Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
MANUALE PRATICO
DI VISION CARE LA MIOPIA E LA SUA CORREZIONE OTTICA
Manuale pratico di Vision Care La miopia e la sua correzione ottica Coordinatore
Luigi Mele Autori
Luigi Mele Medico Chirurgo – Oculista, U.O.C. Oculistica, U.O.S.D. Trapianti Corneali - Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” Ministero della Salute USMAF-SASN - Napoli Andrea Piantanida Medico Chirurgo – Oculista, Centro Oculistico Lariano - Cernobbio - Como Mario Bifani Medico Chirurgo – Oculista, U.O.C. Oculistica - U.O.S.D. Trapianti Corneali- Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” - Napoli Contributors
Stefano Tricarico Medico Chirurgo, U.O.C Oculistica Universitaria – Polo Pontino – Università la Sapienza - Roma Giulia Gerosa Ortottista - Assistente in Oftalmologia, Centro Oculistico Lariano - Cernobbio - Como
© Copyright 2018 FGE Srl Fabiano Gruppo Editoriale Regione Rivelle 7/F - Moasca AT Stampa: Litografia Valli Via Pavia 100 Induno Olona (VA)
Finito di stampare: Maggio 2018 ISBN: 978-88-97929-84-0
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La miopia e la sua correzione ottica
Introduzione
Il difetto miopico rappresenta forse il difetto visivo che più frequentemente l’oculista affronta nella pratica quotidiana. La semplice osservazione di un paziente che “strizza gli occhi per vedere bene”, retaggio del termine greco myopos (socchiudere gli occhi), non è però diagnostica di tale difetto rifrattivo, come comunemente si crede. In realtà la miopia rappresenta un difetto rifrattivo complesso per la cui gestione bisogna procedere con metodo: essa infatti richiede differenti approcci diagnostici e terapeutici a seconda che si presenti come assile, di curvatura o d’indice, che vanno dal semplice esame visivo allo studio dell’accomodazione, fino a quello dello stato clinico dei mezzi diottrici. Nell’età pediatrica tale difetto si presenta sotto molteplici aspetti clinici che possono, come ad esempio nel caso della miopia monolaterale elevata, essere anche responsabili di un mancato sviluppo della corteccia visiva cerebrale. Uno dei maggiori problemi che si stanno presentando nella società odierna è l’aumento “quasi esponenziale” della frequenza del difetto miopico nella popolazione specie pediatrica e giovanile, a tal punto da diventare una vera e propria emergenza sociale. Le diverse cause eziologiche di tale difetto rifrattivo ipotizzate nel corso degli ultimi decenni hanno portato a proporre i più disparati metodi terapeutici nel tentativo di controllo della progressione della miopia. Lo scopo di tale manuale è quello di fare il punto della situazione del difetto miopico al fine di consentire agli oculisti, più o meno giovani, un quadro chiaro e sintetico dello stato dell’arte della miopia e delle sue soluzioni gestionali. Luigi Mele Andrea Piantanida Mario Bifani
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La miopia e la sua correzione ottica
Indice 1. Miopia: principi fisici e fisiopatologia
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Definizione di “miopia” Principi di ottica e di ottica fisiopatologica Classificazione della miopia Le cause della miopia La diagnosi di miopia Miopia ed accomodazione I segni e i sintomi della miopia La correzione ottica della miopia 2. La miopia in età pediatrica
Pag. 23
Epidemiologia della miopia in età pediatrica La miopia precoce e la miopia scolare La miopia monolaterale elevata Gestione della miopia monolaterale elevata La miopia e le sindromi genetiche Controllo della progressione del difetto miopico in età pediatrica Bigliografia
Pag. 38
La miopia e la sua correzione ottica
1. Miopia: principi fisici e fisiopatologia
Definizione di “miopia” Il termine Miopia deriva dalla parola greca myopos che significa “socchiudere gli occhi”, un espediente effettivamente adottato dal miope per migliorare la nitidezza di ciò che sta osservando; le palpebre, se “strizzate”, funzionano come un diaframma naturale permettendo un aumento della profondità di campo. È quel vizio refrattivo in cui risulta alterata la proporzione tra il potere del diottro oculare e la sua lunghezza; in particolare uno dei due elementi è aumentato rispetto all’altro. Ciò comporta una focalizzazione, della luce in ingresso a tale sistema, su di un piano antecedente la retina qualora la luce stessa pervenga all’occhio con una vergenza nulla. Principi di ottica e di ottica fisiopatologica Quando la luce interagisce con la materia, subisce delle modifiche al suo percorso di propagazione nel senso che il fascio può essere completamente respinto, ed allora avremo la riflessione (Fig. 1); oppure potrà attraversare la materia, nel qual caso si parlerà di rifrazione (Fig 2), anche se in natura i due fenomeni sono sempre associati. Se consideriamo allora due mezzi 1 e 2 a diversa densità separati da un mezzo inerte e li facciamo attraversare da un fascio di luce, questo subirà le modifiche prima citate (Fig 3). Se consideriamo gli angoli formati dal fascio rifratto e riflesso si osserva che al variare dell’an-
Figura 1.1 Riflessione
Figura 1.1 Rifrazione
golo di incidenza varierà l’angolo di refrazione. Il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza ed il seno dell’angolo di rifrazione esprime una costante definita indice di rifrazione relativo (n). Sen d / sen f = n In base a questo appare chiaro che quanto più densa è una sostanza, minore sarà l’angolo di ri7
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Figura 1.3 a. raggio incidente; b: raggio riflesso; c: raggio
rifratto; d: angolo di incidenza; e: angolo di riflessione; f: angolo rifratto
Figura 1.4 Diottro sferico
frazione o meglio il fascio di luce sarà più rifratto. Assumendo che l’aria, che in natura è il mezzo meno denso, ha n=1, tutte le sostanze avranno un indice di rifrazione superiore ad 1. Il Diottro Sferico (Fig 4): è l’insieme di due mezzi otticamente distinti separati da una calotta sferica. Questa calotta avrà un vertice (ν), ed un centro di curvatura (c) la cui unione darà l’asse ottico principale (AO). Considerando un punto immagine P1 nel mezzo 1 da cui partono raggi luminosi incidenti con an8
goli molto piccoli sulla calotta, si avrà che questi raggi concorreranno tutti nel mezzo 2 in un punto P2 che è l’immagine di P1 data dal diottro. Ciò significa che con il modificarsi del diottro si modificherà anche l’immagine. Tutte queste variabili su esposte (raggi di curvatura, indici di rifrazione, distanza del punto oggetto dal vertice e distanza del punto immagine dal vertice), vengono correlate mediante la relazione dei punti coniugati per il diottro che recita: “ad un dato punto oggetto P1 posto sull’asse ottico ad una distanza nota dal vertice (f) di un diottro sferico, corrisponde un punto immagine P2 ad una data distanza dal vertice del diottro stesso” (Fig 5). Le lenti: Si definisce lente un mezzo trasparente, omogeneo, otticamente distinto dal mezzo circostante e da questo separato da due superfici generalmente sferiche. Quindi la lente sferica può essere definita come l’unione di due diottri sferici. A seconda del raggio di curvatura e dei parametri costruttivi le lenti potranno essere convesse ed avere la capacità di convergere i raggi luminosi (lenti positive “+”) oppure concave con capacità divergente (lenti negative “-“). Quando un punto oggetto proietta la sua immagine su di una lente questa concorrerà a far convergere/divergere i raggi luminosi da esso provenienti, in un punto posto dietro la lente stessa, detto punto focale o fuoco della lente (F) (Fig. 6). L’inverso della distanza intercorrente tra il centro della lente e il fuoco viene chiamato Diottria che esprime matematicamente la capacità di una lente di deviare i raggi luminosi. 1/d = D Il diottro oculare: L’occhio, schematicamente, ha un asse anteroposteriore di circa 23 millimetri
La miopia e la sua correzione ottica
Figura 1.5
a.
b.
Figura 1.6 a. Lente convergente; b. lente divergente
ed è costituito da diverse superfici curve ognuna delle quali con un determinato potere diottrico. Quindi l’occhio umano è la somma di diversi diottri sferici (Fig. 7). Perché si realizzi la visione, è necessario che un punto oggetto proietti i suoi raggi luminosi sulla Cornea che li converge sul Cristallino, il quale a sua volta li fa cadere in un punto ben preciso della retina, la Macula. Questa condizione, in cui i raggi cadono perfettamente a fuoco sulla retina è detta emmetropia (Fig. 8) Nel caso in cui l’asse anteroposteriore dell’oc-
Figura 1.7
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Figura 1.8 Emmetropia
chio sia maggiore del normale i raggi luminosi cadranno al davanti della retina, rendendo alterata la visione. Questa condizione è nota come miopia. (Fig 9) Perché un occhio miope possa vedere è necessario anteporre una lente con potere divergente che sposti il fuoco dei raggi sulla macula. Questa soluzione risolve i problemi della visione da lontano, ma introduce il problema della visione da vicino. Nella visione per vicino, il punto immagine è situato ad una distanza minore, rispetto al diottro oculare, di quello della visione per lontano. Ciò comporta che, secondo la relazione dei punti coniugati, per il diottro sferico il punto immagine si sposterà più dietro rispetto a prima. Il miope, perfettamente corretto nella visione per lontano con lenti negative, subirà uno sfuocamento visivo durante la lettura del giornale a causa dello spostamento del fuoco dietro la retina.
