bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore ISSN 2283-7973
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MANGIAVINO
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MANGIAVINO Rivista Unica dell'Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia
Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo
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Editoriale “Si sta bene lassù nella vostra bella terra!”. Un complimento come un altro,
forse scontato, apparentemente banale. Eppure ogni tanto ci penso, a quelle parole. Quel commiato cordiale, rivoltomi spesso da un caro amico che sovente incontro in una grande città della penisola italica, è sincero. Ci penso quando percorro le strade della nostra piccola regione. Ci penso quando lo sguardo si perde nella corona delle Giulie accesa dal tramonto. Ci penso quando attraverso i minuscoli paesi che si susseguono l’uno all’atro, tutti ben curati nella loro semplice e a volte pur rustica estetica. Ci penso quando lascio la camionabile e all’improvviso mi compare davanti il golfo di Trieste. Ci penso quando incido le piccole strade delle colline disseminate di vigneti che sembrano giardini o mi sorprendo dalla bellezza della fioritura dei meli nella piana friulana. Ci penso quando respiro l’aria pulita perché le industrie inquinanti non ci sono e il borin mantiene il cielo terso. E che dire delle nostre città a misura d’uomo? Vive e laboriose. Colme di storia e di quell’arte che a volte è definita minore solo perché lontana dai grandi circuiti mediatici. Ricche di quell’umanità semplice, solidale, schietta, solo apparentemente ruvida, che percepisci frequentando gli storici caffè o mentre sorseggi il tajut nelle mescite all’ombra dei portici secolari. Una regione fatta di popoli, di lingue e di culture diverse e che in queste differenze hanno trovato una convivenza serena. Penso a Voi forestieri, viandanti, curiosi e aspiranti di nuove scoperte. Vi invito a venire a trovarci in Friuli Venezia Giulia. Vi troverete bene, quassù in questa bella terra!
Renzo Zorzi Direttore Responsabile Presidente Associazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia
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Rosè
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Az. Agr. La Viarte Via Novacuzzo n° 51, 33040 Prepotto (UD) Italy tel. +39 0432 759458 www.laviarte.it 2
WINE RESORT IN COLLIO
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Capriva del Friuli (GO) Italy +39 0481 808124 - www.castellodispessa.it
- GOLF -
VIGNAIOLI SPECOGNA Era il lontano 1963 quando Leonardo Specogna, originario di MonteFosca nelle Valli del Natisone, dopo alcuni anni da emigrante in Svizzera ( sorte tipica per la povera gente Friulana di quegli anni), una volta tornato in Friuli acquistò un piccolo appezzamento di terra sulle colline della Rocca Bernarda a Corno di Rosazzo, nel cuore del vigneto Friuli. Terre ad alta vocazione viticolo-enologica dove la pianta della vite trova condizioni ideali sin dai tempi Romani, in quanto in questo lembo orientale del Friuli il clima presenta delle peculiarità uniche ed eccezionali per la viticoltura di qualità. Nello spazio di alcune decine di chilometri si passa infatti dalla catena delle alpi carniche e giulie che proteggono dai freddi venti del Nord Europa, all’Adriatico che mitiga notevolmente le temperatura e ciò costituisce un gran pregio per le colline del Comune di Corno di Rosazzo che al contempo beneficiano anche di importanti escursioni termiche ( molto importanti per la valorizzazione delle caratteristiche organolettiche dei vini) ampliate inoltre dai venti della Bora che aiutano anche a spazzare le umidità che altrimenti (soprattutto nel periodo vendemmiale) potrebbero essere fonte di avversità crittogamiche. Tutto ciò unito ai particolari terreni costituite dalle cosiddette ponke , cioè flysch formatisi in era eocenica per sedimentazione e succesiva compattazione di depositi clastici, costituiti da un’alternanza di strati di spessore variabili di marne (argille- calcaree) ed arenarie (sabbie-calcificate), che garantiscono condizioni di tessitura del terreno e ricchezza in minerali ed oligoelementi ottimali per le uve di alta qualità. Inizialmente un’azienda agricola a 360 ° che copriva una produzione casearia, cerealicola e viticola per autoconsumo, con gli anni si spostò sempre più verso una specializzazione nel mondo enologico. Oggi il lavoro in azienda è galvanizzato dalla presenza della terza generazione dei vignaioli Specogna, Cristian e Michele, che ormai da diversi ani hanno preso in mano le redini aziendali. Sono proprio loro che stanno dando all’azienda un importantissimo trand di sviluppo e di allargamento sui più importanti mercati internazionali, oltre ad aver creato nel 2000 un’altra importante realtà della famiglia Specogna, e cioè l’azienda vinicola Toblar ( sita in Ramandolo). Una famiglia, quindi, che punta molto alla sinergia generazionale garantendo così quel binomio di tradizione-innovazione che rappresenta il valore aggiunto in tutte le fasi di produzione. Il Sauvignon DOC Friuli Colli Orientali dell’azienda Specogna di Corno di Rosazzo, si è aggiudicato la Medaglia d’oro ed il Trofeo Speciale come ‘Miglior Sauvignon italiano’ alla 6° edizione del Concours Mondial du Sauvignon. Un vitigno, il Sauvignon Blanc, nel quale la Famiglia Specogna ha sempre creduto molto e che ad oggi rappresenta 1/3 della produzione totale dell’ azienda. Il Sauvignon Specogna si è distinto per il suo carattere e la sua eleganza fra 815 vini (arrivati da 14 nazioni) e passati al vaglio di 61 degustatori di grande competenza provenienti da tutto il mondo.
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Via Rocca Bernarda, 4 | 33040 Corno di Rosazzo (UD) | T: 0432 755840 | Mail: info@specogna.it
CONCORSO MONDIALE DEL SAUVIGNON Medaglia d'oro e titolo di Miglior Sauvignon italiano per il DOC Friuli Colli Orientali 2014 Specogna. CONCORSO MONDIALE DI BRUXELLES 2016 Medaglia d'oro per il Sauvignon Specogna 2015 ed il Friulano Specogna 2015 DECANTER WORLD WINE AWARDS 2016 Medaglia d'argento (91 punti su 100) per il friulano Specogna 2015 e Medaglia di bronzo per il Pinot Grigio Ramato Specogna 2015
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c o n t e n u La Ribolla Gialla di Renzo Zorzi /p. 10 I Ultins
di
Cjargne di Marco Calzavara /p. 17
Il Bordeaux Fucina
di
di
Loulou
e
Caroline di Federico Magni /p. 20
Coltelli di Federico Magni /p. 26
La Castellada di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 28 Gli Extravergini Nostrani IX Tappa di Alessandro Pareschi /p.34 Le Terre
di
Flavio
Giuseppe Gangi
da
e
Silvana di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano /p. 36
Bronte
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Udine
sola andata
di Enrico Bertossi /p. 44
Cetrioli & Pomodori di Raffaella Nardini /p. 48 Quaranta di Renato Paglia /p. 54 La Ricetta di MangiaVino /p. 56
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Il Clan
dei
Bacche
di
L’isola
è
In Copertina “Tra terra e cielo” Foto di Fabrice Gallina
Cormonesi di Daniele Cernilli /p. 60
Giovinezza di Emilia Sellan /p. 64
Sempre
Il Prosciutto
di
Boreto, Savor
e
più
D’oro di Giorgio C. Riva /p. 70
Dorth di Antonio Di Stefano /p. 72 Busara Emozioni Senza Tempo di Bruno Cataletto /p. 74
Una Sosta Sulla Strada Del Mare di Giorgio C. Riva /p. 76 La Rubrica
dei
Libri /p. 79
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BRAIDE ALTE, IL VINO SIMBOLO DEL COLLIO! Erano i primi anni ’90 e il Collio stava vivendo il suo momento magico! Vini meravigliosi che suscitavano il pieno consenso da parte dei consumatori e degli addetti ai lavori. Tra essi anche i vini prodotti da Valneo e Tonino Livon. Vini di ottima qualità, realizzati con cultivar autoctone e internazionali, che rappresentavano alla perfezione il territorio. Fu in quel periodo che i fratelli Livon sentirono l’esigenza di osare, di sperimentare qualcosa di nuovo, qualcosa che proiettasse definitivamente la loro filosofia enologica e il Friuli Venezia Giulia nell’Olimpo delle grandi terre internazionali del vino. Altri “giovanotti del vino”, friulani come loro, stavano percorrendo strade simili e con ottimi risultati. Valneo e Tonino desideravano realizzare un grande vino bianco che potesse reggere il confronto con i migliori cru internazionali e che possedesse una qualità costante nel tempo. La scelta, per un progetto così ambizioso, non poteva che cadere su un unico vigneto, il Braide Alte! Collocato in una zona ben esposta a Ruttars nel comune di Dolegna del Collio che è tra le aree più elevate del Collio. Marne e argille. Chardonnay, Sauvignon, Picolit e Moscato giallo: un blend di uve internazionali e autoctone per un vino dal respiro internazionale! La prima annata messa in commercio fu il 1996. Poco o nulla da allora è cambiato, compresa la passione che è alla base di questo prodotto che è il grande capolavoro della famiglia Livon. Le produzioni rimangono basse, poco più di 12.000 bottiglie anno, per mantenere alta la qualità e perché la filosofia del vigneto unico non consente scorciatoie. Su queste pagine, nel 3° numero della rivista, avemmo modo di constatare, attraverso una verticale storica, l’eccellenza assoluta e indiscutibile del Braide Alte degustando ben sedici annate, dal 1996 al 2012! Un’esperienza memorabile e assoluta che ripercorre non soltanto la storia di questo vino ma anche quella dell’enologia friulana! Un’esperienza ripetuta nella prestigiosa cornice del Ceresio 7 di Milano il 25 febbraio scorso alla presenza di giornalisti prestigiosi del settore per una verticale di ben 10 annate. Era l’occasione speciale per festeggiare i 50 anni dell’azienda Livon! Grandi soddisfazioni dunque per questa famiglia friulana che ha visto anche inserire il “loro” Braide Alte e altri vini aziendali nelle prestigiose carte dei vini di grandi compagnie aeree quali Emirates, Brussels Airlines e Viking Line. Braide Alte è una storia di successo di una famiglia friulana che ha portato il nome del Collio e del Friuli Venezia Giulia in alto nel mondo. R. Z.
Aziende Agricole Livon | Via Montarezza, 33 | Dolegnano 33048 (Udine) Italy | Tel. +39 0432 757173 info@livon.it www.livon.it
Valneo Livon
foto: pixabay.com
LA RIBOLLA GIALLA E LE SUE INTERPRETAZIONI di Renzo Zorzi
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aglierina, delicata, fresca. Spumeggiante, allegra, vivace. Ambrata, multiforme nei profumi, complessa nel gusto. La Ribolla Gialla possiede l’attitudine di mostrarsi in varie forme e interpretazioni. Chi ha sempre sostenuto che dovesse rivestire solamente il ruolo di comparsa, a sostegno di più nobili, o presunti tali, vitigni nei classici blend friulani, dovrà riconoscere che aveva torto. I fatti sono questi e, per buona pace di atavici puristi, è sotto gli occhi di tutti il successo della sua forma spumantizzata secondo il metodo Martinotti o Classico, ottima alternativa al “bere mosso” dominato dall’onnipresente Prosecco. Che dire poi dell’universale successo ottenuto tra gli appassionati dei grandi vini internazionali per le versioni macerate di Oslavia e dintorni? E infine, come non riconoscere la perfezione nella sua versione tradizionale, in purezza, che sposa ogni piatto “d’entrée” di un pranzo raffinato? Assaggiare la Ribolla Gialla, segnatevelo, ne vale la pena! Il vitigno è parte integrante della storia enologica friulana e delle sue colline nello specifico. E’ presente in Friuli Venezia Giulia da settecento anni e forse più. La Ribolla fu un vero e proprio vino bandiera per il Friuli almeno fino all’avvento del Picolit dell’Asquini. Un documento, citato anche dal prof. Perusini nelle sue “Note di viticoltura collinare”, riporta che il Comune di Udine usava offrire ai Luogotenenti Veneziani al loro ingresso in città la Ribolla di Rosazzo che era la più pregiata. Sempre il Perusini rintracciò un documento di compravendita di Ribolla registrata in un atto notarile del 1299 e di cui fa ampia menzione il Filiputti nel suo “Il Friuli Venezia Giulia e i sui grandi Vini - 1997”. Alcuni storici annotano la presenza del vitigno nell’area di almeno un secolo prima. “In alcuni scritti sul vino Ribolla si suole datarne la produzione, citando gli “Annali del Friuli del Di Manzano”, a partire almeno dal XII secolo… Vi è nondimeno da dire che la Ribolla è il vino più diffusamente presente nei documenti medievali. (La Vite nella storia e nella cultura del Friuli - Costantini, Mattaloni, Petrussi – 2007). Da dove provenga questo vitigno non è dato sapere con certezza. Una fantasiosa, ma non impossibile, ipotesi indica che si tratta dell’antica Avola portata fin qui dai romani. “È quasi certamente la Robola dell’isola greca di Cefalonia” (Guida ai vitigni del mondo Jancis Robinson– 1996). “Probabilmente è la Rebula delle isole Ionie e della costa dalmata diffusa dai Veneziani in epoca medioevale” (Vitigni d’Italia – Calò, Scienza, Costacurta – 2001). La Ribolla Gialla era dunque il vino di grande prestigio in epoca medioevale. Nei secoli successivi fu quasi dimenticata a favore di vini e vitigni alloctoni considerati più nobili o semplicemente più produttivi e facili da coltivare. In verità, le molte varianti, non sempre ben selezionate, avevano reso nei secoli questo vitigno poco adatto alla realizzazione di vini di qualità. Nonostante tutto però la Ribolla era così diffusa da essere, fino allo scoppio della grande guerra, la base della viticoltura del Collio. Presente prevalentemente nelle Doc Friuli Colli Orientali e Collio. Nella Doc FCO si trova nella sottozona Ribolla Gialla di Rosazzo. I risultati sono eccellenti. Complessivamente sono circa 300 gli ettari vitati. La ribolla gialla è un vitigno a bacca bianca dalla buona vigoria e dalla produzione piuttosto costante. Ama le zone collinari soleggiate e ben ventilate poiché nelle annate piovose è soggetto a marciume. E’ però, nel complesso, piuttosto resistente alle patologie. La germogliazione è tardiva. Foglia di media grandezza, leggermente trilobata e tondeggiante, glabra. Il grappolo è medio, compatto, cilindrico-conico. L’acino è medio, a maturazione completa è giallo dorato, puntinato e pruinoso. La buccia è sottile, poco resistente. Il sapore è dolce ma leggermente astringente e acidulo. La vinificazione in purezza genera un vino dal colore giallo paglierino dalle nuances verdoline, secco e fresco al palato, dai profumi floreali ed eleganti. Il tenore alcolico è medio così come il corpo. Tradizionalmente era ed è anche vinificato assieme a friulano e malvasia istriana e dal blend si ricavano vini corposi, sapidi ed equilibrati, dall’olfatto generoso, longevi e che sono l’espressione del Collio Bianco. Molte le varianti, presunte o reali, di questa vite ma sicuramente oltre alla già citata ribolla di Rosazzo, vanno segnalate alcune come: il ribuelàt (ribolla bianca imperiale prodotta un tempo nella zona di Premariacco), la ràbola e la ribolla di Castel Dobra. Quest’ultima è prodotta nel Brda (Collio sloveno) e con ottimi risultati soprattutto a Medana, Cerò, Visnavicco e altri paesi sloveni. In questi territori è coltivata anche la ribolla verde, altro biotipo e che non offre la stessa qualità della gialla. Le sue caratteristiche naturali, che esaltano la freschezza e profumi floreali, hanno indotto molti produttori di pianura e di collina a realizzare, con grande successo, la versione spumantizzata. I sistemi tradizionali di vinificazione invece conducono alla realizzazione di vini corposi ma freschi, di ottima beva, dal buon equilibrio e dai profumi di grande eleganza. Infine, prevalentemente nelle zone del confine goriziano, a San Floriano, a Oslavia, c’è la produzione della Ribolla macerata. Rese per ceppo bassissime, coltivazioni prevalentemente biologiche e biodinamiche, lunghe macerazioni sulle bucce nei tini aperti, o nelle anfore di terracotta interrate (Gravner). Poi la sosta nelle grandi botti o nelle barrique. Toni ambrati nel colore, profumi penetranti e complessi, aromi pieni, mielosi e interminabili. Sono gli “orange wines” e il Friuli Venezia Giulia annovera le espressioni più famose del mondo.
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PODVERSIC Ribolla Gialla 2011 Alc. 14% - € 30 Intrigante tonalità di giallo dorato intenso con sfumature ambrate. Emana intensi aromi che ricordano pesca gialla matura, confettura di albicocche, caramella al miele e pasta di mandorle per poi chiudere con note balsamiche di resina di pino. Il sorso è sontuoso, largo e lungo, impreziosito da una sottile trama tannica. Fermentato a lungo sulle bucce. Busara d’astice.
CORNIUM Fco Ribolla Gialla 2015 - Alc. 13% - € 13 Riverberi verdolini illuminano il giallo paglierino e sono ambasciatori di fresche note di succo di agrumi, mela verde, kiwi e menta, il tutto avvolto in un velo di rosmarino e timo secco. Le promesse olfattive sono pienamente confermate nell’assaggio con freschezza e morbidezza che si bilanciano perfettamente. Solo acciaio. Risotto ai frutti di mare.
GRAVNER Ribolla Anfora 2008 - Alc. 13% - € 50 Giallo oro antico con riflessi ambra. Bagaglio olfattivo complesso, inesauribile e suadente che spazia da note dolci di cera d’api, miele e succo di mela al forno a raffinate sfumature di frutta secca, tabacco biondo e cacao. L’assaggio è ancor più articolato. Le note gusto-olfattive si esaltano e regalano emozioni inaspettate. 7 mesi in anfore poi 6 anni in botti di rovere. Tartufo bianco.
