9 772283 797304
ISSN:22837973 20171
bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore ISSN 2283-7973
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MANGIAVINO
MANGIAVINO Rivista Unica dell'Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia
Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo
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Fresca, fruttata, secca. Ribolla Gialla Brut. La Ribolla Gialla Br u t è il fio re a ll’ o cchiello della lin ea spu ma nti dell’azienda Pighin. Da l delic a to p ro fu mo flo rea le e sento ri di fr u tta agr umata. Elegante sol o co me u n v ino della tra dizio ne friu la n a sa essere.
VIGNAIOLI DAL 1963
FER NANDO PIGHIN & FIGLI S.Agr. a R.L. Viale Grado, 11/1 Fraz. R isano - 33050 Pavia di Udine (UD), Italy tel. + 39 0432 675 444 fax +39 0432 675 999 info@pighin.com w w w.pighin.com
COLLIO BIANCO “STARE BRAJDE” Vino autentico del territorio, prodotto esclusivamente con uve Tocai Friulano, Malvasia Istriana e Ribolla Gialla, provenienti dalle vigne più antiche della famiglia Muzic. Le uve vengono raccolte manualmente ed assemblate già in fase di vendemmia, nel rispetto delle più antiche tradizioni del Collio. Nasce così un’uvaggio perfetto, che matura nella nostra cantina per oltre venti mesi. Un vino capace di esprimere al meglio il territorio, e di sfidare il tempo. Prima annata prodotta: 2015
MUZIC Azienda Agricola Muzic • Località Bivio 4, 34070 • San Floriano del Collio (GO) • Tel. 0481 884201
www.cantinamuzic.it
Editoriale A gonfie vele! I dati, inconfutabili, lo certificano. Il turismo in Italia e nello specifico quello del Friuli Venezia Giulia ha confermato il trend di crescita che già negli anni passati si era registrato. La nostra regione è tra le prime cinque per incremento turistico con un 15,4% in più insieme a Liguria e Puglia. La montagna friulana ha visto arricchire le presenze con percentuali a 2 cifre. Non parliamo poi del “turismo enologico” che, di anno in anno, migliora i sui dati anche se c’è ancora molto da fare. Anche il vino made in Italy produce un aumento del 7% nel valore dell’export, raggiunge il massimo storico di circa 6 miliardi di euro e si conferma al primo posto dell’esportazione agroalimentare nazionale. In particolare la spumantistica segnala un’espansione delle vendite all’estero del 15% in valore con un record che si avvicina a 1,2 miliardi di euro. I motivi sono oggetto di studio e di ipotesi, com’è doveroso, da parte degli analisti del settore. A noi, semplici operatori, umili portatori d’acqua, postulanti del bello e del buono, i dati non ci sorprendono, anche se, inutile dirlo, ci fanno molto piacere. Da tempo le sinergie tra i vari comparti danno segnali positivi indicando nettamente la strada da percorrere. La luce in fondo al tunnel da flebile è diventata nitida. Non dobbiamo spegnerla.
Renzo Zorzi Direttore Responsabile Presidente Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia
c o n t e n u I Ultins Di Cjargne di Marco Calzavara /p. 8 Pignolo Di Nome Di Fatto di Renzo Zorzi /p. 10 Canons Di Priorat Diabolici Francesi di Federico Magni /p. 16 Le Insuperabili Meringhe Degli Udinesi di Enrico Bertossi /p. 22 L’olio Extravergine Di MangiaVino di Alessandro Pareschi /p. 26 Il Dominin Di Buttrio di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 28 Picolit
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Le Confessioni Di Un Giovane Sommelier di Walter Filiputti /p. 36
Le Erbe Dei Vigneti Di Cormons di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 38 Antica Dolce Zucca di Raffaella Nardini /p. 48 Novanta
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Non Sentirli di Daniele Cernilli /p. 52
t i In Copertina “Cromie ferree”
Storia Di Lande Classiche I Cuochi
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Mieli di Diana Candusso /p. 56
La Televisione di Renato Paglia /p. 58
La Ricetta Di Mangiavino /p. 60 Una Bottega Spiritosa di Bruno Cataletto /p. 62 Silvia, Simona In Giardino
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Il Loro Magico Nodo di Giorgio C. Riva /p. 66
In Veranda, Tra Carso
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Città di Giorgio C. Riva /p.70
Il Maestro Liutaio di Flavia Virilli /p.76
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BORGO EIBN MOUNTAIN LODGE I-33020 Sauris (UD) - Tel. +39 392 0027191 - info@borgoeibn.it
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I ULTINS DI C JARGNE "I ULTINS" SONO "GLI ULTIMI" TESTIMONI DI UN MONDO CHE NON C'È PIÙ di Marco Calzavara Foto di Elido Turco
È di poche parole Leonardo Mecchia da Tolmezzo, che oggi vive ad Entrampo, subito dopo il ponte sul fiume Degano, all’imbocco della Val Pesarina. Leonardo oggi pratica il mestiere di segare tronchi per ricavarne tavolame da lavoro o per mobili e legna da ardere. Ma nella sua vita, prima di questa attività, ha praticato diversi lavori; da muratore a falegname per poi finire, come dice lui, a “seà troncs” (segare tronchi), il mestiere di suo padre! 10
concept: MumbleDesign.it
Elegance is an attitude. SINCE 1910
Il tocco elegante dei nostri vini bianchi è nella natura e nei profumi di questa terra, le Grave, di cui siamo interpreti fino dal 1910 con i nostri vini e i nosrtri valori: forza, tenacia, rispetto e difesa del territorio simboleggiati dalla spada, antico emblema della nostra famiglia.
“Botis� Ribolla Gialla.
PIGNOLO DI NOME E DI FAT TO di Renzo Zorzi
Misterioso, quasi sconosciuto. A volte osannato come autentica perla enologica regionale, a volte dimenticato. Certamente conflittuale il rapporto tra questo vino/vitigno e i produttori e gli appassionati di vino, friulani in particolare. I motivi di questo “amore a fasi alterne” vanno ricercati nella difficoltà di coltivazione quanto nella resa avara che questa cultivar offre.
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Diffuso prevalentemente nella Doc Colli Orientali del Friuli e nella sottozona Pignolo di Rosazzo. I risultati sono eccellenti. Un centinaio gli ettari vitati. E un vitigno a bacca nera. La foglia è trilobata, verde intenso con nervature rosse alla base. Il grappolo è piccolo, serrato, di forma cilindrica. L’acino è piccolo, rotondo, pruinoso. È spesso, coriaceo, scuro. Leggermente tannico al palato. La polpa è dolce. Le rese sono bassissime: tre o quattro grappoli per pianta e questo significa tra i duecentocinquanta grammi e il mezzo chilo per ceppo. Va anche detto che la pianta ha difficoltà di allegagione e quindi è incostante nella sua produttività. Forse proprio da questa carente generosità deriva il nome. Altri invece riconducono il nome alla forma caratteristica del grappolo simile a una pigna. Questi “difetti” sono in realtà il suo pregio poiché è un vino ottenuto da bassa resa, ricco di tannino, ben disposto al lungo affinamento nel legno. Tutto ciò lo rende adatto all’invecchiamento che sicuramente va ben oltre i quindici o vent’anni. Questo vino è stato “riscoperto” dalla moderna vitivinicoltura da poco più d’una trentina d’anni. Le sue caratteristiche fanno pensare che la durata possa superare svariati decenni. Le sue complessità olfattive e gustative sono espresse, fino ad oggi, probabilmente solo in parte. Il colore è rubino cupo con toni accesi dalle sfumature violacee. I profumi, aristocratici ed eleganti, spaziano dalla marasca matura al legno tostato, dal sottobosco, al tabacco, all’incenso. In bocca è possente, infinito. Eppure il Pignolo è presente in Friuli almeno dal 1422. Questa data compare sul documento che elenca il pagamento, in vino, di un terreno in affitto a San Giovanni di Manzano. Altri documenti, risalenti al 1300, lo citano. In vari attestati, nei secoli a seguire, compare il nome Pignolo. Anche il Di Manzano afferma che questo vino, già nel XII secolo, era un vino delle grandi occasioni. Solo nei primi decenni dell’Ottocento si può leggere qualche nota che ne esalta i pregi. Nel 1939 il Poggi scrive: “vecchio vitigno friulano, quasi scomparso per la sua limitata produttività e per la sua scarsa resistenza all’oidium. Si trovano esemplari ancora su piede franco sulle colline di Rosazzo…” e poi cita un precedente commento del Prof. Dalmasso che ne aveva intuito le potenzialità: “… tipo singolare di vino: di lusso”. Guido Poggi, nel suo Atlante ampelografico delle varietà friulane, prosegue tessendo lodi al Pignolo, ma pronosticando, sbagliando per fortuna, la sua sicura scomparsa. Negli anni quaranta però il Pignolo fece perdere, di fatto, le sue tracce. Rimaneva notizia, di qualche pianta, sopravvissuta qua e là nei Colli Orientali. Eppure il Pignolo era da sempre coltivato in precise aree a Est di Udine: a Dolegnano nei vigneti dell’amministrazione dei Conti Trento, all’Abbazia di Rosazzo, nell’area di Rocca Bernarda, verso il cividalese e in qualche altra zona. Le cause di questa scomparsa sono da attribuire all’ incostante produzione e certamente l’arrivo della filossera, a fine Ottocento, trovò facile preda in questo vitigno tanto da indurre i contadini e i mezzadri a non ripiantarlo più. Le poche viti rimaste e “ritrovate” in seguito da Girolamo Dorigo e Walter Filiputti, quest’ultimo subentrò nell’amministrazione dell’Abbazia di Rosazzo, infatti erano ancora su piede franco e molto vecchie. Per molti anni quindi nessuno si curò più del Pignolo tanto da essere escluso dall’elenco dei vitigni del Friuli Venezia Giulia. Solo nel 1978 fu introdotto nell’elenco dei vitigni autorizzati della provincia di Udine. Alla rinascita del Pignolo contribuì anche la famiglia Nonino che nel 1983 insignì con il Risit d’aur l’Abbazia di Rosazzo per il aver contribuito al recupero del vitigno. Un effetto mediatico e benefico dirompente che portò, purtroppo solo però nel 1995, al riconoscimento della denominazione di origine. Avventurosa la storia del ritrovamento del pignolo. Un vitigno perso e poi ritrovato. Erano i primi anni settanta del secolo scorso, l’Abbazia di Rosazzo, autentica icona storica dell’enologia friulana, era ancora retta da una figura mitica: Don Luigi Nadalutti, che possedeva, oltre alle doti pastorali, una vastissima cultura vitivinicola tanto da essere vero punto di riferimento per il mondo enologico friulano. In quegli stessi anni maturava lentamente nei vigneron friulani una coscienza enologica e soprattutto una consapevolezza che il terroir e le cultivar locali possedevano grandi opportunità nel panorama vitivinicolo italiano. Erano gli anni delle prime valorizzazioni del territorio. Il Pignolo era “sulla bocca di tutti” ma nessuno, o quasi, l’aveva mai assaggiato. Alcune indiscrezioni segnalavano che qualche vite era ancora presente nella Badia di Rosazzo. Don Nadalutti era assillato dalle richieste alle quali non poteva acconsentire. Filiputti scrive: “nel ’78 feci l’amara scoperta: di viti ve n’erano solo due, appoggiate al vecchio muro che guarda a mezzogiorno. Da quelle due viti partimmo per recuperare il Pignolo di Rosazzo”. Qualche tralcio della potatura invernale e il gioco riuscì. “…pur con molta umiltà – racconta Girolamo Dorigo – ci sembrava di essere degli archeologi. Eravamo consapevoli che stavano facendo una grande operazione di rinascita e di salvaguardia del nostro patrimonio ampelografico”.
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ERMACORA Friuli Colli Orientali Pignolo 2011 Alc. 14,5% - Euro 27
RONCO DELLE BETULLE Friuli Colli Orientali Pignolo 2010 Alc. 14,5% - Euro 29
Affascinante rosso rubino fitto con bordo purpureo. Suggestioni balsamiche e sbuffi di tabacco biondo si alternano a intense note fruttate di marasche mature, rose rosse appassite, polvere di cacao, caffè in grani, tabacco e humus. La carica tannica è ben supportata da componenti morbide avvolgenti e vellutate. In barrique di Allier per 36 mesi, poi lungo affinamento in bottiglia. Capretto al forno con le patate di Godia.
Bella tonalità di rosso granato vivace e compatto. Conquista l’olfatto con un ventaglio di sensazioni odorose complesse e variegate. Alla confettura di frutti rossi fanno seguito contrappunti di sottobosco con cenni di funghi e tartufo nero. In bocca è sontuoso, con struttura potente e tannini vibranti. Il finale è caldo e suadente. Maturato 30 mesi in rovere francese e altri 36 in bottiglia. Scaloppa di cervo.
IL RONCAL Friuli Colli Orientali Pignolo 2011 Alc. 14% - Euro 40 Rosso granato fulgido e invitante. Esuberante all’olfatto ove prevalgono effluvi speziati di chiodi di garofano cui fanno seguito sentori di more e mirtilli, arancia sanguinella, bacche di ginepro, legno arso e tabacco. L’assaggio avvolgente, sostenuto da tannini vivaci e progressivi che contribuiscono all’equilibrio e alla piacevolezza della beva. Per 6 mesi in acciaio, poi altri 30 in barrique. Stinco di maiale al forno. CANUS Friuli Colli Orientali Pignolo 2010 Alc. 14% - euro 30 Sfumature di rosso granato contornano un cuore ancora rubino. Si presenta al naso con temi balsamici e speziati che ricordano, in particolare, pepe nero e chiodi di garofano. Regala poi suggestioni di china, caffè tostato, cioccolato fondente e grafite. Gustoso, morbido, avvolgente, con tannino superbo ma composto. La buona freschezza e la piacevole sapidità garantiscono equilibrio. Invecchiato in botte per 3 anni. Lepre in salmì.
DORIGO Friuli Colli Orientali Pignolo 2013 Alc. 14% - Euro 50 Rosso rubino intenso e profondo. Profumo austero di grande eleganza e complessità. Rievoca piccoli frutti a bacca nera, liquirizia, rosa rossa, polvere di cacao, spezie scure e sottobosco. All’assaggio la vivacità del tannino è ben bilanciata dalla morbidezza. Ottima la persistenza e la corrispondenza olfattiva richiama erbe officinali essiccate. Sosta per 30 mesi in barrique di rovere francese. Petto d’anatra glassato. 14
COLLAVINI Friuli Colli Orientali Pignolo 2009 Alc. 14% - Euro 50 Bel rosso rubino intenso, compatto e impenetrabile. L’approccio al naso è articolato con note di incenso e spezie scure cui si aggiungono gradevoli sentori mentolati e effluvi di confettura di piccoli frutti neri. In bocca è succoso, con tannini prepotenti ma ben integrati che minimizzano l’importante presenza alcolica. Maturato per 5 anni in barrique e altri 2 in bottiglia. Pernice allo spiedo e tartufo di Muzzana.
TORRE ROSAZZA Friuli Colli Orientali Pignolo 2013 Alc. 14% - Euro 27 Belle cromature violacee contornano il cuore rosso rubino. Il profumo è caratterizzato da intriganti spezie, su cui spicca la curcuma, accompagnate da suggestioni di cioccolato fondente, tabacco, erbe officinali, cuoio e legno di cedro. All’assaggio ottima struttura ed equilibrio con tannini robusti ma composti e accattivanti. Per almeno 24 mesi in barrique di Allier. Ossobuco al forno.
RODARO Friuli Colli Orientali Pignolo Romain 2009 Alc. 15,5% - Euro 30 Un vibrante rosso rubino con variazioni granate introduce l’olfatto intenso e complesso con spezie di noce moscata e sandalo in primo piano. Emergono poi gradevoli risvolti floreali, sbuffi di frutta secca e aromi balsami di eucalipto. L’impatto in bocca è morbido, l’allungo è fresco e ben proporziona la beva. Il finale è lungo e saporito. Matura nel legno francese per 36 mesi. Pappardelle al ragù di capriolo. LIVON Friuli Colli Orientali Pignolo Eldoro 2012 Alc. 15% - Euro 18 Rosso rubino vivace con riflessi giovani. Intense sfumature di fragoline di bosco e ciliegie sotto spirito subito seguite da spezie quali cannella e noce moscata. Frutta secca, liquirizia e resina di pino completano l’olfatto mentre in bocca emerge la freschezza collegata ed una vellutata trama tannica. In legno per 15 mesi e poi lungo affinamento in bottiglia. Spezzatino di cinghiale.
BORGO SAN DANIELE Arbis Ros 2012 Alc. 14% - Euro 25 È un Pignolo in purezza di colore rosso rubino intenso con riverberi violacei. All’olfatto aromi croccanti di prugne e amarene sotto spirito si combinano con spezie orientali, eleganti erbe provenzali essiccate, cioccolato fondente, viola appassita e tartufo. Il tannino grintoso esalta la freschezza e regala un sorso esuberante, balsamico, pieno e suadente. Maturato nel rovere per 20 mesi. Costolette d’agnello e timo.
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MOSCHIONI Friuli Colli Orientali Pignolo Riserva 2011 Alc. 14% - euro 45 Colore rosso cupo con bordo violaceo. Olfatto esuberante e articolato. Inizia con intensi richiami floreali e fruttati seguiti da fragranze di liquirizia, tabacco da pipa, bacche di ginepro, sottobosco, mirto, eucalipto e grafite. In bocca è succoso, avvolgente, con tannini vivaci. Incredibile la freschezza. Barrique nuove per 1 anno, poi il legno grande e infine l’acciaio. Non filtrato. Carrè di maiale con le prugne. LE VIGNE DI ZAMÒ Colli Orientali del Friuli Rosazzo Pignolo 2008 Alc. 13,5% - euro 35 La vivacità e l’intensità del rosso rubino fitto annunciano fragranze che subito conquistano l’olfatto con more, erbe, e ciliegie selvatiche. Poi sbuffi minerali di gesso e grafite, cacao, tabacco scuro e cuoio sotto un velo di spezie dolci. Il sorso, ben equilibrato, è corrispondente e balsamico. In barrique nuove per 24 mesi, poi botte grande e lunga permanenza in bottiglia. Filetto di manzo al pepe verde.
