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La scuola

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Paese natale

Paese natale

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cavallo o asino, qualche rara vettura, il filobus (el tran co·e tirache). Per i passaggi pedonali non c’erano strisce ma borchie, si diceva inventate a Trieste per impedire alla bora di portar via le strade; con un po’ di attenzione si passava da un marciapiede all’altro senza pericolo.

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Attraversavo la strada e andavo verso il centro per un centinaio di metri. Lì c’era il castagnaciaro, il primo extracomunitario che ho conosciuto. Forse extracomunitario è un po’ esagerato: era solo toscano, ma tutti gli altri erano vicentini, veneti. Faceva castagnaccio semplice, con i pinoli e non so con cos’altro, buono e caldo. Faceva anche il barbiere: nella bottega del barbiere titolare più di una volta è stato lui a tagliarmi i capelli e siccome mamma non diceva niente, credo fosse bravo anche in quello.

In sua assenza c’era la castagnaciara, sua moglie: non credo facesse anche la parrucchiera, ma qualche tempo dopo oltre al castagnaccio vendeva panna montata d’inverno e gelati d’estate.

Attraversavo la via e mi trovavo in uno spiazzo in fondo al quale c’era il cancello della scuola: si entrava in un vasto cortile con grandi alberi. Se si usciva dalla parte opposta si era davanti al ricreatorio, confinante con la scuola. Credo di non essere mai arrivato in ritardo, sia perché abitavo vicino sia perché in quel cortile si poteva giocare fino a quando i maestri non ci dicevano di fare le file per entrare sia perché – nella giusta stagione – dai grandi alberi cadevano dolcissime pàpo·e. Non chiedetemi cosa sono: non lo so, ma mi piacevano. PS - Mi dicono che le pàpo·e sono il frutto del bagolàro.

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Cortili

Non era grande il cortile sul retro. Da quella parte avevamo le finestre di camera dei genitori, cucina, corridoio e camera nostra, di noi maschietti più giovani. Un lato del cortile quadrato coincideva con i primi tre vani. Dall'altra parte al corridoio corrispondeva il vano scale. Entrati dalla strada, subito a destra la porta della Cal**** (poi del signor Mi****) e a sinistra la porta della signora Bo*** e la prima rampa delle scale a destra di essa, sotto la seconda rampa un corridoio andava dalla porta sulla strada diritto alla porta sul cortile: con entrambe le porte aperte potevamo soffiare con la cerbottana i nostri proiettili di carta (piro·e) contro la vaca mora ed eclissarci immediatamente.

Le finestre delle camere erano di normale grandezza, con gli scuri che scorrevano su rotaia dentro il muro. Quelle di cucina e corridoio erano molto grandi, ognuna munita di avvolgibile di stecche di legno che si srotolava allungando la corda di sostegno; barre di ferro sagomato reggevano all’esterno fili per stendere e tavole di legno con sopra innumerevoli vasi di fiori: tanti gerani, tanti colori , tante qualità, primo e ultimo pensiero della giornata materna.

Al centro del cortile una piccola aiuola rotonda con una bassa palma; piccoli orticelli di guerra occupavano qualche metro dal muro su tre lati. Sul lato Sud-Ovest, all’ombra del fabbricato confinante, c’era solo una piccola pianta dalla bianche tenere bacche. Da quella parte un po’ del nostro orto per qualche tempo divenne recinto per poche galline.

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