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PRIMOSIC Ribolla Gialla di Oslavia Riserva 2011 - Alc. 13,6% - € 38 Colore giallo dorato compatto e lucente. Profuma di fiori d’acacia, scorza d’arancia, china, tabacco biondo, rum e crostata di albicocca. Il sorso è ricco, secchissimo ma morbido, caldo e avvolgente. Ottimo anche il finale di bocca che evoca ricordi fumè di mandorle tostate e castagne. Macerato per 24 giorni ed elevato in rovere per 24 mesi. Gamberoni reali alla brace.
ROSA BOSCO Ribolla Gialla 2013 Alc. 12% - € 30 Bella tonalità di giallo paglierino con riflessi dorati. Il quadro olfattivo è caratterizzato da note tropicali di ananas, agrumi canditi, fienagione estiva, mandorle tostate e spezie dolci. Il sorso è ricco, morbido, vivacizzato da freschi sentori di agrumi e da una spiccata mineralità. Elevato sia in barrique che in acciaio. Guazzetto di gamberi di fiume.
MUZIC Collio Ribolla Gialla 2015 Alc. 12% - € 16 La vivacità e la lucentezza del giallo paglierino anticipano la fragranza del profumo, complesso e articolato, che inizia con note minerali per poi effondere sentori di delicate fioriture primaverili, frutta bianca, mentuccia e verbena. In bocca prevale la freschezza sostenuta da una piacevole sapidità. Vinificato e maturato in cemento per 7 mesi. Lumache di mare.
COLLAVINI Ribolla Gialla Brut 2011 Alc. 12,5% - € 25 Brillanti riverberi verdognoli illuminano il già ben lucente giallo paglierino. Un’effervescenza sottilissima e spumeggiante sembra non volersi mai spegnere e invita all’assaggio. Freschi profumi di mela verde, agrumi, fichi bianchi e pesca noce deliziano l’olfatto mentre in bocca emerge una sapida mineralità che esalta la struttura e prolunga la persistenza. Caviale Beluga.
CASTELLO DI SPESSA Ribolla Gialla Brut Pertè 2015 - Alc. 12% - € 15 Un raffinato perlage vivacizza il giallo paglierino, genera una spuma soffice e persistente e regala al naso penetranti note citrine che annunciano freschezza immediatamente seguite da nuance sapide di mineralità rocciosa e da fragranti sbuffi di menta piperita. L’assaggio non fa che confermare le promesse dell’olfatto. Chiude come aveva aperto. Verdure in tempura. ERMACORA Fco Ribolla 2014 - Alc. 13% - € 13 Giallo paglierino luminosissimo. Sottili effluvi di erbe aromatiche fanno da sottofondo a note fruttate di mela, pera ruggine e prugna gialla. Emergono poi in rapida successione suggestioni di fieno fiorito, dragoncello e scorza di agrumi. Il sorso è fresco e sapido, corrispondente. Ottima la chiusura. Vinificato ed elevato in acciaio. Polpo con sedano e patate.
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GUERRA ALBANO Ribolla Gialla Brut Metodo Classico Giuliet 2013 Alc. 12% - € 20 Splendido colore giallo paglierino con sfumature dorate frutto della rifermentazione in bottiglia e della lunga permanenza a contatto con i lieviti. Il sottilissimo perlage fa da preludio alla raffinatezza del profumo che si presenta con note di scorza di arancia e mandarino, crosta di pane appena sfornato, pan brioche e leggera tostatura di mandorle. Moscardini in guazzetto. GIGANTE Ribolla Gialla Brut Prima Gialla - Alc. 11,5% - € 15 La delicatezza del colore giallo paglierino tenue e le sfumature verdoline annunciano profumi di raffinata freschezza e fragranza. Il primo impatto è floreale, con ricordi di gelsomino e zagara, poi emergono sentori di frutta a polpa bianca impreziositi da vaghi sbuffi esotici. Freschezza e fragranza che si ripercuotono nel sorso con piacevole briosità. Fritto misto.
NAONIS Ribolla Gialla Naonis Brut Alc. 11,5% - € 6 Paglierino luminoso che evidenzia l’ottimo perlage. Delicate ed eleganti note di mela, pera estiva, fioriture primaverili, agrumi, brezza marina e sbuffi mentolati. Sorso immediato, piacevole e reso succoso dall’effervescenza. Richiami olfattivi fruttati e floreali continui. Il finale, piuttosto lento, è supportato da sentori minerali e citrini. Tagliere di San Daniele e formaggio latteria fresco. TIARE Collio Ribolla Gialla 2014 - Alc. 13% - € 10 La vivacità del giallo paglierino fa da preludio alla freschezza dell’olfatto dove prevalgono note agrumate di scorza di cedro e pompelmo sostenute da salinità marina e da aromaticità di erbe officinali essiccate. Fragrante all’assaggio, scorrevole e progressivo, di ottima corrispondenza e piacevole chiusura. Solo acciaio per 8 mesi. Trancio di ricciola e pomodorini confit. VOSCA Collio Ribolla Gialla 2014 - Alc. 12,5% - € 10 Giallo paglierino lucente e vivace. Delizia l’olfatto con sbuffi di lime, cedro e pesca bianca e poi regala suggestioni di sfalcio d’erba di montagna, ricca di fiori spontenei. Il sorso è morbido ma dopo un po’ intervengono intriganti note di lavanda e mentuccia che rinfrescano il palato ed esaltano la sapidità. Vinificato in acciaio. Crudità di mare. ZORZETTIG Ribolla Gialla Brut Optimum 2015 - Alc. 12% - € 15 Una miriade di bollicine, piccolissime e luccicanti, illuminano il giallo paglierino tenue con riverberi verdolini. Il profumo non può che essere freschissimo, vibrante, con note di lime, pompelmo e melone bianco in rapida successione intervallate da lampi di leggera aromaticità citrina. Ottimo come aperitivo con tartine imburrate e uova di trota.
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I may not be perfect
But it scares me how close to it I am
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1499. La Storia che scorre tra le viti Farra d’Isonzo (GO). Questa non è la storia di una famiglia che ha messo a punto un’attività, non è la storia di un uomo che ha tramandato le sue conoscenze e non è nemmeno la storia costruita su un nuovo business. Bisogna andare a ritroso nel tempo per più di cinque secoli e ricercare le origini nei testi di storia per potervi raccontare il nostro percorso chiamato Tenuta Villanova. Questa dunque non è una storia, questa è LA STORIA. Siamo a Farra d’Isonzo, in Provincia di Gorizia, estremo nord est. A ridosso del confine sloveno, tra le verdissime vallate dello smeraldo fiume Isonzo e le accennate alture del Collio, si erge la secolare tenuta e le sue terre, che qualche anno dopo la scoperta dell’America (1492) vede sigillare in una pergamena datata 1499 la sua esistenza. Ci troviamo all’interno di una dimensione ecclesiastica legata al Patriarcato di Aquileia che rappresentava la più grande diocesi del Medioevo europeo. La struttura e gli edifici realizzati nel borgo costituiscono la tela dove negli anni si sono intessute le storie di tante famiglie che quivi hanno vissuto e lavorato per decenni Dagli Strassoldo ai Levi, dalle visite tecniche dello scienziato Louis Pasteur che venne a studiare di persona una serie di vitigni che erano già famosi in Francia, così fece in tempi più recenti il professore Dalmasso interessato alle malattie della vite e sui cui testi didattici si sono formati generazioni di enologi. In questo contesto così ricco di stimoli storici e opportunità sociali si gettano le basi per permettere che Tenuta Villanova possa essere annoverata e ricordata da molti come un tesoro unico e un patrimonio culturale che appartiene a tutti, perché ci piace pensare che tutti noi siamo ambasciatori del nostro territorio nel mondo. Partendo infatti da questo assunto, si fa avanti la nostra proposta, quella della Villanova Wine Experience. Si tratta di un progetto di ospitalità e di cultura che Tenuta Villanova propone al pubblico aprendo le porte non solo della propria cantina e distilleria, con percorsi di degustazione o laboratori sensoriali ma invitando a esperire con visite guidate ed esposizioni fotografiche le zone che hanno visto susseguirsi scenari di guerra (1° Guerra Mondiale), lì sul Montefortin, tra le gallerie cannoniere. Oggi Tenuta Villanova, dal 1932 diretta dalla famiglia Grossi in Bennati, è un’azienda di famiglia da tre generazioni. La sua forza risiede nei suoi uomini, fortemente coinvolti e motivati, professionisti specializzati: uomini d’azienda, di marketing, di viticoltura, di enologia. Uomini che hanno lo stesso commitment, mantenere intatto e condividere un tesoro intriso di qualità, tradizione e sacrificio che nasce da un’antica bella storia. www.tenutavillanova.com
I ULTINS DI CJARGNE “I Ultins” sono “Gli Ultimi” testimoni di un mondo che non c’è più
Un mondo di tradizioni, di piccole cose, di quotidianità, in cui lo scambio fra gli uomini, gli animali e la terra era costante e diretto. Solidarietà, rispetto, culto delle tradizioni e temperanza sono il leitmotiv degli Ultimi che abbiamo incontrato nel nostro viaggio in Carnia, terra di montagna e di frontiera.
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ODINO DIO PAGANO testi e foto di Marco Calzavara
Lo abbiamo incontrato che scendeva le sue mucche dai pascoli.
Viene da Buttea Odino, una frazione del Comune di Lauco che conta cinquantasei anime e che, con puntiglioso orgoglio, vanta una secolare tradizione. I migliori pastori della Carnia, infatti, sono di Buttea e Odino non poteva essere altro che pastore, da quando a sedici anni ha iniziato, come si dice in friulano, “a puartà a passon las vacjas e las cjaras” (a portare al pascolo vacche e capre). Le cinquantasei stagioni trascorse fra i monti sono scolpite una a una sul suo volto, una folta barba bianca e un ineffabile sorriso, che incorniciano due occhi profondi e sinceri. Non ci si stanca a sentirlo raccontare, con parole immediate e dirette, di una vita la cui disarmante semplicità si trasforma in genuina testimonianza di ciò che da secoli la nostra civiltà rincorre e brama: l’Arcadia. Parliamo quindi di un’esistenza incredibilmente evocativa del “mito versus realtà”… e non me ne voglia per questo lo spirito di Nicolas Poussin! Incrociando il suo sguardo abbiamo “ascoltato” la fatica, la solitudine e il viscerale legame per questo lavoro, che gli ha offerto in cambio di tanto sacrificio un dono: la straordinaria serenità della sua anima. Sempre accanto a Odino i suoi cani, che lo adorano come un dio pagano e sono pronti a esaudire ogni suo ordine, promanato nell’aria come un soffio divino.
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Louis Mitjaville
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IL BORDEAUX
DI LOULOU E CAROLINE di Federico Magni • Foto di Caroline Mitjaville
È
tra la fine del 2006 e il principio del 2007 che Louis Mitjaville, già consulente in diverse e importanti realtà vitivinicole a Bordeaux, in Linguadoca, in Spagna, in Argentina e negli Stati Uniti e la moglie Caroline decidono di mettersi in gioco in prima persona e acquistano della terra nel bordolese. Per Louis, Loulou per gli amici, era fondamentale il fatto che la sua compagna di vita fosse pienamente partecipe e coinvolta nel progetto. Possedere delle vigne, “accudirle”, fare il vino, infatti, non equivale semplicemente a gestire un’impresa, ma incide direttamente sul proprio stile di vita influenzandolo e modificandolo. Certo Loulou parla con cognizione di causa essendo figlio del grandissimo François, proprietario del mitico Château du Tertre Roteboeuf, Château non così noto alla massa, ma considerato una delle massime espressioni del merlot di Saint Emilion dalla migliore ristorazione d’oltralpe e non solo. La ricerca della vigna da acquistare non è stata facile. Loulou si è concentrato sulle appellazioni vicine a Saint Emilion in cui non vi fossero né terre già appartenenti alla sua famiglia, né Château con cui intrattenesse opere di consulenza. La scelta, quasi obbligata, ha portato verso le côtes de Castillon, zona magnifica, selvaggia e piena di saliscendi, naturale prolungamento delle colline di Saint Emilion. Ed è proprio nelle côtes de Castillon che Loulou e Caroline, dopo alcune visite infruttuose, s’imbattono nel domaine de l’Aurage: proprietà perfettamente posizionata su un avvallamento in cui il terreno è costituito da argilla e calcare, elementi con cui i Mitjaville da sempre si trovano a proprio agio e da cui riescono a ricavare il meglio. La proprietà è costituita da un unico appezzamento di 20 ettari il che facilita enormemente il lavoro in vigna. C’è, fin da subito, molto da fare anche se le condizioni di partenza sono già più che buone: la composizione del suolo, fatto di argilla e calcare, come detto, garantisce un riscaldamento e un raffreddamento molto lenti e graduali. L’apporto idrico in vigna è ottimale e il ciclo vegetativo è generalmente lungo, lento e regolare. La vite, di età media di 20 anni circa, è a cordone speronato, la densità di impianto è a più di sei mila piedi per ettaro e i vitigni sono il merlot, per l’85%, e il cabernet franc per il 15%. Il suolo è sempre mantenuto inerbito. Viste le premesse e l’occhio lungo dei Mitjaville, la coppia si innamora immediatamente di questa terra e la acquista insieme con la splendida casa padronale all’interno di un parco secolare proprio sulla sommità della collina e alla cantina che, da allora, è oggetto di continui lavori di ammodernamento per aumentarne la funzionalità. Le pratiche di acquisto dei terreni si perfezionano solo agli inizi dell’agosto 2007, a pochissimi giorni dall’inizio della vendemmia. Loulou, non potendo intervenire granché in vigna, si concentra sul lavoro in cantina applicando quello che con il passare degli anni e delle vendemmie andrà a costituire il suo stile. Gli acini, la cui resa media è di 42 ettolitri per ettaro vengono macerati per 4 settimane. L’elevage è svolto in barrique nuove per l’80/90%. Il vino è filtrato solo se il millesimo lo richiede. All’alba della decima vendemmia, il vino di Loulou e Caroline è ormai considerato tra i grandi dell’appellazione e è sovente accostato più a dei Saint Emilion che a dei côtes de Castillon. Nel corso degli anni Louis sta intervenendo anche in vigna e i risultati sono sotto il naso e la bocca di tutti. La produzione totale è di circa settantamila bottiglie. Il domaine de l’Aurage è generalmente un vino ricco e denso, pieno di vigore senza mai rinunciare all’equilibrio. In alcune annate, magari non in quelle considerate come le migliori dove il tocco del vignaiolo riesce davvero a fare la differenza, sono le note fresche e balsamiche a connotare l’olfatto e il sorso che è di una piacevolezza rara. Da provare, a patto di trovarne ancora, il 2008!
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DOMAINE DE L’AURAGE
Uve: merlot 85%, cabernet franc 15% - Alc. 13,5% - € 50 Abbinamento: cosciotto di capriolo in peka con verdure
2007
La prima annata. Acquistata la vigna a metà agosto, Loulou si è subito cimentato con la vendemmia. Il frutto è intenso e decisamente maturo. Si percepiscono nitidamente sapori di piccoli frutti rossi in macerazione, poi tabacco Kentucky e una speziatura dolce di chiodi di garofano. Solo dopo qualche minuto emergono nitide ma delicate note di torrefazione. Vino di razza, in bocca si espande immediatamente per poi scorrere lungo il palato con una piacevolezza e una freschezza sorprendenti. L’allungo è di spessore e, nel finale, torna a farsi strada la frutta sotto spirito.
2008
Il colore è assolutamente intenso con bordature di un rosso luminoso. Le sensazioni olfattive sono profonde, piene, avvolgenti. Un intreccio fruttato e balsamico che lascia intravvedere sfumature speziate di pepe verde. In secondo piano emergono note floreali con una leggera punta di macerazione. L’assaggio è di spessore. Un vellutato distendersi di tannini mette in risalto struttura elegante e trama fine. La corrispondenza è tutta giocata sui richiami balsamici che contribuiscono alla pulizia di beva e alla considerevole lunghezza.
2009
Il bicchiere si presenta di un rosso cupo, quasi granato con lievi trasparenze sui bordi. Le caratteristiche dell’annata piuttosto calda sono evidenziate dai profumi di ciliegia sotto spirito e da una bella nota fenolica. In pochi minuti il ventaglio si arricchisce di armoniose sensazioni di rosa e spezie dolci attraversate da un interessante accenno di caramella d’orzo. L’attacco è per nulla timido e, seppur in un millesimo di queste caratteristiche, non rinuncia a misura ed equilibrio soprattutto se lo si lascia riposare per qualche tempo prima del secondo sorso.
2010
Che sia o meno l’annata del secolo, il 2010 è vestito di rubino e granato. La trasparenza raggiunge la perfezione e riflessi luminosi quasi abbagliano lo sguardo. Ogni sapore è netto e ben riconoscibile e insieme perfettamente fuso. Dapprima sono la frutta rossa e la violetta a emergere mentre, in un secondo tempo, china, grafite, cioccolato fondente e sottobosco prendono il sopravvento. Assaggio ritmato, senza pause. Il sorso scorre pieno e armonioso. La chiusura è di straordinaria lunghezza e raffinatezza, tutta incentrata su richiami floreali.
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2011
Difficile per una “piccola” annata sopportare il paragone con una precedente molto blasonata. Il 2011 di Loulou, di un rubino quasi trasparente, offre ottima prova di sé incentrato com’è su freschezza balsamica e sapidità iodata. Appena percettibili sensazioni leggermente più scure da frutta rossa sottospirito. Il tannino ha bisogno ancora di qualche tempo per assestarsi al meglio, ma la facilità di beva, pienamente corrispondente, è davvero impressionante. Da aspettare, ma con potenzialità, anche d’invecchiamento, decisamente fuori norma.
DOMAINE DE L’AURAGE 3 Cadet - 33350 Saint-Genès-De-Castillon T +33 (0)5 57 47 95 15 www.aurage.com
2012
Più concentrato rispetto al precedente, sia nel colore che nei profumi. Sottobosco, terra umida, china, grafite e una leggera punta di torrefazione sono i primi riconoscimenti. Lasciato nel bicchiere sprigiona poi frutta in macerazione e fiori essiccati. Sorso potente, mai scomposto, che riempie il palato con un’interminabile sequenza di spezie scure. Notevole e inaspettata la vena di freschezza che si manifesta con il trascorrere delle ore. Senz’altro più robusto del 2011, difficilmente ne avrà la stessa capacità di attraversare il tempo.
