Sulla vertenza della Biblioteca provinciale “La Magna Capitana” avverto una sensazione che interessa a pochi, in compenso l’avv. Francesco Andretta e il prof. Saverio Russo si sono mossi in via ufficiosa, cercando di avere notizie dirette, per quanto riservate, circa la effettiva volontà del Ministro Franceschini di “nazionalizzare” la Biblioteca: passaggio che resta fondamentale perché solo intorno ad esso, con la confermata disponibilità dell' Ente Regione, si può approdare ad un risultato concreto. Da Roma tramite, un foggiano membro del Governo, è giunta la “soffiata” della reale volontà del Ministro di statalizzare le Biblioteche di Foggia e Campobasso, essendo il Molise l' unica regione senza un presidio nazionale. L’Associazione Magna Capitana presieduta dall’avv. Andretta ha deciso di seguire la via istituzionale e rivolgersi al Presidente della Provincia Miglio, spronandolo a rinnovare a sua firma la richiesta, da lui già rivolta al Ministro, per la istituzione di un tavolo tecnico, comprensivo della Regione, per affrontare la situazione. Certo, alla luce delle evoluzioni “politiche” finalizzate all’attivazione di un percorso di statalizzazione della Biblioteca “La Magna Capitana”, ipotesi sulla quale avevano lavorato in particolare i parlamentari Colomba Mongiello e Michele Bordo e sulla quale si erano espresse favorevolmente le Assemblee consiliari del Comune di Foggia e dell’Amministrazione provinciale di Capitanata, sarebbe stato forse opportuno attendere l’apertura di quel tavolo con il Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo che tutti avevamo auspicato ed
invocato prima della ripartizione del personale operata ieri dalla Giunta regionale. Il Sindaco di Foggia, Franco Landella, in un comunicato stampa esprime le proprie perplessità. “Purtroppo i numeri valgono più delle dichiarazioni ad effetto e degli slogan, motivo per il quale i 70 posti che la Regione Puglia mette a disposizione per le funzioni culturali descrivono in modo chiaro che la Biblioteca “La Magna Capitana” non potrà mantenere per intero i suoi dipendenti. Se ne era discusso a lungo proprio nel corso della seduta congiunta dei Consigli comunale e provinciale dedicata alla questione, quando con parole di grande onestà intellettuale e di grande coraggio l’assessore regionale Leonardo Di Gioia chiarì l’impossibilità, da parte della Regione Puglia, di “salvare” tutto il personale”. A giusta veduta il Direttore della Biblioteca Provinciale “La Magna Capi-
tana”, Franco Mercurio evidenzia che in presenza di una decurtazione del personale, determinerebbe un ridimensionamento del ruolo e della funzione della biblioteca foggiana su scala regionale e nazionale, privandola, di fatto, del suo status di eccellenza invidiata e divenuta un punto di riferimento nel sistema bibliotecario italiano. Sono questi i frutti avvelenati della riforma “Delrio”, nata male e proseguita peggio. Un provvedimento infarcito di retorica antipolitica, superficiale e lacunoso nei contenuti oltre che sbagliato nella finalità. Se oggi siamo in questa situazione, dunque, la responsabilità politica è innanzitutto del Governo nazionale, che si è fatto interprete ed attuatore della peggiore demagogia. È bene dirlo con chiarezza e senza infingimenti, non per ragioni di polemica politica, ma perché sono queste storture a rendere complicata e difficile l’attività di chi amministra sul territorio ed incerto il futuro di tante lavoratrici e tanti lavoratori, danneggiando una struttura che da tantissimi anni è e resterà la memoria culturale e sociale della Capitanata, definita da Re Manfredi la mia Magna Capitana. Un territorio ricco di cultura, di potenzialità economica che viene frenata la sua crescita, in questi ultimi trent’anni, dal depauperamento delle sue eccellenze: dalla Scuola di Polizia, al Distretto Militare, alla centralità della stazione ferroviaria, al non decollo dell’aeroporto “G. Lisa”, solo per citarne alcune, evito di evidenziare le strutture e i riconoscimenti per l’eccellenza del comparto agroalimentare.
Un’altra interessante manifestazione si è registrata ad Orta Nova, presso la Sala della Rimembranza del palazzo ex gesuitico, nell’ambito della “Settimana della cultura” che, quest’anno per ragioni logistiche legate al rifacimento della piazza antistante, si è tenuta dal 7 al 13 dicembre 2015: un evento, quello della “Settimana della cultura”, che si ripete annualmente da ben nove anni (dal lontano 2007) e che è atteso dalla popolazione di Orta Nova e da quelle dei paesi limitrofi (Carapelle, Ordona, Stornara e Stornarella, oltre che da Ascoli Satriano) con curiosità intellettuale, nella consapevolezza che solo la lievitazione culturale di un territorio può alimentare la speranza di scenari nuovi, orientati a far crescere le collettività che sul comprensorio dei “Reali Siti” insistono e vivono. All’interno di una simile visione, innervata nella cultura quale elemento di cambiamento e di innovazione, si colloca anche l’iniziativa della presentazione del libro di Maria Tozzi Non è mai troppo tardi (Foggia, Il Castello, 2015), avvenuta sabato 12 dicembre 2015, alla presenza di un pubblico particolarmente interessato alle vicende professionali ed umane dell’autrice, ostetrica beneamata oltre ogni dire da quanti l’hanno incontrata lungo il loro cammino. Maria Tozzi, infatti - orsarese di nascita ma trapiantata a Carapelle da decenni - si è subito fatta apprezzare non solo per la signorilità d’animo e per la disponibilità umana, ma anche per la competenza professionale e per il profondo attaccamento al lavoro, concepito come impegno totalizzante, come scelta, come compito e soprattutto come prospettiva di senso, sorretta dall’etica della responsabilità e dalla cittadinanza consapevole. Davvero una bella “lezione” di impegno sociale e professionale quella che Maria Tozzi ha lasciato alle sue figlie (Pasqualina e Lina), alle sue nipoti (Federica e Laura), ai generi e, in modo particolare, alla comunità di Carapelle, specie se il pensiero è rivolto qui ai tempi complessi che stiamo attraversando, segnati dalla diserzione e dalla la-
titanza ad ogni livello (cfr. le testimonianze poste in fondo al libro - pp. 4551), così come, in modo incisivo, ha sottolineato a più riprese la poliedrica Paola Grillo di Stornarella (curatrice del libro di concerto con Pasquale Braschi) sia in sede di Premessa (pp. 5-6) che nel momento della presentazione ufficiale delle memorie lasciate dall’ostetrica di Carapelle, deceduta nel dicembre dello scorso anno (2014). Anche l’altro relatore
(Alfonso Maria Palomba di Carapelle), intervenuto, subito dopo Paola Grillo, durante la manifestazione - egregiamente moderata dall’assessore alla cultura di Stornarella, Brigida Cifaldi - ha fermato l’attenzione sull’humanitas di Maria Tozzi - ciceronianamente intesa come apertura all’ “altro” in nome della dignitas hominis o, meglio, considerata la professione esercitata, in nome della “sacralità” di ogni donna che ricorreva alle cure dell’ostetrica carapellese - soffermandosi nello specifico sulla professionalità della donna, capace di ascoltare la sua pazien-
te, di mettersi al suo posto, di capirla, di interessarsene anche al di là del tempo strettamente necessario, di rispondere alla sua chiamata e ai suoi bisogni più profondi. Per queste ragioni egli ha parlato, a proposito della professionista di Carapelle, di una sorta di «eroismo antieroico», cioè di un’«eroicità del quotidiano», del giorno dopo giorno, intessuta di valori e di principi, di punti di riferimento ben precisi, fattisi carne nell’onestà, nella gratuità, nell’entusiasmo per il proprio lavoro e nella fedeltà al servizio, toto corde vissuto e nella consapevolezza, per dirla con il filosofo tedesco Georg Wilhem Friedrich Hegel, che «nulla di grande può essere fatto nel mondo senza il contributo della passione». Quella “passione” che l’ha accompagnata lungo tutta la sua traiettoria umana e professionale e che le ha consentito di giungere alla fine del suo percorso esistenziale con la serenità d’animo, di cui parla il filosofo di Cordova in una lettera a Lucilio (30,4), anche se ha dovuto in itinere sperimentare la difficoltà di conciliare il lavoro con la vita privata. Una serata coinvolgente, infine, quella di sabato 12 dicembre 2015, da un lato scandita dalla musica di Ermanno Ciccone, maestro di chitarra classica, dall’altro permeata di ricordi e di emozioni: un’occasione preziosa che, grazie alla disponibilità del patron della «Settimana della cultura», Annito Di Pietro, ha dato un opportuno rilievo ad una ragguardevole figura di professionista e di donna, che può essere assunta a giusta ragione non solo quale senhal di una vita di cortesia, come scrive la curatrice Paola Grillo nella Premessa, citando Marcello Veneziani, e come ricorda il video allestito per l’occasione da Michele Di Domenico, ma anche e soprattutto come emblema di un’esistenza vissuta all’insegna della coerenza e dell’operosità. Non è poco, assicuro i lettori, in questa stagione storica travagliata e difficile.