CA’ TULLIO Friuli Colli Orientali Pignolo Antico 2013 Alc. 13,5% - euro 18 Bella tonalità di rosso rubino fitto. Subito fresche amarene e frutti di bosco aprono il percorso al sottobosco ed erbe officinali seguite da spezie dolci e da mineralità terrose di humus, funghi e muschio. Piccoli frutti rossi e neri chiudono l’olfazione. Avvolgente ed equilibrato con trama tannica smussata e ben integrata. Lunga persistenza. Fermenta in barrique e matura a lungo in legno. Brasato di pezzata rossa.
SPECOGNA Friuli Colli Orientali Pignolo 2012 Alc. 14% - euro 20 Rosso rubino intenso, fitto e profondo. Naso esuberante e variegato, caratterizzato dai disegni floreali di viole e iris che fanno da sottofondo a liquirizia, spezie, caffè, cuoio e cioccolato fondente. Grande struttura con tannini ancora giovani che contribuiscono alla bella vivacità. Il finale è lento, sapido e gradevolmente balsamico. Per 36 mesi in barrique e tonneau di rovere francese. Gulasch ungherese con polenta.
CASTELLO SANTANNA Friuli Colli Orientali Pignolo 2009 Alc. 15% - euro 50 Bella nota cromatica di rosso rubino con cuore cupo e bordo granato. Il profumo è caratterizzato da intriganti suggestioni di china, rabarbaro, cioccolato fondente, tabacco da pipa, cuoio, legno di cedro e polvere di caffè. Il sorso è pieno e suadente con comparto tannico vigoroso ben amalgamato al contesto glicerico che apporta equilibrio. Per oltre 7 anni in barrique di rovere francese. Arista di maiale al cioccolato.
I may not be perfect
But it scares me how close to it I am
D I L E N A R D O V I N E YA R D S F R I U L I - I TA L I A T +39.0432.928633 F +39.0432.923375 INFO@DILENARDO.IT W W W. D I L E N A R D O. I T
CANONS DI PRIORAT DIABOLICI FRANCESI di Federico Magni
Foto di Xavi Vaqué
Laurent Combier, Jean Michel Gerin e Peter Fisher. Tre amici. Tre vignaioli. Tre produttori. Di Crozes-Hermitage, Laurent; di Cote-Rotie, Jean Michel, e di vini dell’entroterra di Aix-en- Provence, Peter. Nemmeno loro sanno esattamente chi e cosa li abbia spinti, ormai quindici anni fa, a intraprendere (affiancando all’attività dei rispettivi, affermati, domaines) l’avventura, totalmente nuova, della creazione di una cantina in Priorat, in Catalogna, nel piccolo paese di Torroja del Priorat, a una cinquantina di chilometri da Tarragona, tra valli attraversate da più di un riu, in cui i vigneti, quelli “infernali” soprattutto, sono aggrappati a pendii estremamente scoscesi. La scommessa del “trio infernale”, così sono noti da queste parti, può dirsi oggi vinta, con otto ettari di vigneti divisi in parcelle vinificate separatamente. È stata proprio l’osservazione del paesaggio, dei suoli e delle esposizioni a guidare le scelte dei “nostri” che si sono poi limitati a seguire e a lasciar fare questa regione che, da qualche anno ormai, si sta proponendo come una delle principali serie realtà enologiche spagnole.
Le prime viti furono piantate in epoca romana su colline perfettamente terrazzate. Dopo un’epoca di declino coincisa con la dominazione musulmana, si deve all’opera dei monaci certosini il rinascimento della coltivazione viticola fino all’attacco, terribile qui più che altrove, a fine ‘800, della fillossera. Solo a partire dagli anni ’70 si è assistito a un ritorno in auge dell’appellazione Priorat, che oggi è l’unica, insieme alla Rioja, a potersi fregiare della DOQ (Denominazione di Origine Qualificata). L’interesse di tre campioni dell’enologia transalpina non può far altro che confermare le potenzialità di queste terre apparentemente ostili. Certo, la “mano francese” si sente, eccome. Si sente soprattutto nella facilità di beva dei vini, nella loro eleganza e nella raffinatezza di profumi e di sapori, nella vinificazione parcellare senza chiarificazioni né filtrazioni, nella densità di impianto, nella scelta biologica fatta fin da subito, nel 2002, grazie anche alla selezione di preziosi collaboratori in loco. Risultato, vini territoriali senza esagerare in concentrazione e alcolicità percepita. Da bere a bicchieri. “Canons” (termine gergale francese che sta ai “nostri” “tagli”, “ombre”). L’orientazione dei vigneti è per circa una metà a nord e per la metà restante sud. Le tipologie di terreno sono fondamentalmente tre: ardesia marrone, qui conosciuta come llicorella, per la colorazione molto simile alla liquirizia, ricca in ferro e quarzite, capace di trattenere le poche precipitazioni annuali che interessano la zona caratterizzata da clima solitamente molto caldo e secco, ardesia viola e gneiss. I vitigni sono quelli da sempre coltivati in Priorat, garnacha, cariñena e syrah, vitigni di cui i tre “galli” hanno conoscenza e padronanza assoluta essendo anche quelli maggiormente presenti nella valle del Rodano. Il carignan, sia nel Fonsclar che nell’Aguilera Viñas Viejas, merita, credete, una menzione particolare raggiungendo qui livelli di assoluta eccellenza.
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RIU 2011
Uve: grenache 33%, carignan 33%, syrah 33% Alc. 14% - Euro 20 Vigne situate tutte nella zona collinare del piccolo comune di Torroja, su suoli ricchi di scisto. Il colore è un intenso rosso rubino che vira sul granato nei bordi del bicchiere. Effluvi di piccoli frutti rossi aprono la strada a sensazioni più scure di sottobosco e di confettura di prugna impreziosite da precise note di caffè in torrefazione, viole essiccate e da una notevole trama speziata che è soprattutto di pepe lungo. Assaggio potente e succoso, senza mancare di compostezza, in cui l’equilibrio dato dal sapiente assemblage è forse la caratteristica principale. Richiami corrispondenti lungo tutto il sorso che finisce con sapori appena balsamici. Per 12 mesi in demi muid (rovere francese da 600 litri). Spezzatino di cinghiale.
FACE NORD 2013
Uve: syrah 100% Alc. 14% - Euro 30
Esposizione a nord per queste vigne impiantate su terreni scoscesi prevalentemente costituiti da gneiss. Rosso rubino intenso. Tutto il corredo aromatico che ci si aspetta da uno syrah di razza con le speziature di pepe nero e verde che si sovrappongono a bacche di ginepro, alla china, al cioccolato fondente e alle erbe aromatiche essiccate. Non manca la componente fruttata data da profumi di cassis e di more sotto spirito. Indugiano poi fresche note balsamiche di resina. Freschezza balsamica che avvolge il palato ingentilendo bella forza espressiva. Procede con il proprio corredo speziato che si arresta lentamente su ricordi di sottobosco. Demi muid per 12 mesi. Coniglio al forno al profumo di timo.
COMBIER · FISCHER · GERIN
La Colección Torroja del Priorat
elcasot 2013 priorat
COMBIER · FISCHER · GERIN
La Colección Torroja del Priorat
facenord 2013 priorat
DENOMINACIÓN DE ORIGEN CALIFICADA
DENOMINACIÓN DE ORIGEN CALIFICADA
COSECHADO, ELABORADO Y EMBOTELLADO EN TORROJA DEL PRIORAT POR
COSECHADO, ELABORADO Y EMBOTELLADO EN TORROJA DEL PRIORAT POR
COMBIER·FISCHER·GERIN S.L.
COMBIER·FISCHER·GERIN S.L.
EL CASOT 2011 Uve: grenache 100% Alc. 14% - Euro 30
Si torna sul scisto bruno, sempre in “altura”, con esposizione verso sud. La freschezza balsamica che già si percepiva nel Face Nord assume ne El Casot carattere predominante. Pino silvestre, resina e folate saline dominano l’impianto olfattivo che, poco a poco, svela sensazioni delicatamente terrose e di foglia di te nero attraversate da confettura di ciliegia e more di rovo. Non sorprende la precisione e la facilità di beva giocata sulla perfetta contrapposizione tra un tannino materico e setoso e la nota fresco-sapida di una corrispondenza quasi sfacciata. Sorprende invece il fondo bocca che ritrova una componente fruttata di ottima fattura. Identica vinificazione dei vini precedenti. Piedini di maiale.
FONSCLAR 2011
Uve: carignan 100% Alc. 14,5% - Euro 30
Terreni nuovamente scistosi, esposizione sud-ovest e la tipicità del carignan sono i punti di partenza per descrivere questo vino di un rosso intenso con bordi ancora rubino. I piccoli frutti rossi sono netti, limpidi, sorretti da scorza di agrume candita. Un sentore nobilmente vegetale di macchia mediterranea fa da trait d’union alla componente di grafite, pepe verde, rabarbaro e a punte di chiodi di garofano. Robusto e potente senza esagerare e senza mai perdere di vista l’equilibrio. Il tannino è fitto e ormai pienamente integrato a tutto vantaggio della bevibilità. Il lento finale è un sapiente intreccio di frutti rossi e spezie mediterranee. Per un anno in demi muid. Costicine di agnello al forno.
AGUILERA VIÑAS VIEJAS 2008 Uve: carignan 100% Alc. 14,5% - Euro 50
Esposizione sud-est per vigne di più di cento anni su scisto bruno. Il carignan assume qui la sua espressione massima di intensità, profondità e equilibrio. Già il colore, granato profondo con intensi riverberi luminosi, rende l’idea dell’eleganza e dello spessore del vino. Sensazioni ingigantite dal nobile panorama olfattivo che spazia dal mazzo di fiori essiccati alla frutta rossa in confettura, dalla spezia scura alla scorza di arancia sanguinella, dalla china alla grafite, dalla foglia di tabacco al cioccolato fondente, senza mai perdere di vista equilibrio e compostezza che sono poi le caratteristiche principali dell’assaggio. La materia è potente ma quasi soggiogata dal nerbo fresco-sapido. La persistenza è quasi indefinibile e di una corrispondenza da manuale. I mesi in demi muid sono, in questo caso, 18. Filetto di vitello con tartufo nero.
COMBIER · FISCHER · GERIN
AGUILERA Viñas Viejas Torroja del Priorat
2013 COMBIER · FISCHER · GERIN
La Colección Torroja del Priorat
fonsclar 2013 priorat DENOMINACIÓN DE ORIGEN CALIFICADA COSECHADO, ELABORADO Y EMBOTELLADO EN TORROJA DEL PRIORAT POR
COMBIER·FISCHER·GERIN S.L.
priorat DENOMINACIÓN DE ORIGEN CALIFICADA COSECHADO, ELABORADO Y EMBOTELLADO EN TORROJA DEL PRIORAT POR
COMBIER·FISCHER·GERIN S.L. Product of Spain
L’INFERNAL TORROJA DEL PRIORAT www.linfernal.es COMBIER-FISCHER-GERIN chez Domaine Combier R.N. 7 - 26600 Pont de l’Isère (France)
MALVASIA FRIULI ANNIA
Denominazione di Origine Controllata Il nome Malvasia pare arrivi direttamente da una città greca del Peloponneso, Monenbasia, Monemvasia o Monovasia, che significa “porto ad una sola entrata”, città che per assonanza con il nome greco fu ribattezzata dai Veneziani “Malvasia” e furono i Veneziani nel Quattordicesimo secolo i primi a portare da questo luogo in Italia, soprattutto al Nord, un vino, a quel tempo dolce e aromatico, che iniziò ad essere talmente apprezzato da utilizzare il vitigno stesso come vera e propria moneta di scambio commerciale. Oggi, ai margini della laguna di Marano, la nostra Malvasia cresce rigogliosa, curata con amore dalle sicure mani degli uomini del vino. Un luogo dall’atmosfera contemplativa dove i profumi del mare e della terra s’incontrano naturalmente.
www.lefavole-wines.com - info@lefavole.com
anche quest'anno Si conferma il successo della nostra M a l v a sia doc f r iul i a nnia 20 1 5 a l concor so int ernazi onale “Vinistra - Il Mondo delle Malvasie” tenutesi a Poreč (Parenzo) in Croazia.
ARGENTO
ORO
ORO
OR O
2014
2015
2016
20 1 7
il mondo delle malvasie concorso internazionale
LE INSUPERABILI MERINGHE DEGLI UDINESI di Enrico Bertossi
A Udine per oltre mezzo secolo torte, paste e meringhe hanno avuto il nome di Bepi De Liva e del suo Laboratorio del Dolce in vicolo Sottomonte.
“Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo essere cacciati” -affermò lo scrittore e pedagogista tedesco Johann Paul Friedrich Richter, in arte Jean Paul- e confesso che quando da bambino vedevo arrivare il giorno del mio compleanno la sua Fiat 600, con lui alla guida, e la scatola di legno con dentro la Saint Honorè, provavo una grande emozione. Anche il rito delle paste della domenica si consumava salendo la salita del Castello, piegando leggermente a sinistra e varcando l’uscio del Laboratorio, tuttora in attività sotto l’abile regia di Danilo D’Olivo, immergendosi in un trionfo di creme e soprattutto di meringhe.
PASTICCERIA LABORATORIO DEL DOLCE di Danilo D’Olivo Vicolo Sottomonte, 2 33100 Udine T. 0432 299375 www.laboratoriodeldolce.it
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Documentarsi prima di scrivere è una regola aurea alla quale mi sono attenuto andando recentemente ad acquistare in incognito le mitiche meringhe e posso assicurare che conservano intatta la bontà e il gusto di quando c’era il Maestro Bepi. Persino la Saint Honorè è la stessa, immutata e buona come un tempo: fantastica. Figura emblematica della vecchia Udine, simbolo dell’arte pasticcera, Bepi De Liva arriva in città nel 1928 nel laboratorio, con forno a legna, sul retro della famosa sala rossa del Caffè Dorta, storico locale all’inizio di via Mercatovecchio. Nel 1956 si mette in proprio, prende in affitto il retrobottega, aprendo un ingresso in vicolo Sottomonte, e lì vi costituisce il “Laboratorio del Dolce”, che conduce fino al 1977. Gli subentra Danilo D'Olivo, che da anni -sono già quaranta!!-, con maestria e sapiente passione, prepara con cura i dolci, creando sempre bontà uniche frutto, oltre che di competenza ed esperienza, dell'uso delle migliori materie prime, per offrire sempre il più elevato livello di qualità, con un'ampia offerta di pasticceria di produzione propria fresca e secca, torte nuziali e per ogni cerimonia e occasione. Lo chiamavano, Bepi De Liva, il pasticcere del Papa, in virtù del titolo di Nunzio Apostolico e Arcivescovo del fratello Ottavio, ma lasciò il segno addolcendo le giornate dei Presidenti della Repubblica Gronchi e Saragat, che lo ricambiò, quest’ultimo, nominandolo Cavaliere.
Non c’è mai stata una occasione importante o un matrimonio di famiglie udinesi senza la torta del suo Laboratorio del Dolce e immagino che con i ricordi di tanti udinesi si potrebbe scrivere un libro intero attraversando la storia della città per più di cinquant’anni. In occasione della 47^ edizione del Premio del Lavoro e del Progresso Economico della Camera di Commercio il pubblico del teatro Giovanni da Udine tributò al De Liva un calorosissimo e affettuoso applauso che lui ricambiò con la verve e la simpatia che tutti conoscevano. L’arzillo vecchietto concluse la sua performance sul palco con un tuffo, non voluto, scendendo i gradini. Fu prontamente raccolto al volo da due angeli che presidiavano la zona e tutto finì in allegria. Bepi De Liva conservò gelosamente per decenni il vecchio forno a legna del Caffè Dorta al punto di ricostruirlo nella sua casa di viale Trieste. Chissà se c’è ancora? Artigiano accorto, un vero maestro per molti pasticceri. Tra i suoi discepoli accanto a Danilo D’Olivo, che ne ha preso il posto, amava ricordare Boaro di Feletto, Pinat di Cervignano e Giada di Tricesimo Sono i personaggi come il De Liva e i suoi allievi il vero patrimonio dell’Italia: artisti che nessuno mai potrà copiare e industrializzare.
