata da una ricca sensazione torbata. Carattere e integrità dominano l’assaggio. Splendida, esaltante sinergia tra polpa e acidità. Perfettamente corrispondente il finale che pone il sigillo a un’esperienza gustativa unica. Zuppa di grongo e patate.


MANGIAVINO

COLLIO BIANCO

1999

Alc. 13,5% - Punteggio 96/100 Andamento climatico: annata piuttosto calda. Intensi riverberi verde smeraldo colorano l’oro zecchino. La scena olfattiva è abbellita dall’eleganza. Rifiniture floreali di lantana e camomilla essiccata, lime e bergamotto disidratato, fienagioni d’alpeggio, sale affumicato bretone e intensi rimandi balsamici di mentolo ed eucalipto. Inizio gustativo incentrato sul frutto, poi vira su temi salini e minerali. Struttura solida e persistenza incontenibile lo elevano tra i migliori Collio Bianco di sempre. Boreto alla gradese.

COLLIO TOCAI FRIULANO

1997

COLLIO TOCAI FRIULANO

1996

COLLIO TOCAI FRIULANO

1976

Alc. 13% - Punteggio 98/100 Andamento climatico: annata perfetta in tutte le sue fasi. Tinta verde topazio in una cornice dorata. Impatto aromatico che lascia stupefatti per finezza e ricchezza dei profumi. Spazia dal lime disidratato all’eucalipto, tabacco biondo e tè alla menta, gelatina di frutta e polvere pirica. Sensazioni torbate conducono l’olfatto in un’altra dimensione per l’incontro tra roccia e mare. L’assaggio sintetizza il rapporto vitigno/ territorio. Sferzate acide tengono in tensione la materia ricca e lungamente sapida. Finale dai classici ricordi di mandorla tostata. Semplicemente fantastico. Anatra stufata con le verze.

Alc. 13% - Punteggio: 94/100 Andamento climatico: annata fredda e piovosa. Trama cromatica verde oro. Abbrivio d’erbe aromatiche. Sfilano in ordine: maggiorana, mirto e timo serpillo. Seguono sensazioni di sidro di pere e pino mugo su energiche note saline e quasi iodate. L’eleganza è il suo biglietto da visita. Sussurra per tutta la durata del sorso storie di agrumi disidratati, note mediterranee e sali aromatici. La freschezza scandisce il ritmo affiancata da struttura sottile ma solida. Epilogo lento, con netti richiami olfattivi. Baccalà al pil pil.

COLLIO TOCAI FRIULANO

1988

Alc. 12,5% - Punteggio: 97/100 Andamento climatico: annata tendenzialmente calda. Oro antico luminosissimo. Naso straordinario con intensi richiami di zafferano. Incantevoli cenni di cardamomo, pera poché, mela cotogna e salsedine. Seguono rapidamente sbuffi di polvere di caffè, incenso. Cioccolato bianco sullo sfondo. A dispetto dell’età del vino, il sorso mostra una vitalitàsenza pari. Integrità della struttura e qualità acida fenomenali offrono elegante persistenza. Sfuma lentamente in uno strepitoso riflesso minerale. Zuppa di friulano, gnocchi e ricci di mare.

Alc. 12,5% - Punteggio: 91/100 Andamento climatico: annata fresca e piovosa. Ambra luminoso. Dinamica olfattiva scura e seriosa, rovescia nelle narici profumi di pan grillè, noci, legna arsa e tè nero Lapsang Souchong. Una deriva tostata accompagnata da profumi di sottobosco nel finale. L’assaggio si regge sulla vigorosa impronta salina che domina il palato. Sprinta sul finale grazie a un residuo supporto acido, ultimo baluardo della sua strepitosa longevità. Animelle di vitello alla gentilhomme.

1975

COLLIO TOCAI FRIULANO Alc. 12,5% - Punteggio: 93/100 Andamento climatico: annata calda. Il calice si colora di calde sfumature ambrate. Carattere olfattivo che richiama la buccia. Dopo 40 anni attrae le narici con effluvi di mela cotta, burro nocciola, polvere di caffè, fiori secchi, sottobosco, torba e polvere pirica. Al gusto tutto si è trasformato in essenza coadiuvata da acidità ancora viva e pulsante. Struttura che non mostra scricchiolii ma una insospettabile trama ruvida. Sensazioni che trasmettono al vino un’impronta gustativa d’altri tempi. Filetto di maiale cotto nel fieno.

1960

PINOT BIANCO Alc. 12,5% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata tra le più piovose di sempre. Sorprendente colore oro rosso. Imprevedibili sentori odorosi di caramello bruciato, pepe melagueta, zucchero filato, legno di sandalo, incenso, nocciole. Una impressionante incisività minerale richiama torba e pietra pomice. Vigoroso al gusto. Sorprende per la freschezza a tutto dispetto dell’età. L’infiltrante sapidità conferisce una beva statuaria e solenne. Proietta non solo i sensi ma anche i pensieri a una viticoltura artigiana e rurale, che ci sussurra la lunga storia enologica di questo territorio. In compagnia di preziose amicizie. 47


MANGIAVINO EDI KEBER Località Zegla, 17 34017 Cormòns (GO) T. 0481 61184 www.edikeber.it

EDI e KRISTIAN KEBER 48


È

Il nostro ha voluto essere un ringraziamento alla Vita! Al rispetto della natura che è la prima fonte della vita stessa. Alla vita degli uomini che si dedicano alla crescita delle piccole piante come figlie della terra. A quegli uomini che ne curano il frutto e lo seguono nel suo percorso di trasformazione con amore, passione e pazienza attendendo i suoi tempi e adattandosi ai suoi cambiamenti. A quegli uomini che attendono con pazienza Maisha per rendere omaggio ad Annalisa, colei che è stata la fonte di ispirazione ed ha dato la spinta coraggiosa per intraprendere un altro viaggio di scoperta e di avventura. Il primo brindisi – rivolto alle stelle sarà per Annalisa. Ed ecco che un'altra magia si compie a Villa Russiz.

già disponibile la nuova etichetta della Fondazione Villa Russiz, un prodotto vinicolo vicino alle attenzioni delle nuove generazioni: un vino biologico, il Friulano! Biologico perché realizzato solo con concimi organici del terreno e ridotte quantità di rame e zolfo. Biologico laddove gli insetti utili sono in equilibrio con quelli non utili, rigenerando così la spontanea sfida della natura. La zona ora individuata per la coltivazione di uve biologiche si trova in un territorio privilegiato: la cura e l'attenzione dedicata con costanza negli anni regala oggi un vigneto ad equilibrio solido e tale da portare la maturazione delle uve ad un livello qualitativamente inimitabile. In questo vigneto crescono acini che offrono profumi ed aromi di particolare potenzialità in eccellenza. Ed il prezioso dono riceverà cure e attenzioni particolari, quelle che attende il percorso Biologico: la vendemmia esclusiva sarà effettuata la mattina presto, per preservare la filiera Biologica dal grappolo alla bottiglia, con l'accurato utilizzo di apparecchiature dedicate ed “incontaminate”. Ed ancora, il gesto di pressatura dei grappoli interi sarà molto soffice in un ambiente ad atmosfera controllata in modo tale da preservare il massimo potenziale delle uve. Al mosto ottenuto sarà concessa una notte di naturale decantazione e solo il mattino successivo un leggero innalzamento della temperatura accompagnerà l’avvio della fermentazione spontanea ad opera dei lieviti indigeni. Per i mesi seguenti, almeno nove, le attenzioni sono costanti ed attentamente seguite dagli uomini di Villa Russiz che vigileranno sulla maturazione del vino fino al giorno dell’imbottigliamento, giorno in cui il vino verra’ filtrato per la prima ed unica volta. Il nome di questa etichetta è “Maisha”, “Vita” in lingua Swahili. Lo Swahili è una lingua Bantu, diffusa in gran parte dell’Africa; lingua nazionale in alcuni dei suoi paesi ed una delle lingue ufficiali dell’Unione Africana stessa. L’Africa, terra di natura ancora incontaminata, dove le parole sembrano avere un significato assoluto, puro, semplice e chiaro. Vita! Una parola così facile da pronunciare ed allo stesso tempo così difficile da descrivere. Comprende l’universo intero!


Sbilf

Guriut

Friulano

Chardonnay

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Siamo presenti al 2016

Pa d i g l i o n e 6 stand C8

Gjan Merlot

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Strada S. Anna n°66 | Spessa di Cividale (UD) | T. 0432 719510


MANGIAVINO

La Ricetta di

MangiaVino

RISOT TO BURRO E SALVIA Chef: Antonia Klugmann

300 gr di riso carnaroli, 40 gr di polvere (amido) di riso, 100 gr di burro, 300 gr di salvia, ½ bicchiere di vino bianco, olio evo, sale q.b., parmigiano grattugiato q.b.

Fare bollire 1 l d’acqua e al bollore aggiungere 1/3 della salvia lavata. Togliere dal fuoco e coprire. Lasciare in infusione fino al raffreddamento. Filtrare. Seccare 1/3 della salvia nell’essiccatore e polverizzare. Lasciare in infusione la restante salvia nel burro sottovuoto a 63° per circa 8 ore. Filtrare, raffreddare. Tostare il riso con poco olio evo e sale, bagnare prima con il vino e poi con il brodo di salvia. Aggiungere l’amido di riso. Dopo 11 minuti, quando il brodo sarà quasi completamente evaporato, mantecare con il burro e il parmigiano. Terminare con la polvere di salvia.

