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i piedi; d’inverno mondo e rumori quasi sparivano nella densa nebbia, poco contrastata dalla gialla luce del crocevia. Dalle finestre dietro si poteva vedere il primo sole, un grande ciliegio, il nostro piccolo cortile, una serie di orti fra le case di Corso Padova e Borgo Casale. La fabbrica di Giocondo P** (birra e vino) dall’una all’altra via chiudeva l’orizzonte davanti. A destra era il cortile della ditta Pietro L*** Legna&Carboni e, più lontano, sul colle l’altra Basilica, il Santuario della Madonna di Monte Berico mille volte implorata nei triboli della guerra. “Oh! Maria Vergine Santi§ima de Monte Berico” detto con toni di afflizione, di meraviglia, di gioia, d’invocazione, di sorpresa era tipico e frequente nel vicentino, quasi quanto il ciò (bello, ciò/ ecco, ciò/ ciò, viento?/che caldo,ciò!), l’ equivalente del tèi o toi dei trentini. Il bocciodromo (ℓa corte de·e ba·e) di Borgo Casale si sentiva molto ma si vedeva poco. Dei danni subiti dalla città e dalla casa dove abitavo il ricordo è vago, forse sono stati riparati presto: c’erano di sicuro, perché mio padre parlava di uno spezzone incendiario finito nel nostro sottotetto e quindici anni dopo lavoravo per accelerare il rimborso dei danni di guerra subiti dai fabbricati dell’Ente che mi stipendiava. Sergio cresceva ma viaggiava ancora in carrozzella; anche Renzo, il fratello di un’amica di mia sorella, era piccolo. La carrozzella poteva portare due bimbi, uno di fronte all’altro. Mia sorella e l’amica la spingevano e io