I padri Passionisti ad Orta Nova Le parrocchie B.V.M. dell’Altomare e B.V.M. di Lourdes di Orta Nova hanno vissuto dal 14 al 21 di febbraio una intensa settimana animata dai padri passionisti: padre Damiano, padre Tito, padre Michele e padre Silvano. L’ultima missione passionista ad Orta Nova, circa 16 anni fa, fu fatta in preparazione al Giubileo del 2000. La richiesta dell’attuale Missione è nata dall’occasione dell’Anno della Misericordia voluto da papa Francesco. La Missione è iniziata domenica 14 febbraio alle ore 10,30 con la S. Messa nella parrocchia B.V.M. dell’Altomare presieduta dal Vescovo S. Ecc.za Rev.ma Mons. Luigi Renna che ha conferito ai missionari il mandato della predicazione e consegnato il libro dell’Evangelo e il Crocifisso. Una marea di ragazzi e giovani ha accolto il Vescovo e i missionari cantando la gioia della missione e della misericordia di Dio. La settimana si è aperta innanzitutto con un triduo eucaristico (quarant’ore) dove i padri hanno tenuto un vero e proprio corso di esercizi spirituali al popolo con annuncio e catechesi mirate sulla infinita misericordia e bontà del Padre che si è concretizzata nella persona del Figlio Gesù Cristo, il rivelatore del volto di Dio. Centrale è stato l’annuncio sulle parabole della misericordia del vangelo di Luca: la pecora smarrita, il figlio ritornato. Anche altri brani sono stati commentati in maniera da suscitare molto coinvolgimento: la chiamata di Levi, Zaccheo invitato a scendere dall’albero. Nella seconda parte della settimana la missione si è incentrata sull’annuncio della misericordia di Dio ai ragazzi e i giovani delle comunità. Ottima la partecipazione e l’entusiasmo dei bambini del catechismo che sono stati interessati dall’animazione fatta con canti coinvolgenti ed esempi molto concreti e vicini alla loro vita. Anche i giovani hanno partecipato in maniera preponderante (nonostante il loro iniziale scetticismo) e sono rimasti edificati dalla parola di questi maestri della missione. Non è mancata la visita alle scuole presenti nel territorio. I dirigenti scolastici sono stati molto gentili nell’accogliere i missionari e aprire la scuola all’annuncio della misericordia. Anche gli insegnanti sono stati molto felici della visita e hanno partecipato con gioia e interesse. Gli ammalati, curati dai parroci e dai ministri straordinari della comunione, sono stati visitati tutti, confessati e recato loro il conforto dell’Eucarestia e del sacramento dell’Unzione. L’ultimo giorno è stato dedicato alle associazioni presenti, alle coppie e alle famiglie: anche per loro la catechesi è stata molto profonda e ha toccato temi molto attuali quali il perdono, la giustizia, l’importanza della Chiesa e della comunità nonché la misericordia da vivere proprio all’interno della propria famiglia. La mis-
sione si è conclusa domenica 21 con una celebrazione eucaristica gremita di ragazzi e famiglie dove non sono mancati i saluti pieni di affetto (e di lacrime) nei confronti dei padri. I padri missionari hanno davvero lavorato sodo e fatto la loro parte. La riuscita della missione, certo, non dipende solo da loro ma dall’accoglienza nel cuore di ciascuno della parola di Dio che hanno annunciato. I frutti di misericordia che ci si attende cresceranno nella misura in cui ognuno farà operare il Signore nella sua vita credendo al vangelo della misericordia per essere misericordiosi come il Padre e il suo Figlio Gesù. Lello Iorio commissario cittadino di Forza Italia La dirigenza di Forza Italia Orta Nova è lieta di annunciare la nomina di Lello Iorio come commissario cittadino di Forza Italia. A dare la notizia è stato proprio il Coordinatore regionale del partito On. Luigi Vitali: “Il neo Commissario Lello Iorio spiega l'On. Vitali - opererà coordinandosi con le istituzioni locali, provinciali e nazionali, nell'ambito di una concertazione istituzionale con i vari organi di partito”. La scelta di nominare Lello Iorio è stata accolta con grande soddisfazione dal nuovo gruppo locale di Orta Nova, che vede in lui una fonte importante di esperienza politica ed amministrativa maturata negli anni. A confermare tale nomina è il Coordinatore Provinciale di Forza Italia Raffaele Di Mauro, che ha augurato un proficuo lavoro di rilancio del partito di Forza Italia ad Orta Nova. Immediata è stata la risposta di Lello Iorio che dal suo profilo Facebook ha così commentato: “Desidero ringraziare l’on. Gino Vitali per la fiducia accordatami con la nomina a commissario di partito ad Orta Nova. Compito sicuramente difficile, che però sarà di certo facilitato dall'ausilio degli amici e dei giovani, a me vicini, volenterosi di dar vita ad un rilancio progettuale che coinvolga tutti gli esponenti di centro destra della nostra amata cittadina! Mi sento di garantire il mio massimo impegno, a cui aggiungo la mia personale speranza di poter dare un contributo costruttivo alla formazione di una coalizione forte e vincente, basata sulla condivisione di ideali comuni per lo sviluppo socio-economico del nostro territorio. Grazie”. Entrano a far parte della squadra: Nicola Distasio vice-commissario e delegato alla Cultura e Rapporto con gli Enti; Antonio Annicchiarico con deleghe alle pubbliche relazioni, informazioni e addetto stampa; Domenico Spinelli contenzioso e normative, Antonio Ricciardelli politiche agricole, artigianato e commercio, Ottavia D'Emilio sanità, politiche sociali e pari opportunità, Maria Rosaria Quiese politiche giovanili, sport e tempo libero, Antonio Paglialonga
economo-tesoriere e Michele Fattobene lavori pubblici e urbanistica Stornara - Inaugurato il Master Universitario di Vilma Xhahhysa
Si è svolta a Stornara, presso l’Auditorium dell’Istituto Comprensivo “Papa Giovanni Paolo I” l’inaugurazione del master universitario counseling etico, biopedagogico e pratica filosofica “la peronsa e il disagio” e del polo universitario “Basso Tavoliere di Piglia”. Sono intervenuti all’incontro il sindaco di Stornara, Rocco Calamita, il Vice Sindaco e Assessore alla Cultura, Brigida Andreano, il Magnifico Rettore dell’Università Statale “A. Moro” di Nari il prof. Antonio Felice Uricchio, il Direttore del Dipartimento di Neuroscienza dott.ssa Maria Troiano, il prof. Francesco Bellino, ordinario di Etica e Bioetica presso l’Università degli Studi di Bari il quale ha approfondito la tematica cella presenza e il ruolo dell’intellettuale nella società che cambia, mentre la dott.ssa Calzolaio ha esposto la tematica sul Couseling e il disagio: Interessanti l’intervento del prof. Rocco Carsillo ha approfondito le prospettive tra scuola, famiglia, genitori docenti e studenti. È stata occasione anche per parlare di musicoterapica con la dott.ssa Adriana De Serio del Conservatorio di Foggia e del maestro Ermanno Ciccone. Errata corrige Sul numero scorso a pag. 14 è stato erroneamente riportato il nome di battesimo dell’Assessore alla Cultura del Comune di Stornarella, debitamente ci scusiamo con la dott.ssa Brigida Cifaldi. Lutti È venuta a mancare all’affetto dei suoi cari Pasqua Montanaro ved. Di Pietro, l’editore Annito Di Pietro e la redazione si associano al dolore. *** Vincenzo Ricciulli e i figli annunciano con immenso dolore la dipartita di Mariolina Fioretti, moglie e mamma. Annito Di Pietro e la redazione si associano al dolore della famiglia Ricciulli-Fioretti.
Il Gruppo di Azione Locale (Gal Piana del Tavoliere), con sede nel Comune di Cerignola, è nato nel 1998 grazie ad una partnership, costituita da rappresentati del settore pubblico e privato: associazioni di categorie, soggetti privati, enti pubblici e amministrazioni comunali del territorio; per l’attuazione del Programma Leader II, promosso dalla Unione Europea e dalla Regione Puglia. Scopo principale del Leader II: facilitare gli scambi di esperienze tra operatori rurali, diffondere l’innovazione e il trasferimento di know-how; in particolare a favore delle zone rurali più svantaggiate Un’intensa attività di programmazione, ha poi visto Il Gal Piana del Tavoliere ricoprire costantemente negli anni successivi, un ruolo sempre più attivo per la crescita sostenibile ed integrata, del territorio. Nell’ambito della programmazione del Psr 2007-2013, la Società ha realizzato il proprio Piano di Sviluppo Locale; estendendo il suo raggio d’azione ad una pluralità di tematiche e competenze, attraverso l’attivazione e la gestione di finanziamenti. Essere Agenzia di Sviluppo Locale significa elaborare strategie di sviluppo, attuare piani d’intervento, creare una rete di soggetti per mettere in comune progetti ed iniziative. In particolare, valorizzazione e rilancio del territorio risultano ancora una volta, gli obiettivi primari anche nella prossima programmazione del PSR Puglia 2014-2020; il cui primo incontro formativo, si è tenuto lo scorso 18 febbraio, presso la Sala Conferenze del Palazzo Ex Gesuitico ad Ortanova. Nel panorama economico odierno, fare sistema e creare rete, risulta una necessità di primaria importanza; come ha illustrato Alessandro Paglialonga, Assessore all’Agricoltura del Comune di Ortanova. Secondo Paglialonga, oggi bisogna ragionare per filiera, superando le antiquate logiche dei personalismi; e puntando contestualmente, al finanziamento di nuovi progetti. Valerio Caira, Presidente del Gal Piana del Tavoliere, ha in particolare voluto sottolineare l’importanza di sviluppo del Gal, nel settore alimentare; attraverso l’introduzione di nuove strategie, capaci di far crescere il territorio. “Tutti i prodotti che forniamo, provengono dalla nostra tradizione”, ha proseguito Caira, “e ciò contribuisce indubbiamente ad accrescerne il valore intrinseco; dobbiamo tuttavia adattarci ai mutamenti in atto, puntando a strategie vincenti, improntate sulla logica di un km 0 a distanza. Questo significa, lavorare il prodotto nello stesso luogo di produzione; e portarlo a distanza, dall’altro capo del mondo: il tutto in tempi ridottissimi. Per fare ciò tuttavia, occorre garantire la presenza di molteplici fattori, quali: studio, tecnologia, internazio-
nalizzazione.” Nota dolente su cui ha voluto soffermarsi infine Caira, il cancro della contraffazione in Italia e quello, dell’Italian Sounding nel mondo; ossia la presenza di elementi che richiamano l’italianità, in prodotti esteri. Una piaga questa, che colpisce pesantemente le produzioni italiane di eccellenza. Attraverso la creazione di marchi di qualità, i produttori sono già impegnati nell’arginamento dei fenomeni evidenziati; ma è tuttavia solo un intervento forte del Governo, a poter garantire un’adeguata opera di contrasto. Per Massimiliano Schiralli, Ricercatore Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia)”: La ricerca, il potenziamento delle innovazioni e la diffusione delle conoscenze sul territorio, rappresentano alcune tra le più importanti variabili, in grado di favorire lo sviluppo sostenibile del sistema agro-alimentare. In particolare, esse possono incidere positivamente sulla crescita economica, sulla competitività, sulla qualità della vita e dell’ambiente. Nel corso dell’ultimo decennio, pur non possedendo proprie strutture sperimentali, la Regione Puglia ha promosso e finanziato numerosi progetti di ricerca nel settore agricolo e agro-alimentare; utilizzando diverse fonti finanziarie di provenienza regionale, nazionale e comunitaria. L’azione regionale si propone, tra l’altro, di fornire adeguate risposte alla domanda di conoscenza e di innovazione espressa dalle aziende agricole e forestali pugliesi, nonché dal sistema agroalimentare; di avvicinare le attività di ricerca ai fabbisogni di innovazione del territorio, di consolidare l’impegno regionale in termini di risorse. Allo stesso tempo, opera per favorire la crescita di un sistema di relazioni, lo sviluppo di sinergie e professionalità, la condivisione delle conoscenze e l’integrazione tra produzione, trasferimento
e diffusione dei risultati delle ricerche.” Antonio Pepe, Direttore del Distretto Tecnologico Agroalimentare Regionale (DARE), si è invece soffermato sulla necessità di essere competitivi nel territorio, puntando all’aggregazione. Ha poi - in particolare - lamentato, la scarsa presenza degli agricoltori di Ortanova all’incontro; evidenziando l’importanza di motivare i giovani. “Occorre unirsi su un’idea innovativa ed al tempo stesso vincente”, ha concluso Pepe, “come la realizzazione degli orti verticali; coinvolgendo università ed associazioni di categoria.” Antonio Stea, Direttore del Gal, ha ricordato gli ottimi risultati conseguiti, attraverso il PSR Puglia 2007-2013. “Tra venti giorni”, ha proseguito Stea, “avvieremo un tavolo di concertazione, per l’utilizzo delle nuove risorse destinate a rafforzare ulteriormente, l’economia del territorio. È questa in assoluto, la fase più delicata ed importante; durante la quale si svolgeranno gli incontri settoriali. Sul piatto della bilancia ci sono ben 9 milioni di euro, destinati al sostegno dell’economia locale; con l’attivazione di un conseguente circolo virtuoso.” A chiudere l’incontro, il Presidente della Confederazione Produttori Agricoli (Copagri) di Foggia, Luigi Inneo:” Per affrontare la sfida posta dal mercato globale odierno, occorre senza dubbio un’inversione di rotta. Non è più possibile infatti, ragionare in termini di isolamento; dal momento che solo l’unione dei produttori, può garantire attraverso collaborazione e cooperazione, la commercializzazione di uno stesso prodotto. Ed in quest’ottica, l’iniziativa promossa dal Gal Piana del Tavoliere, attraverso il PSR Puglia 2014-2020 per il sostegno alle aziende; rappresenta una straordinaria opportunità di crescita per tutto il territorio.”