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i vini in abbinamento. La scelta di Romano LIVIO FELLUGA Friuli Colli Orientali Pinot Grigio 2014 Alc. 13% - € 16 Giallo paglierino intenso. Erbe aromatiche e frutta secca segnano l’ingresso olfattivo. Poi sentori agrumati di scorza di cedro e pompelmo. Succo di mela e pesca a pasta bianca matura. Rintocchi salini. Buon corpo. L’equilibrio è raggiunto da un’ottima combinazione di morbidezze gliceriche e sapide durezze che accompagnano l’uscita. Acciaio.

COLLE DUGA Collio Bianco 2014 Uve: chardonnay, malvasia istriana, sauvignon, tocai friulano Alc. 13% - € 17 Giallo paglierino lucente. Naso complesso e fine. Fioriture primaverili di gelsomino e acacia. Sentori agrumati di pompelmo e cedro candito. Ananas, mela stark e mandorla fresca. Erbe officinali e soffi marini. Inizialmente fresco, si allarga su temi morbidi e succosi. Finale lento con corrispondenze olfattive. Piccoli legni.

COLMELLO DI GROTTA Collio Friulano 2014 Alc. 12,5% - € 12 Giallo paglierino luminoso. Profumi che richiamano nettamente il sottobosco, lo sfalcio d’erba, piacevoli sentori agrumati e minerali terrosi. Buona la componente sapido-fresca che lentamente porta la beva all’equilibrio. Finale di media lunghezza con ritorni alle note leggermente muschiate e sapide. Vinificato nell’acciaio.

RADO KOCJANĆIČ Carso Malvasia 2013 Alc. 12,5% - € 10 Veste paglierina. Ventaglio olfattivo complesso che evidenzia il territorio. Decisa mineralità iniziale che si fonde con frutta matura candita, fienagioni estive ed erbe aromatiche di stampo mediterraneo. Beva morbida che bilancia le belle note fresche e sapide che conducono alla chiusura piuttosto lunga e dai richiami fruttati. Acciaio per 18 mesi.

BLAZIC Collio Sauvignon 2014 Alc. 12,5% - € 16 Giallo paglierino intenso. Sensazioni varietali di kiwi, cedro candito, verbena, fioriture primaverili e frutta a pasta bianca. Note dolci si alternano a sentori balsamici resinosi e di pino mugo. Avvolgente all’inizio, poi si apre a intensa mineralità gessosa e a gusti salmastri che rendono la beva molto gradevole e ricca. Chiusura lunga. Nel cemento per 7 mesi.

L’ARGINE A VENCÒ Località Vencò, 15 34070 Dolegna del Collio (GO) T 0481.1999882 www.largineavenco.it


(Re)imagining Wine

www.levignedizamo.com


(RE)IMAGINING CREATI VIT Y


MANGIAVINO

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MANGIAVINO

di Daniele Cernilli • foto di Dario Di Gallo www.doctorwine.it

È

dalla fine del 2007 che il Tocai Friulano non si può più chiamare così. L’uva sì, almeno quella, ma il vino non più, perché i produttori di Tokaji ungherese, vino diverso e del tutto distinguibile, hanno però vinto la loro causa contro di noi. Nelle denominazioni europee viene difesa l’origine, non l’uva, e mentre Tokaj è un luogo, il Tocai Friulano è solo una tipologia di uva. Perciò hanno vinto loro. Nessuno però potrà impedirmi di continuare a chiamarlo così e credo che la stessa cosa accada a molti produttori e a molti appassionati. Non ce la facciamo proprio a chiamarlo solo Friulano. Certo, in etichetta, persino negli articoli che si scrivono è necessario denominarlo come Friulano, ma in cuor nostro le cose stanno in modo diverso, il Tocai resta Tocai. Era molto evidente l’altro giorno all’enoteca Il Goccetto di Roma. “E’ arrivato il Tocai di Schiopetto del 2014” ha detto a me e ad altri clienti Sergio Ceccarelli, proprietario del locale. Tocai, non Friulano. Così come Tocai rimane quello di Edi Keber, che è vero, lo chiama Collio Bianco perché ci mette il 5 o il 10% di qualcosa di altro. Ma il colore, il profumo e il sapore restano quelli di un grande Tocai, non scherziamo. E Tocai restano quelli di Toròs, di Raccaro, di Colle Duga e di Sandro Princic, ottenuti da vigneti che vanno da Brazzano a Pradis, e che hanno caratteristiche, declinazioni differenti, come un Barolo della Bussia e uno della Vigna Rionda, o come uno Chambertin e un Richebourg. Perché i grandi vini, e solo loro, sono capaci di sfaccettature, di differenze, magari minuscole, ma che li rendono riconoscibili e inconfondibili. Come loro il Tocai “sente” il territorio. Può essere diverso. Possente, quasi amarognolo tra Zegla e Plessiva, più dolce a Brazzano, più elegante a Pradis e soprattutto a Capriva, quasi sottile a Dolegna, per restare nel Collio. E nei Colli Orientali è quasi la stessa cosa, corposo a Manzano e a Buttrio, quasi “sauvignoneggiante” a Cividale. In un caleidoscopio di sensazioni, di profumi, che vanno dalla pesca alla mandorla, fino a note quasi agrumate, di cedro, nelle zone più fresche. E tutto in una ventina di chilometri, tra le aree quasi pedemontane e quelle che vanno a sfiorare il mare Adriatico. Nulla a che vedere con le vigne di Furmint (un nome che somiglia a Formentini, non trovate?) che si trovano nel nord est della vasta pianura appena ondulata dell’Ungheria nord-orientale. Ma non è bastato per difenderne il nome. Non è bastato che fosse prodotto da un secolo almeno, che fosse diverso, che fosse assolutamente friulano. Un’assonanza, una remota possibilità di confusione, forse una difesa un po’ blanda, hanno contribuito a fargli perdere il nome. Oggi, e da ormai otto anni, è Friulano, non più Tocai Friulano. Evoca lo stesso territorio e tradizioni. Ma per me, e per chi lo ama veramente, la tentazione di chiamarlo ancora Tocai c’è tutta, e non sarà facile rinunciarvi. Poi lo diremo solo tra di noi, quasi a mantenere un segreto di tradizione orale, non scritta, non legale, non approvata da questo o da quell’organismo di controllo dell’Unione Europea. Ma con l’orgoglio di ricordare e rivendicare, magari solo in cuor nostro. E questo, per me, è assolutamente irrinunciabile.

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Domenico Campagna

DALLA SGNAPERIE ALLA DISTILLERIA

PAGURA, UNA STORIA DI GRAPPA E DI TRADIZIONE di Maria Franca Petraz foto per gentile concessione di Lindo Pagura


MANGIAVINO H

a inizio nel 1879 la storia della grappa Pagura, con un rudimentale alambicco avviato a Castions di Zoppola, nel territorio delle Grave friulane, da Domenico Campagna. La grappa allora prodotta dal Campagna veniva venduta nella “Sgnaperie”, la bottega ove i contadini che conferivano il latte sostavano di primo mattino per un corroborante “decimin” (1/10 di litro). Gli affari andarono piuttosto bene e permisero al Campagna di affiancare alla rivendita, nel 1904, un’ampia costruzione con annesso il laboratorio della distilleria. È in questo immutato edificio che viene ancor oggi prodotta la grappa Pagura. Alla morte del Campagna, nel 1919, l’eredità tutta passa a quello che era stato il garzone di bottega, Lindo Pagura. La grappa di Lindo viene insignita, nel 1923, con la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale del Lavoro di Milano. Tale riconoscimento, il cui logo è ancor oggi riportato sulle etichette della grappa tradizionale, fa sì che il nome venga modificato in Premiata Distilleria Pagura. Oggi a Castions è la quarta generazione ad essere insediata e a continuare, nel solco della tradizione, l’esperienza della distillazione genuina e di qualità, nello stesso sito storico edificato dal fondatore. “Certamente un bel record!” - mi dice compiaciuto Lindo Pagura, stesso nome del nonno e attuale conduttore nonché grappaiolo distillatore dell’azienda. Lindo sottolinea che la grappa Pagura è una produzione artigianale, che segue la tradizione mantenendo inalterato l’antico metodo di distillazione che impiega un alambicco discontinuo, ammodernato nei primi anni ’60. È ancora funzionante e, assieme alla colonna di distillazione brevettata dai battirame di Conegliano Zanbenedetti e Nogariol, costituisce un impianto molto semplice ma straordinariamente efficace, in grado di produrre grappa di altissima qualità. La materia prima è costituita da vinacce freschissime e selezionate, perfettamente conservate e fermentate per pochi giorni, quindi tempestivamente avviate alla distillazione. Questa preziosa materia prima, sigillo di qualità, deriva tutta da uve delle Grave friulane, provenienti da una zona molto ristretta attorno alla distilleria. Tra le uve bianche: pinot, friulano, sauvignon, traminer, moscato e verduzzo. Tra le rosse: merlot, cabernet e refosco. La fase di raccolta e distillazione ha inizio nei primi giorni di settembre e procede, con cicli continui di 24 ore, fino all’inizio di novembre. Tutte le fasi vengono eseguite internamente all’azienda, con cura maniacale e dedizione totale, per offrire al consumatore una grappa nostrana di massimo livello qualitativo, con una chiara collocazione territoriale. Anche l’acqua impiegata nella diluizione della grappa gioca un ruolo fondamentale; quella utilizzata da