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AL PARCO_Buttrio Via della Tomba Antica | 33050 Zugliano Pozzuolo del Friuli | UD | T: 0432 561264 www.grandicucineblm.com
Ăˆ tutta questione di equilibrio Dal 1499 www.tenutavillanova.com
L'OLIO EXTRAVERGINE DI MANGIAVINO di Alessandro Pareschi
LA DEGUSTAZIONE DELL’OLIO Degustare significa assaggiare, assaporare e gustare, dal latino “gustus”, (giusto, sapore). Anche l’olio
si degusta, non in veste di bevanda, bensì di condimento. Attraverso l’analisi sensoriale si può cogliere la personalità olfattiva e gusto-olfattiva di un olio, a partire dalla frangitura, che è il momento della sua massima espressione di integrità e freschezza, e seguendone l’evoluzione. Pur non possedendo l’appeal descrittivo e degustativo proprio del vino o di altre bevande, l’esame organolettico di un olio consente di descriverne le sfaccettature in maniera gradevole e comprensibile a tutti; anzi, alcuni passaggi dell’indagine sono un cardine irrinunciabile per determinare il suo impegno corretto in cucina. L’olio impreziosisce un piatto con il suo sapore, può assecondarne la personalità, arricchirla in profumi e sensazioni, creare una particolare connotazione sensoriale o contrastarla. Può trasformare un alimento quando è utilizzato per la cottura o impiegato come conservante nelle preparazioni sott’olio. Pertanto, occorre orchestrare le diverse sfaccettature del gusto nella sua combinazione con il cibo. Lo scopo della degustazione è fornire risultati confrontabili tra loro, anche se le azioni sono eseguite in tempi diversi e da attori differenti. Per questo motivo è indispensabile mettere a disposizione del degustatore parametri di valutazione, regole precise per analizzare e valutare i singoli parametri, nonché una terminologia descrittiva da assegnare a ogni parametro attraverso un linguaggio comune. Dalla descrizione dell’olio si posso estrapolare gli elementi utili per comprendere se e come quell’olio possa essere in sintonia con un cibo. Olio, Degustazione e Abbinamento – Associazione Italiana Sommelier – 2017
LA CASTELVECCHIO Località Castelnuovo, 2 34078 Sagrado (GO), T. 0481 99742 www.castelvecchio.com
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AMEDEO E PAOLO PASCOLINI Via Gagliano, 10 33043 Cividale del Friuli (UD) T. 333 6904510 www.oliogiano.it
COMELLI Case Colloredo, 8 Colloredo di Soffumbergo 3304o Faedis (UD) T. 0432 711226 www.comelli.it
ZAHAR DI TANIA STEFANI Sant’Antonio in Bosco 58 34018 San Dorligo della Valle (TS) T. 348 0925022 www.zahar.it
RUSSIZ SUPERIORE PAOLINO DI CURRENTI Via Russiz, 7 GIAMPAOLO Località Russiz Superiore Località Sedilis 34070 Capriva del Friuli (GO) 33017 Tarcento (UD) T. 0481 80328 T. 348 1316136 strok.paolino@gmail.com
CASTELVECCHIO OLIO BLEND
Si offre al naso con note di carciofo, erbe campestri, pera decana e sbuffi balsamici che ricordano gli aghi di pino. All’assaggio si scopre una pasta fine, dolce in apertura innervata da amaro e piccante, mai invadenti, in costante progressione. Armonia, complessità e buon equilibrio si uniscono a una notevole lunghezza gusto-olfattiva dove prevale la scia di frutta gialla. Rombo in crosta di patate alle erbe fini. Varietà coltivate: bianchera, leccino, leccio del corno, pendolino, frantoio, maurino, casaliva. Oli prodotti: blend. Ettari coltivati: 1,5 Età media delle piante: 20 anni. Numero piante: 600. Produzione 2016: 1600 bottiglie da l 0,50. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 16.
COMELLI
OLIUM NOSTRUM
Al naso è connotato da profumi ampi, netti e ben articolati; intenso e fresco, complesso. Sentori vegetali d’ortaggi come bietola, carciofo e lieve di foglia di pomodoro poi erbe di campo con mentastro, agrumi verdi, noce fresca e fiori bianchi. Agli iniziali toni dolci succede una sferzante percezione amarognola in armonia con piccantezza e sapidità ben integrate. Pieno, persistente, finale di notevole lunghezza e pulizia. Ideale su arrosto di agnello del Carso, timo e spuma di patate viola. Varietà coltivate: bianchera, leccino, frantoio, pendolino. Oli prodotti: Olium Nostrum Ettari coltivati: 1,25. Età media delle piante: 20-25 anni. Numero di piante: 650. Produzione 2016: 5 hl. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 15.
AMEDEO E PAOLO PASCOLINI OLIO GIANO
Olfatto dai sentori fruttati dalla buona intensità, con ricordi vivi di mela pink lady, erba fresca falciata, cardo e mandorla sgusciata. Le note gustative riconducono ai temi odorosi. Ingresso vellutato di frutta secca a cui seguono decisi, in successione, il piccante e l’amarognolo, fino alla chiusura caratterizzata da richiami di mallo di noce e rucola selvatica. Olio elegante, riuscita espressione delle caratteristiche varietali e territoriali. Su carpaccio di orata. Varietà coltivate: bianchera, frantoio, leccino, grignano, maurino, brisighella, pendolino. Oli prodotti: Olio Giano (blend). Ettari coltivati: 2,8. Età media delle piante: 12 anni. Numero di piante: 930. Produzione 2016: 1500 litri. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 12,50.
RUSSIZ SUPERIORE
OLIO BLEND
Estrema gradevolezza ed intensità al naso come al palato. Sprigiona decisi sentori di foglia di olivo, cardo, carciofo e lievi tocchi balsamici. In bocca è suadente, dall’approccio dolce, è prontamente supportato da un piacevole amarognolo. La calibrata piccantezza rende il gusto equilibrato e sostanzioso. La fragranza dei toni varietali fa da cornice al lunghissimo ed elegante finale. Polipo alla luciana con spuma di sedano rapa e timo. Varietà coltivate: bianchera, pendolino, maurino, frantoio. Oli prodotti: blend. Ettari coltivati: 1,5. Età media delle piante: 15 anni. Numero di piante: 700. Produzione 2016: n.d. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 17,50.
PAOLINO
OLIUM PATRIZUM In evidenza il fruttato medio-intenso e fresco, persistente, con netti sentori vegetali di erbe di campo, cicoria selvatica, fiori di basilico, pepe bianco, carciofo e mela cotogna. L’ingresso è sapido, piccante, con netta ma gradevole percezione amarognola non astringente, pieno e molto persistente, di buona armonia. Ben delineato il finale, con piacevoli note di mandorla ed erbe di laguna. Crema di borlotti di Resia e briciole di musetto. Varietà coltivate: leccino, moraiolo, gorgazzo, bianchera. Oli prodotti: blend. Ettari coltivati: 2,6. Età media delle piante: 4-10 anni. Numero di piante: n.d. Produzione 2016: 180 litri Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 9.
ZAHAR
OLIO SNOŽAK Elegante fruttato medio e fresco, persistente, con netti sentori di fiori di campo un po’ appassiti, cuore di carciofo, frutta bianca e gialla non ancora matura. e lieve di bosso e resine boschive. Al sapore, inizialmente quasi dolce, lascia una netta piacevole percezione amarognola. Seguono lieve astringenza e sapidità. Leggere sensazioni piccanti. Buona pienezza e persistenza dal ricco retrogusto di mandorla e pinolo. Tagliolini con finferli e anatra selvatica. Varietà coltivate: bianchera in prevalenza, leccino, pendolino, leccio del corno. Oli prodotti: bianchera (Dop se annata favorevole), blend. Ettari coltivati: 1,5. Età media delle piante: 50-70 anni. Numero di piante: 500. Produzione 2016: 200 litri. Prezzo di vendita in azienda bottiglia litri 0,50: euro 18. 29
IL DOMININ DI BUT TRIO di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano
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Foto di Fabrice Gallina
B
uttrio è una delle aree più vocate dell’intero Friuli enologico e la sua posizione rivierasca privilegiata, guarda dall’alto la piana friulana, concede un clima benevolo con temperature medie superiori al resto delle zone viticole circostanti. Anche nelle annate definite fredde può contare su una maturazione ottimale delle uve. La posizione fortunata permette anche adeguate escursioni termiche giornaliere a tutto vantaggio del corredo aromatico dei vini. Il vicino Mare Adriatico regola alla perfezione l’umidità con le sue provvidenziali brezze. Una zona, che assieme a poche altre in regione è particolarmente adatta ai vini rossi. L’azienda Meroi è una delle tante belle realtà di Buttrio e tuttavia ha la particolarità di dedicarsi a pochi vini realizzati con altrettanti pochi vitigni, fatto piuttosto raro in Friuli dove ancora insiste nelle aziende un portafoglio produttivo piuttosto corposo e a volte eccessivo. Le scelte di Paolo Meroi e suo figlio Damiano sono invece riservate solo a quei vini che riescono alla perfezione e sono nelle loro «corde». Sono una ventina gli ettari complessivi dei vigneti che l’azienda coltiva. Alcuni di essi sono dei cru storici come Dominin e Zitelle. La viticoltura è biologica e le rese per piante sono bassissime. I vini che si ricavano, bianchi e rossi, sono di altissima qualità e sono un punto di riferimento per tutto il Friuli Venezia Giulia. L’appuntamento è al ristorante di famiglia, oggi chiuso per turno, che mostra una veste curiosa: quella del silenzio e della pace. La sensazione è inusuale poiché siamo abituati al vociare, al tintinnio dei calici, all’atmosfera piacevole e allegra che alla “Trattoria al Parco” di Buttrio regna incontrastata. Il momento però richiede concentrazione perché l’avvenimento è unico ed emozionante e quindi questa tranquillità è propizia. Il percorso sensoriale parte dal 2013, ultima annata messa in commercio, e arriva al 1999. È un viaggio lento e appassionato con il frutto del “Dominin”, il vigneto storico dedicato alla coltivazione di merlot e refosco. Le bottiglie sono allineate sul tavolo accanto alla finestra che da sul bel parco. I calici stanno per essere avvinati. Il ruolo di cicerone si addice a Paolo e a Damiano. Entrambi si dedicano, con eguale entusiasmo e successo, al ristorante e all’azienda vitivinicola. La domanda è d’obbligo: “è nato prima il ristorante o l’azienda agricola?”. “Prima l’azienda – risponde puntuale Paolo – ma solo di qualche anno. Il ristorante funziona del 1920 e prima i vini servivano a soddisfare il locale ma poi abbiamo capito che il potenziale qualitativo che avevano era enorme e quindi si siamo dedicati con convinzione ai vigneti e alla cantina”. Dominin ora è un toponimo prima che un cru. Il nome è riferito al fondatore dell’azienda Domenico, trisnonno di Damiano, chiamato appunto Dominin. Si tratta del vigneto più antico della proprietà e quindi la dedica al patriarca era d’obbligo. Dominin è un anfiteatro naturale, spettacolare, ben esposto a Sud, accoglie filari terrazzati di merlot, refosco e in piccola parte a chardonnay. Il materiale genetico è antico tant’è che si parla proprio di refosco e merlot Meroi; viene perpetuato attraverso le piante più vecchie e adatte a trasmettere i propri preziosi geni. Tradizione friulana e internazionalità che hanno dato vita fino al 2007 a un unico vino mentre dall’annata successiva i Meroi hanno preferito separare le due cultivar dando vita a due distinti prodotti. I vini “Dominin” sono prodotti solo nelle annate ottimali e ottenuti solo dalle uve migliori del vigneto. “Perché la scelta di non fare più il blend?”. “Non è stata una decisione facile – interviene Damiano mentre versa i vini nei calici – ma offre la possibilità di cogliere meglio le peculiarità, le sfumature di ogni vitigno e soprattutto di ogni annata”. L’azienda da qualche anno ha scelto di non immettere sul mercato la totalità della produzione ma trattiene una percentuale in cantina per poter uscire dopo svariati anni con delle riserve specifiche e riferite alle più prestigiose annate. Il Dominin si distingue da tutti i Merlot prodotti a Buttrio che, manco a dirlo, sono tutti di ottimo livello. È un vino possente, vigoroso ma di grande eleganza e classe. La sua beva è scorrevole ed è proprio questo che impressiona favorevolmente. Damiano ci conduce con grande maestria nella degustazione e, annata dopo annata, si scoprono mille aspetti che inducono a identificare questo vino come un Merlot “friulano” tanto si sente la territorialità. Possiede il timbro mediterraneo e la precisione sensoriale dei vini del Nord ed è indiscutibilmente uno dei grandi vini del Friuli Venezia Giulia. Tuffare il naso in ogni calice è davvero emozione pura. La degustazione prosegue e ad ogni passaggio, ad ogni annata che assaggiamo, riceviamo la conferma che i vini prodotti in questa regione non solo sono ottimi da giovani ma se li lasci invecchiare danno il loro meglio e tu, quando ti accosti a loro, non degusti soltanto dei grandi prodotti ma ti immergi nel terroir vero, unico e straordinario della nostra terra.
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Denominazione: Friuli Colli Orientali Zona di produzione: vigneto collinare, altitudine metri 140 slm., esposto a Sud/Est, dal toponimo ”Dominin” a Buttrio (UD). Terreno di marna di origine eocenica (ponca). Viticoltura biologica. Età delle vigne: 70 anni. Metodo di allevamento: Guyot. Resa per ettaro: 3,5 t di uva con densità di 7.000 ceppi /ettaro. Uve: nelle annate: 2013, 2012, 2011, 2010e 2009: merlot 100%. Nelle annate: 2007, 2006, 1999: merlot e piccole parti di refosco dal peduncolo rosso. Epoca raccolta delle uve: fine settembre. Vendemmia manuale, in cassette. Vinificazione: i grappoli raccolti a mano vengono vinificati in barrique nuove di rovere francese. Qui rimangono per 24 mesi sui lieviti. Segue leggera filtrazione. Dopo l’imbottigliamento rimane ad affinare per 24 mesi. Prima annata prodotta: 1986. Bottiglie prodotte: circa 2.400 anno. Temperatura ottimale di servizio: 16-18°C in calici ampi (Riedel Vinum Extreme Merlot/Cabernet Sauvignon). Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 50.
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2012
Andamento climatico: annata tra le migliori degli ultimi anni. Rosso rubino denso e lucente. Potente e allo stesso tempo molto raffinato. Compatto di sensazioni fruttate e speziate: un afflusso continuo di ciliegia, more di rovo, rosa tea e pepe jamaicano. Continua il suo racconto rilasciando intriganti ricordi di karkadè e resina che completano il quadro suggestivo dei molti aromi ben definiti. Il sorso possiede materia e volume nonché una efficace quanto necessaria freschezza. Comparto tannico maturo, succoso e fin da ora promette equilibrio. Nella lunga volata succosi frutti e mineralità. Grandi prospettive evolutive. Daino ai lamponi.
MERLOT DOMININ Alc.14% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata calda e secca, scarsissime precipitazioni. Vendemmia leggermente anticipata. Rubino ancor più fitto dell’annata precedente. L’olfatto è poderoso: in una cortina di spezie sono sospesi: prugne essiccate, visciole sotto spirito, sentori silvestri, legno di rosa e tabacco dolce da fiuto. In scia si affacciano delicate fragranze di viole appassite e gemme di pino. L’abbondante materia avanza sul palato serrata come un pugno. Tannini fitti cercano ancora la giusta integrazione mentre la progressione conduce i sapori nel finale decisamente salato e speziato. Lieve astringenza. Pernice alla cacciatora.
Andamento climatico: annata da considerare calda ma piuttosto regolare nello sviluppo. Manto rubino verso il granato. Fin dalle prime battute profilo odoroso piuttosto severo, in cui trovano riconoscimenti di more selvatiche, inchiostro, rosmarino bruciato, erbe officinali, macis e profumi terrosi. Bastoncino di liquirizia e una evidente nota di grafite. La muscolosità tipica dei vini del territorio, in questa annata si propone con alcol e tannini che stringono l’insieme. La chiusura è illuminata da una vena sapida nidita, piacevole. Vino ancora introverso che mostra possibili sviluppi futuri. Cinghiale in salmì.
2011
MERLOT DOMININ Alc.14% - Punteggio 89/100
2010
2013
MERLOT DOMININ Alc.14% - Punteggio 95/100
MERLOT DOMININ ALC.14% - Punteggio 95/100 Andamento climatico: annata piovosa ma che ha permesso la vendemmia di uve sane e mature. Rosso rubino impenetrabile. Olfatto eccezionale: arancia, melograno, pesca, foglie di menta e cacao. La brezza marina si confonde con il profilo boschivo di ginepro, radici e gemme di pino. L’assaggio è senza pari. Esprime gran classe, non sotto forma di concentrazione ed estratto, ma tramite un affusolato dinamismo gustativo fatto di suggestioni agrumate e luminosi riverberi balsamici. Guizzi freschi e tannini di pregio conducono la beva al gran epilogo lento e sapido. Filetto di vitello con tartufo nero, finferli e salsa di china.
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2009
MERLOT DOMININ Alc.14,5% - Punteggio 91/100 Andamento climatico: annata decisamente calda, con temperature a luglio sopra i 30 gradi. Granato compatto. Naso inizialmente su umori quasi piccati di peperone ed erbe officinali. Con lentezza comincia poi a raccontare le componenti scure evocando tratti di terra smossa, bacche di ginepro essiccate e sbuffi torbati. Una nota rugginosa si incunea nell’impianto odoroso conferendogli un tratto decisamente serioso. Bocca cremosa, sostanziosa dall’ingresso al congedo. La deriva alcolica, insieme al potente tannino, domina il palato. Merlot dalle dimensioni monumentali, appagante. Zuppa di carne speziata.
2006
Andamento climatico: annata tendenzialmente calda, ma caratterizzata da rovesci costanti. Granato impenetrabile. Cattura, fin dalle prime battute, il refosco che per l’ultimo anno condivide insieme al merlot le sorti del vigneto Dominin. Bouquet dall’impatto cupo con richiami di composta di frutti neri accanto a: pepe, radici, inchiostro e tartufo. L’evoluzione indica la presenza della legna arsa e del medicinale, mentre il tratto minerale riporta cenni lievemente sulfurei. Si concretizza in un sorso decisamente compatto, che trova nella trama tannica un sentore ruvido e di appagante lunghezza. Cervo in civet e polenta.
2007
MERLOT DOMININ Alc.14,5% - Punteggio 90/100 Uve: merlot 70%, refosco dal p.r. 30%.
MERLOT DOMININ Alc.14,5% - Punteggio 95/100 Uve: merlot 90%, refosco dal p.r. 10%. Andamento climatico: annata calda ma con piogge e sbalzi termici. Vendemmia ottimale. Vivida tonalità granata. In principio mirtilli e more in confettura. Poi rosmarino, timo e profumate resine. Avvincente l’apporto floreale che parla ancora di freschezza sotto forma di viole mentre, sul finale, si aggiunge un intrigante richiamo alla radice di zenzero. Il palato denota un perfetto equilibrio generale, subito espresso in un’elegante sinergia di acidi, sali e glicerine. Nota di merito per la componente tannica fitta e succosa, che si trascina una ricchezza aromatica di notevole spessore. Polpa di anatra, bacche selvatiche e pepe di Sichuan.
