Lo Sguardo sui 5 Reali Siti – Anno XIV – n°3 – Maggio/Giugno 2016

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I giovani di oggi si caratterizzano per essere sfiduciati, incerti ed entrati in stato di precarietà esistenziale. È una caratteristica della loro età. L’identità si forma attraverso le risposte che riescono a dare all’incertezza. Risposte che si costruiscono sia individualmente sia socialmente. In Italia - più che altrove quest’incertezza si è estesa a livelli “patologici”. La gerontocrazia li ha relegati in un angolo, in attesa. Alcuni studiosi sostengono che i laureati di oggi saranno più poveri dei loro genitori, un fenomeno unico nella società del dopoguerra. In Italia questo è dovuto a numerosi fattori, non ultimo un ingresso nel mercato del lavoro protratto nel tempo e caratterizzato da lunghi periodi di precariato. Questo vale sia per i laureati che per chi non ha conseguito titoli accademici. Nella società contemporanea le transizioni all’età adulta come si conoscevano negli anni 60-70 non esistono più. I momenti quali “la fine degli studi” e “l’inizio di un lavoro”, “la formazione di una nuova famiglia” e “la nascita del primo figlio” non segnano più i passaggi canonici alla vita pubblica. I giovani (e meno giovani) spesso coabitano con i propri genitori fino a tardi (soprattutto in Italia) e questo certamente rallenta il processo di transizione, anzi lo cambia nella sua stessa natura. Si entra nella vita pubblica in modo diverso, ancora un po’ dipendenti, più gradualmente e con identità multiple, alcune perfettamente integrate, altre ancora private ed escluse. Questo incide anche sulla capacità innovativa dei giovani, non fornendo a tutti dei contesti che favoriscano l’innovazione. È sempre stato così, ma oggi forse lo è ancor di più. Esistono i bambocci o bamboccioni, certo. Ma non sono sempre esistiti? Sicuramente si vive più nel quotidiano, perché il futuro è ancora più incerto. E quella dei giovani oggi, effettivamente, è una generazione “sprecata” perché non si ascolta la loro capacità di innovare e si dilaziona la loro possibilità di dare un contributo alla società. Ma non per colpa loro. La “colpa” - se così si può dire - è piuttosto dei genitori che non hanno colto l’importanza del ricambio generazionale e non hanno fornito loro strumenti per essere autonomi. È colpa anche delle istituzioni che costru-

iscono percorsi di esclusione istituzionalizzata non proteggendo i giovani nelle delicate fasi di transizione a partire dall’ingresso nel mercato del lavoro. Avere tassi di disoccupazione giovanile oltre il 30% non è solo un problema individuale del giovane disoccupato, è anche un problema sociale di una società che perde l’opportunità di far partecipare i giovani alla società in maniera più piena. Partecipare vuol dire tante cose, vuol dire esprimere opinioni che vengono ascoltate, vuol dire partecipare alle decisioni, vuol dire essere autonomi e come individui contribuire al benessere collettivo della comunità. I giovani di oggi partecipano

solo in parte a tutto questo. Inoltre, oggi si assiste a un’estensione dei percorsi formativi e a una permanenza prolungata nei nuclei familiari di origine da parte dei giovani. Il risultato è che i passaggi fondamentali per segnare la transizione verso l’età adulta subiscono un forte slittamento temporale. Sono significative le difficoltà (se non la crisi) che sta attraversando l’istruzione e formazione professionale in diversi paesi Europei: sempre più ragazzi e ragazze scelgono l’istruzione generalista per posticipare la scelta di “cosa fare da grandi”. Da questo punto di vista, però, non è giusto colpevolizzare famiglie e giovani. Ci sono, infatti, importanti fattori strutturali che comportano la perdita di rilevanza dei canali di ingresso al mercato del lavoro e il perdurare di situazioni di disoccupazione o sottoccupazione che - quasi automaticamente - ritardano l’uscita dalla casa dei genitori. I giovani possiedono, tuttavia, maggiore destrezza nel padroneggiare le tecnologie mediatiche. Potrebbero essere questi i canali preferenziali

di partecipazione non convenzionale attraverso cui i giovani possono avvicinarsi alla vita sociale e politica. Ma non ne siamo certi. Infatti, se è pur vero che le tecnologie costituiscono un canale importante per “riavvicinare” i giovani alla partecipazione nel processo di decisione politica, i nodi da affrontare sono più profondi. Riguardano - tra le altre cose - un loro (mancato) ruolo attivo nella politica e la (im)possibilità di ricoprire ruoli di responsabilità. Con un’età media di 59 anni, la classe dirigente italiana è la più anziana d’Europa. Sicuramente le nuove tecnologie possono contribuire a riavvicinare i giovani alla politica, perché permettono di parlare attraverso i loro linguaggi. Ma ci devono essere cambiamenti più profondi che affrontino alla radice l’esclusione sistematica che i giovani subiscono per rendere concreta questa possibilità. In conclusione è difficile tracciare un identikit dei giovani d’oggi. Più che mai le loro identità sono multiple, plurime, complesse e fortemente dinamiche. Non ci sono più transizioni “scolpite nella pietra”, ma transizioni fluide che cambiano da contesto a contesto e anche individualmente. In questo, i giovani d’oggi, sono sicuramente molto diversi dai propri genitori, quando finire gli studi e iniziare a lavorare coincideva spesso con la formazione di una nuova famiglia. Oggi si fanno figli molto più tardi (l’età del primo figlio è ben oltre i 30 anni in Italia), spesso fuori dal vincolo del matrimonio (nei paesi nordici sono più della metà), in un contesto di crescente precarietà esistenziale (più in Italia che altrove). Ma si è anche più mobili, sia fisicamente - si va più spesso all’estero - sia dal punto di vista lavorativo. Oggi si cambia lavoro almeno 10-14 volte. In questo quadro, quello che bisogna cercare di cogliere sono gli aspetti positivi di questi cambiamenti, quelli emancipatori che permettono ai giovani di costruire identità più flessibili, più complesse e al tempo stesso più aperte alla diversità, perché la diversità è diventata parte del vissuto quotidiano. Bisogna, dunque, cercare di contenere gli aspetti negativi delle nuove transizioni e trasformarli in opportunità di cambiamento.


Maria Celeste Crostarosa non decise di venire a Foggia per sua volontà. La scelta di Foggia come luogo in cui realizzare la missione della sua vita, la creazione dell’Ordine delle Suore Redentoriste fu un'ispirazione che venne dall’alto. All’indomani della beatificazione della “Santa Priora”, che si è celebrata nei giorni scorsi sul sagrato del Santuario dell’Incoronata, gremito di fedeli (un migliaio, provenienti da ogni parte d’Italia e del Mondo) ha ricordato il particolare legame che unì la grande mistica, nata a Napoli, al capoluogo dauno il cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Angelo Amato, che ha celebrato la funzione religiosa e ha rilasciato una bella intervista a Roberto Piermarini di Radio Vaticana.Parlando dell’arrivo a Foggia della prima Beata della diocesi, il porporato sostiene che la scelta fu il frutto di un'ispirazione dall'alto: “Va' a Foggia - le disse la voce interiore - perché ivi voglio che si faccia la fondazione”. Per il cardinale, Foggia rappresentò un contesto ideale per Maria Celeste Crostarosa, che nel capoluogo dauno visse per diciassette anni, gli ultimi della sua vita, che si concluse il 14 settembre del 1755. “A Foggia, in questo lembo settentrionale di terra pugliese, di antichissima tradizione cristiana, benedetta dalla millenaria presenza protettrice dell'Arcangelo San Michele e, in tempi

più recenti, dalla figura di uno dei più grandi taumaturghi della Chiesa, San Pio da Pietrelcina - ha detto il cardinale Amato ai microfoni di Radio Vaticana -, maturò la santità di Suor Celeste Crostarosa, donna straordinaria, forte e coraggiosa, la cui fama ha superato i secoli giungendo intatta fino ai nostri giorni: “A differenza di S. Alfonso, madre Celeste non ha avuto né tra i redentoristi né tra le redentoriste, chi racccogliesse, almeno dopo la sua morte, testimonianze sulla sua vita santa. Eppure tutto il popolo di Foggia, sin dal giorno della sua morte, 14 settembre 1755, la proclamò la santa Priora”. Nel-

la biografia di San Gerardo Maiella, che morì a Materdomini in provincia di Avellino il 16 ottobre 1755, un mese dopo Madre Celeste, si tramanda questa profezia. Il giorno 14 settembre 1755, Gerardo, rivolgendosi a un fratello laico disse: “Quest'oggi a Foggia è passata a godere Dio la madre suor Maria Celeste”. Non si trattava di un vaniloquio ma della convinzione che la Madre era morta in concetto di santità. “Richiesto dall’intervistatore di tracciare un ritratto della Beata Madre Celeste Crostarosa, il porporato ha risposto ricordando che “un ritratto avvincente della nostra Beata è stato tracciato esattamente venti anni fa da un grande Santo della nostra epoca, San Giovanni Paolo II. L'indimenticabile Pontefice, in occasione del terzo centenario della nascita di Madre Celeste (1696-1996), scrivendo alle Monache del Monastero del SS. Redentore, da lei fondato, riassunse in cinque caratteristiche la spiritualità che la nostra Beata ha vissuto per santificarsi e che ha lasciato in eredità alle sue figlie spirituali. Le elenco semplicemente: devozione al Verbo incarnato, che lo Spirito Santo attualizza incessantemente in noi, mutando la nostra vita nella sua; amore all'Eucaristia, fonte di ogni trasfigurazione spirituale; spirito di raccoglimento e di contemplazione, per lasciarsi irradiare e trasformare dalla grazia; carità fraterna e, infine, fedeltà e perseveranza nel bene. Le monache oggi siano consapevoli che la loro presenza e testimonianza sono un contributo prezioso per la missione della Chiesa nel mondo”.