Pagura proviene da un pozzo artesiano da sempre presente in azienda e continuamente monitorato. Il pozzo pesca l’acqua di falda delle sottostanti risorgive, tipiche delle Grave friulane. È un’acqua purissima e ricca di sali che conferisce alla grappa un tocco particolare e rimanda alla generosità della terra locale nonché alla sapienza del grappaiolo distillatore. La grappa per Lindo Pagura è sinonimo di prodotto del territorio e della tradizione, e su questa scia ha mantenuto e sviluppato nel tempo i saperi artigianali del padre e del nonno. Naturalmente il mercato e i consumatori si evolvono e anche la distilleria Pagura si è adeguata ai gusti e alle mode. Oltre alle grappe tradizionali, Pagura distilla quelle da vinacce tipiche, da vinacce di monovitigno (refosco, cabernet), quelle da vinacce aromatiche (traminer, moscato), quelle invecchiate, in botti di rovere, ciliegio e acacia, nonché Liquori originali, e infine gli Infusi, fatti secondo antiche ricette tradizionali a base di frutti, foglie, semi e bacche in infusione in finissima grappa friulana. A coronare questa serie di preziose “gemme” friulane, la Grappa d’Artista, proposta annualmente. Si tratta di una vera “chicca”, come la definisce Lindo Pagura “Opere d’arte in ceramica, contenenti la nostra grappa, su bozzetto di famosi artisti internazionali, in esclusiva per Pagura”. Mi mostra la Grappa d’Artista 2016, una coloratissima ceramica su disegno dell’artista viennese di fama internazionale Christian Ludwic Attersee che fa bella mostra di sé nel locale aziendale adibito a esposizione, ove sono ospitate e visitabili le ultime produzioni pittoriche dell’artista austriaco, nonché l’intera collezione delle Grappe d’Artista, a partire dal 1998. Nel negozio attiguo alla distilleria si possono trovare tutte le produzioni Pagura, comprese le grappe in bottiglie personalizzate, idee perfette per omaggi aziendali e ricorrenze speciali. La mano d’artista che cura le personalizzazioni è quella di Angelo Toppazzini, cognato di Lindo e collaboratore storico dell’azienda. Con il suo estro creativo realizza le decorazioni delle bottiglie e crea le nuove confezioni. La produzione della distilleria Pagura è assorbita in massima parte dal mercato interno, ma si guarda con interesse anche a un rafforzamento delle vendite dirette in azienda, ove già da tempo si svolgono visite guidate di gruppi organizzati, italiani e stranieri, con degustazione delle migliori grappe e di prodotti tipici. E perché non pensare alle vendite verso i mercati di Russia, Polonia, Repubblica Ceca ed altri paesi dell’Est Europa, attraverso i canali web?! Raccogliendo questi progetti e auspici per il prossimo futuro, lascio la Distilleria Pagura con la consapevolezza di aver meglio conosciuto un lembo di Friuli, una realtà artigianale di pregio, con una precisa identità, intrisa di territorio e di sapere antico.

DISTILLERIA PAGURA Via V. Favetti, 25 33080 Castions di Zoppola (PN) T 0434.97021 www.distilleriapagura.com 59


Marco Felluga e Russiz Superiore prestigio, storia ed emozioni nel Collio

È nel Collio, terra di confine ricca di fascino, eleganza e storia, crocevia da sempre di culture e popoli, che i filari si rincorrono disegnati sulle colline. I rilievi appena abbozzati ospitano quegli antichi vigneti che si impongono ancora oggi in un territorio che le ama e le cura da secoli: se le radici ne potessero raccontare le origini, rimarremmo incantati nello scoprire gli aneddoti del periodo preromano, le vicende accadute durante il Medioevo e scopriremmo la grande attenzione che l’amministrazione Asburgica rivolse a questo piccolo, ma prezioso lembo di terra.

La tradizione e la fama dei bianchi friulani nacquero proprio nel Settecento, come conseguenza di precise esigenze di mercato, grazie anche alle suggestioni legate ai paesaggi del “giardino dell’Impero”. Nel 1787 il territorio venne per la prima volta suddiviso in nove classi di vigneti, selezionate sulla base della qualità, che corrispondono ancora oggi ai migliori Cru, come San Floriano, Cormòns vignali, Russiz Superiore e Inferiore, Spessa, Farra, Oslavia vignali, San Mauro e Lucinico vignali. Ed è proprio tra queste terre speciali che Marco Felluga, giunto dall’Istria con la famiglia dopo la Grande Guerra, decise di fondare la omonima azienda nel 1956. Scelse Gradisca d’Isonzo come sede della propria cantina, la caratteristica cittadella quattrocentesca fortificata, cinta dalle mura disegnate da Leonardo da Vinci e voluta dalla Repubblica di Venezia. Il simbolo del Leone riportato oggi sulle etichette dei suoi vini ricorda ancora l’influenza della Serenissima sul Collio goriziano, il suo prestigio e la lunga tradizione. I vigneti di Marco Felluga si estendono per 100 ettari, nei comuni di Farra, Oslavia, San Floriano e Cormòns, gli stessi così lungamente celebrati nei manoscritti settecenteschi. Qui Marco Felluga intraprese un percorso di innovazione, qualità e ricerca che lo condusse anche ad acquistare nel 1967 una delle più belle tenute del Collio: Russiz Superiore. Il nome rivela ancora una volta un passato incredibile, 700 anni di storia nel corso dei quali si sono succedute nobili famiglie e coltivate diverse varietà. Nel XII secolo, i Conti di Gorizia, proprietari di una grande porzione del territorio, decisero di suddividerlo e di affidare Russiz Superiore al feudatario Simon de Taxis, appartenente alla famiglia dei Della Torre Torriani. In Germania, la casata era conosciuta con il nome di Thurm-Taxis (Torre Tasso) ed è proprio dalla nobile insegna della famiglia asburgica che deriva il simbolo della tenuta. Ancora oggi, l’aquila a due teste viene incisa e riportata sulle etichette e sulle barrique della cantina.


Le due aziende possono pertanto essere annoverate tra gli esempi più evidenti dell’integrazione con il territorio: la filosofia di Marco Felluga, trasmessa al figlio Roberto che oggi rappresenta la quinta generazione della famiglia nel mondo del vino e che conduce con passione e intraprendenza le due aziende ereditate dal padre, si fonda proprio su un profondo legame con il Collio. I vini che si ottengono sono il risultato di una terra marnosa e arenaria, creatasi circa 100 milioni di anni fa durante l’era eocenica dal fenomeno dell’erosione. Il “flysch”, o ponca in friulano, il clima mite e le escursioni termiche costituiscono il terroir ideale per la crescita e lo sviluppo delle viti: l’esperienza e la lungimiranza della famiglia di Marco Felluga hanno permesso nel corso del tempo di procedere sul cammino dell’eccellenza e, mantenendo immutati alcuni principi fondamentali, di raggiungere risultati qualitativi sempre più importanti. Lavoro, onestà e tutela non solo parole, ma uno stile di vita, una ricchezza che Roberto Felluga rispetta, custodisce e presidia con forza. Il Collio, tra le primissime zone in Italia ad ottenere il riconoscimento DOC, è sede di un patrimonio di conoscenza vitivinicola irripetibile e di una cultura di grande pregio. Definito da sempre “la regione più bianchista d’Italia, in Friuli le due aziende si distinguono per un tipo di produzione vitivinicola caratterizzata da una notevole complessità, un intenso corredo aromatico e una particolare eleganza. I vini di Marco Felluga e Russiz Superiore rispecchiano pienamente i valori, la storia e le passioni della famiglia: accanto agli autoctoni e ai più famosi Pinot Grigio, Friulano, Ribolla Gialla, Sauvignon e Pinot Bianco si trovano gli esclusivi uvaggi del più volte premiato "Collio Bianco Col Disôre" di Russiz Superiore, prestigioso blend di Pinot Bianco, Sauvignon, Tocai Friulano, Ribolla Gialla, e il "Collio Bianco Molamatta" di Marco Felluga, composto da Pinot Bianco, posto a fermentare in piccole botti di rovere, Friulano e Ribolla Gialla.

Tutti i vini bianchi si prestano ad essere bevuti relativamente giovani, ma, per scoprire complessità minerali e di frutta matura molto interessanti, possono essere lasciati ad affinare alcuni anni. È questo uno dei progetti sviluppati da Roberto Felluga, che ha portato alla realizzazione di tre bianchi Riserva: il Collio Pinot Grigio Mongris Marco Felluga, il Collio Sauvignon e il Collio Pinot Bianco Russiz Superiore. Elevata è infine la qualità dei vini rossi: di grande personalità, struttura ed eleganza, ben si prestano ad un lungo invecchiamento. È il caso del "Collio Rosso Riserva degli Orzoni", con Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot e del "Refosco dal Peduncolo Rosso Ronco dei Moreri" di Marco Felluga. Pregiate selezioni che sono ospitate anche nella cantina di invecchiamento a Capriva del Friuli, accanto al Relais Russiz Superiore, recentemente ristrutturato, che dispone di sette camere immerse tra i vigneti del Collio. Ricavato dall’antica struttura annessa alla foresteria, il Relais sorge sulla cima del colle da cui si abbracciano con lo sguardo i lunghi filari che degradano a est verso la Slovenia fino ad arrivare a scorgere le cime delle Prealpi Giulie.

