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ANNO II
/2020
RIVISTA SCIENTIFICA E DI INFORMAZIONE OFTALMOLOGICA
TELEOFTALMOLOGIA: CONTRO LE AVVERSITÀ
Riflessioni e prospettive sul futuro prossimo della pratica clinica, tra protezione, empatia e distanziamento
APPROFONDIMENTI AAO e USCF contro l’uso dei proiettili di gomma
NO RUB, NO CONE Vero o non vero?
RIFLETTORI SULL’ESPERTO
Il motore dell’innovazione dal volto umano
FGE S.r.l.-Reg. Rivelle 7/F - 14050 Moasca (AT) - Redazione: via Petitti, 16 - 20149 Milano - Anno II - N. 3/2020 - Trimestrale
Nanex multiSert+ TM
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CHIRURGIA MICROINCISIONALE DELLA CATARATTA SENZA COMPROMESSI
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Referenze: 1.. Comparative PCO study in rabbit eye; GLP-study results. John A. Moran Eye Center, University of Utah. Report in archivio. 2.. Comparative porcine eye study: study result. David J Apple International Laboratory for Ocular Pathology, University Hospital Heidelberg. Report in archivio. 3.. Dati in archivio, HOYA Medical Singapore Pte. Ltd, 2019. 4.. Dati in archivio, HOYA Medical Singapore Pte. Ltd, 2019 HOYA, Nanex and multiSert+ sono marchi registrati di HOYA Corporation o delle sue affiliate. Š2019 HOYA Medical Singapore Pte. Ltd. Tutti i diritti riservati. HOYA Medical Singapore Pte. Ltd. | 455A Jalan Ahmad Ibrahim | Singapore 639939
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ANNO II
/2020
RIVISTA SCIENTIFICA E DI INFORMAZIONE OFTALMOLOGICA
Sommario
TELEOFTALMOLOGIA: CONTRO LE AVVERSITÀ
Riflessioni e prospettive sul futuro prossimo della pratica clinica, tra protezione, empatia e distanziamento
APPROFONDIMENTI AAO e USCF contro l’uso dei proiettili di gomma
NO RUB, NO CONE Vero o non vero?
RIFLETTORI SULL’ESPERTO
Il motore dell’innovazione dal volto umano
FGE S.r.l.-Reg. Rivelle 7/F - 14050 Moasca (AT) - Redazione: via Petitti, 16 - 20149 Milano - Anno II - N. 3/2020 - Trimestrale
Redazione Timothy Norris Laura Gaspari, MA redazione@eyeseenews.it www.eyeseenews.it Pubblicità commerciale@fgeditore.it tel 01411706694 Direttore responsabile Ferdinando Fabiano f.fabiano@fgeditore.it Grafica e impaginazione Cristiano Guenzi Coordinamento scientifico Vittorio Picardo, MD Hanno collaborato a questo numero: Iordanis I. Chatziangelidis, MD MBA FEBO Alejandra de Alba Campomanes, MD Igor di Carlo, MD Alessandro Galan, MD Damien Gatinel, MD, PhD Doha Hamidallah, MD Anat Loewenstein, MD, MHA Efrem Mandelcorn, BSc, MD, FRCSC Cosimo Mazzotta, MD, PhD Rita Mencucci, MD Ioannis G. Pallikaris, MD, PhD Jack Parker, MD Emilio Pedrotti, MD Maurizio Veroli, AD Hoya Italia Roberto Vignapiano, MD Luca Vigo, MD George A. Williams, MD
2 Editoriale 4 Cover Topic
TELEOFTAMLMOLOGIA CONTRO LE AVVERSITÀ
8 Riflettori dull’Esperto IL MOTORE DELL’INNOVAZIONE DAL VOLTO UMANO
12 Largo ai Giovani
DALLA PARTE DEI PIÙ PICCOLI
16 Casi da Incubo NULLA È PERDUTO
18 Innovazioni
PARLARE IL LINGUAGGIO DEI NOSTRI TESSUTI
22 Approfondimenti
USING YOUR VOICE SHOULDN’T MEAN LOSING YOUR VISION
26 28
LE BARRIERE NON BASTANO IL MISTERO DEGLI IDROPI CORNEALI E IL CHERATOCONO
30 Controversie
NO RUB, NO CONE: VERO O NON VERO?
34 Tecniche Chirurgiche Editore FGE srl – Fabiano Gruppo Editoriale Redazione: Via Petitti, 16 – Milano Sede legale: Regione Rivelle, 7 14050 Moasca(AT) Tel 0141/1706694 – Fax 0141/856013 Stampa: Giuseppe Lang – Arti grafiche srl - Genova Registrazione presso il Tribunale di Asti n. 1/2020 del 05/02/2020 Copia omaggio
I VANTAGGI NEL TRATTARE IL DISLOCAMENTO DELLA IOL E IL GLAUCOMA IN UN SINGOLO INTERVENTO
36 Dal Mondo dell’Ottica 40 News dalle Aziende 1
Editoriale
COVID-19 NEW AB-NORMALITY: SARÀ LA TELEMEDICINA LA SOLUZIONE?
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di Rita Mencucci e Roberto Vignapiano, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento NEUROFARBA
Tutte le interviste contenute in questo numero sono consultabili collegandosi al sito:
www.eyeseenews.it 2
Dall’annuncio del primo caso italiano di Covid-19 ad oggi il nostro Paese è profondamente cambiato, travolto da uno tsunami silenzioso ed invisibile che ha contribuito a farci riscoprire la fragilità dinanzi ad un nemico ancora adesso difficile da contrastare nonostante l’affannosa ricerca di un vaccino. E gli strascichi di questa guerra non hanno tardato a farsi sentire; nuove sfide da affrontare sono sorte all’orizzonte per il Sistema Sanitario Nazionale, coinvolgendo a pieno titolo anche la nostra disciplina. Molti di noi hanno potuto constatare, all’attenuarsi della Fase 1 e al progressivo tentativo di instaurare una “new normality”, notevoli difficoltà nella gestione di pazienti oftalmologici sia acuti che cronici, con un peggioramento del quadro clinico complessivo. Durante il lockdown, pur essendo stata garantita la gestione dei casi urgenti e la continuità dei trattamenti indifferibili, il clima di paura ed incertezza ha spinto in molti a interrompere, dilazionare o rifiutare la necessaria assistenza sanitaria. Il risultato ha coinvolto tutte le branche oftalmologiche: dall’aggravamento del quadro clinico in pazienti con maculopatie essudative, al peggioramento dei difetti campimetrici in pazienti glaucomatosi, ad ulcere corneali esitate in perforazioni fino a distacchi di retina inveterati. In tale contesto bisogna interrogarsi sui motivi per cui, nonostante il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità in cui si esortava all’implementazione dei servizi di telemedicina in corso di pandemia, la nostra disciplina, differentemente da altre branche,
abbia solo parzialmente recepito tale messaggio1. Il rapporto, ormai di lunga data, tra telemedicina e oftalmologia si è spesso districato tra luci ed ombre. Realtà consolidate come le attività di screening e teleconsulenza eseguite in neonati tramite RetCam sono ormai da considerarsi elemento imprescindibile per la gestione precoce della retinopatia del prematuro e delle altre oftalmopatie pediatriche2. Anche le attività di teleconsulenza eseguite presso dipartimenti di endocrinologia e malattie del metabolismo, seppur ancora limitate a specifiche aree o strutture ospedaliere, hanno consentito una più efficace gestione dei pazienti con retinopatia diabetica, consentendo di raggiungere anche quella parte di popolazione con maggiore difficoltà di accesso alle cure3. Tuttavia, anche tali virtuosi esempi presentano i limiti intrinseci e peculiari della teleoftalmologia quali la necessità di un setting dedicato, strumentazione idonea e personale qualificato; fattori che richiedono congrua valutazione ed investimento di risorse sanitarie4. Nel contesto emergenziale tale pianificazione non è stata attuabile anche se è stato possibile assistere ed utilizzare forme spurie di servizi di teleoftalmologia, prevalentemente importati dai Paesi anglosassoni. Basti pensare all’introduzione dei pre-triage telefonici, corrispondenti ai virtual check-in statunitensi, al fine di rispondere alle necessità di screening per pazienti con visite programmate per valutarne lo stato di salute ed il rischio di esposizione a SARS-CoV-2. Rispondendo o rivalutando foto-
Seppur tra luci ed ombre, la telemedicina può rappresentare quindi un prezioso alleato alla nostra professione
Rita Mencucci
grafie e documenti sanitari inviati dai pazienti attraverso app di messaggistica o tramite mail sono stati erogati, seppur in maniera impropria, servizi di e-visit, reviewing photos e text check-in5. In Italia strumenti per la condivisione online di dati e/o informazioni sanitarie come social network, forum, newsgroup, posta elettronica non costituiscono di per sé servizi di telemedicina e pertanto una loro eventuale codifica necessita di approfondimento da parte degli enti regolatori, soprattutto in relazione alle attuali normative in materia di tutela dei dati personali 6. La tutela della privacy rappresenta il principale rischio nell’utilizzo di servizi non codificati di telemedicina; difficile è il pieno controllo dei dati sensibili da parte di provider terzi di servizi di messaggistica e comunicazione nonostante l’utilizzo di connessioni crittografate ed adeguati standard di sicurezza, con conseguenti non trascurabili rischi di compromissione di tali dati7. Pertanto, in accordo con le recenti indicazioni emanate dalla Commissione Salute, soltanto la definizione di regole omogenee per l’erogazione delle prestazioni a distanza con l’indicazione di modalità, orari e tariffe può porre le basi per servizi di teleoftalmologia e, in prospettiva, di televisita sicuri garantendo inoltre l’adeguata informazione e conservazione del consenso fornito dal paziente 8. Probabilmente in Italia l’utilizzo di tecnologie quali lampade a fessura comandate da remoto, strumenti per l’automonitoraggio domiciliare delle maculopatie o il ricorso a televisite ibride rappre-
sentano prospettive di difficile attuazione nel prossimo futuro, ma anche utilizzando strumentazione meno avanzata è possibile garantire un sufficiente monitoraggio dei pazienti. Utilizzando webcam con risoluzione adeguata è possibile, infatti, valutare la presenza di grossolane alterazioni del segmento anteriore, degli annessi, della motilità oculare e stimare il riflesso rosso. Inoltre, sono disponibili gratuitamente on-line strumenti ed app per stimare l’acuità visiva dell’adulto e del bambino, nonché per monitorare le maculopatie e valutare il campo visivo9. In definitiva, sebbene la teleoftalmologia rappresenti uno strumento maggiormente integrabile ed integrato in sistemi sanitari più flessibili, una sua implementazione anche all’interno del contesto italiano è auspicabile, nonostante le difficoltà tecniche ed i possibili conflitti deontologici che ne potrebbero derivare. La stessa televisita specialistica non dovrebbe inquadrarsi come sostitutiva della prestazione sanitaria tradizionale nel rapporto personale medico-paziente, ma piuttosto dovrebbe integrarla per migliorarne efficacia, efficienza e appropriatezza. Seppur tra luci ed ombre, la telemedicina può rappresentare quindi un prezioso alleato alla nostra professione. L’auspicio è che in futuro, in risposta alla necessità di riorganizzazione del SSN, possa superare l’approccio emergenziale ed imporsi come vera rivoluzione culturale e metodo proattivo da integrare nei servizi sanitari per contribuire a migliorare la salute della popolazione.
BIBLIOGRAFIA 1. ISS. Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19. 2. Ells AL, Holmes JM, Astle WF, et al. Telemedicine approach to screening for severe retinopathy of prematurity: a pilot study. Ophthalmology. 2003;110(11):2113-2117. 3. Sasso FC, Pafundi PC, Gelso A, et al. Telemedicine for screening diabetic retinopathy: The NO BLIND Italian multicenter study. Diabetes Metab Res Rev. 2019;35(3):e3113. 4. Rathi S, Tsui E, Mehta N, Zahid S, Schuman JS. The Current State of Teleophthalmology in the United States. Ophthalmology. 2017;124(12):1729-1734. 5. Teleophthalmology:How to Get Started. https://www.aao.org/practice management/article/teleophthalmology-how-to-get-started. 6. Italian Ministry of Health. National guidelines on telemedicine. 2012. 7. Omboni S. Telemedicine During the COVID-19 in Italy: A Missed Opportunity?. Telemed J E Health. 2020;26(8):973-975. 8. Erogazione delle prestazioni di specialistica ambulatoriale a distanza, semplificazione di accesso alle cure: Televisita. Proposta alla commissione Salute del 27/07/2020. 9. Kalavar M, Hua HU, Sridhar J. Teleophthalmology: an essential tool in the era of the novel coronavirus 2019. Curr Opin Ophthalmol. 2020;31(5):366-373.
