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Vicenza
from Tempo lontano
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Al tramonto il sole calava oltre la città; di notte le strade tornarono a illuminarsi; d’estate l’asfalto molle cedeva sotto i piedi; d’inverno mondo e rumori quasi sparivano nella densa nebbia, poco contrastata dalla gialla luce del crocevia.
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Dalle finestre dietro si poteva vedere il primo sole, un grande ciliegio, il nostro piccolo cortile, una serie di orti fra le case di Corso Padova e Borgo Casale. La fabbrica di Giocondo P** (birra e vino) dall’una all’altra via chiudeva l’orizzonte davanti. A destra era il cortile della ditta Pietro L*** Legna&Carboni e, più lontano, sul colle l’altra Basilica, il Santuario della Madonna di Monte Berico mille volte implorata nei triboli della guerra.
“Oh! Maria Vergine Santi§ima de Monte Berico” detto con toni di afflizione, di meraviglia, di gioia, d’invocazione, di sorpresa era tipico e frequente nel vicentino, quasi quanto il ciò (bello, ciò/ ecco, ciò/ ciò, viento?/che caldo,ciò!), l’ equivalente del tèi o toi dei trentini. Il bocciodromo (ℓa corte de·e ba·e) di Borgo Casale si sentiva molto ma si vedeva poco.
Dei danni subiti dalla città e dalla casa dove abitavo il ricordo è vago, forse sono stati riparati presto: c’erano di sicuro, perché mio padre parlava di uno spezzone incendiario finito nel nostro sottotetto e quindici anni dopo lavoravo per accelerare il rimborso dei danni di guerra subiti dai fabbricati dell’Ente che mi stipendiava.
Sergio cresceva ma viaggiava ancora in carrozzella; anche Renzo, il fratello di un’amica di mia sorella, era
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piccolo. La carrozzella poteva portare due bimbi, uno di fronte all’altro. Mia sorella e l’amica la spingevano e io camminavo con loro per il viale dai grossi platani lungo il fosso. Superato el canpo de Nane – un semi selvatico terreno di giochi – dopo il ponte girammo a destra, nella strada tra Retrone e Bacchiglione. Dopo un po’ le due ragazze videro dei fiori, laggiù sulla riva. Mi lasciarono a guardia dei bimbi e scesero a coglierli. La carrozzella era ferma sul ciglio della strada, vicinissima alla scarpata che finiva nel fiume. I bimbi sono curiosi, si sa: io guardavo le due ragazze, anche i due più piccoli le guardavano. Per meglio vedere entrambi si sporsero, la carrozzella si ribaltò, rotolò nella scarpata e ... si fermò in una buca di bomba: non ebbero danni, la guerra li aveva salvati.
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Il latte
Il latte ci voleva, a casa nostra: il latte e il pane. Non ricordo problemi per il pane, che compravamo a credito (mio padre lavorava, ma solo di tanto in tanto la ditta poteva dargli i soldi che gli doveva). Per comprare il latte si andava dalla latara. Bisognava andarci presto, con le bottiglie: finché non c’era molta gente si poteva aspettare sul muretto, poi fare la fila e attendere.
La fila di due o tre persone affiancate a volte finiva oltre la confinante macelleria e si aspettava. Si aspettava l’arrivo della lattaia, che apriva la porta. I primi entravano facendo la fila a destra, lungo la vetrina, il muro, il bancone; poi si aspettava che arrivasse il latte.
Arrivava un camioncino, prendevano alcuni bidoni (zare) e li portavano dentro. Qualche manovra per versare il latte nel bidone fornito di rubinetto che veniva posto sul bancone e poi cominciava la vendita: la lattaia riempiva di latte il misurino (¼, ½, 1 litro) e lo versava con l’imbuto nella bottiglia del cliente, si pagava con AMlire quadrate e avanti un altro.
Spesso capitava che il latte finiva, ma la coda no: molti rimanevano senza, noi non potevamo permettercelo* e facevamo le lunghe attese. Ma anche così poteva capitare di rimanere senza latte. Soluzione: latte in polvere o latte condensato. Così mi avviavo verso Levà degli Angeli per comprare l’uno o l’altro, mai che ce ne fosse una scorta in casa.
Il latte condensato era dolce, appiccicoso e si poteva