Via Gorizia, 121 | 34072 Gradisca d'Isonzo (Go) Tel. (+39) 0481 99164 | Fax (+39) 0481 960270

Via Russiz, 7 | 34070 Capriva del Friuli (Go) Tel. (+39) 0481 80328 | Fax (+39) 0481 808398


GLI EXTRAVERGINI NOSTRANI FRANTOIO DI CAMPEGLIO Una clientela e un mercato in aumento quello riguardante l’olio extravergine made in Friuli Venezia Giulia; questo

trend positivo è dovuto alla costante ricerca della qualità, che parte dalla selezione delle piante, dai terreni e dalle attenzioni nelle diverse fasi della spremitura. Il cliente finalmente effettua una scelta di qualità e non di convenienza, e questo è il risultato di anni dedicati al costante consolidamento del connubio cultivar - territorio - clima, che finalmente oggi da i suoi risultati. È quanto ci racconta Sandra che assieme alla sorella Cristina, dopo la scomparsa del papà Gianni nel 2011, ha preso le redini dell’azienda agricola San Rocco, Frantoio Campeglio di Faedis, nei Colli Orientali del Friuli. È in questa zona, accanto ai ruderi dell’antico castello di Soffunbergo, protetta dai venti e con un clima mite che non ha nulla da invidiare a quello della riviera, che si trovano gli antichi olivi che hanno dato l’idea a Gianni Zamarian, pioniere dell’olivicoltura friulana, di iniziare la produzione di olio dal 1995. L’azienda comprende circa 6 ettari attorno al comune di Campeglio, laddove si trovava un vecchio pascolo, a un’altitudine compresa tra i 320 e i 360 metri; in queste condizioni la pianta gode dei positivi sbalzi termici e i frutti maturano lentamente, assicurando un accumulo graduale di sostanze aromatiche e gustative. Il paesaggio è suggestivo, avvolto da boschi di castagni e faggi, da cui il nome “Faedis” e il panorama davvero impagabile. I terreni, grazie alla presenza massiccia della ponca, che li rende permeabili e drenanti, e alle forti pendenze, assicurano l’habitat ideale per la coltivazione di vite e ulivo. Qui, attorno all’albero madre che ha ben 300 anni, sono state poste gradualmente a dimora ben 5000 piante di diverse varietà quali bianchera e gorgazzo, varietà autoctone presenti sul territorio sin dagli anni ‘20, Leccino, il più presente, gardesan, casaliva, maurino, moraiolo e frantoio. Questa varietà di cultivar assicura una raccolta scalare; infatti non tutte le olive presenti sui rami in un preciso momento raggiungono lo stesso grado di maturazione. È dunque compito dell’agricoltore, sottolinea Sandra, stabilire quale sia il momento più propizio per provvedere alla raccolta, “fotografando” il momento in cui si presenta la possibilità di ottenere la massima resa e la migliore qualità dell’olio extravergine d’oliva. Successivamente all’impianto dell’oliveto, il patriarca Gianni provvede alla costruzione di un frantoio “tradizionale”, unico nel suo genere sul territorio regionale e esclusivamente per la propria produzione. Quello per intenderci formato da molazze in granito per la spremitura e da un sistema a fiscoli in fibra sintetica per l’estrazione. Un impianto dagli elevati costi di gestione, ma la scelta è da ricercare nelle caratteristiche uniche dell’olio ottenuto con questo sistema, quali le note di frutta secca tostata e un lungo finale piacevolmente amarognolo, che rimane invariato nel tempo. Questo perché la pasta è “schiacciata” lentamente, e non centrifugata come avviene con i moderni sistemi di estrazione. La raccolta 2015 si discosta completamente da quella del 2014, segnata inesorabilmente da piovosità elevata, temperature troppo alte e attacchi repentini da parte della mosca. 62


MANGIAVINO

(VIII TAPPA)

di Alessandro Pareschi • foto di Alessandro Pareschi

Qualità e quantità aiutate da un annata ideale, ma soprattutto dalla scelta della raccolta e dalla brucatura manuale, che coinvolge nel mese di novembre circa 10 abili collaboratori per diverse ore al giorno. Sandra è una persona seria e meticolosa, rispettosa dell’impegno del padre e il suo olio, gradevole, elegante, duttile e dal profilo sensoriale estremamente variegato, riesce a valorizzare questo splendido angolo del Friuli e a trasmetterne l’indiscussa matrice territoriale. È possibile visitare l’azienda il sabato pomeriggio dalle ore 16.00 alle 19.00, durante la settimana e la domenica pomeriggio previa telefonata.

DEGUSTAZIONE: Colore brillante giallo dorato dai riflessi verdi. Pulito e aperto al naso, dove le note fruttate di mandorla e caramella all’orzo incontrano sentori avvolgenti di erbe aromatiche secche, fiori di camomilla e cardo gobbo. La pasta è piena e avvolgente e il gusto tendenzialmente “dolce” esalta le sensazioni olfattive e trova piccante e amaro in buona armonia. L’eccellente persistenza e la corrispondenza fruttata naso bocca ne fanno un olio davvero straordinario. Da provare su zuppe di cereali e carni bianche alla brace. AZIENDA AGRICOLA SAN ROCCO Frantoio di Campeglio Via Castellana, 17 33040 Campeglio di Faedis (UD) T 0432.470291

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MANGIAVINO

NERO O CAPO IN B? di Bruno Cataletto

foto di Fabrice Gallina

Quando un cittadino europeo del XVII secolo

desiderava informarsi sulle fluttuazioni dei prezzi delle varie merci, intavolare discussioni politiche o informarsi sugli ultimi sviluppi scientifici e tecnologici, non doveva far altro che entrare in un caffè. Alla stregua dei moderni social, questi locali fungevano da luoghi di scambio di informazioni per uomini d’affari, studiosi, letterati e politici. Probabilmente non è un caso che il primo caffè dell’Europa occidentale sia stato aperto da un libanese di nome Jacob nel 1650 nella cittadina universitaria di Oxford, quasi a suggellare l’unione simbolica fra questi caratteristici locali e la cultura.

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MANGIAVINO A Trieste le prime navi cariche di caffè verde attraccarono ai moli nella

seconda metà del Settecento e dal quel momento tutte le attività legate a questo prodotto si svilupparono freneticamente fino all’inaugurazione, nel 1904, della Borsa del caffè. Attualmente, quasi il 30% del caffè importato in Italia passa per Trieste che quindi può meritatamente fregiarsi del titolo di principale porto del Mediterraneo per i traffici di questi preziosi chicchi. In una città mitteleuropea come Trieste, il legame fra cultura e caffè divenne presto indissolubile e non è certo difficile immaginare Stendhal, Joyce, Svevo o Saba mentre, con una tazzina fumante in mano, intrattengono i loro ospiti con appassionate discussioni letterarie.

CAFFÈ TOMMASEO Piazza Tommaseo, 4/c 34122, Trieste T. 040 362666 www.caffetommaseo.com

CAFFÈ STELLA POLARE Via Dante 14 34122, Trieste T. 040 765420

CAFFÈ SAN MARCO Via Battisti 18 34125 Trieste T. 040 0641724 www.caffesanmarcotrieste.eu

CAFFÈ DEGLI SPECCHI Piazza dell’Unità d’Italia, 7 34121, Trieste T. 040 661973 www.caffespecchi.it

CAFFÈ URBANIS Piazza della Borsa, 1 34121, Trieste T. 040 366580

ANTICO CAFFÈ TORINESE Corso Italia 2 34121, Trieste T. 389 6543611 www.anticocaffetorinese.ts.it