Orta Nova - Celebrata la giornata del donatore Una serata di sensibilizzazione alla donazione del sangue e gratificare i donatori per il gesto di solidarietà, si è svolta domenica 19 giugno scorso organizzata dalla FidasDauna di Orta Nova, per festeggiare la Giornata Internazionale del Donatore. Il Presidente Francesco Novelli e il Presidente della FidasDauna Provinciale Michele Tenace hanno accolto davanti alla Villa Comunale le delegazioni FidasDauna della provincia di Foggia (Apricena, Cerignola, Foggia, Manfredonia, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, San Severo, Torremaggiore e Zapponeta). La serata è stata animata dalla Fanfara dei Bersaglieri della Basilicata con la benedizione dei labari di tutte le delegazioni presenti, da parte di Don Ignazio Pedone nella chiesa del Purgatorio. Dopo aver attraversato un percorso prestabilito che ha portato i partecipanti in bici a toccare le quattro chiese di Orta Nova si svolta la premiazione del "Volontario Attivo Fidas 2016" effettuata dal dirigente dell'Istituto Scolastico Adriano Olivetti nel piazzale del Palazzo ex Gesuitico. Francesco De Gregori a Stornara

e gente dal circondario per ascoltare le sue canzoni. Orta Nova - l’evento sportivo dell’Asd Hobby Sport Si è tenuta ad Orta Nova la 7ª Edizione della Manifestazione Sportiva dell’Asd Hobby Sport guidata dai Maestri Clemente, Nicola e Fabio Iurizzi. Nel corso della serata si sono svolte dimostrazioni di Kick Boxing categoria K1, avviamento allo sport, circuit training e functional training. Sul palco si sono esibiti i campioni del mondo Wtka Gianluca Cifaldi e Annagrazia Grillo, che grazie al lavoro in palestra con il Team Iurizzi hanno conquistato il titolo mondiale a Benidorm in Spagna nello scorso Novembre. La serata è stata arricchita con la sfilata di moda-mare a cura della Boutique dell’Intimo di Marianna Borea, con le acconciature di New Concept for Man di Rocco Marano e di Nuova Immagine di Pina Fazi, oltre al Make Up curato da Profumo di Donna. L’evento e le interviste sono state trasmesse sul Blog Tv dei 5 Reali Siti. La Notte Bianca a Stornarella con Marvin e Prezioso Sabato 13 Agosto Stornarella tornerà ad ospitare, nell’ambito della Festa Patronale, la Notte Bianca. Ospiti dell’evento organizzato dal Comitato Festa Patronale, Marvin e Andrea Prezioso, due dei più importanti protagonisti nella scena dance italiana. Marvin e Prezioso sono stati protagonisti di tante hit suonate nelle discoteche di

tutta Italia dagli anni ’90 ad oggi. Saranno tante le attività previste per questa Notte Bianca, mentre Marvin e Prezioso si esibiranno sul palco principale, nei prossimi giorni invece si conoscerà anche il nome dell’ospite della serata finale della Festa Patronale che si terrà dall’11 al 14 Agosto. In ricordo di Giuseppe Simone Venerdì 1° Luglio 2016 presso la Chiesa del Purgatorio, alle ore 19,00, sarà ricordato il Prof. Giuseppe Simone, già vice Sindaco del Comune, con la celebrazione di una Santa Messa. La cittadinanza è invitata. Lutti È venuta a mancare agli affetti dei suoi cari la suocera del dott. Giuseppe Moscarella. L’Editore Annito Di Pietro, il Direttore Michele Campanaro e l’intera redazione si associano al dolore della famiglia. *** Un collega e caro amico non c’è più. Una grave malattia ha stroncato la vita di Rosario Pugliese, giornalista-editore e Direttore della Voce del Sud. Il Direttore Michele Campanaro e l’intera redazione si associano al dolore della moglie, dei figli e dei parenti tutti. *** L’Editore Annito Di Pietro, il Direttore e la redazione tutta sono vicini al dolore che ha colpito don Giacomo Cirulli, per la perdita della carissima Mamma. *** La famiglia Trecca affranta annuncia la dipartita della cara Carmela. Annito Di Pietro e la redazione tutta sono vicini al dolore di Pasquale, Antonio, Giuseppe e Pietro. ***

Francesco De Gregori il 17 agosto si esibirà a Stornara a chiusura della Festa Patronale per San Rocco che avrà luogo nei giorni 15, 16 e 17 agosto. La città in fase di decollo dei 5 Reali Siti anche quest’anno, dopo le meraviglie dello scorso anno, non è voluta essere da meno nel 2016, proponendo il massimo esponente della musica leggera italiana. Si prevede una fortissima affluenza di fans

In ricordo di Carla Orsi Ora il tuo compito sarà all’insegna della musica celestiale. Sei andata via all’improvviso, bruciata da quella terribile malattia. Mancherai a tutti, ai tuoi figli, a tuo padre, a tutti i tuoi congiunti, al Conservatorio di Foggia, ai tuoi studenti. Mancherà quel tuo sorriso e la grande passione nel divulgare la musica. Ciao Carla.


La città dei Grifoni con 2.054 voti (53,25%) e 8 seggi elegge sindaco l’avv. Vincenzo Sarcone della sita “Ascoli in Comune”, mettendo all’angolo il sindaco uscente Savino Danaro che con 1.473 voti (37,47%) ottiene tre seggi, mentre il candidato del Movimento 5 Stelle, Potito Antolino con 404 voti conquista un solo scranno. Per l’avv. Sarcone è stato un risultato eccellente, se si considera che su 4.071 votanti il 50% è andata alla sua lista, questo risultato sarà l’impegno costante di mantenere la denominazione della lista, “Ascoli in Comune”, ossia il coinvolgimento di tutti i cittadini nella gestione della vita economica, sociale, culturale, economica e turistica. Questi i consiglieri eletti: Donato Ruscigno, Roberta Russo, Paola Colaceli, Rosa Radogna, Paolo Caggianiello, Benedetta Carlucci, Potito Giuliani, Rocco Mitola per

Da alcuni giorni un nostro caro amico, consigliere comunale, nei suoi vari interventi nell’ambito del Consiglio Comunale e nei comizi tenutosi in Piazza ha portato all’attenzione dei nostri concittadini la gestione della manifestazione della XXV Antenna d’oro svoltasi ad Orta Nova. Come ben sapete, tale manifestazione ha sempre riscosso un grande successo richiamando un folto pubblico nel nostro territorio. Dopo un lungo periodo di sospensione si è voluto riprendere tale iniziativa. L’evento è stato incluso nel programma della “Settimana della Cultura”. La manifestazione si è conclusa in modo eccellente dovuto anche alla esibizione del complesso: Elio e le Storie Tese. Questo ha portato lustro e ritorno economico per la nostra città. È stata una buona esperienza. Una esperienza che ci porta a fare delle riflessioni: vale la pena continuare a ripetere negli anni questo evento? Per quanto riguarda “L’Ortese” ed il mio personale giudizio penso di NO. «Fare qualcosa ad Orta Nova, fai male… Fare niente fai bene». L’evento è stato finanziato da una grossa lotteria e da vari sponsor ortesi e non, tra questi annoveriamo un contributo del Comune proveniente parte da fondi per partite di giro di ¤ 5.700,00

la lista “Ascoli in Comune”; Savino danaro, Biagio Gallo, Incoronata Fiero per la lista “Per Ascoli”; Potito Antolino per

la lista “Movimento 5 stelle”.. Per amore di statistiche: la presenza Rosa è stata rispettata con un ottimo 50%.

(Euro Cinquemilasettecento/00). A chiarimento di quanto esposto, si

riporta il rendiconto della XXV Antenna d’oro:

ENTRATE: Contributo Piana del Tavoliere ..........................................................

¤

500,00

Quote da sponsor ................................................................................

¤ 2.000,00

Quote da lotteria: - Biglietti n. 3.120 x ¤ 5,00 ............................................................... ¤ 15.600,00 - Biglietti n. 3.400 x ¤ 4,00 ............................................................... ¤ 13.600,00 Contributo Comune di Orta Nova ...................................................... ¤ 5.700,00 TOTALE ENTRATE

¤ 37.400,00

USCITE: Automobile (1° Premio Lotteria) ...................................................... ¤ 7.200,00 Contributo alla Consulting .................................................................. ¤ 24.365,00 Spese per palco ...................................................................................

¤ 1.830,00

Compenso alla Band per 1ª serata .....................................................

¤ 1.600,00

Vigilanza notturna ...............................................................................

¤

600,00

Spese per stampa biglietti ..................................................................

¤

366,00

Spese generali per l’organizzazione ..................................................

¤ 2.305,00

TOTALE USCITE

¤ 38.266,00

Deficit di gestione .............................................................................. - ¤

866,00

La contabilità dell’Antenna d’oro è stata scritta nella contabilità speciale de “L’Ortese” e chiunque può consultarla presso gli uffici dell’Associazione. La somma di ¤ 866,00 è stata finanziata dagli organizzatori. Spero che quanto detto possa segnare la fine delle polemiche.


È questo un periodo dell’anno che può propiziare i bilanci. Molto favorevoli per la nostra Sede risultano quelli riferiti alle discipline nate come cultura del lavoro. Servono a colmare lo stacco esistente tra lo studio fatto sui libri e le attività manuali; a preparare una società liberata dal pregiudizio classista di una categoria di studiosi puri da un lato e di manovali dall’altro. Serve anche a instaurare l’attitudine al fare ragionato. Dei due avvenimenti sui quali intendo soffermarmi, infatti, il primo riguarda il corso di “Assaggio dell’olio” curato dalla dott.ssa Vittoria Mastrogiacomo e conclusosi venerdì 27 maggio alle ore 18 presso il frantoio “Apolio”. La serata, dopo la lezione e la visita ai locali attrezzati con moderni macchinari, si è poi prolungata con la degustazione di alcune specialità locali in un clima di piacevole convivialità. Ovviamente non ignoriamo il significato delle energie profuse sul piano dell’insegnamento dagli altri corsi e dai nuovi progetti. Offrono tutti contributi preziosi, che possono peraltro essere apprezzati solo in un disegno che al tempo stesso appaia organico ed essenziale. Il secondo riguarda la presentazione del volume “Non è mai troppo tardi” - Reminiscenze di un’antica e nobile professione: l’ostetrica, a cura di Pasquale Braschi e Paola Grillo - Prefazione di Alfonso Maria Palomba, presentato domenica 8 maggio alle ore 19 presso la Sala consiliare del Comune di Carapelle (FG). Il testo ricorda le vicende più importanti della vita di Maria Tozzi, su

appunti autobiografici recenti, quasi ella volesse, negli ultimi anni della sua vita, prendere coraggio per un ultimo balzo in avanti. Le molte persone che l’hanno conosciuta e le hanno voluto bene, in particolare le figlie, hanno continuato a interrogarsi sui numerosi aspetti del suo impegno di madre e di ostetrica. Hanno deciso, perciò, di pubblicare questo testo per comprendere meglio il senso di una vita di singolare ricchezza e complessità. Le promesse coerentemente vissute in un’esperienza di fierezza, la singolare capacità organizzativa e l’amore per il proprio lavoro; sempre con la passione e l’entusiasmo di una giovane donna, anche se il suo pensiero e il suo agire avevano la robustezza e l’essenzialità di una cattedrale gotica. Tra chi le è stato vicino nelle scelte più radicali e costruttive della sua vita, non vi è chi non si sia in qual-

che modo o in qualche momento confrontato con lei, ma tutti, prima o poi, hanno dato atto della sua lealtà, del suo realismo da tempi lunghi che le consentivano un singolare dinamismo spirituale e culturale. Quello di chi si tuffa nel cuore delle cose, con fede nella ragione e nell’amore, che non si lascia scuotere dalle parziali smentite ricevute dall’esperienza e dalle contraddizioni sperimentate anche nella propria vita. Dolcezza, desiderio dello stare insieme ai suoi cari, in famiglia. Ecco perché la sua memoria vive anche attraverso questo libro; non ha cercato se stessa, non ha smesso di credere agli ideali più belli e non ha legato ad alcun obiettivo terreno la sua fatica: “La mia vita è stata come salire su un treno ed essere già arrivata. Una corsa veloce, oggi più affannosa di allora”.