Figura 1.9
Miopia assiale. È determinata dalla presenza di un’eccessiva dimensione del bulbo oculare nel senso antero-posteriore. Tale condizione può legarsi al normale sviluppo corporeo correlato ad una dimensione, in età infantile, di un bulbo oculare già precocemente lungo. Questa forma di miopia avrà carattere progressivo durante tutta l’età dello sviluppo e, nella maggior parte dei casi, troverà definitivo compimento al suo termine (22-24 anni). Miopia da curvatura. Il difetto è generato da un eccesso di curvatura della superficie corneale e/o Classificazione della miopia La classificazione viene strutturata in base ai del cristallino. È di grande importanza, durante diversi parametri clinici e fisiopatologici presi in l’esame visivo, saper distinguere tra una miopia prodotta da reali errori di curvatura di origine considerazione: 10
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anatomica, da altri simili errori, a carico sempre delle facce del cristallino, generate da un atto iperaccomodativo, dovuta ad uno scorretto utilizzo della visione prossimale. In tali condizioni si genera un vero e proprio spasmo accomodativo. Miopia da indice. L’errore rifrattivo è legato all’aumento dell’indice di rifrazione dei mezzi in gioco. Ciò si verifica usualmente nelle fasi incipienti della cataratta, durante le quali l’inspessimento della zona nucleare del cristallino genera aumento dell’indice di rifrazione. Nel caso in cui si consideri l’entità del difetto refrattivo si avrà la seguente classificazione: Miopia lieve: entro le 3 D Miopia intermedia: tra le 3 D e le 6 D Miopia elevata: superiore alle 6 D Nel caso si consideri la presentazione clinica: Miopia fisiologica: ad insorgenza tardiva, non progressiva, difficilmente superiore alle 3 D e non correlata ad alterazioni del fondo oculare. Miopia patologica: ad insorgenza precoce, progressiva e correlata ad alterazioni del fondo oculare. Le cause della miopia Sebbene in letteratura non vi sia uniformità di vedute sulle cause e relativi meccanismi di influenza, è acclarato che la prevalenza di miopia fisiologica nella popolazione generale è nettamente superiore rispetto a quella patologica. L’ampia varietà di elementi che concorrono all’eziopatogenesi della miopia non permette tuttavia di definire in maniera inequivocabile il peso di ciascuno dei fattori di rischio nell’insorgenza di questo vizio di refrazione o nella sua progressione. Di fatto, in quanto malattia multifattoriale, esiste sicuramente una influenza sia ambientale
che genetica: quest’ultima, per quanto nessun gene specifico sia stato associato alla miopia fisiologica, trova comunque riscontro nella maggiore prevalenza di miopia tra i figli con uno o entrambi i genitori miopi. Resta tuttavia ancora da definire bene dove finisce il ruolo della genetica ed inizia quello dell’ambiente. E viceversa. A tal proposito si riportano i risultati di una interessante review: P. Distante at all. Boll. della Società Medico Chirurgica di Pavia 127(1):51-58 Lavoro da vicino e lettura: Il lavoro da vicino è uno dei fattori di rischio per la miopia più citati e numerose osservazioni lo supportano. Nel 1867 Cohn fu il primo a ritenere che il lavoro da vicino fosse causa di miopia funzionale dopo aver constatato che la percentuale di bambini miopi frequentanti le scuole tedesche era direttamente correlato agli anni di scolarizzazione. È stato notato inoltre che vi è una aumentata prevalenza di miopia in alcune professioni con intensa attività per vicino come i microscopisti. Nei numerosi studi trasversali condotti nell’ultimo decennio sono state usate misure quantitative dettagliate del lavoro da vicino e sono state fatte correzioni per altri potenziali fattori di confondimento. Nonostante ciò tali studi forniscono solo una debole evidenza che supporta l’ipotesi che il lavoro da vicino sia fattore di rischio per miopia ed inoltre presentano numerosi limiti, per i quali si rimanda nelle conclusioni. L’ampio studio SMS (Sydney Myopia Study), condotto da Ip et al. su 2339 bambini australiani di 12 anni (64.5% causasici, 15% asiatici) ha fornito dei risultati interessanti. Esso infatti suggerisce solo una minima correlazione tra aumento della miopia e ore spese in una continua e ravvicinata lettura (per un tempo >30 minuti 11
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ad una distanza <30cm): il tutto anche dopo la correzione dei fattori di confondimento come età, sesso, etnia, tipo di scuola, familiarità per miopia e tempo speso in attività all’aperto. Nello studio OLMS (Orinda Longitudinal Study of Myopia), condotto da Mutti et al. su 366 ragazzi prevalentemente bianchi di età media di 13 anni, il lavoro da vicino è stato quantificato come ore a settimana in attività extrascolastiche e suddiviso nelle sue varie componenti (lettura e studio a fini scolastici, lettura per piacere personale, televisione, gioco con videogames o computers): la più forte associazione fra miopia e lavoro da vicino riguarda lo studio/ lettura e la lettura per piacere. Sia in SMS che in OLMS la televisione e il gioco con videogames o computers non sono associati con miopia. È stato addirittura dimostrato che l’utilizzo prolungato di console portatili è associato ad una refrazione più ipermetropica. Dallo studio SCORMS (Singapore Cohort Study of Risk factors for Myopia), condotto da Saw su 1005 giovani scolari di 7-9 anni in Singapore (72% cinesi), emergono le correlazioni più significative tra miopia e lavoro da vicino. Quest’ultimo è stato valutato in questo caso come numero di libri letti in una settimana. Tale parametro è stato dimostrato essere associato a miopia elevata, a maggiore lunghezza assiale e ad esordio più precoce indipendentemente da altri fattori di confondimento. Il numero di libri letti a settimana si differenzia dalle precedenti misure quantitative del lavoro da vicino per il fatto che stima il reale adempimento piuttosto che il tempo impiegato nella sua realizzazione. Tuttavia i bambini con miopia più elevata e maggior numero di libri letti hanno anche esordio più precoce, sollevando la questione se il numero di libri letti costituisca 12
un marker surrogato di alcuni aspetti di sviluppo neurocognitivo e di intelligenza. A complicare ulteriormente il compito del ruolo da vicino vi è infatti l’associazione fra miopia ed abilità intellettuale, livello di istruzione e lag accomodativo. Accomodazione: Accomodazione, ampiezza accomodativa e lettura per vicino sono state e sono tuttora argomento di dibattito nell’eziopatogenesi della miopia; in letteratura sono stati considerati importanti corresponsabili nella progressione del difetto refrattivo miopico stesso. Non vi è tuttavia unanimità di opinioni in tal senso. Numerosi studi hanno dimostrato una minore accomodazione (A), convergenza accomodativa (CA) e un alto rapporto CA/A nei soggetti miopi (presenti già uno o due anni prima dell’insorgenza della miopia) rispetto ai soggetti emmetropi. Si è ipotizzato pertanto che il minor utilizzo dell’accomodazione durante l’attività per vicino, concorra all’allungamento del bulbo e quindi alla progressione della miopia, come è stato dimostrato in modelli animali. Mutti et al. dimostrano come non vi sia un sostanziale ed effettivo lag accomodativo in bambini miopi prima dell’insorgenza della miopia rispetto a bambini emmetropi. Un ritardo di accomodazione viene documentato solamente dopo l’insorgenza della miopia. Pertanto concludono come tale difetto accomodativo sia una conseguenza della miopia piuttosto che una causa. A sostegno, altri autori, documentano come il fattore più importante correlato alla miopia sia la familiarità e che l’attività per vicino, lo studio piuttosto che il minor tempo impiegato in attività sportiva, siano fattori minori ed indipendenti per l’insorgenza e la progressione della miopia. Non vi è quindi accordo in letteratura circa il con-
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tributo che l’accomodazione possa dare nell’eziopatogenesi del difetto refrattivo miopico. Intelligenza: Numerosi studi hanno evidenziato come elevati livelli di quoziente intellettivo (QI) siano associati ad un vizio refrattivo di tipo miopico in popolazioni di razza differente. Nel 1987 uno studio condotto in Israele su 157.748 maschi ebrei di età compresa tra i 17 e 19 anni ha rilevato un aumento di prevalenza della miopia dall’8% in individui con quozienti intellettivi molto bassi (QI≤80 nel test verbale di Otis e delle matrici non verbali) al 27.3% in individui con quozienti intellettivi più alti (QI≥128). Nel 2004 Saw in un gruppo di 1.204 bambini cinesi di età compresa tra 10 e 12 anni ha riscontrato che la presenza di miopia era associata in maniera statisticamente significativa a livelli alti di QI non verbale (quartile più alto) rispetto a livelli bassi (quartile più basso): anche in questo caso, i dati erano stati corretti in base ad età, sesso, scuola, miopia dei genitori, istruzione del padre e numero di libri letti alla settimana. Inoltre, i bambini con livelli di QI non verbale più alto presentavano una refrazione di tipo miopico e una lunghezza assiale maggiore in misura statisticamente significativa rispetto a quelli con livelli di QI più bassi. Pertanto, per spiegare l’associazione tra miopia e intelligenza riscontrata nei vari studi vennero formulate diverse ipotesi. In particolare due sono le più rilevanti: la prima riconosce come causa di tale relazione la genetica, la seconda invece l’ambiente. L’ipotesi genetica nacque dalle evidenze emerse da diversi studi relativi all’importanza dei fattori genetici nello sviluppo sia dell’intelligenza che della miopia. Sulla base di queste evidenze vennero elaborate due teorie: la prima riteneva che tra intelligenza e miopia vi
fosse una relazione pleiotropica in senso stretto, ossia che lo sviluppo di entrambe queste caratteristiche sarebbe influenzato dallo stesso gene o gruppo di geni; ad essa si contrapponevano i modelli pleiotropici in senso lato, che ritenevano che fossero dei fattori ambientali i responsabili della documentata associazione tra intelligenza e miopia (le quali però sarebbero state singolarmente e rispettivamente determinate da fattori genetici distinti). In particolare i modelli pleiotropici in senso lato si basavano su due ipotesi distinte: la prima prevedeva che un soggetto geneticamente miope avrebbe privilegiato le attività per vicino e lo studio, che a loro volta avrebbero portato il soggetto a ottenere risultati migliori nei test atti a valutare il quoziente intellettivo; la seconda prevedeva che un quoziente intellettivo più alto determinato geneticamente e da fattori ambientali avrebbe causato, attraverso una privilegiata attività per vicino (quale la lettura), uno stress maggiore sui tessuti oculari: ciò sarebbe a sua volta all’origine di un maggiore allungamento del bulbo e quindi di un vizio refrattivo di tipo miopico. Sulla base di queste teorie si è iniziato ad ipotizzare ed indagare quali potessero essere i geni responsabili di entrambe le caratteristiche: una delle ipotesi è stata quella formulata da Miller secondo cui gli stessi geni potrebbero essere i responsabili del determinismo da una parte della dimensione del bulbo oculare (associata alla miopia) e dall’altra della dimensione della neocorteccia (associata all’intelligenza). Nell’ambito delle teorie che riconoscono fattori ambientali all’origine dell’associazione tra intelligenza e miopia numerosi studi hanno messo in evidenza l’importanza che può avere il livello di istruzione (come conseguenza della quantità di 13