Alla ricerca di atmosfere ancora presenti e vitali, suggeriamo con entusiasmo, un percorso che condurrà nei “caffè storici” di questa città, iniziando dal più antico: il Caffè Tommaseo. Si trova accanto a Piazza Unità d’Italia, inaugurato nel 1830, e varcata la soglia del locale si è immediatamente avvolti da un’ambientazione sofisticata ed elegante, impreziosita dalle decorazioni del pittore Gatteri e dalle specchiere fatte arrivare appositamente dal Belgio. All’inizio del secolo scorso, questo caffè, fu uno dei primi locali che introdusse un alimento che ha accompagnato la storia di tutto il Novecento fino ai giorni nostri: il gelato. A pochi passi si trova il Caffè Urbanis che ha nel suo Dna qualcosa di dolce in quanto, nel 1832, nacque come pasticceria. Lo sguardo del visitatore si posa ammirato sullo splendido mosaico che ricopre il pavimento raffigurante il mare, la bora e diversi simboli mitologici. Più in là si apre, affacciata sul mare, la Piazza Unità d’Italia con il famoso Caffè degli Specchi, fondato nel 1839, e i cui tavolini costituiscono il naturale arredo di questo luogo magico. Passeggiando pigramente lungo il Canale Grande, accanto alla maestosa chiesa serbo ortodossa di San Spiridione, si arriva nel Caffè Stella Polare, sorto nel 1867 come caffè austro-ungarico e che dopo la Seconda Guerra Mondiale venne trasformato in una sala da ballo, muta testimone di numerosi incontri amorosi fra i soldati americani e le ragazze triestine. L’ itinerario conduce in via Battisti dove si trova il Caffè San Marco, aperto nel 1914 e trasformatosi in quegli anni in un salotto culturale, ma anche in un ritrovo di irredentisti. Lo scrittore Claudio Magris l’ha definito «un luogo dove si sta in pace, si legge, si scrive, si chiacchiera, si presentano libri» e mai come ora -all’interno del locale ha preso vita una ricca e fornita libreriatale definizione risulta più azzeccata! Ritornando verso il mare, sulla Piazza della Borsa si apre un altro piccolo gioiello storico, l’Antico Caffè Torinese, realizzato nel 1915 e frutto dell’opera artistica dell’ebanista triestino Debelli. È sorprendente osservare come questi locali, le cui atmosfere si sono quasi cristallizzate nel corso degli anni, siano frequentati contemporaneamente da letterati, scrittori e da teenager con gli sguardi incollati agli schermi dei loro cellulari. È certo che, nella frequentazione dei caffè triestini, l’attenzione del turista sarà catturata da uno strano dialogo, all’apparenza quasi incomprensibile, fra gli avventori e il barista. «Per favore, un nero e un capo in b!». Questo strano linguaggio in codice è patrimonio dell’amore che i triestini hanno per il caffè. Ordinare un “nero” significa chiedere un caffè espresso in tazzina, mentre “nero in b” indica un espresso in bicchiere. I termini sono diversi e le loro possibili combinazioni imprevedibili: “deca” sta per un espresso decaffeinato in tazzina e, naturalmente, “deca in b” per espresso decaffeinato in bicchiere. Se si ordina un “capo” verrà servito un espresso macchiato in tazzina, mentre la stessa tipologia di caffè sarà in bicchiere se chiederete un “capo in b”. Sempre più difficile! “Capo deca” è un espresso decaffeinato macchiato in tazza e il suo corrispettivo in bicchiere sarà “capo deca in b”. La creatività continua: per “gocciato o goccia” s’intende un caffè con una goccia di schiuma di latte al centro. Oppure: “capo in b con e capo in b senza” significa un espresso macchiato in bicchiere con o senza schiuma! La personalizzazione, in realtà, non ha limiti!

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MANGIAVINO

IL ROSSO DELLE ROSE di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano foto di Fabrice Gallina

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MANGIAVINO

Appena spiana la strada dopo l’ultimo tornante e ti compare davanti l’imponente sagoma della “Badia” di Rosazzo,

non poi non provare emozione. Di fronte a te c’è il luogo che più di nessun altro rappresenta la Storia dell’enologia friulana. La luce viva della mattina rende il complesso monumentale più austero ma ben inserito nel meraviglioso ambito naturale che lo circonda. Dietro, in lontananza, le Alpi Giulie imbiancate dall’ultima neve tardiva sembrano proteggerlo dalle intemperie del Norico. Davanti a sè l’ampia piana friulana e, in lontananza, l’Adriatico con le sue brezze benefiche e iodate. Le origini dell’abbazia non sono chiare. Secondo la tradizione, nell’anno 800, l’eremita Alemanno costruì un piccolo edificio destinato alla preghiera. Ben presto la bellezza del luogo spinse altri eremiti a insediarsi e a fondare un monastero che inizialmente fu guidato dai monaci agostiniani. Nel 1090 passò di mano e furono i benedettini a condurlo e a portarlo al massimo splendore, non solo dal punto di vista spirituale, ma anche economico potenziando la coltivazione della vite, dell’olio e della frutta. Tutto quello che circonda l’Abbazia offre, ancora oggi, un panorama fatto di vigneti e di uliveti. Forse non c’è altra terrazza più bella in Friuli! Il grande edificio che ospita l’azienda della famiglia Zamò è dirimpettaio alla Badia ed è al centro dei vigneti che rivestono le dolci colline di Rosazzo. Silvano e Pierluigi hanno raccolto la passione del papà Tullio, fondatore dell’azienda, figura storica, mai dimenticata, nel mondo enologico e imprenditoriale friulano. Oggi “Le Vigne di Zamò” rappresentano una delle più prestigiose aziende vitivinicole nazionali. Tutto ha inizio con Tullio che, nel 1978, acquista 5 ettari di vigna nella prestigiosa collina di Rocca Bernarda dando vita all’azienda Vigne dal Leon. Nel 1981 egli crea il marchio Abbazia di Rosazzo in seguito al restauro agrario dei vigneti, allora in affitto, della Curia Arcivescovile di Udine. Negli anni a seguire, in virtù dei successi ottenuti anche grazie alla prestigiosa collaborazione con Franco Bernabei, la famiglia Zamò acquista, a Rosazzo, i primi 15 ettari di vigna proprio di fronte l’Abbazia. Si succedono anni d’intenso lavoro: dalla realizzazione della moderna cantina al recupero del materiale clonale dei vitigni più vecchi e storicamente appartenuti all’area di Rosazzo. Oggi l’azienda conta ben 67 ettari vitati e realizza circa 280.000 bottiglie. È Brigitte, moglie di Silvano, a fare gli onori di casa, sorridente e gentile, come sempre. Dalle ampie vetrate della sala di degustazione s’intravede la Badia, la luce che filtra illumina le bottiglie già disposte “per annata” sul grande tavolo tondo. Gli ampi calici, in fila, attendono di essere riempiti. Con noi c’è anche Alberto Toso, giovane ma esperto enologo aziendale e anche lui, come noi, è impaziente. Il momento è davvero storico, mai si era osato tanto! Trent’anni di Ronco dei Roseti! “È la prima volta che si fa una verticale così ampia – ci dice Brigitte soddisfatta – e solo nel gennaio del 1998 ci fu qualcosa di simile ma riguardava 12 annate, dal ’81 al ’92, del Ronco dei Roseti; una degustazione straordinaria e a condurla fu Daniele Cernilli”. I calici si riempiono e approfitto per chiedere qualche notizia sul vino. “Il nome è riferito a un toponimo -risponde Brigitte mentre versa il vino- e all’inizio erano interessati solo i vigneti che appartenevano alla Badia e questo avvenne per alcune vendemmie. Poi, in seguito alla cessione dei vigneti la cui proprietà era in capo alla Curia Arcivescovile, il vino è stato prodotto con le uve dei nostri vigneti sempre però siti in Rosazzo”. Siamo pronti. Cala un silenzio forse innaturale ma rispettoso. Trent’anni di storia, di fatica, di lungimiranza, di sapere. Trent’anni di un territorio fondamentale e unico, racchiusi in quei calici tinti di rosso. Provo la stessa sensazione che vivi quando spiana la strada dopo l’ultimo tornante e ti compare davanti l’imponente sagoma della Badia di Rosazzo.

Denominazione: Colli Orientali del Friuli Rosso Doc Ronco dei Roseti Zona di produzione: terreni collinari di marna eocenica situati a 200 m di quota nell’area di Rosazzo nel comune di Manzano (UD) con esposizione sud, sud-ovest. Vigneti: allevati a sistema guyot con viti di età tra i 30 e 50 anni. Resa per ettaro: 5 t di uva con densità di 4000 ceppi /ettaro. Uve: merlot 50%, cabernet sauvignon 20%, Cabernet franc 15%, pignolo 5%. Epoca raccolta delle uve: metà - fine settembre. Vendemmia manuale, in cassetta. Le differenti varietà, l’età delle piante e le diverse esposizioni richiedono attente analisi per stabilire il momento ottimale della raccolta che avviene in fasi diverse. Vinificazione: tutte le varietà sono vinificate separatamente, la macerazione avviene in tini di legno tronco conici, per un periodo di 15 giorni dove si alternano follature manuali, delestage e rimontaggi. Segue la svinatura e la torchiatura tradizionale delle vinacce. Dopo una notte in acciaio, per sedimentare le parti più grossolane, il vino viene travasato in barrique nuove. La fermentazione malolattica e alcuni travasi affinano i vini per 16-18 mesi, fino al momento del taglio finale. Dopo 5 mesi di riposo in botte grande segue l’imbottigliamento. Il vino rimane per altri 2 anni in bottiglia prima di uscire sul mercato. Prima annata prodotta: 1982 Bottiglie prodotte: circa 4.500 anno/media. Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 26.

LE VIGNE DI ZAMÒ Via Abate Corrado, 4 Località Rosazzo 33044 Manzano (UD) www.levignedizamo.com

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RONCO DEI ROSETI

2009

Alc. 13,5% - Punteggio: 90/100 Andamento climatico: ottima annata calda ed equilibrata. Rubino denso e brillante. All’olfatto manifesta subito carattere e potenza. Emergono note di visciole in confettura, pepe cubebe, cuoio e una leggera tostatura dolce che ricorda il legno di sandalo. Tutto avvolto in uno stretto abbraccio resinoso che richiama la macchia mediterranea. L’ingresso è denso e fruttato e si contrappone un’energica freschezza che dona vitalità e reattività al sorso. Tannini sferici e succosi segnano il passo verso un finale lungo e persistente. Sella di cervo ai mirtilli.

RONCO DEI ROSETI

2008

Alc. 13,5% - Punteggio 91/100 Andamento climatico: annata costante e calda. Colore rubino dal cuore scuro. Naso profondo, serrato a significare l’ampio corredo. Dapprima i profumi di ciliegie nere, pepe e ginepro in bacche. Seguono poi note di timo e rosmarino essiccati, cioccolato al latte e un elegante aroma di rosa appassita a suggellare il finale. Bocca di bella tensione, sostenuta da una vena di acidità salmastra davvero piacevole. Tannini morbidi si fanno sentire sul finale che è rimarcato da sottili sfumature d’erbe aromatiche. Brasato di manzo con polenta.