Nella serata clou della “Settimana della cultura” - quella, intendo, della presentazione delle personalità premiate nell’ambito del trofeo “Carolina Pugliese” (13 dicembre 2015) - più volte, da parte di Annito Di Pietro, è stato citato, nella “Sala della Rimembranza” del palazzo ex gesuitico, il Comune di Ascoli Satriano quale indispensabile partner dell’“Unione dei Reali Siti”, in vero oggi entrata in una fase di crisi persistente, testimoniata dalle incomprensioni nate negli ultimi tempi tra i cinque sindaci e che hanno trovato eco anche sulla stampa locale. Per saperne di più, abbiamo rivolto alcune domande al presidente dell’Associazione culturale “L’Ortese”. Domanda: Durante la presentazione del premio “Carolina Pugliese” Lei ha parlato dell’«Unione» come di un fantasma che si aggira per i cinque Comuni e che nulla o quasi riesce a concretizzare. C’era una vena polemica in quelle affermazioni? Risposta: Certamente no. Chi mi conosce sa anche della mia lealtà nei confronti delle istituzioni, con le quali ho sempre collaborato in modo trasparente e, spero, anche proficuo. Piuttosto le mie parole erano, in quella circostanza, intrise di delusione nel constatare come la vita dell’«Unione» si snodasse in modo lento e tra mille ostacoli, oltre che tra scetticismi e sospetti di varia natura. Quelle parole - ma penso le stesse cose anche oggi avevano il valore dello stimolo e dell’invito ad operare concretamente, dopo aver eliminato tutte le incongruenze che hanno accompagnato finora il cammino dell’“Unione”. Sono convinto - oggi come ieri - che, per rivitalizzare l’ “Unione”, occorrano, infatti, alcuni interventi mirati sullo Statuto, la riduzione drastica del numero dei consiglieri, il coinvolgimento diretto delle popolazioni delle cinque comunità, la definizione di programmi chiari e soprattutto la rendicontazione finale degli obiettivi raggiunti dalla Giunta e dal Consiglio, oltre che da parte di tutti gli attori in campo. Occorre, in altri termini, il “controllo” della gente su quello che il nuovo ente locale è in grado di produrre, dopo aver studiato nuove formule di partecipazione e di condivisione, all’insegna della trasparenza e dell’operosità. Per favorire la partecipazione dei cittadini, per esempio, penserei ad elezioni di secondo livello, sul modello di quanto
è avvenuto per l’elezione dei consiglieri provinciali. D: Perché insiste nell’affermare che l’«Unione», per trovare nuova linfa, debba aprirsi al Comune di Ascoli Satriano? R: Credo che sia un percorso obbligato per l’«Unione» l’incontro con Ascoli Satriano, che darebbe, a mio avviso, un valore aggiunto ai “5 Reali Siti” sul piano storico - archeologico ed economico sociale ad un tempo. Con Ascoli Satriano, infatti, è possibile avviare una forte intesa nella direzione della creazione di un Polo storico archeologico e culturale lungo la Valle del torrente Carapelle, con l’obiettivo concreto, per i “5 Reali Siti”, di immaginare quelle prospettive di futuro che solo il “gioco di squadra” può offrire. Ordona (con il suo immenso patrimonio archeologico) ed Ascoli Satriano (con il suo parco pensato come sistema integrato tra natura, archeologia e tempo libero), insieme a Faragola (la villa utilizzata tra il IV e il VI secolo d.C., con ogni probabilità dalla famiglia senatoria degli Scipioni Orfiti), possono costituire davvero un trinomio formidabile, un triangolo strategico di tutto rilievo, un volano sicuro per la promozione del territorio in termini di turismo culturale. Ovviamente il tutto accanto alla valorizzazione dei prodotti tipici locali (turismo enogastronomico), perché la cultura da sola non ha il necessario appeal per attrarre turisti e visitatori. D: La Sua, presidente Annito, è un’invasione di campo nella politica o che cosa? R: Assolutamente no, perché io finora mi sono sempre occupato di cultura e solo di cultura. Ho, però, una mia idea
della cultura, che non può essere ridotta a semplice attività di intrattenimento o a mero esercizio di consolazione, ma va intesa come strumento di cambiamento del reale. Su questa base esprimo solo il mio pensiero di uomo e di cittadino - attento, spero, alle cose che succedono all’intorno - sul futuro dell’«Unione», che non può morire per inerzia, come sta accadendo, perché questo significherebbe affermare l’inadeguatezza della politica, nella quale fermamente credo. Anzi, in punta di piedi, mi permetto di dire che sul destino dell’«Unione» devono decidere le comunità, finora lasciate fuori dal dibattito per motivi ai più sconosciuti: colgo qui l’occasione, per annunciare a tutti che sto mettendo mano, d’intesa con i miei collaboratori più fidati, all’organizzazione di un convegno sull’argomento, al quale far intervenire personalità provenienti da vari settori - dall’università all’imprenditoria, dalla cultura alla politica - per poter discutere tutti insieme circa le possibilità di sviluppo del territorio e le potenzialità dell’«Unione», che è una scommessa da non perdere, soprattutto dopo l’impegno degli amministratori della prima ora. D: In conclusione, quale messaggio vuole inviare agli amministratori e alle comunità dei “5 Reali Siti”? R: È possibile, secondo me, riprendere il cammino interrotto, a condizione, però, che non si proceda più per linee sparse e soprattutto che tutti acquisiscano la consapevolezza dell’importanza della partita che si sta giocando. Coraggio, possiamo farcela.
Dopo l’Investitura Pastorale del 2 gennaio scorso ad Andria, prima visita ufficiale del neo Vescovo Luigi Renna ad Orta Nova, sabato 23 gennaio in coincidenza con la ricorrenza del suo cinquantesimo compleanno. Qui il prelato, con passato da Rettore del Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta, è stato accolto dal Sindaco Gerardo Tarantino e da una gremita folla al suo arrivo nei pressi della Villa Comunale, alle ore 17:30. La festosa combriccola, si è poi diretta a piedi verso Palazzo di Città; dove come da protocollo, si è svolto il tradizionale scambio di saluti, con la Delegazione delle Autorità Istituzionali dei Cinque Reali Siti. Al termine dell’incontro, S.E. Mons. Renna ha poi raggiunto la Chiesa Madre dove ha officiato la Santa Messa; alla presenza dei fedeli di tutte le Parrocchie della Città. Dopo la celebrazione, si è infine soffermato a dialogare con i suoi fedeli, sulle tante problematiche che questo territorio vive. Non sono naturalmente mancati tra la folla, spunti polemici sull’operato del suo illustre predecessore. Ricordiamo che Mons. Felice di Molfetta, ha lasciato il prestigioso scanno vescovile lo scorso ottobre, ufficialmente per sopraggiunti limiti di età. Allo stesso infatti, non è stato nemmeno accordato l’anno di proroga, normalmente concesso a fine mandato. Al prelato è toccato dunque, solo l’amaro premio di consolazione; con la temporanea nomina ad Amministratore Apostolico ed il compito, di guidare la Diocesi fino all’ingresso del nuovo Pastore Luigi Renna. Termina così l’opera apostilica di Mons. Felice, che di certo non può dirsi “felice” nei contenuti; data la lunga scia di polemiche che ha accompagnato fino alla fine, il suo mandato pastorale nella Diocesi. “Personalità poliedrica”, scrive di lui il dott. Michele Romano, Assessore nella Giunta Giannatempo, in un suo post su facebook, “caratterizzata dall’attuazione di un raccapricciante programma politico: uso improprio dell’8 per mille, costruzione di una tomba faraonica inutile, costosa, anacronistica … incarichi edilizi ricoperti sempre dalla stessa ditta e senza trasparenza alcuna, assenza di una vera azione pastorale (di strada) e dulcis in fundo, campagna elettorale con lista cattolica annessa.” Insomma un rapporto di costante conflitto, quello di Mons. Felice con i fedeli della sua Diocesi, ed in particolare con la popolazione di Cerignola. Non va infatti neppure tralasciata la vicenda che attiene le “particolari” modalità di nomina degli insegnanti di religione in Diocesi; né la reintroduzione del divieto di celebrazione delle esequie per i suicidi, negando di fatto ai Sacerdoti quella neces-
saria opera di discernimento legato ai singoli casi, ed anzi arrogandosi il pieno potere di applicarlo “convenientemente” a seconda del suicidio in questione. Poco incisivo è
stato anche, in questi anni l’impegno di Mons. Felice per sostenere la nascita di nuove vocazioni, all’interno del Seminario Diocesano di Cerignola; divenuto - ahimè! - dormitorio, per i Sacerdoti presenti in zona. Come pure flebile, quell’impegno di “buon padre”; volto al recupero di seminaristi e Sacerdoti che si sono smarriti, nel loro cammino verso Cristo. Ebbene da tutto ciò, emerge nitido il quadro di una realtà tutt’altro che facile, nella quale dovrà operare Mons. Renna, chiamato a ricucire non pochi strappi con i fedeli della sua Diocesi. Intanto, un chiaro segnale giunge immediato proprio dallo stesso neo Vescovo, attraverso il messaggio che ha prontamente indirizzato a tutta la sua Diocesi; già nei mesi scorsi, all’indomani della sua nomina. “So di inserirmi nel cammino di una Chiesa viva;” ha esordito Mons. Renna, “ai confratelli presbiteri diocesani e religiosi, vorrei ricordare la nostra vocazione di ministri, che ci vedrà concordi nel cingere il grembiule e servire i nostri fratelli e sorelle. Rivolgo poi un pensiero particolare al mondo della scuola, senza dimenticare i giovani, destinatari del saluto di un padre che non li vorrebbe più vedere partire per cercare di realizzarsi. Per le terre di Cerignola e di Ascoli Satriano, luoghi nei quali si è combattuto per i diritti civili e dei lavoratori, auspico invece un nuovo sussulto di legalità; che ci deve animare per i diritti dei poveri più poveri, che lontani dalla patria, per pochi euro mettono a rischio la loro salute nei nostri campi”. Parole “forti” dunque, di certo destinate a scuotere le anime di fedeli e non, dal “rassicurante” torpore in cui per lungo tempo, erano cadute; richiamando l’attenzione ai modelli di santità di don Tonino Bello, che proprio di Molfetta fu Vescovo. A S. E. Mons. Renna, va infine l’augurio di tutta la nostra Redazione, per
la missione pastorale che ha da poco intrapreso nel nostro territorio. Un compito - di certo - non facile, nel quale si affacciano già le prime avvisaglie, come l’annoso problema dell’imminente rotazione dei Sacerdoti; alla quale auspichiamo voglia far seguire anche un ricambio degli incarichi in seno alla stessa Curia, così da poter garantire nuovi impulsi vitali da parte di giovani Sacerdoti, all’interno degli ambiti decisionali. Siamo certi che il nuovo Vescovo saprà bene interpretare nel territorio, tutte le esigenze di quella Chiesa in movimento verso il cambiamento, voluta fortemente da Papa Francesco; come l’arginamento dell’antico fenomeno delle “Messe Plurintenzionali” (per battere cassa), e l’apertura dei propri locali all’accoglienza dei migranti; al momento completamente disattesi dalle Parrocchie. Vedasi in particolare il caso di Orta Nova, dove pur in presenza di strutture inutilizzate, l’invito del Santo Padre è stato con fermezza, respinto al mittente!