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Cover Topic
TELEOFTALMOLOGIA: CONTRO LE AVVERSITÀ Riflessioni e prospettive sul futuro prossimo della pratica clinica, tra protezione, empatia e distanziamento
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Intervista ad Anat Loewenstein, Sackler Faculty of Medicine, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israele e Iordanis Chatziangelidis, IC.today, Atene, Grecia
Per collegarsi al video, scansionare il codice QR
Iordanis Chatziangelidis MD, MBA, FEBO, oculista, imprenditore, innovatore nel campo della teleoftalmologia
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Tra l’incudine e il martello, gli oftalmologi di tutto il mondo si scontrano con la necessità di rispondere ed adattarsi alle sfide poste dalla pandemia di COVID-19 nella loro pratica professionale, e le difficoltà legate alle lentezze burocratiche di un mondo non abituato al rapido cambiamento dei tempi. La professione medica, come la conoscevamo al termine della seconda decade del nuovo millennio, non è più praticabile. Al giorno d’oggi per un medico prima abituato a visitare il paziente a stretto contatto, il rischio di essere contagiato e contagiare a sua volta il resto dei pazienti è particolarmente elevato. Distanza e sicurezza sono diventate due imperativi categorici in una professione il cui scopo primario è quello di proteggere la salute del paziente. “Pandemia è una parola greca dal fortissimo impatto emotivo”, spie-
ga il Dottor Iordanis Chatziangelidis, “Abbiamo avuto molte epidemie in questi anni, ma pandemia non è una parola che viene usata molto di frequente dalle istituzioni. Come termine medico è una parola pesantissima”. Iordanis Chatziangelidis, MD, MBA, FEBO, è un oculista, un imprenditore e un innovatore nel campo della teleoftalmologia. Attivo ad Atene, da anni Chatziangelidis si occupa di sviluppare tecnologie che permettono di raggiungere più facilmente i pazienti negli arcipelaghi della Grecia. La sua esperienza nel campo gli ha permesso di adottare subito quelle pratiche che mirano a ridurre al minimo il rischio di contagio durante l’esercizio della professione. “Già prima del lockdown avevo imposto alcune regole aggiuntive alla mia pratica: ho diminuito subito il numero delle visite, riducendole ai casi non differibili e imponendo un intervallo di mezz’ora tra una visita e l’altra. Inoltre ho velocizzato il processo di chiamata del paziente che viene messo immediatamente sulla sedia. In questo modo mantenevo la sala d’attesa sempre vuota”, afferma Chatziangelidis. Nel 2020 ogni medico al mondo si è trovato a dover gestire problematiche relative al patient flow e la gestione dell’attività clinica. “La pandemia ha sicuramente rimodellato l’oftalmologia in molti modi, e forse il più importante è l’urgenza di limitare al massimo l’esposizione del paziente al virus, ma senza fermare le visite”, afferma Anat Loewenstein. “Oggi adottiamo un sistema di ‘quiet call’ in cui il paziente si presenta alla clinica solo
di Timothy Norris
La medicina non è solo l’arte e la scienza: è l’empatia, è parlare con il paziente
Iordanis Chatziangelidis
Anat Loewenstein MD, FARVO, Professoressa di Oftalmologia alla Sackler Faculty of Medicine, Tel Aviv University
dopo che abbiamo visionato tutta la sua cartella clinica, cerchiamo di non sottoporlo ad esami diagnostici ridondanti e solo di rado permettiamo un accompagnatore. Tutto per mantenere la distanza massima e ridurre i tempi di permanenza del paziente nell’ambulatorio”. Anat Loewenstein MD, FARVO, è Professoressa di Oftalmologia alla Sackler Faculty of Medicine, Tel Aviv University. Estremamente attiva nell’ambito della teleoftalmologia e nello sviluppo di nuove soluzioni farmacologiche nella terapia delle patologie retiniche, Loewenstein stava già testando nuove soluzioni diagnostiche home-based prima che Israele venisse a sua volta colpita dalla pandemia di COVID-19. “Durante il picco abbiamo fornito ai nostri pazienti due soluzioni”, spiega Loewenstein. “La prima era la possibilità di essere visitati in tutta
sicurezza in clinica, la seconda era quella di presentarci direttamente a casa loro per la visita e il trattamento”, afferma. “A crisi superata quest’ultima opzione non è più percorribile per una questione di risorse. Di sicuro questa pandemia sta cambiando in particolare due aspetti della nostra pratica: si opta più facilmente per i regimi fissi allo scopo di ridurre la fase diagnostica e si tende a spostarsi più verso la telemedicina e il monitoraggio da remoto”, dichiara Loewenstein. “Inizialmente in Grecia la telemedicina si è sviluppata per dare un servizio oftalmologico alle isole greche”, rammenta Chatziangelidis, “ma oggi la telemedicina ha cambiato significato. Non è più solo raggiungere luoghi remoti, ma anche ridurre la frequenza delle visite, gli assembramenti in ambulatorio, ridurre il rischio di contagio per il dottore e per i pazienti. Purtroppo questo cambiamento è avvenuto del tutto all’improvviso e questo sta creando dei problemi”, aggiunge. “Se alcune associazioni di medici sono a favore di una risposta rapida e uno sviluppo della telemedicina, altre sono contrarie, perché a tutti gli effetti in Grecia la telemedicina non è regolamentata, e questo significa che non può essere coperta da assicurazione. Questo è grave, perché lascia il medico del tutto da solo da una parte, mentre dall’altra lascia campo libero a certe persone per fare cose non legali o etiche”. “Anche noi come medici eravamo davvero riluttanti ad approcciarci alla telemedicina, perché il contatto con il paziente è connaturato nella nostra professione. Ci piace
visitare il paziente di persona, parlarci faccia a faccia, avere un contatto fisico, vedere l’occhio da vicino. Ci piace far capire al paziente che siamo medici, non dei robot”, afferma Anat Loewenstein. Secondo Chatziangelidis, esistono due modi di fare telemedicina: “la telemedicina asincrona viene fatta in due momenti separati. Al paziente si fa prima lo screening per la ROP, o per la retinopatia diabetica, poi la foto e lo storico vengono inviati allo specialista, che fa la valutazione. Io preferisco la telemedicina sincrona, quella in cui il mio paziente viene visi-
Gli strumenti del Dottor Chatziangelidis, tra cui la slit lamp controllata da remoto
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Cover Topic
Il futuro della telemedicina avrà un ulteriore slancio una volta conclusa la pandemia
Anat Loewenstein
tato in diretta, mentre controllo il dispositivo da remoto e sono presente dietro allo schermo del dispositivo o a distanza di sicurezza e posso comunicare con lui in ogni momento. Grazie a questo sistema l’importante rapporto tra medico e paziente riesce ad instaurarsi lo stesso”, spiega. “La medicina non è solo l’arte e la scienza, è l’empatia, è parlare con il paziente. Creare questo rapporto con il paziente è fondamentale nella nostra professione, un rapporto che talvolta può avere anche la sua parte di effetto placebo”, aggiunge Chatziangelidis. La diffusione della pratica telemedica in questo periodo di profondo cambiamento necessita a sua volta di un’evoluzione a livello sociale ed una nuova spinta allo sviluppo tecnologico. “Abbiamo ben compreso l’utilità e l’importanza della telemedicina in questo periodo storico, e credo che un po’ alla volta anche i pazienti accettino sempre più questa nuova pratica. Quando ho iniziato ad usare la teleoftalmologia all’inizio della pandemia avevamo sviluppato un’applicazione per smartphone che permetteva un contatto diretto e una diagnosi sincrona con il paziente. Ci siamo scontrati con il fatto che per ogni paziente era richiesta una fase istruttoria di almeno mezz’ora per spiegare cosa il paziente doveva fare da casa, che pulsanti schiacciare, come mettere il dispositivo. Sembrava una sessione di addestramento tattico e solo questa parte a volte era massacrante. Tuttavia, man mano che il paziente si abituava al nuovo assetto e man mano che lo sviluppo della app trovava modi per essere più patient friendly, l’intera strategia diventava molto più accessibile. Dopo la pandemia sono sicura che ci sarà anco6
ra margine per svilupparsi in questa direzione”, afferma Loewenstein. Non mancano tuttavia gli inciampi, come osserva Chatziangelidis. “Una compagnia assicurativa ha creato una app, un software programmato per dare consigli medici. Non stiamo parlando di una consulenza umana, ma proprio di un bot. Un algoritmo. È stato un disastro completo: dopo aver descritto i sintomi, il bot chiedeva di attendere un momento e dopo un po’ rispondeva con un secco ‘non posso aiutarti adesso’. Un paziente spera di avere un consulto medico, e gli risponde un algoritmo che per altro gli comunica il totale disinteresse per la sua condizione”, racconta Chatziangelidis. “A quel punto ho contattato l’azienda dietro alla programmazione e ho detto che creare un bot che arriva a dire ad un paziente malato che ‘non ha tempo da dedicargli’ è assurdo. Ciò nonostante sono andati avanti a pubblicizzare il servizio. Questo decisamente non è
Grazie alla sua clinica mobile, il Dottor Chatziangelidis riesce a raggiungere i pazienti nelle isole greche più distanti
Notal OCT V3, tomografo home-based sviluppato con la collaborazione di Anat Loewenstein
Grazie alle nuove tecnologie, come l’Ithaca sviluppato da Chatziangelidis, è possibile visitare il paziente mantenendo comodamente la distanza di sicurezza Slit lamp digitale portatile
un buon esempio di telemedicina”, afferma. “Per avere del progresso non si possono adottare soluzioni così semplicistiche. Bisogna avere una spinta economica ingente, ma chi investirà tutti quei soldi per salvare l’occhio della nonna? Fino a poco fa la NASA questi soldi li spendeva per trovare un modo di togliere un frammento dall’occhio di un astronauta sulla ISS, poi dall’astronauta si arriva alla nonna”, afferma Chatziangelidis. “Le priorità erano differenti”. Il futuro, tuttavia, lascia ben sperare. “Penso che ci abitueremo alla presenza delle IA in futuro, strettamente per l’interpretazione automatizzata dell’imaging diagnostico. Questo, associato alla già interessante quantità di tecnolo-
gia adibita al telemonitoring e alla telemedicina e alla possibilità da parte del paziente di fornire dati leggibili, insieme ad un’intelligenza artificiale capace di apprendere gradualmente, può fornire con grande precisione anche un regime di trattamento con iniezioni intravitreali. Questo porterà sicuramente a trattamenti più efficaci, con intervalli di tempo più lunghi e precisi, di pari passo con lo sviluppo di farmaci ad azione prolungata e dispositivi a rilascio prolungato, per un migliore controllo di molte patologie. In fondo non è tanto il COVID-19 che sta cambiando il volto della medicina, ma la nostra missione di ridurre il treatment burden per il paziente, di riuscire a migliorare la nostra pratica, anche in tempi difficili come questi”, afferma Anat Loewenstein. Iordanis Chatziangelidis e Anat Loewenstein sono tra gli oculisti al mondo più impegnati nello sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche e nuove strategie per il miglioramento della telemedicina. “Faccio parte di un gruppo di ricerca che ha sviluppato l’Home OCT, ed è già in fase di studio con quattro pazienti che l’hanno ricevuto a casa via posta”, anticipa Loewenstein. “È un OCT che necessita solo di essere tirato fuori dalla scatola e attaccato alla corrente, e dopo un breve tutorial è pronto per essere usato dal paziente stesso. Oltre a produrre immagini bellissime, il dispositivo può essere usato ogni giorno per periodi prolungati
e questo dà al medico una chiara visione della progressione della patologia e del cambiamento dei fluidi nei tessuti della retina”, racconta. “Ci abbiamo lavorato molto a questo progetto e penso che rappresenti un grande contributo allo sviluppo della telemedicina e dell’oftalmologia”, aggiunge. “I sistemi di home monitoring hanno l’unico difetto del costo, che al momento è troppo alto per poter essere abbordabile per un paziente”, afferma Chatziangelidis. “Riuscire ad abbassare in fretta il prezzo di simili dispositivi sarebbe utilissimo, specialmente quando è necessario raggiungere un paziente diabetico in una remota isola della Grecia. Un altro sistema sono le cliniche mobili: quindi ho pensato di dotarmi di una valigia in grado di contenere svariati dispositivi diagnostici in versione portatile, e di recarmi con l’intero potenziale diagnostico di una clinica direttamente a casa del paziente”, racconta. “Inoltre ho sviluppato Ithaca, una lampada a fessura radiocomandata accessoriata con un sistema di comunicazione che mi permette di parlare direttamente con il paziente prima dell’esame, che è già presente sul mercato. In clinica ho una slit lamp appositamente pensata per essere manovrata mantenendo la distanza di sicurezza. Basta un veloce training e chiunque può usare questi dispositivi”, aggiunge Iordanis Chatziangelidis. “Penso che il futuro della telemedicina avrà un ulteriore slancio una volta conclusa la pandemia”, spiega Anat Loewenstein. “La semplificazione dei sistemi d’uso è solo uno dei segnali incoraggianti. Al giorno d’oggi sono già presenti i primi dispositivi ottici con realtà aumentata integrata per la chirurgia di precisione. Sembrano dei caschi da pilota di jet, e mentre stai operando ti forniscono direttamente dati OCT preoperatori e intraoperatori, la topografia corneale intraoperatoria e la capacità di ingrandire l’immagine o di aumentarne il dettaglio. Saremo di sicuro sulla strada buona per avere una chirurgia robotica da remoto, anche se per ora è già moltissimo poter avere una maggiore precisione e velocità nella pratica chirurgica”, conclude Loewenstein. 7
Riflettori sull’Esperto
IL MOTORE DELL’INNOVAZIONE DAL VOLTO UMANO La vita, le storie, le esperienze dell’inventore della LASIK
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Intervista a Ioannis G. Pallikaris, MD, PhD, Università di Creta, Grecia
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Il Professor Ioannis G. Pallikaris
Una vita spesa per l’innovazione e la trasmissione delle conoscenze alle nuove leve dell’oftalmologia greca e internazionale. Ioannis G. Pallikaris, MD, PhD, è di certo una colonna nel mondo dell’oftalmologia grazie ai suoi studi e al contributo enorme e pionieristico che ha dato per l’avanzamento tecnologico della chirurgia refrattiva e del segmento anteriore. Originario di Creta, il Professor Pallikaris si è formato presso l’Università dell’importante isola greca, con una parentesi di sei anni negli anni ‘70 presso la clinica oculistica del Prof. Rudolf Witmer a Zurigo, dove è venuto a contatto con un ambiente diverso. Successivamente è diventato Direttore del Dipartimento di Oftalmologia e poi Rettore dal 2003 al 2011 proprio dell’Università di Creta, favorendo l’internazionalizzazione dell’oftalmo-
logia nel suo Paese. Nello stesso periodo è stato eletto Presidente dell’ESCRS. All’interno dell’Università di Creta, ha fondato l’Institute of Vision and Optics, in cui lavora tuttora. Ai microfoni di EyeSee, il Professor Pallikaris si è raccontato, condividendo le sue esperienze, le sue passioni e le sue speranze per il futuro dell’oftalmologia. Quali sono la sua area di specializzazione e il suo principale interesse in oftalmologia? Ottima domanda! Il mio primissimo interesse in oftalmologia era legato alla refrattiva, in particolare all’astigmatismo indotto e irregolare nei pazienti con cheratocono e l’analisi della videocheratografia usando il disco di Placido, quasi quarant’anni fa. Il mio dottorato di ricerca in Grecia ha avuto come argomento la chirurgia vitreoretinica. Per chi mi conosce questa è probabilmente una sorpresa, ma ho lavorato molto intensamente per cinque anni nel campo del segmento posteriore con il Professor Kloeti come mentore. Poi alla fine degli anni ‘80, quando sono diventato Direttore del Dipartimento di Oftalmologia all’Università di Creta, sono tornato a concentrarmi nuovamente sulla chirurgia refrattiva e da allora mi occupo principalmente del segmento anteriore, e più specificamente di chirurgia refrattiva, la chirurgia della cataratta e della cornea. Lei è stato un pioniere in tanti campi: quale è stato il suo principale contributo allo sviluppo dell’oftalmologia? Credo che il mio contributo più famoso in oftalmologia sia la LASIK. L’ho sviluppata e studiata per la pri-
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di Timothy Norris
Questo è un messaggio per i nuovi medici: la cosa più importante è stabilire un vero contatto con i pazienti, e capire i loro bisogni. Quindi, prima di tutto dobbiamo ascoltare i nostri pazienti, capire che cosa stanno cercando, e solo dopo questo potremo convincerli della bontà di quello che vogliamo fare per loro
Ioannis G. Pallikaris
ma volta nel 1989 e l’anno dopo ho eseguito il primo intervento su un paziente presso la clinica universitaria. Da quel momento ha preso il via un importante sviluppo in quell’area, di cui sono molto fiero: oggi la LASIK è una chirurgia standard in tutto il mondo e credo sia una delle procedure più eseguite sull’occhio umano. Un’altra mia invenzione è la tecnologia ray tracing, per tracciare l’ottica dell’occhio umano, che ho iniziato a studiare nel 1992. Oggi il ray tracing è una tecnologia molto conosciuta e utilizzata per l’analisi della qualità visiva. Ho inoltre sviluppato una spazzola rotante per rimuovere l’epitelio: non si tratta di una grande invenzione ma è molto pratica e la maggior parte di noi la usa per rimuovere l’epitelio nella PRK. Intorno al 2000, ho sviluppato l’Epi-LASIK, una tecnica inizialmente molto popolare, tanto che quasi tutti i produttori di microcheratomi li ridisegnarono per effettuare anche la Epi-LASIK. Questa tecnologia non ha avuto molto successo per svariate ragioni, ma si sa che negli ultimi trent’anni sono state molte le tecnologie velocemente superate nel giro di poco. Si tratta di un fenomeno comune nella tecnologia moderna in oftalmologia, ma anche nella medicina in generale. Sono stato coinvolto in altri progetti al di fuori della refrattiva, come uno studio sulla rigidità e l’idrodinamica oculare. Abbiamo fatto degli studi importanti negli ultimi vent’anni all’università su come la rigidità oculare influisce su molte patologie oculari. Certo, più tardi abbiamo tutti scoperto la biomeccanica e la biodinamica dell’occhio, ed è rimasta un’area molto coinvolgente per me.