RONCO DEI ROSETI

2007

Alc. 14% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata fresca. Manto rubino che vira docilmente al granato. Il profilo aromatico svela tutta la complessità. Turbinio di spezie in grani, cuoio, erbe secche, carrube e prugne california. Il sostegno balsamico crea un’altalena tra note leggere e quelle scure. All’assaggio è coinvolgente e trascinante, con sensazioni tattili, freschezze acide, note tanniche e sapide che creano un continuo susseguirsi di sapori. La persistenza è arricchita di dettagliati richiami aromatici. Fagiano in casseruola alle erbe aromatiche.

RONCO DEI ROSETI

2006

Alc. 14% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata calda. Granato intenso e profondo. L’identità olfattiva, fitta e scura, è improntata su ricordi di bacche selvatiche, moka, cacao, frutta secca e ancora cuoio, tabacco e polvere pirica. Sottofondo con richiamo al frutto che emerge tra altri innumerevoli sentori. Bocca imponente. Struttura e calore alcolico soggiogano il sorso. La trama tannica fitta e lievemente drenante è affiancata dalla giusta freschezza. Maturo e appagante, chiude su decise declinazioni speziate. Gulash ungherese.

RONCO DEI ROSETI

2004

Alc. 13% - Punteggio 95/100 Andamento climatico: annata fresca ed equilibrata. Rosso granato di ottima concentrazione. Apertura olfattiva di gran classe. Profusione di marmellata di more, viola appassita e spezie dolci si fondono in uno splendido connubio con nobili sentori d’incenso, eucalipto e rosmarino bruciato. Al palato una dilagante mineralità pietrosa s’inserisce perfettamente tra corpo ottimamente proporzionato e vitale linfa acida. La trama tannica è catturata dall’estremo carattere delle altre componenti. Finale lunghissimo rimarcato da preziosi richiami fumé. Filetto di manzo al whisky.

RONCO DEI ROSETI

2000

Alc. 13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata precoce. Tinta granato lievemente scarico sui bordi. Profumi di eccezionale spazialità e personalità. Prugna secca e fieno. Seguono inchiostro e note ematiche con un cenno di tabacco fermentato e ancora fondi di caffè, medicinale e torba impreziosiscono un naso davvero intrigante. Ha un gusto denso e vellutato, tannini succosi imperlati di freschezza. La componente salina conquista il palato aumentando la persistenza. Si congeda lentamente riproponendo sensazioni fuligginose e torrefatte. Faraona ripiena di castagne.

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MANGIAVINO RONCO DEI ROSETI

1997

Alc. 13% - Punteggio 98/100 Andamento climatico: annata solare, ben equilibrata. Granato di ottima concentrazione e luminosità. Il ventaglio aromatico, perfettamente proporzionato, offre personalità e gentilezza. Esordio fruttato di ribes in confettura. Segue una progressione aromatica vertiginosa di goudron, mentine alla liquirizia, arance affumicate, eucalipto e brezza marina. L’assaggio regala vere e proprie emozioni, mostrando perfetta sinergia tra acidi, sali, glicerina e calore alcolico. Tannini di suprema fattura e sapidità iodata conducono al finale. Anatra al torchio e lamelle di tartufo bianco.

RONCO DEI ROSETI

1994

Alc. 13% - Punteggio 96/100 Andamento climatico: annata equilibrata. Abito granato che stupisce per la freschezza del colore. Un “Ronco dei Roseti” diverso dagli altri con quadro aromatico stravagante e creativo. Richiama l’essenza dei grandi rum caraibici di stile francese, gelatina di arance e limoni, tè ai frutti tropicali, muscovado, tabacco dolce, spezie orientali, noccioline tostate e liquirizia. Sapore pieno di grazia, dalla cadenza tattile setosa e tannini levigati. L’equilibrio esalta la beva quasi disinvolta. L’epilogo “slowly”, sintetizza lo splendido bouquet olfattivo. Filetto di maiale al rum, spezie e salsa d’arancio.

RONCO DEI ROSETI

1992

Alc. 12,5% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata fresca e piovosa. Amaranto lievemente sfumato. Splendida “nota di testa” di sigaro toscano e tisana alla menta. Richiami di arancia sanguinella, confettura di more e crema di nocciole. Segue una divagazione ematica e piacevolmente torbata. Assaggio coinvolgente grazie alla struttura morbida e delicata punteggiata da preziose sfumature aromatiche. Vigorosa la dotazione sapida. Il tannino vivace ma composto richiama le tostature. Manzo al caffè, crema di mandorle ed estrazione di mandarino, alla maniera di Emanuele Scarello.

RONCO DEI ROSETI

1990

Alc. 13% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata solare ed equilibrata. Ancora una splendida tenuta cromatica rosso granato. Propone profumi severi e travolgenti di orzo tostato, legno arso e inchiostro. Fanno seguito spezie scure, yerba mate e netto goudron. Ingresso succoso e vitale che cerca il contrappunto a un tannino nervoso e mai domo. Sfilata di decise sensazioni minerali dai ricordi ferrosi che incrociano sentori lievemente amaricanti di china e rabarbaro. Lentissimo finale. Quaglie in salsa al porto.

RONCO DEI ROSETI

1988

Alc. 12,5% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: a una gelata tardiva, fa seguito un’annata buona ed equilibrata. Bagliori aranciati illuminano un manto granato. Naso complesso che impressiona per la sua insospettabile freschezza fruttata. Fragole macerate e marmellata di more rosse all’inizio. Segue un penetrante aroma di rosolio, miscela creola, polvere da sparo e torba bionda. La bocca è sorpresa da un’acidità viva che fa da cornice a una struttura aristocratica, di formidabile coesione. Grande coerenza gusto-olfattiva si spegne lentamente in un finale minerale. Pernice allo spiedo.

RONCO DEI ROSETI

1985

Alc. 13% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata regolare segnata da un settembre e ottobre caldi. Rosso carminio dai riverberi aranciati. Lievissima sensazione eterea iniziale di ceralacca. Piccoli frutti rossi sotto spirito in netta evidenza fino all’entrata in scena di un côté terziario composto da: humus, torba secca e radici. Al gusto propone tutta la sua vitalità attraverso una materia sottile e aggraziata che si aggrappa all’acidità che detta l’assaggio. Sfuma lentamente come un’essenza, rilasciando sapori e profumi poco alla volta. Pregiati formaggi di media stagionatura.

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MANGIAVINO

BRIGITTE ZAMÃ’ 70


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ANCORA LOW COST E SODDISFATTI

CON VISTA

di Giorgio C. Riva foto di Umberto Pellizon


MANGIAVINO

Torna, con la bella stagione, con le giornate che si allungano, la voglia di stare all’aperto.

Anche a tavola. Torna la voglia di mare. Rimirarlo, in ogni caso al riparo dalla Bora, dalla terrazza, una vera terrazza da cui lo sguardo spazia sul Golfo, della Tenda Rossa, in Costiera, all’altezza della salita a Santa Croce, è una vera gioia. A tavola, allora, all’aperto, e lasciamoci alle spalle i mesi in cui non si può stare fuori. Il locale ha più di 60 anni. Piccolo, più posti in terrazza che all’interno, intimo; a ruba i primi, a partire dalla prima giornata di sole. E quando il sole picchia, si è al riparo, tra gli alberi. Sandro Centis lo gestisce da otto anni. Non ha cambiato molto, il ristorante è datato. Piacevolmente un frequentatore della Costiera Triestina si “ritrova”. Ciò che Sandro ha apportato di rilevante riguarda il servizio, spigliato, come lui, ma educato, e la cucina, cui sovraintende facendo gli acquisti e componendo la carta e la proposta del giorno. Privilegiando sapori locali, freschi, anche moderni ma ancorati alla tradizione, per tutti, e materia prima di buona qualità da potere offrire a un giusto prezzo. Un’attenzione particolare al pescato del Golfo, al pesce azzurro locale, che si presta a gustose preparazioni che non intaccano decisamente il contenuto dei portafogli come, normalmente, il pesce al ristorante. In questo periodo di crisi che pare non abbia mai fine anche se qualche indicatore e il nostro ottimismo ci spingono a vederla, sia pur a distanza, Sandro non solo non ha visto scemare la clientela, ma l’ha incrementata. Sicuramente merito della vista, del mare di Trieste, ma anche della sua accorta politica di qualità prezzo. E della sua professionalità. A tavola, si diceva, si comincia coi “classici” sardoni fritti o impanati, sempre disponibili, mare permettendo, col Friulano della casa, “buono”. Poi, proseguendo col pescato locale, alici marinate in succo di lime e limone al pepe rosa, tentacoli di piovra al forno su purea di patate, cappero e pomodorino, gnocchi neri di casa con seppia croccante e cipolla di Tropea. Per i secondi e i contorni secondo stagione e la disponibilità del giorno, privilegiando i pesci di grande pezzatura, da servire a tranci, e le verdure locali. Molto buono il trancio di ombrina cucinato a bassa temperatura, servito con mousseline di melanzane e punte di asparagi. Appagante il gran fritto misto. I dessert sono della casa. Sempre presente la classica chantilly. Molto buona la crème brûlée alla liquirizia. Piccola carta dei vini, sempre per eliminare il rischio di impennate del conto. Son proposte le locali vitovska (Kante, Lupinc, ad esempio), qualche malvasia, qualche “furlano”, come Venica. Al termine del pasto, felici, respirerete il mare guardandovi intorno e, scordati i quotidiani affanni, starete ancora seduti a lungo, in grazia di Dio. A pranzo, anche per una bella riunione di famiglia, la sera anche per un’uscita a due. Se la compagna è freddolosa, accomodatevi pure all’interno, sufficientemente intimo.