Andamento climatico: annata equilibrata, temperature nella media e piogge ben distribuite. Granato dalla vivida lucentezza. A distanza di 18 anni espone un bouquet evoluto, aereo e accattivante. Memorie autunnali quali: terra bagnata, fungo e gemme di pino aprono l’incisiva teoria di profumi. Seguono genziana, china e rabarbaro e altre ancora più suggestive di cuoio, colatura di alici e bastoncino di liquirizia. Sorso coeso ed espressivo, ancora grintoso. Libero dalla veste fruttata mostra un passo semplice e puro, dove l’acidità e le numerose sfumature aromatiche conferiscono una beva gioiosa. Piccione in due cotture e funghi porcini.
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MERLOT DOMININ Alc.13,5% - Punteggio 94/100 Uve: merlot 90%, refosco dal p.r. 10%.
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IL PICOLIT E LE CONFESSIONI DI UN GIOVANE SOMMELIER di Walter Filiputti
Foto di Fabrice Gallina
“Non credo vi sia in Italia vino più nobile di questo (il Picolit ndr). È stato autentica gemma dell’enologia friulana...; potrebbe essere orgoglio di tutta la nostra enologia solo se si riuscisse a stabilizzarne la coltura e la vinificazione. Le sue qualità lo renderebbero in Italia, ciò che per la Francia è lo Chateau d’Yquem”. È Luigi Veronelli che scrive, nel 1959: il pezzo apparirà sulla prima edizione de “Vini d’Italia”. 38
Isi Benini – sul primo numero della rivista Il Vino - eravamo nel 1971 – si pone il problema, sul suo articolo di apertura, con un titolo emblematico: “Rilancio o tramonto del Picolit?”. Quante speranze, quante aspettative allora, agli albori di quella rivoluzione enologica che avrebbe innalzato il vino friulano e del Belpaese ai vertici mondiali, tanto che fu definita “Rinascimento del vino italiano”! Allora, uno dei cenacoli di assaggi e discussioni attorno al Picolit, e non solo, era la Spezieria pei Sani di Teo Pizzolini, in via Poscolle a Udine. Già allora era fiduciario dell’Associazione Italiana Sommelier. Il suo sancta sanctorum era frequentato anche da un giovane che si appassionò al vino e alla visione che di esso aveva Teo. Il primo incontro con il “grande nettare” che ebbe quel giovane allievo di Teo fu grazie a suo padre Germano, oste in quel di Percoto. Era l’11 novembre del 1966, quando lo portò da Menut Casasola a Rosazzo, che ai tempi era fattore dell’Abbazia. Quel giorno, Germano compiva 50 anni e l’amico Menut aprì, in suo onore, una bottiglia di Picolit del 1916. Il futuro allievo sommelier, che aveva 21 anni, non possedeva ancora le conoscenze necessarie per decifrare le millanta sfumature di quel vino. Ne colse, però, le profonde emozioni che emanava e che, da allora, rivisse più volte, in una sorta di assaggio virtuale grazie al quale codificò il profilo di quel sontuoso Picolit: colore oro antico; profumi di crema pasticcera e poi su, su, fino all’albicocca secca e al miele di castagno. Il sapore? Conturbante, tanto che il giovane lo paragonò ad una sorta di abbraccio sensuale, pari a quello di una donna elegante e raffinata, che più la guardi e più te ne innamori. Definì, quel Picolit, vino d’amore! Teo Pizzolini aveva la sua cantina sotto la Spezieria e dove ora c’è il caveau della banca che fa angolo con via Zanon. In quella cantina buia, fresca e polverosa, l’allievo ebbe delle memorabili lezioni e conversazioni enologiche assieme al suo mentore, che non di rado si protraevano fino all’alba e spesso era complice il Picolit, vino che Teo adorava. Tra le tante, una ricorda l’allievo: Picolit 1947, da uve passite raccolte dal vigneto più alto di Savorgnano al Torre, dove c’era, e tutt’ora c’è, la stele dedicata ad Omar Khayam. Indimenticabile! Ecco un’altra suggestione da Picolit manifestatasi quando l’allievo frequentava l’università a Trieste. In una sera di pioggia sferzante, nella sua “Fiat 500” aveva con sé una bottiglia di Picolit e brindò con una splendida donna. In quella che era l’alcova preferita della sua generazione, il già sommelier, finalmente dette un senso alla definizione degli “archetti” di un vino, termine che non gli garbava. Quei vetri della 500, bagnati dalla pioggia, si trasformarono in dolci e felici lacrime d’amore che il Picolit stava esaltando. L’allievo era diventato, nel frattempo, fiduciario AIS del Friuli Venezia Giulia. Tra i delegati, c’era un grande amico, nonché cuoco di prima grandezza: Gianni Cosetti, con cui organizzò i primi corsi per sommelier a Tolmezzo. Gianni non amava i vini dolci e mai li voleva abbinare ai suoi piatti. Il “toc in braide” fu il simbolo della grandezza di Gianni. Una delle sue varianti era con il torcione di foie gras. Non fossero stati amici, il fiduciario e Gianni, avrebbero litigato, invece solo discutevano, senza cedere sulle loro posizioni. Gianni serviva, sul “toc col foie”, il Sauvignon. Orrore per il fiduciario, che si portava da casa il Picolit, per uno dei “mariage” - per lui - più esaltanti e completi. Rocca Bernarda, dove riprese vita il Picolit moderno grazie alla famiglia Perusini e dove, più volte, fu ospite, assieme a Luigi Veronelli (del quale il giovane sommelier era diventato amico e collaboratore), della contessa Giuseppina Perusini e di suo figlio Gaetano. I loro Picolit erano femminili, eleganti e, allo stesso tempo, longevi. Non poteva non accadere che tanta passione non portasse in seguito, quello che fu un giovane sommelier, a produrlo. In una degustazione con dei clienti, lo propose, per aperitivo, con i tartufi di mare, o dondoli. In alterativa, una grande spumante italiano. Gli ospiti accettarono la provocazione e, alla fine, convennero che la proposta era seducente e scartarono lo spumante. Picolit e dondoli è un accostamento sorprendente, con le note del vino che si fondono a quelle del piatto, creando una musicalità difficile da immaginare, soave quanto la musica classica. Benedetto Picolit! Quanti sogni vissuti grazie a te, ma anche quante fatiche e battaglie combattute per farti diventare il vino bandiera del Friuli. Il titolo “Rilancio o tramonto del Picolit?” di Isi Benini aveva colto nel segno. Nella crescita, a volte disordinata, della nostra enologia, non siamo stati capaci di sfruttare a dovere tutta la tua potenzialità. Certo: ora si bevono Picolit stupendi, longevi, molto più buoni di quelli citati. Solo che nulla hanno inciso sull’immagine, sulla comunicazione e prestigio del Friuli Venezia Giulia enologico, dove non ha generato mercato. Per capirne i perché, dovremo andarci a rileggere, con gli occhiali del XXI secolo, i motivi del successo che ebbe il Picolit del conte Fabio Asquini di Fagagna, che vendette le sue prime 14 bottiglie – della vendemmia 1753 – nel 1758. In pochi anni, incrementò la produzione e divenne il vino di riferimento delle corti d’Europa. Sì, il successo del Picolit della seconda metà del Settecento ci spiegherà l’insuccesso di quello moderno. Nonostante la Doc prima e la DOCG dopo. E pensare che il conte Fabio Asquini era astemio. “Perché - recitano i documenti essendo io abstemio di vino a nativitate, sono arrivato agli anni 40 senza aver mai potuto assaggiarne una goccia”.
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LE ERBE DEI VIGNETI DI CORMÒNS di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano
Foto di Fabrice Gallina
Ci sono dei luoghi dove si torna volentieri. Non c’è un motivo particolare; si sa che lì ci si trova bene, a proprio agio. Accade così anche quando ci si reca nel borgo di San Daniele a Cormòns a trovare Alessandra e Mauro.
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L’accoglienza qui non è una parola vuota, o peggio, forzata, ma è naturale, autentica, perché dietro
questo termine, tanto alla moda quanto abusato, ci sono persone con sorrisi veri. I convenevoli, invece, sono alla friulana, semplici, schietti, come si fa con gli amici che hai visto il giorno prima e di loro conosci tutto. L’occasione di oggi, davvero speciale, è la verticale di Arbis Blanc e noi (Gian, Fabri e io) ci sentiamo come “i cavalieri che fecero l’impresa” alla ricerca della preziosa reliquia nel film di Pupi Avati. Il tesoro in questo caso è il vino bandiera di quest’azienda giovane e dinamica. Non si tratta quindi di salvare qualcosa che andrebbe perduto ma di saper raccontare le vendemmie e la longevità di uno dei migliori blend che questa parte di Friuli abbia mai prodotto. Un percorso lungo oltre trent’anni, che inizia dal 1994. Un periodo temporale quindi piuttosto interessante per capire e documentare l’evoluzione dei vini. Non sempre le aziende friulane possiedono uno storico delle loro produzioni perché in passato l’idea non era quella di conservare i vini per possibili futuri acquirenti. L’obiettivo principale era dunque quello di farli conoscere e comprendere ai consumatori. Pochi lungimiranti produttori avevano intuito l’enorme potenzialità dei loro prodotti e tenevano da parte piccole riserve che oggi danno il senso della grandezza dei vini del Friuli Venezia Giulia. Borgo San Daniele ha una storia relativamente recente ma ha radici, contadine, per piantate che hanno determinato, e lo fanno ancora, le scelte produttive, etiche e personali dei fratelli Alessandra e Mauro Mauri. Preservare e non stravolgere l’identità di un territorio ha significato, per loro, scegliere subito la biodinamica mettendo così in primo piano i vigneti. Nessun prodotto di sintesi è utilizzato ma, oltre al rame, solo trattamenti con infusioni di erbe nei momenti opportuni del periodo vegetativo. “Ho sentito parlare di «metodo solera» per questo vino – inizia Gianluca – di cosa si tratta?”. “Per noi è un po’ come il vino della memoria – risponde Alessandra mentre allinea i bicchieri per la verticale – così si faceva in passato. La botte non veniva mai vuotata completamente fino all’arrivo del vino nuovo. Si fa ancora oggi. Rimane circa un 25 - 30% di vino dell’anno precedente che si assembla a quello dell’ultima annata. Si preserva così una parte del vino e la sua carica batterica”. “Fin dal primo momento – interviene Mauro – abbiamo stabilito che questo vino venisse realizzato solo con le uve dei «vigneti Arbis» e la variabilità delle percentuali delle uve è data solo dalla quantità, che ogni singola cultivar, produce nella specifica annata. La vendemmia, è sempre stata unica fino al 2014 e quindi si tratta di un vero e proprio uvaggio. La grande difficoltà sta proprio nel mettere insieme le maturazioni, molto diverse tra loro, delle quattro uve. Solo dal 2015 si vinifica prima il sauvignon per preservare le componenti aromatiche della cultivar che possiede la maggior percentuale nel blend. Uve che, tutte, per un motivo o per l’altro, non ultimo quello storico, rappresentano appieno il Friuli”. Alle argomentazioni di Mauro, Alessandra aggiunge: “«Arbis Blanc, vin di teritori» come recita l’etichetta in friulano. Anzi, questo vino parla friulano, è il bianco che comunica il terroir”. Dietro la novità della vendemmia separata c’è la volontà da parte di Mauro ed Alessandra di aumentare il periodo di affinamento in bottiglia, oppure il periodo di riposo, dopo la maturazione nel rovere, in un altro contenitore, a tutto vantaggio di una ulteriore complessità ed eleganza del vino. “Perché Arbis? Che nome è?”. “Tutti credono che abbiamo pensato a questo nome perché la parola (erbe in lingua friulana e nello specifico erbe di campo) richiama complessità, sentori varietali, aderenza al territorio. In realtà – confessa sorridendo Mauro – non è così. Tutto parte dal fatto che, sin dai primi anni di produzione, abbiamo inerbito i vigneti al 100%. In quell’epoca era una scelta inusuale, eravamo considerati da molti colleghi vignaioli dei «pùars fruts» (poveri ragazzi), dei pivelli, eretici senza esperienza perché, allora imperava il credo popolare: «con l’erba nei vigneti non si va da nessuna parte». Fresco di scuola in enologia, visitando molte zone vitivinicole europee, avevo notato questa pratica e mi ero interessato ad essa scoprendone gli enormi vantaggi. Il nome Arbis quindi è un omaggio al concetto di integralità. I terreni, lasciati inerbiti con erbe spontanee, vengono periodicamente sfalciati. È infatti con l’inerbimento che si riescono a moderare gli effetti della monocultura, ormai tipica dei vigneti specializzati moderni, e soprattutto contiene la vigoria della vite”. La degustazione procede, lenta e appassionata. Annata per annata si evidenziano piccole e grandi emozionanti sfumature che solo i vini eccezionali possono trasmettere. Vini che non nascono per caso ma solo grazie al lavoro meticoloso come quello di Mauro e Alessandra. Mi piace ricordare quanto, in un incontro di qualche tempo fa, mi ebbero a dire: “ogn’uno di noi ha dei compiti specifici che sono fondamentali al nostro lavoro, soprattutto quello di ogni giorno, che vede passo passo, con il susseguirsi dei colori e delle stagioni, realizzare i nostri vini, un sogno che avevamo fin da bambini e che non abbiamo, nemmeno per un attimo, smesso di inseguire”.
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Denominazione: Igt Venezia Giulia Zona di produzione: vigneti con altitudine di metri 56 slm, esposto a Nord/Sud in località San Leonardo e Borg di Sòt, a Cormons (GO)). Terreno di medio impasto con scheletro. Certificazione biologica. Età delle vigne: 30 anni. Metodo di allevamento: guyot. Resa per ettaro: 5,6 t di uva con densità di 5.700 ceppi /ettaro. Uve: sauvignon 40%, chardonnay 20%, friulano 20%, pinot bianco 20%. (Le percentuali possono variare in funzione dell’annata). Epoca raccolta delle uve: inizio / fine settembre. Vendemmia manuale, in cassette e unica per tutte le varietà fino al 2014. Nel 2015 il sauvignon è stato vendemmiato prima. Vinificazione: le uve vengono vinificate separatamente e, ancora mosto, completano la fermentazione assieme nel rovere di Slavonia da 20 hl. Maturazione per 12 mesi nel rovere di Slavonia da 20 hl. Nessuna filtrazione. Rimane sui lieviti autoctoni per 10 mesi. Affina in bottiglia per 3 mesi. Prima annata prodotta: 1997 (prove dal 1994). Bottiglie prodotte: circa 10.000 anno. Temperatura ottimale di servizio: 12-14°C in calici ampi (Riedel Vinum Extreme Chardonnay). Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 22. 44
2014
Annata facile, luminosa. Ben equilibrata tra pioggia e sole. Paglierino lucente. Comparto olfattivo di straordinaria eleganza. Erbe secche mentolate, fiori di sambuco e glicine introduco intense folate di frutta tropicale e di agrumi, mela cotogna e pesca gialla. Poi cardamomo, pepe bianco e coriandolo. Infine gesso, lavanda, finocchietto selvatico e lievi sbuffi fumé. Fresco ed incisivo. Ottima fusione con i comparti morbidi. La progressione al palato è sorprendente. Leggeri richiami al varietale del Sauvignon e congedo fruttato e minerale. Il sauvignon è stato vinificato separatamente. Ravioli di pescatrice alle erbe aromatiche.
ARBIS BLANC Alc. 13,5% - Punteggio 91/100 Annata difficile, piovosa, con poca luminosità e basse temperature. Giallo dorato e brillante. Ventaglio odoroso compatto e deciso. Fiori di camomilla essiccati, fienagioni estiva, mimosa, miele di zagara, albicocca e frollino agli agrumi. Infine, in sequenza, ben fusi tra loro: citronella, resine e gemme di pino. Bocca inizialmente austera, poi, via via, si apre in un perfetto equilibrio tra avvolgenze e freschezze. La lentezza del sorso evidenzia l’ottima corrispondenza nei ritorni aromatici e balsamici. Si spegne su binari sapidi. Vinificato e maturato per 12 mesi nel rovere nuovo di Slavonia. Linguine al farro e ricci di mare.
2009
Annata fresca con brevi ma insistenti piogge. Grande lavoro di selezione in vigna. Paglierino splendente. Il naso emoziona sin dalle prime battute. Cocktail d’agrumi, burro fuso, zenzero, sottili effluvi di spezie, respiri balsamici e muschio bianco. Prosegue con intriganti profumi di canfora, cenni di idrocarburi e spruzzi marini. Al palato mostra una perfetta coesione. Millimetrico. Equilibrato. La spina acida si adagia sulla morbidezza vellutata del corpo. Si allontana senza fretta su limpide corrispondenze balsamiche e delicate erbe officinali in polvere. Avvincente, indimenticabile, senza pari. Ostriche, zest al limone e pepe bianco.
2010
ARBIS BLANC Alc.13,5% - Punteggio 97/100
ARBIS BLANC Alc. 14% - Punteggio 93/100 Annata calda e asciutta fino alla vendemmia. Paglierino netto e scintillante. Apre su note calde fruttate: polpa gialla matura, frutta secca, agrumi canditi, albicocca disidratata. Pasta frolla, miele di fiori, aneto, pepe bianco, erbe mediterranee essiccate come il rosmarino e la salvia, funghi e infine trame fumé. Ingresso appagante, grasso, goloso. Assaggio regolato da freschezze balsamiche che la rendono dinamica. Si snoda su richiami fruttati ed erbe profumate. L’epilogo è pigro, giocato sui retrogusti sapidi e freschi. Beva di gran classe. Annata che evidenzia il lato energico di Cormons. Rollè di gallo ruspante alle erbe.