Si è svolto lo scorso 10 maggio in Orta Nova l’incontro-dibattito organizzato dall'Unitre (Università delle Tre Età - Sede dell'Unione dei 5 Reali Siti) sul tema: “Unioni civili e nuovo Diritto di famiglia”. L'evento, patrocinato dall'Unione dei 5 Reali Siti, dal Comune di Orta Nova e dall'Ordine degli Avvocati di Foggia, ha affrontato il dibattuto argomento del disegno di legge sulle unioni civili e sulle coppie di fatto, con un tempismo perfetto. La legge, infatti, era in discussione alla Camera proprio in quei giorni ed è stata approvata a distanza di un giorno dalla data della conferenza. Dopo i saluti delle autorità intervenute, ha preso la parola la Presidente dell’Unitre, Prof.ssa Rina Di Giorgio Cavaliere, che ha salutato i numerosi partecipanti, precisando l’impegno dell’Unitre nell’affrontare sempre argomenti di estrema importanza e attualità, come quello, appunto, in trattazione. Il moderatore della serata, l'Avv. Gianluca Guastamacchio (Docente Unitre) del corso di Diritto e Attualità dell'Unitre dei 5 Reali Siti, ha presentato l’evento, in-

troducendo l’argomento di enorme interesse per il tessuto sociale e relazionale, attuale e delle prossime generazioni. Il compito di affrontare meglio nel dettaglio la nuova legge sulle unioni civili è stato affidato all’Avv. Gerardo A. Cavaliere (Università Giustino Fortunato - Docente Unitre), che, dopo una breve introduzione sui numerosi disegni di legge in materia non portati a termine, ha esposto le caratteristiche salienti della legge. In particolare, poi, sono stati delineati gli antecedenti giuridici e politici che hanno permesso all’attuale schieramento politico di maggioranza di trovare il consenso per la “rivoluzione” del nuovo istituto delle unioni civili. Successivamente, l’Avv. Silvana Sinigaglia (Consigliere Avvocato del Foro di Foggia ed esperto in Diritto di famiglia), ha delineato le più importanti tappe legislative con cui il nostro ordinamento ha modificato il recente Diritto di famiglia. Si è parlato, infatti, di affidamento condiviso, di tutela del minore nelle prassi delle giurisprudenze di merito e superiori, oltre che della recente

modifica delle tempistiche per il divorzio. L’intervento dell’Avv. Sinigaglia, condotto con grande padronanza della materia, ha visto l'attenta partecipazione da parte dell'uditorio, che ha interagito con la relatrice, ponendo numerose domande sul tema. A chiusura dell’incontro-dibattito e per offrire agli intervenuti una completezza di informazioni in tema di Diritto di famiglia, ha concluso i lavori l’Avv. Mauro Marzocco (Avvocato del Foro di Foggia ed esperto in Diritto di famiglia), che ha catturato l’attenzione dei partecipanti sul nuovo processo di nullità canonica. E’ stato precisato dal relatore, infatti, che anche nel “mondo” del Diritto canonico vi sono state, recentemente, numerose piccole innovazioni. Ciò allo scopo di avvicinare il mondo della Chiesa ai tempi odierni, con le conseguenti richieste dei fedeli in tema di velocità di annullamento del matrimonio. L’evento si è concluso con la consegna da parte di Annito Di Pietro, instancabile factotum dell’Unitre, di omaggi ai relatori che sono intervenuti.


Ausculum docet. Continua a fare scuola il Comune di Ascoli Satriano, che da decenni ha scelto di andare controcorrente e che - a differenza di tante altre città, “ingessate” nella monotona litania della scarsità delle risorse disponibili - ha compreso come solo la cultura possa consentire di raccogliere le sfide della contemporaneità e del futuro che è già qui. Proprio la cultura che, mentre altrove è considerata inutile orpello o mero intrattenimento o, peggio ancora, per dirla con Max Weber, “fraseologia convenzionale dei mestieranti”, ad Ascoli Satriano è qualcosa di più profondo e sostanziale, si nutre di fatti concreti, di progetti qualificanti e di pregevoli iniziative, avendo i suoi governanti locali interiorizzato il convincimento che «il futuro è ciò che ognuno sceglie di essere o di non essere». Ad Ascoli Satriano, infatti, nella cultura - intesa come collante per tenere insieme l’“identità della comunità” e l’impegno per l’individuazione di sinergie orientate alla costruzione di un futuro positivo - trova fondamento l’idea di «fare squadra» sulle questioni strategiche per lo sviluppo del territorio: per questa via la cultura si lega alla politica, nel senso che si tratta di dar vita ad un’idea della cultura come strumento aperto e dinamico, che sia in grado di rielaborare effettive alternative di rinnovamento. Una cultura, cioè, capace di incidere non solo sulle strutture mentali e sul modo di essere della gente del territorio, ma anche e soprattutto su quelle economiche e sociali. Amministratori illuminati, come Savino Danaro (sindaco) e Biagio Gallo (assessore alla cultura), d’intesa con la loro compagine di governo e in linea con il passato (Antonio Rolla), hanno ben compreso come la cultura sia strettamente collegata all’economia e come essa, se intelligentemente veicolata, oltre a rappresentare il livello di civiltà di una comunità, possa diventare anche risorsa, investimento e crescita e come proprio in questa interconnessione funzionale riposino la novità e la scommessa dei prossimi anni. Per dare senso e contenuto all’impegno dei governanti locali e alla loro lungimirante politica culturale, lunedì 2 maggio 2016, sotto una pioggia incessante che non è riuscita, però, a rovinare la festa dell’intera comunità, sono giunte ad Ascoli Satriano ragguardevoli personalità - politiche, civili e militari - per testimoniare la loro soddisfazione e il loro

plauso per amministratori, che sono riusciti a mettere il patrimonio storico ed archeologico del proprio paese al centro della loro agenda politica, investendo energie, risorse e capacità relazionali. E così, esattamente un mese dopo la cerimonia della consegna dell’onorificenza dei “Grifoni d’oro” ad Alberto Angela (2 aprile 2016), Ascoli è ritornata alla ribalta nazionale, in occasione dell’inaugurazione dei mosaici dell’area delle terme della villa tardo - antica di Faragola (utilizzata tra il IV

e il VI secolo d.C., appartenente con ogni probabilità alla famiglia senatoria degli Scipioni Orfiti), appena riportati alla loro antica bellezza, grazie all’intervento operato dell’Istituto per il restauro e la conservazione, sotto la guida della Soprintendenza. Madrina d’eccezione dell’evento Laura Boldrini, presidente della Camera, che è stata accolta dalle massime autorità di Capitanata, dal presidente della Provincia, Francesco Miglio, dall’assessore alle politiche sociali di Foggia, Erminia Roberto, in sostituzione del sindaco Franco Landella, dall’europarlamentare Elena Gentile, dall’on. Michele Bordo, dal prefetto di Foggia, Maria Tirone, e da alcuni uomini politici ed amministratori della Puglia, oltre che dal sindaco Savino Danaro e dall’assessore Biagio Gallo, sui cui volti era possibile leggere tutta la soddisfazione possibile per una presenza così prestigiosa come quella della presidente della Camera dei deputati. A fare da cicerone a Faragola Giuliano Volpe (presidente dl Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici-Mibact) che da par suo ha intrattenuto gli ospiti (tra i quali Giovanni Cipriani, ordinario di Lingua e Letteratura latina dell’Unifg) sugli scavi operati nella villa e sulla storia dei mosaici restaurati. Poi, dopo l’incontro

con gli allievi delle scuole di Ascoli, tenutosi nella cattedrale a causa della pioggia, tutti all’auditorium del Polo museale, dove è stata consegnata alla presidente Laura Boldrini (dopo il suo rifiuto motivato per ragioni di condotta parlamentare, a seguito di un codice etico appena varato che vieta di accettare doni il cui valore sia superiore a 250 euro) l’onorificenza dei “Grifoni d’oro”, da depositare presso la Camera dei deputati. Prima, però, diversi interventi di alcuni rappresentanti del ragguardevole parterre degli ospiti (Luigi La Rocca, soprintendente archeologico della Puglia, a Gisella Capponi, direttrice dell’ISCR; da Giuliano Volpe, ex rettore dell’Unifg ed archeologo di fama internazionale, a Marisa Corrente, direttore scientifico degli scavi; da Francesco Longobardi, direttore dei lavori a Maria Turchiano dell’Università di Foggia) tutti orientati a sottolineare l’importanza strategica di Ascoli Satriano sul piano storico - archeologico e su quello turistico dell’intera provincia di Foggia. Quello che colpisce ad Ascoli Satriano è la grande capacità di «fare sistema», avendo compreso tutti quelli che hanno a cuore il futuro di Ascoli e di tutto il territorio provinciale (e non solo) che da soli non si va da alcuna parte, mentre “insieme si può», tanto per ricordare la celebre espressione di Barack Obama (Yes, we can) che ha fatto qualche tempo fa il giro del mondo con tutto il suo contenuto di fiducia e di prospettiva di futuro. Ascoli, dunque, come modello vincente e trasferibile, a condizione, però, che non manchino negli amministratori dei nostri territori tre elementi fondamentali: 1 - la consapevolezza del valore di ciò che si possiede (beni storici ed archeologici); 2 - la determinazione ad investire in cultura, l’unica in grado di favorire anche altre attività, dai trasporti alle infrastrutture al turismo; 3 - la capacità di condivisione di un piano strategico territoriale nell’intento di interconnettere tutti gli aspetti economici, sociali, culturale e politici del territorio di appartenenza. Ascoli Satriano ormai galoppa su questa strada e sono convinto che la nuova amministrazione, eletta il 5 giugno 2016 e guidata dall’avv. Vincenzo Sarcone, proseguirà il cammino intrapreso. L’“Unione dei cinque reali siti”, che potrebbe far perno intorno ad Herdonia (Ordona), invece, che intende fare?