TENDA ROSSA Strada Costiera, 172 34151 Santa Croce (TS) T 040.224214 www.tendarossa.net

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MANGIAVINO

IL BISTROT DI EMANUELE, GNOCCHI KITCHEN BAR di Giorgio C. Riva

foto di Gianni Antoniali

In Friuli parlano quasi tutti de “Agli Amici” di Godia,

delle posizioni occupate in questa o in quella guida, in questa o in quella “catena”, ma sempre “sul podio”, dal prestigioso locale -che dà lustro non solo alla nostra regione, ma all’intero Paese-, delle stelle, della famiglia Scarello, e tutti sanno ormai chi è Emanuele, lo chef, e non solo, della Maison. Pochi ancora però conoscono lui e la sua cucina. “La cucina è passione” m’ha scritto di suo pugno, lo scorso anno, di questi tempi, all’interno dell’ultimo bel libro che lo riguarda, edito da Italian Gourmet, un utile strumento per approcciarlo al meglio. Ora, conoscerlo, e conoscerne, anche se semplificata e adattata, la sua cucina, è più semplice e alla portata di tutti. Tutti i grandi chef affiancano al locale che li ha resi famosi o da loro reso famoso, quando ormai la fama è consolidata, un locale meno “impegnativo” (per l’utenza) dove il “minore” è diversamente declinato. Spesso, però, col tempo, diventa come il Petit Cheval per il Cheval Blanc, non più il “piccolo” del “grande”, ma un “grande” “diverso”, comunque impegnativo, anche se non ai livelli del “grande” per definizione, anche nel prezzo. A Godia, le patate, e gli gnocchi di patate - insuperabili, a detta dello stesso Emanuele, quelli di mamma Ivonne-, sono di casa e il bistrot di Emanuele, sorto dove c’era l’antica -dal 1887!- osteria bar, “sotto” la chiesa e il campanile del paese, non poteva non chiamarsi GNOCCHI. Cosa vuol’essere, ed è, GNOCCHI. Una cucina. Il luogo più importante della casa. Dove si sta bene. Un “kitchen bar”, appunto, secondo una denominazione moderna. Moderna, come la parete attrezzata, il massimo della tecnologia, e come il bancone attorno al quale sedersi sugli sgabelli, come a casa. Grande tecnica e innovazione anche in come vengon cucinati e proposti, in contenitori di vetro, anche per l’asporto, i piatti della “carta”. Tradizionali, questi ultimi. Come gli gnocchi, in primis. Con la fonduta di formaggi, al burro e salvia, che esaltan il gusto della patata di Godia. Al pomodoro del piennolo o al ragù. Tradizionalissimo, con la carne a pezzettini. Come le trippe al sugo e le polpette in umido al timo o il baccalà mantecato e le seppie e polenta o il musetto

con puré o brovada e il goulash con le patate. A volte c’è il coq au vin, tradizione di bistrot francese. Il pane è fatto con lievito madre e farina integrale. Da mangiare addirittura da solo. Per chi vuole accompagnare i salumi (un San Daniele, un cotto in osso, una mortadella di Jolanda de Colò, un paio di quelli di Antica Corte Pallavicina di Spigaroli), ad esempio, ma non solo, sempre in vasetto di vetro, sempre per un eventuale asporto, carciofi al naturale, zucchine al naturale (servite con della ricotta soffice per un pasto “vegetariano”), peperoni rossi e lunghi o friarielli, al naturale o all’aceto, melanzane al pomodoro e cedro, o al peperoncino, verdure in agrodolce (in grande o piccolo vaso). Si può concludere con delle selezioni di formaggi (3, 5, 7), de “La Casera” di Eros Buratti (Piemonte), di Rugo da Enemonzo (Frant e formaggio salato), di Sebastiano Crivellaro di Sauris (caciotta di capra), o con una sbrisolona con salsa alla vaniglia o, se si è in compagnia, con una colomba di Simone Rodolfi, sempre in vetro, “scaldata” al momento. Altrimenti, i biscotti della casa, vari e “spaziali”, o crème brûlée alla grappa e cake alla banana con crema al cioccolato e rum, cioccolatini all’Asperum. Andrea Sbrizzo, giramondo, ultima esperienza, prima di Godia, da Bastianich a Cividale, sovraintende, cambiandolo spesso, al vino. Segnalando giornalmente il vino del cuore. Con la cantina del ristorante stellato, a due passi, a disposizione, curata da quel gran sommelier che è Gianluca Castellano, è garantita l’eventuale scelta di una grande bottiglia. Se non ci si allarga con il vino, siamo, come prezzi, a livelli normali, di una grande osteria. Andateci. Ci ritornerete spesso. Avrete quasi sempre l’occasione e il piacere di vedere all’opera il grande Emanuele. Lui ama “questa cucina” e ci passa più tempo che può con gli amici clienti. APERTO DAL MARTEDÌ AL SABATO (ore 10.30-14.30 e 18.00-21.00) E LA DOMENICA (ore 10.00-14.30)

GNOCCHI KITCHEN BAR Via Liguria 252, Godia 33100 UDINE T 0432.565411 75


MANGIAVINO

i vini in abbinamento SKERK

Bianco Ograde 2012 Uve: vitovska 25%, malvasia istriana 25%, sauvignon 25%, altre varietà 25%. Alc. 13,5% - € 29 Rosa salmone con lieve opalescenza. Ventaglio olfattivo impressionante che spazia dalle fioriture, alle fienagioni, alla frutta candita, al succo di albicocche, ai pomodori secchi, alla brezza marina, al legno arso e alla colatura di alici. Avvolgente e fresco allo stesso tempo. La beva è facile, quasi immediata. Lieve ruvidità tannica nel finale che è lentissimo. Tini in legno, non filtrato.

TOROS

Collio Chardonnay 2014 Alc. 13% - € 18 Giallo paglierino molto luminoso. Eleganza espressa su note floreali e fruttate di acacia, di magnolia, di ananas, di pesca noce, di succo di agrumi e di mela renetta. Delicato quanto efficace l’apporto minerale che ricorda la brezza marina. Campione d’equilibrio e raffinatezza. Chiusura lenta e corrispondente. Acciaio e legno.

PARASCHOS

Collio Rosso Skala Special Vintage 2009 Uve: merlot 98%, barbera 1%, refosco 1%. Alc. 14% - € 45 Rosso rubino intenso. Naso intrigante e ben fuso che richiama il cocomero, la confettura di more, il pepe nero e le bacche di ginepro. Poi ancora toni d’incenso, tabacco, goudron e lievi note balsamiche. Avvolgente e corposo. Tannino ancora vivo ma domato della lunga presenza nel legno e dalla morbidezza glicerica. Per 60 mesi nelle grandi botti di rovere.

ALESSANDRO PASCOLO

Rosso Pascal 2011 Uve: cabernet sauvignon 100%. Alc. 13,5% - € 16 Rubino vivo con sfumature granate. Note scure di rabarbaro, frutta secca, spezie, cioccolato e fumé del sottobosco. Grafite ed effluvi balsamici. Avvolgente, corposo ma ottimamente bilanciato da adeguata freschezza. Tannino vellutato che accompagna il finale che offre continui richiami al naso. Per 30 mesi nei tonneau di Allier.

MEROI

Friuli Colli Orientali Rosso Il Nèstri 2011 Uve: cabernet sauvignon 80%, merlot 20% Alc. 13% - € 18 Rubino fitto. Ampio ventaglio olfattivo. Note scure di grafite e china, bacche di ginepro, cacao, rabarbaro e marasca. Lievi tostature e frutta secca. Leggero fumé. Avvolgente e dal tannino setoso, equilibrato. Il sorso continua sapido, speziato e balsamico a mantenere l’equilibrio per l’intero lento finale. Barrique per 20 mesi.