Ioannis G. Pallikaris insieme ai prodotti da lui coltivati
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Riflettori sull’Esperto
Credo che il mio contributo più famoso in oftalmologia sia la LASIK. L’ho sviluppata e studiata per la prima volta nel 1989 e l’anno dopo ho eseguito il primo intervento su un paziente presso la clinica universitaria. Da quel momento ha preso il via un importante sviluppo in quell’area, di cui sono molto fiero: oggi la LASIK è una chirurgia standard in tutto il mondo e credo sia una delle procedure più eseguite sull’occhio umano
Ioannis G. Pallikaris
Al di là degli apporti dal punto di vista tecnologico, il mio più grande contributo all’oftalmologia è stato servire nel board della ISRS nei primi anni, e poi come Presidente della ESCRS. In quest’ultima parte della mia vita, il mio più importante contributo come essere umano più che come oculista, è stato il prestare servizio in aree isolate, nei remoti villaggi della Grecia. Abbiamo fatto lo stesso anche con i rifugiati, in collaborazione con la ESCRS. Come l’Italia, la Grecia è uno dei Paesi di frontiera e siamo i primi a dover affrontare questo problema. Con una moderna unità mobile oftalmologica con tutta l’attrezzatura più all’avanguardia, visitiamo le isole e abbiamo portato aiuto e assistenza medica a questi nuovi cittadini europei. Questo coinvolgimento nel settore umanitario della mia professione mi ha dato tanta gioia e aggiunto valore e significato a ciò che faccio. Quali figure nella sua carriera hanno ricoperto per lei il ruolo di mentori e ispiratori? Il mio maestro è stato il Professor Rudolf Witmer quando ho deciso di studiare per un periodo a Zurigo, in Svizzera. Era il 1975, o il 1976, non parlavo tedesco all’epoca, ma decisi comunque di partire, e sapete quanto è difficile ottenere un lavoro in Svizzera. Il Professor Witmer era una persona di larghe vedute, mi ha adottato come uno di famiglia, mi ha dato ogni supporto possibile e, secondo il mio parere, la sua clinica universitaria era all’epoca il migliore esempio da seguire. Lui era il responsabile per la cornea e per 10
il segmento anteriore, e con lui vale la pena ricordare anche il Professor Kloeti, che si occupava di chirurgia vitreoretinica; la Professoressa Martenet, che invece si occupava di retina medica; il Professor Joseph Lang, che è stato poi Presidente della Società Europea per lo Strabismo e l’Oftalmologia Pediatrica; il Professor Haat, poi Presidente della Società Europea di chirurgia plastica. Si trattava di un ambiente unico per l’oftalmologia, ed è stato un onore formarsi come giovane oftalmologo insieme a loro. Queste persone mi hanno dato tanto supporto fin dall’inizio. Mi ricordo che scherzavamo molto tra noi specializzandi, e siccome io mi ero appassionato tantissimo ai micro-strumenti (ero “il ragazzo greco” per loro a quel tempo), uno di loro mi disse: “Tu diventerai un professore all’università”, e io risposi che no, non era la mia ambizione di vita diventarlo. Tuttavia, aveva ragione, ce l’ho fatta! Queste persone hanno avuto un’influenza decisiva sulla mia carriera. Molti dei suoi studenti sono diventati specialisti molto importanti: cosa pensa di sé stesso come maestro? Qual è l’importanza di dare spazio ai suoi studenti e introdurli al mondo dell’oftalmologia? Questa è forse la domanda più importante per me! Oltre alla ricerca, e alla gioia di creare tecniche innovative, credo che la mia priorità sia stata quella di trasmettere le mie conoscenze agli altri. Si tratta di una sorta di “rivincita” per me, perché a Zurigo ero ospitato come un ‘gastarbeiter’, un lavora-
tore straniero, ed è stato duro e difficile per me, un giovane greco, adattarsi ad un altro stile di insegnamento e di vita. Mi sono fatto una promessa: ce la farò e un giorno dei medici svizzeri verranno in Grecia per imparare da me. Alla fine ciò si è realizzato, soprattutto durante l’epoca d’oro della LASIK, tra gli anni ‘90 e il 2010, le mie ‘mini-fellowship’ presso l’Università di Creta sono state frequentate da centinaia di stranieri, tra cui diversi svizzeri. Alcuni di loro sono rimasti per una fellowship di due o tre anni, e ora sono oculisti importanti. In più, uno dei migliori studenti greci che ho avuto, oggi è Professore all’Università di Losanna. L’affluenza di colleghi da tutto il mondo ha dato la possibilità ai giovani medici del nostro dipartimento di rapportarsi e interagire con una comunità internazionale. Molti vengono a Creta per partecipare ai nostri meeting annuali, uno per la retina, uno per la cornea. Vengono da tante scuole famose come la Boston University, o Harvard. Il mio più grande traguardo come maestro è stato proprio l’internazionalizzazione dell’oftalmologia greca, e l’opportunità che hanno ora le giovani generazioni di respirare quest’aria internazionale, di lavorare in diverse parti del mondo, ben accetti ovunque. Ci sono passioni e hobby al di fuori della sua vita professionale che vuole condividere con i lettori? Per rispondere a questa domanda avrei bisogno di almeno un paio di giorni! Per prima cosa, io amo la na-
Uno degli ultimi quadri dipinti dal Professor Pallikaris, con soggetto un Buco Nero, gentilmente concesso ad EyeSee
tura. La natura mi ispira in ogni momento. Tutte le mie idee nuove sono nate mentre ero immerso nell’ambiente naturale. Ho una specie di talento per la fisica e l’ingegneria, pur non avendole mai studiate, credo sia un dono divino. Traduco facilmente i fenomeni fisici in soluzioni che mi servono per la mia professione, la medicina e l’oftalmologia. La natura mi ispira a pensare molto a me stesso e a guardarmi dentro. Questo soprattutto negli ultimi anni perché mano a mano che invecchiamo l’introspezione diventa sempre più importante. Ho molti hobby legati alla natura: passo del tempo al mare, sono un navigatore e ho fondato in Grecia due club velici che organizzano molti eventi internazionali. Mi piace scalare in montagna, e sciare. Inoltre mi piace dipingere. Lo facevo molto da giovane, ma da un paio d’anni ho smesso e ora vorrei riprendere. Sono anche scultore con la creta. Mi piacciono il giardinaggio e l’agricoltura e passo molto tempo all’aperto, nelle mie terre. Mangio quasi solo prodotti che coltivo con le mie mani, le mie olive, il mio vino, le mie verdure, il mio grano a basso contenuto di glutine. Ho anche tre cavalli e due cani. Ogni mattina mi alzo, guardo il mio giardino e il mio orto, la vita della natura.
di nuovo! Ho sviluppato di recente quello che chiamo il ricostruttore della capsula periferica: uno speciale anello che ricostruisce la capsula quando rimuoviamo il cristallino creando uno spazio sicuro e stabile per impiantare la IOL. Si evitano così tutti i problemi di malposizionamento della lente e di opacizzazione della capsula posteriore. È molto importante per le moderne lenti premium e aiuta anche a recuperare tutto il volume dell’occhio. La sfida più grossa che ho al momento è un progetto ancora nelle fasi preliminari che permette di rimodellare la cornea utilizzando del materiale speciale e dandole una forma assolutamente sferica. Grazie a questa nuova superficie assolutamente sferica della cornea, è possibile generare dei lenticoli intrastromali come nella SMILE, ma customizzati. Significa dunque che questa tecnologia può rendere un occhio assolutamente sferico senza irregolarità, senza la necessità di nomogrammi sofisticati o l’uso di topografi e di analizzatori del fronte d’onda. Si tratta di una tecnologia basata su come calza la lente a contatto sulla cornea, e che rimodella la cornea. Probabilmente si tratta della correzione refrattiva per eccellenza.
La lampada di Aladino: un desiderio o un’innovazione che vorrebbe avere pronta ora per i pazienti. Non so se l’innovazione a cui penso oggi sarà la stessa domani, perché ogni giorno penso a qualcosa
Cosa pensa dell’oftalmologia oggi? L’umanità, in particolare con l’esperienza del COVID, si trova davanti ad un periodo in cui tutto corre e cambia veloce. Il tempo corre più veloce dei nostri pensieri, non fac-
ciamo in tempo a pensare che già qualcosa è accaduto e non è possibile prevedere cosa accadrà domani basandoci sulla tecnologia di oggi. Negli ultimi cinquant’anni c’è stato un velocissimo sviluppo della tecnologia, della scienza e della conoscenza umana, ma ci siamo resi conto che molte delle nuove invenzioni, su cui è stata fatta molta ricerca e si sono spesi molto denaro e molto tempo, non avevano senso e non funzionavano. Negli ultimi vent’anni decine di tecnologie immesse nel mercato sono sparite nel giro di tre o quattro anni. È difficile oggi scoprire qualcosa che sopravviva a lungo come per la chirurgia della cataratta con le IOL nel 1947, o la LASIK, ad esempio. Questo perché qualcosa sicuramente verrà scoperto il giorno dopo. Malgrado tutti i nostri sforzi per raggiungere le più alte vette dello sviluppo tecnologico per l’occhio, il mondo vero e i bisogni veri non sono davvero lassù, così distanti. La vista, considerata come una funzione e non come un sistema ottico, non ha bisogno di così tanti dettagli. Quando diciamo di voler ottenere un occhio emmetrope, la cosa più difficile da capire è: cos’è l’emmetropia? Nemmeno il dizionario sa darci una definizione esatta. Il termine emmetropia contiene il concetto di misura che sta nel mezzo, entro i limiti dell’uomo e della saggezza umana. Ritorniamo agli antichi filosofi, al significato di “metron”, di medietà. Insisto molto su questo e sull’importanza di tenerlo presente quando ci rapportiamo ai pazienti. Cerchiamo di venire incontro ai loro bisogni pratici in termini di funzione visiva, piuttosto che inseguire i dettagli per cercare di ottenere il sistema visivo perfetto, di cui non abbiamo bisogno nella vita di tutti i giorni. Questo è un messaggio per i nuovi medici: la cosa più importante è stabilire un vero contatto con i pazienti, e capire i loro bisogni. Quindi, prima di tutto dobbiamo ascoltare i nostri pazienti, capire che cosa stanno cercando, e solo dopo questo potremo convincerli della bontà di quello che vogliamo fare per loro. Teniamo inoltre a mente che spesso i pazienti sanno più di noi grazie a Internet, anche se si tratta troppo spesso di informazioni sbagliate e non filtrate. 11
Largo ai Giovani
DALLA PARTE DEI PIÙ PICCOLI Alla scoperta del reparto di oftalmologia pediatrica di Casablanca
I
Intervista a Doha Hamidallah, MD, Hôpital 20 Aôut 1953, Casablanca (Marocco)
La Dottoressa Doha Hamidallah
Il Marocco è sempre stato la punta di diamante dell’oftalmologia nel continente africano e nel mondo arabo. Proprio il Marocco è stato tra i primi Stati dell’area ad avere una banca degli occhi, fondata nel 1950. La formazione medica e oftalmologica è in continua evoluzione, grazie alla presenza sul territorio di numerose società oftalmologiche nazionali e ad un sempre maggiore coinvolgimento dei giovani in questa fiorente attività scientifica. Non stupisce dunque, che proprio in Marocco, presso l’Hôpital 20 Aôut 1953 di Casablanca, esista un reparto intero di un ospedale esclusivamente riservato all’oftalmologia pediatrica, che ha maturato un’esperienza ventennale nella cura delle patologie pediatriche, con oftalmologi altamente specializzati che
curano gli occhi dei bambini di tutto il Regno e non solo. Tra loro c’è anche la Dottoressa Doha Hamidallah, giovanissima oftalmologa di Casablanca. Da sempre attiva nel campo sociale e associativo per quanto riguarda l’oftalmologia e la medicina, la Dottoressa Hamidallah sta frequentando il suo terzo anno di specializzazione su cinque proprio presso il reparto di oftalmologia pediatrica di Casablanca. A soli ventotto anni, ricopre un ruolo nel direttivo della prima associazione di giovani oftalmologi marocchina, la AMJO (Association Marocaine des Jeunes Ophtalmologistes), in cui si occupa di progetti a favore della vista, dello scambio di competenze e di conoscenze tra giovani oftalmologi e specializzandi a livello locale e nazionale e di costruire una rete tra specialisti della materia. Insieme alla Dottoressa Hamidallah abbiamo parlato del lavoro all’interno del reparto di oftalmologia pediatrica, la sua storia, i progetti e il metodo di lavoro, e di come un reparto così specializzato abbia dato molta più speranza a tanti bambini con malattie oculari rare e difficili. UN’ESPERIENZA VENTENNALE AL SERVIZIO DEI BAMBINI “Questo reparto è nato vent’anni fa da un’idea del Professor Zaghloul Khalid, e dalla sua missione di poter garantire le migliori cure per la vista dei bambini”, racconta la Dottoressa Hamidallah. “Ora il Professor Khalid è andato in pensione, ma l’esperienza ventennale sull’approccio da seguire per le patologie oculari pediatriche e la presenza di Professori che lavorano lì dentro dalla sua fondazione, rendono il reparto un’eccellenza”. Oggi il reparto è gestito dalla Professoressa Asmaa El Kettani, un vero punto
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di Laura Gaspari
L’esperienza maturata in vent’anni nel nostro ospedale ci ha resi un punto di riferimento fondamentale
Doha Hamidallah
di riferimento per la Dottoressa Hamidallah. “Nel nostro reparto abbiamo la fortuna di avere tre donne come guide, tra cui la Professoressa El Kettani, che è una specialista molto ambiziosa e che ha moltissime idee di progetti per la cura delle patologie oculari pediatriche per aiutare i bambini del Marocco. È una donna che rispetto moltissimo e una vera ispirazione per tutte noi specializzande”, afferma Doha Hamidallah. Nel corso degli anni di attività si sono avviati moltissimi progetti dedicati al trattamento delle patologie pediatriche, tra cui le infiammazioni oculari, i traumi, la cataratta congenita, il glaucoma congenito e il retinoblastoma. Il reparto di oftalmologia pediatrica di Casablanca è l’unico centro altamente specializzato sulle malattie oculari pediatriche di tutto il Marocco. Esso funge da punto di riferimento per tutto il Paese e, talvolta, anche per gli altri Stati come la Mauritania e l’Algeria. “Ovviamente ci sono reparti di oftalmologia molto buoni anche a Rabat e Marrakech, ma nessuno di questi è specializzato nella cura e nel trattamento delle patologie pediatriche”, afferma Hamidallah. “L’esperienza maturata in vent’anni nel nostro ospedale ci ha resi un punto di riferimento fondamentale. Per esempio, per il retinoblastoma siamo l’unico centro che fa trattamenti conservativi in tutto il Marocco”. UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER L’OFTALMOLOGIA PEDIATRICA MAROCCHINA Nel trattare le patologie oculari pediatriche bisogna agire il prima possibile e in modo tempestivo per evitare che il piccolo paziente si trovi a dover vivere una vita intera con una condizione irreversibile e debilitante. “Per ogni patologia oftalmologica pediatrica seguiamo la stessa prassi. Gli oftalmologi
privati ci mandano i loro casi più complicati, soprattutto le emergenze. A quel punto facciamo subito una visita completa al paziente e lo prendiamo in carico. Si tratta di un processo molto veloce che prende al massimo due settimane”, spiega la Dottoressa Hamidallah. “Per esempio, se vediamo una cataratta congenita o un retinoblastoma, procediamo nel giro di pochissimo tempo, iniziando con il trattamento immediatamente dopo la diagnosi”. Uno dei problemi più importanti nella diagnosi delle patologie oculari nei bambini, soprattutto quelli più piccoli e i neonati, è la difficoltà del riconoscere i segni e i sintomi. Per questo motivo ci sono delle tecniche che permettono agli oftalmologi di capire tempestivamente se si trovano in presenza di un problema. “Nel neonato controlliamo i riflessi. Per esempio, mettiamo davanti ai suoi occhi un telefono con la luce e lo muoviamo in diverse direzioni, osservando se ci segue. A volte lo spaventiamo leggermente per vedere il riflesso di paura e come reagisce, oppure gli bendiamo l’occhio “buono” per vedere se inizia a piangere perché non vede.