È ormai da circa due mesi che non si fa altro che parlare della Tari, ovvero della tassa sui rifiuti. Tutta questa attenzione è dovuta al fatto che purtroppo e inevitabilmente si è dovuto procedere all’approvazione di un aumento cospicuo della stessa in seguito a precise richieste del gestore del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti e spazzamento stradale, ovvero la Sia Fg/4. Le richieste avanzate dal gestore riguardano un adeguamento dei costi attuali a quelli realmente sostenuti per erogare il servizio. Cosa significa questo? Che finora non si è mai pagato il giusto... abbiamo per anni usufruito di un servizio non pagando tanto quanto la Sia spendeva. Questa strana ma comoda situazione si è perpetuata per anni, nonostante già dal 2008 venivano continuamente sollecitati i comuni del Consorzio ad adeguare i corrispettivi, comuni che si sono sempre dimostrati sordi a queste richieste non domandandosi nemmeno il perché delle stesse ed eventualmente contestandole, anche, laddove non nè condividessero i giustificativi dei costi aumentati. Tale situazione ha avuto modo di procrastinarsi nel tempo grazie ad un utilizzo improprio dei ricavi provenienti dal conferimento in discarica dei rifiuti dei comuni extra bacino, un bonus che invece doveva servire per adeguare gli impianti esistenti ed eventualmente potenziarli o implementarli in modo tale da permettere una crescita della società e dell’impiantistica a disposizione, invece di definirne con tale politica lo scontato declino. Cosa è cambiato ora? Perché anche noi, anche l’amministrazione Tarantino non può esser sorda a queste richieste, perché non può cullarsi su un benefit che finora ha fatto comodo a tanti, perché ora deve aumentate la tassa? Perché la nostra discarica è quasi satura e quindi non può più “ospitare” rifiuti altrui, e a dirla tutta tra un po’ nemmeno più i nostri, per cui venendo meno questo introito, ci siamo trovati alla resa dei conti col gestore. Questa necessità di adeguare i costi e la necessità / volontà di adempiere alla normativa in vigore in ambito di raccolta differenziata ha indotto questa amministrazione ad adeguare le nuove tariffe purtroppo in aumento, e a cercare di definire col gestore un programma

che prevedesse anche l’inizio della raccolta differenziata. Non è stata una decisione facile e non è stata certo intrapresa a cuor leggero, ma fatta con senso di responsabilità civica e morale. Che poi non avremmo riscontrato il parere favorevole della popolazione era, anche questo, ovviamente, stato messo in conto. Nessuno si aspettava congratulazioni per un aumento delle tasse! Quello che però è stato sottostimato, è sicuramente la reazione delle minoranze, che in maniera del tutto irresponsabile continuano ad aizzare la folla e a procurare allarme, senza cercare responsabilmente invece di condividere il “male” ereditato, vista la conoscenza da parte di tutti coloro che sono seduti nei banchi dell’opposizione dei fatti “sporchi” della Sia, i quali, nonostante tutte le conoscenze e le competenze professionali che contraddistinguono chi ci ha preceduto, in particolare nella precedente amministrazione, non sono stati né mai affrontati, né discussi, né messi alla luce del sole e alla conoscenza della popolazione, come invece si è fatto ora. Si è cercato in questi giorni di far conoscere cosa sia il Consorzio e i legami con esso, cosa è Sia e i problemi che da anni si porta dietro irrisolti e si è cercato di proporre un progetto di crescita, una evoluzione verso la civiltà con l’inizio della raccolta differenziata. Tutto questo ora è messo in discussione e lo è non per l’esagitato e irresponsabile modo con cui la minoranza ha cavalcato quest’onda in pieno stile populista, arrivando ad innescare una quasi rivolta popolare, giocando con un fuoco con il quale anche loro si sarebbero

scottati, ma per il venire meno dell’impegno preso in modo unanime e condiviso, dagli altri comuni del consorzio. Il loro non adempiere a ciò che si è deliberato in termini di adeguamento dei costi così come richiesto dal gestore, contrariamente a quanto fatto dal solo comune di Orta Nova, comunque comporterà le gravi e prevedibili conseguenze per la Sia in termini di fallimento e il reale rischio di ritrovarsi i rifiuti per strada senza che nessuno possa raccoglierli. È bene precisare che se dovesse restare tale le posizione degli altri comuni, verranno revocate anche le nostre delibere, con conseguente non adeguamento dei costi e quindi nessun aumento della tassa. Cosa accadrà ora? Non si sa…tutto sta alle nuove decisioni da intraprendere in sede di assemblea del Consorzio, e non per mero servilismo come qualcuno blatera, ma per il riconoscimento di un ruolo politico e amministrativo ad un’istituzione sovraordinata, dentro la quale la Regione stessa ci ha confinato. Resta il fatto che un nuovo commissario all’alba del fallimento di Sia non potrà prescindere dal farci pagare un costo di servizio più alto rispetto all’attuale e allora comunque e nuovamente si tornerà a parlare di aumento Tari, a meno che non si decida di rinunciare alla raccolta dei rifiuti. E allora sarà ancora colpa di Tarantino &Co.? Saremo ancora noi a voler mettere le mani in tasca ai cittadini per futili motivi, ma col solo obbiettivo di arricchirsi? E a quel punto chi si prodigherà come il nuovo Robin Hood che ruberà ai ricchi per pagare la tassa ai poveri? Ai posteri l’ardua sentenza.


Era nelle previsioni e così si è chiusa con un nulla di fatto l’Assemblea dei Sindaci del consorzio Ato Fg4, riunitasi lo scorso 15 Giugno. Nessuna decisione concreta è stata assunta, con gli operatori e i dipendenti di SIA, a fare da spettatori ad una situazione davvero difficile da affrontare. I comuni della Bat: San Ferdinando, Trinitapoli e Margherita di Savoia, assente tra l’altro all’incontro, hanno chiaramente fatto intendere che non adegueranno i contratti in essere con conseguente aumento della Tari, nessun altro comune ha inoltre preso ad oggi una decisione a riguardo, con l’Amministrazione Comunale di Orta Nova che rimane così l’unica ad aver aumentato la Tari, rivendicando una scelta definita responsabile ed in linea con quanto accordato negli incontri precedenti con gli altri comuni. Ed intanto nel comune ortese la vicenda continua a tenere banco. Sull’argomento abbiamo chiesto al consigliere di opposizione Lorenzo Annese di intervenire, ma ha preferito rinviare tutto a momenti migliori. Mentre dal Pd, l’avv. Iaia Calvio, risponde alle dichiarazioni dell’assessore Maffione che sostiene: “Che finora non si è mai pagato il giusto…abbiamo per anni usufruito di un servizio non pagando tanto quanto la Sia spendeva.” Ma per comprendere meglio l’argomento l’esponente del Pd sottolinea: “ Per capire di cosa stiamo parlando abbiamo provato a calcolare a quanto ammonterebbe l’effettivo risparmio, ossia quanti soldi resterebbero nelle tasche dei contribuenti in virtù della “riduzione delle tasse” dell’assessore Maffione. Prima di tutto è opportuno precisare che la riduzione non riguarda tutti, ma solo alcune categorie di contribuenti e tra questi i proprietari di almeno due case. Si, perché l’Imu sull’abitazione principale è già stata abolita, insieme alla Tasi, dal Governo centrale. Allora,

mettiamo un “secondo” appartamento ad Orta Nova con una rendita catastale pari a ¤ 300,00 senza rivalutazione (abbiamo immaginato una rendita catastale media). Se nel 2015 il sig. Rossi, proprietario della “seconda casa”, ha pagato circa ¤ 579,00 in due rate di Imu, nel 2016, grazie alla straordinaria "operazione di riduzione mai riuscita a nessuna amministrazione pre-

cedente", lo stesso sig. Rossi pagherà ¤ 552,00 circa con un risparmio netto di circa ¤ 27,00 euro annui da spalmare in due rate. Poi, magari, il nostro sig. Rossi abita ad Orta Nova, in un appartamento di 120 mq e ha una moglie e due figli. Gli capita allora che se nel 2015 ha pagato circa ¤ 224 di Tari, nel 2016 ne dovrà pagare ¤ 442 ossia 218 euro in più.” L’analisi dell’avv.

Calvio approfondisce l’argomento con un analisi più profonda: “Secondo l’assessore Maffione , cosa sarebbe "sfuggito, persino ai blogger più attenti" …Ma forse qualcosa può essere sfuggito... Tra le categorie che usufruiranno del “bonus Maffione” potrebbero non esserci solo i proprietari di seconde case, ma anche, con buona probabilità, i proprietari dei parchi eolici, come da esempio Peon ex Inergia. Eh sì, quello che ha già usufruito dello sconto Tarantino a fine 2014 con la revisione del contratto. E lì, un mezzo punto, dal 10,60 al 10,10 x mille, potrebbe significare un bel po’ di q u a t t r i n i . ” L’esponente del Pd nel concludere sottolinea: “Anticipiamo allora pubblicamente ciò che sarà oggetto di formale interrogazione al sindaco e all’assessore: a quanto ammontava l’introito IMU per i parchi eolici nel 2015 e a quanto ammonta il risparmio per i signori del vento per il 2016?”. Intanto sulla vicenda si apre uno spiraglio: all’indomani dell’incontro dei sindaci il primo cittadino ortese, Dino Tarantino ha chiesto al Presidente Giuseppe Moscarella di convocare, nel più breve tempo possibile, il consiglio comunale per la revoca delle delibere sull’aumento delle tariffe sui rifiuti. Insomma tutto è bene quello che finisce bene.