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tempo dedicato alle attività di vicinanza quali la lettura e lo studio) dei soggetti stessi nella patogenesi di questo rapporto: un livello di istruzione più elevato rifletterebbe un aumentato quoziente intellettivo a sua volta determinato da una aumentata attività per vicino che condizionerebbe una aumentata prevalenza di miopia, come sottolineato in precedenza. Nell’ambito della patogenesi ambientale è inoltre importante sottolineare come sarebbe importante condurre studi che possano valutare il peso reciproco di tre fattori rappresentati da intelligenza, istruzione e tempo passato all’esterno: sono infatti numerosi gli studi pubblicati più di recente e che hanno riconosciuto nell’aumento del tempo passato all’aperto (e quindi nel minor tempo dedicato alle attività di vicinanza) un fattore protettivo per lo sviluppo della miopia. È da ricordare tra le teorie patogenetiche di tipo ambientale anche il modello del neurone ingrandito proposto nel 1999 da Storfer. Egli suggeriva che l’esposizione ad un ambiente visivamente complesso potesse portare in aree della neocorteccia ad un ingrandimento di specifici neuroni (deputati ad assimilare, categorizzare ed analizzare gli input visivi) che si sarebbero dimostrati in studi postmortem essere tipici di soggetti intellettualmente dotati (un esempio a conferma sarebbe la corteccia associativa polisensoriale particolarmente sviluppata nel lobo parietale di Einstein). I neuroni così detti ingranditi avrebbero portato, attraverso una via neuro-chimica diretta all’occhio, all’allungamento del bulbo oculare e quindi alla miopia in questi stessi soggetti. In base a questo modello il fatto che maschi e femmine abbiano uguali quozienti intellettivi sarebbe determinato da una uguale entità di stimolazione visiva complessa nei due 14
sessi; il fatto però che il cervello femminile sia in dimensioni e peso inferiore a quello maschile del 10% implicherebbe un maggior stress applicato per ogni singolo neurone e quindi una maggiore pressione espansiva sulle vie ottiche nel cervello femminile. Ciò dovrebbe provocare una aumentata prevalenza di miopia nei soggetti con quozienti intellettivi più elevati (e quindi sottoposti ad uno stress visivo ambientale maggiore) di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile. Il rapporto tra fattori ambientali e genetici nella patogenesi della relazione tra intelligenza e miopia è stato indagato da un recente studio epidemiologico: tra miopia ed istruzione è stata riscontrata esserci una interazione “gene by environment”, in cui il livello di istruzione di un soggetto potrebbe influenzare il rischio genetico di miopia dello stesso. Un soggetto geneticamente predisposto alla miopia con un livello elevato di istruzione avrebbe un rischio molto maggiore di sviluppare tale vizio refrattivo rispetto ad un soggetto con uno solo di questi due fattori di rischio. Dal punto di vista patogenetico una spiegazione possibile potrebbe risiedere nel fatto che il livello di istruzione (causa o effetto di un quoziente intellettivo più elevato), conseguenza di un’aumentata attività per vicino e di una minore esposizione al fattore protettivo rappresentato dall’attività all’aria aperta, potrebbe portare ad una up-regulation dei geni responsabili dell’allungamento del bulbo e quindi allo sviluppo di miopia. È importante sottolineare che un limite importante di tutti gli studi volti ad indagare la relazione tra miopia e intelligenza risiede nel fatto che, come surrogato per valutare quest’ultima caratteristica, vengono utilizzati test che valutano il quoziente intellettivo; i risultati a questi test possono migliorare nel
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tempo a causa dell’effetto apprendimento che si verifica e, inoltre, livelli di quoziente intellettivo più alto possono riflettere non tanto (o perlomeno non solo) livelli di intelligenza superiori dei soggetti in esame ma un loro maggiore impegno e motivazione, aspetti anch’essi che esulano dall’intelligenza in sé. Esposizione alla luce artificiale ed ambientale: Nel vasto panorama dei fattori di rischio e dell’eziopatogenesi della miopia si inseriscono anche l’influenza della luce ambientale ed il livello di urbanizzazione, da intendere nel senso più ampio del termine. In entrambi i casi gli studi finora condotti non giungono ad un giudizio complessivo ed univoco capace di rendere questi due fattori assolutamente responsabili dell’insorgenza della miopia, soprattutto in virtù delle numerose variabili che entrano in gioco e che sono difficili da analizzare ogni volta tutte insieme. In uno studio del 2008 condotto in Polonia da Czepita et al. su 2.206 studenti, si è rilevato che studenti viventi in città avevano una prevalenza di miopia doppia rispetto a quelli viventi in campagna. Uno studio pubblicato su Nature da Quinn et al. ha analizzato il ruolo dell’esposizione alla luce durante le ore di sonno notturne nei bambini fino all’età di due anni attraverso la somministrazione di appositi questionari compilati dai genitori. Le palpebre degli adulti e quelle dei bambini infatti lasciano passare i raggi luminosi soprattutto a maggiori lunghezze d’onda, con una sensibilità retinica scotopica che è maggiore nei primi mesi di vita rispetto all’età adulta. Nello studio si è dimostrato che l’incidenza di miopia nell’infanzia era nettamente maggiore nei bambini che nei primi due anni di vita
avevano dormito con la luce accesa, con una relazione rivelatasi dose-dipendente. Sebbene queste evidenze non stabiliscano un rapporto di causalità, la forza della correlazione tra insorgenza di miopia ed esposizione alla luce durante le ore notturne suggerisce che l’assenza di un periodo giornaliero di buio è un potenziale fattore precipitante lo sviluppo della miopia. Non tutti gli altri studi sono stati tuttavia in grado di evidenziare lo stesso tipo di correlazione e, anzi, l’incidenza di miopia è risultata in alcuni casi essere maggiore nei bambini che dormivano al buio, sebbene le correlazioni non fossero statisticamente significative. Per contro, il ruolo protettivo dell’esposizione alla luce sembra invece essere legato alla dopamina, la quale, rilasciata in maniera luce-sensibile dalle cellule amacrine, è anche capace di inibire l’allungamento assiale nella miopia sperimentale. Anche particolari cellule ganglionari retiniche intrinsecamente fotoresponsive intervengono nell’attivazione del sistema retinico dopaminergico. Studi sperimentali che hanno utilizzato agonisti e antagonisti specifici della dopamina hanno evidenziato il coinvolgimento del recettore D2, la cui attivazione rallenta l’allungamento assiale e lo sviluppo della miopia indotta. Anche dallo studio SMS, citato in precedenza, emerge che il tempo trascorso in attività all’aperto sembra conferire una modesta ma significativa riduzione del rischio di sviluppo e progressione della miopia e risulta associato ad una riduzione della lunghezza assiale. Ci sono una miriade di meccanismi attraverso i quali il tempo trascorso all’aperto può essere fattore protettivo nei confronti della miopia: l’aumentato rilascio di dopamina a livello retinico 15
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in risposta alla luce del sole, l’aumentata intensità della luce all’aperto e la ridotta richiesta accomodativa per la visione a distanza. Un’ulteriore, ma meno probabile, considerazione è che il tempo speso all’aperto sostituisce il tempo impiegato in attività di lettura. Anche un recente studio di Read et al. conferma il ruolo della luce nell’eziopatogenesi della miopia; in questo caso sono stati misurati i livelli di luce cui i bambini erano esposti ed il tempo trascorso nell’ambiente esterno: entrambi risultavano essere più bassi nei soggetti miopi rispetto a quelli emmetropi. Rispetto all’ambiente esterno infatti, dove i livelli di luce superano i 130.000 lux al sole e i 15.000 lux all’ombra, negli ambienti interni frequentati dall’uomo tali livelli sono inferiori a 1.000 lux e solitamente compresi tra 100 e 500 lux. L’attività fisica invece non interviene nella patogenesi della miopia. Questo è solo un esempio riguardante il ruolo protettivo svolto dall’esposizione alla luce e dalle attività all’aperto, ma sono davvero numerosi gli studi che concordano con quanto appena affermato. Nutrizione: Diversi studi hanno considerato gli effetti della dieta e della nutrizione come possibili fattori eziopatogenetici per la miopia o la sua progressione. Tuttavia vi è ancora una certa inconsistenza nei risultati. Già nella seconda metà del XIX secolo, si faceva strada la possibilità che variazioni nutrizionali potessero essere correlate alla miopia: in particolare pazienti con miopia stazionaria consumavano più proteine e meno grassi rispetto ai pazienti con miopia progressiva. Per questo motivo, al fine di arrestare o per lo meno rallentare la progressione della miopia veniva suggerito di aumentare l’intake proteico con la dieta. Studi recenti sembrereb16
bero invece attribuire al maggior consumo di grassi saturi e all’aumento del colesterolo una maggiore lunghezza assiale. Cordain et al. propose nei suoi studi una correlazione tra iperinsulinemia e miopia. Secondo l’Autore l’iperinsulinemia cronica giocherebbe un ruolo nell’insorgenza della miopia giovanile attraverso un’interazione con la regolazione ormonale della crescita della camera vitrea. L’iperinsulinemia compensatoria, attraverso la riduzione della concentrazione plasmatica di IGFBP-3, provocherebbe un aumento della crescita sclerale attenuando l’abilità dei retinoidi endogeni di attivare i geni che normalmente limiterebbero la proliferazione cellulare sclerale. Inoltre l’iperinsulinemia indotta dalla dieta cronicamente, aumenta l’IGF-1 che opererebbe sinergicamente con la riduzione del IGFBP-3 plasmatico nell’accelerare la crescita tissutale sclerale. A sostegno di questa ipotesi vi sono dati in letteratura che mostrano una minor incidenza della miopia in popolazioni con limitato accesso ai carboidrati con elevato indice glicemico ed una maggiore incidenza di miopia in popolazioni con dieta tipicamente occidentale. Diversi lavori pongono attenzione sul legame tra apporto di grassi e miopia con risultati però incerti. È stata riportata una relazione protettiva tra allattamento al seno e miopia in uno studio svolto su bambini asiatici in età scolare. Poiché il latte materno è una fonte di acidi grassi polinsaturi (PUFA) come l’acido docosaesaenoico (DHA) che svolge un importante ruolo nello sviluppo dei fotorecettori e della corteccia visiva, un deficit di PUFA sarebbe implicato nella patogenesi della miopia. Infine, nel 2014, Choi et al. hanno studiato
La miopia e la sua correzione ottica
il ruolo della vitamina D nell’insorgenza della miopia in 2038 adolescenti coreani di età compresa tra 13 e 18 anni. In particolare hanno valutato il consumo di alcol e l’abitudine al fumo, l’intake di Ca++ con la dieta e il consumo di latte e pesce, l’attività fisica e misure antropometriche. Inoltre hanno misurato i livelli ematici di 25-idrossi vitamina D (25(OH)D). Gli autori hanno trovato una significativa correlazione tra basse concentrazioni ematiche di 25(OH)D e miopia. La concentrazione di 25(OH)D nello studio era un fattore predittivo indipendente dell’errore refrattivo dopo correzione di altri fattori come età, sesso, area di residenza, reddito dei genitori, intake calorico, consumo di latte, consumo di Ca++ quotidiano, abitudine al fumo. L’associazione è stata trovata ancor più significativa nel gruppo con miopia elevata (> -6D). La spiegazione proposta dagli autori risiederebbe nel meccanismo di contrazione/rilasciamento del muscolo ciliare in quanto la vitamina D è associata ad alterazioni del Ca++ intracellulare. Inoltre alterazioni nell’omeostasi del Ca++ porterebbero deformità cranio-orbitarie che potrebbero condurre a miopia.