2013
Rubino cupo. Il ventaglio olfattivo è caratterizzato da intense speziature con chiodi di garofano e noce moscata a farla da padrone. A seguire essenze di macchia mediterranea, tabacco e sensazioni minerali di stampo ferroso. Il tannino è già stondato, morbido, e accentua gli effluvi balsamici che, sorso dopo sorso, aumentano fino ad arrivare a nette sensazioni di mentuccia. La chiusura è marcata da erbe aromatiche fresche in un ricordo di macchia mediterranea d’inizio estate. Raro esempio di eleganza e dell’abilità di Loulou come vinificatore.
2014
Difficile da apprezzare appieno per la sua giovinezza, ma già promettente per intensità e spinta balsamica. L’alternarsi di mora, ciliegia e prugna è caloroso e lascia spazio a sferzate di cannella e di caffè macinato. Al palato è possente ma elegante al tempo stesso. I tannini, pur ancora in fase di assestamento, lasciano intravvedere opulenza ed eleganza. I richiami si giocano sulle note delicatamente confit di frutta rossa. Se lasciato riposare, migliora decisamente a ogni sorso. Atteso il giusto prima di essere bevuto darà grandissima prova di sé.
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a
Giallo
di Roccia Vino
spumante ottenuto con il metodo classico Fin dai tempi antichi le colline di Caneva hanno prodotto vini di pregio che, ancora al principio dello scorso secolo, raccoglievano premi nelle competizioni enologiche. Una piccola e raccolta valletta, protetta dai freddi venti di settentrione dall’altopiano del Cansiglio. Poi roccia calcarea che affiora dal terreno, suolo magro e poca terra. Condizioni forse difficili. Condizioni sicuramente adatte ad un’enologia di qualità. Qui nasce Giallo di Roccia, uno spumante prodotto con metodo classico. Le uve di partenza, Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero, il suolo, magro e roccioso, il particolare microclima della valle, l’attenzione nella vinificazione ed, infine, il tempo hanno generato Giallo di Roccia. Il colore giallo paglierino, il perlage fine e persistente, il naso fruttato, fragrante ed armonico, sono solo le premesse per un sorso pieno ed appagante, che regala spuma cremosa e finissima e maturità di frutto.
VIGNETI CASTELLO E CANTINA TERRA ROSSA Via Dietro Castello 7 | loc. Terra Rossa | 33070 Caneva PN
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VIGNETI BOSCO BANDO Strada Bosco Bando 15 | loc. Le Favole | 33050 Carlino UD | www.lefavole-wines.com
Zona di produzione
Zona di produzione
Vendemmia
2011
AGRITURISMO E PUNTO VENDITA Via Ronche 92 | 33077 Sacile PN Italy | T. +39 0434 735604 | E-mail: info@lefavole.com www.lefavole.com
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FUCINA DI COLTELLI di Federico Magni foto di Umberto Pellizon
Incontro Andrea e Luca alla Baracca del Pesce a Turriaco, a due passi dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari. Con loro non voglio parlare di pesce, cibo, vino, ma di un argomento di cui non conosco praticamente nulla: il mestiere del coltellinaio. Per questo mi siedo con loro davanti a una frittura e lascio che sia Andrea a raccontarmi la loro storia.
Tutto ha avuto inizio da una pergola. Mio padre, prima di lavorare in cantiere, tra i tanti e vari mestieri, ha fatto anche il fabbro. Mi ha sempre affascinato la lavorazione dei metalli e, appena si è presentata l’occasione, quella, appunto, di creare una pergola in ferro battuto per casa, gli ho chiesto di mostrarmi come si fa. Con un amico abbiamo costruito una forgia a carbone e, insieme, abbiamo forgiato la pergola. La passione per il batter ferro mi prende da subito tanto che, una volta terminato il lavoro per casa, non appena la mia attività principale di cuoco e proprietario della Baracca del Pesce di Turriaco mi dà un attimo di tregua, nei mesi invernali, mi trovo davanti alla forgia con un pezzo di ferro in una mano e un martello nell’altra. Ed è proprio in un giorno d’inverno che, a forza di lavorare e battere il ferro, mi rendo conto di star creando, quasi per caso, quello che è il più antico utensile del mondo: un coltello. Un “arnese” semplice, rudimentale, ma funzionale e, soprattutto, creato da me. La curiosità e la passione non fanno altro che incrementare e, poco per volta, mi interesso alle principali tecniche di lavorazione del metallo e, specialmente, dell’”acciaio Damasco”, che altro non è se non la prima tecnica di siderurgia utilizzata dall’uomo, consistente nell’allungare e ripiegare su se stesso, di modo da ridurne il più possibile le disomogeneità, l’ammasso di ferro e acciaio che veniva estratto dai primi e rudimentali forni estrattivi. Quella tecnica di sovrapporre e saldare insieme in billette -sorta di piccoli “pacchetti” formati da strati di metallo- diverse lame di acciaio dalle diverse caratteristiche, a seconda del tipo di coltello e della parte di coltello che si vuole creare, è la stessa usata oggi e permette di inventare geometrie e disegni sempre nuovi e sempre più complessi. Trascorro quasi ogni momento libero navigando in rete per cercare informazioni e acquisto decine di libri sull’argomento; per citarne uno: Damascus dell’Associazione Coltellinai Forgiatori Bergamaschi. Gli esperimenti si susseguono e gli errori superano di gran lunga i tentativi riusciti, ma, con il passar del tempo, acquisendo sempre maggior dimestichezza con la tecnica, comincio a creare coltelli sempre più belli che poi regalo a amici e familiari. Ovviamente un coltello non è costituito solo dalla lama, ma anche dall’impugnatura per cui ho dovuto imparare anche a lavorare il legno e altri materiali sempre attraverso mille ricerche e prove e con la supervisone di conoscenti professionisti nel settore. Uno dei miei amici storici, Luca, incuriosito da questo mio inconsueto hobby, comincia a venirmi a trovare sempre più spesso davanti alla forgia e, in pochissimo tempo, la passione per i coltelli divora anche lui. Insieme decidiamo di ampliare le possibilità di lavoro aumentando il numero e la tipologia dei macchinari a nostra disposizione. Il primo nuovo arrivo è una pressa idraulica manuale, subito dopo seguita da una forgia a gas “autoprodotta”, da un maglio del 1956 che abbiamo riparato e rimesso in funzione e, in ultimo, da una levigatrice professionale. Con un “parco macchine” del genere, sistemato in un piccolo capannone nella zona industriale di Ronchi, le possibilità di sperimentazione aumentano a dismisura e noi ci “sfidiamo” a creare lame con geometrie sempre più complesse, dapprima imitando quelle che troviamo sulle decine di libri che ho acquistato e, poi, provando a crearne di nostre. La collaborazione con Luca è fondamentale soprattutto perché, insieme, ci pungoliamo continuamente e ognuno giudica e critica, sempre in senso costruttivo, il lavoro dell’altro permettendogli di imparare dai propri errori e, quindi, di migliorare nell’uso della tecnica. Altro momento di crescita essenziale è stata la visita all’esposizione della Corporazione Italiana Coltellinai che si svolge ogni anno verso la fine di novembre a Milano. Qui ho conosciuto vari coltellinai, sempre disponibili e prodighi di consigli, grandi professionisti che mi hanno invitato a partecipare alla più importante manifestazione regionale nel settore che si tiene a Maniago verso la fine di luglio: Coltello in Festa. Luca e io non abbiamo ancora deciso cosa faremo da grandi e tutta la nostra minuscola produzione finisce oggi per essere regalata e venduta ad amici e conoscenti. Chissà che in futuro non si riesca a far qualcosa di più.
Il racconto di Andrea mi ha aperto gli occhi su un mondo sconosciuto e la visita al capannone di Ronchi con le sue “macchine” fatte in casa mi lascia senza parole per l’abilità con cui questi ragazzi sono stati in grado di seguire e dare vita a una loro passione. Un grande insegnamento, credo, per la mia generazione.
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FUCINA FOGONERO Via Bugatto, 10 34077 Ronchi dei legionari (GO) fucinafogonero@gmail.com
Andrea Sanson
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UN BIANCO A LA CASTELLADA di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano foto di Fabrice Gallina con la collaborazione di
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La Bora, fortissima, spazza il Collio e fa sentire tutta la sua potenza sulla mia piccola vettura che vibra a
ogni folata. Il cielo è perfettamente terso e dona al paesaggio vitato una luce speciale. Ecco i tornanti di Oslavia verso la salita della Castellada. Pochi metri, sulla destra, un po’ nascosta, la meta. La casa dei Bensa è tutt’uno con l’azienda. Casa e bottega, si dice. È così. Nessuna sala degustazione, nessun arredamento dal design accattivante. I calici per l’imminente verticale sono ben allineati sul tavolo della sala da pranzo. Un bel divano bianco, il televisore, la credenza con i piatti. Tutto è informale, vissuto, alla mano. Fantastico! Stefano Bensa ci fa accomodare in sala. Il papà Nicolò sta già organizzando la stappatura. Nell’attigua cucina c’è Valentina, moglie di Nicolò e mamma di Stefano, intenta a preparare il pranzo. Ci sediamo e Nicolò, a dispetto dell’apparenza severa, è un interlocutore affabile e simpatico. Gli occhi azzurri, espressivi e penetranti, parlano più delle parole. “La storia dei Bensa – inizia Nicolò - parte da lontano. Dal bisnonno, che da bracciante, emigrato in Argentina, fece ritorno e decise di coltivare un fazzoletto di terra a Oslavia”. Una storia comune per tante famiglie in questo territorio ai bordi dell’impero Asburgico. “Nel 1954 mio padre Giuseppe, – prosegue Nicolò, ritornato dalla Svizzera, dove lavorava come carpentiere, decise di acquistare alcuni terreni e una casa, per adibirla a osteria dove vendere alla mescita i vini da lui prodotti. Io e mio fratello Giorgio decidemmo, nel 1985, di smetterla con i vini sfusi e di provare l’imbottigliamento. Nacque così La Castellada. Oggi l’azienda è condotta da Nicolò e dai figli Matteo e Stefano e nei 10 ettari vitati produce circa 25.000 bottiglie. Il rumore del vino che scende nei bicchieri fa da sottofondo al racconto appassionato di Nicolò. Le prime esperienze nel realizzare una propria strada, l’amicizia e lo scambio di espressioni con gli altri produttori della zona, della scelta biologica quando questa non era ancora una moda. Nicolò ha parole di sincera ammirazione per Gravner. Un’amicizia nata in gioventù grazie proprio ai confronti e alle esperienze comuni. Racconta molti aneddoti riguardanti il “movimento” nato nei primi anni novanta di cui facevano parte lui, suo fratello Giorgio, Josko Gravner, Stanko Radikon, Edi Kante e altri amici. Furono anni di grandi collaborazioni, di discussioni animate, di nottate passate a parlare sull’utilità della solforosa, dell’importanza dei tannini nei vini bianchi ottenuti grazie alle lunghe macerazioni che portarono alla realizzazione di quei prodotti che furono identificati come i Vini di Oslavia. Oggi più pomposamente (e asetticamente) sono definiti “orange wine”. Oggi, ogn’uno di loro ha scelto la sua strada, una propria filosofia nel produrre vino ma rimangono, per tutti gli appassionati del buon bere, i pionieri di un modo di fare vino che molti nel mondo hanno tentato di imitare. Il vino è nei calici. “La prima annata del Bianco della Castellada fu il 1992, era davvero una scommessa, – ci spiega Nicolò - conoscevamo bene le nostre uve e il nostro territorio e volevamo realizzare un vino che fosse identitario di entrambe le caratteristiche”. “Perché la scelta del Pinot Grigio nel blend?” chiede Gianluca a Stefano. “Perché è il vino più grasso e morbido, - risponde – e in barrique si comporta benissimo anche se non ha un’acidità molto spiccata, ma questo compito è riservato al Sauvignon”. Le sensazioni sono intense, le emozioni si susseguono a ogni sorso, ogni annata è una sorpresa e un unicum. Otto sinfonie diverse e per ogn’una di esse c’è una lettura precisa data dallo stile e dall’annata. Esperienza bellissima ed esaltante. A fine degustazione arriva Valentina, moglie di Nicolò, con le sue frittatine alle erbe appena fatte e gli asparagi selvatici. Tutto ciò rientra nel modo di fare semplice e sincero di questa famiglia/azienda. È l’ora del commiato. Suonano alla porta. Valentina va ad aprire. Dopo qualche minuto ricompare. “Sono arrivati dei signori dall’Emilia che vogliono visitare l’azienda – spiega a Nicolò – è tardi e non hanno ancora pranzato.Vado a mettere sul fuoco l’acqua per una pasta”. Mentre torno verso la pianura cittadina, ripenso a questo piccolo episodio, spontaneo, semplice, e che dimostra il grande senso di accoglienza della famiglia/azienda Bensa.
Denominazione: Collio Bianco della Castellada Zona di produzione: terreni collinari di (ponca) marna eocenica situati a 180m di quota nell’area di Oslavia (Gorizia) con esposizione Nord Est/Nord Ovest/Ovest. Vigneti: allevati a sistema guyot singolo e doppio con viti di età 25-50 anni. Resa per ettaro: 4,5 t di uva con densità di 3.500/6.000 ceppi /ettaro. Uve: pinot grigio 50%, chardonnay 30%, sauvignon 20% Epoca raccolta delle uve: metà settembre. Vendemmia manuale, in cassetta. Vinificazione: Fermentazione in barrique con utilizzo di lieviti indigeni. Il pinot grigio è immediatamente pressato il mosto fermenta in barrique. Le uve di chardonnay e sauvignon fermentano a contatto con le bucce per 4 giorni in tino aperto e poi il loro mosto è travasato in barrique per completare le fermentazione. Qui rimane per 11 mesi, poi 24 mesi in acciaio e 12 dodici in bottiglia. Permanenza totale sui lieviti: 24 mesi. Tutte le varietà svolgono la fermentazione malolattica. L’imbottigliamento avviene senza filtrazioni. Prima annata prodotta: 1992. Bottiglie prodotte: circa 6.500 anno/media. Temperatura ottimale di servizio: 14°C in calici ampi (Riedel Vinum Extreme Chardonnay). Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 25.
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Nicolò Bensa
BIANCO DELLA CASTELLADA
2010
Alc. 13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata fresca e bagnata. Luminosa veste dorata. L’espressione olfattiva è originale e profonda, tutta da scoprire. I decisi ed eleganti richiami di verbena e tarassaco si appoggiano su una solida impronta speziata, guidata da noce moscata e pepe bianco. Evidenzia ulteriore personalità alternando alle dolci note d’albicocca, un severo eco minerale, quasi torbato. Al palato è succoso e ricco di sfumature. Propone tutta la sua energia grazie alla vigorosa dotazione sapida. La chiusura è raffinata, fresca e lungamente corrispondente. Pappardelle al ragù bianco di coniglio.
BIANCO DELLA CASTELLADA
BIANCO DELLA CASTELLADA
2009
Alc. 14% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata calda. Oro intenso e vivissimo. Il primo approccio è compresso. Mandorle e confettura di fichi si appropriano della scena. Segue un ampio ventaglio di spezie in grani, erbe alpine, lemongrass e roccia scura. Come per altri vini “made in Collio” evidenzia il lato muscolare del millesimo. L’allungo materico domina il palato donando spessore al sorso. L’equilibrio, sostanziale e benefico, è apportato da ottima vena fresca che accompagna la beva nella chiusura sapida e lentissima. Richiami alla frutta. Gallo ruspante in salsa di soia all’anice stellato.
2006
Alc. 13,5% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata calda. Tinta oro pastello. L’olfatto, in continuo divenire, è di poliedrica espressione. Agli iniziali sentori di pinoli tostati e nocciole affianca un’intensa deriva balsamica composta di gemme di pino ed eucalipto. Non smette di sorprendere grazie alle note di scorze d’arancio, anice stellato e colatura d’alici. In bocca conferma le attese, evidenziando una struttura salda sorretta da una mineralità iodata imponente. Affascinante e lunghissimo l’epilogo. Insiste su tonalità balsamiche e marine. Zuppa di mare in bianco con pancetta affumicata.
BIANCO DELLA CASTELLADA
2005
Alc. 13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata fredda. Persevera nella sua matrice dorata. Approccio davvero raffinato in questo suo raccontarsi con note di polline, erbe selvatiche, fieno, resina e citronella. Seguono intense folate di pera abate, orzo e torba. Fase gustativa esaltante per vivace freschezza e scalpitante mineralità. Raggiunge l’equilibrio gustativo grazie al peso materico e glicerico. Il finale è semplicemente unico. Le resine si sciolgono in un abbraccio balsamico che trova nel gusto piccante dello zenzero uno splendido partner. Eliche cacio e pepe ai ricci di mare di Oliver Glowig.
BIANCO DELLA CASTELLADA
2003
Alc. 14,5% - Punteggio 96/100 Andamento climatico: annata molto calda. È la versione più amata da Nicolò Bensa. Oro purissimo. Olfatto attraente per finezza. Crema pasticcera, marmellata d’arancio e composta di frutti tropicali. Una deriva lievemente grassa di nocciola, in cui s’inserisce una nota floreale gialla appassita. La potenza glicerica c’è e si sente ma il palato non ne rimane appesantito grazie a una dotazione sapida così generosa da lasciare le labbra intrise di sale. Continua la sua simmetria con il naso rilevando nella sua tenace persistenza uno sfumato ma percettibile incantevole effluvio mielato. Pollo tikka masala piccante.
