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Radici, 2
from Tempo lontano
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chiave se non di notte. Non penso che succeda ancora quando nel paese ci sono o possono esserci persone del tutto sconosciute, con altre radici, altre abitudini, altri usi, altre regole o nessuna regola.
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Dicono che dovremmo accoglierle e favorirne l’integrazione, ma se non condividono niente dei nostri valori, del nostro modo di vivere, se non vogliono integrarsi magari solo per conservare le loro radici, allora cercare di conoscerli, comprenderli, accoglierli è tempo sprecato.
Naturalmente, come è stato osservato, “dipende dai posti e dalle situazioni ma l’aiuto tra vicini per fortuna esiste ancora”. Ma quasi sempre è così proprio a motivo delle radici comuni, del comune pensare e del contare sul reciproco aiuto.
Nel paese dei miei genitori e dei miei nonni, dove sono stato sfollato in tempo di guerra, mi trovavo come a casa mia, conoscevo moltissimi e moltissimi mi conoscevano: nessuna o quasi diffidenza reciproca. Nella mia città natale con amici di gioco, compagni di scuola, colleghi di lavoro era la stessa o migliore cosa. Anche durante il servizio militare con i commilitoni era più o meno lo stesso con trentini, ladini, piemontesi, toscani; un po’ diverso, ma non molto, con i sudtirolesi. Con vicini e colleghi d’Ufficio poi a Valdagno era come prima a Vicenza.
Nessun problema 50 anni fa nemmeno a Candelo (BI) ad avere rapporti amichevoli con i vicini di origine veneta e buoni con altri veneti, piemontesi, calabresi, ecc.. Anche nel vicino paese, dove tuttora per mesi viviamo, inizialmente
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era come una volta in un piccolo centro. Sono ventisei appartamenti su tre piani, ripartiti in quattro blocchi con ognuno la sua entrata, la sua scala, la sua cantina ma con cortile e prato comuni. Tra le sei famiglia della mia scala i contatti erano frequenti, ma anche con gli altri condomini erano cordiali, salvo le immancabili eccezioni. Ma di quei condomini siamo ora rimasti solo in pochissimi: la maggioranza sono per me persone sconosciute, comprese due o tre famiglie di cinesi. Anche nella città dove siamo arrivati venti anni fa abbiamo subito familiarizzato con la maggioranza dei condomini, una ventina di famiglie su sei piani.
Da giovani credo sia normale fare nuove conoscenze, ma alla mia età è più probabile che vengano a mancare quelle vecchie, a morire. E anche qui dei conoscenti iniziali sono rimasti solo due sposi e non conosco i nuovi arrivati, tranne una famigliola con due bambini e un cane, ma solo di vista, se li vedo insieme e vicino casa. Dal mio pianerottolo si entra in altri due appartamenti: uno è disabitato, nell’altro ogni tanto c’è qualcuno, non so chi. Forse è solo colpa mia o dell’età, ma davvero io non conosco i miei vicini. Forse per molti altri non è così.
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Nostalgia
Quando arriva l’inverno ho nostalgia dei cibi d’allora. Ripenso al cren in radice, appena grattà coa gratarola e coerto d’axedo, penso a quanto becava e mi faceva lacrimare, a quanto mi piaceva col lesso.
Penso alla mostarda vicentina che non usavo col bollito ma col panettone.
Penso al mandorlato di Cologna, spesso avuto o dato in regalo, parente lontano del torrone d’Alba.
Penso anche alla calza della befana: carrube, noci, arance, liquirizia, mandarini, cose che posso sempre trovare anche adesso.
Non penso ai bagigi, non mi sono mai piaciuti. Non ho nostalgia dell’olio di fegato di merluzzo che i mandarini mi ricordano.
Penso ai grusto·i e frito·e a carnevale e i pevaroni soto axedo par smorbarme ·a boca e la putana fatta con quello che restava dell’impasto delle frito·e.
Penso alla polenta e baccalà alla vicentina, tipico piatto invernale. Ricetta semplice, come la ricordo: stoccafisso ammollato in acqua per 2-3 giorni, aperto pulito di lisca e spine, cosparso con trito di aglio, prezzemolo, 2-3 acciughe, sale qb, farina bianca, strisce secondo altezza del tegame, chiuse infarinate, sistemate nel recipiente, coperte di latte, olio, far pipare per qualche ora (fuoco basso non diretto, se no se taca e el ciapa el brustolin), pratica e tempo.