Davvero una gentildonna di altri tempi Carolina Pugliese (Orta Nova, 1852 - Roma, 1957) che - a distanza di quasi sessant’anni dalla sua morte - è ancora oggi presente nella memoria collettiva ortese come la Maestra per antonomasia, al punto che a Lei è intitolato, a far data dal dicembre 2015, il trofeo conferito alle personalità dei «5 Reali Siti» e di Ascoli Satriano, distintesi fuori dal contesto municipale di appartenenza, all’interno del programma della «Settimana della cultura», tenacemente voluta dal patron Annito Di Pietro, valoroso presidente dell’Associazione culturale “L’Ortese”. Per i giovani di oggi e per quanti, alla maniera di don Abbondio, camminando per via Carolina Pugliese (risalente al 28 novembre 1966) o leggendo l’intitolazione della scuola materna comunale di via Goffredo Mameli (a far data dal 14 giugno 1997), si sono posti la domanda “Chi era costei?”, provo qui a delineare il profilo professionale ed umano della prima maestra di Orta Nova, che ha meritato la riconoscenza in aeternum della comunità, plasticamente resa dalla targa affissa il 10 maggio 1966 dalla amministrazione comunale nell’atrio del 1° Circolo di via Vittorio Veneto e che qui di seguito si riporta. La famiglia e la formazione Si formò Carolina Pugliese in un ambiente familiare in cui si respiravano cultura e sentimenti di libertà, grazie al capofamiglia Filippo, nativo di Cerignola, carbonaro e mazziniano, che si trovò relegato in Orta per “cospirazione patriottica”. Una tale circostanza “racconta” in modo plastico quali erano le condizioni di vita in una colonia come quella ortese, definita da Carlo De Cesare (intellettuale moderato della destra liberale) nel 1859 - appena sette anni dopo la nascita di Carolina come una landa desolata, una terra mefitica, “un misero ed oscuro villaggio”, dominato dalla miseria e dalla malaria, oltre che dall’analfabetismo e dal brigantaggio. In questo contesto, tuttavia, si era imposto all’attenzione di tutti Filippo, uomo colto e probo, segretario comunale per oltre 26 anni (dal 1°gennaio 1863 al 3 settembre 1889) che, con il supporto della consorte Maria Michela Pescatore, avviò agli studi tutti i suoi figli che nel tempo diedero ot-
tima prova di sé: da Carolina a Francesco Paolo (Orta, 1862 - Roma, 1910), filosofo ed umanista; da Nicola (Orta, 1860 - Lecce, 1934), direttore didattico e volontario garibaldino, a Saverio (Orta, 1859-1935), insegnante elementare, poeta e scrittore e ad Antonietta, anch’ella maestra elementare. Grazie ad un sussidio stanziato dal Comune, consistente in 375 lire annuali (biennio 1867-1868) comprensive anche della divisa (cfr. delibera CC del 22 ottobre 1867), Carolina fu ammessa come allieva interna nella Scuola normale femminile di Capitanata, triennale, (per intenderci, mutatis mutandis, l’istituto magistrale) attiva dall’autunno del 1864 (per trasformazione della Scuola normale - preparatoria per allieve maestre, che aveva avuto inizio il 2 giugno 1862 in vico San Giuseppe), dove ottenne il diploma nell’anno 1869, all’età di diciassette anni, tanto da diventare la più giovane maestra d’Italia. Curriculum vitae et studiorum Nello stesso anno del conseguimento del titolo necessario per l’insegnamento Carolina Pugliese, come prova la delibera datata 6 novembre 1869, fu nominata dal Consiglio maestra di grado superiore (abilitata, cioè, ad insegnare nelle classi 3ª, 4ª e 5ª) per il triennio 1969 - 1872 e dalla stessa data cominciò a restituire le somme anticipate dal Comune, portando a termine l’operazione di rimborso il 1°aprile del 1878
(Divenne, poi, maestra a vita l’8 febbraio 1895 insieme alla sorella Antonietta). Ottenuta la “patente”, come si diceva allora, donna Carolina cominciò, ad appena diciassette anni, la sua carriera di insegnante, rivelandosi in grado di attivare - in un contesto sociale dominato dall’analfabetismo dilagante che si attestava intorno al 75% ed oltre su una popolazione di 5.043 (comprensivi degli abitanti di Carapella, 701) al censimento del 1861 - un vero e proprio servizio pubblico di istruzione e di formazione popolare. In questa direzione si prodigò sempre e con notevole abnegazione, tanto da meritare, sempre e ogni anno, l’affetto incondizionato delle sue allieve, oltre che la stima delle autorità scolastiche ad ogni livello. Dopo un periodo di lontananza da Orta Nova (così chiamata a decorrere dal 1° gennaio 1863), per essere convolata a nozze con l’ufficiale dei carabinieri Alessandro Acquistapace (Gussòla di Casalmaggiore, Cremona, 24 maggio 1879), vinta dalla nostalgia della sua terra natia, tornò ad Orta, continuando la sua attività di insegnante, sempre più apprezzata non solo a livello locale, ma anche tra i pedagogisti del tempo, oltre che nelle stanze ministeriali romane. Proprio in virtù delle benemerenze conquistate sul campo, Carolina Pugliese ottenne dal Ministero della P.I., nel 1908, la Pensione Mauriziana, spettante alle quattro maestre più meritevoli d’Italia, poi ancora una medaglia di bronzo
per meriti speciali, in uno con la nomina a direttrice didattica, infine, al momento del suo collocamento a riposo, una medaglia d’oro per il lodevole servizio prestato nella scuola. L’anno clou della carriera professionale qui capitulatim attraversata si ebbe, però, nel 1912, quando Carolina Pugliese diede alle stampe il Diario di classe intitolato “Un anno di scuola”, che Le diede una risonanza nazionale, perché il suo Giornale di classe fu molto apprezzato dai più noti pedagogisti del tempo e nelle sfere alte del Ministero, tanto che il lavoro fu dovunque preso a modello dalle successive compilazioni analoghe (Di questo registro di classe, però, dirò a parte su queste pagine, perché esso merita una riflessione più approfondita per le sue implicazioni didattiche e pedagogiche). Da pensionata, infine, Carolina Pugliese visse prima a Napoli presso una figlia, poi a Roma con un figlio e una nuora, che era stata sua allieva, fino alla morte avvenuta il 24 giugno 1957, dopo 53 anni, 6 mesi e 15 giorni di insegnamento. L’impegno civile e patriottico Encomiabile, poi, fu l’attività di Carolina Pugliese durante la grande guerra (1915 - 1918), quando, coniugando il suo impegno di docente a quello civile e patriottico - di cui a lungo aveva parlato alle sue discepole durante le lezioni - costituì un Comitato di assistenza sia per i combattenti italiani sia per quelli austriaci, accanto ad un Reparto notizie, grazie al quale riusciva a fornire informazioni alle madri e alle mogli ortesi circa i propri figli e i propri mariti in guerra. Un’opera altamente meritoria che, alla fine del primo conflitto mondiale, nel giugno del 1919, procurò alla benemerita maestra ortese una medaglia di bronzo per meriti patriottici da parte dell’Ufficio Centrale Notizie di Bologna. In virtù anche di queste referenze patriottiche, alcuni anni dopo - esattamente il 15 giugno 1923 - il generale Carlo Sinisi, sindaco di Orta Nova, dal 20 marzo 1922 al 23 dicembre 1924, chiamò Carolina Pugliese ad inaugurare, in qualità di madrina, il Parco della Rimembranza in corso Umberto I, nel quale ogni albero era dedicato ad un caduto ortese. Un cimelio di oltre cent’anni fa Ho tra le mani, nel momento in cui scrivo (10 febbraio 2016), un prezioso documento messo cortesemente a mia disposizione da Attilio Acquistapace (commercialista, figlio di Alessandro e nipote di Attilio, ultimo dei figli di donna Carolina) che ringrazio pubblicamente: un prezioso quadernone sul quale la docente “racconta”, per così dire, la sua attività scolastica, arricchita di volta in volta da significative riflessioni didattiche e pedagogiche, ancora oggi valide per chiunque voglia occuparsi di educazione e di formazione. In modo specifico il Diario in parola - riguardante,
sì, l’a.s. 1910-1911, ma con palese evidenza sussidio utilizzato durante tutti gli anni di insegnamento - riguarda l’attività svolta dalla Pugliese nelle classi 5ª e 6ª del cosiddetto Corso popolare, introdotto nel 1904 dalla legge Orlando (L. 8 luglio 1904, n. 407). Per un approccio più meditato alla questione dell’istruzione obbligatoria faccio rinvio alla scheda presente in queste pagine, ma almeno qui recupero solo qualche informazione necessaria. Ricordo qui come nella legge Casati - che ha costituito per oltre sessant’anni l’ossatura del sistema scolastico italiano (cfr. L. 13 novembre 1859, n. 3725) - per la scuola elementare si prevedessero un corso inferiore ed uno superiore, ambedue di due anni, mentre, diciotto anni dopo, la legge Coppino (L. 15 luglio 1877, n. 3961) - uno dei punti qualificanti del programma della Sinistra storica - portò il ciclo di studi a cinque anni, introducendo l’obbligo scolastico nel primo triennio delle elementari. Successivamente l’obbligo dell’istruzione fu prolungato al dodicesimo anno con la legge 8 luglio 1904, proposta dal ministro Orlando. La cosa che preme qui sottolineare è l’introduzione, alla fine della classe quarta, di un “esame di maturità”, obbligatorio per gli allievi orientati a proseguire negli studi secondari. Nel contempo, però, si faceva obbligo ai Comuni, nei quali già esisteva un corso completo, di istituire la classe sesta che, unita alla quinta, avrebbe costituito un Corso popolare pratico, con orario breve e programma adeguato, al fine di consentire il conseguimento della licenza elementare a quanti non erano destinati a proseguire gli studi. Alla fine del quarto anno, poi, era prevista una netta separazione fra chi avrebbe continuato a studiare e chi invece era destinato ad uscire dal circuito scolastico. Nel Corso popolare donna Carolina deve aver operato a lungo, perché, mentre scorro le pagine del Diario di cui sopra (elegantemente vergate a mano) mi rendo conto di una sensibilità didattico - pedagogica affinata negli anni e di un entusiasmo particolare per l’insegnamento, da Lei vissuto come impegno totalizzante, nella consapevolezza etica, formativa e civile della sua funzione di educatrice. Colpisce, infatti, nella lettura del Diario - che meriterebbe l’onore della stampa - l’attualità delle sue considerazioni didattiche e la modernità del suo modo di “essere insegnante”, capace di stabilire con le allieve un rapporto di piena empatia e di creare, all’interno dell’aula, un clima di serenità tale da trasformare il contesto scolastico in un positivo ambiente di apprendimento, come diremmo oggi. Evidente appare - leggendo le annotazioni poste alla fine dell’indicazione delle lezioni tenute giornalmente - l’attenzione della Pugliese per l’«interesse» delle giovinette a Lei affidate, prodotto dalla «motivazione» che