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BIANCO DELLA CASTELLADA
1999
BIANCO DELLA CASTELLADA
1997
BIANCO DELLA CASTELLADA
1995
Alc. 13,5% - Punteggio 89/100 Andamento climatico: annata calda. Oro liquido. Impronta odorosa piuttosto serrata, che si muove su più strati. Pistacchio e frutta secca. Seguono scorza di pompelmo, menta selvatica e una delicata sfumatura di zafferano. Raffinate sensazioni di cenere e pietra focaia. Buon dinamismo gustativo grazie a un’acidità che forse non ti aspetti. Succoso nello sviluppo e di buona corrispondenza, si distende verso un finale marcato da grande mineralità e solcato da continui richiami agrumati e da una piacevolissima sensazione amarognola. Agnolotti rustici di Gianni Cossetti.
Alc. 14% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata mediamente calda. Lampi dorati. Impatto olfattivo invitante di agrumi e frutta in un gioco di spessore e leggerezza data da scorze d’arancio candite, confettura extra di pesche, abbamele, essenze resinose e fini tostature. Il ventaglio di spezie tra l’oriente e il caribe suggella un’unione di grande eleganza. L’avvolgenza conferisce sfericità alla beva. Delicata e bilanciata presenza tattile dei tannini gallici. Mineralità e interminabili rimandi al naso conducono il sorso verso il lento e suadente epilogo. Terrina di foie gras con chutney di mango.
(Vino da Tavola della Venezia Giulia) Alc. 13% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata fresca e piovosa. Colore oro di splendida tenuta e luminosità. Sensazioni mediterranee di fiori d’acacia ed erbe aromatiche si alternano a note di crema al limone e sentori vanigliati. Perfettamente integro. Struttura forte. Avvolgenza perfetta come la freschezza che ne segna l’ottimo bilanciamento gustativo. Il finale, pur non lunghissimo, è un’esaltante cavalcata tra richiami erbacei, frutta secca e note iodate che, dopo oltre due decenni, riescono ancora a emozionare. Dell’oca: ravioli al fegato grasso, il petto affumicato e il doppio brodo di Emanuele Scarello.
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LA CASTELLADA Località Oslavia, 1 23170 Gorizia (GO) T. 0481 33670 www.lacastellada.it
Fedeli interpreti del territorio isontino
Tradizione in evoluzione
Via Isonzo, 117 | 34071 Cormòns (GO) Italy | T. 0481 61310 www.roncodelgelso.com
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GLI EXTRAVERGINI NOSTRANI LA VAL ROSANDRA E L'OLIO DI MARTIN La Val Rosandra è una delle vallate più belle e suggestive del Friuli Venezia Giulia e forse d’Italia. È incisa dal torrente omonimo che, negli ultimi anni, ha reso famosa la zona grazie all’allevamento del pregiatissimo salmone. Ai lati, le falesie di calcare bianchissimo alternate a una fitta vegetazione. La bellezza dell’area include la Riserva Naturale e il “Mario Premuda” la cui caratteristica è quella di essere uno dei rifugi alpini più bassi d’Italia (solo 81 metri s.l.m.), sede CAI e della scuola nazionale di alpinismo dedicata al triestino Emilio Comici. Figura storica dell’alpinismo leggendario che qui, nella falesia di casa, amava allenarsi e preparare le sue grandi imprese. Molti anche i reperti archeologici tra cui i resti di un acquedotto romano risalente al I secolo d.C. che serviva la città di Tergeste (Trieste).
È sorprendente vedere come la cultura dell’olio e del vino nella zona di San Dorligo/Dolina sia riuscita a condizionare non solo i mestieri degli abitanti ma soprattutto il paesaggio circostante. Gli ulivi dell’azienda Merlak sono, infatti, in una zona dominata dalla natura, dove l’uomo è solo una timida e discreta presenza, avvolta da una fitta e verde boscaglia che all’improvviso lascia spazio a una altrettanto lussureggiante presenza di vigneti e ulivi. A Sant’Antonio in Bosco/Borst vive e lavora Martin. Egli ama la natura, è determinato, serio, dalle idee chiare e, affiancato dalla compagna e dalla famiglia, conduce l’azienda che si distingue non solo per lo splendido olio EVO, ma anche per il vino e i prodotti di alta norcineria che è possibile degustare nella “osmiza” di proprietà. La zona è perfetta per la coltivazione dell’ulivo. Attraversata dalla brezza marina che arriva dal golfo è contemporaneamente battuta dal freddo vento di Bora che spesso si accompagna a questi luoghi. Questa condizione crea forti escursioni termiche giornaliere e stagionali a beneficio dei profumi e della ricchezza polifenolica delle olive. A questo va aggiunto il contributo dato dal terreno composto da formazioni marnoso arenacee che caratterizzano l’area compresa tra il mare Adriatico e le formazioni calcaree del Carso, in grado di apportare mineralità, complessità e struttura al frutto. Tutto questo però non è sufficiente per produrre un grande olio. All’attenta conduzione agronomica si deve aggiungere la scelta della cultivar adatta, la raccolta al momento opportuno e la frangitura immediata delle olive per preservare ogni loro preziosa caratteristica organolettica. Nell’uliveto di Martin e in generale a S. Antonio in Bosco domina incontrastata la cultivar bianchera, che qui ha trovato il suo habitat ideale tanto da non richiedere nessun intervento di soccorso contro la mosca e altri parassiti. L’uliveto comprende circa 250 piante a circa 150 m s.l.m., si estende su circa 7000 mq ed è una delle realtà agricole più estese della zona. È frazionato in piccoli appezzamenti circoscritti dai caratteristici muretti a secco che esaltano la bellezza paesaggistica. L’età media delle piante è di 15 anni ma si riscontra la presenza, di tanto in tanto, di austere piante secolari, veri monumenti viventi che sono il segno inequivocabile della presenza storica dell’ulivo nella valle. L’allevamento non è intensivo, non solo per orografia dei luoghi, ma anche perché la bianchera ha bisogno di spazio per potersi esprimere al massimo. Il 2015 è stata una buona annata, piuttosto generosa, clima mite e assenza di insetti; condizioni che hanno consentito un corretto accumulo di sostanze polifenoliche nelle olive.
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(IX TAPPA)
di Alessandro Pareschi • foto di Alessandro Pareschi
L’azienda Merlak raccoglie manualmente, senza utilizzo di reti o rastrelli, allo scopo di selezionare solo i frutti perfettamente giunti a maturazione e nella stessa giornata di raccolta procede all’estrazione a freddo appoggiandosi a un moderno impianto posto nelle vicinanze dell’uliveto. Con l’olio “Bianchera” in purezza Martin ha ricevuto il meritatissimo secondo premio al VI Concorso degli Olii EVO di Trieste 2016 a coronamento dell’impegno profuso dalla famiglia. Da segnalare anche la produzione limitata di un ulteriore evo: un blend ottenuto da cultivar italiane (leccino, leccio del corno, maurino e pendolino) più dolce e avvolgente rispetto al carattere deciso dell’evo ottenuto da bianchera. Qualità e quantità aiutate da un annata ideale, ma soprattutto dalla scelta della raccolta e dalla brucatura manuale, che coinvolge nel mese di novembre circa 10 abili collaboratori per diverse ore al giorno. Sandro è una persona seria e meticolosa, rispettosa dell’impegno del padre e il suo olio, gradevole, elegante, duttile e dal profilo sensoriale estremamente variegato, riesce a valorizzare questo splendido angolo del Friuli e a trasmetterne l’indiscussa matrice territoriale. È possibile visitare l’azienda il sabato pomeriggio dalle ore 16.00 alle 19.00, durante la settimana e la domenica pomeriggio previa telefonata.
DEGUSTAZIONE BELICA BIANCHERA L.0,5 € 11 Olio dalle grandi virtù organolettiche: ricco, pieno, grasso, fortemente caratterizzato da freschezza iodata e avvertibili note di carciofo. In bocca la nota amarognola è adeguatamente supportata da sentori di frutta secca, pepe bianco, timo e rosmarino. Gusto complesso accompagnato da un elegante trama vegetale. Allungo gustativo equilibrato. Corrispondente e pulito il finale. Perfetto su Chateaubriand di manzetta alla brace, ovviamente di legno d’ulivo.
AZIENDA AGRICOLA MERLAK MARTIN Loc. Dolina, 472 34018 San Dorligo della Valle (TS) T. 3298006516 martin.merlak@yahoo.it 35
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LE TERRE
DI FLAVIO E SILVANA di Renzo Zorzi e Gianluca Castellano foto di Fabrice Gallina
Le due Terre! Il nome evoca paesaggi biblici o epici, fantasiosi paesi lontani che riportano alle letture
di John Ronald Reuel Tolkien. Nulla di tutto ciò. “Le due Terre” non è solo un luogo, una visione, un progetto. “Le due Terre” è argilla e ponca che si alternano e si fondono in unico terreno che caratterizza la zona. “Le due Terre” è soprattutto una famiglia di vignaioli autentici. Prepotto è una strepitosa enclave di uva a bacca rossa immersa in una regione in cui domina la bacca bianca; territorio articolato, fatto di tante diversità climatiche e geologiche. Qui è la patria dello schioppettino, un’uva nera autoctona che presenta molte affinità con un altro frutto che ha fatto la fortuna di aree vitate d’oltralpe come la Borgogna e risponde al nome di pinot nero e che è, quest’ultimo, il tema incredibilmente singolare e coinvolgente di queste pagine. L’azienda nasce nel 1984 dall’amore di Flavio Basilicata e Silvana Forte per la natura e ciò che essa rappresenta a Prepotto. Tutto quello che possiedono, all’epoca, è il diploma in enologia di Flavio, l’esperienza di lavoro nel settore vitivinicolo di entrambi e nient’altro. Una manciata di ettari! Pochi, pochissimi per non tentare la strada della qualità assoluta sin da subito. Sono partiti così: passione infinita e profonda sensibilità nella lettura di un territorio vocato ma tutto da scoprire qual è Prepotto! Una coppia formidabile nel lavoro, così nella vita. Il clima non aiuta, oggi piove a dirotto. Fa un po’ freddo. Prepotto è immerso in una cappa grigia che lo rende innaturale, quasi ostile. La spontanea ospitalità di Silvana e la cordiale semplicità di Flavio cambiano subito verso alla giornata uggiosa. Sul vecchio tavolo in noce nell’ampia sala da pranzo sono già disposte tutte le bottiglie per la degustazione. Ci raggiunge Cora: “oggi non c’è lezione all’università e non volevo perdermi quest’occasione che è – ci dice contenta – un bel pezzo di storia familiare ed è la prima volta che si fa una verticale del nostro Pinot Nero”. Sarà lei tra poco, finiti gli studi in enologia, a unirsi a mamma a papà nella conduzione dell’azienda che naturalmente rimane, ed è un plus, a conduzione familiare. Flavio, figura minuta, occhi piccoli e mobilissimi, dietro i severi baffi neri che mascherano una naturale timidezza, racconta la storia dell’azienda che coincide perfettamente con quella della sua famiglia. Silvana racconta, ancora con un pizzico di emozione, di quell’incontro sorprendente e profetico con Gino Veronelli che, avendo sentito parlare di loro, un giorno si presentò alla porta perché voleva conoscerli. Nacque subito una naturale simpatia e dopo una giornata trascorsa insieme si accomiatò con una frase che le rimase impressa ma che riuscì a decifrarla solo dopo anni: “… ricordatevi che i vini più buoni li farà Cora!”. Era il complimento del maestro che significava loro che stavano percorrendo la strada giusta! Quest’anno a Flavio è stato assegnato il Premio “Benemeriti della Vitivinicoltura”. È un riconoscimento che, a ogni edizione del Vinitaly seguendo le indicazioni degli Assessorati regionali all’agricoltura, è consegnato a chi ha contribuito e sostenuto il progresso qualitativo dell’enologia italiana. La riservatezza (tutta friulana) di Flavio non consente espliciti commenti all’evento ma l’abbiamo visto un po’ emozionato su quel palco e sicuramente orgoglioso. Premio meritato, davvero! Si stappa con attenzione e religiosa gestualità, si versa il vino nei calici. Si susseguono annate storiche ad altre che sono potenziali incognite ma sicure grandi soprese. Approfitto del momento e chiedo: “Flavio, perché il Pinot Nero?”. “Perché è una sfida, difficile, a volte frustrante ma anche ricca di stimoli. Il pinot nero è il vitigno più difficile del mondo - risponde Flavio – e noi siamo appassionati di questo vino ricco di tante sfumature. Non c’erano ancora le barbatelle in Friuli e siamo andati a prenderle direttamente in Borgogna. Pensavamo che, forse, Prepotto si potesse ottenere qualche buon risultato”. “Direi ottimo!” commenta Gianluca mentre, aiutato da Cora, completa la mescita. La caratteristica nota tenue evidenzia il rubino luminoso nei calici che si sussegue nelle sue varie sfumature. Fuori non piove più e un pallido sole appare dall’ampia vetrata della sala che guarda i vigneti. Prepotto lentamente ricompone i suoi colori naturali e offre di nuovo i suoi scorci più suggestivi.
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Denominazione: Friuli Colli Orientali Pinot Nero Zona di produzione: terreni collinari di marna eocenica situati a 130/150 m di quota nell’area di Prepotto (UD) con esposizione Sud- Ovest. Vigneti: allevati a sistema guyot con viti di età 25-30 anni. Superfice vitata: 1,2 ettari. Resa per ettaro: 5 t di uva con densità di 4.500 ceppi /ettaro. Uve: pinot nero al 100%. Epoca raccolta delle uve: seconda settimana di settembre. Vendemmia manuale, in cassetta. Vinificazione: Fermentazione in acciaio con temperatura controllata di 20-22°C con utilizzo di lieviti indigeni. Macerazione con le bucce per 15 giorni. Affinamento per 22 mesi in barrique di rovere francese. Leggera filtrazione all’imbottigliamento. Prima annata prodotta: 1993 Bottiglie prodotte: circa 4.500 anno/media. Temperatura ottimale di servizio: 16-18°C in calici ampi (Riedel Vinum Extreme Pinot Noir). Prezzo medio al pubblico in enoteca: € 28.
PINOT NERO
2013
Alc. 13,5% - Punteggio 89/100 Andamento climatico: annata buona, piuttosto calda. Rosso rubino acceso. Ventaglio intrigante. Inizialmente caffè, cioccolato e confettura di marasche. Seguono intense note di spezie quali pepe nero e chiodi di garofano. Frutta secca, polvere di erbe mediterranee essiccate e note di china. L’equilibrio perfetto, nonostante la gioventù, è dato dalla morbidezza glicerica e dai tannini ben inseriti. Comparto fresco sapido a sostenere il sorso che nel finale ripercorre le note speziate e minerali e si spegne con assoluta lentezza. Scaglie di Montasio di Malga Pramosio lunga stagionatura.
PINOT NERO
2012
Alc. 13,5% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata calda e secca. Abito rubino intenso. Naso ricco e polposo. Subito le classiche note di lamponi e fragoline selvatiche, poi vira, quasi immediatamente, verso un binomio floreale fatto di petali di rosa e peonia. Un’elegante speziatura di pepe nero e ginepro è affiancata da una netta mineralità rocciosa. Al palato sfodera un’attraente succosità che fa da apripista alla perfetta coerenza gusto-olfattiva. L’allungo mostra la presenza di un comparto tannico vigoroso ma non graffiante. Chiusura persistente e sapida. Guancetta di vitello con porri, sedano e cipolla.
PINOT NERO
2011
Alc. 13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata calda ma regolare. rubino di splendida trasparenza. Olfatto accattivante che mostra una riuscitissima combinazione tra frutti rossi, menta selvatica, melissa, alloro e spezie in grani; il tutto è splendidamente avvolto da una sfumatura di salsedine che richiama il Mediterraneo. L’esaltante fase gustativa ripercorre senza sosta le note olfattive, quasi amplificandole. Tannini succosi e decisa freschezza sono i protagonisti della fase finale che sembra interminabile ed è supportata da una piacevole quanto preziosa sapidità. Spalla d’agnello farcita alle erbe.
PINOT NERO
2010
Alc. 13% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata fresca e umida. Colore rubino tenue e seducente. Profumi fitti ed eleganti per una complessità che sorprende. Le fragoline di bosco accompagnano la scorza d’arancio come in un ideale abbinamento. Le bacche di ginepro, l’incenso e la fitta trama balsamica ammaliano lentamente. Un’interpretazione del pinot nero aggraziata, armonica e raffinata. Splendida la spina acida, perfettamente integrata in un corpo atletico e di grande coesione. Tannini sottili e ravvicinati spingono delicatamente verso un epilogo iodato molto Vosne Romanée. Risotto con le quaglie.
PINOT NERO
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2009
Alc. 13,5% - Punteggio 91/100 Andamento climatico: annata calda. Veste rubino piuttosto intensa. Mostra inequivocabilmente i tratti delle annate calde. Si apre il sipario su note rosse di ciliegia, rosolio e lamponi. Seguono dragoncello, fieno di montagna e un sottile ma penetrante aroma fumoso, che richiama la legna arsa. L’incredibile naso che è solo la preparazione alla bocca: piena, carnosa ma sempre in tensione grazie a un’acidità determinante all’apporto dell’equilibrio. Minerale e corrispondente fino in fondo. Chiusura accompagnata anche da una delicata nota tannica. Sella di lepre e cipollotti in agrodolce.
PINOT NERO
2008
Alc. 13% - Punteggio 89/100 Andamento climatico: annata fresca e bagnata. Sfoggia un delicato rosso granato lievemente tenue ai bordi. Subito profumi decisi di erbe secche, radici e prugne disidratate. Un vero e proprio bouquet di spezie guidate da anice stellato e pepe nero che lasciano spazio a una nobile impronta di tabacco biondo. Fa bella mostra di sé il binomio fresco-sapido, grintoso, appuntito che evidenzia il millesimo fresco. Corpo ben proporzionato. Raggiunge lentamente il finale, dove, accompagnata dai ritorni speziati, scema la presa tannica vellutata. Coscia d’anatra arrostita alle spezie orientali.
PINOT NERO
2006
Alc. 13,5% - Punteggio 92/100 Andamento climatico: annata calda. Manto rubino che evidenzia qualche lieve sfumatura aranciata. Cattura immediatamente l’attenzione la ricchezza di piccoli frutti sotto spirito sulla quale poggiano, perfettamente fuse, note di fiori secchi, spezie asiatiche, resine, tabacco dolce e soprattutto l’anima agrumata d’arancia amara. Il sorso è molto ben equilibrato tra spessore della materia e dinamismo, tra rotondità e tensione, diventa pian piano sempre più succoso. Tannini docili non frenano la profondità che chiude lenta e minerale. Piccione arrostito con toast di frattaglie al cardamomo.