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LA RUBRICA DEI LIBRI

MANGIAVINO ATLANTE GEOLOGICO DEI VINI D'ITALIA di Attilio Scienza e a. v. Un libro sul rapporto inscindibile tra vino e paesaggio in Italia. Un'opera dall'impostazione innovativa, frutto di quarant'anni di ricerca. Un libro sul vino italiano in rapporto alle caratteristiche del suolo. Le aree trattate quali Barolo, Asti, Franciacorta, Prosecco, Collio, Cinque Terre, Chianti, Brunello, Bolgheri, Verdicchio, Cannonau e molte altre DOC e DOCG, sono schedate e analizzate: origine, natura e formazione del suolo, profilo climatico, coltivazione agricola, vinificazione. Uno strumento di consultazione per chi vuole approfondire i grandi vini italiani in modo senz'altro più tecnico, ma sempre accessibile. Per la prima volta, in Italia, si affronta in questo modo il tema vitivinicolo: dalle Alpi all'estremo Meridione, passano in rassegna i nostri vini migliori, vediamo quanto incida la qualità del suolo agricolo. Molte immagini e disegni rendono piacevoli queste pagine scritte a più mani da Attilio Scienza e dai suoi collaboratori di fiducia. € 48 - 360 pagine - GIUNTI EDITORE

IL COLLEZIONISTA DI MARSIGLIA di Peter Mayle Dopo il grande successo di Un'ottima annata, Peter Mayle torna nel Sud della Francia con un giallo gustoso e seducente. Un bouquet perfetto che unisce cibo, vino e avventura. C'è un patrimonio d’inestimabile valore nascosto in una lussuosissima villa di Hollywood Heights. Si tratta di una collezione di vini tra i più pregiati e preziosi che si possano trovare sul mercato: Lafite Rothschild, Latour, Margaux, Figeac, Pétrus. Ogni bottiglia vale migliaia di dollari e Danny Roth, un ricco avvocato, le conserva gelosamente, lontano da occhi indiscreti. Ma un giorno commette un errore e accetta di parlare dei suoi favolosi esemplari al «Los Angeles Times» per un'intervista illustrata. Un peccato di vanità fatale, perché, durante la notte di Natale, qualcuno fa irruzione nella villa e i vini sono rubati. A indagare sul furto è assoldato Sam Levitt, un investigatore privato dal passato oscuro e rocambolesco: prima ladro-gentiluomo, poi avvocato. € 18 – 196 pagine - GARZANTI

LA BIRRA MORETTI DA UDINE AL MONDO di Luigi Menazzi Moretti L’autore del libro, il Cavalier Luigi Menazzi Moretti, è l'ultimo discendente della famiglia di imprenditori udinesi che ha fondato il celebre marchio della Birra Moretti, un'azienda con 130 anni di storia che da tradizione famigliare è diventata un brend di successo internazionale. Questo libro, corredato da splendide fotografie storiche, racconta i 130 anni di storia aziendale e della dinastia famigliare, quattro generazioni, che creò l’azienda birraia sino alla cessione a un marchio internazionale. I ricordi personali dell’autore riguardano il bisnonno, lungimirante fondatore dell’azienda in un periodo storico non facile e fu proprio lui, in pochissimi anni, a darle un’impronta di successo. La famiglia Moretti ebbe un grande ruolo nella vita culturale udinese con il Premio Moretti d’oro. Il libro ripercorre la storia della birra, quella del campo sportivo Moretti, dove l'Udinese ha giocato per cinquant'anni e situato accanto alla fabbrica, alle porte del centro storico. € 24 - 168 pagine - GASPARI EDITORE

UNA STORIA DEL MONDO IN SEI BICCHIERI di Tom Standage Esistono molti modi di raccontare la lunghissima storia della nostra civiltà. Tom Standage, giornalista e scrittore, non si affida a reperti fossili o a manufatti, ma rilegge l’evoluzione umana attraverso sei bevande, ognuna delle quali ha rappresentato qualcosa di unico per la sua epoca. Il libro racchiude aneddoti e precise documentazioni storiche che fanno scoprire al lettore la birra degli Egizi, il vino dell’antica Roma, i liquori del periodo coloniale, il caffè dell’Età della Ragione, il tè dell’Impero britannico e la Coca-Cola, il simbolo universale per eccellenza della globalizzazione. Terminata questa piacevolissima lettura, guarderemo con occhio diverso ciascuna di queste bevande, non soffermandoci solamente sulle loro caratteristiche organolettiche, ma ripensando a come, attraverso i secoli, sono giunte a noi e perché continuano ancora a far parte della nostra vita e della nostra cultura. € 19 - 225 pagine - CODICE EDIZIONI 77


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tRimestRale di cUltURa del vino e del cibo

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Foto: Francesco Galifi


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TRA TRADIZIONE ED EVOLUZIONE UNA STORIA LUNGA 85 ANNI! Il vigneto è sempre stato il punto di forza della Cantina Vini La Delizia. La tipica combinazione tra natura e suolo, composto da argilla e ghiaia, unita ad un clima variegato consente di ottenere vini dalla forte identità e tipicità, che portano sulle tavole la terra, l’aria e l’anima del Friuli Venezia Giulia. In questi terreni nuovi e vecchi vitigni hanno trovato le condizioni ideali che la mano e la passione dei soci conferitori hanno saputo sfruttare al meglio e dove i sistemi di allevamento ne garantiscono la migliore qualità. La forma cooperativistica di Viticoltori Friulani La Delizia si pone come modello per il consumatore poiché garantisce il controllo e la tracciabilità lungo tutta la filiera, massima trasparenza e assicura un forte legame con il territorio friulano. Il rigore produttivo della Cantina cooperativa è attestato da numerose certificazioni che testimoniano il risultato dell’impegno che Vini La Delizia dedica all’innovazione tecnologica e alla ricerca di livelli sempre più alti di qualità. Dal 2010 Viticoltori Friulani La Delizia gestisce un appezzamento di circa 115 ettari di vigneto, dislocati nel cuore del Friuli, dove vengono allevati molteplici vitigni di diverse varietà tra cui Glera e Pinot Grigio. Qui sono testati sistemi e soluzioni a basso impatto ambientale, sia per la coltivazione che per la protezione delle viti da malattie. L’attività di sperimentazione e ricerca va dalla selezione di nuovi cloni all’utilizzo di pratiche colturali d’avanguardia per la coltivazione di barbatelle, individuando metodi di irrigazione e forme di potatura sempre più compatibili con la salvaguardia dell’ambiente.

Viticoltori Friulani La Delizia s.c.a. | Via Udine, 24 | 33072 Casarsa della Delizia (PN) Italy | T. +39 0434 869564 www.ladelizia.com Vini La Delizia


Foto d’archivio Elio e Stefano Ciol

Lungimirante e accorta anche in fatto di investimenti, la Cantina Vini La Delizia, segue e dirige costantemente i 450 soci coltivatori fornendo supporto tecnico di indirizzo nelle differenti politiche colturali, dalla selezione clonale alla messa a dimora delle barbatelle e li affianca durante tutto il ciclo produttivo. L’intera fase di lavorazione e fermentazione si avvale di moderni impianti tecnologici, sotto lo stretto controllo dei cantinieri e dell’enologo. Nuovi investimenti in produzione, un centro logistico all’avanguardia e una rete commerciale capillare consentono alla Cooperativa friulana di essere distribuita in maniera ottimale sul mercato nazionale e internazionale, tanto da essere uno dei maggiori interlocutori del settore. La recente estensione dell’area Doc Prosecco a quattro provincie del Friuli, nata per tutelare il mercato internazionale di questo vino, ha attuato una profonda trasformazione nel panorama vitivinicolo locale. Anche la Cantina Vini La Delizia cogliendo l’opportunità, ha destinato ben 500 ettari, in pratica il 15% dell’intera produzione regionale. La potenzialità della produzione spumantistica della Cantina si attesta a 8 milioni di bottiglie, con una capacità attuale di spumantizzazione pari a 60 mila ettolitri annui. Il metodo Charmat per la Cantina di Casarsa rappresenta il 30% della produzione attuale e nei prossimi anni è previsto un aumento attorno al 35-45%. La produzione di Prosecco per Vini La Delizia si presenta quindi come un volano positivo in continuo sviluppo. Dall’accurata selezione delle migliori uve, sono nate le nuove linee di vino fermo Sass Ter e vino Spumante Naonis, vini raffinati ed eleganti che sanno esprimere le caratteristiche peculiari della zona d’origine.


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Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo Anno III, Numero 9 Direttore Responsabile Renzo Zorzi zorzi@mangiavino.com Direttore Editoriale Renato Paglia paglia@mangiavino.com Vice Direttore Editoriale Giorgio C. Riva riva@mangiavino.com Editore e Concessionario per la Pubblicità srl

Direzione commerciale e amministrazione Via Mantica 38, 33100 Udine tel. 0432 500468 grafica@bmeditore.com ; redazionemangiavino@libero.it Commerciale Stefano Sanna, Daniele Bressan Hanno Collaborato a Questo Numero Enrico Bertossi, Marco Calzavara, Gianluca Castellano, Bruno Cataletto, Giorgio Del Tedesco, Federico Magni, Raffaella Nardini, Renato Paglia, Alessandro Pareschi, Maria Franca Petraz Immagini di Gianni Antoniali, Elisa Caldana, Marco Calzavara, Ulderica Da Pozzo, Dario Di Gallo, Fabrice Gallina, Umberto Pellizon, e di chi citato. Se non diversamente indicato, sono dovute alla cortesia degli autori dei testi e/o degli intervistati e/o delle persone e/o degli enti di riferimento/provenienza e/o della redazione Impaginazione Grafica Martina Madrisan, Kevin Bisiacco Stampa La Tipografica Srl Basaldella di Campoformido (UD) Prezzo di Vendita € 8,00 Rivista Unica di Proprietà dell’Associazione Italiana Sommelier del Friuli Venezia Giulia Presidente Renzo Zorzi renzo.zorzi@aisfvg.it Registrata presso il Tribunale di Udine il 17/09/2013, n. 8/2013, ISSN 2283-7973 Degustazioni Gianni Ottogalli, ove non altrimenti precisato Abbinamenti ai Piatti Alessandro Pareschi o chi specificato I prezzi dei vini delle schede sono quelli medi d’enoteca Ringraziamenti a Daniele Cernilli, Alessio Devidè, Jean-Etienne Matton, Antonia Klugmann, Edi e Kristian Keber, Brigitte Zamò Un ringraziamento particolare a

Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione totale o parziale di testi, fotografie, marchi e loghi non è consentita www.issuu.com/mangiavino 82


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