Altre volte semplicemente mettiamo una luce davanti a lui per vedere come reagiscono i suoi occhi. Nei casi di nistagmo o strabismo è più facile perché è più semplice notare il comportamento errato dell’occhio”, spiega Doha Hamidallah. “Spesso sono gli oftalmologi privati e gli stessi genitori che si accorgono che qualcosa non va, e ciò permette ai piccoli pazienti di arrivare fino a noi ed essere trattati in tempi brevi”. Il reparto di oftalmologia pediatrica di Casablanca negli anni ha cercato sempre di impegnarsi in progetti che coinvolgano anche altri reparti dell’ospedale, come per esempio la neonatologia. “L’ultimo progetto che abbiamo messo in campo riguarda la retinopatia del prematuro in cui abbiamo coinvolto la neonatologia per lavorare insieme e trattare il prima possibile questi pazienti. Si tratta del primo progetto in Marocco di questo tipo”, afferma Hamidallah. La pandemia da COVID-19 ha messo alla prova il sistema del reparto. “Per quanto riguarda gli adulti e anche alcuni bambini, abbiamo dovuto sospendere e rinviare diverse operazioni
La Dottoressa Doha Hamidallah con dei membri del reparto, tra cui il fondatore, il Prof. Zaghloul Khalid
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Largo ai Giovani
Negli anni ci sono stati molti miglioramenti e innovazioni, è quello che davvero è sconvolgente è che le malattie pediatriche venivano diagnosticate molto più tardi. Oggi invece la situazione è nettamente migliorata
Doha Hamidallah
Doha Hamidallah e i suoi colleghi in reparto
di cataratta a causa della pandemia. Altri casi, come cataratte traumatiche o glaucoma nei bambini dovevano assolutamente essere operati anche in tempo di COVID”, afferma Hamidallah. “I nostri servizi sono continuati anche durante il periodo pandemico più intenso. I bambini non possono aspettare, si tratta spesso di emergenze”, aggiunge. SENSIBILIZZARE PER MIGLIORARE LA VISTA DEI BAMBINI La presenza di questo reparto così specializzato e con così tanta esperienza ha fatto sì che la situazione delle malattie pediatriche in campo oftalmologico in Marocco non sia drammatica. “Negli anni ci sono stati molti miglioramenti e innovazioni, e quello che davvero è sconvolgente è che le malattie pediatriche venivano diagnosticate molto più tardi. Oggi invece la situazione è 14
nettamente migliorata”, spiega Hamidallah. Rispetto a dieci anni prima sono sempre meno le diagnosi tardive, secondo la Dottoressa Hamidallah. Attualmente molti bambini vengono visitati già dopo la nascita, e trattati immediatamente nell’eventualità di una patologia. Ciò ha portato le casistiche ad allinearsi agli standard degli altri Paesi. “Ora vediamo dalle tre alle sei cataratte congenite alla settimana. Non sono numeri enormi se pensiamo che i casi vengono da tutto il Marocco. Per quanto riguarda il retinoblastoma, abbiamo una media di trenta casi all’anno e la metà di questi viene sottoposto a trattamento conservativo. I casi più numerosi sono problemi legati alla miopia, più che a cataratte o glaucoma congeniti, che sono più rari”, afferma Hamidallah. La sensibilizzazione dei medici e della popolazione stessa è stata una strategia efficace per migliorare la situa-
zione. “Gli oftalmologi stessi si sono abituati a riconoscere sintomi e riflessi e sono pronti a mandarci subito i pazienti. Questo è stato possibile grazie a delle campagne di sensibilizzazione che hanno avuto una diffusione in tutto il Paese. Noi specializzandi siamo intervenuti anche in aree non coperte da un’assistenza sanitaria di oculistica e abbiamo trovato casi di glaucoma congenito, o altre patologie. Tuttavia, la popolazione sta diventando più consapevole”, spiega Doha Hamidallah. “I più grossi ostacoli sono ancora a livello geografico, molti pazienti vivono veramente distanti da Casablanca e ci sono problemi di spostamento, ma rispetto a dieci anni fa la situazione è davvero migliorata e questo ci ha permesso di fare passi da gigante nel curare al meglio e nel più breve tempo possibile le patologie oculari dei più piccoli, salvare la loro vista e salvaguardare la qualità della vita”, conclude.
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corregge l’errore refrattivo Fonti: 1 Lam CSY, Tang WC, Lee RPK, Chun RKM, To CH. A randomized clinical trial for myopia control – use of myopic defocus spectacle lens. 8th International Congress of Behavioral Optometry (ICBO), 26-29 of April 2018. Sydney, Australia.
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Casi da Incubo
NULLA È PERDUTO Tentare il tutto per tutto per salvare un occhio gravemente traumatizzato, con i giusti tempi, può dare grosse soddisfazioni.
A
Intervista a Emilio Pedrotti, Università degli Studi di Verona
Anche quando ci si trova di fronte ad un trauma devastante, non bisogna mai pensare che tutto sia perduto. Questa è la lezione che Emilio Pedrotti, MD, Professore Associato di Oftalmologia dell’Università degli Studi di Verona, porta con sé insieme al suo caso. Non si tratta di un caso da incubo dettato da un errore iatrogeno o da una sfortunata coincidenza di eventi. Ma di un caso arrivato dalle urgenze del Pronto Soccorso a causa di un trauma inusuale e causato dalla sfortuna. “È la storia di un ragazzo giovane, che ha avuto un trauma sul lavo-
Per collegarsi al video, scansionare il codice QR
Emilio Pedrotti, MD, Professore Associato di Oftalmologia dell’Università degli Studi di Verona
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ro. Mentre stava utilizzando il trapano, la punta dello strumento si è staccata ed è purtroppo finita nell’occhio con conseguente trauma perforante e ritenzione di corpo estraneo”, spiega Pedrotti. “È arrivato da noi dopo che in altra sede avevano chiuso solamente la breccia del trauma. A noi spettavano l’asportazione del corpo estraneo e le eventuali cure del caso”, aggiunge. La condizione dell’occhio era estremamente grave. “L’occhio si presentava ipotonico con delle grossolane suture sclerocorneali a livello del limbus. Gran parte dell’iride non era visibile all’oftalmoscopia e la presenza di grossi frammenti nucleari impediva la visualizzazione del fondo. All’ecografia si segnalava la presenza di emovitreo e di un grosso corpo estraneo metallico”, descrive Pedrotti. Per non rischiare l’eviscerazione del bulbo e per riuscire a salvare il più possibile la vista del paziente, la scelta di ricorrere a due interventi a distanza di mesi rispondeva ad una precisa esigenza: sfruttare al massimo le possibilità di recupero dell’occhio. “Abbiamo scelto in un primo momento di essere il più possibile conservativi e rispettosi delle strutture. Con il primo intervento abbiamo fatto tutto il possibile per rimettere a posto le cose rimuovendo il corpo estraneo e pulendo le brecce”, spiega Pedrotti. “Questo senza voler strafare: in queste circostanze, quando l’occhio ha ritrovato un suo equilibrio, la riabilitazione è molto più facile. Scegliere di pulire bene e chiudere tutto porta molto spesso a delle grosse sorprese in termini di ripresa sia anatomica che funzionale dell’occhio”, aggiunge.
di Timothy Norris
Un miracolo? No. Semplicemente non abbiamo pensato che l’occhio fosse perduto
Emilio Pedrotti
Il secondo intervento è avvenuto sei mesi dopo il primo. Una volta verificata la condizione dell’occhio, l’operazione ha previsto una sospensione sclerale con l’inserimento di una IOL con diaframma irideo artificiale. “Nonostante la retina fosse stata danneggiata dal trauma, la sua funzionalità non era stata compromessa, per cui abbiamo optato per un impianto di iride artificiale”, spiega Pedrotti. “Abbiamo scelto un modello di lenti a tre punti di appoggio, che consentono una migliore centratura della lente evitando il tilting. Dopo aver creato i tre sportelli sclerali ho fatto passare un filo in prolene 10/0 con ago retto mantenendo la stessa distanza dal limbus e creando, quindi, i punti di ancoraggio per le tre aptiche”, descrive Pedrotti. “Ho usato
Impianto di iride artificiale
Emilio Pedrotti in sala operatoria
un vecchio folder per piegare ed inserire la IOL diaframmata, che essendo pieghevole passa tramite un taglio di dimensioni ridotte rispetto ad altri modelli. Dopo aver spiegato correttamente la lentina e il suo diaframma artificiale in camera anteriore, la si centra bene modulando la tensione dei fili di prolene durante la sutura”. Nonostante il trauma molto grave, il recupero del paziente è stato inaspettato, spiega Pedrotti. “Attualmente, nell’occhio traumatizzato, questo paziente vede con una piccola correzione astigmatica sette decimi. Un miracolo? No. Semplicemente non abbiamo pensato che l’occhio fosse perduto”, afferma Pedrotti. “Con la tecnologia a nostra disposizione di sicuro non possiamo fare miracoli, ma certamente cose molto buone che fino a pochi anni fa erano considerate impensabili”, conclude. 17
Innovazioni
PARLARE IL LINGUAGGIO DEI NOSTRI TESSUTI Rexon Eye e l’applicazione dell’energia quantica per l’occhio secco
L
Intervista a Igor di Carlo, Responsabile della Divisione di Oculistica del Policlinico S. Luca di Torino e Luca Vigo, Co-fondatore e Responsabile Centro Studi Lacrimazione presso il Centro Oftalmo-Chirurgico Carones di Milano
Il Dottor Igor di Carlo
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L’occhio secco è una patologia oculare ormai protagonista del dibattito tra specialisti. Sempre più pazienti ne soffrono per svariate cause, tra cui condizioni ambientali, disfunzioni metaboliche, uso di farmaci, ma anche il sempre più frequente uso dei videoterminali sui luoghi di lavoro, che portano i nostri occhi ad uno sforzo sempre maggiore. Le terapie attualmente in uso sono per lo più farmacologiche, tramite l’utilizzo di colliri oftalmici a cui il paziente non può rinunciare e che spesso sono un’ingente spesa che dovrà sostenere per tutta la vita. La ricerca sta cercando modalità alternative di trattamento con l’uso di nuove tecnologie, come la luce pulsata (IPL), per aprire nuove possibilità ai pazienti che soffrono di questa condizione che può diventare debilitante
per la vita quotidiana. Resono Ophthalmic, azienda italiana con sede a Vicenza, ha di recente sviluppato Rexon Eye, un sistema innovativo basato sull’applicazione di un principio fisico come l’energia quantica per il trattamento di tutte le forme di occhio secco. Di Rexon Eye e della sua applicazione abbiamo discusso con il Dottor Igor di Carlo, Responsabile della Divisione di Oculistica del Policlinico S. Luca di Torino e con il Dottor Luca Vigo, Co-fondatore e Responsabile Centro Studi Lacrimazione presso il Centro Oftalmo-Chirurgico Carones di Milano. LA QMR QUANTUM MOLECULAR RESONANCE “Rexon Eye applica i campi elettromagnetici a bassa intensità alle patologie della superficie oculare, sfruttando l’energia quantica in un trattamento chiamato QMR, Quantum Molecular Resonance”, spiega il Dottor di Carlo. L’energia quantica è, in fisica, l’energia prodotta da un fotone che è per natura emettitore di luce, ma in modo cosiddetto discreto. Si tratta dunque di una capacità energetica in grado di autoregolarsi. “Rexon Eye emette frequenze deboli e alternate sempre a multipli di 4 MHz fino a 64 MHz e che vanno in risonanza per ottenere la rigenerazione dei tessuti”, prosegue di Carlo. Il concetto di rigenerazione dei tessuti è dunque fondamentale per comprendere il funzionamento di Rexon Eye. “Questa energia a bassa tensione viene veicolata attraverso degli elettrodi a livello della cavità orbitaria e ha un effetto rigenerante sulle cellule e sui tessuti”, afferma il Dottor Vigo. L’approccio di Rexon Eye è dunque
di Laura Gaspari
Le frequenze risonanti aiutano ad attivare una frequenza rigenerativa tissutale generale, lavorando in modo completo e stimolando la collaborazione di tutte queste entità. Questo è il motivo per cui la QMR riesce a lavorare su vari livelli
Igor di Carlo
comprensivo: non va a colpire un solo elemento dell’occhio che potrebbe essere la causa dell’occhio secco, ma agisce in maniera organica e trasversale su tutte le parti coinvolte, seguendo il concetto di Lacrimal Function Unit (LFU), ossia l’insieme di cornea, mucosa congiuntivale, ghiandole di Meibomio e ghiandole lacrimali. “Le frequenze risonanti aiutano ad attivare una frequenza rigenerativa tissutale generale, lavorando in modo completo e stimolando la collaborazione di tutte queste entità. Questo è il motivo per cui la QMR riesce a lavorare su vari livelli”, afferma di Carlo. La tecnologia alla base di Rexon Eye non è però un’invenzione esclusiva di Resono. “Si tratta di una tecnologia già utilizzata in altri campi della medicina, come la dermatologia o l’ortopedia. Una delle prima applicazioni è stata in neurochirurgia, per scindere i tessuti senza scaldare i lembi”, spiega Vigo. “I principi di questo avanzato concetto fisico sono stati scoperti nel 1800 da Nikola Tesla. Rexon Eye sfrutta inoltre un altro principio fisico ben noto, che è quello del minimo stimolo di Weber e Fechner, in cui identifichiamo lo stimolo facendo un’analisi esponenziale, ossia uno stimolo dieci volte maggiore riesce a produrre un’energia doppia. Questo significa che bisogna trovare la giusta energia e frequenza, e in questo l’energia quantica è importante perché si autolimita in ‘pacchetti’ detti quanti, assolutamente non invasivi per l’organismo”, afferma di Carlo. COME FUNZIONA REXON EYE? “Il trattamento non è per nulla invasivo e consiste in quattro sedute da venti minuti ciascuna, una volta la
settimana. Io faccio accomodare il paziente su un lettino in un’apposita stanza, gli viene fatto indossare l’occhiale provvisto di elettrodi e viene lasciato per venti minuti in una situazione di pieno relax”, spiega il Dottor di Carlo. Il trattamento si prefigge di dare risultati immediati e duraturi sul medio e lungo termine per tutti i tipi di occhio secco. “Si rivolge sia a chi ha problemi di deficit nella produzione della componente acquosa da parte delle ghiandole lacrimali, sia a chi ha un deficit di produzione della componente lipidica da parte delle Ghiandole di Meibomio”, spiega Luca Vigo. Studi su Rexon Eye hanno confermato che non è necessario per il paziente ripetere in toto il trattamento, ma può essere effettuata una seduta successiva in base alle necessità1. Rimane comunque importante fare un’accurata diagnosi prima di sottoporre il paziente a questo trattamento. “Il fatto che Rexon Eye abbia un’efficacia rigenerativa sulle ghiandole offre una possibilità di applicazione a più ampio spettro rispetto ad altri tipi di trattamento. Tuttavia, è importante screenare i pazienti per conoscere bene la tipologia di occhio secco di cui soffrono, ipo-secretivo o evaporativo, capire la gravità della situazione. Più conosciamo della malattia, più sappiamo a che soluzione arrivare”, spiega Vigo. I BENEFICI PER IL PAZIENTE Sia il Dottor di Carlo che il Dottor Vigo non hanno riscontrato effetti collaterali, ma piuttosto benefici nei loro pazienti trattati con Rexon Eye, con un miglioramento quasi immediato, grazie alla capacità rigenerativa di questa tecnologia.