PINOT NERO
2003
Alc. 14,5% - Punteggio 88/100 Andamento climatico: annata molto calda. Densa trama rubino dai riflessi mattonati. Olfatto suggestivo e cremoso che pare un’ode alla frutta. Si esprime in una duplice declinazione confettura extra di cassis e visciole sotto spirito. deciso è anche il comparto speziato, con penetranti sentori di pepe lungo, ginepro, tabacco e torba. Il sorso sprigiona tensione grazie a un repentino supporto acido. Struttura decisa e tannini robusti sono l’espressione di uno dei millesimi più caldi di sempre in cui si rileva una vera prova di spessore. Quaglia con salsa al foie gras e riduzione di porto.
PINOT NERO
2002
Alc. 13% - Punteggio 97/100 Andamento climatico: annata fresca e piovosa. Rubino aranciato lievemente diluito sui bordi. Naso stellare! Balsamicità mentolata e d’eucalipto rincorre la freschezza degli agrumi. Un’anima speziata di primissima fattura si fonde con un’impronta mediterranea di corbezzolo, erica e ginepro rosso. L’azione del tempo libera preziosi sentori di frutta tostata e caffè verde. La presenza salmastra fine conduce i sensi in riva al mare. La materia si fa essenza. Texture gustativa leggera ma incisiva con un lato minerale che ricorda la salinità del cappero. Tannini ricamati e persistenza in doppia cifra lo pongono tra i Pinot Nero di vertice in Italia. Maialino croccante a bassa temperatura con salsa di arance.
PINOT NERO
2001
Alc. 13,5% - Punteggio 94/100 Andamento climatico: annata equilibrata. Tinta rubino luminosa dalle nuance arancio. Scopre subito di che pasta è fatto mostrando senza timore la forte impronta minerale di roccia e iodio. Seguono chiodi di garofano, pepe di Sichuan, mirto, rosmarino e zest d’agrumi. Tutto il comparto olfattivo stratificato o in sequenza è splendidamente fuso e offre rara eleganza. Grande equilibrio al palato dove la vitale freschezza e la sua struttura lo rendono davvero attraente. La parte sapida si scioglie nel palato e ricorda soffici cristalli di sale. Fegatini di pollo con salsa all’agro e lamponi.
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PINOT NERO
1998
Alc. 13,5% - Punteggio 93/100 Andamento climatico: annata fredda e difficile. Lieve tonalità granata. Profonda impronta olfattiva d’autore. Si apre lentamente con ricordi di humus, corteccia, muschio e radici, quasi a voler sottolineare la sua identità terrosa. Non manca certo eleganza che è segnata da soave balsamicità e una decisa mineralità rugginosa. Superba la prova assaggio che manifesta espressione di longevità ed equilibrio. Segue una vivace quanto progressiva freschezza. Allungo che riprende le intense note olfattive. Ottima chiusura sapida abbinata a un’ordinata azione tattile del tannino. Beccaccia al tartufo estivo.
PINOT NERO
1996
Alc. 13,5% - Punteggio 90/100 Andamento climatico: annata calda. Già alla vista con la sua tonalità granato scuro suggerisce una interpretazione del pinot nero che si scosta dalla tradizione. A conferma di ciò i sentori di terra bagnata, erbe secche, sigaro, prugna disidratata. Incisiva la presenza di spezie in grani, del pepe nero e del ginepro. Il palato ha potenza e morbidezza ed evidenza l’ottimo corpo. Una sensazione quasi piccante ricorda la paprika, mentre i tannini sono compatti e tenaci. Epilogo in condivisione tra note ferruginose e rinfrescanti sbuffi agrumati. Fagiano ai funghi porcini.
PINOT NERO
1994
Alc. 13% - Punteggio 88/100 Andamento climatico: annata fredda e umida. Granato di delicata lettura cromatica. Rigorosa interpretazione del vitigno che richiama intensi profumi di prugne sotto spirito e lacca, fogliame umido e sottobosco, note ematiche e di ruggine, che portano i sensi tra l’acre e il minerale. Si percepisce senza esitazione la presenza dei raspi in fermentazione, con un comparto tannico esuberante e mai domo. Struttura gustativa perfettamente integra. Mostra i muscoli per tutta la durata del sorso che si giova sul finale da una rigogliosa portata sapida. Sella di cinghiale al vino rosso.
LE DUE TERRE Via Roma, 66/B 33040 Prepotto (UD) T. 0432 713189 fortesilvana@libero.it
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Flavio, Cora, Silvana
bm Editore - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/UD editore
ISSN 2283-7973
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cantina produt tori
C ORMÒNS Oltre centocinquanta viticoltori Vi danno il benvenuto nel cuore d’Europa, all’estremo lembo nord orientale d’Italia,in quel Friuli Venezia Giulia dalle zone vitivinicole più pregiate del mondo. Vi invitano a conoscere la Cantina Produttori Cormòns, nata alla fine degli anni Sessanta per la lungimiranza di alcuni viticoltori cormonesi, che hanno voluto fare tesoro di tradizioni secolari. Ezio Dalla Pozza, Aldo Moretti, Adriano Drius, Stefano Gregorat: Presidenti appassionati che, sostennero da principio che il futuro della vite e del vino non era legato a effimere mode, ma alla tenace valorizzazione del proprio territorio. Nacque così una Cantina unica al mondo, per la qualità dei vini e per le sue molteplici iniziative.
Il buon vino nasce in campagna: la Cantina Produttori Cormòns ha fatto proprio il vecchio detto contadino ed ha puntato gran parte del suo progetto produttivo sulla cura della vigna, redigendo uno Statuto, supportato da un Quaderno di campagna, un minuzioso codice di comportamento al quale tutti i Soci devono ottemperare. Vi vengono annotati tutti i particolari e le date della potatura invernale, delle pratiche agronomiche e delle operazioni colturali, specificando prodotti e dosi. Ogni Socio riporta le date di inizio e fine delle fasi fenologiche delle varietà coltivate, in modo da ottenere un omogeneo ed elevato standard qualitativo delle uve. Il Quaderno di campagna è mirato a ottenere un prodotto affidabile dal punto di vista organolettico e di altissimo pregio; così, la lotta contro i parassiti prevede un impiego minimo di anticrittogamici, puntando sul monitoraggio costante degli oltre 400 ettari di vigneti. Otto attrezzate centraline meteorologiche, disseminate in vari punti microclimatici del territorio, registrano qualsiasi mutamento climatico, della temperatura, dell’umidità, dell’irraggiamento solare, della quantità di pioggia caduta. I dati raccolti arrivano in tempo reale nella centrale computerizzata della Cantina Produttori Cormòns, dove sono attentamente vagliati per prevenire ogni minima anomalia. Tecnologia nel vero rispetto delle antiche usanze, un perfetto mix di tradizione e di alta tecnologia che permette alla Cantina Produttori Cormòns di tenere sotto controllo la zona, ottenendo uve di qualità eccezionale e quindi ottimi vini.
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Lungo il corso del fiume Isonzo, non lungi da Gorizia, protetta a Nord dalle Alpi Giulie e riscaldata dal benefico influsso del mare Adriatico, pochi chilometri più a Sud, si estende una terra fertile e rigogliosa. Ospitò l’uomo e la coltura della vite sin dai tempi delle prime civiltà mediterranee. Produsse e produce vini superbi, nel segno migliore delle culture da cui ebbe origine e di cui visse e vive. Dal loro retaggio, nel 1983 cominciò a mettere le prime tenere radici un simbolo di fratellanza umana: la Vigna del Mondo. Nato nel cuore di tutti i soci della Cantina Produttori Cormòns, giorno dopo giorno e con la collaborazione di uomini altrettanto generosi di tutta la Terra, ha visto mettere a dimora alcune centinaia di vitigni provenienti da ogni Paese ove la vite alligna e rallegra l’uomo con il suo generoso liquore. Altri continuano ad aggiungersi, al punto che già oggi può essere considerato una delle più belle collezioni varietali del mondo intero. Dai loro grappoli non poteva che scaturire un vino altrettanto unico sia per le caratteristiche naturali sia per il messaggio che gli si volle affidare, quello di essere il Vino della Pace. Un vino simbolicamente capace di affratellare gli uomini, proprio come le viti venute da ogni continente si affratellano nella vendemmia, nella spremitura dei loro grappoli, nella fermentazione, nell’unico vino che, appunto, ne nasce. Il 1985 vide la prima vendemmia. Più di 500 donne, uomini e fanciulli, colsero, in grande festa, i grappoli tanto attesi. Il Vino della Pace era così nato. Ornato con il tratto di grandi artisti – Baj, Music e Pomodoro -, il 9 aprile del 1986 prese il suo primo volo per recare a ogni Capo di Stato civile e religioso il suo messaggio di Pace, vettore ufficiale Alitalia. Così cominciò la storia della Vigna del Mondo e del Vino della Pace: un messaggio di fraternità e di pace che, puntualmente, ogni anno si sta rinnovando
Via Vino della Pace, 31 | 34071 Cormòns (GO) Italia | T. + 39 (0) 481 62471 | F. + 39 (0) 481 630031
Giuseppe Gangi
GIUSEPPE GANGI DA BRONTE A UDINE SOLA ANDATA di Enrico Bertossi foto di Giancarlo Zanon
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Tomasi di Lampedusa fa pronunciare al giovane siciliano Tancredi nel romanzo Il Gattopardo la celebre frase: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi".
Inconsciamente era a questo che pensava nel 2001 Giuseppe Gangi quando lascia la natia Bronte, patria del pistacchio siciliano, per trasferirsi nella lontanissima Udine. Forte di una tradizione familiare nella pasticceria di qualità decise di cambiare vita ma di non cambiare professione, coltivando l'arte al servizio dei golosi e dei buongustai lassù al nord: "Piano piano abbiamo portato la cucina siciliana in Friuli e ora gli udinesi vanno pazzi per i nostri prodotti - racconta - all'inizio è stata dura, ma adesso l'attività va molto bene". Insieme al fratello Salvatore, alla moglie Tiziana e alla cognata Nunzia apre il laboratorio in via Grazzano, l'antichissimo Borc Gressan, una delle vie inferiori che circondavano il castello di Udine, non è certo da dove derivi il nome. Da un’antica leggenda gli abitanti del borgo vennero chiamati “crotars” (quelli dei rospi). Da allora ogni anno vi si tiene la tradizionale sagra dei crotars, dove si mangiano le gustosissime rane. La leggenda prende probabilmente vita dal fatto che il borgo è il più basso della città ed era località paludosa. Negli ultimi anni via Grazzano si è arricchita di tappe di qualità partendo proprio dalla pasticceria dei fratelli Gangi per proseguire tra trattorie storiche come il Marinaio, negozi nuovi e antichi, caffè e panifici, l'Ortofrutta della famiglia Fasano, una scatola di sardine meta di pellegrinaggio di tutti gli amanti della frutta e della verdura tra le migliori in città, carne e gastronomia della famiglia Cavassi nella loro Bottega del Borgo, arrivando fino in piazza Garibaldi, da cui si accede nel centro storico della città. Senza nulla togliere al resto del percorso da Gangi sarete già in paradiso: la pasticceria offre prodotti di primissima qualità ed è il regno del pistacchio DOC di Bronte, con torte, panettoni, colombe e dolci al pistacchio, brioches di ogni tipo, con ricotta fresca, pistacchio, crema, cioccolato, marmellata, bomboloni, i mitici cannoli, ma anche gelato artigianale e granite siciliane doc! In negozio è possibile trovare anche molti prodotti siciliani come l'ottimo pesto al pistacchio, il liquore al mandarino, le cassate, gli arancini, i calzoncini. Il fiore all'occhiello, vero e proprio cuore pulsante dell' attività, è il laboratorio, rigorosamente di carattere artigianale, che utilizza esclusivamente prodotti di altissima qualità, da cui si sfornano ogni giorno centinaia di piccoli capolavori. Non solo dolci ma anche schiacciate e arancini di tutti i gusti, dai classici al ragù, ma anche al prosciutto crudo, al salmone, frico e prosciutto di San Daniele, le pizzette, i panzerotti e molto altro ancora. Giuseppe Gangi crede nel suo lavoro, nella qualità quasi maniacale, nella conquista del cliente senza scorciatoie. Ci crede a tal punto che è stato tra i fondatori di Etica del Gusto, un’associazione unica nel suo genere a livello internazionale, che annovera, tra i suoi soci, i pasticceri, panettieri, cioccolatai e gelatai del Friuli Venezia Giulia più attenti all’aspetto etico di un lavoro rigorosamente artigianale con la massima attenzione nella scelta delle materie prime e una meticolosa cura nella lavorazione dei prodotti. L’associazione è aperta a tutti i professionisti del settore che condividono questa filosofia e vogliono attingere spunti e suggerimenti all’interno di un gruppo nato nel 2009 e ormai consolidato, vulcanico nelle iniziative e nella ricerca del buono, sano, bello …ed etico! Con questo spirito da Udine è partita per il Vaticano una torta al pistacchio da lui realizzata non solo per il papa ma anche per la mensa dei poveri che hanno condiviso con Francesco I° una prelibatezza senza pari. Nel percorso da Bronte a Udine, via Grazzano, è una tappa importante ma non l'unica: Dusci, il nuovo locale della famiglia, aperto dal figlio Gaetano insieme a due socie, in via Paolo Sarpi (vicino al Cappello in pieno centro storico) ogni mattina è pieno di clienti per la colazione siciliana a base di caffè, brioche e cannoli. "Dusci vuol dire dolce in siciliano - spiega - e dopo 13 anni di lavoro in via Grazzano, abbiamo deciso di ampliarci e portare i nostri dolci anche in centro città. Da anni ce lo chiedevano tanti clienti e siccome crediamo nel nostro progetto abbiamo pensato di aprire un nuovo locale nonostante la crisi. La nostra è anche una sfida, visti i tempi, ma noi siamo fiduciosi". Nei due locali sul podio salgono gli arancini, le brioches al pistacchio e le granite (mandorle, limone e caffè) come articoli più venduti e consumati. A questo punto una domanda ci viene spontanea prima di salutare: "Giuseppe di che cosa è più goloso?". La risposta di un grande artigiano del gusto non poteva essere banale: "Granita alla mandorla con una tazzina di caffè espresso versato caldo al momento dentro il bicchiere". Un piccolo sfizio per un gran professionista, la cui vita è dedicata interamente al lavoro e alla famiglia.
PASTICCERIA FRATELLI GANGI DUSCI via Grazzano, 98 Udine | T. +39 0432 510290 Via Paolo Sarpi, 11 Udine | T. +39 0432 1793263 info@pasticceriagangi.it | www.pasticceriagangiudine.it info@dusci.com | www.dusci.com
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La Ribolla di Manlio Collavini Un brut davvero speciale
La bassottina, per esattezza, è stata la prima di quattro e forse la più amata. Si chiamava Ribolla, a conferma della passione che lega Manlio a questo vitigno. Una passione che lo ha portato a riscriverlo, proponendo la versione spumantizzata già nei primi anni Ottanta. Tutto ciò accadeva non certo per moda, perché a quei tempi era un vitigno sconosciuto ai più, parzialmente abbandonato da gran parte dei produttori friulani, per nulla interessati alla versione “bollicine”. Il vero stimolo avvenne alla fine degli anni settanta, durante una convention dell’Accademia della Vite e del Vino. Il Professor Paronetto espresse l’opinione che l’affinamento in autoclave per oltre un anno avrebbe potuto offrire un risultato organolettico tale da competere con il metodo classico. Manlio, che già aveva intuito la predisposizione di questo vitigno alla spumantizzazione, captò il concetto. L’obiettivo era quello di ottenere un Brut importante, senza alterare le caratteristiche di delicata piacevolezza floreale proprie della Ribolla Gialla. Decise quindi di applicare le tempistiche di un metodo classico all’autoclave. Considerato che si preparava a lunghi periodi di affinamento, puntò per primo su autoclavi orizzontali, al fine di aumentare la superficie di contatto vino-lieviti. Nacque così il “metodo naturale orizzontale” o “metodo naturale Friulano”, un Martinotti estremizzato che molti già riconoscono come “Metodo Collavini”. La base prevede una percentuale tra il 15 ed il 20% di fermentazione in barrique. Alla presa di spuma segue un affinamento di 30 mesi sui lieviti. La complessità si amplifica con periodici “remuage”, a cadenza bisettimanale nel primo anno, riducendosi nei mesi successivi. Quasi un anno di riposo in bottiglia completa la maturazione. La Ribolla Gialla Brut 2012, degustata in anteprima, si presenta con una struttura superiore alle precedenti e con una notevole persistenza aromatica, mantenendo inalterata la sua elegante fragranza.
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Il millesimo 2012 della storica Ribolla Gialla Brut di Manlio Collavini, si presenta con un elegante restyling. L’immagine si sviluppa attorno alla nuova ed esclusiva bottiglia, dal taglio classico con la picura molto pronunciata. Appena accennata la rivisitazione dell’etichetta, dove la modifica più evidente riguarda il bollino, non più dedicato al millesimo. Al centro della bottiglia compare ora il piccolo bassotto, da molti anni logo figurativo dell’azienda; l’inconfondibile capsula gialla, bandiera del marchio, veste il collo.
