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Il ricreatorio aveva anche un biliardo in una sala e in altre dei biliardini, un paio di “calcio balilla” e due ambitissimi tavoli da ping pong che d’estate spostavamo nel portico o sotto gli alberi. Per giocare al tennis da tavolo c’erano di sicuro anche le spato·e, le racchette di legno; credo ci venisse fornita anche la pallina, ma potrei sbagliarmi. Qualcuno di noi aveva la racchetta personale, rivestita di gomma, un lusso per pochi: io e molti altri usavamo quello che ci passava la parrocchia. Ping e pong erano suoni quasi immancabili, al ricreatorio. I primi arrivati cominciavano a giocare; chi vinceva continuava e chi perdeva lasciava la spatola a chi veniva dopo e così via. Nessuno era imbattibile, ma qualcuno faceva molte partite qualcun altro poche. A me qualche volta andava bene altre meno: c’era qualcuno che raramente riuscivo a vincere ma magari potevo battere chi lo vinceva. Se eravamo in pochi le partite di singolo andavano ai 21 punti, altrimenti si facevano partite di doppio ai 21 punti o di singolo agli 11. Chi perdeva, aspettando il suo nuovo turno poteva consolarsi giocando al calceto, il vecchio calcio balilla in edizione moderna: campo di vetro su panno verde, con gli undici giocatori di plastica manovrati con quattro aste di 1, 2, 5, 3 giocatori: credo non siano cambiati da allora. Anche lì vigeva la stessa regola: chi vince resta, chi perde lascia; anche lì i giocatori potevano essere due ma di solito erano quattro; anche lì non ero imbattibile ma nemmeno sempre battuto, giocando in coppia dipendeva