Ne è convinto Michele Manzi, che del Comitato Festa Patronale di Ortanova, è per l’8° anno di fila Presidente in carica, nominato direttamente dal Consiglio Pastorale Parrocchiale della Beata Vergine Maria Addolorata. Un incarico onorario il suo, svolto - se pur gratuitamente - col massimo zelo, come egli stesso spiega: “Per contribuire alla realizzazione della festa in onore di un santo, da sempre nel cuore di tutti gli ortesi, Sant’Antonio di Padova”. Domanda: Gli chiediamo subito, un bilancio di questi anni in carica da Presidente. Risposta: Devo dire davvero molto positivo. Ricordo che all’arrivo di don Giacomo ad Ortanova, la tradizione secolare dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio era non solo decisamente tramontata, ma si avviava ormai verso un inesorabile oblio. È stato perciò solo grazie al forte slancio propositivo dello stesso don Giacomo, che si è potuto intraprendere un lento cammino volto a riportare la festa patronale, verso rinnovati fasti sia sotto l’aspetto cattolico, che culturale e, storico. Certo i primi tempi in cui mi sono ritrovato a svolgere questo incarico, sono stati assai critici. Oggi tuttavia, questa festa appare decisamente ritornata ad occupare un posto di forte rilievo, nell’animo degli ortesi. E tutto ciò è stato reso possibile soltanto attraverso il lavoro di sinergia, svolto dai membri del Comitato. D.: A tale proposito Presidente, chi sono i componenti del Comitato Festa Patronale? R.: Si tratta di volontari per lo più appartenenti alle varie Confraternite locali, ai quali si aggiungono alcuni privati cittadini. D.: Quali sono i compiti svolti da questo organo? R.: Direi sostanzialmente due, entrambi fondamentali per la piena riuscita di questo importante evento. Il primo è decisamente legato al delicato aspetto della raccolta fondi, effettuata in tutta la città. Al riguardo, vorrei sottolineare l’encomiabile lavoro di tutti i membri che, di anno in anno cominciando subito dopo Pasqua, instancabilmente girano casa per casa, non sempre accolti con viva disponibilità dai cittadini. Il secondo compito prevede invece, la realizzazione del programma. D.: Presidente, quali sono i criteri seguiti nell’approntare il programma dei festeggiamenti, in onore del Santo? R.: Il programma dell’intera festa si è snodato attraverso tre ambiti: religioso, formativo e ricreativo. Quanto all’ambito religioso, la scelta dei contenuti viene effettuata dal Parroco. In ambito ricreativo invece, alla figura del Parroco si è affiancata nelle scelte, quella del Comitato e di una rappresentanza dell’Amministrazione Co-

munale. Ai due tradizionali, si è poi pensato di inserire nel tempo un ulteriore ambito di carattere formativo, i cui contenuti sono delineati dal Comitato su indirizzo dello stesso Parroco. D.: A tal proposito quali in sintesi, i contenuti salienti del programma dei festeggiamenti 2016? R.: In primo luogo abbiamo dato spazio ai molteplici e tradizionali appuntamenti religiosi, a cominciare dal 31 maggio con la cerimonia di intronizzazione della venerata statua; culminati con la solenne processione serale del 13 giugno, e la benedizione ai campi, in via Stornarella. Nel contempo, attenzione particolare rivolta alla formazione in Largo Gesuitico. Qui in presenza di numerosi fedeli, il Vescovo Renna in occasione del Giubileo Straordinario della Misericordia, ha commentato alcuni passi tratti dalla Bolla di Indizione; facendo appello alla intera comunità. E poi naturalmente, un ricco carnet di appuntamenti ricreativi. Molto apprezzato Food And Beverage, il percorso eno-gastronomico per la valorizzazione dei prodotti tipici locali, promosso da Coldiretti in collaborazione con l’Istituto Alberghiero di Roccaraso. Tanti anche gli appuntamenti musicali inaugurati dal gruppo Original Brass Band, proseguiti con i Turbo e la Corte dei Miracoli, con l’immancabile concerto bandistico Città di Ortanova e, culminati la sera del 14 giugno con l’attesissimo concerto dell’artista palermitana, vincitrice del disco di platino col tormentone Volevo te, Giusy Ferreri. Infine neppure quest’anno ha tradito le aspettative riposte, l’appuntamento con il tradizionale spettacolo pirotecnico; che ha tenuto per oltre un ora con la testa in su, le migliaia di appassionati presenti. D.: Presidente, è corretto affermare che questa festa si è svolta con un’attenzione particolare, rivolta ai più bisognosi? R.: Dal momento che qualunque festa

non può dirsi vera, se non la si condivide in pieno con i più poveri, Comitato ed imprenditori locali (riprendendo l’antica tradizione di donare una parte del raccolto di grano alla Chiesa), hanno voluto destinare un contributo fattivo a sostegno sia delle iniziative Caritas, come la mensa, sia di tutte le altre di carattere parrocchiale. Una piccola goccia, con la quale abbiamo voluto affiancare l’Angolo della solidarietà e il Banco Alimentare, promossi dalla Parrocchia Addolorata per tutta la durata dei festeggiamenti. D.: Presidente per concludere, un bilancio a caldo dell’edizione 2016 della festa patronale. R.: A breve pubblicheremo un consuntivo, che analizzerà nello specifico ogni aspetto; anche eventuali criticità che dovessero emergere dall’analisi della manifestazione. A caldo posso di certo affermare, che questa edizione si è conclusa senz’altro, in maniera positiva. A tale proposito, vorrei in particolare rivolgere un sentito ringraziamento per l’impegno profuso ai Carabinieri, alla Polizia Municipale, alle Guardie Ambientali del Gadit, ai volontari della Proloco ed infine a quelli della Misericordia; mobilitati anche con uno stand, per il controllo gratuito della glicemia. Certo quest’anno, abbiamo dovuto effettuare qualche piccolo ridimensionamento nell’allestimento delle luminarie; garantendo comunque visibilità nel percorso centrale, tra la Chiesa Madre e Piazza Pietro Nenni. Tuttavia, l’impegno economico assunto dell’Amministrazione Comunale insieme ad un nutrito gruppo di aziende locali, nonché la vicinanza dei cittadini ortesi ai quali va il mio personale appello affinchè continuino negli anni a sostenerci numerosi con una piccola offerta per famiglia; hanno comunque garantito la piena riuscita di questo importante evento.


Un inscindibile binomio di amore e passione, scandisce la storia secolare della famiglia Ladogana che opera nel settore vinicolo, fin dal 1890. Amore per la terra e passione per un vino di eccezionale qualità, che Ladogana produce con orgoglio da ben 4 generazioni; detenendo il primato indiscusso di azienda pioniere nella produzione di vino biologico certificato in Puglia, dove dal 1996 coltiva uve da vigneti autoctoni di proprietà. Il 2006 segna l’anno di svolta, con la fondazione dell’azienda vitivinicola “Agricola Ladogana Srl”; mentre nel 2011 matura la decisione di intraprendere la costruzione di una nuova cantina. Molteplici le ragioni alla base di questa scelta: adottare standard produttivi di eccellenza per valorizzare al meglio le conoscenze enologiche; offrire un vino certificato e qualitativamente superiore; accompagnare il consumatore alla scoperta delle tradizioni e delle bellezze della terra di Puglia. Il nuovo stabilimento vinicolo inaugura la sua prima vendemmia nel 2014. La “Cantina 60 passi” è ubicata in agro di Orta Nova al km 699.500, località Passo d’Orta, e si estende su una superficie di 2100 mq; composta da 3 diverse aree destinate alla produzione, all’affinamento e imbottigliamento ed al deposito. È inoltre presente un’area che ospita gli uffici, uno show-room con vendita diretta che si affianca a quello storico presente in via De Gasperi n°61 ad Orta Nova, ed un locale interrato per la barricata. Un’ interessante novità è poi rappresentata dall’ampia ed attrezzata Sala Convegni, aperta a tutte le iniziative volte a promuovere il territorio. “Opportunità questa, immediatamente accolta con grande entusiasmo dagli organizzatori di eventi,” come ci spiega l’Imprenditore Vittorio Feola, “registriamo infatti già numerose manifestazioni all’attivo. Tra gli eventi ospitati: un importante seminario nazionale sulle patologie tumorali, promosso dall’Andos; la visita dell’Accademia Italiana della Cucina, con la preparazione di degusta-

zioni accompagnate dai nostri vini biologici; e quella recente organizzata dall’Associazione Sommelier di Capitanata che conclude “Enozioni”, il corso di formazione per conoscere ed amare il vino, giunto già alla sua seconda edizione.” Ma Agricola Ladogana è anche sinonimo di grandi riconoscimenti in ambito nazionale, con la sua recente partecipazione al VinitalyBio: l’area dedicata esclusivamente alla produzione di vino biolgico e biodinamico certificato. “Organizzato da Vinitaly in collaborazione con FederBio,” come ci spiega l’enologo Saverio Ladogana, “VinitalyBio vuole essere una grande occasione di visibilità per il vino biologico certificato, che rappresenta un’eccellenza del made in Italy. La sua forza infatti è proprio nella certificazione, che ga-

rantisce al consumatore la trasparenza del sistema produttivo. Ed è proprio in questo contesto che la nostra linea di vini biologici, con il Taru Ortanova DOC, il Viandante Aglianico IGT, il Ghort Nero di Troia IGT, il Terre Salde Greco IGT, il Philomene Rosè Frizzante Aglianico IGT e il Don Franc’ Chardonnay Frizzante IGT, ha ottenuto il plauso di visitatori ed esperti intervenuti alla prestigiosa rassegna enologica.” D.: “In una battuta conclusiva dr Ladogana, dove risiede il segreto di questo straordinario successo imprenditoriale?” R.: “Direi senz’altro in un accurato controllo dell’intera filiera produttiva, che permette di selezionare e vendemmiare l’uva solo all’apice della sua curva di maturazione, adottando tecniche di vinificazione in grado di salvaguardare l’integrità, la qualità, i profumi e gli aromi dei nostri splendidi grappoli.”