47 Foto di: Gabriele Meneghini
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CETRIOLI POMODORI di Raffaella Nardini foto di Umberto Pellizon
Dimentichiamoci l'asettico e anonimo scaffale del supermercato, con led di ultima generazione ad illuminare i prodotti e a farne risaltare i colori. Qui la luce è naturale, è quella che entra dal portone del capannone che accoglie la rivendita, che colpisce le cassette ordinate in cui Giovanni e sua moglie espongono le loro “creature” che di altro non hanno bisogno per conquistare. Qui il profumo è quello della terra umida che accompagna le note vegetali e fruttate dei prodotti di stagione, che portano ancora il ricordo del campo da cui sono stati raccolti poche ore prima. Appena entro sono i colori a colpirmi, il giallo intenso dei fiori della zucchina, che non hanno bisogno di fronzoli e luci studiate ad arte per farmi venire l'acquolina in bocca, già li vedo ripieni e fritti, poi il rosso acceso dei ravanelli pronti per una fresca e stuzzicante insalata, e quello delle fragole, così turgide e golose che sembrano pronte per essere mangiate direttamente in loco. Gli ultimi asparagi della stagione e i primi cetrioli si fanno compagnia, aspettando i pomodori che stanno già maturando. Una tavolozza di colori e profumi degna di un artista impressionista. Giovanni Ferrari, spinto da una grande passione, inizia la sua attività da imprenditore agricolo nel 1990 dedicandosi alla produzione cerealicola, ma poi mais, orzo, frumento e soia non bastano più a soddisfarlo, e nel 2000 inizia con l'orticoltura. Due sono gli obiettivi principali: la vendita al minuto di prodotti esclusivamente stagionali, e il rispetto dell'ambiente. Un aiuto solo dalle serre fredde, senza condizionamenti, solo per concentrare il calore del sole che magari tarda a scaldare, dove produce per tutta l'estate cetrioli, zucchine, pomodori, melanzane e peperoni. In pieno campo, adesso ci sono i verzotti e i cipollotti che prendono il posto degli asparagi, più primaverili. In questa stagione nel tunnel si “coccolano” le giovani piantine di anguria e melone che poi, tra giugno e luglio pronte per il pieno campo, grazie al caldo, almeno speriamo, sole estivo, cominceranno a produrre i classici ed irrinunciabili frutti estivi per eccellenza. Sempre nel mese di giugno e luglio s’inizia il trapianto di radicchi, porri, cavoli, finocchi e verze, tipicamente invernali, stagione in cui grazie alle serre, troveremo anche spinaci e biete da taglio a volontà.
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Quando riempiamo le nostre dispense di frutta e verdura, non pensiamo alle attenzioni che i produttori devono avere per darci prodotti belli, perché anche l'occhio vuole la sua parte, buoni, perché dalla bontà non si può prescindere, e sani, anche nel rispetto dell'ambiente. E allora ecco che Giovanni rinuncia da subito ai diserbanti e le erbacce cattive le elimina con pacciamature biodegradabili che tolgono sole e aria solo alle infestanti. Le malattie fungine, insidia comune nelle produzioni frutticole e orticole di ogni dove, sono combattute con prodotti naturali quali il solfato di rame e zolfo che fanno la loro parte senza impattare troppo sull'ambiente. Gli insetti dannosi sono monitorati e combattuti con l'inserimento nell'ecosistema di produzione degli insetti antagonisti che con quelli pericolosi competono, e per fortuna vincono, evitando l'utilizzo di sostanze che poi restano in ciò che mangiamo. Giovanni e sua moglie ci aspettano a Martignacco, in mezzo al verde, ogni mattina dalle 8.30 alle 12.30 e anche qualche pomeriggio, per farci assaggiare i loro prodotti che vengono direttamente dalla terra, dalle loro mani e dalla loro passione, con cortesia e semplicità e, come direbbe il vecchio Thomas Hardy di liceale reminiscenza, “far from the madding crowd” dei centri commerciali sempre aperti, tra un po' anche di notte!
Giovanni e Marta
FERRARI GIOVANNI Via Faugnacco, 76/b Martignacco (UD) Cell. 335 6714088
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Ricette con i nostri pomodori e cetrioli Chef Emanuele Scarello - Agli Amici a Udine dal 1887
ACQUA DI CETRIOLO YOGURT GRECO E FINOCCHIET TO SELVATICO Ingredienti per 4 persone: Cetrioli 1 kg, sale, gelatina in fogli 7 g, yogurt greco 120 g, salmone leggermente affumicato 200 g, pane bianco da tostare, finocchietto selvatico. Preparazione: Estrarre l'acqua di cetriolo con la centrifuga, filtrarla, portarla a bollore, aggiungere la gelatina in fogli (precedentemente ammollata in acqua fredda) e metterla in un sifone da mezzo litro con una carica di azoto. Nella base di una ciotola semisferica mettere dei cubetti di cetriolo pelato, lo yogurt greco, abbondante schiuma di cetriolo, il finocchietto selvatico, fettine di salmone leggermente affumicato e toast di pane a cubetti.
BASTIANICH
Vespa Bianco 2014 Uve: sauvignon 45%, chardonnay 45%, picolit 10% Alc. 13% - € 30 Vestito di oro brillante. Agrumi, erbe aromatiche, resine, mela cotogna, spezie dolci, vaniglia, frutta candita, caramelle al miele, pain grillé, fioriture estive, leggeri sbuffi salmastri. Pieno, avvolgente, burroso. Equilibrato da perfetta dose di sapidità e freschezza speziata. Si svolge su piacevoli temi tostati e fruttati, chiude sapido. Acciaio e, in parte, in legni grandi.
AMATRICIANA Ingredienti per 10 persone La Pasta: mezzi rigat oni 50, ol io ext ravergine d’ol iva g 600, ol io di semi di arachidi. La Salsa Amatriciana: guancial e (senza cot enna) poco sal at o e ben stagionat o g 260, pecorino grat t ugiat o g 80, pomodori polpa 6, peperoncino rosso, origano, sale, olio extravergine d’oliva. Zuppa di Cipolla: est rat t o d’acqua di cipol l e g 350, ol io ext ravergine d’ol iva g 125, gel espessa g 4. Preparazione: Iniziare dal l a sal sa amat riciana t ostando il guancial e e aggiungendo l a pol pa di pomodori, il peperoncino e il sale. Frullare la salsa fredda per ottenere un composto morbido, eventualmente aggiustare di sale, infine mettere in una tasca da pasticcere. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata per 8 minuti e raffreddarla immergendola nell’olio freddo. Per la zuppa, con l’aiuto di un estrattore ricavare l’acqua dalle cipolle, portarla a bollore e, dopo averla tolta dal fuoco, aggiungere l’olio extravergine d’oliva, l’addensante e frullare. Presentazione: Farcire l a pasta con l a sal sa amat riciana, guarnire t re rigat oni con t re pomodorini di variet à different i, il pecorino e l’origano e servire su un velo di zuppa di cipolla calda.
VILLA RUSSIZ
Collio Sauvignon de la Tour 2015 Alc. 14% - € 35 Giallo paglierino cristallino. Ventaglio odoroso di grande eleganza che s’interseca con le note varietali. Mele di montagna, fiori bianchi carnosi, fresia, biancospino, resine, sbuffi balsamici e marini. Avvolgente, succoso, allungo di grande raffinatezza gustativa. Bilanciato. L’epilogo è lungo e fresco, con supporto balsamico e sapido. Acciaio.
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PASSATA DI FRAGOLE E POMODORO CON CAPESANTE ALLE ERBE ESTIVE Ingredienti per 10 persone La Passata: pomodori dat t erini g 300, cipol l a g 30, peperone rosso g 40, pane raffermo g 50, acet o di l ampone g 25, fragole g 300, peperoncino g 2. La Panure di Erbe: fet t e di pan carré secche 10, prezzemol o (fogl ia) g 20, basil ico (fogl ia) g 5, maggiorana (fogl ia) g 5, origano (foglia) g 5. Le Fragole Candite: Fragol e di misura piccol a 20, ol io ext ravergine d’ol iva, zucchero g 30. Le Capesante: capesant e nost rane 20, sal e, pepe, ol io ext ravergine d’ol iva. Preparazione: Preparare l a passata, l avare i pomodori, frul l arl i col t hermomix al l a vel ocit à massima e portare a 80°C. Sbollentare cipolla e peperone, aggiungere i pomodori con il pane e aceto di lamponi. Per ultimo unire le fragole e il peperoncino e regolare di sale se necessario. Far raffreddare il tutto e abbattere in positivo. Frullare il pane con le erbe e far seccare in forno per 20 minuti a 100 °C. Lavare e asciugare le fragole, immergerle nell’olio extravergine d’oliva, scolarle e metterle sul piatto del microonde. Spolverizzarle con lo zucchero e cucinare 10 secondi a 750 W. Pulire le capesante ricavandone una noce; tostarle in padella a fuoco alto, tagliarle a metà e salarle. Presentazione: Impanare le capesante nella panure, disporle sulla passata di fragole e guarnire con cubetti di sedano, cetriolo, olive taggiasche, capperi, floregano, foglie aromatiche e lamelle di rapanelli.
DORO PRINCIC
Collio Malvasia 2015 Alc. 14% - € 23 Paglierino luminoso. Naso ampio e ben articolato, di grande effetto. Resina di pino, mirto, alloro, menta essiccata, miele di acacia, agrumi canditi, note scure di ponca, fienagioni estive. Caldo e glicerico. Avvolgenza iniziale che lascia spazio a freschezze mentolate. Richiami di erbe aromatiche nel finale sapido e lungo. Solo acciaio.
ACQUA DI POMODORO, BURRATA, OLIVE TAGGIASCHE E BASILICO GRECO Ingredienti per 4 persone: Pomodori San Marzano, sale, zucchero, gelatina in fogli 4 g. Per la crema di burrata: Burrata 250 g, panna fresca 5 g, ol io ext ravergine d’ol iva, sal e Preparazione: Lavare i pomodori tagliarli e passarli in una centrifuga per estrarre l’acqua. Una volta filtrata portarla a bollore e aggiungere la gelatina (precedentemente ammollata in acqua fredda), aggiustare di sale e zucchero e far raffreddare. Frullare la burrata con la panna, il sale, l'olio e mettere in una tasca di pasticceria. Tritare grossolanamente le olive. Mettere in un bicchiere largo nell'ordine: l'acqua di pomodoro, la burrata, le olive e infine il basilico greco.
ATTEMS
Pinot Grigio 2015 Alc. 12,5% - € 11 Paglierino carico e lucente. Elegante complesso nella proposta olfattiva. Toni minerali salmastri, albicocche mature, fiori di acacia, mentuccia, fienagione. Delicate spezie. Sorso appagante, dal buon equilibrio in virtù della freschezza iodata. Chiusura lenta e sapida, di ottima corrispondenza fruttata. Acciaio e, in piccola parte, in barrique.
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concept: MumbleDesign.it
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Elegance is an attitude. SINCE 1910
Nell’italiano arcaico, “stocco” significava spada. L’emblema di una famiglia e dei suoi valori: forza, tenacia, rispetto e difesa del territorio. È solo così che sono riuscito ad interpretare i profumi di queste terre, le Grave, e fare sì che in ogni mio vino possiate ritrovare i sentori e l’eleganza del mio Friuli. www.vinistocco.it
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QUARANTA di Renato Paglia foto di Dario Di Gallo
Quaranta. Sono gli anni trascorsi da quel fatale 6 maggio 1976. Una data che è entrata violenta e lacerante come una fucilata nelle carni e nell’anima dei friulani. Una data che ha segnato lo spartiacque tra il prima e il dopo terremoto. Era un Friuli ancora sonnecchiante forse quello “del prima”, un po’ arcaico e per certi versi bucolico. Profondamente lacerato dalle due devastanti guerre mondiali, schiavo di una vasta servitù militare che condizionava non poco il territorio, era riuscito a ritagliarsi in quei vent’anni di pace una veste industriale grazie al coraggio e lungimiranza di uomini come Lino Zanussi, Rino Snaidero, Luigi Danieli, Andrea Pittini e pochi altri. L’economia era ancora largamente basata sull’agricoltura e sulla zootecnia, spesso familiare che contribuiva, non sempre riuscendoci, all’integrazione del reddito. Dopo quegli interminabili 55 secondi di terrore il Friuli capì che un’era era finita e che tutto doveva ricominciare. Si tirarono su prima le fabbriche, poi le case. Infine toccò alle chiese affinché riprendesse vita quella trama sociale unica e irripetibile che ha sempre contraddistinto questi popoli. Dieci anni di duro lavoro, fisico e psicologico! Anche la viticoltura “del prima” era sostanzialmente figlia dell’arretratezza economica. Seminativi e zootecnia erano ancora primari nell’attività aziendale lasciando poco spazio alla vigna. Solo Felluga, Livon, Collavini, Pittaro, Pighin, Attems, Dorigo, Antonutti, La Delizia di Casarsa e pochi altri avevano scommesso sulla viticoltura preservando e valorizzando terreni e territori che altrimenti sarebbero andati persi per sempre. Non si poteva certo dire quindi che il Friuli, nel suo complesso, avesse ancora scoperto quella naturale vocazione alla produzione al vino di qualità che nel giro di una decina d’anni, dopo quel maledetto 6 maggio, esplose in tutta la sua potenza e che vide, con i già citati nomi, Schiopetto tra i protagonisti assoluti di quella primavera enologica friulana che non aveva precedenti in questa Regione e che la proiettò nell’Olimpo mondiale del vino. Qualche accadimento premonitore del cambiamento imminente c’era già e altri seguirono a breve. Cito due emblematici. Silvio Jermann, giovanissimo, inventò nel 1974 il “Vintage Tunina”! Nel 1978 vide la luce la Cantina Produttori di Cormons che organizzò la ristrutturazione dei vigneti dei soci. Contemporaneamente partì il Centro d’imbottigliamento mobile che, passando letteralmente casa per casa, risolse definitivamente il problema secolare della conservazione e commercializzazione dei vini. Era appena nato il Consorzio Collio. Furono anni intensi! Come tornavano a prendere vita le case e i paesi distrutti dal sisma, così si ripopolavano le vigne. Le stalle e i fienili lasciarono ben presto il posto alle nuove cantine!
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Nella ricostruzione del comparto vitivinicolo fu determinante, e pochi oggi la ricordano, una legge voluta dall’allora Assessore regionale all’agricoltura Antonio Comelli. La famosa “legge 29” fu promulgata nel dicembre 1967 e, tenuto conto della specialità autonoma della Regione Friuli Venezia Giulia, permise ai comuni di operare in grande libertà con le risorse destinate all’agricoltura e alla viticoltura in particolare. Vi fu anche un fiorire d’iniziative culturali tra le quali, mi piace qui ricordare, il Premio Risit d’Aur (allora si chiamava così) della famiglia Nonino e il Ducato dei Vini Friulani nato dall’intuito geniale di Isi Benini. Furono anche gli anni del nuovo aeroporto di Ronchi, dell’Università di Udine, dei rinnovati cantieri navali, dell’autostrada che toglieva il Friuli Venezia Giulia dal secolare isolamento, dell’Udinese di Zico in serie A, della ristorazione stellare di Gianni Cosetti, Vinicio Dovier e Giorgio Trentin. La cronaca recente indica, ancora una volta, quanto questa Regione sia sempre più famosa nel mondo per la bontà dei suoi vini. La storia prosegue. A volte ci sei dentro e non ti accorgi che tutto sta cambiando; solo se ti fermi un attimo e guardi indietro vedi che nulla è rimasto come prima. Comprendi anche che spesso il mutamento è originato, ed è questo il caso, dalla voglia di riscatto, dal duro lavoro, dalla consapevolezza dei propri mezzi e dagli uomini di buona volontà. Quaranta lunghi anni sono appena trascorsi, in un batter d’occhio!
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La Ricetta di MangiaVino GRANOT TO DI SARACENO, CAVOLO NERO, PIOPPINI E GELATO DI ANGELICA Chef: Fabrizia Meroi Foto di: Andrea Solero Per il granotto: 180 g di grano saraceno bio decorticato, 1 scalogno, 1 cucchiaio di olio extavergine, 2 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato, 2 tazze di brodo vegetale. Per il cavolo nero: 1 manciata di cavolo nero, 1 scalogno, 1 cucchiaio di olio, sale e pepe bianco. Per il gelato all'angelica: 1 cucchiaio di radice di angelica essiccata, 1 tazza di latte. Inoltre 120 g circa di funghi pioppini o altro, secondo stagione.
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Per il gelato all'angelica: scaldate a bollore il latte e versate la radice di angelica; lasciate in infusione per 10 minuti, filtrate e congelate (gelatiera o in freezer mescolando spesso). Per il cavolo nero: bollite il cavolo nero pulito e lavato; salate e cucinatelo con 1 scalogno soffritto nell'olio; coprite con brodo e cucinate per 5 minuti; frullate accuratamente. Per il granotto: versatelo in una casseruola con 1 scalogno soffritto brevemente e scaldatelo per un paio di minuti mescolando. Aggiungete il brodo e cucinate per 10 minuti circa. Mantecate col formaggio. Cucinate i funghi lavati e puliti con un po' di olio, prezzemolo, sale e pepe. Assemblate il piatto versando un mestolino di vellutata di cavolo nero, il granotto, i funghi e la pallina di gelato di angelica.
I VINI IN ABBINAMENTO DI LENARDO Chardonnay Father’s Eyes 2015 Alc. 13% - € 11 Giallo paglierino luminoso. Delicate sensazioni tropicali di mango, banana e agrumi canditi. Fioriture estive, rosmarino, salvia e timo. Frutta secca e spezie. Resina e sbuffi marini. L’avvolgenza iniziale rileva il buon corpo. È bilanciato da ottima freschezza salina che accompagna il finale dai richiami speziati e tostati. Piccoli legni americani.
VOLPE PASINI Fco Pinot Bianco Zuc di Volpe 2015 Alc. 13% - € 23 Giallo paglierino lucente. Ventaglio olfattivo raffinato e complesso. Genziana, resina, biancospino, timo, alloro, mela stark, fioriture estive e brezze adriatiche si fondono con sottili note agrumate. Intenso e materico. L’elegante equilibrio prolunga le corrispondenze olfattive fruttate e resinose. La chiusura è lenta e dalla freschezza balsamica. Solo acciaio.
LIS NERIS Friuli Isonzo Chardonnay Jurosa 2014 Alc. 13,5% - € 19 Paglierino intenso e luminoso. Corredo odoroso di rara eleganza. Miele millefiori, ginestra, polvere di caffè, caramella d’orzo, cocktail di agrumi, cedro candito, erbe officinali essiccate, salsedine e note fumé. Ingresso avvolgente, succoso. Miscellanea prodigiosa tra l’allungo fresco-sapido e la materia glicerica. Finale interminabile. Tonneau francese per 11 mesi.