deve essere continuamente alimentata dall’abilità dell’insegnante: qui, sembra dire donna Carolina, gioca la sua partita più importante l’insegnante che, rinnovando l’incantesimo socratico di cui parla il Càrmide di Platone, deve saper inventare, giorno per giorno, espedienti ed esperienze , per coinvolgere concretamente gli allievi in positivi itinerari di crescita, ben calibrati rispetto alle possibilità e alle capacità dei singoli. Nascono di qui le conversazioni “occasionali” di cui parla nel suo Diario Carolina Pugliese che, approfittando, ad esempio, del ritardo di qualche fanciulla rispetto all’orario di inizio delle lezioni, è capace di “inventare”, per così dire, una lezione sulla puntualità, sul rispetto degli altri, sulla necessità di compiere il proprio compito, sui diritti e i doveri del singolo, aprendo la strada a considerazioni sulla “cittadinanza consapevole”. L’«invenzione» di cui ho detto prima, però, non è estemporaneità o pressapochismo in Carolina Pugliese, che è ben consapevole come l’insegnamento, accanto alla creatività e all’estro, abbia anche bisogno di rigore, di precisione e di organizzazione, perché un docente non può navigare a vista, ma deve avere la piena consapevolezza del porto verso il quale sta conducendo i suoi allievi. A ben vedere, qui è il nodo della programmazione - uno dei temi fondamentali della pedagogia odierna - che certamente non è un totem, ma costituisce almeno il percorso lungo il quale deve scorrere l’azione didattica di un docente che voglia affrontare con dignità il suo lavoro. Non mancano acute riflessioni sulla latitanza delle famiglie - nihil sub sole novi -, sulla necessità di non tenere lezioni troppo lunghe, di intramezzare gli interventi didattici di pause ristoratrici, di correggere puntualmente in classe i compiti assegnati a casa coinvolgendo l’intera scolaresca, di rispettare i ritmi di apprendimento, di non perdere mai di vista, durante l’insegnamento, l’attenzione per le virtù civili e per il sentimento della patria, oltre che per il rispetto delle leggi e delle istituzioni. Un altro tema interessante affrontato da Carolina Pugliese nella Nota pedagogica di p.182 (così chiama la docente le sue considerazioni a margine della sua attività didattica giornaliera) è quello della disciplina - altro grande tema della pedagogia di oggi - a proposito della quale la maestra ortese scrive: «Non ricordo d’essermi mai servita, in tanti anni di scuola e in tutte le classi da me dirette dalla prima alla sesta, delle ricompense e delle punizioni per ottenere una perfetta disciplina. Eppure ho avuto sempre dinanzi una scolaresca disciplinatissima, posso attestarlo con orgoglio. Di quali mezzi mi sono servita? Regola ed ordine nelle lezioni. Se manca un buon metodo nell’insegnamento, se s’insegna con disordine, senza avere cioè regole fisse per la durata delle lezioni e
per l’ordine degli esercizi, non si può ottenere disciplina». Una bella lezione di pedagogia, in vero, che riafferma in modo palese come solo il prestigio di un docente possa determinare, all’interno di un’aula, le condizioni ottimali per un’azione didattica incisiva e proficua. E di carisma, in vero, Carolina Pugliese era profondamente dotata, se è vero come è vero che ancora oggi, sulle pagine de “Lo Sguardo sui 5 Reali Siti”, si continua a parlare di Lei con rispetto e con gratitudine, annoverandola tra le personalità più prestigiose non solo di Orta Nova, ma anche dell’intero comprensorio.
superiore, ambedue di due anni. Il primo biennio elementare era obbligatorio in tutti i comuni, ma quelli più poveri, dove gli analfabeti erano più numerosi, spendevano ovviamente meno dei comuni più ricchi, dove gli analfabeti erano di numero inferiore. Il secondo biennio era obbligatorio solo nei comuni con popolazione superiore ai 4.000 abitanti. Sulla base dell’art. 317 i comuni avrebbero dovuto provvedere alla scuola in proporzione alle loro facoltà e secondo i bisogni dei loro abitanti: una formulazione così ambigua e contraddittoria del 2°comma dell’art. citato rappresentò per molti comuni una scappatoia per sottrarsi
La scuola elementare da Casati alla vigilia della prima guerra mondiale È opportuno qui ricordare come alla base del sistema scolastico degli inizi dello Stato unitario ci fosse la legge Casati del 13 novembre 1859, n. 3725 sul riordinamento della pubblica istruzione, varata grazie ai poteri eccezionali concessi al governo in un particolare momento politico, da un lato segnato dalla sospensione dell’attività parlamentare dovuta allo scoppio della seconda guerra di indipendenza, dall’altro da un contesto territoriale in movimento per la lenta ma progressiva estensione dei confini del regno sabaudo. La riforma rimasta sostanzialmente in vigore pressoché immutata fino al 1923 - «rifletteva, a livello scolastico, la volontà della classe dirigente subalpina di promuovere nelle province vecchie e nuove dello Stato l’uniformità legislativa e, in seguito, rappresenterà una guida per il nuovo Regno, soprattutto riguardo all’istruzione popolare, conservando, tuttavia, le tipiche ambiguità e contraddizioni della classe liberale che “intende il popolo come classe subalterna, cui non si vuole dare una solida istruzione di base, ma solo un’infarinatura dei primi rudimenti culturali, quel tanto che basta per fare del giovane figlio del popolo un suddito fedele al re e alla patria”» (cfr. E. Ventura, Evoluzione economica e sociale in Capitanata. L’istruzione tecnico-professionale agli inizi del Novecento, tesi di laurea, Università degli studi di Bari, Facoltà di Lettere, a. a. 2002-2003, pp. 13-14. Per quanto riguarda la Capitanata, nello specifico, cfr. G. Scelsi, Statistica generale della provincia di Capitanata, cit.). Cinque erano i «titoli» della legge, che si occupavano, rispettivamente, dell’amministrazione (centrale e periferica), dell’istruzione superiore, di quella classica, della tecnica, dell’istruzione elementare. Per quest’ultima, che più da vicino interessa, si prevedevano un corso inferiore ed uno
agli obblighi della legge: così i bilanci precari di molti comuni, specie al Sud, e la povertà delle famiglie (che preferivano adibire i figli nelle faccende domestiche e campestri) non favorirono certamente l’adeguamento del Mezzogiorno agli standard delle regioni avanzate. Con la fine degli anni sessanta dell’Ottocento e gli inizi degli anni settanta la situazione cominciò ad evolversi in senso positivo, tanto che le scuole primarie in Capitanata erano salite a 504. Poi, con l’ascesa della sinistra al potere (marzo 1876), intervenne, nel 1877, la legge Coppino che rese obbligatoria e gratuita l’istruzione fino all’età di nove anni, cioè fino alla frequenza del corso inferiore, che passava da due a tre anni, mentre l’intero corso elementare passava da quattro a cinque anni. Le cose migliorarono, ma
ovviamente non bastava la norma legislativa per ovviare all’atavico abbandono dell’istruzione: occorreva, infatti, costruire scuole per tutti e dovunque, aumentare il numero degli insegnanti, disporre provvedimenti economici capaci di risollevare la miseria delle classi più povere, inducendo i genitori a rinunciare al lavoro dei ragazzi tenuti all’obbligo scolastico. Tutto questo ovviamente non era facile da realizzare in tempi brevi. Successivamente con la legge Orlando l’obbligo dell’istruzione fu prolungato fino al dodicesimo anno di età. Stabiliva altresì la legge citata che, entro tre anni dalla sua entrata in vigore, fossero istituite, in ogni scuola, dopo la IV elementare, anche la V e la VI classe (corso popolare), al cui termine veniva rilasciata la licenza di scuola primaria. Per la prima volta lo Stato si occupava in maniera seria anche dell’analfabetismo negli adulti, stabilendo per questi l’obbligo di frequentare corsi serali e festivi. Sette anni dopo, intervenne a riordinare tutta l’amministrazione scolastica una nuova legge, la L. Daneo - Credaro del 4 giugno 1911, n. 487, cosiddetta dal nome di Luigi Credaro, ministro della P.I, che, ripresentando in parlamento il progetto del suo predecessore, Edoardo Daneo, lo portò all’approvazione finale del parlamento. Tale legge stabiliva il passaggio delle scuole primarie dalla competenza dei comuni a quella dello Stato, modificando radicalmente l’assetto dell’istruzione elementare stabilito oltre mezzo secolo prima dalla legge Casati. Dal processo di avocazione erano esclusi soltanto i grandi comuni - ossia i capoluoghi di provincia e di circondario - che potevano continuare ad avere la gestione autonoma delle rispettive scuole. Sottratte al controllo municipale, le scuole furono poste sotto l’amministrazione del Consiglio scolastico provinciale, presieduto dal provveditore agli studi e non più dal prefetto. I comuni erano comunque obbligati a fornire i locali, gli arredi, i materiali didattici e a provvedere alle spese di gestione delle scuole del proprio territorio. La legge, inoltre, estendeva i suoi effetti migliorativi anche sull’edilizia, prescriveva l’obbligo dell’istruzione elementare per i militari in servizio, istituiva scuole per adulti analfabeti, riorganizzava la Scuola Normale per la formazione dei maestri, apportava alcune migliorie nel trattamento economico degli insegnanti e interveniva sull’assistenza scolastica, rendendo obbligatorio il patronato in ogni comune. Al di là di tutti i limiti nella legge contenuti e di tutti i condizionamenti esterni, la legge del 1911 rappresentò un momento decisivo sia sul piano della legislazione scolastica sia sul piano del più generale processo di scolarizzazione e acculturazione delle masse popolari ai nuovi valori dominanti.