È stato Monsignor Gaetano Di Pierro, nostro illustre cittadino, a contattarmi all’inizio del mese di gennaio. Mi proponeva di ospitare un seminarista che concludeva il triennio di filosofia nel Seminario Maggiore di Moramanga (diocesi di Mons. Di Pierro) per poterlo iscrivere alla nostra Facoltà Teologica Pugliese a Molfetta. Mons. Di Pierro è Pastore di una Diocesi che ha scarso clero diocesano e la maggior parte appartiene a ordini religiosi quali dehoniani, trinitari e redentoristi. Nel voler qualificare maggiormente il suo clero ha pensato di mandare un giovane, che ben promette dal punto di vista della spiritualità

e degli studi, in Italia. Questo giovane ha ventisei anni e si chiama Hermann. È stato accompagnato direttamente da Mons. Di Pierro qui ad Orta Nova e si è stabilito nella canonica della parrocchia B.V.M. dell’Altomare. Deve studiare bene l’italiano perché conosce il francese e la sua lingua madre, il malgascio. Con l’aiuto dell’Associazione “Maestri per sempre” di Gina Di Conza che opera all’interno della comunità dell’Altomare per insegnare proprio la lingua italiana a giovani provenienti da tutte le nazionalità, Hermann ha cominciato ad apprendere i fondamenti della lingua italiana. Impara

presto e ha buona volontà. A Settembre andrà a Molfetta per frequentare il seminario. Anche le famiglie e i giovani soprattutto, lo hanno accolto gioiosamente e sono curiosi di conoscere, chiedere su un mondo come quello del Madagascar che è completamente diverso dal nostro. La loro solidarietà, inoltre, si è rivelata subito immensa nei confronti di questo giovane venuto da lontano. Auguriamo a Hermann di trovarsi bene qui da noi e di non scoraggiarsi mai di fronte a nulla. Che il buon Dio e la Madonna dell’Altomare siano sempre a lui vicino.


Il termine Quarantena indica il periodo di quaranta giorni che precede la Pasqua. Infatti, quaranta erano i giorni nei quali si dovevano praticare penitenze da parte di un peccatore per ingiunzioni avute dopo la confessione dei suoi peccati. Gesù Cristo passò quaranta giorni e quaranta notti di digiuno prima dell’inizio della sua vita pubblica. Un’antica tradizione collega il digiuno di Gesù nel deserto della quarantena a un monte che si erge a picco nella piana di Gerico. L’istituzione della Quaresima vuole ricordare il periodo che Gesù trascorse nel deserto digiunando e pregando. Per i cristiani in questo periodo si osserva la penitenza, l’astinenza da svaghi e la meditazione per la preparazione alla Pasqua o alla Risurrezione. Il termine “Quarantena” nella tradizione popolare Come per il processo di personificazione del Carnevale, così per la Quaresima, a livello popolare si raffigura il periodo con un fantoccio, chiamato la vecchia, adorno di collane di frutta secca ed esposto in piazza o, come accade altrove, portato in giro sopra un carro per le vie della città. In alcuni paesi del sud si espongono delle pupe con sei penne di gallina conficcate, e ad ogni settimana di quaresima che passa, si toglie una penna. Tancredi ricorda che :”Nel giorno delle Ceneri, nei vicoli ed in qualche strada principale, si vede spenzolare la Quarantena, una pupa vestita di nero avente al posto dei piedi una patata intorno alla quale sono infisse sette penne di cui se ne toglie una la settimana, in modo che l’ultima si strappi il sabato santo”. Per dividere il lungo periodo di astinenze e di penitenze - quando nel passato era molto più sentito ed osservato -, si celebra la festa di mezza quaresima: si sega la vecchia, che è “raffigurata con mento aguzzo, gran naso, viso rugoso e occhi grifagni. La brutta e malefica strega durante la notte cavalca un manico di scopa e vola su di

esso, aviatrice espertissima”. Durante questo periodo, mentre il clero annuncia le pene eterne dell’inferno, il popolo sospira, piange e si percuote il petto, recitando le orazioni. Il valore della tradizione pagana Nella personificazione della Quarantena, a livello popolare - e prescindendo dalle varie incarnazioni storiche -, il nucleo dei significati si individua da

una parte nella obiettivazione dell’ente: nel nostro caso “una vecchia”, che inforca una scopa, e dall’altra nel senso della privazione, dell’astinenza e della contrizione. Per i cristiani il periodo sta ad indicare la preparazione alla Resurrezione di Gesù Cristo; per i pagani, come nell’antica Grecia, si festeggiava la Pasqua con il nome di Estia (la dea Vesta dei romani). Si trattava di culti primaverili che auspicavano il germoglio degli alberi, mentre nei prati sbocciavano i primi fiorellini. Dopo il lungo inverno, la natura risorgeva ed al centro delle celebrazioni pagane si svolgevano folte

processioni di donne, giovani e uomini, arricchite da danze, musiche e canti, che poi sfociavano nei riti orgiastici con al centro il dio Dioniso. Questi rituali erano l’incarnazione del desiderio dell’uomo di liberarsi delle negatività per approdare verso il nuovo: il passaggio dall’inverno alla primavera. La vecchia o Quarantena, brutta strega o megera, che viaggia sulla scopa, rappresenta la natura resa spoglia dall’inverno che sta per andare via: in questo caso l’ontologia del brutto viene proiettata in una immagine di “vecchia”, cioè di persona che non è più e che sta per andare via…verso la morte. La scopa, attrezzo casalingo, sta per “cacciare via, andare…”, così come quando in casa si toglie lo sporco. Fatto apparentemente bizzarro ed irreale è che la vecchia megera non ha i piedi di una persona normale. I suoi piedi sono rappresentati da due patate, elemento che rende ancora più evidente il significato di persona “sgraziata, sei una patata!”, non gradita…che deve andare appunto via. Cioè la natura resa spoglia dal duro e freddo inverno, ora deve tornare a rifiorire, così come accade con la Primavera. Il culto cristiano se n’è appropriato, sovrapponendosi all’antico rito “agrario”: solo che alla Natura che risorge ha sostituito il Cristo che risorge. La Pasqua, infatti, era anche una festività originaria della Frigia celebrata in onore di Attis, il figlio amante di Cibèle e che rappresenta l’anno che muore e che risorge. Da ciò si evince che non c’è tradizione pagana che non sia stata fatta propria dalla Chiesa cristiana. Questi riti, come le fanoje, il carnevale, la quarantena, etc.etc., apparentemente ingenui e senza senso, ci riportano, invece, ad un inconscio collettivo che si perde nella memoria dei tempi. Essi avevano un grande significato per l’uomo, ma oggi, nell’attuale sistema socio-economico, quali sono i riti che si celebrano per far risorgere la natura o mantenere in equilibrio l’essere umano?


Per alcuni giorni - dalle ore 15.00 di giovedì 12 maggio alle ore 9.00 di lunedì 16 maggio 2016 - un po’ per curiosità un po’ perché “vinto” dalle sollecitazioni dell’amico Annito Di Pietro, mecenate e patron di importanti eventi culturali nei “cinque reali siti”, da “osservatore privilegiato”, per non dire da “infiltrato”, ho partecipato al convegno di primavera organizzato a Perugia dall’A.n.po.s.di. (Associazione nazionale poeti e scrittori dialettali) e sapientemente diretto dal raffinato presidente nazionale Mimmo Staltari, di concerto con l’infaticabile segretario generale Giampaolo Catalucci e con la cortese delegata umbra, Adriana Tosti Altieri. Mi sono ritrovato così nel cuore di un interessante convivio di poeti provenienti da tutte le regioni d’Italia, incentrato sull’ascolto di poesie nelle quali il dialetto parlava di sé e raccontava il suo valore/significato, mentre si diffondeva nell’aria, presso la sala “Trumpet” dell’ Hotel Giò Wine e Jazz Area, una ricca e variegata mescolanza di sonorità, di cadenze e di armonie che mai nessuna letteratura, come quella del nostro Paese, è stata capace di esprimere. Una vera e propria full immersion - piacevole e affascinante ad un tempo - in un intrigante crogiolo di culture e di parlate diverse, che si rincorrevano e si fondevano in una metamorfica riflessione dei poeti e degli scrittori presenti sul senso della propria ricerca linguistica, al di là del proprio spazio domestico e regionale. Confesso che un pensiero costante ha accompagnato la mia partecipazione al convegno e durante il ritorno a casa, quello della riflessione sul senso di quanto Pier Paolo Pasolini scriveva nel 1964: «Fra le tante tragedie che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, c’è anche la tragedia della perdita dei dialetti, come uno dei momenti più dolorosi della perdita della realtà», considerando, con le sue parole, come avvenuta la morte delle parlate regionali (quali forme espressive originarie radicate nella cultura locale di ogni singolo paese o regione) a vantaggio di un italiano medio “tecnologico” modellato a misura della società neocapitalistica. So bene che non è questo il luogo per discutere della polemica di Pier Paolo Pasolini con Italo Calvino a proposito del rapporto lingua italiana/ dialetti, ma qui posso affermare come entrambi esprimevano posizioni che, se erano valide

nel contesto storico in cui furono rese pubbliche, oggi risultano superate, perché l’A.n.po.s.di. (che ha al suo attivo ben 120 raduni nazionali) a Perugia, ancora una volta, ha dimostrato, con i fatti e non a parole, come i dialetti siano ancora vivi e vegeti e continuino a mantenere intatta la creatività di sempre, accanto ad una notevole vivacità espressiva. A fronte dei dati diffusi, infatti, dall’Istat nella ricerca “L’uso della lingua italiana, dei dialetti e di altre lingue in Italia”, pubblicata lunedì 27 ottobre 2014 (con riferimento al 2012), il sodalizio dei poeti e degli scrittori che scrivono in dialetto è la prova vivente che le forme espressive alimentate dalla cultura locale o regionale non solo “resistono” con dignità al processo di omologazione voluto dalla globalizzazione, ma sono in grado anche di rinnovarsi continuamente mescolandosi con l’italiano: d’altro canto le lingue, come i popoli, sopravvivono solo se sanno rinnovarsi, cioè mescolarsi. In questa direzione, grazie anche all’impegno continuo dell’A.n.po.s.di., va sempre più diffondendosi oggi una maggiore consapevolezza dell’importanza del territorio, dei tanti territori che compongono il nostro Paese, accanto alla convinta volontà di valorizzare e mantenere ciò che gli antichi Romani chiamavano il genius loci (lo spirito del luogo), tutto quanto di speciale e unico porta con sé. In quest’humus affonda le sue radici il sodalizio, presieduto da Mimmo Staltari, impareggiabile anfitrione in quel di Perugia, che, rispetto ad ogni forma di sradicamento culturale e sociale dei tempi che attraversiamo, si pone oggi come alfiere della