CA’ RONESCA Collio Pinot Grigio 2015 Alc. 13% - € 14 Veste paglierina brillante. Naso varietale e multiforme. Mela renetta, pera kaiser, fienagioni estive, mandorla, pesca gialla, mentuccia, fioriture del tiglio e dell’acacia. Sentori minerali di roccia spaccata e ponca. Il sorso è deciso, avvolgente, equilibrato da succosa freschezza. Dinamico e piacevole il finale nei suoi richiami floreali e sapidi. Acciaio.
RONCO DELLE BETULLE Friuli Colli Orientali Friulano 2015 Alc. 13,5% - € 12 Giallo paglierino intenso. Primo naso fruttato. Mela annurca, pesca bianca, mela golden, mandorla fresca e sentori agrumati. Poi brezza marina, rosmarino e sbuffi iodati. Fiori di lavanda e tè alla menta. La beva è dinamica, fresca e morbida nel contempo. Avvolgente e bilanciato con lunga persistenza fruttata e minerale. Nell’acciaio per 6 mesi.
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IL CLAN DEI CORMONESI di Daniele Cernilli Foto di: Fabrice Gallina www.doctorwine.it
In primavera e spesso anche in estate e nelle belle giornate autunnali dopo la vendemmia, i tavolini di ferro dell’Enoteca di Cormons, nella splendida Piazza XXIV Maggio, dopo le sei di sera vengono lentamente occupati da alcuni personaggi ben noti da quelle parti. A fare gli onori di casa, servendo vini, formaggi, affettati, tutti della zona, c’è Elena Orzan, direttrice dell’Enoteca ma anche maitre, sommelier, confidente e profonda conoscitrice dei retroscena vinicoli di tutti. Seduti, occupati in discussioni appassionate, un gruppo di produttori locali, chiamati un po’ ironicamente “il clan dei cormonesi”, parafrasando il titolo del film “il clan dei marsigliesi” che vide Belmondo e la Cardinale come protagonisti. In questo caso la Cardinale è Elena, sperando che il paragone le faccia piacere, mentre Belmondo, il capo della gang, è probabilmente Dario Raccaro, carismatico e bravissimo viticoltore di Brazzano, che fa un Tocai, pardon, un Friulano, da sballo, quello della Vigna del Rolat. Tutti intorno gli altri, che sono produttori della zona, del Collio e dell’Isonzo, visto che il comune di Cormons comprende nel suo territorio entrambe le denominazioni. Personaggi ormai famosi tra gli appassionati di vini friulani, che rispondono ai nomi di Edi Keber, di Franco Toròs, di Renzo Sgubin, di Sandro Princic, di Roberto Pichèch, di Mario Drius, solo per citarne alcuni a memoria. Poi ci sono anche i grandi, come Livio Felluga e Loretto Pali con il suo splendido Castello di Spessa, che però è a Capriva, il comune accanto, ed è stato cooptato fra i cormonesi solo perché possiede anche La Boatina che è nel territorio comunale. Ma loro frequentano meno il club dell’Enoteca e quei tavolini, ai quali ogni tanto è stato ammesso anche il sottoscritto in quanto supposto conoscitore dei vini della zona. In quelle occasioni le discussioni sui massimi sistemi enologici sono fioccate. Sui vini bianchi “macerati” o “anforati”, sul giusto livello alcolico, con posizioni a volte molto diverse, sulle potenzialità d’invecchiamento di alcune varietà, sul progressivo abbandono del Pinot bianco, visto, giustamente, come un pericolo, e sull’avanzata inesorabile del Prosecco in pianura. Il tutto trattato spesso con fervore, soprattutto da Dario Raccaro, che in quanto a discorsi appassionati non è secondo a nessuno, ma anche con grande competenza e con profonda conoscenza di territori e viticoltura. Una vera accademia di strada, partecipare alla quale è un vero privilegio, e dove i pareri espressi dai presenti non sono mai banali né scontati. Poi si discute anche sui vari vini in concreto, assaggiandoli, esprimendo giudizi, con gli artefici delle varie etichette a spiegare a tutti le scelte tecniche adottate, il perché hanno deciso di non fare quel trattamento con quel determinato prodotto, o perché hanno cambiato la pressa, o perché si sono convertiti alla viticoltura biologica. Non è l’unico caso in Italia nel quale si può assistere a incontri tra produttori e a discussioni su reali problemi, tecnici, viticoli o commerciali. E’ sicuramente però uno dei pochi esempi di dialogo vero, sincero, con un’autentica voglia di confrontarsi che va al di là di orgogli personali o di invidie fra vicini e concorrenti. Tutti insieme a far parte dei soci dell’Enoteca, luogo dove tutti i loro vini possono essere assaggiati, e tutti insieme a discutere. Non dico che sempre le cose si svolgano in modo sereno e senza intoppi, ma l’atteggiamento positivo c’è e i discorsi, per quanto decisi possano essere, sono sempre molto interessanti. E poi c’è Elena, instancabile, immancabile, la vera madrina dei vini di Cormons, e anche il suo appassionato lavoro è qualcosa di veramente straordinario.
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FERNANDO PIGHIN & FIGLI S.Agr. a R.L. Viale Grado, 11/1 Fraz. Risano 33050 Pavia di Udine (UD) Italy Tel +39 0432.675.444 - Fax +39 0432.675.999 info@pighin.com www.pighin.com
“ET PERÒ CREDO CHE MOLTA FELICITÀ SIA AGLI UOMINI CHE NASCONO DOVE SI TROVANO VINI BUONI”
ph. Franco Zanussi
LEONARDO DA VINCI
VIGNAIOLI DAL 1963
BACCHE DI GIOVINEZZA di Emilia Sellan foto di Elisa De Bortoli
L’eterna giovinezza, un sogno comune a molti, una chimera che l’uomo insegue da sempre e che ancora non è stata raggiunta... Per chi, ancora, ci speri, sono diffusissimi numerosi super-food che promettono qualche aiuto e perché no, anche qualche miracolo. In particolare negli ultimi anni, fra gli scaffali dei nostri negozi, sono comparse delle curiose bacche rosse: le bacche di Goji, frutti provenienti da arbusti sempreverdi che crescono naturalmente in Cina, Mongolia e Tibet. Il Goji è chiamato dai tibetani “frutto di lunga vita”, da migliaia di anni queste popolazioni conoscono infatti le proprietà salutistiche di questo cibo considerato anche elemento essenziale della medicina tradizionale cinese. Sarà un caso che le popolazioni che abitano le valli dell’Himalaya siano le più longeve al mondo? Che si creda, o meno, al curioso legame, queste bacche sono oggettivamente da includere fra i frutti più ricchi di antiossidanti, i preziosissimi alleati del nostro corpo per la difesa dai radicali liberi responsabili dell’invecchiamento cellulare. Frutti essiccati, capsule, barrette, succhi, creme… troviamo il Goji ormai in mille diversi formati ma difficilmente ne riconosceremmo i frutti se li trovassimo in vendita così come vengono raccolti, freschi e non trasformati. C’è però una buona notizia per noi, non serve andare in Asia per trovarli al naturale, il viaggio è molto più breve. Nella piccola frazione pordenonese di San Foca, infatti, Elisa De Bortoli, illuminata dal lavoro del compaesano Walter Zamuner con il suo Zafferano di San Quirino, ha deciso di provare a dare il via a questa particolare coltivazione nel suo orto. Grazie alla voglia di mettersi in gioco e di sperimentare di questa giovane agronoma laureata in scienze forestali, anche il Friuli Venezia Giulia può vantare la sua coltivazione di bacche di Goji, che contribuisce a rendere il volto dell’agricoltura friulana sempre più moderno, ricercato e attento alle tematiche ambientali e salutiste. Elisa proviene da una famiglia dedita all’agricoltura di tipo tradizionale, ma ha voluto cimentarsi in un progetto diverso, decidendo con questo esperimento di puntare direttamente all’eccellenza con un prodotto di nicchia e che, soprattutto, si avvicina ai concetti di naturalità e salute che tanto le stanno a cuore. Elisa racconta timidamente che nella primavera dello scorso anno ha piantato nell’orto gli arbusti perenni di Lycium Barbarum che appartengono alla famiglia delle soleanaceae, la stessa di cui fanno parte anche patate, peperoni, melanzane e pomodori. Sono state messe a dimora a San Foca 150 piante in 300 mq. Metà di queste provengono da sperimentazioni dell’Università di Padova mentre l’altra metà da un vivaio trevigiano. La fioritura si verifica a tarda primavera e la produzione è continua nei mesi estivi da fine giugno a fine settembre. Elisa coltiva le bacche da autodidatta evitando qualsiasi tipo di trattamento chimico e non viene effettuata la paciamatura perché il fusto dell’arbusto è piccolo e si rischierebbe di tranciarlo, viene usato solo il telo nero e dell’erba tagliata. Il terreno della coltivazione non è molto argilloso ed Elisa spiega che l’arbusto soffre inoltre delle stesse patologie della vite, potrebbe essere attaccato dall’oidio o dalla peronospora. L’obbiettivo di questa giovane e tenace imprenditrice è riuscire a vendere queste bacche fresche, il che sarebbe una novità per il nostro mercato abituato alle bacche asiatiche disidratate. L’obbiettivo di Elisa è quello di fornire al mercato bacche fresche poiché la produzione nostrana è decisamente superiore a quella estera. Le bacche di Goji fresche si presentano come piccoli frutti di colore rosso acceso leggermente allungati e ricordano le ciliegie, hanno un sapore dolce e delicato con un leggero retrogusto amarognolo. La piccola produzione dello scorso anno è stata venduta oltre che direttamente presso la produttrice anche all’Orto in Città di Pordenone e durante la stagione estiva sarà possibile trovare i frutti al nuovo mercato “Km O” di San Foca ogni lunedì mattina. Il progetto, ancora in fase di completamento, è destinato con il tempo a crescere e c’è chi ha già sperimentato le dolci bacche all’interno di alcune preparazioni: si tratta di Fabrizio Facca della pasticceria l’ “Angolo della Dolcezza” di San Quirino che ha utilizzato i frutti nei suoi prodotti artigianali quali gelato, sorbetto e praline ottenendo deliziosi risultati che sicuramente verranno riproposti. Con la raccolta del 2016 le bacche di Goji di Elisa entreranno anche a far parte della carta dei dolci di un importante Chef friulano. Occhi aperti quindi, la giovinezza è a portata di cucchiaino!
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ELISA DE BORTOLI Via Casagrande, 35/7 33080 San Quirino (PN) T. 339 4513605 debortolielisa@yahoo.it
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info@lisfadis.it - www.lisfadis.com
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L'ISOLA È SEMPRE PIÙ D'ORO di Giorgio C. Riva foto di Umberto Pellizon
Se tanti, e di un certo livello e di buona/eccellente cultura anche enogastronomica, ritornano, lo si deve a famiglie come quella che a Grado, da anni, gestisce, direttamente, l'Albergo Alla Spiaggia, in una posizione unica, in centro, vista spiaggia e mare. Alla tradizionale offerta alberghiera particolarmente apprezzata da affezionata clientela di professionisti austriaci, e non solo ovviamente, da qualche stagione si è affiancata quella del bar dell'albergo, aperto a tutti, e in plein air, curato personalmente da Luigi Micoli, che è ormai divenuto una delle attrazioni più piacevoli e consolidate per un pubblico non solo di giovani all'ora dell'aperitivo serale e, poi, a quelle dei drink, fino a notte fonda. Vasta selezione di ottimi vini, non solo italiani (particolarmente estivi quelli della Mosella) e di champagne (in primis dei pas dosè). Ma, soprattutto, miscelati. A regola d'arte. Con una predilezione, quella di Luigi e di Maurizio " baffo" "Lacroma", per il gin tonic, declinato praticamente all'infinito (152 differenti gin e 10 differenti toniche!). Da quest'anno, meglio, da questa estate, da poco, una novità, che io apprezzo particolarmente. E, allora, ecco questa "segnalazione", beninteso, dopo aver provato, e riprovato. Sempre con piacere. A volte provando addirittura felicità. Una premessa. Odio i " week-end" e la "breve vacanza" (non potrebbe, a mio parere, essere così definita) mordi e fuggi. Che, al mare, significa solo spiaggia di giorno, senza mangiare o quasi, soprattutto senza mangiare seduto, comodamente, a tavola ben apparecchiata. Ora Alla Spiaggia è possibile pranzare comme il faut, all'aria, al fresco, protetti dal sole, fino alle 15.30. Mi accomodo sempre verso le 14.00. Troppo sole stroppia. Approfitto della possibilità di degustare al bicchiere la vasta selezione che Luigi ha "pensato" per il ristorante e scelgo più vini a seconda dei piatti. I friulani che il patron ama, ci sono tutti. Spesso sono proposti il friulano e il sauvignon di Ronco del Gnemiz. In tavola, pane e burro, ottimi, subito. Si può attendere, piacevolmente, che arrivi ciò che si è ordinato. Se la fame è poca, ci si può limitare a una delle insalate proposte. Tutte intriganti, complete, composte da eccellenti prodotti. Evo del Carso e fior di sale, ovviamente. Non da meno l'aceto. Ad esempio, Quinoa, con gamberi, zucchinette crude, pomodorini, taggiasche, profumo di basilico. O una Grecafruit , accompagnata da un riesling. Oppure un ottimo San Daniele “venti mesi” coi grissini. E friulano. Altrimenti, secondo "tradizione", si sceglie tra antipasti, primi e secondi in carta e in "lavagna" del giorno. Ho assaggiato dei superlativi ravioli liguri di borragine con un paio di bicchieri del sauvignon "di Patat", uno splendido, veramente splendido, risotto al nero con un calice di chardonnay di Sturm e una non banale sogliola di Grado alla mugnaia innaffiata dal pinot grigio di Doro Princic. La casa ha un pesto strepitoso: ho voluto degustare delle trofie accompagnandole con un Zuani e con un gin tonic . Suggestione del luogo. Ma ci stava. Per finire, dei dessert semplici, estivi, di casa. Freschi e buoni: "tagliata" di pesche, crème caramel e affogato al caffè. Dal vostro tavolo vedrete scorrere la vita della stazione balneare e vi sentirete, appagati e leggeri, in villeggiatura.
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Luigi Micoli
ALBERGO ALLA SPIAGGIA Via Mazzini, 2 34073 Grado (GO) - Italy T. 0481 80162 www.albergoallaspiaggia.it
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IL PROSCIUT TO DI DORTH di Antonio Di Stefano foto di Antonio Di Stefano
DORTH 1931 Vendita Via Padre Marco, 13 33081 Aviano (PN) T. 0434 651117 DEGUSTAZIONE "PROSCIUTTERIA CON PICCOLA CUCINA" Via Pordenone, 4 33081 Aviano (PN) T. 0434 677211 info@dorth1931.it
Non tutti sanno che, ad Aviano, piccolo paese della pedemontana pordenonese, conosciuto soprattutto per la presenza della base Nato, si produce un prosciutto crudo sapientemente lavorato, che esprime la più autentica tradizione norcina. Aviano ha caratteristiche pedoclimatiche che permettono ai prosciutti di godere di un’aria asciutta e di una buona ventilazione come Langhirano e San Daniele. Luigi Carlo Fabbro, titolare della macelleria e della prosciutteria Dorth 1931 di Aviano gestisce uno spazio degustazione inaugurato a maggio del 2014. Una storia, quella della famiglia Fabbro, che ha inizio a cavallo del XIX secolo dal suo trisnonno Giorgio detto “Dorth”. L’attività di macellaio salumiere è stata tramandata da padre in figlio, arrivando, a oggi, alla quarta generazione che ha riassunto e migliorato un’eredità fatta di sapiente esperienza e duro lavoro. Finita la scuola, l’avvicinamento alla bottega è stato per Luigi un passaggio naturale, dettato dalla passione per la salumeria. L’idea di produrre prosciutti, parallelamente all’attività di macellaio, è il frutto di una grande passione per il lavoro. La molla che ha spinto Luigi alla produzione di prosciutti nasce dalla consapevolezza di migliorarsi continuamente. La commercializzazione prima e la selezione poi di grandi cosce suine nazionali, come Sant’Ilario, Galloni e Ruliano, ha suscitato in lui la voglia di mettersi alla prova e iniziare autonomamente il mestiere di affinatore di prosciutti. La vicinanza di San Daniele, gli ha permesso di apprendere e capire, cogliendo con arguzia il mestiere: “A volte – racconta - sono i piccoli dettagli a fare la differenza”. L’edificio di stagionatura contiene circa 1200 prosciutti in un ambiente completamente naturale senza controllo di temperatura e umidità. L’ausilio di tecnologia per la trasformazione è rigorosamente assente. Sale e sugna sono gli ingredienti che sono utilizzati per lavorare e stagionare le cosce: nient’altro. Tutto il processo
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è naturale! La volontà di coniugare artigianalità e gusto rimane per Luigi un assioma imprescindibile. Collocati su allineate rastrelliere in legno sostano centinaia di prosciutti che emanano i loro profumi e attendono la loro completa stagionatura. Le cosce provengono prevalentemente da allevamenti selezionati della Val Tiberina in Toscana, qui crescono e si allevano maiali pesanti – una coscia pesa circa 24 chilogrammi –.Per la produzione di prosciutti destinati al taglio al coltello, invece, si utilizzano cosce di allevamenti friulani. Per ottenere la migliore qualità è indispensabile lavorare prevalentemente cosce grosse e grasse, che, secondo l’esperienza di Luigi, danno i migliori risultati. La salatura rispetta i criteri dei consorzi; un giorno di sale per un chilo di prosciutto. La salatura è eseguita in due fasi distinte e poi la coscia, priva del sale, è messa a riposo per 5-6 mesi. I prosciutti Dorth stagionano da un minimo di 20 mesi fino ai tre anni. Per la linea di prosciutti “tagliati al coltello” è eseguita la pressatura che permette la rapida fuoriuscita dell’umidità consentendo una migliore stagionatura. Per Fabbro le caratteristiche organolettiche di un buon prosciutto sono semplici ma chiare: saporito, non salato e soprattutto stagionato. Un salume come il prosciutto deve avere molta persistenza in bocca, non deve fornire sensazioni tattili invadenti, e non deve assolutamente sapere di “carne fresca”. La nuova “prosciutteria” è un bellissimo spazio di degustazione, un luogo confortevole e ampio, con possibilità di assaggiare i salumi prodotti: coppe, pancette, cotechini, guanciali, soppresse e salami. Sono serviti anche piatti caldi, tipici della cucina friulana, contenenti i prodotti della macelleria. Un’ampia gamma di vini, in gran parte naturali o biodinamici, accompagnano i piatti. Naturalmente, per Luigi, l’abbinamento perfetto con i suoi prosciutti è il Friulano, di buon corpo, fruttato e fresco.