Annata con qualche pioggia in più ma ben distribuita. Buona luminosità, vendemmia precoce. Giallo dorato netto. Slancio olfattivo intenso. Miscellanea di fiori estivi, fiori di lavanda essiccati e rosa damaschina. Frutta a pasta bianca sciroppata e tè alla menta, Erbe officinali in quantità. Anice stellato, pepe bianco e cenni di curcuma. Vigoroso, muscoloso e sapido. Allungo di grande equilibrio dettato dalla malolattica che elogia i sapori e regola le durezze iniziali. Garbati riverberi balsamici guidano il lento finale che sa di rosmarino, di agrumi canditi e spezie. Esaltante. Lampuga alla brace e salsa al limone.
2008
ARBIS BLANC Alc. 14% - Punteggio 94/100
2007
2015
ARBIS BLANC Alc. 14% - Punteggio 94/100
ARBIS BLANC Alc. 14% - Punteggio 88/100 Annata caldissima e dallo sviluppo breve. La vendemmia inizia il 24 agosto. Oro carico, regale. Naso serrato e restio inizialmente nel raccontarsi. L’attesa concede olfazioni che riconducono al sole e all’estate. Miele, macedonia di frutta matura, confetture, polvere di erbe mediterranee, spezie delicate come la noce moscata e il cardamomo. Echi salmastri e terrosi concludono l’interessante percorso odoroso. Il gusto conferma l’evoluzione e ripropone i toni caldi del naso. Le decise morbidezze sono trattenute dalle freschezze balsamiche. Finale speziato e lievemente amarognolo. Formadi Frant di San Juri e polenta di Verzegnis. 45
2005
Annata calda con vendemmia a fine settembre. Inebriante colore dell’oro purissimo. Coinvolgente e magico nel cammino aromatico denso e fuso. Rosmarino, salvia e timo. Miele di eucalipto. Pasta di nocciole, pastafrolla, fiori gialli dolci e pot pourri di agrumi. Legno di rosa, santoreggia e dragoncello. Erbe al mentolo, gemme di pino e resine. Raffinato e signorile all’assaggio. Inizio fresco e sapido che si unisce senza paura all’incisiva struttura vellutata. Si snoda con sicurezza tra ritmi vivaci e setosi regalando emozioni. Sfuma nella piacevole aromaticità. Spaghettoni al ragù bianco di coniglio e pepe alla creola. ARBIS BLANC Alc. 13,5% - Punteggio 93/100
Annata ottima di cui si parla poco. Nella media, fresca ma senza eccessi. Colore paglierino carico, riverberi dorati. Rassegna odorosa inusuale e d’impatto, determinata dal lungo e perfetto affinamento. Muschio, note fumé, erbe mediterranee essiccate e miele di eucalipto. Lampi di salsedine e cenni scuri salmastri. Folate curiose di medicinali e trementina. Bocca, inizialmente proporzionata, si sviluppa su sentieri freschi, vibranti, affilati e inaspettati che riconducono a precisi ricordi di menta, di mare e di spezie. Quasi succoso, affascinante nel suo lentissimo divenire. Risotto con asparagi selvatici e mazzancolle.
2000
Annata generosa ma senza eccessi climatici e per certi versi facile. Straordinario, invitante color oro verde. Essenze iniziali incentrate sui ritmi varietali: dragoncello, artemisia, miscellanea di erbe officinali. Prosegue con miele di agrumi, radice, macis, terra e salsedine. Guizzi mentolati e spezie dolci chiudono un olfatto inusuale quanto accattivante. Sorso diretto, di ottima struttura. Il buon equilibrio è garantito da continui innesti fresco-sapidi nella sostanziale morbidezza glicerica che disegna l’intera beva che si conclude riprendendo erbe officinali, spezie e sale marino. Soufflé di formaggio Jamar.
2004
ARBIS BLANC Alc.13,5% - Punteggio 90/100
ARBIS BLANC Alc. 13,5% - Punteggio 90/100 Annata buona ma nella norma, senza particolari meriti o virtù. Tonalità di oro netto, seducente. Fitto, multiforme: timbri decisi di macchia mediterranea, fiori gialli essiccati, cioccolato bianco, crema di pistacchio, frutta candita e biscotti wafer. Effluvi intensi di polvere di mirto, anice stellato e liquirizia. Le delicate sfumature finali sanno di selce, di idrocarburi e sale. Robusto e solare. Il corpo vigoroso e morbido è proporzionato da freschezze minerali e balsamiche che rendono il palato gradevole, facile. Si spegne su stuzzicanti racconti fumé e sapidità adriatiche. Gnocchi con zafferano e bottarga.
Annata che rasenta la perfezione. In ogni fase stagionale l’andamento climatico è ottimo. Veste dorata di accesa lucentezza. Profumi intensi, variegati e d’impatto. Miele di fiori, zafferano, pesca e mela disidratata, pinolata, fienagioni estive, caramella d’orzo e polpa di mandarino. E ancora: cardamomo, erbe alpine, naftalina, incenso e ruggine. Attacco sapido, largo e tenace. Simmetrico.Allungo formidabile su riverberi aromatici, minerali e freschi. Sfuma in una perfetta salificazione degli acidi. Un vino senza tempo, essenziale in ogni comparto. Un esempio di cosa il Friuli enologico possa offrire. Tagliolini porcini e tartufo bianco.
BORGO S. DANIELE Via San Daniele, 28 34071 Cormòns (GO) T. 0481 60552 www.borgosandaniele.it
1997
ARBIS BLANC Alc. 13,5% - Punteggio 96/100
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2006
ARBIS BLANC Alc. 14% - Punteggio 95/100
RG B
Az i e n d a Ag ri col a L o re nzon S. r. l . - Vi a C à D e l Bo s co n ° 1 6 - Sa n C a n z ia n d’ I so n zo - Go riz ia - I ta ly
ww w. i f e u d i d i ro m a n s . i t
“ L’ at t e s a d e l piac e re è e s s a s t es s a u n piac e re” G ot t h o l d E ph r a i m L e s s i n g
“SONTIUM”
27/02/ 2018
ANTICA DOLCE ZUCCA di Raffaella Nardini
L’autunno non si tinge solo del giallo e del rosso delle foglie che cambiano colore, ma
si illumina anche di arancione, tinta che per antonomasia ci fa pensare alla zucca, un ortaggio che spesso ritroviamo nella storia, nel folklore e soprattutto nelle tradizioni culinarie del Friuli Venezia Giulia. Originaria delle aree tropicale e subtropicali dell’America meridionale e centro-settentrionale, è giunta fino alla nostra regione dopo la scoperta del Nuovo Mondo e si è diffusa quale fonte di approvvigionamento nelle zone più povere. Presenta esigenze termiche elevate, 14-15°C per la germinazione del seme, almeno 12°C per la crescita, con optimum di vegetazione a 25-30°C. L’origine tropicale ne fa una pianta molto esigente anche per la disponibilità di luce, quindi l’impianto va fatto non prima della fine di maggio. Accanto alle zucche prodotte per l’alimentazione umana, sono recentemente comparse quella da decorazione, più piccole e di forma variegata. Ancor più in voga in questi ultimi anni, le zucche da ricorrenza, introdotte grazie alla tradizione USA della notte di Halloween, commercializzate addirittura in un kit completo composto da zucca, coltellino e candela da introdurre! Ma questa usanza, più o meno condivisibile e condivisa, pare avere radici nella cultura celtica e si narra possa aver avuto origine molto antica, quando le popolazioni nomadi si spostavano per assicurare ai loro animali sostentamento e riparo durante il lungo inverno. Attribuivano alla rapa vuota (e non alla zucca che non era ancora arrivata in Europa) illuminata dall’interno il compito di cacciare gli spiriti maligni e di portare la luce della speranza, simbologia tutt’oggi mantenuta anche se, ahimè, in chiave commerciale. Tralasciando il significato fiabesco della zucca di Cenerentola, l’attenzione va alla dolce zucca, ingrediente fondamentale di molti piatti della nostra tradizione, che scatena un susseguirsi di feste dedicate a questo simpatico ortaggio in tutto l’autunno. La più famosa in Friuli Venezia Giulia e anche oltre i confini regionali, è senz’altro quella di Venzone, legata sì alla consuetudine di coltivare questo ortaggio nella zona della pedemontana, ma soprattutto legata alla leggenda de “La zucca d’oro”, secondo cui, il valente artigiano che aveva creato una palla d’oro per ornare la guglia della torre campanaria di Venzone e che non era stato pagato per il suo lavoro, aveva sostituito la sua opera proprio con una zucca. Poi Bagnaria Arsa, Terzo di Aquileia, Fagagna, Cordenons, Cividale del Friuli, Forni di Sopra, Chiopris Viscone, Azzano Decimo, Poffabro e sicuramente altre, tutte con l’intento di festeggiare e valorizzare un prodotto presente in tutti gli orti, anche se non così facile da coltivare. Le zucche mangerecce non sono tutte uguali, alcune sono ideali per fare il pane, altre per i dolci, altre per gli gnocchi. La pezzatura uniforme, il colore intenso, il grado zuccherino minimo e la consistenza della polpa sono quei parametri comuni che ne definiscono la qualità. Le tipologie più apprezzate e più coltivate in regione sono sicuramente la “Violina”, dal caratteristico colore arancione e dalla forma allungata, la “Moscata di Provenza”, beige-arancio, di grandi dimensioni, con polpa consistente, dolce e di buona qualità, la “Marina di Chioggia”, dalla buccia verde, di grandi dimensioni e polpa gialloarancio dolce, poi la “Delica”, di piccole dimensioni, verde e polpa giallo carico. Digestiva, diuretica, lassativa, rinfrescante e calmante per chi soffre di insonnia e nevrosi, praticamente magica. Polpa saziante nonostante il bassissimo apporto calorico di 18Kcal ogni 100 grammi, ricchissima di calcio, potassio e magnesio, di vitamine A, B e C e, dulcis in fundo, semi afrodisiaci. Il seme è molto utilizzato nella vicina Stiria per il delizioso Kurbiskernoel, un olio dal colore verde scuro, saporito e gustoso ottimo su insalate e piatti della tradizione.
Come capire se ci troviamo al cospetto di una zucca matura? Picciolo integro e secco, pelle senza macchie e ammaccature e suono di rimando dopo un colpetto con la mano. Se il suono è “sordo”, la polpa è matura, compatta e dolce, se altrimenti è “sonoro” non siamo ancora al momento ideale per il consumo. Ottimi gnocchi, morbido pane, saporite zuppe e vellutate, e chi più ne ha più ne metta, senza però dimenticare lo “zuf di zucca”, piatto della tradizione friulana, che si prepara con polenta, zucca, burro e latte. Molte sono le aziende orticole in regione che introducono questo simpatico e buonissimo ortaggio nelle loro linee produttive, ma vale la pena di porre la nostra attenzione su un’azienda che solo di zucche si occupa. L’azienda Degano Zucche produce, senza l’ausilio di concimi e prodotti chimici, e commercializza nel suo punto vendita zucche ornamentali, zucche bianche, zucche da intaglio e naturalmente zucche da gustare e da preparare nelle nostre cucine. Circa 10 le varietà da mangiare, scelte tra le tipologie che meglio si adattano ai nostri terreni, ciascuna delle quali si differenzia dalle altre per il gusto, il colore, la consistenza e il grado di dolcezza che le rendono più adatte ad una preparazione piuttosto che ad un’altra.
DEGANO ZUCCHE Via Case Milocco,9 33047 Ziracco di Remanzacco (UD) www.deganozucche.it
LE RICET TE CON LE NOSTRE ZUCCHE UN VELLUTO COLOR OCRA INGREDIENTI: 1,5 kg zucca, 1 piccola cipolla, 1 litro acqua, sale, 1 bicchiere panna, 150 gr gruyère grattugiato, 3 fette di pane, 2 ctav. burro, 12 foglie Pelargonium Odoratissimus (Mela-Spezie). PREPARAZIONE: Tagliare la polpa della zucca a pezzi e metterla in una pendola dove si è già provveduto a soffriggere un leggero battuto di cipolla. Appena la polpa comincerà a cedere il proprio liquido aggiungere acqua bollente. Dopo circa quaranta minuti la zucca sarà cotta. Con un cucchiaio di legno ridurla in purea; passare il composto al setaccio anche più di una volta fino a renderlo liscio e vellutato. Rimetterlo in una casseruola pulita e riportalo a bollore, aggiungere un bicchiere di panna, una bella manciata di gruviera grattugiato e regolare di sale e pepe. Servire la crema con piccole foglie di Pelargonium Odoratissimus appena scottate in acqua calda, adagiate sulla sua superficie e, a parte, crostini di pane fritti nel burro e spolverati ancora bollenti di gruviera grattugiato. Ricetta, per gentile concessione del figlio Luigi, tratta da “Pelargonium. Il profumo in bocca di Paolo Micoli”.
TORTA SALATA DI ZUCCA INGREDIENTI: per la pasta brisée: 35 gr burro, 400 gr di farina 00, 100 gr fecola di patate, 5 gr di sale, 5 gr di zucchero, 2 uova, 10 ml. vino bianco. INGREDIENTI per la farcitura: 500 gr di zucca pulita e tagliata a dadini, 60 gr di burro, 1 cipolla, 130 gr di prosciutto cotto naturale, 1,5 dl panna liquida fresca, 2 uova intere e 1 rosso, 1 cucchiaio da tè di timo fresco, sale, pepe. PREPARAZIONE: Preparare la pasta seguendo la ricetta tradizionale. Quindi lavorare il burro in pezzetti con i rebbi di una forchetta sino a ridurlo a crema; setacciare farina e fecola, aggiungere sale e zucchero, e mescolare con le dita, ricavando poi la fontana al centro; aggiungere il burro morbidissimo e lavorare con la punta delle dita; unire le uova, mescolate, unendo piano piano il vino, fino ad ottenere un impasto ben omogeneo. Formare una palla e stirarla per ricavarne un disco sottile che verrà steso in uno stampo imburrato che verrà cotto, dopo averlo bucherellato con una forchetta, a 180 gradi per una decina di minuti. A questo punto imbiondire la cipolla tagliata a fette sottili in 40 gr di burro, aggiungere la zucca a dadi. Quando questa risulterà già tenera, prelevare un po’ di dadini e metterli da parte (serviranno per distribuirli sulla torta prima di infornarla). Bagnare la zucca in cottura con due cucchiai di acqua, coprire e cucinare per circa 5 minuti. Togliete dal fuoco, mescolare bene sino a ridurre la zucca in crema (usare eventualmente il mixer), aggiungere le 2 uova sbattute, la panna fresca, il prosciutto finemente tritato, il sale, il pepe e il timo. Versare la preparazione sulla pasta brisée già passata in forno, sparpagliare sopra i dadini di zucca messi da parte, infiocchettare il poco burro rimasto e, infine, passare il rosso d’uovo mescolato a pochissima acqua sui bordi della pasta. Infornare per 20/25 minuti a 180 gradi.
CAPESANTE CON CASTAGNE E CREMA DI ZUCCA INGREDIENTI: 16 capesante sgusciate e pulite, 16 castagne, 160 gr di zucca pulita e tagliata a dadi, 5 fette di San Daniele non troppo sottili, 1dl di panna fresca, latte, 40 gr di burro, sale e pepe. PREPARAZIONE: Pelare le castagne incidendo orizzontalmente ciascun frutto. L’incisione deve essere netta, non troppo profonda perché non deve rovinare la polpa, e non troppo superficiale perché deve incidere anche la “pellicina”. Far bollire le castagne per 1 minuto nell’acqua. Scolarle e metterle sul fuoco in una padella forata per caldarroste chiudendola con un coperchio. In pochi minuti le castagne si apriranno bene. Toglierle dal fuoco e, ancora calde, pelarle. Bollirle nel latte a cui è stato aggiunto metà del burro, sale e pepe. Dovranno rimanere sode. Cucinare la zucca che avrete messo, insieme al resto del burro con sale e pepe, sottovuoto, in apposito sacchetto, in una vaporiera o in un forno a vapore. Quando la zucca risulterà morbida, aprire il sacchetto, schiacciarla con una forchetta sino a renderla una purea (oppure usare il mixer) e unirvi la panna. Mescolare. Tagliare in due le fette di prosciutto in modo da poter con ciascuna parte contornare una capasanta, e fermarlo con uno stuzzicadenti. Cucinare su una piastra ben calda le capesante due minuti per parte. Disporre le castagne scolate e le capesante, alternandole, su di un piatto e versandovi sopra, a cucchiaiate, la crema di zucca.
CANTARUTTI ALFIERI Friuli Colli Orientali Pinot Grigio 2016 Alc. 13,5% - Euro 12 Veste paglierina carica e scintillante. Ventaglio olfattivo elegante e florale. Fiori primaverili si fondono con note più scure di rose e magnolie. Seguono erbe officinali e pepe bianco che lasciano ampi spazi a delicate brezze marine. Assaggio intenso e vellutato inizialmente grazie al buon corpo che rende la beva equilibrata e di grande scorrevolezza. Si sviluppa su tenui aromi agrumati e ripropone fioriture e spezie. Il finale mostra la territorialità grazie alla decisa sapidità. Solo acciaio per 7 mesi.
Di LENARDO Bianco Thanks 2016 Uve: chardonnay 50%, sauvignon 15%, tocai friulano 15%, malvasia 10%, verduzzo 10% Alc. 13% - Euro 17 Giallo dorato e luminoso. Naso estivo, variegato e ben fuso. Fiori gialli, fieno di montagna, ananas, chips di banana, cocco, mango e crema agli agrumi. Complessità ed eleganza anche al palato. Subito glicerico, avvolgente, materico. Si sviluppa garbatamente su posizioni fresche, saline che garantiscono l’ottimo equilibrio. Corrispondenza perfetta nelle calde sensazioni fruttate. Chiude con lentezza. Lieve appassimento del verduzzo. Vinificato parte in acciaio e parte nel rovere. Matura in barrique per 4 mesi.
