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chiave se non di notte. Non penso che succeda ancora quando nel paese ci sono o possono esserci persone del tutto sconosciute, con altre radici, altre abitudini, altri usi, altre regole o nessuna regola. Dicono che dovremmo accoglierle e favorirne l’integrazione, ma se non condividono niente dei nostri valori, del nostro modo di vivere, se non vogliono integrarsi magari solo per conservare le loro radici, allora cercare di conoscerli, comprenderli, accoglierli è tempo sprecato. Naturalmente, come è stato osservato, “dipende dai posti e dalle situazioni ma l’aiuto tra vicini per fortuna esiste ancora”. Ma quasi sempre è così proprio a motivo delle radici comuni, del comune pensare e del contare sul reciproco aiuto. Nel paese dei miei genitori e dei miei nonni, dove sono stato sfollato in tempo di guerra, mi trovavo come a casa mia, conoscevo moltissimi e moltissimi mi conoscevano: nessuna o quasi diffidenza reciproca. Nella mia città natale con amici di gioco, compagni di scuola, colleghi di lavoro era la stessa o migliore cosa. Anche durante il servizio militare con i commilitoni era più o meno lo stesso con trentini, ladini, piemontesi, toscani; un po’ diverso, ma non molto, con i sudtirolesi. Con vicini e colleghi d’Ufficio poi a Valdagno era come prima a Vicenza. Nessun problema 50 anni fa nemmeno a Candelo (BI) ad avere rapporti amichevoli con i vicini di origine veneta e buoni con altri veneti, piemontesi, calabresi, ecc.. Anche nel vicino paese, dove tuttora per mesi viviamo, inizialmente