“Dopo il trattamento le ghiandole riescono a lavorare meglio perché presentano una morfologia migliorata”, spiega Luca Vigo. “Da un lato aumenta la produzione di componente acquosa, e ce ne accorgiamo sottoponendo il paziente a due test in particolare: il Test di Schirmer e la misurazione del menisco lacrimale. Dall’altra parte migliora anche la secrezione e la produzione della parte lipidica da parte delle ghiandole di Meibomio, con effetti benefici sul film lacrimale e sulle ghiandole stesse, verificabili con una meibomiografia. Anche l’infiammazione risulta decisamente diminuita”. Al di là della riduzione del fastidio creato dall’occhio secco, Rexon Eye incrementa anche le difese dei nostri occhi, grazie ad una superficie oculare risanata dal trattamento. “BisoIl Dottor Luca Vigo
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Innovazioni
Il fatto che Rexon Eye abbia un’efficacia rigenerativa sulle ghiandole offre una possibilità di applicazione a più ampio spettro rispetto ad altri tipi di trattamento. Tuttavia, è importante screenare i pazienti per conoscere bene la tipologia di occhio secco di cui soffrono, ipo-secretivo o evaporativo, capire la gravità della situazione. Più conosciamo della malattia, più sappiamo a che soluzione arrivare
Luca Vigo
Una paziente si sottopone al trattamento Rexon Eye
gna avere un film lacrimale efficace sia per efficienza produttiva, che per capacità difensiva. Lo diceva anche uno dei ‘guru’ dell’oftalmologia dello scorso secolo, Stewart Duke-Elder: una visita oculistica non può ritenersi completa se non si è andati a controllare lo stato di lubrificazione degli occhi”, aggiunge di Carlo. “Soprattutto in questo periodo, una superficie oculare integra e sana diventa un sistema protettivo efficace. Sappiamo per esempio che la terza via di contagio dal Sars-CoV-2 è la mucosa transcongiuntivale: avere un film lacrimale migliorato, può aiutare ad avere delle difese maggiori”. Rexon Eye può essere utile anche in quelle situazioni in cui è presente l’occhio secco e il paziente si deve sottoporre ad un’operazione chirurgica, come la cataratta o la refrattiva. “L’efficienza del film lacrimale incide molto sul recupero del paziente. Se invece c’è già una lubrificazione instabile, il post operatorio potrebbe cau20
sare discomfort”, spiega di Carlo. “Di recente ho fermato una paziente con un bisogno urgente di fare una chirurgia refrattiva, prescrivendole un ciclo con Rexon Eye per ristabilizzare il suo film lacrimale, altrimenti l’intervento sarebbe stato un insuccesso, pur se eseguito in modo tecnicamente corretto”. Un riscontro che si ha anche nel rapporto tra chirurgo e paziente: l’utilizzo di questa tecnologia e i suoi benefici sulla salute del film lacrimale aiutano a conquistare la fiducia del paziente, a renderlo più consapevole della sintomatologia dell’occhio secco e a riferirne in modo tempestivo, consentendo di programmare un eventuale ritrattamento. “Il paziente deve diventare protagonista e consapevole, aiutandoci ad eliminare in tempo quelle cause che continuano a minare la sua capacità di lubrificare l’occhio e facendo prevenzione su sé stesso. Rexon Eye può essere un’arma importantissima anche per il paziente”, sostiene di Carlo.
UNA NUOVA FRONTIERA PER L’OCCHIO SECCO? “Abbiamo salutato l’avvento di innovazioni per la chirurgia della cataratta o della refrattiva, ed ora è il momento dell’occhio secco: imparare ad utilizzare una tecnologia come Rexon Eye ci permetterà di agire su questa patologia in modo sempre più precoce e utile per il paziente”, spiega di Carlo. “Tuttavia, non dobbiamo incorrere nel rischio di vederla come un deus ex machina. Non è una bacchetta magica che cancella il problema, ma un trattamento ristrutturante con solidissime basi scientifiche, confermate dagli studi di questi anni”. L’utilizzo dell’energia quantica in oftalmologia è un fatto nuovo, ma che non manca di premesse convalidate in altri settori. “Abbiamo a supporto il suo utilizzo in altri campi della medicina. Se partiamo da questo assunto, perché non dovrebbe funzionare anche a livello oculare per ristabilire la morfologia dei tessuti? È molto importante dunque continuare a divulgare e conoscere, per migliorare la vita dei nostri pazienti”, sostiene Vigo. “Il settore oftalmologico dovrà approfondire lo studio dell’energia quantica, salutando i risultati con entusiasmo. Rexon Eye ci insegna che abbiamo imparato a parlare il linguaggio dei nostri tessuti con l’applicazione di questo tipo di energia, a parlare loro con gentilezza e nel loro linguaggio, invitandoli a rigenerarsi: questo è il principio della QMR”, conclude di Carlo. 1 E. Pedrotti, F. Bosello, A. Fasolo, A.C. Frigo, I. Marchesoni, A. Ruggeri, G. Marchini, Transcutaneous periorbital electrical stimulation in the treatment of dry eye, Br J Ophthalmol 2017, 101:814-9
Approfondimenti
USING YOUR VOICE SHOULDN’T MEAN LOSING YOUR VISION Gli oftalmologi uniti contro l’uso brutale dei proiettili di gomma antisommossa
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Intervista a George A. Williams, MD, ex Presidente dell’American Academy of Ophthalmology, Oakland University William Beaumont School of Medicine e Alejandra de Alba Campomanes, MD, Università della California, San Francisco (USA)
Dottoressa Alejandra de Alba Campomanes MD, Università della California, San Francisco
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L’ondata di proteste di Black Lives Matter, esplosa negli Stati Uniti nel maggio 2020 a seguito dell’omicidio di George Floyd per mano della Polizia di Minneapolis, ha visto crescere la casistica di feriti anche gravi causati dall’uso di dispositivi antisommossa. Insieme ad altre associazioni di categoria mediche e sanitarie, gli oftalmologi si sono messi in prima linea per richiedere a gran voce la soppressione e la rivalutazione di questi dispositivi, a tutela della salute dell’individuo. Al centro delle petizioni e delle campagne di sensibilizzazione lanciate dagli oftalmologi statunitensi, c’è l’uso dei proiettili di gomma, principali responsabili della maggior parte delle ferite più gravi, compresa la perdita della vista e del bulbo oculare. “All’inizio pensavamo che sarebbe stato tutelato il Primo Emendamento con la libertà di espressione e che sarebbe stato possibile in questo Paese scendere in piazza senza rischiare mutilazioni o la perdita di un occhio; un paio di giorni dopo abbiamo visto cosa stava accadendo davvero”, spiega la Dottoressa Alejandra De Alba Campomanes, MD. “Non solo manifestanti pacifici, ma anche passanti e addirittura giornalisti avevano subito ferite gravissime e in molti casi la perdita del bulbo oculare durante le proteste. Questo ha spinto me e i miei colleghi della University of California, San Francisco (UCSF) a creare una petizione con lo scopo
di informare l’opinione pubblica dei rischi associati dall’uso scorretto dei dispositivi antisommossa”, spiega de Alba. Alejandra de Alba Campomanes è Professoressa di Oftalmologia e Direttrice del reparto di Oftalmologia Pediatrica all’Università della California di San Francisco. Già da tempo attenta alle questioni legate alla traumatologia oculare da dispositivo antisommossa, de Alba ha basato la sua petizione anche su osservazioni raccolte in altri Paesi dell’America Latina e dell’Europa Occidentale. “Nel marzo di quest’anno fui contattata da una professoressa della Berkeley con forti legami con il Cile”, spiega de Alba. “Mi raccontò di un ragazzo ventenne che a causa di un trauma da dispositivo antisommossa aveva perso completamente la vista durante le proteste dell’ottobre 2019 e che stava disperatamente cercando qualcuno che lo curasse. Questo ragazzo era uno dei quattrocentododici casi di traumi oculari gravi avvenuti in quello stesso periodo per lo stesso motivo. La cosa mi ha colpito molto e ho approfondito la questione, scoprendo che anche in Francia erano stati usati contro i gilet jaunes”, racconta. La petizione lanciata dalla USCF ha ottenuto in poco tempo una larga partecipazione di medici e specialisti. “Nell’arco di una giornata abbiamo raccolto duecento firme ed un gran numero di specialisti ci ha contatta-
di Timothy Norris
Non solo manifestanti pacifici, ma anche passanti e addirittura giornalisti avevano subito ferite gravissime e in molti casi la perdita del bulbo oculare durante le proteste
Alejandra de Alba Campomanes
to dicendo di aver visto di persona i danni devastanti che i proiettili di gomma sono in grado di fare all’occhio di un paziente e che nessuno di questi casi era da considerarsi un caso isolato”, spiega de Alba. “Il 4 luglio avevamo raggiunto circa trecentosettantanove firme e a due settimane dal lancio della petizione abbiamo raggiunto il mezzo migliaio di firme”, aggiunge. La petizione dell’UCSF fa appello e si associa alla dichiarazione ufficiale dell’American Academy of Ophthalmology, avvenuta in contemporanea, che condanna fermamente l’uso brutale dei dispositivi antisommossa con particolare attenzione ai proiettili di gomma. Assieme alla petizione, con il suo appello, l’AAO ha raccolto a sua volta l’appoggio di numerose prestigiose associazioni di categoria
statunitensi ed internazionali e ha lanciato successivamente le campagne social media #NoRubberBullets e #NotOneMoreEye, allo scopo di sensibilizzare sulla delicata questione dei traumi oculari da proiettili di gomma non solo oculisti, ma anche l’intero personale medico e sanitario, l’opinione pubblica e specialmente il Congresso degli Stati Uniti d’America. “L’American Academy of Ophthalmology ha considerato opportuno esprimere il proprio parere sulla questione perché in linea con i nostri valori di protezione della vista e il miglioramento degli standard di vita. Valori che vediamo essere messi a rischio dopo aver visto con i nostri occhi le orrende ferite inferte a civili che non stavano violando in nessun modo la legge”, afferma George A. Williams, MD.
Presidente dell’American Academy of Ophthalmology dal 2019 fino a gennaio 2020, George A. Williams è Direttore e Professore di oftalmologia alla Oakland University William Beaumont School of Medicine e Presidente del Dipartimento di oftalmologia e Direttore del Beaumont Eye Institute a Royal Oak, Michigan. “Queste tecnologie antisommossa sono state usate su gente che non stava commettendo alcun crimine, che stava esercitando un diritto sancito dalla Costituzione e che per questo ha subito ferite gravi e in certi casi la perdita della vista e dell’occhio”, aggiunge Williams. “Grazie alla presa di posizione delle associazioni molte giurisdizioni legali degli Stati Uniti hanno ridotto l’uso di questi dispositivi”, afferma. Il 28 luglio le proteste a Portland hanno tuttavia visto nuovamente un aumento della brutalità delle forze dell’ordine nei confronti del movimento BLM con l’uso massiccio di proiettili di gomma. “La gente pensa che un proiettile di gomma sia simile a quei proiettili spugnosi delle pistole per bambini - che sono a loro volta pericolosi - e non viene subito in mente che si possa invece trattare di proiettili di resina ad alta velocità, pieni di schegge di metallo che se sparati a distanze ravvicinate possono essere assolutamente letali”, spiega Alejandra de Alba. “Il pretesto per questo tipo di proiettile cosiddetto ‘meno letale’ è quello di colpire i
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Approfondimenti L’American Academy of Ophthalmology ha considerato opportuno esprimere il proprio parere sulla questione perché in linea con i nostri valori di protezione della vista e il miglioramento degli standard di vita
George A. Williams
tessuti muscolari del corpo per arrecare dolore ma non traumi gravi, ma se sparato a distanza ravvicinata può colpire l’occhio, le arterie del collo o addirittura provocare traumi cranici con effetti devastanti”, osserva de Alba. “Il proiettile è inoltre della dimensione giusta per penetrare all’interno dell’orbita oculare e, dato che i tessuti dell’occhio non hanno né il modo di assorbire l’urto, né di potersi espandere all’interno dell’orbita il bulbo oculare di conseguenza esplode”, aggiunge. L’uso dei proiettili di gomma non è oltretutto l’unico dispositivo antisommossa che può arrecare seri danni agli occhi. Lo spray al peperoncino e il gas lacrimogeno sono stati infatti largamente usati per disperdere i manifestanti nelle recenti sommosse e, senza le dovute precauzioni, anche questi dispositivi possono arrecare danni alla vista. “Lo spray e il gas possono irritare
Dottor George A. Williams MD, Presidente AAO 2019-2020
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seriamente le mucose dell’occhio, e anche i fumogeni possono essere facilmente usati dalla polizia come veri e propri proiettili”, spiega de Alba. “È quindi caldamente raccomandato non presentarsi ad una manifestazione senza appositi occhiali antiurto e specialmente mai andarci con addosso le lenti a contatto che possono causare grosse complicazioni”, consiglia Alejandra de Alba. “È importante raccomandare, in caso di trauma oculare, di presentarsi velocemente al pronto soccorso. Per le bruciature chimiche da capsaicina o da lacrimogeno è necessario rimuovere eventuali lenti a contatto e i vestiti che potrebbero essere contaminati, ed irrigare a lungo con soluzione salina isotonica - fino a due litri”, afferma. “Per i traumi cinetici la situazione è ben più complessa. Il paziente che viene colpito deve rimanere il più possibile in verticale ed evitare ulteriori urti che potrebbero causare l’eviscerazione accidentale del bulbo oculare, evitare di rimuovere qualsiasi eventuale oggetto estraneo dalla zona colpita, trovare del vetro o della plastica che possa proteggere l’orbita come uno scudo e recarsi immediatamente al pronto soccorso. Ogni minuto è prezioso e un’operazione chirurgica d’urgenza spesso è inevitabile per poter salvare il salvabile”, afferma. Secondo Alejandra de Alba è importante che gli oftalmologi, assieme a tutti gli altri professionisti del settore sanitario, si facciano coinvolgere nell’emergenza sanitaria legata all’uso di questi pericolosi dispositivi. “Dobbiamo mantenerci informati, dobbiamo avere il coraggio di parlare nell’interesse della salute del paziente”, dichiara de Alba. “Accolgo le parole dell’American Academy of Ophthalmology quan-
do dice che il nostro dovere è di proteggere la vista e migliorare gli standard di vita, e questo vuol dire talvolta anche diventare politicamente consapevole, socialmente coinvolto. Bisogna informare gli organi politici e l’opinione pubblica sugli effetti devastanti dell’uso di questo tipo di dispositivi e fare pressione perché vengano formulate delle restrizioni all’uso”. Secondo George A. Williams, l’American Academy of Ophthalmology sta facendo a sua volta pressioni per un ripensamento radicale dell’uso di questi dispositivi. “L’AAO crede fermamente nella necessità in primis di rivedere le procedure sull’uso di questi dispositivi da parte delle forze dell’ordine e nella ricerca e nello sviluppo di nuove soluzioni per un controllo non letale e non violento della folla”. Le proteste in Cile, in Francia e più recentemente negli Stati Uniti, hanno aperto ad una problematica che va pensata in ordine più globale. Secondo Alejandra de Alba è necessario che anche gli oftalmologi di tutto il mondo siano pronti a far sentire la propria voce per evitare simili situazioni nei loro Paesi d’origine. “È importante non farsi cogliere impreparati”, afferma de Alba, “perché un giorno si può pensare che tutto sia tranquillo nel proprio Paese grazie a leggi e regolamentazioni e il giorno successivo ci si ritrova ad aver a che fare con gli effetti devastanti di un uso sconsiderato di proiettili di gomma”, prosegue. “Anche condividendo le informazioni a livello globale, facendo pressione e sensibilizzando la popolazione ai rischi legati all’uso di questi dispositivi possiamo proteggere la vista e lo standard di vita dei nostri pazienti”, conclude.
Trocar Surgery per i chirurghi della cataratta Ulrich Spandau - Edizione italiana a cura di Alfonso Anania
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Approfondimenti
LE BARRIERE NON BASTANO L’uso dei dispositivi di protezione individuale come un obbligo sia per il paziente che per il medico per una pratica ambulatoriale in tutta sicurezza.