LIS FADIS Friuli Colli Orientali Friulano Sbilf 2012 Alc. 14% - Euro 25 Il giallo dorato brillante introduce il comparto odoroso ricco, ben amalgamato e impreziosito da effluvi floreali estivi quali fiori di ginestra, acacia e magnolia. Seguono, in rapida e continua successione, polvere di erbe mediterranee, agrumi canditi, frutta bianca disidratata, miele e noccioline tostate. Ingresso avvolgente e materico, disegnato alla perfezione nella componente fresco-sapida che regala ottima simmetria gustativa. Si congeda lentamente tra ricordi balsamici. In cemento per 20 mesi. Poi 1 anno in bottiglia.
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NOVANTA E NON SENTIRLI di Daniele Cernilli
Foto di: Fabrice Gallina
www.doctorwine.it
Che Marco Felluga abbia compiuto novant’anni mi sembra una cosa incredibile. Ovviamente gliene auguro altrettanti, ma a vederlo, ancora così vivace, lucido, perfezionista da sfiorare il ruolo di rompiscatole, è un vero spettacolo. L’ultima volta che l’ho incontrato, l’estate passata, a Russiz Superiore, vestiva sportivo e si muoveva con un’agilità sorprendente. Abbiamo parlato di vino, assaggiato un formidabile Collio Sauvignon Riserva del 2012, appena uscito, e che ho premiato con gioia con il “faccino” della Guida Essenziale ai Vini d’Italia di DoctorWine, assegnandogli 97/100, un punteggio stratosferico per il migliore della sua categoria quest’anno. Con noi c’erano anche suo figlio Roberto e Giulio Colomba, lo “zar” di tutti i Friuli, che lo avevano apprezzato quel vino, ma non quanto avrebbe meritato lì per lì. Con Marco è bastato uno sguardo per capirci, era straordinario, bastava solo aspettare che si esprimesse al meglio con un paio di minuti nel bicchiere. Con l’esperienza che ha sbagliare un assaggio non è proprio possibile. Scrivendone ora, di Marco Felluga, dico, mi rivengono in mente mille aneddoti. Il suo rapporto “dialettico” con Gino Veronelli, che me lo fece conoscere alla fine degli anni Settanta, proprio quando stava realizzando quella splendida azienda che è Russiz Superiore, a est di Capriva. Prima di allora era un produttore più “commerciale”. Selezionava uve, produceva i vini della cantina che porta il suo nome, quelli con in etichetta il leone di San Marco e che aveva e ha tuttora sede a Gradisca. Tra i suoi primi collaboratori c’era un giovanissimo Silvio Jermann che proprio lì conobbe quella che sarebbe poi diventata la sua prima moglie, Anna Gregorutti. Faceva, insomma, vini affidabili, piacevoli, con un buon rapporto qualità/prezzo, ma non i migliori del Friuli. E per uno come lui la cosa non poteva andare solo così. Perciò, con la conoscenza profonda che aveva di vigne e territori del Collio, soprattutto, acquistò vigneti e fece costruire una cantina modernissima per quei tempi, proprio a Russiz Superiore, al confine con l’allora Jugoslavia, che se non era proprio una “cortina di ferro” poco ci mancava. Iniziò a fare dei grandi bianchi, Sauvignon e Pinot Bianco soprattutto, ma anche dei rossi sorprendenti, come la Riserva degli Orzoni, da uve Cabernet Sauvignon e Franc e da Merlot, che fu universalmente considerato come un punto di riferimento per l’enologia “rossista” della zona. Divenne una delle anime della VIDE, un’associazione di viticoltori che vedeva nei suoi ranghi gente come Mario Schiopetto, Ugo Contini Bonacossi, Bruno Ceretto, Maurizio Zanella, Cosimo Taurino, Marta Galli. Il meglio dell’Italia enologica dei tempi. Sembra ieri, e invece sono passati quasi quattro decenni, e quel giovane signore friulano di quell’epoca oggi è divenuto l’icona della vitienologia friulana, senza perdere neanche un pizzico della sua vivacità intellettuale. E per un signore che ha appena compiuto novant’anni è una splendida notizia.
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IL FORNO di riccardo flaborea
Concordia Sagittaria (VE) Piazza Matteotti, 31 T. 0421 270262 56
il pane ha il compito di accompagnare nella valorizzazione del cibo e dei vini.
foto di: Umberto Pelizzon
“il pane deve avere un’anima�
STORIA DI LANDE CARSICHE E MIELI di Diana Candusso
Foto di: Fabrice Gallina
Aleš è giovane, entusiasta ed appassionato. Fa l’apicoltore e valorizza il suo territorio. Ha 31 anni ed è Presidente degli Apicoltori di Trieste. La sua storia, e quella di Farma Jakne, trascina con sé passato e futuro. Il passato è rappresentato dalla tradizione familiare ereditata dalle famiglie Peric e Pernarčič (i Peric sono apicoltori da almeno quattro generazioni, mentre i Pernarčič da tempo custodiscono i luoghi all’interno dei quali sono presenti le api e gli apiari aziendali di oggi). Il futuro è legato alla salvaguardia del nostro ecosistema, nello specifico della landa carsica.
Aleš ha iniziato a fare l’apicoltore durante i suoi studi di agraria imparando dal nonno, oggi 80enne, che, a sua volta, l’aveva appreso dai suoi avi. Una storia antica nata vicino a un mulino – oggi rappresentato anche in etichetta – che oggi vede sorgere oltre 80 arnie sui terreni carsici che guardano il fiume Timavo e il Golfo di Trieste. Noto a tutti per essere un terreno faticoso da coltivare – basti pensare alle difficoltà dei vignaioli nel piantare le viti – il Carso è immensamente ricco di ben 1800 tipologie di piante che hanno il vantaggio di assorbire dal particolare terreno calcareo ricco di ferro quegli elementi che permettono la produzione di olii essenziali molto forti. Queste virtù consentono longevità alle piante pur in un contesto avaro di terra fertile e acqua. Da questi oli proviene anche il profumo molto più odoroso delle singole piante, rispetto a quelle delle altre aree vocate all’apicoltura, donando così molto più sapore al miele prodotto. “Martin Krpan” è il nome del miele prodotto da Farma Jakne, ispirandosi ad uno degli eroi della letteratura popolare slovena per bambini. I mieli principali sono marasca e millefiori, millefiori primaverile, acacia, amorfa e ailanto (retrogusto di pesca bianca), tiglio, melata, edera e santoreggia. Una produzione che è profondamente legata all’andamento metereologico e alle fioriture, che variano di anno in anno. Dal punto di vista della degustazione, i mieli prodotti si possono abbinare anche alcuni prodotti agroalimentari, in primis i formaggi. Generalizzando, quelli più leggeri (acacia, millefiori) si adattano a dei formaggi ad ampio spettro di intensità, mentre quelli più aromatici (marasca, tiglio…) a formaggi più semplici (freschi, tomini…). Il miele viene spesso visto come un accompagnamento del formaggio e, spesso, dove c’è necessità di farne prevalere uno sull’altro, questo sarebbe il formaggio. A volte, però, lo stesso formaggio può diventare un supporto per il miele e in questo caso, più neutrale sarà il suo supporto, maggiore sarà la gamma di mieli in grado di accogliere. A livello nutrizionale, tra i “dolci” il miele è il più ricco di zuccheri semplici e l’unico che deve tutte le sue caratteristiche alla natura (piante e api) in quanto non subisce alcuna manipolazione da parte dell’uomo per arrivare sulla nostra tavola. La riflessione sul futuro è d’obbligo. Quanto importanti sono le api per il nostro ecosistema? Le api ci aiutano a vivere meglio e sono un elemento imprescindibile del nostro ecosistema. Non sono semplicemente importanti, sono fondamentali. Dal loro lavoro di impollinazione dipende la quasi totalità della produzione agricola coltivata e spontanea e nel caso del territorio carsico, tale lavoro è indispensabile per il mantenimento e l’arricchimento della biodiversità di questa landa. In senso più ampio, inoltre, il lavoro dell’apicoltore si affianca a quello del pascolo con bovini, ovicaprini e equini che permette di recuperare più velocemente la stessa landa carsica, che sta piano piano regredendo a boscaglia. Il lavoro dell’apicoltore, dunque, è importante perché favorisce la sopravvivenza delle api che sono estremamente sensibili alle molecole chimiche e muoiono se vengono a contatto con molte di esse. L’apicoltore ha il compito di salvaguardarle dai pesticidi, dall’inquinamento, dalle malattie e dai parassiti. Per questo sono definite le sentinelle dell’ambiente e non possono vivere nei territori contaminati. Fortunatamente il Carso è già un contesto sano perché non esistono attività agricole intensive, ma solo piccoli appezzamenti di terra coltivati a olivo e vite che si alternano a boscaglia e a prati rendendo così la zona un vero cuscinetto ecologico. Un alveare che “sta bene” significa prosperità per l’apicoltura, per la natura e per l’ambiente. Quindi, dove vivono le api, la qualità dei luoghi è eccellente.
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FARMA JAKNE ALEŠ PERNARČIČ San Giovanni di Duino, 23 349011 Duino Aurisina (TS) T. 346 2368719 farma.jakne@gmail.com
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I CUOCHI E LA TELEVISIONE di Renato Paglia
Foto di: Fabrice Gallina
Nessuno può non essersi accorto che siamo invasi dalla cucina proposta in tv. A tutte le ore, in tutti i tipi di televisioni, tematiche o generaliste che siano. È vero, lo so, si è già discusso e scritto molto, forse troppo, sul tema. C’è chi è a favore e c’è chi odia questo modo di intrattenere il pubblico che da qualche anno va di moda sul piccolo schermo. Già, la moda! A dire il vero Antonella Clerici cattura la nostra attenzione meridiana con il suo show di successo da quasi vent’anni e quindi, in questo caso, non si può parlare di moda passeggera. Come forse direbbe Carlo Freccero, noto esperto di comunicazione mediatica, si tratta di una “televisione didattica” che gli italiani amano molto. In fondo a ora di pranzo, tra un fornello, una pentola e un po’ di chiacchere, c’è pure la possibilità di imparare qualche ricetta da replicare la domenica in famiglia. Molti sono oggi i programmi televisivi che hanno in qualche modo copiato l’idea della Clerici, a volte spudoratamente, a volte con più o meno azzeccate varianti. Senza scomodare il maestro Alberto Manzi bisogna ammettere che attorno a questi programmi è nato un grande interesse per il buon cibo e per le materie prime che lo compongono. l Pomodorini del Piennolo del Vesuvio, il formaggio canestrato di Moliteno o la nostra Rosa di Gorizia erano perfetti sconosciuti al pubblico. Oggi, anche grazie a questi format televisivi, i prodotti agroalimentari di nicchia hanno maggior visibilità. Questa attenzione per le cose buone, lo stesso è accaduto anche per il buon vino, non fa che accrescere, e qui sta il merito, la qualità in tavola e contribuisce al successo mondiale della cucina del Belpaese. Insomma, questa “tivù” piace perché è coerente con la nostra vocazione naturale, tutta italiana, a preferire il bello e il buono. Altra cosa sono invece i cosiddetti “show business” dello spettacolo legato al mondo della cucina dove la parte didattica è sopraffatta dall’esibizione, dalla necessità di fare audience a tutti i costi. Questo modo di presentare il mondo dei cuochi è il male assoluto? Io credo di no, a prescindere. È bene precisare che si tratta di spettacolo e pertanto in questo ambito va considerato. Anche nel “show business” però le cose stanno cambiando. Sono sempre meno i “cuochi urlanti e inferociti” e sempre più sono i “cuochi comprensivi, tutor ammiccanti e sorridenti” che appaiono negli schermi del nostro tinello familiare. È evidente che qualcosa è cambiato. Ma cosa? Il cuoco, anzi lo “chef” (come si chiama ora in tv) con smania di onnipotenza forse non funziona più. La gara al massacro probabilmente non piace. Insomma c’è la necessità di rifare il look ai programmi. È arrivato il tempo dello “chef dal volto umano”. Finalmente! Chissà, forse cattura più l’attenzione una gara tra appassionati di cucina che non tra duellanti all’ultimo sangue e poi se nel mezzo c’è un anche un momento didattico ecco che l’audience vola. In fondo ogn’uno di noi, in fatto di cucina, ha dei ricordi familiari lieti. La mamma, la nonna, lo stare insieme, il profumo del piatto preferito: sono elementi positivi che poco assomigliano a quanto traspare invece dall’immagine distorta che a volte è passata attraverso la tv e i media. Nelle cucine dei grandi, come nei piccoli, ristoranti di successo c’è rigore, precisione, puntualità, sana competizione ma anche collaborazione, stima, sinergia e un saldo spirito di squadra. Nella cucina, come in qualsiasi altro ambiente di lavoro dove l’apporto di ogn’uno è fondamentale, non c’è spazio per lo chef padre-padrone. Associare il piacere dello stare a tavola, che è condivisione e serenità, ai “cuochi urlanti” è alla fine sbagliato perché non corrisponde al vero. Va anche ricordato però che il lavoro in cucina è molto pesante, difficile. Piccoli particolari o brevi istanti possono diventare fondamentali e rendere un piatto perfetto o rovinarlo inesorabilmente. C’è sempre tensione e a volte qualcuno esagera. Gordon Ramsey ha ammesso recentemente, in una intervista, che in alcuni ristoranti stellati inglesi le maniere forti e i vizi sono all’ordine del giorno poiché l’ansia da prestazione prevale sul buon senso. Ma paragonare tutto l’ambiente della ristorazione a una specie di inferno dantesco è proprio un gran forzatura, soprattutto se poi viene mutuato da un soggetto televisivo destinato a fare opinione.
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La ricetta di MangiaVino ZUPPA DI PESCE ALLA CISO Chef: Attias Tarlao
Foto di Umberto Pellizon
Ingredienti per 8 persone: 500 g di branzino, 500 g di scorfano, 300 g di rana pescatrice, 200 g di palombo, 500 g di rombo chiodato, 8 scampi, 8 cozze, 8 vongole, 8 fasolari, 2 carote, 2 cipolle, 1 peperone rosso, 1 pomodoro ramato, 2 coste di sedano, 1 finocchio, 2 spicchi di aglio, olio extravergine di oliva, pepe nero, zafferano, garam masala. Sfilettare i pesci togliendo gli occhi. Mettere le lische e le teste dei pesci in un contenitore sotto l’acqua corrente per 20 minuti. Nel frattempo tagliare i filetti del pesce a pezzetti della grandezza di un paio di centimetri. Preparare il fondo per il fumetto con una carota, una cipolla, una costa di sedano e ½ finocchio, facendoli rosolare con un filo d’olio. Aggiungere le lische ben lavate e scolate, coprirle con dell’acqua fredda e portare a bollore, per poi abbassare la fiamma. Dopo 15 minuti filtrare il brodo con un colino a maglia finissima. Tagliare le restanti verdure a Julienne. In una padella capiente, mettere l’aglio in camicia e insaporire l’olio scaldandolo e, appena risulta dorato, toglierlo. Aggiungere il pesce rosolando a fuoco vivo per 1 minuto. Aggiungere le verdure, salare e pepare. Bagnare il tutto con abbondante fumetto di pesce. Aggiungere gli scampi, le vongole, le cozze e i fasolari, insaporendo con le spezie. Terminare la cottura per ulteriori 5 minuti. Servire in una fondina, con una spruzzatina di prezzemolo finale.
RISTORANTE TAVERNETTA ALL’ANDRONA Calle Porta Piccola, 4-6 34073 Grado (GO) T. 043180950 www.androna.it
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I VINI IN ABBINAMENTO DORO PRINCIC
LE DUE TERRE Friuli Colli Orientali Sacrisassi Bianco 2015 - Uve: tocai friulano 70%, ribolla gialla 30%
Collio Fiulano 2016 Alc. 13,5% - Euro 22
Giallo paglierino lucente. Superbi e precisi profumi di erbe officinali quali rosmarino, salvia e timo, arance tarocco, fienagione e fioriture estive. Intensi sbuffi salmastri e fumé. Al gusto è morbido e solare. L’allungo è glicerico e avvolgente, bilanciato da adeguato, quanto affascinante, apporto salino e fresco. Finale piacevole, lentissimo, coerente nei continui richiami aromatici. Vinificato nell’acciaio, dove rimane per 6 mesi.
COLMELLO DI GROTTA
Alc. 13% - Euro 26
Friuli Isonzo Bianco Sanfilip 2016 - Uve: chardonnay 60%, sauvignon 30%, tocai friulano 10% Alc. 12,5% - Euro 22
Giallo paglierino carico, dalle sfumature d’oro. Naso di grande complessità. Fusioni di: erbe officinali, fioriture primaverili, polpa di mandarini, pesca gialla, salsedine e delicate spezie. Corposo, l’ottimo equilibrio esalta le componenti fresco-sapide e le morbidezze in un costante rimando gustativo. Interminabile la beva che è sostenuta dai ricordi fruttati e marini. Vinificato in acciaio, Matura nel tonneau di rovere per 22 mesi. Nell’acciaio per 7 mesi.
Giallo paglierino brillante. Biancospino, mentuccia e mela renetta aprono il ventaglio odoroso. Erbe mediterranee fresche e mineralità terrosa si alternano a pesca bianca e mela nashi. Beva fresca, piacevole, proporzionata dalle note morbide che si evidenziano, via via, al palato. Chiude tra sensazioni agrumate di lime, rintocchi adriatici e erbe aromatiche finemente tritate. Vinificato nell’acciaio dove riposa sui lieviti.
COLLE DUGA
COLUTTA GIANPAOLO
Collio Pinot Grigio 2016 Alc. 14,5% - Euro 16
Friuli Colli Orientali Friulano 2016 - Alc. 13% - Euro 11
Giallo paglierino acceso. Comparto aromatico spesso e di rara eleganza. Timo, mentuccia, maggiorana e salvia in primo piano. Cocktail di agrumi, mela stark, pera estiva e pesca bianca. Note minerali fumé e soffi di spezie bianche. Ingresso avvolgente, materico. Sorso guidato poi da freschezze saline e sapidità terrose. Si spegne lentamente riproponendo l’intero specchio olfattivo. Acciaio e piccola parte in barrique.