Lo scorso 6 febbraio la comunità cattolica di Carapelle ha accolto il nuovo Vescovo S.E. Rev.ma Mons. Luigi Renna. L’incontro è avvento nella principale piazza Aldo Moro dove ad attenderlo c’erano don Vincenzo Patano parroco della Chiesa Madre Beata Vergine del Rosario e don Claudio Visconti parroco della Parrocchia S. Giuseppe, il Sindaco di Carapelle Dott. Remo Capuozzo, parte dell’amministrazione comunale e varie centinaia di fedeli. La cerimonia di accoglienza è avvenuta proprio ai piedi del Municipio. A prendere parola il Sindaco Capuozzo che quasi emozionato ha dato il benvenuto al Vescovo e gli ha parlato dei problemi che attanagliano il paese, inoltre, ha anche espresso una ravvicinata collaborazione. Poi la parola a S.E. Mons. Luigi Renna, ecco una parte del suo discorso: “Carissimo Signor Sindaco, grazie di queste parole e grazie a quanti questa sera sono venuti ad accogliermi davanti alla sede della municipalità, simbolo della nostra unità, laboratorio del bene comune. Tale deve essere il Municipio. Accanto a me e al sindaco ci sono i carissimi don Vincenzo e don Claudio i sacerdoti sono il collaboratori del Vescovo, la loro presenza qui è la presenza di coloro che vogliono aiutarci ad essere Cristiani. Ma non sostituisce totalmente, non è una delega, sono presenti loro ma sento di dover essere presente più anch’io. Del resto il Vescovo, è il Vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, ma in quei nomi è racchiusa tutta la comunità nelle sue varie parrocchie e nei vari paesi che la circondano in questa zona così laboriosa, con le sue difficoltà, la zona dei Cinque Reali Siti. Nell’accoglienza del Sindaco vedo una
promessa, la promessa di chi in poche parole mi ha aperto il cuore e sono trapelate attraverso le sue parole le difficoltà che ogni Comune, ve lo assicuro non solo Carapelle vive. La famosa processione di quelli che arrivano al comune, che manifestano i loro bisogni, la stessa processione che arriva negli altri Comuni e che arriva persino in Episcopio. C’è tanto bisogno, ma stiamo attendi: non cediamo alla perdita della speranza e non cediamo neppure a una mentalità assistenzialista che cerca semplicemente negli altri il proprio aiuto. I popoli che sono vissuti nell’assistenzialismo non sono mai cresciuti e credo che la vocazione di Carapelle paese di gente laboriosa, sia quella di persone che cercano l’aiuto, cercano la solidarietà ma sanno stare anche insieme e sanno costruire insieme. Ricordatevi, la terra è la vostra ricchezza quella che Papa Francesco ci ha insegnato a chiamare “la casa comune”. Una terra che dobbiamo
La regione Puglia ha inserito nel piano della rete scolastica il corso di Enogastronomia che sarà attivo presso l'istituto Pavoncelli già dal prossimo anno scolastico (2016/2017). È un importante traguardo per l'Iiss Pavoncelli in quanto va a completare una filiera formativa che abbraccia tutti gli aspetti dell'agricoltura e dell'agroalimentare. Una filiera che rappresenta un raccordo importante con le imprese, in particolare del territorio, utile allo sviluppo di possibilità occupazionali in uno dei settori, agroalimentare ed enogastronomico, che oggi ha numeri economici importanti e una tendenza alla crescita certificata da tutti gli indici statistici. Il corso di studi prevede, oltre agli insegnamenti obbligatori dell’area generale, insegnamenti relativi all’area di indirizzo per l’acquisizione di specifiche competenze tecnico-
professionali. “È un importante risultato afferma il dirigente Pio Mirra - perché porterà alla creazione di una nuova figura professionale, capace di intervenire sulla valorizzazione, trasformazione e presentazione dei prodotti enogastromici favorendo l'acquisizione di specifiche competenze sugli impianti di produzione e sul controllo di qualità del prodotto alimentare, utile ad un favorevole impatto sul nostro territorio produttivo attraverso la promozione delle tradizioni locali e l’individuazione di nuove tendenze enogastronomiche”. Il riconoscimento da parte della Regione e della Provincia di Foggia è stato ottenuto oltre che per la bontà didattica della proposta dell'Iiss Pavoncelli anche per la capacità della stessa scuola di provvedere a qualsiasi onere: sia formativo che strutturale.
curare, che dobbiamo aiutare a rendere meglio che deve diventare veramente luogo della convivenza. Io credo che non ci siano solo i problemi a Carapelle, a Carapelle ci sono le persone e le persone in se hanno luci ed ombre e noi dobbiamo imparare a vedere soprattutto le luci e camminare insieme. Io credo che Carapelle come i comuni dei Cinque Reali Siti sono accomunati soprattutto da una cosa; dalla ricerca di una loro identità, cioè questi paesi che non sono antichissimi, stanno costruendo oggi la loro storia, hanno il dovere di rendere belli i loro paesi, ambienti, le loro strade, i luoghi di convivenza, purché un domani si possa dire: “Ecco, la gente che è vissuta qui, ha vissuto con dignità, con senso della bellezza, con la volontà di costruire qualcosa”. Cos’ha la Chiesa da portare alla comunità civile? Chiesa e comunità civile sono due realtà autonome tra loro. Voi il sindaco lo eleggete, il Vescovo non lo eleggete l’ha nominato il Papa e quindi già questo indica che c’è un processo diverso, un processo che dice la natura delle due istituzioni. La natura di una comunità civile che cerca il bene comune e la natura della Chiesa che è una finalità religiosa, ma ricordate che la finalità religiosa non è estranea dalla finalità umana perché il Signore non è venuto solo a salvare l’anima dell’uomo ma tutto l’uomo e tutti gli uomini” e termina dicendo: “la chiesa di questa diocesi vuole essere serva del bene comune con i mezzi dell’educazione e la Carità.” Dopo i saluti di rito, un corteo di fedeli ha accompagnato S.E. verso la chiesa del Rosario dove ha celebrato la Santa Messa e ha annunciato già un seconda visita durante i giorni di Quarantore.
Ben sa Mario Gravina quanto la poesia rielaborata in forma personale o creata con la coscienza della specificità nella comunicazione scritta, sia portavoce degli aspetti più profondi dell’animo umano e offra grandi risorse ed energie. Autore di romanzi, racconti, antologie poetiche e di narrativa, ha pubblicato di recente una sua silloge dal titolo “Zefira”. Canta la vastità della vita e quella del tempo, le stagioni lunghissime della giovinezza e quelle brevi della vecchiaia, gli attimi di una felicità improvvisa e i giorni pensierosi della maturità in Mattutino, Lodi, Vespro e Compieta. Quattro sezioni introdotte da singoli pensieri che permettono di stimolare via via il suo interesse di poeta e si sviluppano attorno a progressivi centri di argomento. Tutto il poema è racchiuso nei versi “Le ore dell’amore”: Sei il mio risveglio - Zefira / e ti canto al mattutino / sei la mia devozione / e
ti lodo al chiarore dell’aurora. / Ti celebro mia gioia / con salmi dell’ora terza / e dell’ora nona. / Mi riposo nel tuo sguardo / celebrandoti a sera / nell’ora del vespro / e m’abbandono sereno / nelle braccia tue a compieta. / Tu sei il mio risveglio - Zefira / la mia preghiera del giorno / la mia ebbrezza nella sera / e il mio sereno sonno. Mario Gravina scopre e traduce in modo singolare un’immagine ordinaria del vento, modificata dalle emozioni, con un linguaggio pittorico capace a sua volta di trasmettere sentimenti e un nuovo spirito che non è astrazione, bensì la bellezza che si porge agli sguardi liberi; la verità che si rivela alle menti nitide. Nella sfera della bellezza lo spirito si lascia intuire generosamente attraverso visioni, che provengono dalle liriche dedicate al Mattutino: “Pionieri sono gli amanti / che nell’ignoto vanno / con i loro sogni nel cuore / e volano liberi / e volano senza
tempo / e volano alti a cercar / la bellezza e l’estasi”. Il tema dell’esperienza amorosa acquista il valore di sentimento universale, che abbraccia e informa ogni cosa: l’amore per Zefira si fonde con quello per la natura, per il mondo animale e vegetale, per l’arte ... La poesia permette all’uomo di aprire gli occhi dell’anima, che vedono ciò che umanamente non è possibile. “Più delle mani sanno accarezzare gli occhi” scrive nella prefazione alle Lodi. Per chi ha attraversato la vastità del mondo e condotto una vita altrettanto ampia, la sensibilità e l’espressività si traducono in forme e segni che non sono frutto di una risposta immediata a ciò che il verso ha saputo stimolare, ma un ripensamento di ciò che il poeta voleva esprimere in forza di un desiderio e di emozioni provate; tutto un mondo aperto alla spiritualità, onde l’uomo respira e solleva il volto!
Un omaggio alla sua terra di Capitanata, dai Monti Dauni, al Gargano, al Tavoliere. Questo ha fatto Michele Campanaro con il libro fresco di stampa “La cucina di Capitanata” presentato a Casalnuovo Monterotaro su iniziativa della Pro Loco “De Rocca”, in collaborazione con l’Unpli provinciale e con il patrocinio del Comune. “un compendio di ricordi, fatti, racconti, emozioni personali, il cui ingrediente sono i tanti risvolti dela cucina dauna, un invito a mettere la Daunia a tavola” ha detto Nazario Martino, docente di lettere, definendo il libro “un inno a nostro territorio sostenuto dai quattro capisaldi della cucina spiccatamente mediterranea: grano, vino, olio e pomodoro, che sono i sapori e i colori della terra dauna e che nel paitto vogliono dire genuinità e qualità”. Coordinata da Gerardo Lionetti, presidente provinciale Unpli, pre-
senti i presidenti delle Pro Loco di Lucera, Pietra Montecorvino, Casalvecchio di Puglia e Castenuovo della Daunia, e numerosi cittadini che hanno affollato a sala conferenze del centro polifunzionale Lions. La manifestazione si è aperta con il saluto del vice sindaco Pasquale Codianni e del presidente della Pro Loco Giancarlo Maddalena che ha sottolineato “Campanaro non ha fatto solo un lavoro
di ricerca e recupero delle tradizioni, ma ha valorizzato la nostra civiltà contadina, in particolare quela subappeninica”. Dopo l’intervento i Giuia Macelli che ha illustrato il progetto “Terre ospitali dei Monti Dauni, ha chiuso l’incotnro Campanaro, giornalista e autore di pubblicazioni e documentari su storia e tradizioni popolari di Capitanata in 162 pagine il libro ripropone vecchie e nuove ricette, un centinaio in “cui da anni le massaie della Capitanata imbandiscono le loro tavole, in un tripudio di colori e sapori, che vanno dalla terra al mare. Ovunque si vada in provincia di Foggia una cosa è certa a tavola si trovano piatti gustosissimi ingredienti genuini e sorprese squisite”. La manifestazione si è conclusa con la degustazione di prodotti locali, con salsiccia, caciocavallo e porchetta accompagnati dai vini della Cantine Teanun di S. Paolo di Civitate.
