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Strasse, ossi, fero vecio
from Tempo lontano
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Non c’erano oggetti di plastica ma di legno che, una volta inadatti all’uso, finivano nella stua; i vestiti venivano aggiustati, rigirati, passati al fratello minore (c’erano fratelli). Non c’erano rifiuti in giro e non ricordo se si pagava la tassa specifica, ma si poteva raggranellare qualche soldo consegnando giornali e materiale vario a quel tale che, pure su triciclo a pedali, girava per le strade di città e paesi gridando “Strasse, o§i, fero vecio!“. Nessuna emergenza rifiuti. NOTE. Vaca mora= locomotiva delle FTV Stua= stufa, serviva per cucinare e scaldare la stanza Scoasse=spazzatura (da scoa=scopa), rifiuti Scoa§aro=operatore ecologico un tempo detto netturbino, chi raccoglieva le scoa§e Spa§in=operatore ecologico un tempo detto spazzino Minestron=minestra di pasta, fagioli, patate, aromi Stra§e, ossi fero vecio=stracci, ossa, ferro vecchio.
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Un altro mondo
Molti anni fa, quand’ero ragazzino, vivevo in un altro mondo. Non ero mai a casa, o quasi mai, ma mia madre sapeva sempre dove trovarmi, come lo sapevano quasi tutte le nostre madri. Lo sapeva e non mi veniva a cercare, non temeva che usassi droga (nessuno lo faceva), che subissi un incidente d’auto (quasi nessuno l’aveva) o con il motorino (il Mosquito andava più adagio della bici). Per l’ora di cena ero sempre a casa, in tempo per cenare. Magari potevo tornare a casa senza una maglietta, tolta e dimenticata o (com'è capitato) senza i calzini che avevo perduto pur essendo assolutamente certo di non essermi tolto le scarpe. Lo affermavo e ancora lo affermo, ma non so spiegarmi come possa essere successo.
Passavo – passavamo – la maggior parte del tempo al ricreatorio parrocchiale de San Piero. Molto tempo, avevo molti impegni. Si giocava a calcio su un terreno senza erba (mai esistita) e con molti sassi; ma non mi entusiasmava, non ero molto bravo e preferivo altri giochi. Sullo stesso terreno si giocava anche a “pallacanestro” (mai chiamato basket), più o meno con lo stesso entusiasmo e gli stessi risultati.
Era il tempo che nel mondo imperversava la “canasta” e anche noi facevamo interminabili partite a quel gioco con due mazzi di carte che ora non saprei forse più giocare. Si giocava fra quattro amici in una delle sale o, d’estate, all’ombra degli striminziti alberi posti su un lato del campo di calcio e di pallacanestro che, di domenica, era anche la platea del cinema all’aperto parrocchiale.