Giallo paglierino netto. Delicate freschezze guidano l’olfatto. Timo, salvia, mentuccia, lemongrass, sbuffi mentolati. Fiori bianchi di primavera, kiwi, succo di pompelmo e brezze marine. Inizio gustativo corrispondente, succoso e intenso. Sorso rinfrescante. Il buon corpo induce a sostenuti ricordi olfattivi che impreziosiscono e sostengono la beva a lungo. Vinificato in acciaio, dove rimane, sui propri lieviti, per 6 mesi.
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UNA BOT TEGA SPIRITOSA di Bruno Cataletto
Foto di Bruno Cataletto
Una tiepida giornata sta volgendo al termine e grosse nuvole grigie cariche di pioggia ci sovrastano minacciose mentre ci addentriamo nel centro storico di Trieste, in un rione ricco di tradizione e arte chiamato Cavana. Percorrendo una stretta via giungiamo davanti a una piccola vetrina in cui fanno bella mostra di sé numerose bottiglie delle più svariate forme contenenti soluzioni di diverso colore. Il nostro sguardo si sposta istintivamente verso l’alto alla ricerca di qualche indicazione rivelatrice sul luogo nel quale ci troviamo e ci appare un’insegna dall’originale grafia che recita “La Piccola Bottega Spiritosa di Piolo & Max”. Varcata la soglia, ci accolgono il sorriso e la simpatia di Elena, una collaboratrice di lunga data dei due proprietari, che ci svela di aver scoperto questa attività ai tempi della sua tesi universitaria e di essersene perdutamente innamorata. Ritroviamo, sugli scaffali alla nostra destra, le bottiglie che avevamo già ammirato in vetrina e di cui ora, a distanza ravvicinata, apprezziamo le bellissime etichette che abbracciano i loro colli di vetro. L’originalità della parete frontale ci lascia a bocca aperta: il colore bianco del fondo contrasta in maniera perfetta con il rosso e nero di decine di bottiglie e bicchieri disegnati con puntigliosa precisione e su cui, in tipico stile “graffitaro”, sono stati scritti con della vernice rossa i nomi di Piolo e Max.
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La nostra curiosità, cresciuta nel frattempo a dismisura, viene immediatamente soddisfatta da Elena che, servendosi delle numerose fotografie e locandine con cui è tappezzata la parete alla nostra sinistra, ci racconta la storia di questo pittoresco “laboratorio di liquori”. Piolo (il cui vero nome è Paolo) e Max avviano il loro “Piccolo Liquorificio Artigianale in Trieste” nel 2002, dopo aver lavorato per diversi anni come “vermuttisti” in una delle famose cantine del Porto Vecchio di Trieste in cui si producevano i vini aromatizzati che venivano spediti in tutto il mondo. La passione per i liquori artigianali prodotti con materie prime naturali e metodologie classiche li spinge a affrontare questa scommessa che con il passare degli anni si rivelerà vincente. Mentre continuiamo, con sempre maggiore interesse e osservando le fotografie appese alla parete, a ripercorrere le tappe di questa meravigliosa storia di amicizia e creatività, Elena ci invita a degustare le delizie che ci circondano. Incominciamo con il DivinTerrano e il LiquoRefosco, un riadattamento da parte di Piolo e Max di una ricetta tipica del Carso triestino e sloveno nata dalla volontà di conservare il vino prodotto in questo territorio il più a lungo possibile. Al Terrano e al Refosco vengono aggiunti lo zucchero di canna integrale, il succo di limoni e arance, alcool e cannella, ottenendo in questo modo un liquore dolce e con una alcolicità moderata. La modesta quantità d’alcool contenuta in questi liquori ne favorisce la gradevolezza e l’apprezzamento dei profumi, rappresentando una caratteristica peculiare di questi prodotti. Proseguiamo con gli infusi dai nomi quasi fiabeschi e rigorosamente privi di aromi naturali o coloranti: Limocannella, un’infusione idroalcolica di bucce di limoni a cui viene aggiunta della cannella di varietà Goa, Fruttibosco con mirtilli, lamponi, ribes, rosa canina e uva passa, Peperoncino, Axentio, Zenzero, Kummel, Cardamomo, Santoreggia, Erba Luigia, Camokillah, con i soli capolini di camomilla e Abysso, un assenzio ottenuto per macerazione in alcool di una decina di erbe e tre varietà di assenzio secondo la ricetta originale francese. Passiamo poi alla scoperta di Melaverde, Anguria e Melone, liquori ottenuti dalla miscelazione idroalcolica di paste naturali di frutta. Due etichette ricche di colori ci introducono all’HoleUnder e all’Himber HoleUnder, liquori rispettivamente ai fiori di sambuco e al lampone e ai fiori di sambuco. All’improvviso fa la sua comparsa, nella piccola bottega, Piolo in persona con una maglietta a righe da gondoliere veneziano, una folta chioma pepe e sale e occhiali a incorniciare uno sguardo allegro e comunicativo. La degustazione riprende con maggiore foga di prima! Assaggiamo Liquirizia, un liquore creato mediante l’uso di un colato a caldo ottenuto dal macinato di radice di liquirizia. Come fossimo alla fine di un ricco pranzo passiamo ai dolci, i liquori cremosi ottenuti per emulsione: Newtella, Coffeeciok, Ciokocannella, Cioccomenta, Cioccobianca, a base di cacao olandese o polvere di cioccolato bianco, latte fresco parzialmente scremato, zucchero, alcool e una piccola quantità di grappa. Con lo stesso procedimento vengono prodotti anche Cocco, Hansel&Gretel (marzapane), Mou, Nocciola, Mentalat, Milk e Tirami+su. Non potevano mancare naturalmente le grappe aromatizzate mediante l’infusione di erbe, l’Amaro di Erbe Trieste, un ritorno all’antica tradizione austroungarica degli infusi medicinali e il Vermut del Porto Vecchio per rendere omaggio al luogo dove è nata la passione di questi straordinari artigiani. È scesa la sera. Dobbiamo congedarci da Piolo e da Elena, ma lo facciamo a malincuore, completamente affascinati e rapiti dai profumi e dai colori di questa unica e imperdibile bottega spiritosa!
LA PICCOLA BOTTEGA SPIRITOSA DI PIOLO & MAX Via Felice Venezian 11 - 34137 Trieste T 040 2460223 www.pioloemax.it
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SILVIA, SIMONA E IL LORO MAGICO NODO di Giorgio C. Riva
foto di Umberto Pelizzon
Spesso non ci si ricorda oppure proprio non ci si spiega la scomparsa e la ricomparsa nel nostro
“quotidiano” di persone, luoghi, consuetudini. Dopo una “frequentazione“ assidua, un periodo, magari anche lungo, di black out, e poi,.....come se non ci fosse stata l’”interruzione”! Capita solo a me? Non ne sono sicuro. E poi, sarà che il ricordo, soprattutto se legato a persone care, da una mano di “abbellitore” in particolare a ciò che è stato ritrovato e che le ricorda e poi ancora che l’età -la mia attuale, una volta da pensione!- enfatizza tutto ciò che “scalda”, ma rimettere, recentemente, dopo veramente tanto tempo, piede Al Grop, m’ha emozionato. Una calda mattinata di sole, i meravigliosi colori stagionali della natura, fuori, la penombra dentro, nella bella, curata, linda, casa friulana “all’ombra del campanile”, il silenzio. “C’è nessuno?”, sorprendere anche Silvia in cucina, tutti a far sfoglia e ripieno. Meraviglioso. Mi sono rivisto appena fuori della cucina di siore Gjudite, la nonna di Silvia e Simona, a fine anni sessanta primi anni settanta, prima della ristrutturazione degli antichi locali sognata, voluta, realizzata da Elio, il compianto papà delle “ragazze”, dove, con mio padre e i suoi zii, si “beccottavano”, innaffiati da giri di taglietti del Tocai della casa, salame, formaggio, polenta rostide, uova sode e asparagi in stagione, mentre i “locali”, nei pressi del banco all’ingresso, giocavano a carte. Oggi Al Grop, a Tavagnacco, tra Cormôr e Tôr, una volta comune agricolo, ora con quasi diecimila abitanti in più rispetto agli anni sessanta, fortunatamente sparsi nell’intero vasto territorio comunale, è “trattoria storica e locanda di charme”, ”esaltate” entrambe dal giardino e dai vicini campanile chiesa di S. Antonio e parco su cui danno le ampie vetrate del ristorante, praticamente quasi un tutt’uno. Un’oasi di serenità e bellezza a qualche chilometro da Udine. Non c’è più il tram bianco Udine – Tarcento ma è sopportabile anche dai più sedentari una breve gita in bicicletta. Brave le “ragazze”. L’eredità, anche di relazioni, di Elio, già “avanti” anche per quanto i vini e l’attenzione per la cantina, non era cosa da poco. Ce l’hanno fatta. Oggi qui tutto è armonia. Stupende le “luci”, in rame come il pentolame esposto, ma moderne, intriganti, diverse, pensate da Enrico Sello, l’architetto. Parliamo ora della cucina. Alla testa della quale c’è sempre, con molti anni di più, ma che si avvertono solo per la enorme esperienza e per la solida tradizione, Ramon Gigante. Le materie prime impiegate son le eccellenze cui deve guardare un moderno ristorante di classe –con particolarissima attenzione, quando possibile, però, per il territorio– ma la proposta, alleggerita e rivisitata, è quasi tutta autenticamente friulana. Declinata coi migliori prodotti, modernamente. Cominciamo dalle paste, tutte fatte in casa. Ottime le fettuccine integrali ai gialletti. Le ripiene, eccellenti in brodo, magari prima di un bel bollito!, ma da assaggiare, assolutamente, i tortelli ai porcini e i ravioli al formadi frant. Altrimenti, sempre tra i primi, dei gnocchetti al ragù d’oca. E dopo, dei bocconcini di coniglio dorati. Altrimenti, un bel frico alle patate di Godia, cipolla, Montasio. Adesso che ci penso, comprendo il mio rinnovato amore. Lo spiedo. La “mia” cottura. Un rito che si può tener d’occhio, officiato sul fogolar a vista, ogni settimana, e ogni giorno su prenotazione. Last but not least, come si dice. In stagione, gli asparagi, e come poteva essere diversamente. Siamo a Tavagnacco. E Al Grop è sempre stata meta per il pregiato turione “nostrano”. Elio, tra i primi nel ducato dei vini e tra i sommelier, sarebbe stato orgoglioso della attuale cantina. Un po’ di tutt’Italia, d’”internazionali” doverosi (Austria, Germania, Slovenia), e il Friuli che ci si aspetta di trovare, tanta Toscana, qui da noi, una bella, quasi completa, carta piemontese, anche nebbioli “semplici” e “diversi”. E bene Bordeaux e molto bene Borgogna. Importante selezione di champagne. Ricarichi onestissimi. Bravi. Da divertirsi.
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TRATTORIA AL GROP Via Matteotti, 1 33010 Tavagnacco (UD) T. 0432 660240 www.algrop.net
I vini in abbinamento al Ristorante Al Grop VIGNETI PITTARO Ribolla Gialla Metodo Classico Brut Ronco Vieri Alc. 12,5% - Euro 19 Manto dorato luccicante. Intenso perlage, minuto e insistente. Fioriture ed essenze primaverili in primo piano. Fiori di tiglio, zagara e magnolia. Frutta secca, spezie fini, frutta gialla, succo d’arancia e folate saline. Ben regolato sin dal primo sorso. Morbidezza glicerica e freschezza sapida. Beva intensa, rallentata dall’ottimo perlage. Richiami di spezie, frutta secca e agrumi. Sosta in bottiglia per 24 mesi sui lieviti. MIANI Friuli Colli Orientali Friulano Filip 2015 Alc. 13,5% - Euro 60 Giallo paglierino verso il dorato. Naso esaltante, di rara eleganza. Pesche sciroppate, zenzero candito, polpa di agrumi, miele balsamico, calendula e spezie dolci. Intense brezze adriatiche. Bocca coerente, sinergica. Equilibrio perfetto tra morbidezze e durezze che si alternano continuamente al palato. La chiusura, lentissima, emoziona per il ventaglio delle corrispondenze olfattive. Sosta nel rovere per 12 mesi.
EDI KEBER Collio Bianco 2016 Uve: friulano 70%, malvasia 15%, ribolla gialla 15% Alc. 13,5% - Euro 17 Giallo paglierino brillante. Comparto odoroso unico. Mescolanza di erbe aromatiche in cui si evidenziano la salvia, il timo, il rosmarino e la santoreggia, cocktail di agrumi, note fumé e soffi marini. Fresco, succoso, intenso, appagante al palato. Il peso e l’equilibrio determinano l’alta qualità dell’assaggio. Si congeda lentamente con rintocchi sapidi e respiri minerali. Vinificato in cemento dove sosta sui lieviti per 7 mesi. VILLA RUSSIZ Collio Chardonnay Gräfin de la Tour 2013 Alc. 14,5% - Euro 42 Giallo paglierino netto con sfumature oro. Profumi intesi, solari. Spezie dolci, erbe mediterranee essiccate, biscotti al miele, arancia candita, mandorle tostate, effluvi salmastri. Beva corposa e squisita. Incipit avvolgente, prosegue con intense freschezze balsamiche che rendono il sorso perfetto. Ottima simmetria gustativa. Incessanti ricordi fruttati ed erbe aromatiche. Acciaio per 12 mesi e altrettanti in bottiglia. BRANKO Collio Pinot Grigio 2016 Alc. 14,5 % - Euro 16 Giallo paglierino acceso. Fiori di acacia, ginestra e tiglio. Ananas, mango e chips di banana. Biscotteria da tè, agrumi canditi e zenzero. Fienagioni estive e fiori gialli maturi. Mineralità che richiama la ponca. Setoso, soffice al gusto e ben sostenuto da proporzionate freschezza e sapidità. Allungo bilanciato, che conduce alla chiusa riproponendo agrumi e fiori. Vinificato parte in acciaio e parte in rovere francese. 70
IN GIARDINO O IN VERANDA, TRA CARSO E CITTÀ di Giorgio C. Riva 72
foto di Umberto Pelizzon
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nche se gli “anta”, pur vicini, non li ha ancora raggiunti, Daniele Valmarin, fisicamente in forma grazie alla pratica dello sci, l’altra sua passione, condivisa con la moglie, maestra di sci -la prima, neanche dirlo, è per il suo lavoro di chef, trasmessagli questa da nonno Mario- può vantare quasi cinque lustri di esperienze in cucina. A partire dal primo stage, mentre frequentava, subito dopo le medie, la scuola alberghiera, al Grand Hotel Duchi d’Aosta di Trieste, allora Ciga, per la quale ha poi lavorato, sempre a Trieste e a Cortina d’Ampezzo, intervallando esperienze stagionali all’Astoria di Grado e a Lignano Sabbiadoro. A meno di vent’anni apre l’Hostaria di cui ancor oggi è chef patron, Ai 3 Magnoni, i nonni e il bisnonno, tutti Mario, nella zona del Cacciatore, tra il verde, dove il Carso incontra le prime case di Trieste. L’Hostaria è là dove praticamente nasce la strettissima via dell’Eremo che scende in città dal rione Rozzol. Ai 3 Magnoni si mangia pesce, pesce dell’Adriatico, non di allevamento, proveniente da Marano Lagunare, dal Golfo e da Pola. I piatti proposti, mai gratuitamente “esagerati”, realizzati con maestria da Daniele e da Emanuele Jak Felluga, sono il frutto di estrosa ed esperta capacità, riconosciuta, di combinare armonicamente tra loro ingredienti anche inconsueti. Un piatto “del passato”, iper premiato, ne è l’esempio: risotto rafano-musetto, salsa al Terrano e scampo crudo con zenzero e arancia. Provato convincerebbe i più scettici. Daniele, oltre a stare in cucina, gira tra i tavoli. A spiegare, consigliare, suggerire. La carta varia. Ma alcuni piatti, definiti storici, si trovano praticamente sempre, come la carbonara scampi e tartufo e i carpacci di branzino e di orata abbinati a frutta fresca di stagione. La mia recente esperienza ha preso l’avvio con una zuppetta di branzino zenzero bottarga e puccia, che mi ha subito “aperto lo stomaco”. A seguire una deliziosa oratina marinata e frutti rossi. Poi un “classico” spesso rivisitato da Daniele: parmigiana di melanzane, questa volta scampetti e burrata; ho ricordo di una “altra” parmigiana da urlo alici, caciotta e lardo croccante del Carso. Poi mezza porzione di orecchiette fatte in casa, pistacchi di Bronte, acciughe, ricotta fresca, tartara di scampo e arancio di Sicilia. Per finire piovra marinata con erbe di campo alla brace, evo bianchera, fior di sale di Pirano, servita su crema di lattuga e feta. Io non avevo “posto” per il dessert. Ma anche “lato” dolci della casa, il locale di Daniele non delude le aspettative. La cantina, oltre un certo numero di vini di più aziende della Regione, offre bolle di Franciacorta, Trento doc e champagne, qualche vino da dessert e scelte personalissime di vini sardi di Argiolas, di qualche bianco italiano, in primis Alto Adige, di malvasie (istriane), di certi francesi (tra cui un Sauvignon dei paesi della Loira a prezzo popolare da me degustato con piacere) e di amati -da Daniele- riesling. Bello andarci d’estate e sedersi, sotto gli alberi, a uno dei tavoli del giardino. Caldo d’inverno, all’interno, tutto legno, rustico, con la stube tirolese che ci ricorda che non siamo distanti dal Ferdinandeo. Sempre, in veranda, riscaldata, ovviamente, nella stagione fredda. Oltre al Ferdinandeo, nelle vicinanze c’è Villa Revoltella. E, più o meno prossime, ci sono altre mete più o meno alla portata di tutti per delle belle passeggiate, finalizzate. Per smaltire. Ad esempio fino al Museo Civico di storia naturale o all’Orto botanico o al Civico Museo della guerra per la pace Diego de Henriquez. Anche per ricordarsi che Trieste non è solo rive.