riscoperta del valore della diversità, sostenendo ad ogni piè sospinto come il “luogo” (paese o regione che sia), con le proprie stratificazioni e complessità storiche, con le proprie tradizioni culturali e linguistiche, con il proprio patrimonio artistico e con i propri saperi, sia una risorsa preziosa, oltre che un valore assoluto per ogni comunità, come plasticamente “racconta” l’albero che è rappresentato sul logo dell’ associazione nazionale e che affonda le sue radici nelle varie regioni italiane. Nella mission dell’ A.n.po.s.di., però, c’è ben altro - last but not least - perché a Perugia, per quanto vivessi per la prima volta l’esperienza, ho avvertito nell’aria segnali di autentica amicizia, di rispetto vero, di sereno confronto di idee, di cordiali scambi di libri orientati alla conoscenza reciproca: un vero e proprio mix di sentimenti positivi capaci di trasformare i raduni “anposdini” in meeting di persone che per due volte all’anno (primavera - autunno) si ritrovano, per parlare della loro terra attraverso versi e racconti. In questa direzione anche i momenti conviviali sono diventati luoghi di incontro, così come sono state occasioni di arricchimento le visite guidate: nello specifico quella ad Assisi (venerdì 13 maggio 2016), quella a Spoleto (sabato 14 maggio 2016) e quella, infine, nel centro di Perugia (domenica 15 maggio 2016). Tre escursioni, tre approcci diversi all’Umbria, cuore verde dell’Italia per l’abbondanza di acque e di boschi e per la varietà delle piante: da un lato Assisi, adagiata sul versante nord-occidentale del monte Subasio, epicentro del francescanesimo ed oggi città ricca di misticismo e di arte (Ci-


mabue, Giotto nel Santuario di San Francesco) ad un tempo, che conserva ancora oggi nella struttura urbanistica e nell’aspetto dei suoi edifici l’originale impronta medievale; dall’altro Spoleto, che, con i suoi tesori (centro storico, Chiesa di Santa Maria Assunta, Fontana del Mascherone, Basilica di San Salvatore, Chiesa di San Gregorio Maggiore, la Rocca Albornoziana, che sorge sulla sommità del Colle Sant’Elia) si configura, per quanto piccola, come citta di grande vitalità artistica, oltre che di notevole importanza storica; dall’altro, infine, Perugia, polo culturale, produttivo e direzionale della regione, meta turistica e sede universitaria, vera e propria città d’arte (con il suo centro storico, con il Palazzo dei Priori, con la Fontana Maggiore, con la Rocca Paolina, costruita per volontà di papa Paolo III quale emblema del potere papale sull’antico comune e con il Duomo). Proprio nella cattedrale di San Lorenzo si è conclusa, infine, la visita guidata a Perugia, con la celebrazione della Santa Messa da parte del vescovo, mons. Fausto Sciurpa: una cerimonia religiosa intensa ed emozionante, alla quale gli “anspodini” hanno partecipato attivamente, non solo recitando preghiere nel dialetto delle quattro regioni scelte (Lombardia, Veneto, Campania e Sicilia), ma anche, durante l’offertorio, con una lunga teoria di doni offerti dalle delegazioni di tutte le regioni d’Italia. Intra moenia, poi, nella sala destinata alla declamazione delle poesie in dialetto, tutta una serie di attività culturali di gran qualità (dalla relazione sul dialetto perugino tenuta dalla dott.ssa Serena Cavallini, in sostituzione del prof. Sandro Allegrini, giornalista e scrittore, fondatore dell’Accademia del Donca a quella, dotta e lucida, su Pier Paolo Pasolini e sulla sua concezione del dialetto, tenuta dal prof. Giuseppe Chicchi, già docente di Economia del Turismo presso la Sapienza di Roma, a quella, infine, magistralmente tenuta dal prof. Franco Mezzanotte, medievista, già docente dell’Università di Perugia, sulla storia del capoluogo umbro). A seguire, la

piacevole “babele” dei dialetti delle varie poesie presentate in una lunga sequela di sonorità, che ha consentito ai presenti di compiere un affascinante e contaminante viaggio per le regioni Italiane (da nord a sud, da est ad ovest della penisola), inframezzato dalla simpatia e dalla vocalità di Giorgio Bruzzese, capace, con la sua chitarra e con il suo variegato repertorio, di suscitare emozioni diverse tra tutti i presenti. E ancora, nella fascia oraria (dalle 22.00 in poi) destinata all’intrattenimento, sono da registrare due momenti particolarmente significativi che, da un lato, hanno arricchito la conoscenza dell’ “umbritudine” attraverso la Compagnia teatrale “Du’ baiocchi” (Nduvina chi ariva a Pasqua? tre atti in vernacolo

perugino di Giampaolo Mascelloni), dall’altro, a proposito dello spettacolo musicale finale, dovuto alla liberalità di Annito Di Pietro, responsabile della delegazione regionale dell’A.n.po.s.di., hanno favorito un viaggio ammaliante tra le più belle canzoni tra le due guerre (Cantando il ‘900), con raffinata eleganza e con straordinaria armonia vocale cantate dal soprano foggiano Maria Gabriella Cianci, con l’accompagnamento del pianista Nunzio Aprile, e scandite dalla voce recitante di Davide Longo. Degna conclusione di un convegno, meticolosamente curato in tutti i suoi aspetti dal presidente nazionale, Mimmo Staltari, e del segretario Giampaolo Catalucci, di concerto con il rappresentante della Mave Tourism Management srl (RSM), dott. Ivan Vennera, garbato, puntuale e professionale in ogni situazione, compresa quella del festeggiamento estemporaneo di due iscritti di Orta Nova (Rosa Gatta e Antonio Maffulli), giunti al loro cinquantesimo anno di matrimonio. In sede di bilancio consuntivo è possibile sostenere, infine,

come ogni “anposdino” sia tornato a casa culturalmente soddisfatto, avendo avuto modo di riflettere sulle parole chiave della mission del sodalizio dei poeti e degli scrittori in dialetto: memoria, sogno, progetto, tre parole scritte nel blasone immaginario dell’associazione, nata a Roma nel lontano 1952. La memoria è la riscoperta, attraverso la produzione dialettale, delle radici, sulla base di un’operazione che invita a non dimenticare mai come tutto il nostro essere sia in ciò che siamo stati e come noi in fondo ci muoviamo verso il futuro nel solco della continuità delle cose, proprio come era scritto sul frontone della scuola di Pitagora, qualche millennio fa, dove si poteva leggere «Noi siamo il nostro passato». La memoria, però, nella vision del sodalizio, è accompagnata dal sogno, che appartiene a quel tipo di produzioni spirituali e intellettuali che cercano di rispondere alla domanda kennedyana: ma perché no? L’ I have a dream di Martin Luther King dà, pertanto, spessore storico e sociale anche all’A.n.po.s.di., che insegue da oltre sessant’anni il sogno di veder riconosciuta la pari dignità di tutti i dialetti del Paese rispetto alla lingua italiana, in attesa di un kairòs (momento favorevole) capace di cogliere tutte le valenze - antropologiche, culturali, sociali ed umane - delle parlate regionali (provvedimento legislativo più volte sollecitato e finora non ancora maturo). Per questo sogno l’A.n.po.s.di. continua ad operare e a svolgere il suo compito nell’ottica del servizio, inteso come ascolto, come accoglienza e consegna di conoscenza e di senso, oltre che come “condivisione”, come dono, come produzione e scambio di conoscenze in termini di reciprocità. Una “bella” esperienza anche per me che ho riportato a casa qualche cosa in più, grazie ad Annito di Pietro che mi ha sollecitato più volte alla partecipazione e grazie anche alla stimolante “compagnia” di vecchi e nuovi amici.


Il nocino di San Giovanni La tradizione gastronomica italiana vuole che ogni 24 giugno si raccolgono le noci per preparare il nocino, il liquore con le noci che si beve poi in inverno ed è uno dei regali di Natale più gettonati in assoluto. Come tutte le ricette che si passano di generazione in generazione, anche quella del liquore nocino è molto soggettiva e parlare di originalità non è praticamente possibile. La cosa certa è che per ottenere un buon nocino è bene usare le noci intere e soprattutto ancora verdi ed è per questo che le si raccoglie proprio a San Giovanni prima che inizino a maturare e non possono più essere utilizzare per il liquore. Pur variando nelle quantità, la particolarità del nocino è la presenza di un buon numero di spezie che rendono questo liquore davvero particolare e ottimo d’inverno quando fuori fa freddo. Ingredienti per 2 litri di nocino: 1 litro di alcool puro a 90°, 22 noci verdi, 4 chiodi di garofano, qualche pezzettino di scorza di limone, 200 ml di acqua, 1/4 di stecca di cannella, 500 grammi di zucchero Tagliare le noci intere in quattro pezzi

I Dauni. Archeologia dal IV al I secolo a.C. Marina Mazzei a cura di Laura Maggio Claude Pouzadoux - Saverio Russo Claudio Grenzi Editore

facendo attenzione a non far fuoriuscire il mallo. Versarle dentro un contenitore o un bottiglione con il tappo in sughero Aggiungere alcool, chiodi di garofano, cannella e scorza di limone e riporre in un luogo soleggiato per almeno 40 giorni e agitandolo quasi tutti i giorni per evitare che gli elementi pesanti si depositino sul fondo e non riescano a rilasciare aromi. Trascorsi i 40 giorni preparare uno sciroppo con acqua e zucchero e unirlo, una volta tiepido, al mix alcolico lasciato a macerare e privato di tutti i residui di spezie e limone. Imbottigliare in bottiglie scure e lasciar riposare fino a Natale quindi servire a temperatura ambiente o freddo di frigorifero. Nocino con Anice Ingredienti: 12 noci verdi non troppo dure, 1litro di alcool puro a 90°, 10 chiodi di garofano, 1 cucchiaio coriandolo non macinato, 4 pezzetti macis, 4 pezzetti anice stellato, 2 stecche di cannella, 300 gr. di zucchero. Tagliare le noci in quattro metterle in un vaso e unirvi tutti gli altri ingredienti. Lasciare in un posto al sole per 40 giorni. Poi preparare uno sciroppo

sede lo studio si articola lungo un arco cronologico che va dal IV ai primi anni del I a.C. Trova qui collocazione una lucida analisi storica degli aspetti peculiari di questa popolazione, costretta al continuo confronto con diverse compagini culturali e politiche (sannitica, macedone, magnogreca), fino alla romanizzazione dell’intera regione. Anna Matera. La passione e l’intelligenza di una donna socialista a cura di Michele Galante Claudio Grenzi Editore

