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Paese natale

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Padoan

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Giovani

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Vedendo i cartelli, sentendo quello che si dice pare che i giovani siano dei disgraziati senza futuro, che vivranno peggio di chi è stato giovane tanti anni fa. “Non rubateci il futuro”, “Non paghiamo il vostro debito” e slogan di questo tenore fanno pensare che i non giovani siano una masnada di fortunati egoisti: vorrei fare un confronto tra i giovani di allora e quelli di oggi per vedere se davvero le cose stanno così. Parlo per me, ma penso che molti potrebbero dire più o meno le stesse cose.

Da lattante non avevo il biberon, non avevo carrozzina super tecnologica, non avevo tutine da astronauta. Nemmeno i pannolini usa e getta avevo: avevo i panexei* di tela che mamma lavava, asciugava, stirava. Capitava d’inverno che nelle case con bimbi vi fosse un’umidità puzzolente, per via dei molti pannolini che vi vaporavano e che non potevano aspettare il sole. Come giocattoli avevo un sonaglio e forse un gomitolo di lana; poi ebbi giocattoli di legno o di latta. I più belli funzionavano a molla, le pile servivano solo per la torcia elettrica; sognavo i pattini a rotelle.

Qualcuno dei giovani indignati non ha avuto mille giocattoli meccanici, elettrici, elettronici, play-station? Qualcuno di loro ha solo sognato skateboard o pattini in linea che io non potevo nemmeno sognare perché inesistenti? Sci, tennis, nuoto esistevano ma non rientravano nelle cose possibili; la bicicletta l’ho desiderata per molti anni. Morbillo, varicella, tosse canina, orecchioni erano sempre in agguato e anche malattie peggiori, ma non

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ci pensavo. Portavo i calzoni corti, per evitare di sbregarli sulle ginocchia, ma queste si sbregavano, eccome. Si giocava su cortili di terra pieni di sassi o coperti di ghiaia, si cadeva: abrasioni su ginocchia e gomiti non facevano in tempo a guarire che si ripresentavano. E non c’era penicillina o altri medicamenti: alcol, bruciore e via, se non necessitava fasciatura. Eravamo sempre pieni di broxe, quelle croste che si formavano sulle ferite. In compenso non mi rompevo le ossa praticando costosi sport.

Non so se la mia infanzia sia stata migliore dell’infanzia degli arrabbiati. Per andare a scuola non portavo pesanti zainetti ma non sempre riuscivo a comprare tutti i libri, nuovi sicuramente no. Vicina o lontana (fino a 3 Km), sempre a piedi ci sono andato, qualche rara volta in filobus, sicuramente mai in auto: non c’era. Non ho mai avuto un motorino, uno scooter, una moto. Non avevo telefonino, computer, iPad o similia e nessuno li aveva. Niente pizzeria, ristorante, discoteche: qualche bella camminata e tanto ricreatorio parrocchiale. Le droghe erano solo quelle che vendeva el caxo’in (l’alimentarista): cannella, broche de garofano, pepe.

D’inverno mi venivano le buganse (i geloni) alle orecchie, alle mani, ai piedi: la casa era fredda, il pavimento era freddo, appena alzato salivo su una sedia e mi vestivo in fretta; i vetri erano arabescati di ghiaccio, fuori spesso c’era la nebbia; pane, caffellatte, maglione, paltò, berretto e via. Battevo i denti, gelavo arrivavo a scuola e non sempre era ben riscaldata. È capitato di portare legna da casa, è capitato di usare per le mani un sasso riscaldato. Era appena finita la

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