HOSTARIA AI 3 MAGNONI Via dell’Eremo, 243 34142 Trieste (TS) T. 040.910979 www.ai3magnoni.com
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GRANDI VINI MODERNI DALLA STORIA ANTICA di Renzo Zorzi
L’azienda prende il nome dalla località che si pone tra la lo scorrere dell’Isonzo e le dolci colline del Collio. Angoris è un vero simbolo del territorio prima che un’azienda vitivinicola. La tenuta nasce nel lontano 1648 e, superando le avversità storiche che si sono accanite quest’area tra cui due devastanti conflitti mondiali, arriva sino ai giorni nostri mantenendo intatto l’antico fascino. Oggi spetta a Marta Locatelli il compito di tenere alto il prestigio e la fama di Angoris. A sostenerla, in questa direzione, c’è uno staff professionale di gran livello alla cui testa c’è il giovane Alessandro Dal Zovo, bravissimo enologo che segue la campagna oltre che la cantina. Alessandro “respira” e “vive” ogni attimo dell’azienda; è uno dei principali artefici del successo di Angoris.
«Mio nonno Giulio Locatelli – ci dice Marta – comperò quest’azienda negli anni ’60 del secolo scorso. Era un imprenditore di successo e, assieme a figure indimenticabili come Zanussi e Savio, fu il padre fondatore dell’industria pordenonese che diventò una delle più importanti in Italia. Comprò Angoris per “diversificare” come si direbbe oggi. La terra, si sa, è sempre stata considerata la più solida delle opportunità di reddito e questo, per lui, garantiva un futuro certo per tutta la famiglia. Fece alcuni investimenti in Friuli ma anche in Toscana e perfino in California. Vigneti e seminativi erano le attività principali di queste tenute».
La terra dunque come bene di rifugio? “Si – continua Marta – ma non intesa quale asettico investimento bensì come la possibilità di offrire certezze per le generazioni future. Mio nonno aveva tre figli e quindi desiderava garantire loro una sicurezza che forse l’industria, che richiede continui investimenti, secondo il suo pensiero non riusciva sempre a dare. Possedere un bene significava per nonno Giulio soprattutto saperlo mantenere, metterlo a frutto. Non era il semplice “avere” ma era soprattutto l’opportunità di “valorizzare” quello che si ha. Questo concetto è molto radicato nella mia famiglia e fa parte anche del mio modo di vedere le cose. Mio nonno capì immediatamente che Angoris aveva bisogno di crescere. Investì subito nella cantina. Era inusuale per l’epoca, la sua forma ricordava uno dei tanti capannoni industriali che abitualmente realizzava. Investì in macchinari e tecnologia. Qui tutto era enorme, pronto per i tempi che stavano maturando per la nuova enologia italiana che stava nascendo. All’epoca c’erano tanti conferitori di uve che via via sono cessati; oggi Angoris vinifica solo le proprie uve». Questa Tenuta si pose subito quindi come riferimento nell’area vitienologica regionale? “Contribuì alla crescita del movimento friulano del vino – prosegue Marta mentre Alessandro dispone con cura sul tavolo della elegante sala di degustazione alcuni calici per una improvvisata quanto gradita degustazione – e fu di stimolo anche per migliorare la qualità dei prodotti. È stata la prima azienda a dare l’idea che il Friuli poteva produrre vino per il mercato e non solo per l’autoconsumo come fino allora succedeva. Anni vissuti intensamente. Tra i nomi determinanti al rinnovamento quali Mario Schioppetto, Livio e Marco Felluga ci fu anche quello di Giulio Locatelli». E dopo il nonno Giulio chi si occupò della Tenuta? “Fu mio padre Luciano che nel 1980 gli subentrò. Non fu tutto facile e scontato poiché il nonno in realtà non tralasciò mai di osservare, anche se da lontano, le sorti aziendali. Nel tempo aveva sviluppato un legame speciale per questo luogo e quindi voleva accertarsi che tutto filasse a dovere, come lui si auspicava. Poi, quattro anni fa, io presi il posto del papà. Realizzai immediatamente la consapevolezza che avevo ereditato un compito impegnativo che, se da un lato mi riempiva di orgoglio, dall’altro mi imponeva la responsabilità che si avverte quando si deve condurre un’azienda storica, così importante per me, per la mia famiglia e per l’enologia friulana. Angoris ha diverse linee di produzione. Spazia tra vini riserva di altissimo livello a linee più semplici e di ottima qualità. Come riesce a conciliare queste due esigenze produttive? “È la vera forza di Angoris - risponde decisa Marta – poiché nel tempo abbiamo visto come ogni singolo vino realizzato, e così tutta la filiera produttiva, ricavi un grande beneficio dall’attenzione che si pone alla creazione dei vini più importanti. In pratica questo modo di lavorare scrupoloso si trasferisce quasi in automatico anche nel fare i vini più semplici. Un effetto domino positivo che rende fieri noi e tutti i nostri collaboratori. I vini della linea “Villa Locatelli” infatti possiedono un rapporto qualità prezzo invidiabile e sono apprezzati a tutte le latitudini. Spesso contribuiscono a far conoscere il resto della produzione di Angoris: dagli autoctoni, ai cru, alle riserve”. Angoris ha sempre puntato sulla spumantistica vero? Marta annuisce coinvolgendo Alessandro quale principale artefice del successo di questi vini speciali. “In azienda si producono spumanti fin dal 1973 - inizia Dal Zovo - ed è stata una delle prime realtà in regione a dedicarsi a questi vini. Oggi è sempre più presente lo spumante, anzi gli spumanti, nelle nostre linee produttive. Modolet è uno charmat che utilizza le uve di un unico appezzamento mentre il metodo classico 16 48 è una delle “bollicine” più pregiate della regione e su cui punteremo ancora con più forza in futuro”.
A proposito, c’è qualche novità in cantiere? “Si, molte - risponde Marta mentre ci si appresta a fare qualche assaggio che evidenzia la straordinaria qualità dei vini di Angoris - ma una su tutte ripone le nostre aspettative maggiori. Si tratta della produzione di una riserva di Pinot Nero. Puntiamo molto su questo vino che, come gli altri nasce da una preparazione, da una scelta e da un lavoro che inizia da un grande progetto in vigna e si sviluppa fino al momento in cui viene inviato al cliente. È un lavoro attento che sicuramente paga poiché il consumatore percepisce lo sforzo che hai fatto, lo intuisce dal tuo racconto appassionato, dai dettagli che sempre fanno la differenza, da come lo senti “tuo”, frutto della tua dedizione personale. Bisogna trasmettere, oltre al vino, anche il territorio da cui è generato. Una simbiosi che va rivelata perché vissuta, autentica, che il consumatore deve ritrovare nel calice e se questo accade hai fatto centro”. Se dovessimo sintetizzare quando detto fin qui cosa potremmo aggiungere? Marta risponde con sicurezza: “Ho un sogno. Mi piacerebbe creare una rete tra le aziende vitivinicole del territorio che investano davvero nell’accoglienza e nella promozione di questa straordinaria Regione che è troppo poco conosciuta. Vorrei raggiungere gli angoli del mondo portando non solo il vino ma la terra, la cultura e tutte le meraviglie di questa terra bellissima le cui potenzialità sono in gran parte inespresse. Ci vuole l’impegno di tutti, non solo delle Istituzioni che pure devono fare la loro parte. Credo che i tempi siano maturi, dobbiamo crederci fino in fondo. Angoris lo sta già facendo”.
Loc. Angoris 7 | 34071 Cormons (Go) | Tel. +39 0481 60923 | Fax +39 0481 60925 | info@angoris.it www.angoris.com
IL MAESTRO LIUTAIO DI CARNIA di Flavia Virilli
foto di Flavia Virilli
Gio Batta Morassi, classe 1934, è il custode di un’arte antica: la liuteria. Quando lo incontriamo è appena rientrato da Pechino, dove è stato nominato socio onorario dell’Ente Internazionale Maestri Liutai. Ci accoglie nella sua casa, a Camporosso di Tarvisio, tra violini, viole d’amore, pochette e pezzi ancora incompiuti, che adornano, come cammei, le mensole e davanzali. Sui muri campeggiano fotografie, ricordi, prestigiosi riconoscimenti e la laurea recentemente conferitagli honoris causa dall’Università di Udine in “Discipline della musica dello spettacolo e del cinema”. Una miscellanea di memorie e suggestioni che parlano di una vita dedicata alla costruzione e al restauro di strumenti ad arco sublimi, oggi suonati in tutto il mondo dai maggiori interpreti e compositori, come il violinista Črtomir Šiškovič.
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Morassi, cremonese d’adozione, nasce a Cedarchis
di Arta Terme. Nel 1942 si trasferisce con la famiglia a Camporosso e frequenta le scuole a Tarvisio. Completa brillantemente il corso di avviamento professionale dedicato alla lavorazione del legno e nel 1950 ottiene, grazie alle sue spiccate doti, una borsa di studio dalla Camera di Commercio di Udine, che gli permette di frequentare la Scuola internazionale di liuteria a Cremona. Qui si diploma nel 1955, lavorando al fianco di maestri quali Peter Tatàr, Giuseppe Ornati e Ferdinando Garimberti. Diventa docente di laboratorio nell’istituto in cui egli stesso si è formato e, accortosi di come la liuteria cremonese si trovasse in un momento d’impasse rispetto ai fasti del passato, intraprende un intenso percorso di ricerca e sperimentazione, senza dimenticare gli insegnamenti dei grandi nomi della tradizione. A questo proposito, per far comprendere quanto, negli anni Cinquanta, Cremona fosse lontana dai tempi leggendari di Antonio Stradivari, Morassi racconta che quando arrivò in città e, uscito dalla stazione, chiese dove si trovasse la scuola di liuteria, si sentì rispondere: “cos’è?”. È evidente come ci fosse molta strada da percorrere per riportate in auge quel settore e lui, senza dubbio, ci è riuscito, tanto che i suoi violini sono oggi esposti all’interno del museo della stessa Scuola di liuteria. Fin da bambino ebbe il privilegio di respirare il profumo del legno nella segheria di famiglia e, mentre era ancora un allievo, non ebbe difficoltà a comprendere le eccelse potenzialità dell’abete “di risonanza” della foresta di Tarvisio. “Quell’abete rosso - precisa orgogliosamente Gio Batta -, già impiegato dallo Stradivari e da altri celebri maestri liutai del Seicento e Settecento, in virtù delle sue peculiari caratteristiche meccanico-acustiche, è il migliore al mondo, anche se purtroppo oggi la sua qualità è minacciata dall’inquinamento e dalle piogge acide. “Per questo - aggiunge - ho insegnato agli artigiani e ai boscaioli della zona a riconoscerlo, a tagliarlo e a stagionarlo nel modo più appropriato”. Scopriamo che si tratta di piante che hanno almeno 150 anni e che il legno, prima di diventare uno strumento, ha bisogno di una lunga e sapiente stagionatura. “Guardo il pezzo di abete - svela Morassi - e vedo già cosa deve diventare. Ho sempre pungolato i miei allievi - confessa esortandoli a sviluppare la fantasia e a creare qualcosa che sia speciale”. I suoi metodi prevedono lavorazioni esclusivamente manuali e l’impiego di vernici naturali. Tali competenze, che hanno reso la sua “Liuteria Artistica Cremonese” una tra le botteghe più prestigiose al modo, si ritrovano oggi negli strumenti prodotti dal figlio Simeone e dal nipote Giovanni Battista, anch’essi liutai.
Gio Batta, però, al quale si deve, tra l’altro, la fondazione dell’Associazione Liutaria Italiana, non ha smesso di costruire violini. “Per me - dice - fare un violino è un momento di relax. Man mano che procedo con il lavoro, mi raffiguro nella mente le variazioni che devo apportare per giungere al risultato che desidero. Lo “sento” con la testa spiega - e, ogni volta che mi metto all’opera, cerco di superare lo strumento precedente”. Se a Morassi, che ha tenuto conferenze dagli Stati Uniti al Giappone, che partecipa in qualità di giudice ai più importanti concorsi internazionali di liuteria e i cui violini vengono suonati dai maggiori artisti mondiali, si chiede quale ritiene fosse il “segreto” di Stradivari, ci si sente rispondere che un segreto non c’è. “A rendere unico uno strumento - rivela - è un insieme di elementi che, massimizzati, permettono di raggiungere l’eccellenza. Tuttavia, ciò che conta di più è la personalità di chi crea”. E, proprio per ricordare questo a tutti coloro che gli fanno visita, Gio Batta ha appeso in salotto un pannello che recita una celebre frase di Albert Einstein, appassionato violinista: “è impossibile fissare delle leggi o dei calcoli matematici per uno strumento così diabolico come il violino. Esso è frutto unicamente della mano dell’uomo e della sua sensibilità, perciò nulla di questo magico strumento può essere codificato in maniera certa e precisa”.
MORASSI LIUTAI Via Lanaioli, 3 - 26100 Cremona info@morassi.com - giovanni@morassi.com SIMEONE MORASSI info@liuteria-artistica-cremonese.com T. 0372 38747
LA RUBRICA DEI LIBRI
BORGOGNA LE VIGNE DELLA CÔTE D’OR di Armando Castagno È il caso letterario dell’anno. Il libro venduto ancor prima di essere stampato. Un’opera monumentale che solo le qualità che possiede l’autore potevano concepire. Nessuno prima di Castagno aveva osato tanto. La prefazione è di Michel Bettane, guru indiscusso del vino mondiale. L’introduzione, di Fabio Rizzari, elenca le virtù del “volume che prende per mano e conduce serenamente, virgilianamente, nel labirinto borgognone, le cui multiple insidie vengono disinnescate e riordinate in una mappatura chiara, esaustiva, illuminante”. Il libro è arricchito dalle fotografie di Andrea Federici, che illustrano 27 capitoli enografici e due ampie sezioni generali, con mappe dettagliate, i caratteri salienti di 117 annate a partire dal 1900, uno studio etimologico della toponomastica locale che non ha precedenti neppure in Francia, dati puntuali su altitudini e pendenze, estensioni ed esposizioni, suddivisioni interne, vicende storiche, climatologia, ampelografia, geologia, gastronomia. Euro 100 – 800 pagine – Buongiornovino Editore DI CUORE E DI CORAGGIO di Antonia Klugmann La vita riserva sempre delle sorprese. Quanto accaduto ad Antonia Klugmann, chef stellata e nota al grande pubblico, come prima donna giudice, per aver sostituito sua maestà Carlo Cracco a Masterchef Italia, ne è la prova. Ma la storia di Antonia ha ben altro spessore. Triestina di nascita e friulana di adozione. Dopo una sosta forzata a causa di un terribile incidente si convince che la sua strada non è l’università ma è inseguire il suo sogno di diventare una cuoca. In barba al fisico minuto e al sorriso dolce e mite, Antonia mostra una determinazione senza pari. Parte dal basso, poi l’esperienza nei ristoranti e infine il sogno diventa realtà. Si chiama L’Argine a Vencò. Un ristorante pensato e realizzato con Romano. Dopo pochi mesi già la prima stella Michelin. Un luogo magico, tra boschi e colori della natura che ispira i piatti. Sono 6 i capitoli in cui Antonia racconta se stessa e la sua cucina. Ben 60 ricette che riportano al territorio, alla famiglia, all’orto. Euro 19,50 – 224 pagine – Giunti Editore IL VINO CAPOVOLTO di Jacky Rigaux e Sandro Sangiorgi Il vino capovolto. La degustazione geosensoriale e altri scritti. Questo è il titolo completo del libro che realizzato con due distinte parti. La prima sezione è del professor Jacky Rigaux e s’intitola La degustazione geosensoriale. Si tratta di uno scritto dedicato fondamentalmente alla Borgogna, regione in cui Rigaux vive e che ama profondamente. La seconda parte è una raccolta di pensieri dedicati al vino che Sandro Sangiorgi ha scritto negli anni passati, dopo l’uscita de “L’invenzione della gioia. Educarsi al vino. Sogno, civiltà, linguaggio” che era un’opera complessa e completa attorno al mondo enologico. Sono un’occasione per riprendere l’argomento e svilupparlo sotto prospettive diverse. La prefazione è di Giuseppe Battiston. L’introduzione è di Sandro Sangiorgi che spiega le finalità del libro che invitano sostanzialmente a vedere al contrario l’approccio al vino. Un modo di intendere le cose in linea con il progetto editoriale e didattico di Porthos. Euro 15 – 148 pagine – Porthos Edizioni SIGNORI DEL VINO di Marcello Masi e Rocco Tolfa Un successo televisivo diventato un best seller. Marcello Masi: una lunga carriera in Rai dove assume, più volte, la figura di direttore dei telegiornali. Rocco Tolfa: vicedirettore del Tg2 e sommelier. Insegna Comunicazione del vino presso l’Università della Tuscia. Due curiosi giornalisti percorrono lo “Stivale” alla ricerca di personaggi del mondo enologico che nascondono grandi storie, a volte vere e proprie epopee. Visitano cantine, vigneti, territori a volte famosi e altre sconosciuti. In tutto questo lungo percorso c’è sempre una scoperta, un’immagine e una grande ricchezza immateriale. Una risorsa enorme fatta di esperienza, di responsabilità e potere. A gestire tutto questo ci sono grandi uomini e donne del vino che gli autori mettono in primo piano, pagina dopo pagina. Un racconto pieno di colori, profumi, luoghi e persone. La lettura, avvincente, si rivolge non solo agli esperti di vino ma soprattutto ai tanti neofiti attratti da questo mondo. Euro 18 – 240 pagine – Edizioni Rai Eri 81
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Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo Anno IV, Numero 15 Direttore Responsabile - Renzo Zorzi, zorzi@mangiavino.com Direttore Editoriale - Renato Paglia, paglia@mangiavino.com Vice Direttore Editoriale - Giorgio C. Riva, riva@mangiavino.com Editore e Concessionario per la Pubblicità
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