Nel 1931 frequentava la prima classe del l’Istituto Magistrale. I due ragazzi si vedevano poco durante l’anno scolastico, poiché Incoronata viveva la maggior parte del tempo nel convitto-collegio e Pasquale andava a Foggia col treno. Si vedevano, ogni due settimane circa, quando Incoronata tornava a Orta per trascorrervi la sera del sabato e la domenica e, naturalmente, quasi tutti i giorni durante i periodi delle vacanze. Pasquale aveva una sorella più piccola di lui di due anni, che era amica di Incoronata e che, inevitabilmente, col passare del tempo sarebbe divenuta complice del loro amore e la postina che avrebbe recapitato i messaggi che i due innamorati si sarebbero scambiati. Al termine della messa domenicale e ancor più, nelle ore serali dello “struscio”sul corso, Pasquale e Incoronata si scambiavano sguardi lunghi e appassionati che non mancavano quando lui era sull’uscio della bottega paterna e lei affacciata alla finestra della sua casa. Dopo un anno di questo corteggiamento fatto solo di sguardi e di sorrisi, in occasione della festa di compleanno di un’amica comune, Pasquale e Incoronata avevano trovato il modo di appartarsi sul balcone del salone e di dichiararsi il reciproco amore. La sera stessa, al ritorno da quell’incontro, Pasquale aveva scritto la prima lettera custodita nello scompartimento segreto dello scrittoio. La storia era andata avanti per qualche mese ma poi, avvertito da un suo amico, il fratello di Incoronata, Damiano, aveva affrontato Pasquale in Piazza Municipio e gli aveva intimato di lasciare in pace sua sorella perché “egli non era adatto a lei, in quanto figlio di un misero falegname. Sua sorella meritava invece di fare un matrimonio con persone del suo stesso rango sociale”. Pasquale si era trattenuto a stento dal dare una lezione a Damiano, più grande di lui di due anni, ma più gracile e più basso. Da quel momento i due si sarebbero evitati sistematicamente e il rancore di Pasquale sarebbe via via cresciuto perché ad Incoronata era vietato affacciarsi alla finestra e passeggiare la domenica sera. Ai due innamorati rimaneva solo come filo di collegamento la sorella di Pasquale che, come ho detto, fungeva da postina. Nell’estate del 1934, Pasquale aveva conseguito la Maturità Classica e Incoronata il Diploma Magistrale (la durata del corso, a quell’epoca era di quattro anni). I due giovani avevano festeggiato i rispettivi successi nello studio in modo profondamente diverso. Il padre di Incoronata aveva organizzato un fastoso ricevimento nel suo palazzo, con tanto di orchestrina e gli invitati erano tutti di alto livello sociale. Pasquale si era accontentato di una bicchierata con gli ami-
ci, con una guantiera di paste e bicchierini di rosolio fatto in casa. La festa di Pasquale era durata poco ed egli era rimasto dietro la porta a vetri della sua casa, attigua alla bottega, a guardare le finestre illuminate del palazzo di fronte, ad ascoltare la musica e il fitto chiacchiericcio degli invitati nei momenti di pausa degli orchestrali. A due terzi della serata, Incoronata si era affacciata al balcone, aveva visto Pasquale dietro la porta a vetri e gli aveva fatto cenno di aspettarla. Era poi scesa di corsa dalle scale (dopo aver detto a sua madre che andava in bagno a “incipriarsi il naso”), si era affacciata sul portone dove Pasquale trepidante l’aspettava. Si erano scambiati così il primo vero bacio d’amore e i due avevano rinnovato la loro promessa di amore eterno. Quel bacio aveva riempito il cuore di Pasquale di una gioia immensa che gli faceva vedere la sua festa modestissima come il più sfolgorante dei ricevimenti. Questo avvenimento era stato l’argomento di una, forse la più importante, delle lettere scritte quell’anno. Pasquale si era iscritto alla Facoltà di Medicina di Napoli, allora famosissima, e studiava facendo enormi sacrifici col poco danaro che il padre riusciva a spedirgli. Intanto la storia, quella con la S maiuscola correva e, nell’ottobre del 1935, l’Italia aveva dichiarato guerra all’Etiopia per vendicare la sconfitta di Adua del 1896 e per accrescere il suo impero coloniale. Infervorato dalla propaganda fascista, come tanti suoi coetanei, Pasquale aveva deciso di arruolarsi volontario e la stessa cosa aveva fatto Damiano. Anche altri ortesi erano partiti volontari per l’Abissinia, come il sergente Sergio Camarchia e il sergente Antonio Di Conza. Il primo sarebbe poi morto il 9 settembre 1943 a causa dell’affondamento, da parte degli aerei tedeschi, della nave sulla quale era imbarcato per spostarsi da Rodi Egeo ad Atene; il secondo sarebbe invece caduto proprio in Etiopia e gli sarebbe stata conferita la medaglia d’oro al valore militare alla memoria per il suo eroico comportamento durante l’assalto di un migliaio di ribelli abissini alla colonna di autocarri della quale era alla guida. Ferito gravemente, aveva detto ai commilitoni di allontanarsi ed era rimasto solo sulla strada con la sua mitragliatrice per rallentare l’avanzata dei guerrieri abissini armati di vecchi fucili, di lance, archi e frecce. Di quel convoglio facevano parte sia Pasquale che Damiano. La sorte aveva voluto che finissero entrambi nello stesso reparto, Damiano come fuciliere scelto e Pasquale come infermiere. Damiano, correndo verso il camion era inciampato e giaceva riverso sulla strada. Un guerriero
abissino, altissimo, si apprestava a trafiggerlo con la sua lancia quando Pasquale, rapidissimo, aveva estratto la pistola e sparato, uccidendolo sul colpo. Poi era sceso dal camion, aveva caricato Damiano sulle sue spalle e lo aveva messo sul camion. Damiano lo aveva guardato negli occhi e, a voce bassa, rompendo un silenzio durato cinque anni, aveva detto: “Mi hai salvato la vita e non lo dimenticherò!” - “Non l’ho fatto per te, ma per non procurare un dolore a Incoronata e perché era mio dovere di soldato nei confronti di un commilitone in pericolo di vita” - aveva risposto seccamente Pasquale, al quale ancora bruciava soprattutto l’insultante “misero falegname” rivolto a suo padre da Damiano e non era ancora pronto a perdonare. Quando finalmente, “dopo venti secoli l’Impero era tornato sui colli fatali” come aveva proclamato Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia al popolo festante il 9 maggio 1936, Pasquale, tornato in Italia, aveva ripreso gli studi universitari e nel 1939 si era laureato a pieni voti in Medicina e Chirurgia. Il 1939 segnò una svolta importante nella vita di Pasquale e di Incoronata. Il primo si era iscritto al Corso di specializzazione in Chirurgia ma intanto lavorava presso gli Ospedali Riuniti di Foggia; la seconda, grazie alla Legge Bottai, emanata proprio quell’anno, era divenuta dipendente pubblica e non più assunta dal Comune di Ascoli Satriano dove, nella Scuola Elementare, insegnava il Metodo Montessori appreso dalle Marcelline. Avendo entrambi raggiunto la sicurezza economica, avevano deciso di sposarsi e questa volta Pasquale non aveva incontrato ostacoli anche perché Damiano era intervenuto su suo padre per convincerlo ad acconsentire alle nozze. Pasquale e Incoronata, dopo il matrimonio erano andati ad abitare nel palazzo paterno di Incoronata, un’ala del quale era stata ristrutturata per ricavarne un appartamento indipendente. La sistemazione era conveniente per entrambi, perché sia Pasquale che Incoronata potevano raggiungere facilmente i rispettivi posti di lavoro. All’inizio del 1940, Incoronata aveva scoperto di essere incinta e nel novembre dello stesso anno Pasquale aveva provato l’immensa gioia di stringere fra le braccia il suo bambino al quale aveva imposto il nome di suo padre, cioè Francesco. La felicità dei due giovani sposi aveva perciò raggiunto l’acme. Il 10 giugno di quello stesso anno, però, Mussolini aveva annunziato ad una folla osannante, convinta dell’imminente vittoria della Germania sulla Francia, l’entrata in guerra dell’Italia. continua
Si ritorna a parlare del grano pugliese e di importazione dall’estero, eppure c’è qualcosa che non gira nel verso giusto: i pastai danno la colpa ai mugnai, i commercianti di grano continuano a simpatizzare verso il grano della porta accanto, un “valzer” macabro nei confronti della produzione locale ecco perché questo mese dedico la rubrica all’eccellenza di Foggia e dell’intero Tavoliere d’Italia: Il grano Cappelli. Questa varietà di grano è una coltivazione di grano duro ottenuta dal genetista Nazareno Strampelli, agli inizi del XX secolo presso il Centro di Ricerca per la Cerealicoltura di Foggia. Il senatore del Regno Raffele Cappelli, assieme al fratello Antonio, aveva avviato la trasformazione agraria in Puglia e, appassionato di agronomia, mise a disposizione di Strampelli le sue tenute agricole in provincia di Foggia. Qui, a partire dal 1907, Strimpelli selezionò e incrociò grani duri autoctoni del Sud Italia e delle isole e provenienti da altri Paesi del Mediterraneo, ottenendo nel 1915, a partire dalla varietà tunisina “Jeanh Rhetifah”, proprio il grano Cappelli, il quale ebbe un periodo di grande successo. Nel trentennio dagli anni Venti agli anni Cinquanta, fino al 60% della superficie nazionale italiana a grano duro era investita a Cappelli, che si diffuse in seguito anche in altri Paesi del Mediterraneo. Venne utilizzato sino al 1975 ma vide poi scemare drasticamente la sua diffusione, sino al 1991, quando ne fu in modo graduale ripreso l’uso. Il Cappelli è ancora coltivato dopo quasi un secolo, in particolare nel Meridione d’Italia (Basilicata, Puglia, Sardegna), per la produzione di pasta di qualità superiore, di pane e pizza biologici. Amici lettori passate la parola agli spagnoli, ai greci, agli australiani, ai canadesi e perché anche ai cinesi. Le ricette che vi propongono è uno omaggio a questa eccellenza di Capitanata. Pizza di granturco Ingredienti per 6 persone: Kg. 1 di farina di mais, l. 2 di acqua, sale Portate ad ebollizione l'acqua. Aggiungete la farina mescolando fino ad ottenere un impasto piuttosto denso. Aggiungete il sale. Mescolate il tutto e versatelo in una teglia unta con l’olio o lo strutto e cuocere a forno per circa 40 minuti. Variante della ricetta: con le cicole o con cipolle fritte o peperoncino macinato.
Pane al forno Ingredienti: Otto fette di pane raffermo, quattro uova, 50gr. di formaggio parmigiano o pecorino, latte, mozzarella. Anche il pane meriterebbe un’atten-
zione particolare: in provincia di Foggia ogni comune, ogni più piccolo paese ha il suo modo di confezionarlo. Per questo piatto: - diffuso anche in altre regioni d'Italia, ma che solo con l'ottimo pane pugliese acquista il suo prestigio - suggeriamo il pane di Deliceto che si usa cuocerlo in teglia ed ha un sapore e una fragranza tutta particolare. Le fette non devono essere molto sottili. Prendere una pirofila e dopo averla leggermente unta con un po’ di olio, allinearvi le fette di pane in precedenza inzuppate nel latte, cospargendole con le uova sbattute e la mozzarella (abbondante) tagliata a dadini. Spolverizzate il tutto con formaggio parmigiano (o pecorino, se si desidera un sapore più sostenuto) e mandarle in forno a gratinare. Quando le uova si saranno rapprese e la mozzarella si sarà sciolta e dorata, il piatto sarà pronto. Va mangiato caldissimo.
