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Un altro mondo
from Tempo lontano
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Il ricreatorio aveva anche un biliardo in una sala e in altre dei biliardini, un paio di “calcio balilla” e due ambitissimi tavoli da ping pong che d’estate spostavamo nel portico o sotto gli alberi. Per giocare al tennis da tavolo c’erano di sicuro anche le spato·e, le racchette di legno; credo ci venisse fornita anche la pallina, ma potrei sbagliarmi.
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Qualcuno di noi aveva la racchetta personale, rivestita di gomma, un lusso per pochi: io e molti altri usavamo quello che ci passava la parrocchia. Ping e pong erano suoni quasi immancabili, al ricreatorio. I primi arrivati cominciavano a giocare; chi vinceva continuava e chi perdeva lasciava la spatola a chi veniva dopo e così via.
Nessuno era imbattibile, ma qualcuno faceva molte partite qualcun altro poche. A me qualche volta andava bene altre meno: c’era qualcuno che raramente riuscivo a vincere ma magari potevo battere chi lo vinceva. Se eravamo in pochi le partite di singolo andavano ai 21 punti, altrimenti si facevano partite di doppio ai 21 punti o di singolo agli 11. Chi perdeva, aspettando il suo nuovo turno poteva consolarsi giocando al calceto, il vecchio calcio balilla in edizione moderna: campo di vetro su panno verde, con gli undici giocatori di plastica manovrati con quattro aste di 1, 2, 5, 3 giocatori: credo non siano cambiati da allora.
Anche lì vigeva la stessa regola: chi vince resta, chi perde lascia; anche lì i giocatori potevano essere due ma di solito erano quattro; anche lì non ero imbattibile ma nemmeno sempre battuto, giocando in coppia dipendeva
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anche dal compagno; anche lì credo che giocare fosse gratuito, ma potrei sbagliarmi. Non sempre si poteva passare da un gioco all’altro, dipendeva da quanti eravamo e di solito eravamo in molti; non sempre si preferiva l’uno o l’altro gioco, di solito ci si accontentava di quello disponibile al momento. Normalmente chi vinceva non cambiava gioco a meno che non se ne fosse stufato, volesse fare un favore ad un amico o che fosse richiesto per fare coppia.
Poi arrivò la televisione e Mike Bongiorno. E il ricreatorio si munì di un aggeggio che faceva vedere le immagini TV su uno schermo piuttosto grande: al giovedì sera nella sala cinematografica la proiezioni del film si interrompeva e la gente vedeva Lascia e Raddoppia. Negli altri giorni nella sala del biliardo potevamo vedere “il Giro d’ Italia”, “Non è mai troppo tardi” e poco altro.
Avevo molto da giocare, me ne restava poco per studiare e mia madre di questo non era contenta. Anche dopo cena avevo impegni: non so quali, ma ne avevo.
A maggio, per esempio, mi piaceva andare ai “Fioretti” – le funzioni della Madonna – perché prima e dopo sul piazzale sterrato della chiesa si poteva giocare a grosta ossia a ciaparse (acchiapparello) o a sconderse (nascondino) o a poncio (lippa) o altro.
Erano le prime serate calde, era bello anche solo girare a piedi o in bici per la città e comprare i primi gelati ai carrettini sagomati a gondola e con due lampade a carburo, i gelati de Brustoℓon, la gelateria al ponte Pusterla. Quei
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carrettini andavano in tutta la città e ovunque si poteva sentire forte il grido “gee·atii”. Una volta, a Ponte degli Angeli, eravamo in tre e avevo dieci lire: chiesi ed ottenni un “gelato da dieci ripartito in tre coni”.
Per qualche tempo studiavo (o dicevo di studiare) dalle 4 alle 7,30 del mattino.
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Divagazioni
F.T.V.
Ho già detto che per noi la vaca mora (o vacamora, il treno delle ferrovie locali) era una di casa: passava sotto casa nostra, la faceva tremare, vi entrava col fumo e col rumore, il nostro marciapiedi era la sua banchina. La vedevamo fermarsi e passare: non l’abbiamo mai usata per andare verso Noventa, ma nell’altra direzione - a parte i brevi passaggi de sfroxo – qualche volta sì. Andavamo spesso dai nonni con il treno per Bassano e alla stazione FTV (Ferrovie Tramvie Vicentine) andavamo o a piedi o col “tran co·e tirache”. Le tirache sono le bretelle e il filobus era collegato alla linea elettrica aerea con due aste, due bretelle.
La linea 1 da Porta Castello alla Stanga percorreva tutto Corso Palladio e tutta Porta Padova (Contra' e Corso), con fermata a quattro passi da casa nostra, all’andata e al ritorno. Sia la “vacamora” per Bassano che quella per Noventa dopo Santa Croce fermavano a San Bortolo, ma solo pochissime volte siamo scesi o saliti a questa fermata e forse una sola volta abbiamo preso il treno da o per Porta Padova, la fermata davanti casa. L’abbiamo invece usato per andare a Santa Croce a prendere combustibile per casa, non ricordo bene se sacchi di segatura o casate (vinacce pressate). Non ricordo se là c’era una segheria o una distilleria o vendita di combustibili: su quel tragitto non c’erano filobus e in città autobus non c’erano, ma c’era la vacamora.