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BORETO, SAVOR e BUSARA EMOZIONI SENZA TEMPO di Bruno Cataletto foto di Fabrice Gallina La vita di ciascuno di noi può essere facilmente paragonata a un lungo viaggio durante il quale alcuni ricordi, simili a discreti e fedeli compagni di avventure, non ci abbandonano mai, ma al contrario riemergono periodicamente dal profondo della nostra memoria. In particolare, quelli che ci riportano alla mente i profumi e i sapori dei piatti della nostra infanzia, risultano indissolubilmente legati ai territori e ai luoghi che ci hanno visto crescere e diventare adulti. Il Friuli Venezia Giulia, terra di confine attaccata all’Austria e alla Slovenia, ha sempre espresso il suo spirito mitteleuropeo oltre che nella cultura anche nella cucina, punto d’incontro di tradizioni appartenenti a popoli diversi. La ricerca di questi antichi valori ci porta a Grado, l’isola d’oro dalle fattezze veneziane, e alla suggestiva laguna che la circonda dove ci imbattiamo in un’autentica perla gastronomica: il boreto. Questa ricetta nasce nei casoni della laguna dove i pescatori gradesi trascorrevano gran parte dell’anno, con sporadiche visite alle famiglie rimaste a casa. I casoneri vivevano di pesca, anche come nutrimento. Ogni giorno il ‘batelante’ si recava nelle piccole isole della laguna e raccoglieva il pesce migliore che veniva poi venduto al mercato di Grado, lasciando il pescato di scarto per la sussistenza dei pescatori. Il boreto alla gradese, quindi, nasce originariamente come un piatto povero cucinato nel “paveso”, una casseruola di ferro che non veniva mai lavata. La ricetta, tramandata da generazione in generazione, è rimasta immutata nel corso degli anni e consiste nel far rosolare alcuni spicchi d’aglio in un filo d’olio, fino quasi a bruciarli, nel porre successivamente il pesce a cuocere da ambo le parti, stando attenti a non frantumarne la carne, e infine nello sfumare con l’aceto aggiungendo acqua calda al fine di creare un fondo di cottura denso e appiccicoso, completando poi il piatto con una generosa spolverata di pepe. Da sempre il boreto viene servito con la polenta bianca, in quanto, all’epoca in cui
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la ricetta venne ideata, la farina bianca era la meno raffinata, si trovava più facilmente e costava meno di quella gialla. I custodi di questa antica ricetta sottolineano con orgoglio l’unicità di questo piatto pregandoci di non definirla una semplice zuppa di pesce e facendo risaltare la diversità con il boreto che si prepara nella vicina Marano Lagunare in cui è presente il pomodoro, ma non il pepe. Spesso le ricette tradizionali, e non solo, sono nate da semplici necessità di conservazione del cibo, come nel caso dell’affumicatura o la produzione dei salumi. Nel caso del pesce una delle tecniche più importanti è la marinatura. Nella nostra regione questa tecnica raggiunge una delle sue massime espressioni nel savor, che consiste nella friggitura del pesce e nella sua marinatura con cipolla e aceto. A Trieste, il principale attore di questa ricetta, è il sardone, che in italiano si chiama alice o acciuga, e in particolare il sardone barcolano a pasta bianca pescato nelle notti senza luna con l’utilizzo delle lampare. I pesci vengono puliti, infarinati, fritti e alternati con strati di cipolla fatta precedentemente soffriggere e sfumare nell’aceto di vino bianco. Il piatto va servito freddo dopo aver riposato una notte in frigorifero. La tecnica della “marinata di aceto”, definita in italiano con il termine carpione, può essere utilizzata anche per preparazioni a base di carne e verdure assumendo varie nomenclature in diverse regioni: saor in Veneto o scapece in Liguria, Campania e Puglia. Talvolta, i nomi di alcune ricette tradizionali sono contesi fra diverse etimologie: questo è il caso di un piatto tipico della cucina triestina, ma proveniente in realtà dalle coste istriane o dalmate, gli scampi alla busara o, secondo molti, in busara. Alcuni autori sostengono che il termine derivi da una grossa pentola in ferro o in coccio con cui questa ricetta veniva preparata sulle barche dei pescatori, buzara in lingua locale. Secondo lo scrittore e accademico croato Predrag Matvejevic è la voce dialettale buzzo (stomaco) a cui il nome della ricetta fa riferimento. Ma l’ipotesi più suggestiva è quella che indica un collegamento con la parola busiara, ovvero bugiarda. Sembra che in passato i marinai utilizzassero al posto degli scampi, gli avanzi del pescato che non riuscivano a vendere, insaporiti con sugo di pomodoro e vino rosso e quindi spacciando per un piatto raffinato una zuppa di avanzi. Anche se la vera natura del termine rimane ancora misteriosa, le emozioni che questa zuppa di pomodoro e scampi è in grado di suscitare in tutti noi sono uniche e irripetibili. Queste ricette, insieme a molte altre, sono la migliore espressione del nostro territorio, della sua storia e degli uomini che lo rappresentano. Come disse il politico e gastronomo francese Anthelme Brillat-Savarin «Dimmi quello che mangi, e ti dirò chi sei».
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Omar Del Sal
Alessandro Businaro
UNA SOSTA SULLA STRADA DEL MARE di Giorgio C. Riva • foto di Franco Bertoja
Da Gorgo si passa andando e tornando da Lignano.
Alessandro Businaro, fratello minore del riccioluto Bosco, e quindi Boschet, nato proprio a Gorgo 38 anni fa, da nove ci dà motivo di fermarci nella piccola piazza intitolata a Enea Codotto, carabiniere di Latisana rimasto ucciso in un agguato del Nuclei Armati Rivoluzionari a Padova nel 1981, dove, al civico 17, appena prima della chiesa, troviamo, nella casa rurale di famiglia fin dal 1905, il suo ristorante. Boschet, appunto. Alessandro non è figlio d’arte, ma fin da giovane è affascinato dal mondo della cucina e dai prodotti, pesce in primis, che la sua terra e il suo mare offrono. Frequenta quindi l’Istituto alberghiero Elena Cornaro di Jesolo e, diplomatosi, fa esperienza in importanti cucine venete prima di avvicinarsi a casa. A Lignano, al Bancut e, poi, alla Fattoria dei Gelsi. La ristrutturazione della casa di famiglia gli offre l’occasione di tornare a Gorgo e di mettersi in proprio. La cucina del ristorante si trova al primo piano della vecchia casa ristrutturata. Al piano terra la sala, elegante senza essere formale, arricchita dai quadri di Adriano Piu, “gestita” con garbo da Omar. Fuori, la graziosa corte, dove godersi le belle serate estive. I coperti, tra sala e corte, non superano mai, per scelta, i 45. Il menù è presentato a voce, non per vezzo, ma perché la cucina di Alessandro si basa esclusivamente su pescato fresco, mai di allevamento, della miglior provenienza possibile (i moscardini da Caorle, gli scampi dalla Croazia, le sogliole da Marano). La proposta varia quindi non solo da un giorno all’altro, ma anche tra pranzo a cena dato che, in zona, alcuni mercati del pesce si fanno nel pomeriggio. Con queste premesse non ci si aspetti di trovare sempre branzino o rombo e, ben consigliati, ci si lasci tentare anche da pesci più “poveri” ma freschissimi e preparati con la massima semplicità per non alterarne il gusto.
L’antipasto di crudi non sarà mai “lo stesso” da un giorno all’altro e sarà sempre servito “in purezza”; solo il cliente deciderà se aggiungervi evo di taggiasca ligure, sale, pepe o altro. I moscardini, serviti con mela verde e sedano croccante, sono sodi e gustosi. Menzione speciale meritano, tra i primi, i trucioli con scorfano o tonno e i ravioli del plin, tipicamente piemontesi, che Alessandro adora e ha fatto “suoi”, variamente ripieni, e variamente accompagnati, a seconda della stagione -in questo momento vengono proposti ripieni di melanzana fresca e con burrata, gamberi, pomodorini e basilico. Per secondo, scampi croati al sale e sogliola nostrana, “ai ferri”, con patate. Grande semplicità e grandissima bontà. Dessert sul classico. Particolarmente rinfrescante l’aspic di agrumi, con sorbetto di mela verde. Cosa abbinare? La scelta di vini non manca. Davvero notevole, per gli standard regionali, la proposta di bollicine, specialmente d’oltralpe. Non è usuale trovare 27 referenze diverse tra champagne di zone e stili vari. Tra i fermi, i bianchi friulani fanno la parte del leone. Le scelte sono quelle classiche, mai banali e i ricarichi non son per nulla esosi. I bianchi nazionali son soprattutto quelli di Sicilia, Alto Adige e Veneto. Gli “esteri” son sette, quattro dei quali sloveni. Tra i rossi, giustamente minoritari, spicca un Collio Rosso di Borgo del Tiglio. Niente male la selezione di vini al calice con i suggerimenti di Omar. L’ambientazione suggerirebbe di fermarsi Da Boschet -aperto tutto l’anno, con chiusura la domenica sera e il lunedì nel periodo invernale, il lunedì durante l’estate e solo il lunedì a pranzo in agosto- la sera, per cenare all’aperto, d’estate, e, nell’accogliente sala riscaldata da una grande stufa in maiolica, d’inverno, ma perché non regalarvi d’estate, magari in una giornata incerta, un ottimo pranzo. Sarete particolarmente “coccolati” e poi affronterete più rilassati la folla delle vicine spiagge.
DA BOSCHET Piazza Enea Codotto, 17 33053 Gorgo – Latisana (UD) T 0431.55445 www.daboschet.it
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I vini in abbinamento alla cucina di ALESSANDRO
BRANKO
Collio Friulano 2015 Alc. 14% - € 17 Paglierino brillante. Naso solare e intenso. Polpa di cedro, agrumi, leggero tropicale, rosmarino, uva spina, mentuccia e fumé di ponca. Lieve salsedine a impreziosire l’olfatto. Morbido e glicerico, equilibrato da ottima freschezza che accompagna la piacevole beva anche nel finale dai richiami agrumati. Lento e sapido. Acciaio e, per una piccola parte, in legno francese.
BORGO SAN DANIELE
Collio Pinot Grigio 2015 - Alc. 13,5% - € 18 Giallo paglierino scintillante. L’olfatto offre grande raffinatezza. Pera ruggine, erbe aromatiche, frutta a pasta bianca, biancospino, pot-pourri di agrumi, resine, sbuffi mentolati, e piacevoli note iodate. Piacevole, elegante nel suo scorrere, proporzionato da ottima freschezza, corrispondenza agrumata. Lento. Vinificato parte nell’acciaio e parte nel rovere grande di Slavonia.
I CLIVI
Collio Malvasia Vigna 80 anni 2015 Alc. 13% - € 20 Paglierino luminoso. Trama olfattiva di grande spessore. Anice, cedro, erbe aromatiche, melissa, artemisia, uva spina, ribes bianco. Effluvi iodati a completare il naso. Il sorso è verticale, intenso, sapido e marino. Si allarga poi su temi glicerici a raggiungere l’equilibrio. Chiusura gustativa interminabile, salina e di rara eleganza. Nell’acciaio, sui lieviti, per 6 mesi.
FORCHIR
Friuli Grave Pinot Grigio Lamis 2015 Alc. 12% - € 10 Paglierino delicato e luminoso. Ventaglio fruttato e gradevole. Caramella all’arancio, fragola bianca, crema al limone, pesca bianca e mela stark. Lavanda, agrumi, fioriture primaverili ed effluvi adriatici. Ingresso morbido, di buon garbo, prosegue con richiami fruttati e marini. Il finale, ben misurato, è sapido e minerale. Vinificato nell’acciaio ove sosta per 5 mesi.
BORGO SAVAIAN
Collio Pinot Grigio 2015 Alc. 13,5% - € 15 Giallo paglierino lucente dai riflessi dorati. Intriganti sentori di zenzero, fiori d’acacia, ananas, purea di pere, pesca gialla, gelatina d’agrumi e scorza di cedro. Delicate note marine. Il sorso è dinamico, inizialmente succoso. Guadagna il bilanciamento grazie a morbidezza materica. Fruttato, saporito e appagante il finale. Vinificato nell’acciaio ove matura per 5 mesi.
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LA RUBRICA DEI LIBRI
I VINI FRANCESI DEL GUARDIANO DEL FARO di Roberto Mostini - Il Guardiano del Faro
Un lungo viaggio che diventa un libro. Sono 50 i migliori vini di Francia che Roberto Mostini, famoso wine blogger, descrive nell’opera unitamente ai loro artefici: i produttori più importanti di Borgogna, Bordeaux, Valle del Rodano, Loira e Alsazia nonché dello Jura e della Provence. Aneddoti, frammenti di vita vissuta e considerazioni personali. Venticinque anni di viaggi divisi tra le migliori cantine e i migliori ristoranti d’oltralpe. Intense le parole a lui dedicate in aperura del libro da Andrea Cornelli: “Ho letto libri che hanno lasciato un segno profondo dentro di me, libri che mi hanno emozionato, e ho seguito autori “digitali” che mi hanno regalato momenti meravigliosi, altrettanto importanti. Il Guardiano del Faro è uno di loro: quando, nel mio peregrinare web, ho incrociato la sua strada, il giorno dopo sono tornato a rileggerlo. E poi ancora, e anno dopo anno ogni nuova sua pagina mi coinvolge per ciò che racconta, per come lo racconta”.
€ 29 - 240 pagine - AGAPHANTOS EDITORE
STORIA MODERNA DEL VINO ITALIANO A cura di Walter Filiputti
La storia moderna del vino italiano ha inizio tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta nel Novecento e rappresenta la più bella pagina mai scritta dalla nostra agricoltura, che ha visto la trasformazione di semplici viticoltori in imprenditori le cui bottiglie sono presenti in tutto il mondo. Dedicato a tutti i vignaioli italiani e in particolare a Luigi Veronelli, “il filosofo del vino italiano”. Suddiviso in tre parti (Rinascimento del vino italiano; Il vino italiano. L’innovazione; La geografia del vino italiano), il volume propone un affascinante viaggio alla scoperta dei diversi aspetti del poliedrico mondo del vino. Presenta, inoltre, decennio dopo decennio, le aziende protagoniste di questa storia dagli anni settanta a oggi, a ciascuna delle quali è dedicata una scheda illustrata completa della storia dell’azienda e dei suoi vini più rappresentativi. Il volume, oltre ai testi del curatore, comprende anche quelli d’illustri figure del mondo del vino che hanno collaborato all’opera.
€ 55 - 480 pagine - SKIRA EDITORE
MALEDETTO CHAMPAGNE di Roberto Bellini
L’autore è uno dei massimi esperti di vini francesi, primo italiano ad aggiudicarsi il titolo di Ambassadeur du Champagne in Italia, ideatore dell’École du Champagne per l’Associazione Italiana Sommelier di cui riveste la carica di Vice Presidente nazionale. Bellini ripercorre la storia del vino più famoso al mondo partendo dalla figura del monaco benedettino Dom Pérignon che, suo malgrado, fu protagonista nella genesi dello Champagne. Un vino che in tre secoli ha lasciato segni incancellabili del suo passaggio nelle espressioni della civiltà europea. Il titolo di questo volume è chiaramente provocatorio. Non è lo Champagne ad essere maledetto: ma piuttosto maledetta è la voglia di Champagne, che ci prende tutti, prima o poi, nella vita. La sua storia è poco conosciuta in Italia, e questo libro ne vuole colmare la lacuna. L’autore si sofferma inoltre sul ciclo produttivo, sui vitigni, sugli stili, sul terroir e sugli abbinamenti possibili.
€ 20 - 225 pagine - WINGSBERT HOUSE EDITORE
L'ANIMA DEL VINO di Charles Baudelaire Ritenuto l’iniziatore di un nuovo corso poetico poiché la sua opera creativa si colloca fra le più alte espressioni della poesia di tutti i tempi. Il più grande poeta moderno che abbia cantato il vino, la sua gioia e la sua disperazione, è sicuramente Charles Baudelaire (1821 - 1867). Celebri sono i suoi cinque poemi contenuti nei “Fiori del male”, e raccolti nella sezione intitolata “Le Vin”. Cinque capolavori lirici, in cui l’eterno conflitto dell’anima baudelairiana fra amore per la vita e desiderio di annullamento trova nell’ebbrezza del vino la sua più pura e fulminante metafora. Accanto alle poesie, Baudelaire scrisse “Del vino e dell’hashish” nell’altro suo capolavoro, “I Paradisi Artificiali”. “Du Vin et du Haschisch” si intitola il suo scandaloso saggio, che assegna al vino la qualità di esaltare la volontà, “l’organo più prezioso” di un artista, mentre l’hashish, annullandola, si rivela “inutile e dannoso” per l’uomo creativo. Un classico da assaporare nei pomeriggi d’estate. € 12 - 128 pagine - WINGSBERT HOUSE EDITORE
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MANGIAVINO
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Trimestrale di Cultura del Vino e del Cibo Anno III, Numero 10 Direttore Responsabile Renzo Zorzi zorzi@mangiavino.com Direttore Editoriale Renato Paglia paglia@mangiavino.com Vice Direttore Editoriale Giorgio C. Riva riva@mangiavino.com Editore e Concessionario per la Pubblicità srl
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