Sullo sfondo di una Puglia quasi oleografica e di una Milano divorata dalla moda e dagli happy hour, Tony di Corcia racconta una storia d’amore tra persone diversissime eppure simili: Michele Pierri, un asceta che preferisce il silenzio e la meditazione, e abita in un Sud ancora orgogliosamente arcaico, e Alda Merini, irruente e vulcanica regina dei Navigli, affamata d’amore e alla costante ricerca di qualcuno che ascolti le sue parole. Un amore speciale, come può esserlo soltanto un amore tra poeti. Il libro “Alda Merini e Michele Pierri. Un amore tra poeti”, pubblicato da Falco Editore, racconta una pagina poco conosciuta della vita della poetessa italiana più amata Nel momento più buio della sua esistenza, quando gli stessi editori che un giorno si contenderanno le sue opere ignorano le sue proposte, Alda Merini chiama al telefono un collega geograficamente e anagraficamente lontano: Michele Pierri vive in Puglia, ha 32 anni più di lei, ha perso da poco l’amatissima moglie ed è accudito da un affettuoso esercito di dieci figli. Ogni sera, i due poeti si danno appuntamento per parlarsi e raccontarsi. Versi recitati fino a notte fonda, melodie suonate al piano e spedite attraverso la cornetta a mille chilometri di distanza, confidenze, ricordi, e a fine mese bollette da quattro milioni di lire. Una forte amicizia, che si trasforma in un fidanzamento telefonico: Pierri e la Merini sono due voci nella notte, che ignorano i rispettivi volti ma conoscono profondamente le loro anime. Il telefono come medium d’amore. Nel 1984, finalmente, si incontrano e si sposano a Taranto: inizia la stagione di una serenità sconosciuta per questa donna che abbandona il Nord e giunge in riva allo Jonio con un bagaglio particolarmente pesante, come il doloroso ricordo dei dieci anni trascorsi in manicomio e la nostalgia per le quattro figlie lontane. È nato così il sodalizio sentimentale e poetico che ha segnato il ritorno di Alda Merini ai fasti letterari dei suoi esordi, quando con il suo talento incantava Spagnoletti, Montale, Quasimodo, Manganelli. Una pagina poco conosciuta della vita tormentata e affascinante della poetessa italiana più amata del Novecento, ma fondamentale nella sua biografia: con il suo sostegno, Pierri è riuscito a farla uscire dalla condizione di isolamento che la imprigionava e l’ha aiutata a pubblicare “La Terra Santa”, il suo capolavoro assoluto.
NARDÎNË POMBÔNË E'jë nu pîzzë grûssë ke së n'è jûtë Së n'è jûtë cîttë cîttë a kûmë érë vënûtë Nu pîzzë 'mbôrtandë d'a storija nostrë Lassànnë nu vakàndë dînda 'u kôrë nustrë! Së kijamévë Di Paolo Marijë Lejonardë : nu bbrävë wagljônë E p'i kumbagnë érë Nardînë Pombbônë Ma nûjë 'u kijamammë sulaméndë Nardînë, Figljë dë nu zappatôre k'i trè éttärë 'mbîttë a Ggiardînë ! Da wagljônë ha fattë 'u sârtë Pë tuttë 'a vîtë ha dätë i kârtë I kârtë dë la pôlitëkë lôkälë e pajësänë E' stätë sémbë 'légàndë e alla mänë ! Erë l'amîkë dë tuttë e pë tuttë parlévë spécialméndë kë l'avvérsarjë a-rraggiunévë Tënévë nu karattërë akkomodândë Avéva kapì bbûnë i fattë dë tuttë kuwândë! Da 'u 1984 a 'u 1989 Pë îssë è stätë n'èspèriénza nôvë Ha fattë 'u Vîce-Sînëkë a l'avvùkätë Fînë Cînk'ànnë bbrillândë a sustégnë dë Pëtrinë! Da 'u 1989 a 'u 1994 per'indérë Ha fattë 'u Sînëkë dë l'épôka moderna vérë Ha fattë 'u Sînëkë p'u Partîtë Kumunîstë Ke nën ha mäjë pigljätë tanda vôtë kûmë kuwélla lîste ! Kuwànnë vulévë pigljà nu prôblémë dë pîttë Dëcévë a l'ati kumbâgnë:”Me la vedo îjë,stattë zîttë... !” Erë addëvëndätë nu môdë 'légândë Pë pigljà 'ngîrë i krëstëjänë ke së krëdévänë 'mbortândë ! Dînda na sakkë nu tîmbrë kë nu tambônë
del Novecento, compresa tra il 1981 e il 1991; il libro, infatti, si ferma proprio alla vigilia della straordinaria popolarità che la Merini avrebbe conosciuto partecipando al Maurizio Costanzo Show: non a caso, le conclusioni del libro sono affidate proprio al giornalista Maurizio Costanzo. L’autore Tony di Corcia è nato a Foggia. Ha iniziato la sua attività giornalistica nel 1990. È giornalista professionista. Ha debuttato come scrittore nel 2010, con il libro “Gianni/Versace: lo stilista dal cuore elegante” (Utopia Edizioni). Nel 2013 sono usciti “Valentino. Ritratto a più voci dell’ultimo imperatore della moda”, dedicato al celebre couturier, e “Burberry. Storia di un’icona inglese dalla Regina Vittoria a Kate Moss”.
purtévë K'a scrîttë “Il Sindaco” ma stà vôtë érë îssë ke dëcëdévë, A kûmë facévë Ggérémijë Del Grôssë 'u délégätë, Dëcëdévë îssë ki avèva fà 'u prossëmë Sînëkë désignätë ! Nardînë ha mandënûtë sémbë na fôrma pérféttë Jénnë a Fôggë finânkë k'a bbicëkléttë E po' ha fattë 'u férrovîrë pë na vîtë Facénnë sôpë e sôttë k-u trenë kûmë nu zîtë! Ma po' na malatîjë 'mbrovvîsë e karôgnë Së l'è purtätë vîjë lassânnë tutt'i progéttë e i sôgnë! E' stätë prôbbëtë 'u trénë 'a malatijë a svëluppà: Ma së pôtë murì d'akkussì jénnë a fatëgà? Së n'è jûtë 'u Sâbëtë d'u 25 Ôttobrë da Rijonérë E Alfônzë Palômbë a i funérälë l'ha rëkurdätë kë nu dëskôrsë singgérë Ma è stätë Don Vinggénzë 'u dëskôrsë 'sattaméndë a cëndrà : Nardînë Di Paolo: uomo di politica e di carità! Nardînë nën ha mäjë lamëndätë nu dulôrë Ha suffértë in silénzjë sénza fà manghë nu rumôrë Së n'è jûtë cîttë cîttë a kûmë érë vënûtë k'u svôltë a rîsë. E mò rëpôsë sôtta nu métrë dë térra nûdë a kûmë îssë stéssë k'i figljë ha décîsë!! Savino Bruno
MASCHERINE, MASCHERINE
I bimbi molto piccoli, all'inizio della loro vita psichica, se riescono a fare esperienza di una madre che è responsiva ai loro bisogni si costruiscono l'illusione di aver creato loro stessi quella mamma buona, anzi buonissima, che arriva con il latte un istante dopo che l'hanno reclamato e alle volte anche prima di averne avvertito chiaramente la necessità. Il nuovo arrivato viene messo al centro del mondo favorendo la sua fantasia di essere onnipotente, “baby the king” lo appellava scherzosamente Freud. La possibilità di fare questa esperienza meravigliosa si tramuta in un mattoncino fondamentale per la sopravvivenza fisica e mentale del piccolino. Con la crescita sarà inevitabile che la presenza puntuale e costante della madre si trasformi in altro, anzi è auspicabile che accada: il bambino sarà un pò più grande e più capace di pazientare mentre la madre accorre lasciando da parte le diverse questioni della sua vita di cui pian piano ha ricominciato ad occuparsi. Da “piccolo dittatore” le cui esigenze prevalgono su tutto il resto, il bimbetto si vestirà dei panni di chi pur lamentandosi e reclamando attenzioni e accudimento può tollerare l'attesa perché fiducioso che quello di cui ha bisogno arriverà come sempre. L'illusione del piccolo dittatore onnipotente di ottenere tutto quello di cui ha bisogno nei tempi e nei modi esatti in cui lui desidera si trasformerà lasciando spazio ad un amore per se stesso più in contatto con le regole del mondo esterno e le esigenze altrui. Non di rado però avvisaglie di questo senso di onnipotenza infantile si rintracciano anche in alcune scelte degli adulti. Facciamo un esempio. Mettiamo il caso che ci sia un adulto che desidera tanto qualcosa, per esempio un terrazzo pieno di piante bellissime o un appartamento molto luminoso con spazi ampi. Un adulto per poter realizzare questo piccolo desiderio innocuo si attiva per poterlo rendere reale, contatta un architetto, una squadra di operai, e si scopre che ci sono delle leggi e delle regole da rispettare. Forse queste leggi diventano un limite e magari spingono a modificare di un pò il desiderio che quella persona ha, magari non si potrà avere esattamente una foresta in terrazzo oppure il salotto dovrà avere nel mezzo delle colonne portanti che però rovinano la vista e allora si pensa bene di trovare una piccola è innocua scappatoia. Le
regole che sono state fatte per proteggerci dalla crudeltà del mondo e dalla durezza delle conseguenze naturali delle azioni vengono ignorate, ci si crea parallelamente un proprio sistema di regole che si sostituisce a quello ufficiale. Il piccolo dittatore interno che ritroviamo in ogni adulto, esserino con una maturità affettiva e psichica davvero rudimentale, ha la presunzione di poter agire nel mondo adulto imponendo i propri desideri e trova il modo per abbattere muri portanti e piazzare alberi e vasi pesanti in veranda. Tutto va bene per un pò, tutto è bellissimo fino a quando la forza di gravità, che lavora costantemente e imperterrita su tutte le creature viventi e non solo del nostro pianeta fa venire giù tre piani di un palazzo assieme al senso di onnipotenza di chi aveva fantasticato di poter ignorare la realtà dei fatti. Come dicevo, retaggi di questo piccolo dittatore interno li portiamo dentro tutti. Ne è un esempio quella sensazione di piena soddisfazione che proviamo quando riusciamo a raggiungere un grande obiettivo e ci sentiamo “grandi”, “potenti”, “possiamo spaccare il mondo” in quel momento, “camminiamo a tre metri da terra”, ci sentiamo appunto onnipotenti ma fortunatamente per un tempo breve e in relazione a qualcosa di circoscritto, a seguito di qualcosa e non a prescindere dal resto. Altri invece possono ignorare la realtà sulla scia della propria onnipotenza e possono sentire di aggirare le regole per ottenere quello che desiderano in molti ambiti della propria esistenza, estremizzando altri ancora possono diventare Kim Jong-un Supremo Leader della Repubblica Popolare Democratica di Corea, l'ingrediente di base rimane sempre lo stesso.
Mascherine, mascherine, liete, gaie e birichine: c’è Brighella, Pantalone, Pulcinella e Arlecchino. Ridono i bambini, i genitori, i fratellini, i più piccini con Gianduia, Meneghino, Stenterello e Balanzone. E’ proprio Carnevale delizioso e pazzerello, frizzante e fracassone. E’ bello in armonia perché si sta in compagnia col chiasso e l’allegria. Rocchina Morgese LA MIA TERRA Culla del sole splendente. Qui, tra i sassi delle colline e le zolle della lunga pianura, respirano pampini ed olivi. Terra generosa dove, all’insulto del vento, ondeggiano i campi dorati di grano. Terra romantica dove a volte, dall’alto e verde pendio, ammiro estasiato il sorgere del fulgido sole che fa brillare l’Adriatico mare. Serena nei silenzi, amabile e feconda: dal vino eccellente, all’olio dorato, al pane fragrante e profumato. Risplendi, mia terra: dai turriti al mare Jonio, da dove si evidenzia a nitida via per l’Oriente. Sola nei ricordi: custodisci frammenti di civiltà sepolte; dove il nuovo si alterna all’antico e dove, sotto una splendida luce lunare, brilla l’antica civiltà bizantina. Puglia! La mia terra! Sotto un cielo stellato appari ancora bella. Giuseppe Maggio