La diagnosi di miopia La retinoscopia statica con specchio piano: è l’esame di rifrazione oggettiva svolta mentre il soggetto osserva un target posto a distanza elevata (5/6 m), in modo da poter minimizzare l’attività rifrattiva dell’accomodazione. Per comodità descrittiva, e trattandosi di ametropia sferica quale miopia, è possibile utilizzare lo specchio piano (fig. 10) che produce un fascio parallelo (o leggermente divergente) di luce uscente, come se la sorgente fosse posta dietro l’operatore, alla stessa altezza dell’occhio esaminato ed in condizione di media illuminazione ambientale; anteponendo una lente positiva di potere diottrico compensatore della distanza di lavoro. Poste queste premesse operative, si dovrà tenere presente che: • L’immagine neutra si presenta in caso di emmetropia: il piano retinico si coniuga con il piano di osservazione dell’occhio dell’operatore; • Il movimento discorde si potrà evidenziare in caso di miopia: dove il piano retinico si coniuga in un piano tra operatore e soggetto
Figura 1.10
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(vergenza in uscita negativa); • Il movimento concorde indica la presenza di ipermetropia: la coniugazione del piano retinico si ha con un piano oltre l’occhio che osserva nello strumento (dovuto a vergenza in uscita positiva). Con queste conoscenze l’operatore è in grado di iniziare il suo “spazzolamento” e cercare di individuare con precisione lo stato refrattivo dell’esaminato. Il principio fondamentale è quello di arrivare a individuare l’immagine neutra, quindi conoscendo dove si trova la coniugazione tra i piani, l’operatore sceglierà lenti positive e negative in modo da avvicinare il piano di coniugazione del riflesso al piano situato nel punto di osservazione; fino a osservare l’intero campo pupillare illuminato. Il risultato finale sarà raggiunto nel momento in cui spazzolando nelle varie direzioni, il riflesso rimane costantemente neutralizzato. Se lo specchio in uso è piano, la scelta delle lenti, in base al tipo di movimento sarà la seguente: • MOVIMENTO CONCORDE → Lente POSITIVA (convessa) • MOVIMENTO DISCORDE → Lente NEGATIVA (concava) Se lo specchio produce un fascio convergente, quindi concavo, la scelta delle lenti sarà esattamente opposta in base al tipo di movimento: • MOVIMENTO CONCORDE → Lente NEGATIVA (concava) • MOVIMENTO DISCORDE → Lente POSITIVA (convessa) Il valore diottrico delle lenti con cui si arriva alla “neutralizzazione”, cui va sottratta algebricamente la lente di compensazione della distanza di lavoro, fornisce il risultato della refrazione 18
oggettiva. L’entità dell’ametropia che si ricava è specifica per il piano di anteposizione delle lenti, sia esso dell’occhialino di prova o del forottero usato. Quindi anteponendo le dovute lenti e supponendo che l’osservatore sia a 67 cm di distanza, la ametropia “A” rilevata con la retinoscopia potrà essere calcolata nel seguente modo: A = (valore lordo delle lenti utilizzate) – (lente di compensazione) [D] Pertanto il valore della ametropia corrisponde al netto delle lenti utilizzate dal momento in cui si inserisce il fattore di compensazione; se si usa la lente R (+1.50D) presente sul forottero basterà leggere l’ammontare delle lenti. Dopo aver neutralizzato un meridiano principale, si imprimerà il movimento sull’asse ortogonale per osservare il meridiano opposto, se questo risulterà ancora neutralizzato con lo stesso ammontare delle lenti si è di fronte alla situazione indicante la presenza di un errore refrattivo di tipo sferico. Miopia ed accomodazione In un sistema ottico privo di difetti ottici (aberrazioni), per ogni punto dell’asse ottico, ove si ponga un radiatore puntiforme monocromatico, corrisponde un solo punto immagine. Questi due punti sono detti coniugati (Fig. 10). Nell’occhio lo schermo (la retina) è ad una distanza costante e la coniugazione delle immagini avviene grazie alla modificazione accomodativa del cristallino. Il punto prossimo (P) rappresenta la distanza minima alla quale può trovarsi un oggetto per essere visto in modo chiaro, sfruttando tutta l’accomodazione di cui dispone il cristallino. Il punto remoto (R) invece è il punto coniugato della retina in assenza di accomodazione; rap-
La miopia e la sua correzione ottica
Figura 1.11
presenta la distanza alla quale un oggetto viene messo a fuoco senza impiego accomodativo. Esso varia la sua posizione con l’insorgenza o la variazione di ametropie. L’ampiezza accomodativa (AP) è la variazione di potere che il cristallino è capace di effettuare affinché l’immagine retinica rimanga nitida quando un oggetto fissato si sposta tra punto prossimo e punto remoto. Nelle ametropie non corrette con occhiali l’accomodazione non è la stessa che sfrutta un soggetto emmetrope: un miope ad esempio, ha il punto prossimo più vicino e quindi accomoda di meno (Fig. 11). Il punto remoto nell’occhio miope è posto ad una distanza finita davanti all’occhio ed è il punto più lontano che l’occhio miope può vedere nitido. Oltre esso lo spazio visivo è sfuocato. Detta distanza è inversamente proporzionale all’entità della miopia (più è elevata la miopia più il punto remoto è vicino all’apice dell’occhio). Avvicinando progressivamente l’oggetto sfuocato dall’infinito, esso incontrerà il punto remoto e sarà visto nitido. Da lì in poi si attiverà il processo accomodativo.
Il punto remoto è reale e posto ad una distanza in metri dal piano principale dell’occhio pari all’inverso della quantità diottrica della miopia. Al contrario il reciproco della distanza in metri dal piano principale del punto remoto ci dà in diottrie il valore della miopia. Il punto prossimo del miope invece, se l’occhio è in grado di esercitare l’accomodazione, sarà più vicino di quello dell’occhio emmetrope ad una distanza in metri pari al reciproco della quantità diottrica della miopia sommata all’ampiezza accomodativa dell’occhio (che è in funzione dell’età). A parità di accomodazione esercitata, la distanza dall’occhio del punto prossimo si riduce in modo inversamente proporzionale all’entità della miopia (più è alta la miopia più si riduce la distanza del punto prossimo e più esso si avvicina all’occhio). Progressivamente con la riduzione della capacità accomodativa del cristallino il punto prossimo si allontanerà sino a coincidere col punto remoto. L’effetto della miopia e quello della presbiopia si sottraggono tra loro. Avvicinando un oggetto, superato il punto remoto si attiverà il processo accomodativo. 19
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I segni e i sintomi della miopia (Fig. 12) Il sintomo principale è caratterizzato dalla ridotta acuità visiva a distanza. La distanza alla quale il soggetto ottiene un’immagine nitida è data dall’entità del punto remoto e quella dell’ ametropia. Esempio: Miopia di 4 D PR = 1/4 = 0.25 m L’osservazione oltre i 25 cm risulta sfuocata. La visione nitida si estende poi sino al punto prossimo, ma nei casi di ametropia elevata l’intervallo di visione nitida o IVN è molto ridotto. Sintomo associato è la riduzione della distanza di lettura; mentre segno caratteristico è quello di socchiudere gli occhi quando si guarda in lontananza al fine di ridurre l’ampiezza del forame pupillare ed aumentare la profondità di campo. Clinicamente invece sono presenti segni al fondo oculare quali: – Alterazioni vitreali – Lesioni regmatogene – Distacchi retinici
La correzione ottica della miopia La compensazione della miopia riveste forme di diversità a seconda di caratteristiche legate sia all’età del soggetto ametrope, sia al valore del difetto. Nell’età della scolarizzazione e comunque durante l’adolescenza la correzione ottica deve essere totale ed usata a permanenza. È dimostrato infatti che il regolare sviluppo caratteriale e cognitivo di ogni persona è fortemente influenzato da una corretta percezione visiva dello spazio. È necessario, salvo rare eccezioni, sfatare l’idea che il giovane miope, che ha capacità di vedere bene senza occhiali da vicino, abbia giovamento dal non usare la compensazione in tutte le attività prossimali. Infatti, rimuovere la correzione durante lo studio, la lettura ecc. implica l’obbligare il sistema visivo ad un elevato sforzo tra le attività di accomodazione e di convergenza, che invece normalmente devono essere tra loro molto armonizzate.
SINTOMATOLOGIA SOGGETTIVA
OGGETTIVA
VISIONE SCARSA DA LONTANO
SCARSA ACUITÀ VISIVA DA LONTANO
VISIONE BUONA DA VICINO
BUONA ACUITÀ VISIVA DA VICINO TENDENZA A FESSURARE GLI OCCHI
FOTOFOBIA PUNTO PROSSIMO PIÙ VICINO ASTENOPIA MIODESOPSIE
MIDRIASI ESOFTALMO ANOMALIE DEL FONDO OCULARE
Figura 1.12
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La miopia e la sua correzione ottica
Figura 1.13
Non è infrequente imbattersi, durante gli esami rifrattivi, in giovani adulti miopi affetti da pigrizia accomodativa, generata da lunghi anni di mancata o sottostimata correzione. Nel soggetto adulto, il ridursi delle doti di plasticità biologica, obbliga frequentemente ad abbandonare il concetto di totale correzione a favore di una compensazione di compromesso. La correzione si porrà a metà strada tra un eccellente visus da lontano e un buon confort nelle normali abitudini lavorative. La correzione della miopia si effettua mediante l’uso di lenti oftalmiche di potere negativo (divergenti) che allungano la focale per arretrarla sulla fovea centrale (fig.13). Sono caratterizzate da una parte centrale più sottile rispetto alla periferia. L’espediente è quello di porre il fuoco immagine di una lente negativa, con la lunghezza focale pari “o quasi” (meno la distanza piano principale-lente) a quella del punto remoto prodotto dalla miopia in questione, affinché i raggi incidenti
sull’occhio è come se provenissero dall’infinito, come in un occhio emmetrope. L’introduzione di una lente negativa, con la modalità suddetta, provocherà uno spostamento all’indietro del fuoco immagine che andrà a fuoco sulla retina. In altre parole bisogna far coincidere l’infinito oggettivo con l’infinito soggettivo dell’occhio (punto remoto). Una correzione più bassa della miopia presente (ipocorrezione) migliorerà la qualità dell’immagine posta all’infinito ma essa rimarrà sfocata. Una correzione eccessiva sconfinerà in una ipermetropia artificiale, equivalente alla somma algebrica del potere reale della miopia e il potere della lente. Questo attiverà il processo accomodativo e la problematica diventerà simile a quella dell’ipermetropia. L’ipercorrezione miopica, va evitata in quanto induce stress visivo soprattutto da vicino e può predisporre la miopia a peggiorare.