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Intervista a Efrem Mandelcorn, Graduate Faculty Institute of Medical Science, Università di Toronto, Canada
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Con la riapertura alle attività differibili nelle cliniche, l’esercizio in tutta sicurezza della professione dell’oftalmologo è diventata una questione di estrema importanza. Assieme all’utilizzo dei DPI, agli accorgimenti sanitari come la disinfezione di mani, ambienti e dispositivi diagnostici, e una più rigida gestione del flusso dei pazienti, il distanziamento sociale è diventato una precauzione necessaria per la salute del medico e del paziente. “Noi oftalmologi siamo sempre stati un un rapporto faccia a faccia con il paziente, a cadenza quotidiana. E questo ci ha da sempre messo in prima linea nel rischio di esposizione a virus respiratori, specialmente con i pazienti asintomatici. All’inizio della pandemia, tutto quello su cui l’oftalmologo poteva fare affidamento era la mascherina solo per sé stesso e una barriera di plexiglass per fermare i droplets”, afferma il Dottor Efrem Mandelcorn, Professore ricercatore e membro associato della Graduate Faculty Institute of Medical Science, Università di Toronto. Assieme alla collega, Dottoressa Tina Felfeli, Mandelcorn ha pubblicato un’importante Research Letter su Jama Ophthalmology, per sostenere l’importanza assoluta di far indossare gli appropriati DPI anche al paziente. Nella lettera veniva riportata una simulazione condotta dagli autori tra marzo e aprile 2020 in cui veniva esaminato il potenziale spread dei droplets di un colpo di tosse, e quanto lo scudo di plexiglass potesse efficacemente proteggere il medico.
“La nostra simulazione ha analizzato l’efficacia delle barriere trasparenti nei dispositivi diagnostici e i risultati hanno dimostrato quanto i droplets possano arrivare a depositarsi sulla slit lamp, sulle pareti e sul pavimento dell’ambulatorio, nonché sui vestiti del medico”, spiega Mandelcorn. Secondo gli autori, per quanto la presenza di una barriera protettiva riesca a bloccare la maggior parte dei droplets, una porzione di essi riesce comunque a raggiungere l’area occupata dal medico, colpendo prevalentemente petto, braccia e spalle. “Questo sottolinea l’importanza di disinfettare attentamente il mac-
Efrem Mandelcorn è professore ricercatore e membro associato della Graduate Faculty Institute of Medical Science, Università di Toronto
di Timothy Norris
Questo ha definito meglio quanto il rischio sia di gran lunga ridotto quando, oltre al medico, anche il paziente indossa i DPI appropriati
Efrem Mandelcorn
chinario e l’area circostante ad ogni uso, nonché di utilizzare DPI monouso, che comprendono anche la presenza di copricapi e copriscarpe oltre ai dispositivi già raccomandati”, osserva Mandelcorn. L’utilizzo della mascherina per il paziente è una comprovata necessità inderogabile per scongiurare una contaminazione di tutta l’area. “Anche quando il medico indossa tutte le protezioni individuali, il rischio di contagio associato alla pratica di visitare un paziente che non indossa i DPI adeguati rimane alto”, osserva Mandelcorn. “I risultati dell’esperimento hanno mostra-
to chiaramente quanto la mascherina indossata dal paziente riduca in modo sensibile il quantitativo di droplets nell’aria e questo ha definito meglio quanto il rischio sia di gran lunga ridotto quando, oltre al medico, anche il paziente indossa i DPI appropriati”, dichiara. Secondo Mandelcorn, un aumento significativo della sicurezza nella professione medica è rappresentato dalla compresenza nella pratica oftalmologica della telemedicina. “La telemedicina è stata per molti anni una componente essenziale per aumentare l’accessibilità alle cure oftalmiche per una più larga
fetta della popolazione. Oggi la telemedicina ha ottenuto un ulteriore riconoscimento come pratica utile per fronteggiare la crisi sanitaria attuale, in quanto capace di raggiungere anche le frange di popolazione più deboli, anziane e vulnerabili al rischio di contagio da COVID-19” afferma Mandelcorn. “Grazie ai recenti sviluppi nelle tecnologie di trasferimento di dati clinici e imaging in formato digitale, e tutti gli altri vantaggi ad essa associati, la teleoftalmologia è diventata una risorsa da tenere assolutamente in considerazione” conclude.
ATLANTE DELLE INFIAMMAZIONI OCULARI E. Miserocchi - G. M. Modorati - F.M. Bandello
Ad un anno dalla pubblicazione della prima parte dell’Atlante delle infiammazioni oculari, che riguardava il segmento anteriore, vede la luce il secondo volume di questo progetto, che tratta delle infiammazioni del segmento posteriore dell’occhio. Negli ultimi anni vi è stato un significativo aumento delle conoscenze di base riguardo forme di uveite posteriore un tempo sconosciute: vari meccanismi immunologi sono stati delucidati e diversi agenti eziologici di uveiti infettive, come quelli della malattia di Lyme o della malattia di Whipple, sono stati scoperti. Ma è soprattutto sul versante clinico che si sono realizzati i maggiori progressi. Le infiammazioni di retina e coroide sono fra le patologie oculari che più di tutte si sono avvantaggiate dei recenti progressi tecnologici in campo diagnostico e terapeutico. L’introduzione e il diffondersi di tecniche diagnostiche come la fotografia wide-angle del fundus, l’OCT ad alta risoluzione e l’angio-OCT, insieme con l’applicazione della PCR nell’identificazione di vari agenti patogeni, ha permesso una più pronta e precisa diagnosi di molte infiammazioni corioretiniche. Ciò è fondamentale in quanto una diagnosi precoce, quando la malattia è ancora in fase iniziale, può permettere di instaurare misure adeguate atte ad evitare il prodursi di danni irreversibili. Sul versante terapeutico poi è stato osservato un fondamentale progresso con le iniezioni intravitreali di vari farmaci che permettono di fornire a quel santuario farmacologico che è la retina una quantità di medicamento non ottenibile con altre vie di somministrazione. Ed infine, l’uso più esteso della vitrectomia via pars plana, oggi eseguita con strumenti molto sofisticati e mini-invasivi, permette di affrontare casi di endoftalmite o talune forme di panuveite altrimenti non aggredibili. L’impostazione di questo atlante ricalca quella del precedente, con una breve descrizione delle varie patologie seguita da un’ampia parte iconografica in cui vengono presentati sia casi scolastici come anche casi meno tipici delle varie forme di uveite. La speranza è che questo secondo volume possa avere lo stesso successo riscosso dal precedente, il che ripagherebbe l’impegno dei vari collaboratori, giovani e meno giovani, che hanno contribuito alla sua realizzazione. Francesco Bandello
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Approfondimenti
IL MISTERO DEGLI IDROPI CORNEALI E IL CHERATOCONO Le rotture della membrana di Descemet le causano davvero?
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Intervista a Jack Parker, MD, PhD, Parker Cornea, Birmingham (USA)
Il Dottor Jack Parker
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Può una scoperta accidentale portare verso la risoluzione di un problema misterioso come quello della formazione di idropi corneali negli occhi con cheratocono avanzato? Questa è stata la domanda alla base della presentazione del Dottor Jack Parker, MD, PhD, al NIIOS Cornea Evening Online dello scorso 6 giugno 2020. “Si tratta di un mistero su cui non avevamo ancora indagato e la teoria finora accettata è che gli idropi corneali si forma quando c’è una rottura della membrana di Descemet e un’infiltrazione di umore acqueo nello stroma che porta ad un rigonfiamento della cornea, dolore e calo drastico della vista”, spiega Jack Parker. Durante la sua presentazione il Dottor Parker ha fatto notare come questa teoria non trovi una vera e propria dimostrazione empirica,
basata su esperimenti, soprattutto per motivazioni etiche. “Non si può arruolare un gruppo di pazienti e intenzionalmente provocare una rottura nella parte interna della cornea per verificare l’esattezza di una teoria,” spiega Parker. Tuttavia, negli ultimi dieci anni ci sono stati importanti passi avanti dal punto di vista chirurgico, tra cui la DMEK, che ci permettono di agire singolarmente sui singoli strati della cornea, tra cui anche la membrana di Descemet. Il Dottor Parker ha presentato dunque i risultati su due tipologie di pazienti che ha avuto modo di visitare e operare a Birmingham e Rotterdam nel corso del tempo. Il primo gruppo presentava sia cheratocono che la distrofia di Fuchs, mentre il secondo aveva un cheratocono avanzato. Il primo gruppo è stato sottoposto a DMEK, mentre il secondo ad un trapianto della lamina di Bowman. “Può succedere che durante l’impianto della lamina di Bowman, un’operazione che di solito procede senza problemi, si verifichi un errore, un problema come una perforazione attraverso la stroma posteriore mentre si procede con la dissezione lamellare”, spiega Parker. “Poteva accidentalmente capitare anche con le due nostre coorti di pazienti con la distrofia di Fuchs e il cheratocono avanzato”. Il Dottor Parker ha presentato così i risultati delle sue osservazioni all’OCT dei due gruppi di pazienti, riportando le immagini sia duran-
di Laura Gaspari
Si tratta di un mistero su cui non avevamo ancora indagato e la teoria finora accettata è che l’idrope corneale si forma quando c’è una rottura della membrana di Descemet e un’infiltrazione di umore acqueo nello stroma che porta ad un rigonfiamento della cornea, dolore e calo drastico della vista
Jack Parker
Uno schema riassuntivo della dimostrazione del Dottor Parker
te l’operazione, che quelle post operatorie. “I sedici pazienti con la distrofia di Fuchs e il cheratocono sono stati sottoposti a DMEK e dall’esame OCT intraoperatorio è possibile vedere come non vi sia idrope corneale causato dalla rottura della membrana di Descemet”, afferma Jack Parker. “Invece, i pazienti con cheratocono avanzato, e che durante il trapianto della lamina di Bowman hanno avuto una perforazione dello stra-
to posteriore della stroma attraverso la membrana di Descemet, presentavano subito all’OCT intraoperatorio degli idropi corneali”. All’esame OCT postoperatorio il giorno successivo alla chirurgia, i sospetti del Dottor Parker sembravano essere confermati: i pazienti sottoposti a DMEK non avevano sviluppato idropi corneali anche nel caso in cui il graft era completamente staccato, mentre i pazienti sottoposti a trapianto di lamina di Bowman, e che aveva-
no sofferto durante la chirurgia di una perforazione posteriore della stroma, ne presentavano. “Ciò ci ha portato a concludere che la teoria corrente è sbagliata e che probabilmente gli idropi corneali non sono causati solo da una rottura nella Membrana di Descemet in sé, ma piuttosto da rottura accompagnata da una perforazione nella stroma posteriore, che sembra essere l’elemento fondamentale”, conclude Parker. 29
Controversie
NO RUB, NO CONE: VERO O NON VERO? Damien Gatinel e Cosimo Mazzotta si confrontano sull’origine del cheratocono Dalla parte del sì: Damien Gatinel difende la teoria “no rub, no cone”
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L’opinione di Damien Gatinel, MD, PhD Fondazione Rothschild Parigi, Francia
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Con la teoria “no rub, no cone” sostengo, a differenza di ciò che vuole la teoria classica, che uno sfregamento eccessivo dell’occhio è una causa fondamentale nell’origine del cheratocono. I dogmi per ora accettati affermano che il cheratocono è una condizione multifattoriale i cui meccanismi rimangono ancora da chiarire a pieno, e lo sfregamento degli occhi è considerato un mero fattore di rischio. A mio giudizio, oltre ad essere un grave errore, questo è anche il classico esempio di come una causa venga confusa con un fattore di correlazione. Innanzitutto, è importante riconoscere che ripetuti episodi di sfregamento degli occhi hanno sulla cornea un effetto traumatico che da solo può generare la deformazione e l’assottigliamento caratteristici della malattia. Trovo tuttavia curioso il fatto che nessuno abbia mai davvero escluso la possibilità che il cheratocono sia una patologia di origine traumatica, nonostante negli studi epidemiologici lo sfregamento sia sempre citato come semplice “fattore di rischio” . Tuttavia, se si considera lo sfregamento come mero fattore di rischio, bisogna tenere a mente che esso è decisamente diverso da un’allergia o un’atopia: la loro azione sulla cornea è meno diretta e a dire il vero allergia e atopia possono essere considerate come fattori di rischio proprio per lo sfregamento dell’occhio, piuttosto
che per lo sviluppo e la progressione del cheratocono. Il presupposto che una cornea con difetto congenito nella biomeccanica possa deformarsi secondo le modalità osservate nel cheratocono è invalidato dal modello clinico della Sindrome di Marfan. Si è osservato come nella progressione di questa malattia, anche se la cornea è indebolita nella sua struttura proteica, essa rimane uniformemente sottile. Ciò accade in concomitanza all’appiattimento (e non alla protrusione) della parete corneale, per un meccanismo di distensione causato dalla pressione intraoculare differenziale. La componente infiammatoria del cheratocono non entra in contrasto con la teoria “no rub, no cone”. L’infiammazione può essere infatti sia origine che conseguenza dello sfregamento. Uno studio ha dimostrato che sfregare l’occhio anche per soli 30 secondi genera il rilascio di numerose molecole proinfiammatorie e collagenasi. Tuttavia, le patologie infiammatorie della cornea da sole non generano una protrusione e assottigliamento corneale, ma piuttosto appiattimento. La predisposizione genetica non basta a spiegare la natura locale e asimmetrica del cheratocono, e un attento e meticoloso colloquio con i pazienti è spesso rivelatore di una chiara connessione tra la deformazione corneale e lo sfregamento degli occhi. Per fare un esempio, nel caso di un cheratocono unilaterale e asimmetrico, molto spesso
emerge che il paziente ha l’abitudine di sfregare solamente o prevalentemente l’occhio più colpito. Per inciso, abbiamo potuto osservare un’interessante correlazione tra l’occhio con cheratocono e l’abitudine a dormire sul fianco corrispondente, esercitando una compressione prolungata sul cuscino o sull’avambraccio. La teoria “no rub, no cone” è in grado di spiegare l’ampio spettro che va dalle cornee normali a quelle deformate e sottili, in cui le alterazioni osservate dipendono, da un lato, dalle variazioni in termini di frequenza, durata e intensità dello sfregamento, e dall’altro dalla resistenza congenita della cornea stessa. In questo ci è utile l’esempio dell’eritema solare: l’intensità dell’eritema deriva sia dal tipo di pelle, il cosiddetto fototipo, sia dall’intensità dei raggi UV e dal tempo di esposizione ad essi. Parlando di sfregamento degli occhi e cheratocono, la situazione non è dissimile. Un “cheratotipo” in cui la cornea è sottile e l’occhio viene sfregato eccessivamente e con grande intensità è maggiormente a rischio di sviluppare una deformazione plastica permanente. Vi sono aree del mondo in cui il cheratocono è più diffuso, fenomeno che possiamo facilmente spiegare con la teoria “no rub, no cone”. Queste regioni, in cui fattori climatici e ambientali (siccità, vento, luce solare) possono provocare un danno cronico della superficie oculare, sono popolate da gruppi etnici nei quali la cornea è geneticamente più sottile. Sappiamo che lo spessore della cornea è regolato a livello genetico, e sappiamo pure che le forme non sporadiche del cheratocono sono rare. Le forme familiari rappresentano infatti solo il 10%. Ciò che mette più in crisi la teoria classica è la predominanza schiacciante delle forme sporadiche, come viene evidenziato dalla stessa realtà clinica della patologia. La mia esperienza riflette bene la teoria “no rub, no cone”: quando uno solo di due fratelli mostra segni di cheratocono è proprio perché, tra i due, è lui il fratello che si sfrega di più gli occhi. Un altro chiodo sulla bara della te-
oria classica è lo studio delle variazioni nell’area della superficie corneale anteriore e posteriore nell’evolversi del cheratocono. Se, come molti sostengono, il cheratocono fosse un’ectasia, dovrebbe esserci un marcato incremento dell’area totale delle superfici corneali, misurabile man mano che il cheratocono progredisce. Invece, dalle osservazioni che ho potuto effettuare su migliaia di cornee, ho concluso che l’area della superficie corneale negli occhi con cheratocono non differisce significativamente da quella delle cornee sane. La deformazione corneale che si verifica nel corso del cheratocono non è un’ectasia ma una deformazione isometrica, con mantenimento della curvatura media. Infatti, l’assottigliamento locale e paracentrale risulta nell’indebolimento locale della curva corneale e nell’aumento della pendenza focale, a cui corrisponde un appiattimento periferico, nel contesto di una deformazione isometrica. Dalle osservazioni, l’aumento della pendenza focale è solitamente localizzato nella zona paracentrale più bassa; ossia dove, secondo il fenomeno di Bell, nella fase di sfregamento le nocche della mano incontrano l’occhio e ruotano verso l’alto. Ciò spiega anche la prevalenza dell’astigmatismo inverso o obliquo in occhi con cheratocono. Per quanto riguarda la natura dello sfregamento, ho compreso nella mia esperienza che è bene fare un’approfondita ricerca parlando direttamente con il paziente affetto da cheratocono, o con chi eventualmente lo accompagna. Bisogna osservare la forma delle mani, delle nocche, delle dita, ma anche l’abitudine, l’intensità e la distanza nel tempo dello sfregamento. Bisogna sensibilizzare il paziente e prepararsi all’eventualità che possa essere anche restio ad accettare il fatto di essere egli stesso la causa della sua malattia. Per questo è necessario agire con il dovuto tatto e una buona dose di empatia. Qualsiasi sia la modalità dello sfregamento da parte del paziente, questo precede sempre l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi di cheratocono. Questo ci dimostra a pieno la causalità dello sfregamento.