Il volume costituisce il secondo tomo di un progetto editoriale sulla civiltà daunia, cui Marina Mazzei ha lavorato fino alla sua scomparsa. Preceduto dal volume I Dauni, archeologia dal IX al V a.C., pubblicato postumo nel 2010, in questa

con: 300 g di zucchero e 300 g di acqua. Il giorno dopo, quando lo sciroppo sarà freddo, filtrate con un panno molto grosso le noci unitevi lo sciroppo e imbottigliate. Lasciate riposare il nocino per 4 mesi circa. E per concludere due proposte di cocktail per questa estate: Don Pedro Bicchiere alto da drink pieno di ghiaccio, 2,5 cl di Amaro, completare con acqua tonica. Poi aggiungere un piccolo pezzo di limone spremuto e lasciato cadere nel bicchiere, infine mescolare e guarnire con fetta d’arancio Don Pepito 2 cl di Bitter, 2 cl di Amaro, allungare con 12 cl di soda Guarnire con uno spiedino di cubetti di ananas, su cui è stato grattugiato del peperoncino. Versare in un bicchiere. Chi ha frequentato il Mezzogiorno nell’immediato dopoguerra, dal ’45 al ’55, ricorda bene quanto fosse ricca e variata la galleria di personaggi che animavano lo slancio collettivo allo sviluppo del Sud. Ma con il tempo le fisionomie si sfocano, e di quei personaggi restano ricordi indistinti, coltivati solo dalla stima e dall’affetto che abbiamo avuto per loro. Mi capita, questa silenziosa rimozione, per decine di amici frequentati in quegli anni, ma non mi capita per Anna Matera, e mi sono spesso domandato il perché il pensiero di lei resti vivido anche dopo qualche decennio. E la risposta l’ho ritrovata, facile e chiara, leggendo questo volume. Non solo perché in esso si ricapitola una straordinaria storia personale e politica, ma specialmente perché esso permette di capire ed esprimere le cinque componenti che hanno “fatto la vita” di Anna Matera: le sue due grandi appartenenze (al partito socialista ed alla terra di Capitanata); le sue due grandi missioni (l’emancipazione delle donne e l’investimento in formazione); e, sotto traccia, la sua determinazione umana, ben espresse nella frase (“mai rassegnarsi, mai astenersi”) che riporta alla memoria quella forza seria e decisa cui ha ispirato tutta la sua vita pubblica...


Quando Peppino Simone ti porgeva un suo libro immancabilmente dal suo interno solevano cadere degli appunti. Questa sua continua volontà di approfondimento è il dato caratteriale che più ha segnato lo studioso, il politico, l’appassionato di teologia racchiusi in lui. Peppino era nato l’8 ottobre del 1923 nell’ultima casa di via Nazionale, l’ex palazzo Sinisi, ormai abbattuto inesorabilmente per lasciare posto ad un anonimo edificio di cemento. Quella casa, allora al limitare della mezzana, dove passavano una dopo l’altra le greggi della transumanza e dove Peppino Simone ha trascorso i primi 10 anni di infanzia e di giochi coi suoi fratelli e sorelle intorno a una grande quercia che i bimbi chiamavano “u panzone” - hanno lasciato il segno ed un patrimonio di spensieratezza che in seguito avrebbe aiutato il piccolo Giuseppe ad affrontare la vita. I genitori Nicola Simone e Nicoletta Festa non erano certi benestanti. Contadini che all’alba si svegliavano con mezz’ora di anticipo per poter andare a messa prima di recarsi nei campi, la vigna del passo d’Orta e l’oliveto sulla via di Stornara. Suo padre era sopravvissuto alla disfatta di Caporetto tenendo sempre l’immagine di S. Antonio cucita sul petto all’interno della divisa. È da quell’esempio di fede incrollabile e dall’esigenza di credere per poter affrontare la difficile quotidianità che viene Peppino il quale, compiuti i dieci anni e concluse le elementari, si rivela

molto bravo e promettente a scuola, tanto che i genitori preferiscono a rinunciare a due braccia nei campi pur di offrirgli l’unica istruzione possibile allora per un figlio di proletari: quella religiosa. “Mi venne a prendere un frate cappuccino, baciai mamma e papà e col religioso salii su treno per trasferirmi nel convento di S. Elia a Pianisi in provincia di Campobasso. Quando il treno ebbe superato il Gargano, per la prima volta in vita mia e con grande emozione vidi il mare”. Dal 1933 al ’43, Giuseppe rivide i propri genitori una sola volta, trasferendosi prima nel convento di Morcone (dove era stato padre Pio) in provincia di Benevento e poi a Montefusco Irpino, non lontano da Avellino. Ma l’8 settembre del ’43 il convento diventa quartier generale dei tedeschi e nelle immediate vicinanze cominciano a piovere le prime bombe alleate. Con altri seminaristi Peppino chiede invano di essere trasferito altrove, ma poi torna a piedi a Orta Nova impiegando diversi giorni, dormendo in giacigli improvvisati nei poderi, sbocconcellando con parsimonia una pagnotta portata da Montefusco, passando indenne grazie al saio i posti di blocco dell’esercito tedesco in ritirata. “I tedeschi facevano paura solo al vederli” - disse in seguito di quella esperienza. Al suo rientro i Carabinieri di Orta Nova gli dicono che deve andare (a piedi) al distretto militare provvisorio di San Severo perché ormai non è più frate e può fare la guerra. Negli anni successivi Giuseppe Simone vive da protagonista tutte le fasi del dopoguerra. Dopo aver evitato miracolosamente di essere inviato a Montecassino, a fine conflitto termina il servizio di leva a Napoli insieme agli americani. Comincia ad acquistare libri dalle bancarelle e torna a dedicare tutto il suo tempo libero alla lettura. Lavora per un breve periodo nella filiale ortese del Banco di Napoli ma poi decide di iscriversi all’Università di Bari presso il corso di laurea di filosofia. Per mantenersi agli studi Peppino comincia a dare lezioni private soprattutto di latino e greco appresi in convento, contribuendo a formare una classe di giovani ortesi che poi si sarebbero fatti valere nella scuola e nella società civile. A Bari conosce Marianna Giampetruzzi, una ragazza che ha il balcone di fronte al suo. Si fidanzano per quattro anni e poi si sposano nel 1951. Un matrimonio che durerà per quasi 64 anni e fino alla morte di Peppino. Il primo figlio, Nicola nasce a Bari nel ‘52 ma tutti gli altri sono ortesi, Giovanni (1954, divenuto in seguito anatomopatologo), Rosario (1960) e Anna Rita (1962) mentre la sposa di Peppino, Marianna diventa ortese a tutti gli effetti, parla perfettamente il dialetto ortese e cucina tutti i patti della tradizione migliore di Capitanata. Lo studio come unica via di riscatto e di affermazione diventano presto un pallino fisso per Giuseppe Simone e signora. Sono gli anni in cui il vecchio Partito Popolare diventa la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. Il primo a farsi la tessera è papà Nicola, e Giuseppe, che nel frattempo aveva lavorato in Comune, comincia ad avvicinarsi alla politica. Grazie anche alla sua cultura, comincia a farsi

largo fra i giovani democristiani dimostrando presto anche le sue proverbiali doti di grande oratore. Il primo discorso ufficiale lo tiene dal balcone del vecchio Palazzo di Città in occasione del rientro delle salme dei soldati ortesi caduti nella campagna di Albania, fra cui quella del fratello dell’amico Michele Ciociola. Il 7 novembre 1960 giunge il suo più grande successo elettorale. Nelle elezioni amministrative le preferenze per la sua persona si rivelano un vero e proprio plebiscito in quanto Peppino prende da solo quasi la metà delle preferenze, ma sono i tempi in cui prevale in tutto il Paese la politica del Centro Sinistra e, seguendo le direttive di partito, diventa il vice sindaco di Saverio Zampini. Una soluzione politica che durerà seguendo diverse vicissitudini fino ai primi anni ’70. Nel frattempo Peppino è uno dei democristiani di punta della DC di Capitanata. Riceve diversi incarichi. Da commissario riesce a ricucire le fratture fra le diverse anime della DC in diversi contesti, non ultimo quello di Ascoli Satriano dove porta il partito alla pacificazione interna e alla vittoria elettorale. Durante le campagne elettorali batte in lungo e in largo tutta la provincia di Foggia per tenere i suoi proverbiali comizi. A Orta Nova quando tocca al PCI tenere il comizio, lo tiene Giuseppe Di Vittorio, e quando Di Vittorio ha appena terminato, tocca a Peppino salire sul palco ed infiammare gli animi per la sua DC. Peppino è fra i principali artefici della storica visita a Orta Nova di Aldo Moro, suo punto di riferimento principale nel partito nazionale. E’ fra i promotori della ricostruzione del palazzo di Città, ed una lapide ancora ricorda la sua presenza fra i consiglieri che portarono a termine l’opera. A livello umano mantiene ottimi rapporti coi dirigenti comunisti locali. Grande la personale stima reciproca fra lui e Luigi Di Bias. Arrivano però anche i primi contrasti all’interno del partito e le delusioni, per cui negli anni ’70 decide di chiudere definitivamente con la politica. Si trasferisce a Bari con tutta la famiglia. Lavora prima a scuola per poi approdare alla Regione Puglia, si butta definitivamente negli studi teologici. Nei primi anni ’80 è nel gruppo dei primi diaconi permanenti voluti fortemente da Mons. Mariano Magrassi. Riceve diversi incarichi nella Diocesi di Bari, svolge catechesi per adulti fino agli ultimi anni di vita. Il suo funerale è stato celebrato nella chiesa dei frati cappuccini di Santa Fara a Bari il 17 luglio, scorso anno, dall’arcivescovo Francesco Cacucci. Dopo una vita fra lavoro e politica e più di 20 anni come amministratore pubblico, Peppino lascia una casa pagata con un lungo mutuo ed una laurea a ciascuno dei figli.




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