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La miopia e la sua correzione ottica
2. La miopia in età pediatrica
Epidemiologia della miopia in età pediatrica La miopia è uno dei difetti rifrattivi più comuni nell’età infantile ed adolescenziale. In generale il difetto miopico è causa di difficoltà visive anche gravi , che nei casi di miopie particolarmente elevate possono associarsi a “minorazioni visive” dovute ad ambliopia profonda od a patologie, più frequenti in verità nell’età adulta, quali retinopatie, distacco di retina, maculopatie, cataratta e glaucoma. Da non dimenticare come nell’età pediatrica la miopia, specie se elevata, sia uno dei segni di sindromi geneticamente determinate. Gli studi epidemiologici degli ultimi decenni hanno ben documentato la prevalenza del difetto miopico nella popolazione infantile, i fattori di rischio e l’associazione di tale difetto rifrattivo a determinati quadri patologici. I più recenti studi epidemiologici inoltre, hanno evidenziato un aumento negli ultimi cinquant’anni della prevalenza della miopia nella popolazione a cominciare fin dall’infanzia. Diversi fattori ambientali così come alcuni meccanismi biologici sono stati chiamati in causa nell’aumento della presenza della miopia nella popolazione pediatrica, a conferma di come tale difetto rifrattivo sia
dipendente dalla commistione e dall’interazione reciproca di “predisposizione genetica” e “fattori di rischio” esterni. Gli studi più recenti definiscono un paziente miope quando il suo equivalente sferico sia minore od uguale a - 0,5 diottrie, sebbene esistano ancora notevoli differenze tra gli studi epidemiologici nello stabilire i metodi di misura del difetto rifrattivo e di coinvolgimento della popolazione interessata. La prevalenza della miopia nell’età pediatrica, ossia la percentuale di presenza di tale difetto rifrattivo nella popolazione, varia a seconda della razza, dell’età e dell’ambiente esterno. La prevalenza di tale difetto rifrattivo nei bambini nei primi 6 anni di vita viene riferita dalla letteratura pari ad 1,2% nella razza bianca, 3,7% nella razza ispanica, 3,98% nella razza asiatica e 6,6% nella razza nera americana. Ancora più grande risulta la differenza razziale man mano che consideriamo età maggiori: viene riportata una prevalenza pari al 42,7% a 12 anni ed al 59,1% a 17 anni nella razza asiatica, pari invece all’ 8,3% ed al 17,7% nella razza bianca caucasica considerando le medesime età. I dati della prevalenza della miopia sono ulteriormente in aumento se consideriamo alcune zone specifiche 23
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del pianeta. L’est ed il sud-est asiatico appaiono le regioni con il maggior numero di miopi che raggiungono una prevalenza nella popolazione cinese pari al 16,2% nelle campagne ed a circa il 38% nelle città del sud. Eccezionalmente la popolazione mongolica con il 5,8% e quella nepalese con l’1,2% sembrano differire dai dati tipici dei paesi e della razza asiatica. Se analizziamo l’incidenza della miopia nella popolazione pediatrica, ossia il numero di nuovi casi in una data popolazione, i dati confermano le differenze razziali. Si passa da un’incidenza dell’1,3% a 12 anni e del 2,9% a 17 anni nella razza caucasica, ad un’incidenza pari al 6,9% a 12 anni ed al 7,3% a 17 anni, nella razza asiatica. Concludendo è opinione comune, confermata dalla maggioranza degli articoli presenti in letteratura, che il difetto miopico sia in aumento nella popolazione pediatrica col passare degli anni, raggiungendo un picco di prevalenza nell’età adolescenziale. L’esatto meccanismo eziopatogenetico della miopia rimane poco chiaro ed incerto, presumibilmente la miopia dipende dall’interazione di fattori genetici ereditari ed ambientali: la miopia presente nei genitori, il sesso, la razza, il tipo di occupazione, il livello sociale, l’impegno di studio, l’attività all’aria aperta, l’opacità del cristallino e le dimensioni del bulbo, sono tutti cofattori che sono stati considerati come possibili influenze nell’insorgenza e nella eventuale progressione del difetto miopico. Secondo i dati riportati in letteratura l’avere i genitori miopi aumenta il rischio di presentare lo 24
stesso difetto miopico nel bambino. Il rischio di insorgenza della miopia viene riferito del doppio nei bambini con un genitore miope e del triplo in bambini con entrambi i genitori miopi. Differenti sono invece i dati riguardanti il possibile collegamento dell’insorgenza della miopia con l’impegno visivo da vicino comparato con le attività all’aria aperta. Pur se apparentemente sembrerebbe che l’impegno per vicino sia determinante nell’aumento della lunghezza del bulbo oculare, specie nei soggetti con miopia insorta precocemente o miopia progressiva, gli studi che mettono in collegamento lo sforzo accomodativo con l’insorgenza e la progressione del difetto miopico appaiono contrastanti. I dati della letteratura raccolti in tal senso non evidenziano in maniera univoca come l’impegno per vicino sia responsabile dell’insorgenza della miopia o del suo aumento. Per quanto riguarda l’attività all’aria aperta il meccanismo alla base di un possibile vantaggio sembrerebbe il rapporto “luce-dopamina”. L’aumento del contatto con la luce nelle attività passate all’aria aperta aumenterebbe la secrezione di dopamina che sarebbe responsabile di una riduzione dell’allungamento del bulbo oculare. Ma anche per questo possibile fattore coinvolto i dati recenti della letteratura sembrerebbero non confermare un reale vantaggio dell’attività all’aria aperta nel controllo della progressione della miopia. La metanalisi dei numerosi studi condotti prevalentemente sulla popolazione asiatica, conferma un effetto preventivo dell’attività all’aria aperta in particolar modo sull’insorgenza della miopia
La miopia e la sua correzione ottica
e sulla progressione dello shift miopico, ma paradossalmente tali dati non risultano influire sul rallentamento della progressione miopica nei soggetti pediatrici già miopi. È unanime giudizio della comunità scientifica che ulteriori studi in cui sia valutato adeguatamente il numero di ore passate all’aria aperta e la loro quantificazione metodologicamente corretta, consentirà di dare una risposta scientificamente valida. Lo stato socio-economico ed il livello di istruzione messi in relazione con una maggior presenza del difetto miopico in tali strati della popolazione, non sarebbero altro che l’espressione dell’impegno visivo per vicino che sarebbe responsabile di un aumento dell’allungamento del bulbo oculare, ma anche in questi casi i dati sono molto contrastanti. Il vero problema di questi studi sta nella mancanza di standardizzazione del metodo di misura dell’impatto che i supposti fattori di rischio o protezione eserciterebbero sul difetto miopico, non consentendo una corretta equiparazione tra le differenti categorie considerate. È indubbio peraltro, a conclusione di questo capitolo, sottolineare la necessità che comunque una corretta “igiene oculare”, ossia un corretto comportamento nella gestione del paziente miope specie in tenera età, sia di fondamentale importanza nel controllo della progressione del difetto miopico e del conseguente sviluppo visivo. La miopia non corretta fin dai primi anni di vita, o corretta in maniera inadeguata causa sicuramente una difficoltà di sviluppo della corteccia visiva cerebrale determinando ambliopie di difficile soluzione.