Nel 1965 l’epidemiologo britannico Bradford Hill stabilì nove criteri di causalità che consistono in condizioni minime per dare la prova adeguata di una relazione causale tra due eventi. La teoria “no rub, no cone” soddisfa questi criteri, incluso quello cronologico, per cui la causa precede gli effetti. Un altro di questi criteri, quello di reversibilità, diventa cruciale: esso postula che eliminare la causa di un determinato fenomeno ne può causare l’arresto. L’idea di eliminare dal mondo l’abitudine a sfregare gli occhi è decisamente un’utopia, anche se, dal mio punto di vista, sarebbe sufficiente per debellare il quadro clinico del cheratocono. Ciò è supportato da uno studio condotto presso la Fondazione Rothschild, in cui nei pazienti che hanno smesso di sfregarsi gli occhi e hanno cambiato posizione durante il sonno, è stato registrato un arresto nella progressione del cheratocono. Questa è un’ulteriore e sorprendente conferma della teoria “no rub, no cone” e ci apre la strada verso dei trattamenti sempre meno invasivi, facendo eco ad un appello per tutti a ripensare al cheratocono e ai metodi per fermarne l’evoluzione, e addirittura, debellare del tutto questa malattia. Il tutto con una semplice e unica azione: smettere di sfregarsi gli occhi! RIFERIMENTI: - Moran S, Gomez L, Zuber K, Gatinel D. A Case-Control Study of Keratoconus Risk Factors. Cornea. 2020;39(6):697-701. doi:10.1097/ ICO.0000000000002283 - Gatinel D, Galvis V, Tello A, et al. Obstructive Sleep Apnea-Hypopnea Syndrome and Keratoconus: An Epiphenomenon Related to Sleep Position?. Cornea. 2020;39(4):e11. doi:10.1097/ ICO.0000000000002219 - Mazharian A, Panthier C, Courtin R, et al. Incorrect sleeping position and eye rubbing in patients with unilateral or highly asymmetric keratoconus: a case-control study [published online ahead of print, 2020 Jun 10]. Graefes Arch Clin Exp Ophthalmol. 2020;10.1007/s00417-02004771-z. doi:10.1007/s00417020-04771-z
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Controversie “No rub, no cone, ma solo per i soggetti predisposti”. Il rilancio di Cosimo Mazzotta L’opinione di Cosimo Mazzotta, MD, PhD UOSD Oculistica USL Toscana SudEst, Università di Siena - Italia
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Dobbiamo riconoscere il fatto che lo sfregamento degli occhi, o eye rubbing, è un meccanismo di stimolo per l’insorgenza del cheratocono. Questa pratica può essere primaria o secondaria. Nel primo caso parliamo di uno sfregamento degli occhi non sporadico, ma ripetuto e continuativo nel tempo, che può avere radici di natura psicologica o psicogena. Per esempio, nei ragazzi affetti da Sindrome di Down il cheratocono ha una prevalenza del 15%. Alla fonte ci sono certamente fattori genetici, ma può succedere che in vario grado questi ragazzi si strofinino gli occhi in maniera ripetuta e continuativa. Questa è una caratteristica forma di sfregamento degli occhi psicogeno. Ci sono poi forme di sfregamento secondario, che sono tra le più frequenti e che in realtà sono collegate a fenomeni di natura generalmente allergica, o comunque al prurito e al fastidio oculare, ad una sensazione di corpo estraneo, alla secchezza oculare, all’uso di lenti a contatto. Dunque, il Dottor Gatinel ha perfettamente ragione, se pensiamo che già il Professor Charles McMonnies aveva ben chiarito i vari meccanismi fisiopatologici dello sfregamento oculare e ci sono anche diversi studi sulla correlazione tra sviluppo del cheratocono e lo sfregamento intenso, visto non come causa, ma come fattore di rischio che può concorrere alla sua patogenesi. Ciò significa che non è un fattore eziologico in senso stretto, ma può contribuire al manifestarsi del cheratocono in soggetti geneticamente affetti da una anomalia del collagene corneale, che spesso è un’anomalia di tutto l’organismo. Non è raro infatti riscontrare in questi soggetti un prolasso della mitrale oppure una lassità dei legamenti articolari, una iperelasticità cutanea, o una sindrome delle palpebre lasse chiamata anche floppy eyelid syndrome. Una collagenopatia porta ad una fragilità e ad una iperelasticità del collage-
ne e può associarsi a meccanismi di sfregamento degli occhi intenso e continuativo. In tutti questi casi si parla comunque di eye rubbing patologico che, come abbiamo detto, può trovare radici psicogene o più spesso flogistiche, o addirittura croniche come nelle forme di occhio secco cronico, o di allergia severa, nella cheratocongiuntivite vernal (vernal keratoconjunctivitis), nelle forme di atopia, quindi congiuntivite atopica spesso associata a blefariti croniche. Ad esempio, la blefarite è molto frequente nei pazienti con cheratocono e causa molto spesso delle infiammazioni croniche della superficie oculare a cui consegue lo sfregamento. Più del 50% dei pazienti che si sfregano gli occhi nel cheratocono sono giovani affetti da una qualche forma di infiammazione cronica della superficie oculare. Quando parliamo di infiammazione cronica facciamo riferimento ad una situazione in cui c’è un aumento delle citochine infiammatorie, ovvero dell’interleuchina 1, delle TNFα, e di tutta una serie di mediatori dell’infiammazione. Viene riportato anche un meccanismo di degranulazione dei mastociti dovuta alla spremitura delle cellule epiteliali della congiuntiva che facilitano il rilascio di istamina, che è un fattore dell’infiammazione e dell’allergia. A questo si aggiunge un meccanismo di sbilanciamento ormonale enzimatico che comporta un deficit degli inibitori delle metalloproteinasi. In uno studio pubblicato in Eye and Contact Lens ho dimostrato che nei pazienti allergici che si sfregano gli occhi la progressione del cheratocono raddoppia sia dal punto di vista del grado di incurvamento della corna, sia da quello della velocità di progressione rispetto ad un gruppo di soggetti della stessa età e dello stesso sesso aventi lo stesso stadio di cheratocono. Questo conferma che esiste una correlazione
tra sfregamento e progressione o sviluppo della malattia. Tuttavia questo si verifica necessariamente in soggetti con situazione predisponente che affondano le radici nella genetica. Sono stati descritti oltre 80 loci genetici mutati nel cheratocono e sappiamo che se in un soggetto non vi è un’alterazione del collagene, il cheratocono non si svilupperà malgrado lo sfregamento degli occhi, anche se protratto nel tempo. Io accolgo positivamente l’affermazione del Dottor Gatinel, che intendo essere una provocazione e un allarme che necessariamente deve essere lanciato ai pazienti nella fase della visita oculistica e deve essere lanciato alle famiglie perché spesso si tratta di soggetti minori, molto giovani, che devono essere educati a non strofinare gli occhi.
In sintesi, gli aspetti flogistici cronici e la predisposizione genetica rappresentano un terreno fertile in cui lo sfregamento degli occhi diventa fattore scatenante di una forma latente di debolezza geneticamente determinata o aggravata da fenomeni infiammatori cronici, aumentando la velocità di progressione della malattia. Al contrario, i soggetti non predisposti che non hanno nessuna alterazione del collagene dal punto di vista genetico e non presentano nessun tipo di infiammazione cronica di natura allergica o immunomediata non sviluppano il cheratocono. Se così non fosse, tutte le persone che si sfregano gli occhi svilupperebbero un cheratocono, e questo non avviene. Possiamo quindi assolutamente affermare che “rub = cone” non è un’equazione, come non lo è
Guida alla comprensione dell’angiografia OCT Dalla fisiopatologia all’imaging clinico Marco Rispoli Maria Cristina Savastano Bruno Lumbroso David Huang Yali Jia Eric H Souied
NOVITÀ EDITORIALE
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il contrario, ossia “no rub, no cone”. Tuttavia, “no rub, no cone” è un’affermazione applicabile ai soggetti predisposti, che se evitano questa condotta anomala possono salvarsi dallo sviluppare la malattia o possono eventualmente sviluppare una malattia meno aggressiva. RIFERIMENTI: - M cMonnies CW. Abnormal rubbing and keratectasia. Eye Contact Lens. 2007;33(6 Pt 1):265-271. doi:10.1097/ICL. 0b013e31814fb64b - M azzotta C, Traversi C, Mellace P, et al. Keratoconus Progression in Patients With Allergy and Elevated Surface Matrix Metalloproteinase 9 Point-of-Care Test. Eye Contact Lens. 2018;44 Suppl 2:S48-S53. doi:10.1097/ ICL.0000000000000432
Tecniche chirurgiche
I VANTAGGI NEL TRATTARE IL DISLOCAMENTO DELLA IOL E IL GLAUCOMA IN UN SINGOLO INTERVENTO Una riflessione sul valore degli interventi combinati.
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Intervista a Alessandro Galan, Reparto di Oculistica San Paolo, Ospedale Sant’Antonio, Padova
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Alessandro Galan
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L’inventiva, l’esperienza e l’abilità di un chirurgo sono essenziali quando si tratta di risolvere più problemi in una sola operazione chirurgica. Scegliere di operare un occhio affrontando contemporaneamente la dislocazione di una IOL e una trabeculectomia può avere le sue variabili ma, come afferma Alessandro Galan, Responsabile del reparto di Oculistica San Paolo dell’Ospedale Sant’Antonio di Padova, porta più vantaggi e benefici al paziente. “Quando metti le mani su un occhio e trovi più patologie, cerchi di risolverle tutte in una stessa seduta. Un glaucoma ad angolo aperto può essere un glaucoma secondario ai danni del segmento anteriore causato da una precedente operazione, oppure da quel dislocamento della IOL che ne varia i flussi, che intasa con dei residui infiammatori il trabecolo”, spiega Alessandro Galan. “Il glaucoma potrebbe essere totalmente indipendente dal fatto che la lente sia lussata, ma essendo necessario intervenire sulla dislocazione non vedo perché non associare ad esso anche un intervento per il glaucoma”, aggiunge. “La parte più importante di questo intervento non è tanto la trabeculectomia di Cairns, che è una procedura standard, quanto il fatto che il paziente non riusciva più a vederci a causa della dislocazione della lente intraoculare. La priorità era quindi quella di agire sulla
IOL. Ci sono numerose tecniche per rimuovere la lente, ma personalmente preferisco una manovra diversa e molto più lineare, che ricentra la stessa lente che il paziente ha nell’occhio. Questo perché la lente ha il giusto potere, è già ben tollerata dal paziente, ed è opportuno evitare di rimuoverla e sostituirla. Bastano due punti sull’iride messi in modo che inglobino l’ansa della lente e che la tengano ferma dopo averla spostata in posizione centrale, ossia perfettamente inserita nel forame pupillare”, descrive Galan. “Quando io suturo le due anse attraverso l’iride, prendo l’ansa, esco dall’iride e faccio il nodo. Poi rimetto il disco ottico in camera posteriore e ho ottenuto sicuramente un perfetto centraggio della lente”. Contemporaneamente a queste manovre, viene eseguita la trabeculectomia. “La trabeculectomia di Cairns ha una storia di ormai settant’anni, è quella classica, con uno sportello rettangolare a metà spessore della sclera. Si raggiunge l’area del trabecolo e si procede all’asportazione, che di solito si fa con il bisturi ma che io preferisco fare con il punch”, spiega Galan. “Segue poi un’iridectomia e si chiude lo sportello”, aggiunge. “Ho una grande dimestichezza con questa tecnica, in più l’occhio del paziente la permetteva e sicuramente mi dà molte più vie di risoluzione rispetto ad altre procedure, specialmente perché l’oc-
di Timothy Norris
Con un’operazione in meno risparmi al paziente non solo un’anestesia aggiuntiva, ma anche un traumatismo all’occhio in più
Alessandro Galan
Intervento di ricentramento della lente e trabeculectomia in un paziente con glaucoma ad angolo aperto
chio era già stato precedentemente operato”, puntualizza Galan. Combinare le due operazioni porta a notevoli giovamenti, in primis a vantaggio del paziente. “Se un intervento che fai non va a discapito di un altro che deve essere fatto, non vedo perché non li si possa fare entrambi in una sola operazione”, osserva Galan. “Con un’operazione in meno risparmi al paziente non solo un’anestesia aggiuntiva, ma anche un traumatismo all’occhio in più. Questo è un grosso vantaggio, specialmente nell’interesse del paziente”, af-
ferma. “Io voglio dare al paziente il migliore trattamento possibile, con la migliore resa e il minore peso”, dichiara. Secondo Galan, con l’operazione combinata i tempi di recupero non variano rispetto alle due operazioni compiute separatamente. “Ci vogliono pochi giorni per recuperare completamente. La trabeculectomia dà sempre un recupero della visione dopo una settimana o dieci giorni proprio perché si deve dare all’occhio il tempo di ristabilizzarsi e bilanciare la tensione. La trabeculectomia comunque richiede la
normale e frequente cura post-operatoria”, spiega Galan. La tecnica adottata da Galan rispecchia perfettamente la sua filosofia di comportamento. “Bisogna scegliere sempre l’intervento più semplice e meno traumatizzante per il paziente, nell’ottica di ottenere sempre il migliore risultato possibile nel minor tempo possibile”, afferma Galan. “Riuscire a risolvere tutto al paziente in un colpo solo sarebbe la cosa migliore in assoluto; e prima mettiamo l’occhio in condizioni di recuperare la sua vitalità, meglio è”, conclude. 35
Dal Mondo dell’Ottica - Tecnologie di Produzione MEDICAL BY RODENSTOCK Un nuovo portfolio di colorazioni a protezione oculare Con il presente articolo desideriamo condividere il nuovo portfolio colorazioni Medical, colorazioni a protezione oculare sviluppate dalla Ricerca e Sviluppo Rodenstock in stretta collaborazione con i maggiori esperti delle più importanti associazioni di ipovisione.
