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El seciaro

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Paese natale

Paese natale

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contenitori per cipolline e peperoncini sotto aceto. Nella giusta stagione noi fratelli aiutavamo la mamma a sbucciare le cipolline e a mondare i peperoncini. La famiglia era numerosa (7 persone), i vasi erano tanti e grandi (4~5 litri) e grande era la quantità di cipolline o peperoncini. Non ricordo confetture, marmellate o altre verdure. Ma peperoncini e cipolline non mancavano mai. Quando a carnevale mi rimpinzavo di grusto·i o frito·e immancabilmente finivo col smorbarmi la bocca con sio·ete o, preferibilmente, pevaroni. La casa in città era vecchia e non aveva le comodità moderne ma a differenza di quella dei nonni aveva acqua corrente e il cesso non in cortile.

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Di rame era anche il caliero (paiolo) appeso alla catena sul focolare. Vi si cuoceva la polenta, rimestandola per lungo tempo con la mescoℓa di legno, badando che non facesse i munari (grumi) e non prendesse el brusto·in (sapore di bruciato). Una volta cotta veniva subito versate sul panaro, il grande tagliere circolare con annodato un tratto di gaveta (spago sottile) per affettarla.

Di ottone erano invece i bossoli di proiettili d’artiglieria, decorati e non, usati a ornamento del focolare o come soprammobili, vasi da fiori, fermaporte e altro. Ne avevano in tutte le case, ricordo della Grande Guerra. Tutto quello che era di rame o di ottone veniva lucidato col soldame (pomice); i pavimenti (portico compreso) lavati con acqua, varechina, segatura; si broava su (si lavavano le stoviglie) nel seciaro e per la biancheria si faceva la broa , acqua bollente e cenere, la li§ia; per certe pulizie si adoperava con grande attenzione anche l’oio fumante (vetriolo?).

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Guerra e pace

Di notte c’era Pippo a terrorizzare i grandi e noi con loro, di giorno i bombardieri ad affascinarmi, una volta un sibilo vicino (una scheggia?) a inorgoglirmi; nei campi raccoglievamo bossoli di mitragliatrice. Mio padre girava col camion e spesso non c’era (era allora che dormivo al pianterreno?); i tedeschi nella vicina Bassano avevano impiccato non so quanti partigiani; al paese si diceva che ricercavano un uomo alto, magro; mio padre era alto, magro.

Mia madre era quasi sempre spaventata e ora aveva un figlio di pochi mesi: su tutti i pannolini* e fasce aveva ricamato una “S”: dopo maschio femmina maschio doveva essere Silvana e così fu Sergio. E anche i tre cugini doppi erano diventati quattro.

Ora i tedeschi fuggivano, cercavano biciclette e la gente le nascondeva. Un ragazzino di loro – pistola in mano – ne pretendeva una da noi: non si poteva dargli quel capitale, nemmeno per la vita, ma poi se ne andò e restammo con bici e vita.

Si ascoltava ancora guardinghi Radio Londra, ci parve di capire che gli alleati erano a Piacenza: sul tardi udimmo un gran colpo; mio padre ci fece stendere tutti a terra, mia madre terrorizzata voleva uscire ma fu stesa con la forza. Poco dopo un altro boato e un altro: ne contammo nove, poi silenzio; attesa, silenzio; ci trasferimmo velocemente nel rifugio scavato presso la casa dei Scàraba (la famiglia del fratello di mio nonno), appena al di là della strada e

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