La miopia precoce e la miopia scolare L’esame della rifrazione dovrebbe essere eseguito già nei primi mesi di vita del bambino. Normalmente nei primissimi mesi di vita si evidenzia un’ipermetropia dovuta alla ridotta lunghezza assiale del bulbo oculare, che generalmente si attesta intorno ai 17 mm. In alcuni casi però è possibile evidenziare delle miopie poi non presenti nei mesi successivi. Ciò probabilmente dipende dalla non completa maturazione del sistema visivo del bambino che presenta un potere diottrico corneale elevato, circa 50 diottrie, ed un punto remoto estremamente ravvicinato con una miopia d’indice, che potremmo definire “ transitoria”, non compensata sufficientemente dall’ipermetropia fisiologica e destinata a scomparire in breve tempo, come evidenziato in letteratura da Grosvenor negli anni 90, a seguito della crescita del bulbo oculare e delle modificazioni morfologiche conseguenti. È buona regola pertanto non prescrivere occhiali nei primissimi mesi di vita attendendo una stabilizzazione del sistema ottico dell’occhio con la crescita. Già verso il decimo - dodicesimo mese di vita si può dar credito al difetto rifrattivo rilevato. Prima di procedere alla prescrizione di una correzione miopica però, va sempre considerata l’entità del difetto presente e come questo possa influenzare il corretto sviluppo della corteccia visiva. Bisogna infatti tenere presente che il difetto miopico se di lieve entità e non associato a difetto astigmatico, è molto meno ambliopizzante sia dell’ipermetro25
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pia sia dell’astigmatismo stesso, in quanto il mondo del piccolo paziente risulta ravvicinato in una zona di visione che spesso viene poco influenzata dal difetto miopico di modesta entità. Inoltre bisogna considerare che l’oggetto occhiale viene difficilmente tollerato dal piccolo paziente se questo non comporta un evidente vantaggio visivo. Al contrario di quanto comunemente ritenuto, specie dai genitori, è molto facile far indossare occhiali a bambini in tenera età, se questi presentano un difetto elevato la cui prescrizione porta un sicuro vantaggio visivo che si riflette sulle capacità di performance del piccolo paziente. È invece molto più difficile convincere un bambino ad indossare un paio di occhiali che non comportano una grossa differenza nella messa a fuoco del mondo circostante rispetto alla visione naturale presente. Comunque sia è bene ricordare, come riferisce G.P. Paliaga nel testo “I vizi di refrazione” che “la normalizzazione totale della situazione ottica ed accomodativa di una miopia si ottiene solo prescrivendo la correzione totale del vizio rifrattivo da usare a permanenza”. Questo modo di procedere, necessario per un corretto sviluppo della corteccia visiva cerebrale nel periodo plastico, non si riesce ad applicare con facilità nel paziente adulto, il quale difficilmente riesce ad adattarsi a mutamenti delle proprie abitudini visive ed accomodative con la stessa facilità che si ha nei bambini. Nell’età pediatrica, specie nei primi anni di vita, la necessità di avere una perfetta messa a fuoco delle immagini risulta indispensabile 26
per un corretto sviluppo del sistema visivo e delle colonne di visione onde evitare l’insorgenza di un’ambliopia rifrattiva, e probabilmente evita di predisporre il soggetto ad un peggioramento del difetto rifrattivo causato dall’annebbiamento conseguente ad una mancanza di correzione totale. L’importanza di fattori esterni sull’insorgenza dell’allungamento del bulbo oculare risiedono nella deprivazione visiva come riferito dagli studi di Wiesel e Raviola. Studi sperimentali eseguiti sugli animali hanno dimostrato come l’ impossibilità di visione creata artificialmente suturando le palpebre di un occhio abbia comportato l’allungamento della lunghezza assiale dello stesso. Peraltro studi successivi di Bradley hanno dimostrato come una deprivazione visiva nei primi mesi di vita comporti un arresto dell’allungamento oculare con conseguente ipermetropia elevata. Al contrario una deprivazione visiva nell’età di crescita o adolescenziale comporterebbe un eccesso di allungamento del bulbo oculare. Dal bilancio degli studi sopra menzionati è interessante sottolineare come anche il fattore età abbia un ruolo fondamentale nella evoluzione del difetto rifrattivo nell’infanzia. Come sappiamo dalla letteratura la classificazione della miopia prevede differenti definizioni in base ai parametri considerati. Per quanto riguarda l’età infantile andrebbero prese in considerazione la classificazione di Curtin del 1985 e di Grosvenor del 1987, che risultano indubbiamente le più complete e chiarificatrici nell’età pediatrica.
La miopia e la sua correzione ottica
Tabella 2.1 Classificazione secondo Curtin • miopia fisiologica (lieve, semplice o benigna): dovuta ad una mancanza di correlazione tra potenza del sistema e lunghezza del bulbo, pur avendo entrambi i parametri valori nella normalità; fanno parte di questa categoria miopie fino a 3.00 dt.
• miopia intermedia (media o modesta): situazione in cui la lunghezza del bulbo oculare è superiore al range di normalità (> 25 mm), ma non si riscontrano alterazioni del fondo oculare; fanno parte di questa categoria le miopie tra 3.00 e 5.00 dt (in assenza di alterazioni del fondo anche miopie fino a 10.00 dt) Queste prime due categorie possono essere a loro volta suddivise in base all’età di insorgenza: I. miopia congenita – quando è presente alla nascita e scompare nei primissimi mesi di vita (si riscontra circa nel 6% dei neonati) II. miopia giovanile o infantile o acquisita – quando si sviluppa tra i 5 e i 12 anni di età; la miopia aumenterà tanto più velocemente quanto più precoce è stata la sua insorgenza III. miopia tardiva – si sviluppa dopo i 15 anni, cioè in una fase dove lo sviluppo sia oculare che generale si è concluso; le persone che sviluppano questo tipo di miopia sono prevalentemente persone che svolgono la maggior parte del loro lavoro da vicino • miopia patologica (elevata o maligna): situazione in cui la lunghezza del bulbo risulta molto lontana dai valori medi (> 32 mm) associata a tutta una serie di complicazioni patologiche del fondo oculare Classificazione secondo Grosvenor • miopia congenita: nonostante molti bambini nascano miopi questa classificazione include solo quelli in cui la miopia persiste durante l’infanzia ed è presente all’inizio della scuola (circa il 2%) • miopia ad insorgenza precoce o giovanile (youth onset): si evidenzia durante il periodo di tempo compreso tra i 6 anni e tutta l’adolescenza (20 anni); durante questo periodo la percentuale cresce dal 2% a 6 anni fino al 20% a 20 anni • miopia ad insorgenza adulta precoce (early adult onset): fa la sua comparsa nel periodo che va dai 20 ai 40 anni e la percentuale sale al 30% • miopia ad insorgenza adulta tardiva (late adult onset): si presenta dopo i 40 anni e la percentuale tende ad aumentare durante gli ultimi anni di vita.
Anche prendendo in considerazione la classificazione della miopia risulta evidente come nella prima infanzia i “cofattori esterni” abbiano un’importanza minima sull’insorgenza o sull’an-
damento del difetto rifrattivo miopico e che pertanto dovrebbe valere la regola della correzione totale a permanenza del difetto miopico al fine di consentire un corretto sviluppo della corteccia 27
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visiva cerebrale. Attualmente diverso risulta l’atteggiamento clinico rispetto alla correzione totale del difetto rifrattivo nelle età più avanzate dell’infanzia e nell’adolescenza. Nel tentativo infatti di tenere sotto controllo la progressione del difetto miopico sono state infatti avanzate numerose proposte quali l’utilizzo di ipocorrezione, di lenti varifocali, di lenti a contatto, di colliri a base di atropina e molte altre. Di questo ne parleremo in un capitolo appositamente dedicato. La miopia in età pediatrica comprende, come si evince dalle classificazioni riportate, una forma che potremmo definire congenita, che ha come caratteristica quella di essere già presente alla nascita, e la miopia scolare, che si presenta nell’età della crescita e dello sviluppo. L’entità del difetto miopico nella miopia congenita risulta molto variabile, (da poche diottrie fino anche a 10 ) e nella maggior parte dei casi si associa ad alterazioni del fundus, quali stafilomi, diversioni papillari, colobomi, albinismo ed anomalie di pigmentazione della retina. La maggior parte di tali miopie ha un andamento stazionario nel tempo. Ovviamente come già accennato a tale categoria appartengono anche le miopie non associate ad alterazioni anatomiche, e queste fanno parte della normale distribuzione dei difetti rifrattivi. Da non dimenticare le miopie presenti nei prematuri che si manifestano anche nel corso della crescita e non sono necessariamente presenti alla nascita. La miopia scolare si presenta dai 7-8 anni in poi, e caratteristicamente aumenta con il passare del tempo. Anche in questi casi ci si attesta su valori diottrici che raramente superano le 28
Figura 2.1 Effetto prismatico delle lenti positive e negative
10 diottrie. In entrambe le categorie spesso il difetto rifrattivo si accompagna alla presenza di astigmatismi di grado medio elevato. Come già accennato sopra, la correzione totale del difetto rifrattivo risulta l’atteggiamento corretto da tenere clinicamente, per lo meno nelle età più precoci. È da tenere presente che spesso nel bambino miope si manifestano caratteristici disturbi della motilità oculare quali l’exoforia ed il deficit di convergenza, legati ad una minore accomodazione dell’occhio miope ed alla scarsa necessità di esercitarla stante il punto remoto ravvicinato caratteristico di questi soggetti. La semplice correzione del difetto rifrattivo con gli occhiali consentirà nella maggior parte dei casi di risolvere tali situazioni: l’effetto prismatico convergente delle lenti (Figura 1) e l’eccesso di accomodazione, che la correzione totale determina, consentono infatti al paziente di esercitare una convergenza che compensa la deviazione oculare.