di Mauro Nocera Product Manager Lenti & Strumenti Rodenstock Italia
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Le colorazioni Medical sono principalmente raccomandate in presenza di alcuni tipi di patologie oculari, come retinopatia pigmentosa, diabetica, AMD, distrofia dei bastoncelli e dei coni, albinismo, acromatopsia, di un’elevata sensibilità alla luce, di lesioni oculari o problemi post chirurgici come ad esempio nell’afachia o pseudofachia se la lente intraoculare non presenta un’adeguata protezione UV. Le lunghezze d’onda del violetto e del blu sono maggiormente assorbite dalle colorazioni Medical rispetto sia alle colorazioni convenzionali, sia a quelle ad alto contrasto. A seconda della tipologia, la curva riferita alle radiazioni di maggiore lunghezza d’onda sale più o meno ripidamente. Le principali funzioni delle colorazioni Medical sono: • La protezione dagli UV e dalla luce blu potenzialmente dannosa con riduzione dell’abbagliamento grazie al filtraggio selettivo delle lunghezze d’onda corte. La luce ad onde corte è necessaria per la visione periferica e pertanto un taglio completo della luce violetta e blu avrebbe un impatto negativo sulla visione: per questo Rodenstock in alcune colorazioni Medical ha optato per non avere un totale assorbimento delle lunghezze d’onda corte. • L’aumento del contrasto: a causa dell’assorbimento di parte delle lunghezze d’onda del visibile, con conseguente minore attivazione dei relativi recettori retinici, si determina una maggiore differenza tra i recettori fortemente e quelli meno forte-
mente esposti. • Un più rapido adattamento, in presenza di alte luminanze, ai cambiamenti delle condizioni luminose. Un necessario chiarimento sulla loro denominazione: la “L” all’interno della denominazione del prodotto è l’abbreviazione di “Lambda”, termine usato in Fisica per indicare la lunghezza d’onda. Il numero che segue indica la lunghezza d’onda con un valore di trasmittanza pari al 50%. Il medico oculista può naturalmente prescrivere una colorazione Medical, così come informare il paziente sui vantaggi che potrebbe trarne; in questo caso sarà poi il centro ottico a selezionarla previa consulenza attraverso uno specifico set di prova. Non ci sono precisi criteri oggettivi che stabiliscono per ciascuna patologia quale colorazione raccomandare: gli utenti devono provare i diversi filtri Medical, in differenti condizioni luminose, selezionando quale opzione, meglio di altre, offre il miglior comfort visivo. Le colorazioni Medical sono realizzabili unicamente su lenti organiche 1.50 e sono naturalmente associabili al trattamento antiriflesso. Soltanto le colorazioni Medical L400 e L480 sono idonee alla guida (diurna e notturna); tutte le altre non lo sono. E’ sempre necessario che il centro ottico informi l’utente sull’idoneità o non idoneità alla guida e che, per una fornitura su propria prescrizione, informi il medico oculista sulla colorazione Medical selezionata in modo che possa aggiornare la scheda del suo paziente.
MEDICAL
Dal Mondo dell’Ottica
HOYA ITALIA PRESENTA LE NUOVE LENTI MIYOSMART Un’innovazione per la gestione della miopia nei bambini
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Intervista a Maurizio Veroli, Amministratore Delegato Hoya Italia
L’Amministratore Delegato di Hoya Italia, Maurizio Veroli
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Da novembre in Italia saranno disponibili le innovative lenti MiyoSmart con tecnologia D.I.M.S. (Defocus Incorporated Multiple Segments) di Hoya per la gestione della progressione della miopia nei bambini e negli adolescenti. Una soluzione di contrasto ad un problema visivo sempre più comune, come la miopia, su cui Hoya Vision Care ha investito molto. Dell’arrivo della nuova lente in Italia e delle strategie adottate da Hoya per far conoscere agli specialisti questo nuovo prodotto abbiamo parlato con l’Amministratore Delegato di Hoya Italia, Maurizio Veroli. LA MIOPIA: UN NEMICO SEMPRE PIÙ PRESENTE La miopia è uno dei problemi refrattivi più comuni, eppure negli ultimi anni sta sollevando molta preoccupazione tra gli specialisti. “La miopia sarà presto un problema globale ancora più diffuso. Gli studi stimano che interesserà cinque miliardi di persone nel mondo entro il 2050, mentre in Europa la popolazione miope aumenterà dal 22% al 56% entro i prossimi 50 anni. Ciò significa che una persona su due avrà una miopia più o meno accentuata, una grande sfida per i professionisti della visione”, afferma Veroli. Questo aumento vertiginoso dei numeri e le previsioni che abbiamo davanti testimoniano una correlazione con un cambio del nostro stile di vita e delle nostre abitudini. “Le cause sono diverse e possono essere ereditarie o dovute ad abitudini visive moderne, come l’utilizzo smodato dei dispositivi digitali o il minor tempo passato all’aria aperta, abitudini che si sono intensificate negli ultimi anni”, spiega Maurizio Vero-
li. “Siamo tutti consapevoli della correlazione tra l’elevata miopia e l’incidenza di complicanze oculari che potranno portare a problemi visivi seri, impattando anche sul sistema socio-sanitario”. Un vero problema che sta già facendo parlare di ‘epidemia di miopia’ e che vede interessati anche moltissimi bambini. L’IMPEGNO DI HOYA E LA SOLUZIONE MIYOSMART Hoya è da sempre un’azienda rivolta alla ricerca di soluzioni visive tecnologiche ed innovative. La ricerca e lo sviluppo di queste, come MiyoSmart, sono fondamentali per l’azienda. Soluzioni che tengano conto della funzionalità, ma non solo. “Hoya parte da sempre dalle esigenze visive delle persone, in passato si parlava solo di lenti funzionali, per vedere bene, poi si è data sempre più importanza all’estetica e ora sempre di più anche alla protezione. Non solo da dannosi raggi UV o dalla luce blu dei dispositivi digitali, ora Hoya sta pensando anche alla gestione della miopia”, illustra Veroli. Anche le lenti MiyoSmart sono nate da questo assunto, coniugando innovazione, tecnologia e benessere del paziente. L’efficacia di MiyoSmart è stata dimostrata da uno studio clinico partito nel 2014 e durato due anni su 160 bambini di età compresa tra gli 8 ed i 13 anni e che ha dato dei risultati straordinari. “Insieme al Politecnico di Hong Kong Hoya ha testato con un clinical trial le evidenze di una lente per la gestione della progressione miopica. Così è nata MiyoSmart, l’innovativa lente oftalmica progettata proprio in un momento
di Laura Gaspari
Hoya parte da sempre dalle esigenze visive delle persone, in passato si parlava solo di lenti funzionali, per vedere bene, poi si è data sempre più importanza all’estetica e ora sempre di più anche alla protezione. Non solo da dannosi raggi UV o dalla luce blu dei dispositivi digitali, ora Hoya sta pensando anche alla gestione della miopia
Maurizio Veroli
La locandina delle lenti MiyoSmart
di crescita dell’incidenza della miopia, studiata per correggerla e rallentarne la progressione”, afferma Veroli. “Oltre a correggere l’errore refrattivo, il test clinico ha dimostrato che MiyoSmart con tecnologia D.I.M.S. riduce la progressione della miopia in media del 59%. I risultati mostrano che nei bambini che hanno utilizzato le lenti MiyoSmart l’allungamento del bulbo oculare è stato ridotto in media del 60% rispetto a chi ha utilizzato lenti monofocali. Inoltre la progressione della miopia si è fermata nel 21.5% di chi ha utilizzato le lenti MiyoSmart”. LE INIZIATIVE Hoya Italia ha già previsto diverse strategie per informare medici e centri ottici dell’esistenza di questa novità per la correzione della miopia nei bambini, in modo da poterla proporre al meglio ai loro piccoli pazienti. “Per la classe medica abbiamo previsto un evento
online che si terrà il 27 ottobre e darà la possibilità di ricevere 15 crediti ECM tramite FAD. L’evento sarà tenuto insieme al Dott. Troiano, Direttore dell’UOC Oculistica, Ospedale Sacra Famiglia Fatebenefratelli di Erba. Sarà visibile online fino a fine dicembre per una visione successiva o approfondimenti. Al prossimo SOI di novembre si terrà un simposio sulla progressione miopica e con Hoya sarà possibile approfondire vantaggi e caratteristiche della lente”, informa Veroli. “Seguire questi appuntamenti informativi è importante per entrare nel network MiyoSmart di Medici Oculisti e Centri Ottici Specializzati nel trattamento di questa soluzione. Sarà importante che Medici Oculisti e Ottici collaborino per la miglior soddisfazione dei piccoli pazienti”. Non solo è importante per Hoya informare al meglio gli specialisti del settore: anche i genitori sono un target fondamentale per il be-
nessere visivo dei bambini affetti da miopia. “Nei prossimi mesi saremo focalizzati sulla divulgazione al grande pubblico tramite attività di pubbliche relazioni su testate di salute e benessere, per sensibilizzare i genitori sull’importanza della salute e del benessere visivo nei bambini, fin da piccoli; social e internet sono canali molto potenti per parlare anche di queste tematiche in modo mirato “online””, spiega Maurizio Veroli. Le strategie al servizio del grande pubblico prevedono anche l’avvicinare gli specialisti ai pazienti e alle loro famiglie. “Parleremo dei benefici del prodotto e inviteremo i genitori a consultare su un sito dedicato l’elenco dei Medici Oculisti e dei Centri Ottici specializzati nel trattamento. È possibile scoprire di più scrivendo a oculisti@hoya. it per approfondire come entrare a fare parte di questo progetto sfidante ed esclusivo, insomma ‘smart’”, conclude. 39
News dalle aziende
ALOCROSS MONODOSE NELL’OCCHIO ROSSO IATROGENO approccio sinergico ideale all’occhio rosso utile a controllare l’infiammazione della superficie oculare e per stabilizzare le conseguenti alterazioni del film lacrimale.
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L’occhio rosso in oftalmologia è uno dei più comuni segni a carattere infiammatorio che nella maggior parte dei casi si associa a disturbi di tipo irritativo. Spesso si accompagna ad instabilità lacrimale ed ha la tendenza alla cronicizzazione Tra le cause più frequenti di occhio rosso ci sono quelle di natura iatrogena tra cui l’uso di colliri per il trattamento del glaucoma a base di analoghi delle prostaglandine o l’uso cronico di colliri contenenti conservanti. ALOCROSS è un’associazione tra le proprietà dell’estratto di Aloe vera e la capacità di stabilizzazione prolungata del film lacrimale dell’acido ialuronico cross-linkato 0,2%. L’estratto di Aloe vera contiene numerose sostanze farmacologicamente attive capaci di ridurre l’occhio rosso agendo sull’attività di enzimi proinfiammatori (COX2) e riducendo la secrezione di sostanze vasoattive come l’Istamina e l’Ossido Nitrico. L’acido ialuronico crosslinkato 0,2%, ha clinicamente dimostrato una maggiore persistenza sulla superficie oculare rispetto all’acido ialuronico lineare. Inoltre, mostra una maggiore resistenza alla ialuronidasi con riduzione del rischio di formazione di frammenti a ridotto peso molecolare responsabili di segnali intracellulari pro-infiammatori aspetto, questo, di notevole rilevanza in caso di occhio rosso. ALOCROSS, quindi, costituisce un
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L’occhio rosso iatrogeno da analoghi delle prostaglandine Recentemente è stata presentata una pubblicazione indirizzata a determinare il grado di soddisfazione tra i pazienti affetti da glaucoma in trattamento con analoghi delle prostaglandine. Sono stati reclutati in totale 199 pazienti in trattamento con vari prodotti in commercio. In questo studio, oltre a valutare il risultato clinico sull’ipertensione oculare, da cui risultava che complessivamente l’89% dei pazienti era soddisfatto, sono stati valutati anche gli eventuali effetti collaterali. Tra questi l’iperemia congiuntivale si presentava nel 47% dei casi e si accompagnava ad alterazioni della superficie oculare che aumentavano in maniera consistente dopo l’inizio del trattamento con analoghi delle prostaglandine, in particolare occhio secco e blefariti. (*) AloCross monodose privo di conservanti è particolarmente adatto al trattamento dell’occhio rosso conseguente all’uso di colliri a base analoghi delle prostaglandine. Campo d’impiego Occhio rosso da: •U so di colliri a base di analoghi delle prostaglandine •U so cronico di colliri contenenti conservanti •P ermanenza in ambienti surriscaldati, climatizzati, ventilati … • Attività prolungata al computer •A ttività professionali (saldatori, fornai, …) • Congiuntivite allergica • Difetti refrattivi (*) Clin Ophthalmol. 2015 May 4;9:785-93. doi: 10.2147/OPTH.S78918. eCollection 2015. Patient satisfaction with glaucoma therapy: reality or myth? Lemij, Hoevenaars, van der Windt, Baudouin.
Spray oculare a base di Liposomi di Biosecur® e Ipromellosa
SICUREZZA IN OFTALMOLOGIA • Controlla la carica batterica e riduce il rischio di possibili processi infettivi.
MODALITA' D'USO Applicare 1-2 spruzzi a partire da 3 volte al giorno, sulle palpebre chiuse, ad una distanza di circa 10 cm
Materiale informativo ad uso esclusivo dei signori medici.
• Protettivo e lenitivo in caso di irritazione oculare e palpebrale.
News dalle aziende Materiale Informativo destinato ai Sigg. Medici
SE NON COLORI NON VEDI L’importanza della colorazione nella diagnosi.
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Lissagreen è un dispositivo medico 0546. Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni per l’uso
Un’importante novità riguardo la diagnosi delle malattie della superficie oculare è rappresentata da Lissagreen, verde di lissamina collirio. La presenza di uno specifico dosatore consente di instillare una quantità di 10 µl, utile per evidenziare molte alterazioni della superficie oculare: cellule epiteliali congiuntivali e corneali danneggiate, alterazione della linea di Marx sul bordo palpebrale, filamenti di muco, alterazione dell’epitelio della congiuntiva tarsale. Studi pubblicati recentemente hanno dimostrato la correlazione tra la colorazione con verde di lissamina delle cellule epiteliali congiuntivali ed il grado di infiammazione della superficie oculare, consentendo una valutazione completa di quest’ultima anche in ambulatorio, senza dover ricorrere a strumenti sofisticati. Sono stati fatti enormi progressi nel trattamento del Dry Eye e della superficie oculare, grazie alla migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici alla base della malattia. Il paradigma della gestione
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dell’occhio secco è passato dalla semplice lubrificazione e idratazione della superficie con lacrime artificiali a strategie che mantengono intatto l’epitelio e la sua funzione di barriera e inibiscono i fattori infiammatori che incidono sulla capacità della superficie e degli epiteli ghiandolari di produrre lacrime. I risultati di questo approccio terapeutico suggeriscono che la qualità della vita può essere migliorata per molti pazienti affetti da occhio secco e che l’attuazione precoce di queste strategie può prevenire le complicanze legate al Dry Eye. La terapia dell’occhio secco dovrebbe includere, oltre alla lubrificazione, la cura dell’eventuale blefarite con tetracicline topiche, dell’infiammazione della superficie e dei danni dell’epitelio. Cruciale è l’approccio dinamico: la terapia andrà modulata a seconda del quadro clinico e delle sue variazioni nel tempo. La colorazione correla con l’infiammazione della superficie oculare, consentendo diagnosi precise e terapie adeguate.
Storia della chirurgia refrattiva Lucio Buratto – Giuseppe Perone
NOVITÀ EDITORIALE
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Aspetti non convenzionali della patogenesi del glaucoma Sergio Claudio Saccà – Alberto Izzotti
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