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le cipolline e a mondare i peperoncini. La famiglia era numerosa (7 persone), i vasi erano tanti e grandi (4~5 litri) e grande era la quantità di cipolline o peperoncini. Non ricordo confetture, marmellate o altre verdure. Ma peperoncini e cipolline non mancavano mai. Quando a carnevale mi rimpinzavo di grusto·i o frito·e immancabilmente finivo col smorbarmi la bocca con sio·ete o, preferibilmente, pevaroni. La casa in città era vecchia e non aveva le comodità moderne ma a differenza di quella dei nonni aveva acqua corrente e il cesso non in cortile. Di rame era anche il caliero (paiolo) appeso alla catena sul focolare. Vi si cuoceva la polenta, rimestandola per lungo tempo con la mescoℓa di legno, badando che non facesse i munari (grumi) e non prendesse el brusto·in (sapore di bruciato). Una volta cotta veniva subito versate sul panaro, il grande tagliere circolare con annodato un tratto di gaveta (spago sottile) per affettarla. Di ottone erano invece i bossoli di proiettili d’artiglieria, decorati e non, usati a ornamento del focolare o come soprammobili, vasi da fiori, fermaporte e altro. Ne avevano in tutte le case, ricordo della Grande Guerra. Tutto quello che era di rame o di ottone veniva lucidato col soldame (pomice); i pavimenti (portico compreso) lavati con acqua, varechina, segatura; si broava su (si lavavano le stoviglie) nel seciaro e per la biancheria si faceva la broa , acqua bollente e cenere, la li§ia; per certe pulizie si adoperava con grande attenzione anche l’oio fumante (vetriolo?). Guerra e pace