La miopia e la sua correzione ottica
La miopia monolaterale elevata (Unilateral High Myopia) La miopia monolaterale elevata è una condizione clinica poco frequente se comparata al difetto miopico comunemente conosciuto che è caratterizzato da un aumento della lunghezza del bulbo oculare rispetto al suo potere diottrico. Nella miopia monolaterale elevata o UHM (Unilateral High Myopia), come viene generalmente definita, la presenza di un’asimmetria del difetto rifrattivo è indice di una differenza significativa tra i due occhi sia della lunghezza assiale, sia del potere diottrico corneale e del cristallino. Molti studi riportano una significativa presenza della UHM in pazienti affetti da patologie causa di deprivazione visiva monolaterale quali ad esempio la blefarofimosi o la ptosi, le opacità corneali, la cataratta, le emorragie vitreali ecc. Sono descritte inoltre anomalie del nervo ottico o delle vie ottiche molto più frequentemente nei soggetti affetti da UHM rispetto ai soggetti con miopia semplice cosiddetta scolare. Studi recenti confermano come più della metà dei soggetti affetti da UHM presentino un aumento assoluto della lunghezza assiale e come la causa puramente rifrattiva sia presente in una piccola percentuale di pazienti (circa il 3%) a conferma degli studi pubblicati da Sorsby già negli anni ’60. La prevalenza della miopia elevata in bambini nati da genitori affetti da miopia elevata, nonché l’ereditarietà Mendeliana presente in alcune famiglie, suggerisce comunque la presenza di un difetto genetico alla base di questa condizione. La giustificazione scientifica che spiegherebbe il perché di una crescita del bulbo oculare asimmetrica, risiederebbe nella lyonizzazione sbilanciata nelle femmine eterozigoti portatrici
del gene della miopia X-linked; in altri termini un’inattivazione selettiva di un cromosoma genitoriale riguardante il bulbo oculare può portare all’espressione predominante del gene della miopia in un occhio soltanto, e non nell’occhio adelfo. Come già sottolineato altrove in questo manuale gli studi sperimentali di Wiesel e Raviola hanno ampiamente dimostrato l’influenza di fattori ambliopigeni esterni sull’allungamento asimmetrico del bulbo oculare e la probabilità di insorgenza della UHM. Una riduzione nella qualità degli input visivi comporterebbe una diminuzione del segnale di feedback del meccanismo di controllo della corteccia cerebrale sulla crescita del bulbo oculare comportando così un allungamento assiale secondario. Questa ipotesi eziopatogenetica giustificherebbe la presenza di frequenti patologie come responsabili di deprivazione visiva nei pazienti affetti da UHM. Lo stesso meccanismo è stato chiamato in causa nelle patologie del sistema nervoso centrale associate ad anisometropia elevata. Alla base della UHM risultano anche meccanismi post-recettoriali. La presenza di patologie od alterazioni del nervo ottico associate ad una probabile diminuzione delle cellule ganglionari è spesso collegata ad una miopia anisometropica. È stato calcolato che circa nel 30% dei soggetti affetti da UHM sono presenti alterazioni del nervo ottico che vengono spesso confuse con alterazioni anatomiche fisiologiche dovute alla miopia elevata. La presenza di fibre mieliniche è stata messa in relazione a meccanismi di anomalo sviluppo degli assoni con aumento di produzione della mielina nello strato di cellule ganglionari. Alterazioni a livello maculare sono state descritte recentemente nei pazienti affetti da UHM. Studi 29
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eseguiti mediante tomografia ottica (OCT) hanno evidenziato uno spessore maculare centrale maggiore ed un assottigliamento della macula periferica in tali soggetti, confermando la variazione dello spessore maculare nei soggetti ambliopi con UHM. Da ultima vale la pena ricordare come alcune patologie tipicamente oculari quali il glaucoma congenito e la ROP siano spesso associate a miopia monolaterale elevata. A conclusione di questa disanima è importante sottolineare come in letteratura venga riferito che circa il 90% dei soggetti affetti da UHM presenti un’anomalia associata dell’occhio o del sistema nervoso centrale od una familiarità positiva per miopia elevata. Pertanto nei pazienti dove la storia clinica non riporti chiaramente una patologia responsabile del difetto rifrattivo presente va sempre considerata una possibile alterazione subclinica del nervo ottico o va considerata con attenzione la storia perinatale e famigliare. Va notato anche come la UHM abbia un andamento molto particolare con il passare degli anni. Spesso infatti si assiste ad una riduzione del difetto visivo con la crescita. Tale caratteristica sembra contraddire in parte le teorie e le dimostrazioni scientifiche sopra menzionate. In
letteratura alcuni lavori sperimentali degli anni ’90 hanno dimostrato come lo sfuocamento sia responsabile in generale della lunghezza assiale del bulbo oculare sia in senso ipermetropico nei primissimi mesi di vita, sia in senso miopico nell’infanzia più avanzata e nell’adolescenza. È pertanto presumibile che la correzione totale della miopia monolaterale elevata con la corretta messa a fuoco delle immagini, consenta il feedback positivo della corteccia cerebrale sul sistema visivo sottocorticale che regola la crescita del bulbo oculare secondo quanto riferito da Wiesel e collaboratori, con un vantaggio sul difetto rifrattivo presente. Dal punto di vista clinico la miopia monolaterale elevata può presentarsi sia come antimetropia (un occhio è ipermetrope e l’altro è miope), sia come anisometropia miopica semplice (un occhio è emmetrope e l’altro è miope), sia come anisometropia miopica composta (entrambi gli occhi sono miopi ma con un differente grado di difetto rifrattivo). È bene notare come una differenza maggiore di 2 diottrie e mezzo tra i due occhi sia responsabile di una differenza di dimensioni nelle immagini (aniseiconia) che induce anomalie funzionali ed organiche, e come nella maggior parte
UHM ASSILE
FAMILIARE
PTOSI
SOFFERENZA CEREBRALE PERINATALE
OPACITÀ MEZZI DIOTTRICI
BUFTALMO
REFRATTIVA
ALTERAZIONI MACULARI
ROP
DIFETTO EMMETROPIZZAZIONE
Grafico 2.1 Algoritmo in cui sono rappresentate le cause di UHM
30
ALTERAZIONI NERVO OTTICO
PATOLOGIE CRISTALLINO
PATOLOGIE CORNEA
La miopia e la sua correzione ottica
delle miopie monolaterali elevate la differenza di ametropia tra i due occhi sia maggiore alle 3 diottrie. La letteratura riferisce una prevalenza della forma miopica composta. È curioso inoltre osservare come la UHM prediliga il sesso femminile e nella maggioranza dei casi sia presente nell’occhio destro. Gestione della miopia monolaterale elevata Nell’UHM, quando diagnosticata nell’età pediatrica, il trattamento più corretto sarebbe la correzione completa dei difetti rifrattivi presenti in modo da creare delle immagini nitide in entrambi gli occhi. Praticamente ciò è possibile quasi sempre entro certi limiti in quanto esistono due problemi da tenere in conto: l’aniseiconia e l’anisoforia ottica. Aniseiconia: le immagini che raggiungono la corteccia visiva cerebrale differiscono per grandezza o per forma e generalmente ad ogni diottria corrisponde una variazione delle dimensioni dell’1%. Il soggetto, se vengono superati limiti fisiologici di tolleranza, vede due immagini di grandezza differente che determinano una condizione clinica detta confusione (pavimento e piani inclinati, riquadri trapezoidali, sensazione di modifica della statura) Anisoforia: I due occhi possono ottenere la visione binoculare singola solo mediante l’impegno delle vergenze fusionali di entità differente nelle varie posizioni di sguardo, poichè sono corretti da lenti di potere differente. Tale problema non si manifesta per le vergenze orizzontali (convergenza e divergenza fusionale) perché queste sono molto ampie. Differente è il problema sulla verticalità perché l’ampiezza è di sole 3-4 diottrie,
pertanto se la prescrizione contiene delle lenti cilindriche per correggere l’astigmatismo, occorre considerarne la “forza” sul meridiano verticale, ossia a 90°, e valutare un decentramento dei centri ottici verso il basso di circa 2 mm in modo che nell’abbassare lo sguardo il paziente eviti di utilizzare la periferia delle lenti a tempiale con conseguente effetto prismatico difficile da sopportare. Nell’applicazione di lenti correttive è sempre utile considerare la regola di Knapp, secondo la quale “se il centro ottico della lente viene posto a livello del fuoco principale anteriore dell’occhio, che nelle ametropie puramente assiali si trova a circa 15 mm dall’apice corneale, le dimensioni dell’immagine a fuoco sono uguali a quelle dell’immagine che si forma nell’occhio schematico emmetrope”. Il rispetto di tale postulato consente al prescrittore di evitare fastidiosi effetti dovuti alla variazione dell’ingrandimento e produrre un’immagine retinica molto simile a quella che si forma in un occhio normale a patto che le lenti degli occhiali vengano correttamente montate ad una distanza di circa 15 mm dall’apice corneale per correggere un’ametropia assile, soprattutto unilaterale, come avviene nel caso della maggioranza delle miopie unilaterali elevate in età pediatrica. Quando la differenza tra i due occhi é determinata da un’anisometropia rifrattiva il recupero della parità visiva può brillantemente attuarsi con lenti a contatto. Esse infatti sono in grado di minimizzare le differenze d’ingrandimento retinico che possono, in questo tipo di circostanze, attuarsi con lenti oftalmiche. L’utilizzo delle lenti a contatto risulta inoltre molto utile nel ridurre 31
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l’anisoforia ottica e per tale motivo risultano una validissima alternativa nella gestione prescrittiva della UHM anche in età pediatrica. A questo punto però va posta l’attenzione su una caratteristica ottica tipica del difetto miopico monolaterale elevato o UHM. Gli articoli presenti in letteratura evidenziano un vantaggio nell’utilizzo delle lenti a contatto nei pazienti affetti da UHM indipendentemente dal tipo di anisometropia miopica presente. Un interessante studio eseguito da Von Noorden pubblicato verso la fine degli anni 90 aveva dimostrato in maniera sperimentale che sebbene la regola di Knapp abbia un ruolo importante, clinicamente il vantaggio dell’utilizzo delle lenti a contatto dipende dal fatto che pur essendo le immagini retiniche isometriche nel rispetto della regola di Knapp, il paziente percepisce comunque a livello corticale un’aniseiconia dovuta alla micropsia presente a livello retinico legata allo stiramento assile della retina stessa. Tale sensazione viene molto ben compensata dall’utilizzo delle lenti a contatto che diminuiscono la micropsia presente. In questi pazienti indipendentemente dal tipo di correzione ottica utilizzata, non va mai scordata la necessità di un trattamento antiambliopico per la presenza quasi costante del cosiddetto “occhio pigro”. I risultati dell’occlusione, che esulano dallo scopo di questo manuale, riferiti dalla letteratura confermano l’importanza di una diagnosi precoce e di un trattamento prolungato nel tempo, considerando comunque come il grado di acuità visiva presente prima del trattamento antiambliopico, ed indirettamente quindi il grado di difetto rifrattivo presente, siano fondamentali per la compliance. 32
Sul finire del nuovo secolo sono state proposte alcune tecniche di chirurgia rifrattiva anche in età pediatrica al fine di compensare il difetto miopico presente monocularmente. Tali risultati hanno confermato l’efficacia del trattamento chirurgico ma va sottolineato come la giovane età impedisca l’approccio nei bambini molto piccoli e poco collaborativi restando pertanto la chirurgia rifrattiva riservata a pochi pazienti di età comunque non inferiore ai 7-8 anni e collaborativi. Il vantaggio di tali tecniche consiste nel possibile recupero di una parziale stereopsi e di un conseguente miglior riallineamento dei bulbi oculari laddove presente una deviazione. Scarsi o nulli sono invece stati i risultati sul recupero visivo in quanto tale chirurgia viene effettuata in un’età troppo tardiva per risolvere l’ambliopia presente. L’approccio chirurgico in tale difetto anisometropico viene generalmente riservato a bambini con impossibilità di trattamenti alternativi poiché con problemi comportamentali e di svilluppo dell’apprendimento di grave entità. Gli interventi proposti vanno dall’impianto di lenti fachiche, di anelli intracorneali stromali, di rinforzi sclerali intraoculari, alla lensectomia seguita o meno da impianto di lentine intraoculari. Tutte queste tecniche chirurgiche pur partendo da un postulato corretto vanno valutate con cautela in quanto non sono scevre da possibili anche se rare conseguenze spiacevoli nel tempo (ipertono oculare, cataratta secondaria, distacco di retina). La miopia e le sindromi genetiche Sappiamo che sono stati individuati diversi geni associati alla miopia, in special modo alla miopia elevata (COL2A1, COL11A1), e sappia-
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Figura 2.2 Sublussazione del cristallino in Sindrome di Marfan
mo anche che la miopia elevata è un difetto rifrattivo che ritroviamo presente in alcune sindromi geneticamente determinate la cui caratteristica prevalente è il coinvolgimento dell’apparato scheletrico: la sindrome di Marfan, la sindrome di Weil Marchesani , la sindrome di Stickler e le collagenopatie in generale, sono le sindromi più note associate alla miopia. La sindrome di Marfan è caratterizzata da difetti muscolo scheletrici, elettivamente la aracnodattilia, disturbi cardiovascolari e sferofachia associata spesso a sublussazione della lente (Fig. 2) e miopia elevata, oltre a ptosi, megalocornea e sclere blu. La sindrome di Weil Marchesani assomiglia per alcuni aspetti oculari alla sindrome di Marfan in quanto è presente miopia elevata e sferofachia. La caratteristica muscolo scheletrica di tali soggetti è la brachimorfia. In entrambe le sindromi è caratteristica la presenza di glaucoma da dislocazione anteriore della lente, con relativo rischio di blocco pupillare. In generale le collagenopatie, tra le quali spicca la sindrome di Stickler, sono caratterizzate
da miopia elevata oltre ad iperlassità dei legamenti, epifisi larghe, palato ogivale, padiglioni auricolari ad impianto basso e massiccio facciale appiattito. I dismorfismi facciali o disostosi mandibolo-facciali ( sindrome di Treacher Collins, di Franceschetti, di Pierre Robin ecc.) sono anch’esse associate alla presenza di miopia elevata. Ovviamente il trattamento varia da condizione a condizione ma non può prescindere, laddove possibile, dalla correzione del difetto rifrattivo presente. Controllo della progressione del difetto miopico in età pediatrica Il continuo aumento in questi ultimi decenni del numero di nuovi casi di miopia nella popolazione giovanile, che si riflette in conseguente aumento della prevalenza di tale difetto rifrattivo, ha indotto numerosi studiosi a proporre alcuni atteggiamenti clinici più o meno confortati dall’evidenza scientifica, nell’intento di tenere sotto controllo l’incidenza della miopia o almeno la sua progressione. Le ipotesi eziopatogenetiche hanno comunque messo in evidenza un aumento percentuale della miopia nei soggetti a lungo impegnati nella visione per vicino. I colliri a base di atropina a basse concentrazioni Il metodo ad oggi più efficace per ottenere un certo controllo nella progressione del difetto miopico appare ad oggi l’utilizzo di colliri a basso dosaggio di atropina. Pur se in un primo momento i risultati apparivano molto pro33
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mettenti, le analisi statistiche e le metanalisi eseguite in numerosi studi successivi hanno purtroppo dimostrato un’efficacia relativa anche di questo presidio terapeutico, per cui i risultati andrebbero presi con molta cautela. Il collirio maggiormente efficace anche per i minori effetti collaterali possiede una concentrazione di atropina allo 0.01% e dovrebbe essere instillato alla sera prima di coricarsi al fine di evitare gli effetti collaterali più fastidiosi associati alla molecola atropinica (fotofobia, annebbiamento per vicino, scarsa compliance). Tale terapia dovrebbe essere iniziata soltanto in bambini in età scolare maggiori di 6 anni di età e che abbiano una miopia inferiore alle 2 diottrie con una progressione del difetto rifrattivo di almeno 0,5 diottrie per anno. Il trattamento dovrebbe essere protratto per almeno due anni e proseguito solo se il peggioramento per anno non sia maggiore di 0,25 diottrie. I piccoli pazienti andrebbero monitorati anche dopo la sospensione della terapia al fine di evitare “l’effetto rebound”, che si presenta in una discreta percentuale di casi. In questi casi il trattamento andrebbe ripreso se si ripresenta una progressione del difetto rifrattivo maggiore di 0,5 diottrie per anno. In sostanza gli studi clinici evidenziano una potenzialità di questo trattamento che si attesta nel controllo della progressione pari a circa 0,5 diottrie per anno nella razza asiatica e circa 0,30 diottrie per anno nella razza caucasica. Gli studi sembrerebbero riferire un ulteriore miglioramento nel controllo della miopia con concentrazioni di collirio maggiori ma ovviamente seguite da un maggior numero di effetti collaterali ed un aumento del cosiddetto “effetto rebound”. 34
Le lenti a contatto con defocusing e le lenti a tempiale multifocali L’utilizzo di lenti a contatto è in generale considerato un’arma terapeutica per il controllo della progressione miopica. L’attività clinica di ciascuno evidenzia con certezza come la miopia corretta con le lenti a contatto abbia un indubbio vantaggio sia in termini di qualità visiva sia in termini di velocità di progressione del difetto rifrattivo, sebbene quest’ultimo non costantemente presente in tutti i giovani pazienti. Gli studi clinici hanno evidenziato come l’utilizzo di lenti a contatto ortocheratologiche abbia delle influenze positive sull’allungamento del bulbo oculare. L’utilizzo di lenti a contatto ortocheratologiche con defocusing periferico per di più diminuirebbe la progressione miopica basandosi sul fatto che il bambino miope presenta una rifrazione miopica nella retina centrale ed ipermetropica nella retina periferica. Il meccanismo d’azione si baserebbe su di un aumento dello shift ipermetropico nei 30 gradi centrali, riducendo di fatto il valore miopico della retina e per converso causando uno shift miopico nella retina periferica, comportando, così come dimostrato nel soggetto adulto, una rifrazione retinica periferica simile a quella centrale. Il limite di tali lavori è la mancanza di effetti a lungo termine e di eventuali effetti rebound alla sospensione di tale trattamento. L’utilizzo di lenti a contatto “multifocali a visione simultanea” ed in alcuni casi di lenti progressive a tempiale, è stato proposto basandosi sul fatto che il “defocus” retinico è causa di allungamento oculare, come già menzionato dagli studi riportati da Wiesel e Bradley. Il deficit accomodativo presente nei soggetti miopi sembrerebbe giustificare
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Figura 2.3 Struttura delle lenti a contatto a visione simultanea
Figura 2.4 Lenti a contatto a visione simultanea, visione per lontano
Figura 2.5 Lenti a contatto a visione simultanea, visione per vicino
la progressione del difetto rifrattivo nei giovani studenti impegnati in attività per vicino per lungo tempo ma non è stato ancora chiarito quanto “defocus” delle immagini, e per quanto tempo, sia necessario per indurre un allungamento del bulbo oculare.
Nelle lenti a contatto morbide “multifocali a visione simultanea” (Figura 2) il meccanismo d’azione si basa sul fatto che nell’osservazione distale la porzione periferica della lente attua la perfetta messa a fuoco a livello retinico. Contemporaneamente, i raggi luminosi provenienti 35
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dall’infinito incidono anche sull’area centrale della lente, preposta per una focalità prossimale; in questo caso il fuoco immagine si forma molto prima della retina ed il segnale dell’immagine è talmente sfuocato, una volta raggiunta la retina, da essere soppresso a livello cerebrale. (Figura 3) Nell’osservazione prossimale, la porzione centrale della lente che è preposta a soddisfare la capacità visiva per vicino, focalizza perfettamente sulla retina. Nel contempo i raggi luminosi incidendo sulla periferia della lente incontrano una focale di minore entità producendo un’immagine oltre la retina, salvo incontrare uno sbarramento attuato dal forame pupillare che si chiude grazie alla miosi dovuta al riflesso accomodativo (Fig. 4). Da quanto descritto risulta evidente che il metodo di contrasto alla progressione della miopia condotto con lenti a contatto morbide multifocali centro-lontano, così come quello attuato con le lenti ortocheratologiche, ha lo scopo di generare una maggior coerenza di fuoco sulla curvatura retinica contenendone, in questo modo, lo shift ipermetropico. Gli studi statistici che hanno analizzato l’utilizzo di lenti progressive a tempiale hanno segnalato un modestissimo vantaggio di queste nel solo primo anno di utilizzo per miopie estremamente lievi, pertanto tale tecnica risulta totalmente abbandonata. Variabili e contrastanti appaiono i lavori sulle lenti a contatto multifocali. Gli integratori Negli ultimi anni si sono affermati in commercio numerosi integratori alimentari con l’obiettivo di aiutare a tenere sotto controllo la progressione della miopia in età pediatrica, basandosi su molteplici evidenze scientifiche. Caratteristica del bulbo oculare dell’occhio miope è la forma più 36
lunga rispetto ai 24 mm dell’occhio emmetrope: l’allungamento del bulbo oculare comporta lo “stiramento” di tutti i tessuti che lo costituiscono e ciò è particolarmente rilevante a livello retinico e dello strato coriocapillare, con riduzione di spessore di questi tessuti e conseguente rarefazione di fotorecettori, di cellule dell’EPR e di arteriole della coriocapillare. Tutto ciò rende la retina del soggetto miope estremamente sensibile ad insulti endogeni ed esogeni. Le antocianidine, gli oligomeri procianidolici, la luteina ed i carotenoidi, la Vit A e la Vit E sono le molecole oggi presenti nei comuni integratori alimentari atti allo scopo di portare un vantaggio al paziente miope. Le antocianidine, pigmenti molto diffusi in natura in special modo nelle bacche di sambuco, nel mirtillo nero e in quello rosso, hanno un’attività vaso protettiva e contribuiscono a migliorare la visione scotopica, spesso difficoltosa nel paziente miope, in quanto favoriscono il rapido recupero della rodopsina, ed inoltre hanno un notevole effetto antiossidante. Gli oligomeri procianidolici presentano una potente attività antiossidante, inoltre ad essi è attribuita la capacità di inibire l’attività di alcuni enzimi capaci di demolire le fibre contenute nel tessuto connettivo dei vasi sanguigni, con uno spiccato effetto vasoprotettivo. La luteina appartiene al gruppo dei carotenoidi, insieme al beta-carotene, all’alfa-carotene ed alla zeaxantina, la cui presenza è correlata a quella della vitamina A. La luteina agisce mantenendo l’integrità delle membrane cellulari dei coni, riducendo i danni da foto-ossidazione ai fotorecettori, migliorando la trasduzione dello stimolo nervoso da parte dei coni nella visione in condizioni mesopiche e può ridurre il fenomeno dell’abbagliamento. Essa è
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concentrata soprattutto a livello maculo-foveale ed è indispensabile per una visione corretta e per la salute della retina. È stato dimostrato come invece sia molto meno presente in alcune situazioni cliniche quali la miopia e la degenerazione maculare senile, pertanto la sua somministrazione con la dieta dovrebbe avere lo scopo di ottenere un effetto protettivo su tale parte del
fundus oculi. La vitamina A ricopre una grande importanza in oftalmologia in quanto è parte integrante della rodopsina e contribuisce al mantenimento dell’integrità anatomo-funzionale dell’epitelio pigmentato retinico. La vitamina E è essenzialmente un potente antiossidante ma è anche importante per migliorare l’assorbimento intestinale della vitamina A.
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